La Toscana Novembre

TOSCANA
la
Toscana Cultura - Anno 4 - Numero 10 - Novembre 2016 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 5905 del 6-2-2013 - Iscriz. Roc. 23227. E 1
Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI

Dal 1936 la famiglia Cirri-Fusi svolge ininterrottamente
l’attività di ristorazione.
L’attuale gestione è condotta da Livio, grande esperto e
conoscitore di carni, affiancato dai figli Enrico e Gianna
coadiuvati da validissimi collaboratori.
Nel ristorante ci sono due accoglienti sale, dai colori caldi
dove possono essere ospitate circa 50 persone; all’esterno,
un piccolo giardino dove nei mesi più caldi la sera i clienti
possono consumare la cena.
L’uso di materie prime di qualità permette alla nostra
cucina di mantenere nel tempo piatti dai sapori altrimenti
dimenticati.
Produciamo il nostro olio biologico da olivi situati nella
collina di fronte al ristorante.
Abbiamo un piccolo allevamento suino dal quale
ricaviamo i nostri salumi.
L’uso di padelle di ferro per friggere permette di avere una
leggera ed eccezionale frittura di carni e verdure, avendo
con questo tradizionale metodo la possibilità di cambiare
l’olio molto più spesso di una friggitrice.
Ristorante Il Focolare
Via Volterrana Nord, 175
50025 Montespertoli (FI)
Tel. 0571 671132
ilfocolare.montagnana@gmail.com

Luciano
Manara
Manara Design
Via di Novoli, 62/G - 50127 Firenze
Tel. +39 055 435003
luciano@manaradesign.it
www.manaradesign.it

Sommario
In copertina: il manifesto del film "Il Bardiccio"
realizzato dal grafico Gabriele Aimavilli
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Nie Weigu espone all'Auditorium al Duomo di Firenze
Alessandro Sarti racconta il Bardiccio in un libro
Il Bardiccio è anche un film
Le sculture di Sylvia Loew
Le magie cromatiche di Mauro Mari “Maris”
Anna Cecchetti in mostra a Palazzo Panciatichi
Il lungo viaggio di Mauro Scardigli attraverso il colore
Riapre il rinnovato Museo Luigi Pecci di Prato
Porta Romana in festa con Boboli Sogna
A Sesto Fiorentino una Festa d'Autunno per i Saharawi
Al Palazzo dei Priori di Volterra la mostra di Gianfranco Zazzeroni
La Toscana nelle foto di “Peppetta” Giuseppina Maestrelli
Graziella Devias: dalla Sardegna al Mugello
Lapo Baldacci: un genio fiorentino
Sfaccettature fiorentine
Il 54° Premio Cardo d'Argento
La scomparsa di Don Nanni Guiso
Il mondo dell'arte ricorda Kevo
La storia di Frederick Stibbert in un libro
Speciale Alluvione 1966
Roberta Ferronato: dall'università alla Arthur Murray
"Cena Ecumenica" a La Tenda Rossa
FuturGes, un'azienda toscana leader nell'edilizia tecnica
Luciano Pasquini in mostra alla Certosa di Pontignano
Grazia Tomberli alla Galleria di Palazzo Coveri
Alla Soffitta di Colonnata l'eclettico artista Piero Biondi
In un libro, il greco...una lingua nascosta
Espedito De Leonardis: la folgorazione per la chiropratica
L'umami, questo sconosciuto
Il fantasioso e versatile artista Franco Carletti
Civiltà agropastorale: un convegno a Cintoia
Firenze dall'alto, foto di Stefano Casubaldo
la Toscana
Periodico di attualità, arte e cultura
dell’Associazione Toscana Cultura
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Roberta Fiorini
Moreno Mari
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Daniela Pronestì
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Alessandro Sarti
Barbara Santoro
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Adriano Bartolozzi
Stefano Casubaldo
Maria Grazia Dainelli
Mara Faggioli
Carla Fossi
Foto Studio Bianco
Benedetta Gori
Marco Luzzati
Giuseppina Maestrelli
Elisabetta Mereu
Carlo Midollini
Marco Quinti
Duccio Ricciardelli
Alessandro Sicuro
Antonio Viscido
Sandro Zagli

Nie Weigu
Dal 30 novembre all'Auditorium
al Duomo di Firenze le opere
del maestro cinese dedicate all'Italia
di Daniela Pronestì
Dal 30 novembre al 9 dicembre l’Auditorium al Duomo
di Firenze (Via de Cerretani 54/r) ospiterà la mostra
Uno sguardo sul mondo: opere dell’artista cinese
Nie Weigu. Promossa dall’Associazione Toscana
Cultura, dall’Accademia di Belle Arti di Nanjing e dell’Accademia
di pittura e calligrafia cinese, con il sostegno dell’Agenzia
Nazionale del Turismo, la mostra raccoglie oltre trenta dipinti che
rendono omaggio alle bellezze artistiche di Firenze e di altre città
italiane (Roma, Venezia, Milano, Napoli) interpretandole alla luce
della cultura pittorica cinese. Un ciclo di opere che si aggiunge a
quelle già realizzate dall’artista Nie Weigu guardando all’Italia e
ai suoi tesori architettonici: chiese, piazze, monumenti, scorci urbani
reinterpretati con una tecnica che unisce al vigore del segno
le vibrazioni del colore. Ispirata alla lezione di Lin Fengmian, considerato
uno dei principali fondatori della pittura cinese moderna,
la sua ricerca unisce suggestioni derivate sia dall’arte orientale
Roma, Piazza di Spagna, 2016, inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
Venezia, Il ponte dei sospiri, 2016, inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
antica e contemporanea sia dall’arte occidentale. Visioni
artistiche che s’incontrano in un registro pittorico
incentrato sulla dialettica tra segno e colore, che si completano
reciprocamente, imprimendo alla pennellata il
ritmo di un dettato calligrafico. È quello che l’artista ha
definito “colore scritto”, vale a dire una stesura che accoglie
e traduce in pittura la poetica del segno propria
degli ideogrammi cinesi. Il risultato è una trama coloristica
fatta di linee, brevi tocchi e schizzi, che infrangono
la staticità delle facciate e l’aspetto monumentale delle
architetture per mutarle in un tracciato dinamico e intriso
di luce. Ne deriva una visione sospesa tra realtà e
astrazione, dove la storia dell’uomo è parte di una gioiosa
celebrazione della vita e della natura, dell’energia
che muove e trasforma il mondo. La mostra fiorentina, a
cura di Alan Yu, è la terza tappa di un progetto espositivo
già presentato in Cina (2015, Museo Nazionale) e in
Ucraina (2016, Accademia Nazionale Ucraina delle Arti
e delle Scienze).
6 Nie Weigu

Il Golfo di Napoli, 2016, inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
Voglio volare in cielo (Firenze, abside del duomo), 2016, inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
L'anima di Milano, 2016, inchiostro e colori su carta,
cm. 69x69
Firenze, Santa Maria del Fiore e il Battistero, 2016,
inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
Vacanze romane (vista sul Campidoglio e l'Altare della Patria),
2016, inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
Tramonto infuocato (Firenze, la cupola del Brunelleschi e il campanile
di Giotto), 2016, inchiostro e colori su carta, cm. 69x69
Nie Weigu
Nato a Yangzhou, provincia di Jiangsu, nel 1957, Nie Weigu è docente
di pittura e storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Nanjing,
di cui è anche vice rettore. Membro del Chinese Artist Association
e dell’Academic Committee of Artist Association di Jiangsu, è vice
presidente della Chinese Painting Society di Jiangsu e della Nanjing
Artist Association, oltre che visiting researchear presso la Chinese
Painting Academy (Jiangsu). Artista conosciuto a livello internazionale,
ha esposto in Cina, Corea, Australia, America ed Europa (Francia,
Inghilterra, Olanda, Italia, Ucraina). Le sue opere, premiate sia
in Cina che all’estero, sono inserite in prestigiose collezioni museali
e private in diversi paesi del mondo.
La mostra si aprirà mercoledì 30 novembre alle ore 17.30 alla presenza
dell’artista e del curatore; sarà visitabile negli orari di apertura
dell’Auditorium al Duomo (www.auditoriumalduomo.com).
Presenti, inoltre, il giornalista e presidente dell’Associazione Toscana
Cultura Fabrizio Borghini, la storica dell’arte e giornalista Daniela
Pronestì e Paolo Del Bianco Presidente della Fondazione Romualdo
Del Bianco. L’evento sarà ripreso da Toscana TV per la rubrica “Incontri
con l’Arte”.
Nie Weigu
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presenta
Mostra d’Arte Contemporanea
In esposizione le opere di:
Donatella Cassan
Sandro Carloni
Franco Dalla Pozza
Francesca Ferri
Bruno Lucatello «LUC»
Sileno Marton
Miroa
Vittoria Salati
Foyer dell’Auditorium al Duomo e
Caffè Astra al Duomo
Dal 12 al 27 novembre 2016
Dalle 10.00 alle 17.00 e durante gli eventi serali
Vernissage
Sabato 12 novembre ore 17.30
Presenzierà il critico d’arte Dott.ssa Mattea Micello
Auditorium al Duomo
Via De Cerretani 54/R, Firenze
Con il patrocinio di:

IL BARDICCIO
“NON FATEVI INFINOCCHIARE”
IL NUOVO LIBRO DI ALESSANDRO SARTI
di Barbara Santoro
Foto di Marco Quinti
Conoscere Alessandro Sarti è davvero una
fortuna…il suo entusiasmo è così contagioso
che non si può rimanere sulle “nostre”
bisogna “buttarsi nella mischia” e
“assecondare la sua follia”.
Spesso mi sono chiesta dove va a scovare certe “prelibatezze”
ma sempre la mia domanda è rimasta senza
risposte.
Nato in un ambiente semplice ma ricco di “humus” e
di sano equilibrio, Alessandro appartiene a quella magica
schiera di personaggi che si sono creati da soli,
senza spinte, senza sotterfugi, senza pretese.
Genuino era e tale è rimasto. E questo suo sentimento
(così raro oggi) lo conduce a farci riscoprire un prodotto
che fuori dalle mura della Toscana non se ne
conosce l’esistenza.
D'altronde già con i primi due libri (due testi di grande
successo) “Intervenite numerosi!” del 2013 e “Che
musica maestro!” del 2014 ci aveva fatto rivivere una
Valdisieve tra gli anni Sessanta e Ottanta aprendoci
un mondo che sembrava dimenticato o forse solo addormentato
nell’attesa di essere risvegliato.
Anche questo ultimo lavoro nasce dall’incondizionato amore per la
sua terra, ma questa volta l’obbiettivo si sposta sulle tradizioni gastronomiche.
Così il bardiccio, tipico insaccato realizzato con gli ultimi scarti del
maiale e speziato con finocchio selvatico, diventa protagonista di
un’incursione nella storia e nel folklore locale, alla scoperta di quella
cucina “povera” negli ingredienti ma testimonianza di un’antica
sapienza contadina che il lettore apprezzerà pagina dopo pagina. Il
bardiccio è uno solo (“Non fatevi infinocchiare”, ammonisce Bobo
nella copertina firmata da Sergio Staino, attuale direttore del quo-
Sergio Forconi e Piero Torricelli
Presentazione del libro Il Bardiccio!, da sinistra: Leonardo Romanelli, Luigi Cioffi, Stefano Frassineti,
Alessandro Sarti, Paolo Bacciotti, Luciano Artusi, Maurizio Bigazzi
tidiano L’Unità, scherzando sull’ingrediente principe) ma di cose da
dire ce ne sono molte e il libro scorre alternando racconti e interviste,
immagini d’epoca e naturalmente ricette ad hoc pensate da chef
titolati, che collocano il celebre insaccato al centro di primi, secondi
piatti e perfino dessert. Tra un ricordo e un aneddoto, spiccano le
illustrazioni di Giovanni Maranghi e un’accurata ricerca lessicale
di Matilde Paoli, che attribuisce alla salsiccia un ricco pedigree. “Il
bardiccio”, spiega la studiosa, “ci racconta una storia molto ‘saporita’,
fatta di tradizioni locali, ma anche di contatti fra popolazioni, ci
parla di gente che vive duramente, che si sposta e si incontra, che è
capace di scambiare esperienze con l’altro, anche quando viene da
lontano. Una pietanza nata povera, viva in un’area circoscritta ma
capace, a saper guardare, di aprire la mente, oltre che lo stomaco,
a ciò che c’è fuori dai nostri confini”. Non contento l’autore svolge
anche una serie di interviste fra le dinastie di macellai della zona,
uno più simpatico dell’altro.
Edito da Polistampa, la nota casa editrice fiorentina che fa capo ad
Antonio e Mauro Pagliai, con una prefazione di Luciano Artusi, noto
storico delle tradizioni fiorentine, e la postfazione di Leonardo Romanelli,
noto gastronomo e giornalista, il libro acquista una nota di
raffinatezza davvero speciale.
Diciassette sono le ricette di primi piatti fatti con il “bardiccio”,
quindici i secondi e per concludere tre dessert inventati da cuochi,
gastronomi, gelatieri e chef di grande qualità che hanno saputo apprezzare
e rivisitare a loro modo questo insaccato.
Un consiglio: “Non fatevi infinocchiare” ma acquistate il libro di
Alessandro!
Il Bardiccio
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CIACK SI GIRA!
UN FILM SPIRITOSO
DEDICATO AL BARDICCIO
di Barbara Santoro
Foto di Sandro Zagli
Da giugno alla fine di ottobre nella Valdisieve si è girato
questo film.
Ciack si gira, azione! Secondo le migliori tradizioni quando
l’asticella di legno batte sulla tavoletta su cui sono
riportati tutti i dati della scena in fase di ripresa.
Cinque mesi di lavoro, molti sabati e domeniche, per realizzare questo
film, interamente autofinanziato con cene di sottoscrizione e tre
sponsorizzazioni della Cantina Ruffino di Pontassieve, della Banca di
Credito Cooperativo di Pontassieve e della Casa del Popolo di Pontassieve.
Tanto lavoro, tanta passione che tutti i componenti di questo
cast hanno impiegato ed espresso, capitanati da Alessandro Sarti che
ha scritto la sceneggiatura e diretto la regia.
Settanta amici (di età compresa da 7 a 75 anni) tra attori professionisti
e semplici comparse, hanno portato avanti questo progetto per
stare insieme e divertirsi. Del resto Alessandro ci ha abituati, come
nei precedenti libri, ad accompagnare la pubblicazione con un corto-
Giacomo De Bastiani, Alessandro Sarti, Sergio Forconi e Laura Barabesi
Gino Sarti (Steno lo Stakanovista) e Sergio Forconi (Gino)
Alessandro Sarti con Alessandro Paci nei panni di un vigile durante le riprese del film
10 Il Bardiccio

metraggio, che ci fa entrare anche visivamente
nella pagine.
Questa volta ha voluto però “fare di più” ed un
lungometraggio (un vero film) accompagnerà l’uscita
di questo testo. La colonna sonora e le musiche
originali che accompagneranno la pellicola
sono state scritte appositamente dal maestro
Ranieri Sessa.
Sarà proiettato il 1 dicembre al Cinema Accademia
di Pontassieve alle ore 21,30 e in replica il 6
e 7 dicembre.
Per i protagonisti, il primo dicembre sarà come
vivere la notte della prima di un Oscar. E non mi
meraviglierei di vederli arrivare in sala eleganti
ed imbrillantati quasi in attesa di ricevere un premio,
perché grande è stato l’impegno e il piacere.
Inoltre questo lavoro donerà alla Fondazione
Tommasino Bacciotti onlus, tutto il ricavato delle
serate a offerta libera con ingresso gratuito.
Questo film vede la partecipazione straordinaria
come attore protagonista di Sergio Forconi e Bruno
Santini che parteciparono vent’anni fa al “Il
Ciclone”; e poi ancora vedremo Alessandro Paci
e Piero Torricelli. Il tutto è girato fra Pontassieve,
Pelago, Rufina e Firenze.
Alessandro è coadiuvato per le riprese da Laura
Barabesi, per il montaggio da Giacomo De Bastiani
e per gli scatti fotografici da Sandro Zagli
che con grande abilità hanno dato “corpo” al
lungometraggio. Sarti tiene, in modo particolare,
a citare tutti i protagonisti di questo film, elencandoli,
uno per uno, per quel senso di amicizia
che lo lega a ciascuno di loro: Emanuele Allegrini,
Adelmo Algherini, Gianmarco Barba, Mariangela
Bartoloni, Dino e Roberto Benvenuti, Cristian Borchi,
Amanda Braccini, Samuel Calonaci, Rebecca
Carotti, Roberta Catarzi, Andrea Cecchini, Adriano Cellini, Chiara
Ceseri, Giuliana Cipriani, Nello Convito, Stefano Cortini, Lukas Den
Svarte, Laura Duca, Claudio Ermini, Antonio, Davide e Matteo Fabbrini,
Giacomo e Rachele Fantechi, Stefano Frassineti, Alessandro
Fusaro, Eleonora Galanti, Stefano Galli, Samoa Gentili, Paolo Grazzini,
Piero Lombardi, Matteo Lorenzini, Umberto Madiai, Stefano Magherini,
Gianfranco Marrani, Simona Martini, Martina Mearini, Paolo
Mompellieri, Alessia Nesi, Michela Orsi, Giuliano Passerotti, Giovanna
Poggioli, Alessandro Prunetti, Massimiliano Quercietini, Maurizio
Romolini, Massimo Romualdi, Juri Ronchi, Gino, Giulia e Samuele
Stefano Galli (Federico Gallo)
(Giornalista Sesta Rete)
Sarti, Renzo Saulino, Alessandro Tanini,
Edoardo Tilli, Martina e Stefano Traballi,
Enrico Vannini, Piero Volpi, Claudio Zagli.
Questo è un modo semplice di fare spettacolo
che risale “alla notte dei tempi”,
quando nelle case coloniche si facevano le
commedie fatte in casa. Nelle Case del Popolo
o al Cinema Pro Famiglia si mettevano
su le compagnie solo con la buona volontà
Bruno Santini (Mario)
(Direttore di Banca)
Piero Torricelli (Goliardo) Roberta Catarzi (Amanda)
Paolo Mompelieri e Giacomo Fantechi (Watanga)
Il Bardiccio
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L. Barabesi, J. Ronchi, D. Fabbrini, R. Fantechi, S. Magherini, C. Borchi, S. Martini,
C. Zagli, M. Fabbrini, A. Fabbrini, P. Grazzini, G. Passerotti, M. Romualdi, E. Vannini,
S. Zagli A. Sarti, P. Torricelli
Da sinistra: Renzo Saulino (Salacca), Antonio Fabbrini (Nichelle), Giacomo Fantechi
(Watanga), Alessandro Fusaro (Pelo)
Mariangela Bartoloni e Gianfranco Marrani, ristorante Se-sto on Arno Firenze
dei partecipanti, senza guardare se sapevano recitare o no. Proprio
questi personaggi hanno fatto la storia del teatro amatoriale, ed è
proprio con questo spirito che nasce questo progetto, senza sapere
se ci saranno ulteriori occasioni di recitare, felici solo di essere stati
utili alla comunità.
Il bardiccio è un prodotto povero, nato nelle campagne, dimenticato
nell’era del benessere e del consumismo, ed oggi riscoperto
ed apprezzato. Come il libro anche il film vuole stimolare un sereno
divertimento e la curiosità storica e culinaria del prodotto e della
Valdisieve.
Siamo davvero grati ancora una volta ad Alessandro che in punta di
penna e con mano leggera ci ha fatto gustare anche cinematograficamente
il “Bardiccio”.
Macelleria Fabbrini. Da sinistra: Samuele Sarti, Stefano Cortini, Giovanna Poggioli,
Davide Fabbrini, Giulia Sarti, Antonio Fabbrini
Giuliana Cipriani e Sergio Forconi sulla terrazza The Westin Excelsior Florence
Da sx: Gianfranco Marrani, Emanuele Allegrini, Giacomo Fantechi, Antonietta Bonelli,
Mariangela Bartoloni, Alessandro Sarti, Andrea Cecchini, Renzo Saulino, Sergio Forconi,
Giuliana Cipriani, Laura Barabesi, Piero Torricelli, Alessandro Fusaro e Stefano Traballi
12 Il Bardiccio

Adelmo Algherini (Adelmus il guaritore) con Goliardo
Giulia Sarti, il Sindaco di Pontassieve, Rebecca Carotti
Da sinistra Alessandro Sarti, Maurizio Romolini, Antonio Fabbrini, Alessandro Pruneti, Massimo Pratesi, Giacomo
Fantechi, Alessandro Paci, Gianmarco Barba, Paolo Mompelieri, Laura Duca, Renzo Saulino, Alessandro Fusaro,
Eleonora Galanti, Martina Traballi, Chiara Ceseri, Alessia Nesi.
Da sinistra, Laura Barabesi, Piero Torricelli, Alessandro Sarti, Samuel Calonaci,
Martina Mearini, Giacomo Fantechi, Massimo Romualdi, Sergio Forconi, Gianfranco
Marrani, Alessandro Fusaro. Accosciato Sandro Zagli
Gianmarco Barba, Alessandro Fusaro (Pelo), Alessandro Paci
Renzo Saulino (Salacca) Sommelier, Andrea Cecchini (I Cecco) Maitre
Da sinistra Dino Benvenuti, Roberto Benvenuti, Stefano Frassineti, Sergio Forconi, Adriano Cellini, Piero Lombardi,
Alessandro Tanini, Nello Convito, Umberto Madiai, Piero Volpi, Alessandro Sarti, Piero Torricelli
Il Bardiccio
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Sylvia Loew
La scultrice
brasiliana realizza
a Pietrasanta le sue
opere in marmo,
gesso e bronzo
di Lucia Raveggi
Foto di Marco Luzzati
Sylvia Loew è nata in Brasile a Sao Paulo. Nel 1990, insieme
alla famiglia, si trasferisce in Italia.
Dallo scultore Lorenzo Garaventa ha appreso le diverse tecniche
di lavorazione del gesso, marmo e bronzo.
Lavora nel suo studio privato a Genova ed esegue la lavorazione del
marmo a Pietrasanta. A partecipato a mostre collettive e personali in
Italia e symposium in Israele, Grecia, Cecoslovacchia, Cina, Francia.
"Il marmo è una materia viva con tanta energia, forza e, allo stesso
tempo, capace di materializzarsi in molte immagini e forme che trovano
un equililibrio" a dichiarato l'artista parlando del suo lavoro.
www.sylvialoew.com - sylloew@tin.it
Sylvia Loew accanto alla scultura Sboccia dal marmo, 2014, cm. 40x140x35
Le perle, 2012, marmo statuario Carrara, cm. 23x54x20 e cm. 30x12x44
Donna, 2015, marmo statuario Carrara, cm. 30x100x20
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Sylvia Loew

Mauro Mari “Maris”
Nelle sue opere un'introspettività che nasce dal
connubio dei colori creando immagini surreali
di Moreno Mari
Mauro Mari, in arte Maris, nasce a Siena il 24 marzo
del 1940, durante lo svolgimento della II Guerra
Mondiale, figlio di un militare impegnato al fronte;
cresce molto in fretta abbandonando presto gli studi
per aiutare la famiglia.
Durante l’adolescenza inizia a dipingere, ma soprattutto a ricercare
il suo metodo ideale; alla fine degli anni Sessanta inizia ad esporre
le sue opere prima in Toscana e successivamente in tutta Italia, ricevendo
ottimi risultati sia di pubblico che di critica.
Primavera #33, 2013, cm. 50x50
Venere, 2011, cm. 50x90
Nel 1972, apre la Galleria d’Arte San Frediano che diventa un punto
di riferimento per la pittura Toscana degli anni Settanta e Ottanta; in
quel periodo le sue opere raggiungono valori di mercato consistenti
e di conseguenza si trasferisce a Firenze, città simbolo dell’arte
e punto di riferimento internazionale della cultura di quel periodo.
Negli anni Ottanta tra i suoi sostenitori si evidenza il maestro “maledetto”
Mario Schifano, che entusiasta delle opere di Maris decide di
aiutarlo nel suo percorso artistico affiancandolo nella sua formazione
e divenendo il suo maestro per un lungo periodo.
Tra la fine degli anni Ottanta a metà degli anni Novanta Maris conduce
programmi di arte su varie emittenti televisive toscane e nazionali;
la sua esperienza viene messa a disposizione per il sostegno di
altri colleghi e le sue esposizioni si interrompono. I quadri prodotti in
questo periodo sono pochi, ma lo studio di nuove tecniche procede
lontano dalle scene.
Con l’arrivo del nuovo millennio, Maris ha ricominciato a dipingere
con più frequenza e un suo nuovo stile ha preso forma:
la sua tecnica è stata spesso accostata al genere
Dripping/Drip art noto nei quadri di Pollock, ma dietro
alle sue creazioni c’è l’uso di tecniche miste e molto
studio sul colore, qualità che lo rendono un autore fuori
dal comune e, forse, con uno stile unico al mondo.
Nei suoi quadri Maris, rappresenta la realtà esaltando
i sentimenti con graffi di colore che creano un’inedita
e folle armonia con aspetti futuristici e fantastici. Ogni
quadro di Maris è assolutamente originale, ma nelle
sue collezioni si riconosce il tocco audace e fuori dagli
schemi. Le sue creazioni racchiudono all'interno una introspettività
creata dal connubio dei colori che danno
vita a immagini surreali dove ogni spettator scopre un
mondo fantastico differente, che gli appartiene in maniera
univoca.
Visione, 1977, cm. 35x25
Punti chiari, 2013, cm. 30x40
Lo studio di Mauro Maris si trova a Firenze.
www.mauromaris.com/ - mauromaris@yahoo.it
Maris
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Anna Cecchetti
Verrà inaugurata venerdì 18 novembre
a Palazzo Panciatichi sede del Consiglio
Regionale della Toscana la mostra
personale dell’artista fiorentina
di Fabrizio Borghini
Continua il ciclo delle mostre della pittrice e scultrice
Anna Cecchetti per il suo cinquantennale artistico.
Dopo la personale a Forte dei Marmi (Museo Guidi e
Hotel Logos), l’antologica a Firenze in Palazzo Medici
Riccardi e l’esposizione al Lucca Museum, ecco una nuova importante
mostra che mira a dare ulteriore risonanza alla campagna in atto
contro il femminicidio: un fenomeno in crescita che evidenzia uno
stato di sudditanza della donna. Specie in alcune opere di scultura
emerge forte questa costrizione, questo grave disagio che la donna
è costretta a subire e da cui vuole liberarsi. Ma una soluzione c’è: è
quella dei sentimenti affettivi, dell’amore e degli abbracci per i quali
la coppia deve saper ritagliare più spazi, come emerge dai grandi
quadri che caratterizzano l’esposizione. Introdurrà alla mostra il
Presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani e seguiranno le
considerazioni critiche del professor Ugo Barlozzetti di cui viene anticipata
una sintesi.
LA SCARPETTA
ROSSA
di Ugo Barlozzetti
La sposa (particolare) installazione alta cm. 180. Testa in marmo statuario
Anna Cecchetti, appena due anni dopo l’importante mostra
curata da Daniela Pronestì corredata da un catalogo
ricco di più di duecento immagini e con significativi contributi
critici, con l’esposizione-evento ora accolta negli
spazi del Consiglio Regionale della Toscana, definisce la propria ricerca
nel segno di una poetica impegnata, nella quale il rapporto tra
estetica ed etica viene ribadito con la forza dell’arte.
“La Scarpetta Rossa” rivela, secondo il codice della denuncia del
femminicidio, in un contesto denso di contenuti, evocati e suggeriti,
quanto la violenza, la sopraffazione e l’inganno continuino a colpire
le donne e con loro la civiltà. La brutalità fino al femminicidio è
il contrario di quell’“inno alla vita”, quell’armonia che è il fondamento
della cultura che ha nell’umanità la propria motivazione più
pregnante. Così Anna Cecchetti ci offre una scultura-installazione,
monumento e monito con la scarpetta rossa che ammonisce appunto
16 Anna Cecchetti

Le superfici sono trattate con quell’attenta sensibilità che ci è anche
dichiarata da una “fiamma-obelisco” di rara e delicatissima fattura.
Ma il virtuosismo esecutivo non raffredda, esalta invece l’empito
creativo: ecco che gli sguardi di quelle teste “vivono” nell’esprimere
un interrogarsi su quanto sta avvenendo, una sorta di giustificato
sospetto in una situazione di ogni tempo e ogni luogo. Oltre la denuncia,
ecco comparire nella scultura una mano che sembra chiedere
aiuto e poi i fiori che si trasformano in seni. I fiori e il mondo
vegetale, simboli della natura che trionfa in bellezza, ritornano nelle
capacità restitutive di Anna, ove forza e delicatezza, attenta sensibilità,
fantasticare come insuperabile vena creativa, emergono dimostrandosi
virtù al femminile. Così, in questi tempi ove periclitano
quelle che ci illudevamo essere le “magnifiche sorti e progressive”
del pianeta, soprattutto per la condizione delle donne, resa precaria
anche in Europa dal dilagare dei femminicidi, Anna Cecchetti, da
questa Firenze e questa Toscana luogo della donna “angelicata” e
dell’Umanesimo, ha inteso e intende esaltare nella propria opera -
ed è il suo messaggio - la donna al centro dell’esistere e quindi della
vita anche e soprattutto culturale.
Tappeto rosso, acrilico su carta, cm. 150x100
Anna Cecchetti pittrice e scultrice
Studio in Firenze via Kyoto, 39/41
anna.cecchetti.xoom.it - anna.cecchetti44@gmail.com
e denuncia, punto di colore nel sontuoso abito da sposa di
prezioso pizzo bianco che si accompagna a un velo di tulle
nero, per sottolineare l’ambiguità della condizione femminile.
L’opera è coronata da una testa in marmo statuario
che rinvia alla produzione più recente in scultura. Di fronte
una figura in un ruolo maschile per antonomasia, quello
del guerriero, armato d’amore, ma cieco, prigioniero a
propria volta di una condizione che può rendere ambiguo
l’amore stesso.
Gli acrilici su carta, di una dimensione di 150x100 sono
emblematici della rivendicazione del ruolo delle radici nel
mondo classico e innervate nella monumentale sintesi
della forma e nella consolidata eleganza del dialogo con
il colore. Anna, accanto al sogno di una natura capace di
accogliere nell’eros della coppia l’aspetto fondante della
percezione del “metron” dell’armonia, ci dà nelle sculture,
nei marmi, la metafora della donna che può essere prigioniera
della natura; nei bassorilievi, di circa 40 centimetri
di base, questo tema è suggerito nel contrasto tra il corpo
femminile e la materia. Peraltro la scelta del marmo non
è banale: è il marmo statuario delle cave di cui si avvalse
Michelangelo negli anni che meditava la facciata di San
Lorenzo a Firenze e poi le tombe della Sacrestia Nuova e
il completamento di quella per Giulio II. La luce interviene
sulle superfici secondo la sensibilità che Anna manifesta
nella serie di teste dai grandi occhi. La forza e la capacità
di restituzione della forma senza “tranelli”, ossia la sincerità
creativa di Anna si percepisce nel difficile intervento
sui marmi, uno degli aspetti più originali della sua opera.
Il turbante, marmo statuario, tessuto, metallo, cm. 35x25x15
Anna Cecchetti
17

Mauro Scardigli
Negli ultimi lavori l'artista si orienta verso orizzonti
espressivi profondamente rinnovati attraverso il colore
di Daniela Pronestì
Come già evidenziato nei precedenti articoli
su Mauro Scardigli, la varietà dei materiali
usati sia come supporto che come
complemento dell’azione pittorica, è uno
dei tratti distintivi del suo lavoro. Ne sono riprova le
opere dipinte su plexiglass, dove l’espressività del
colore è in stretta sintonia con le caratteristiche del
materiale. In questo caso, infatti, la luminosità cromatica
non dipende soltanto dalla brillantezza delle
tinte, come nelle opere su legno o su alluminio, ma è
determinata anche dalla trasparenza del plexiglass,
che filtrando la luce rende i colori smaglianti. Un
effetto raggiunto riducendo sensibilmente la consistenza
delle stesure, che diventano più sottili per
favorire il passaggio della luce. Da questo accorgimento
scaturisce anche una diversa distribuzione del
colore, che abbandona la capillare tessitura segnica
dei precedenti lavori per consolidarsi in una macchia
dai contorni indefiniti. Un elemento che si aggiunge
all’alfabeto cromatico di Scardigli, dove le diverse
articolazioni del colore - linee, punti, macchie - sono
Lucido 308, 2016, tecnica mista su
plexiglas, cm. 50x100
Foto Studio Bianco - Castelnuovo Garfagnana
Mauro Scardigli mostra a Lucca
www.scardiglimauro.it
Lucido 310, 2016, tecnica mista su Plexiglas,
cm. 50x50
Lucido 312, 2016, tecnica mista su Plexiglas,
cm. 60x60
Lucido 314, 2016, tecnica mista su Plexiglas,
cm. 50x50
Lucido 311, 2016, tecnica mista
su plexiglas, cm. 50x50
Lucido 313, 2016, tecnica mista
su plexiglas, cm. 50x50
Lucido 315, 2016, tecnica mista su plexiglas,
cm. 50x50
parte di linguaggio che rimanda alla sfera dell’emotività,
ai momenti e alle sensazioni che si schiudono nel processo
creativo. Un linguaggio che nei lavori su plexiglass assume
un indirizzo nuovo, più incline alla qualità evocativa
del colore: qui lo sguardo ama perdersi nel tentativo di
riconoscere un paesaggio al tramonto, una tempesta marina
o uno stralcio di cielo attraversato dalle nuvole. Pur
rimanendo, quindi, entro i termini di una rigorosa astrazione,
Scardigli sembra orientarsi in questa fase verso
orizzonti espressivi profondamente rinnovati per tramite
del colore. Una scelta che conferma la sua inquietudine
sperimentale, il suo bisogno di non fermarsi ai risultati
già raggiunti, ma di procedere spedito verso sempre
nuove mete.
18 Mauro Scardigli

Il rinnovato Centro per l'Arte
Contemporanea Luigi Pecci di Prato e la
mostra inaugurale: “La fine del mondo”
di Alessandro Sarti
Foto di Adriano Bartolozzi
Il Centro Pecci nasce dalla volontà del cavaliere Enrico Pecci
alla fine degli anni Settanta di donare alla città di Prato uno
spazio museale, che verrà poi dedicato al figlio Luigi scomparso
tragicamente. L’idea riscontrò l’entusiasmo e l’appoggio del
Comune e di molti imprenditori, convinti della necessità di un centro
di documentazione per la conoscenza e la divulgazione dell’arte
contemporanea. Fu chiamato per la progettazione l’architetto Italo
Gamberini che con grande maestria disegnò il museo.
Dopo tre anni di lavori, il Museo di Arte Contemporanea di Prato riapre
le porte in una veste tutta nuova, non solo votata alle arti visive,
ma fulcro di tante attività come
cinema, musica, libri, conferenze
e laboratori per bambini.
Una serie di offerte che permetteranno
di vivere il Centro Pecci
anche la sera dopo cena e la
domenica grazie alle aperture
straordinarie fino alle 23.
Dopo l'avveniristico ampliamento
a forma di navicella spaziale
dell’architetto Maurice Nio e
la riqualificazione dell’edificio
originario di Italo Gamberini, il
Centro ora decolla con una mostra
dal titolo: “La fine del mondo”
a cura del direttore Fabio Cavallucci, che apre le porte del museo
al mondo intero con l’obiettivo di “declinare il contemporaneo” come
ha detto nella conferenza stampa “al plurale delle diverse arti per restare
fedele alla vocazione originaria di luogo dedicato alle ricerche
artistiche più avanzate”. Un luogo di saperi, promotore di processi
di consapevolezza e di pensiero critico, perché la contemporaneità
investe il nostro quotidiano e l’arte non è un’offerta per pochi ma
una delle chiavi per vivere ed interpretare la nostra società.
La mostra non vuole essere una rappresentazione di un futuro catastrofico
imminente ma piuttosto una presa di coscienza della condizione
di incertezza in cui versa il nostro mondo e quasi una riflessione
sugli scenari drammatici che ci circondano. Attraverso lavori di
natura diversa spesso da attraversare o sperimentare fisicamente
in una scansione di spazi e di suoni che si succedono e si alternano,
il visitatore sarà trascinato in un movimento continuo, ineluttabile
quasi una specie loop di eterno ritorno che ritmicamente allontana e
riavvicina al presente, proponendo nuove chiavi di lettura.
Il percorso raccoglierà interventi di artisti ormai affermati internazionalmente,
dal nativo americano Jimmie Durham al cubano Carlos
Garaicoa ai cinesi Qiu Zhijie e Cai Guo-Qiang, fino a opere di artisti
più giovani come il brasiliano Henrique Oliveira o lo svizzero Julian
Charriere con un lavoro realizzato a quattro mani insieme al tedesco
Julius Von Bismarck. Non mancheranno poi lavori ormai appartenenti
alla storia dell’arte, come quelli di Marcel Duchamps , di Pablo
Picasso o di Umberto Boccioni. Ma numerosissimi saranno anche
gli artisti giovani e ancora poco conosciuti, molti dei quali provenienti
dalle aree geografiche in cui sono presenti forti contrasti e
conflitti, come l’Europa dell’Est, il Nord Africa, il Medio Oriente, il
Sud America. Il pubblico attraverserà i vari ambienti sperimentando
diverse sensazioni: dal distacco da questo nostro mondo, così piccolo
e insignificante, alla malinconia per qualcosa che abbiamo amato
e abbiamo perduto, fino a riconoscere qualche barlume di futuro,
comunque oggi già presente, anche se non ce ne accorgiamo.
Insieme al direttore Fabio Cavallucci, alla presidente Irene Sanesi e
al suo team interno, ha collaborato un nutrito gruppo di advisor internazionali
composto da Elena Agudio, Antonia Alampi, Luca Barni,
Myriam Ben Salah, Marco Brizzi, Lorenzo Bruni, Jota Castro, Wlodek
Goldkorn, Katia Krupennikova, Morad Montazami, Bonaventure Soh
Bejeng Ndikung, Giulia Poli, Luisa Santacesaria, Monika Szewczyk
e Pier Luigi Tazzi.
Fondato nel 1988, come prima istituzione in Italia con una sede costruita
ex novo per esporre, collezionare, conservare, documentare
e diffondere le ricerche artistiche più avanzate, il Pecci si appresta
a diventare un punto di riferimento internazionale per la sperimentazione
dei molteplici linguaggi artistici contemporanei toccando
anche cinema, musica, performing arts, architettura, design, moda
e letteratura.
Gli spazi sono più che raddoppiati e sono a disposizione un archivio
e la biblioteca specializzata che possiede un patrimonio di oltre
50.000 volumi. Vi sono poi un teatro all’aperto, un cinema-auditorium,
uno spazio informativo all’interno delle gallerie, un bookshop,
un restaurant e un bar-bistrot. L’apertura prolungata permette poi
cene con performance, concerti e proiezioni, conferenze, laboratori e
corsi per adulti. La Regione Toscana ha attribuito al Pecci il compito
di coordinamento regionale dell’arte contemporanea con una serie
di eventi e mostre collaterali distribuite a Prato e sul territorio, coinvolgendo
anche Firenze, Pisa e Vinci. Il Pecci vuole così rinascere
con la stessa ambizione delle sue origini e consacrarsi come punto
di riferimento internazionale per l’arte contemporanea. Il Centro è
gestito dalla Fondazione per le Arti Contemporanee in Toscana, istituita
dal Comune di Prato e sostenuta dalla Regione Toscana.
Museo Luigi Pecci 19

centro commerciale naturale
Boboli Sogna
Infanzia al centro. Con questo
slogan, via Romana ancora in festa
Èstata un'altra grande
giornata per via Romana
e per tutto l'Oltrarno,
quella organizzata dal
Centro Commerciale Naturale Boboli,
lo scorso 2 ottobre. L'associazione di commercianti che da anni
persegue la riqualificazione culturale e sociale del quartiere, ha immaginato
e realizzato una giornata interamente dedicata all'infanzia.
BOBOLI SOGNA, questo è il nome dell'evento che per 15 ore consecudi
Maria Grazia Dainelli
Foto di Carlo Midollini
DOMENICA 2 OTTOBRE IN VIA ROMANA
con gli occhi
boboli
dei bambini
sogna
con il patrocinio di
col cuore
dei grandi
Giochi di legno in piazza della Calza
La locandina della manifestazione
tive ha proposto tanta animazione, ha espresso un concetto
e un progetto articolato in due fasi.
Durante la prima, diurna, denominata "Con gli Occhi dei
Bambini", dalle 10 del mattino alle 19 di sera, una moltitudine
inquantificabile di bambini si è riversata in strada per sperimentare
tanti giochi diversi, pensati per stimolare la socializzazione
e l'apprendimento; ai loro genitori è stata offerta
un'occasione comoda, gratuita e pertanto irrinunciabile per
rivolgere ai propri figli, qualche ora di attenzione esclusiva e
accompagnarli in questo percorso ludico e didattico. Molte
delle botteghe di via Romana hanno allestito al loro interno
dei laboratori per guidare i più piccoli alla scoperta delle più
varie pratiche artigianali di cui l'Oltrarno è il riconosciuto custode;
dalla lavorazione della creta al disegno di modellini di
moda, dalla creazione di abiti e costumi in stile rinascimentale
alla decorazione della stoffa, fino alla realizzazione di
Piazza della Calza vista con gli occhi dei bambini
20 Boboli Sogna

Un fiume di partecipazione in via Romana
Seduta di TruccaBimbo
oggetti utili e belli attraverso il riciclo di materiali di scarto. Ancora
tante attrazioni, dal laboratorio di circo alle postazioni di trucco,
dalle bolle di sapone ai grandi giochi di legno, disseminate lungo
una via Romana che ha eccezionalmente anche visto sfilare il Corteo
Storico della Repubblica Fiorentina.
Nella seconda fase, serale, denominata "Col Cuore dei Grandi",
è stata allestita in strada, lungo una scenografica tavolata di 130
metri, una cena a cui hanno partecipato 400 invitati, prevalentemente
residenti. Lo scopo dell'iniziativa era raccogliere fondi e de-
Il Corteo Storico della Repubblica Fiorentina sfila in via Romana
Giochi in strada
volvere l'intero incasso all'acquisto di giochi e materiale didattico
per le scuole elementari del Comprensivo Oltrarno, oltre a favorire
un'inconsueta occasione di incontro sociale e la scoperta delle prelibatezze
gastronomiche che gli esercizi del comparto alimentare
di via Romana possono offrire. I negozianti stessi, per una sera, si
sono improvvisati entusiasti camerieri. Nei prestigiosi locali messi
a disposizione dal Convitto della Calza, l'Associazione Cuochi Fiorentini
ha sapientemente ultimato i piatti interamente offerti dal
Caffè Petrarca, dai ristoranti Trattoria Boboli, Il Santo Graal e La
Mangiatoia, dal forno La Favola, dalla gastronomia francese Jullian,
da Macellerie Vignoli e da La Buca del vino. Hanno partecipato
alla realizzazione anche le ditte Silverback Studio, Allegri & Allegri,
Prinz, San Benedetto, tipografia La Commerciale.
L'indimenticabile tavolata che ha concluso la manifestazione
Il prossimo evento che organizzerà il CCN Boboli, sarà BOBOLI
CHRISTMAS, l'11 dicembre prossimo. Per essere sempre aggiornati
sulle manifestazioni c'è il sito dell'associazione, www.
boboliccn.it o la pagina fb BOBOLI Centro Commerciale Naturale.
Boboli Sogna
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GIANFRANCO ZAZZERONI
La mostra personale dell'artista abruzzese
al Palazzo dei Priori di Volterra dal 3 dicembre
di Daniela Pronestì
La levità del sogno e la concretezza del reale. L’abisso delle
passioni e la via luminosa dello spirito. Il magma dell’informe
e l’ordine razionale del mondo. L’eterno ripetersi dei
cicli naturali e la fugacità dell’esistenza umana. L’opera di
Gianfranco Zazzeroni si nutre del dialogo tra gli opposti, del loro sovrapporsi
e significarsi a vicenda. Come in un ossimoro, dove il conflitto tra le
parole genera un nuovo significato, così nella sua pittura il contrasto tra
realtà distanti genera un nuovo linguaggio. Una dialettica che riguarda
tanto i concetti quanto la tecnica, che vede l’artista intento a coniugare
forza incisiva del segno ed astrazione lirica del colore. La prima è retaggio
dell’esperienza maturata nella pratica incisoria, dove il segno è
scrittura, pensiero della mano, forma grafica che non ammette errori.
La seconda, invece, è conseguenza di un intimo rapporto con la pittura,
intimo perché vocato ad una totale introiezione dei valori del dipinto. E
quindi, anzitutto, del colore, che in Zazzeroni è cifra dell’invisibile, parola
del sentimento. Quando segno inciso e colore convivono nello spazio
dell’opera, come nel caso delle
puntesecche, si ha l’impressione
che l’antagonismo tra la scabra
durezza della trama segnica e la
consistenza rarefatta delle stesure
sia soltanto apparente. Anziché
confliggere, colore e segno si
compensano reciprocamente: se
il primo diluisce la forma con l’intento
di disperderla, il secondo,
invece, interviene per riportarla
alla perduta concretezza. Le suggestioni
che nascono dal colore,
quando questo si spinge oltre il
visibile, rispondono solo in parte
alle intenzioni dell’artista; vivono
di vita propria, senza avere più alcun
legame con la materia fisica.
Al contrario, il segno è la prova
Una luce nel caos, puntasecca stampa à la
poupée
Verso il cielo, tecnica mista su tela
inconfutabile e concreta di una
volontà che si fissa sul supporto,
dopo aver attraversato diversi stadi
interiori. Complementari l’uno dell’altro, segno e colore s’incontrano
nell’opera di Zazzeroni per evocare una costante dicotomia tra ordine
e caos, ragione e sogno. Di questo confronto con l’azione segnica, il
colore dipinto conserva il ricordo, facendo sì che ogni pennellata, così
come ogni passaggio di spatola, indichino al contempo una traccia e una
direzione. E siamo nuovamente al cospetto di un rapporto di forza tra due
dimensioni che si accordano sul piano dell’espressione. Questa volta
però si tratta di una polarità interna al colore, al suo essere impronta di
verità irrinunciabili e allo stesso tempo proiezione che guida queste verità
verso il cambiamento, la trasformazione. Poco importa che sia
macchia, frammento, sciabolata o evento magmatico: il colore,
nella pittura di Zazzeroni, è sempre il tramite di un passaggio,
una via da percorrere con gli occhi e con la mente. Lungo questo
percorso, ciò che si ripete non è mai uguale a se stesso: i colori
irrompono, deflagrano, si addensano, si diradano, debordano
come in preda ad un sisma che scuote i margini della tela. In
altre parole: vivono. E insieme a loro, è la vita stessa che si
riversa nello spazio dipinto, con i suoi accadimenti temporali,
le sue morti e le sue rinascite, la sua tensione verso un altrove
nascosto nel sogno o dietro le nuvole. È il senso di un dinamismo
sotteso all’esistere, di un viaggio interiore che procede dalla
terra al cielo. Vale a dire: dalla materia creata alla scintilla della
creazione, dalla limitatezza della natura umana al desiderio
d’infinito. È il cammino verso l’ineluttabile, che guida il destino
o governa il sentimento; una fuga dall’orrore, dal nonsenso degli
eventi, dalla disperazione. È soprattutto la rivelazione di una
pittura che, quasi fosse una porta magica, trasfigura la realtà in
sogno, affidando a questo incantesimo il compito di immaginare
nuovi scenari di senso, attraverso ed anche oltre il colore.
Dal 3 dicembre all’8 gennaio Gianfranco Zazzeroni esporrà al Palazzo
dei Priori di Volterra con la personale Dalla terra al cielo. Percorsi visivi
tra segno e colore. L’evento è patrocinato da Comune di Volterra, Provincia
di Pisa, Regione Toscana, Toscana Cultura e Associazione l’Incontro
degli Artisti. Orari di apertura: tutti i giorni 10:00 - 16:30, chiuso
25 dicembre e 1° gennaio. Inaugurazione: sabato 3 dicembre ore 11:00.
Gianfranco Zazzeroni
23

Giuseppina Maestrelli
Foto d'arte e paesaggio toscano
sono i cavalli di battaglia di Peppetta
di Lucia Raveggi
Foto di Giuseppina Maestrelli "Peppetta"
Voler cogliere l'attimo fuggente della vita come l'effimero arcobaleno. Un
arte per i più attenti, un dono per vedere non solo guardare. Giuseppina
Maestrelli, Peppetta, nasce ad Empoli il 17 dicembre 1945, dedica pensieri
nei libri che ha scritto, "Dimmi ciao" e "Terra mare e cielo", e scatti,
di questa arte moderna per creare ricordi. Mostre nel 2016 a Cerreto Guidi (FI), alla
Galleria Il Cesello di Pietrasanta, alla Stazione Leopolda di Pisa. È presente nel volume
"Fotografi in Toscana 2016" Masso delle Fate Edizioni.
Cell. 335 8255065 - superpeppetta@gmail.com
L'oro dell'arcobaleno
Linee naturali
Tagli di luce
Il velo romantico
24 Giuseppina Maestrelli "Peppetta"

Graziella Devias:
creatività a 360 gradi
Nata e cresciuta ad Orgosolo,
fucina di tanti artisti,
lascia l’amata Sardegna
a 18 anni per trasferirsi in
Toscana dove sbocciano i
suoi numerosi talenti
Testo e foto di Elisabetta Mereu
“ La mia bottega laboratorio si chiama “A Regola d’Arte” perché sono una perfezionista,
ma allo stesso tempo mi piace mettermi alla prova sempre con nuove
sfide perché la mente ha bisogno di continui stimoli!” Quella di Graziella Devias è
infatti un’espressione artistica a 360 gradi declinata secondo le sfumature della
sua personalità poliedrica, ben rappresentata nei colori vivaci del dipinto di donna barbaricina,
opera donata al Commissariato di Polizia del paese natale, Orgosolo. “La pittura che ho attinto
in famiglia è sempre stato il mio modo preferito di comunicare. Avevo solo 15 anni quando ho
esposto la prima tela in una collettiva. Era un carboncino che ritraeva mia madre mentre face-
Ritratto di donna in costume di Orgosolo
Piccole borse fatte con avanzi di cuoio
Alcuni degli oggetti creati o restaurati dalla Devias
L'artista al lavoro nella sua bottega laboratorio
va il pane - mi dice la pittrice,
che definisce la sua tecnica
“Pop iperrealista”, mentre
continua con le sue pennellate
per ultimare un multicolore
paesaggio destinato ad una
villa toscana. L’artista è però
un concentrato di creatività
e capacità tecnica affinata in
molti ambiti formativi, partendo
dalla scuola di oreficeria di
Il logo e il nome del negozio
Nuoro, fino a quella di pittura
all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, al restauro di statue lignee
e dipinti, per arrivare all’esperienza acquisita nella storica Passamaneria
Toscana, purtroppo chiusa qualche anno fa. Insomma sarebbe
più breve scrivere quello che la Devias non sa fare! Nel suo singolare
negozio, nel centro di Borgo San Lorenzo, in Mugello, progetta e realizza
oggetti ed articoli unici, come cuscini con stoffe bellissime ed
originali, bigiotteria molto particolare, borse di varie misure e pellami
oppure fatte con i sacchi del caffè
dipinti a mano o con materiali
di riciclo rivisitati, ma sempre
rigorosamente Made in Italy.
Per proporre idee nuove e uscire
dall’articolo comune e monotono
ridà nuova vita a complementi di
arredo apparentemente non più
utilizzabili come mobili, tavoli,
sedie e poltrone, con moderne
tappezzerie e rivisitazioni, creando
un connubio perfetto fra
antico e moderno, forma e funzionalità.
Tutti i suoi lavori sono
Graziella Devias fra alcune delle sue opere
molto apprezzati anche all’estero, specie Croazia e America, dove riesce ad avere
visibilità e consensi anche da parte di altri artisti, grazie alla pagina web “Arte e
creazioni”. “Ciò che faccio a me piace moltissimo ovviamente! Ma avere il riscontro
positivo delle persone, qui o a migliaia di chilometri, mi dà la carica per andare
avanti con sempre maggiore energia!”
Graziella Devias
25

Lapo Baldacci
Il geniale designer fiorentino
che ha tradotto i sogni in realtà
di Daniela Pronestì
Firenze, primi anni Sessanta. Un giovane di appena vent’anni raccoglie
e vince una sfida fatta con gli amici: costruire un micromotore
a quattro tempi di soli 2 cm 3 e funzionante. Un’impresa mai
tentata fino a quel momento. All’ingegnoso fiorentino bastano
duecentocinquanta ore per realizzarla; esegue a mano gran parte dei componenti,
dando prova di una precisione a dir poco sorprendente. Non a caso, le
riviste specializzate parlano di “piccolo capolavoro di meccanica”, e in breve
tempo la notizia fa il giro del mondo. Già allora c’erano tutte le premesse
affinché Lapo Baldacci - questo il suo nome - facesse ancora parlare di sé, e
a lungo. Quarant’anni di storia professionale bastano a confermarlo. Anzi, a
voler essere più precisi, le prime avvisaglie del suo precoce talento risalgono
all’infanzia, quando per “gioco” si divertiva a smontare e rimontare gli
orologi. È il chiaro indizio di una mente curiosa, che non si ferma alle certezze
già date, ma intende verificarle, capirne i meccanismi. Ed è supportata, in
questa voglia di sondare la ragione delle cose, da un pensiero lesto nell’intuire,
comprendere ed apprendere. Caratteristiche che hanno permesso a
Baldacci di fare tesoro delle esperienze maturate fin da giovanissimo nell’elettromeccanica,
sua prima vera passione coltivata inizialmente nelle officine
di famiglia - il padre era concessionario dell’Alfa Romeo - e subito dopo
nelle officine Lancia. All’epoca era poco più che un ragazzino; le sue “incursioni”
in officina erano mal tollerate dagli operai, che puntualmente però
dovevano ricredersi di fronte all’abilità del giovanissimo apprendista.
Comprare motorini rotti, ripararli e rivenderli: in quegli anni, era questa la
sua attività. Oltre a frequentare la scuola, ovviamente, che, pur avendo un
indirizzo tecnico, non appagava il suo bisogno di “fare”, di concretizzare il
flusso constante delle idee. Neanche diciotto mesi di leva militare furono
Lapo Baldacci con una delle versioni ideate per la Mokona Bialietti
sufficienti a quietare questo bisogno: al contrario, fu proprio
in quel periodo che approfondì le sue competenze, operando
come carrista e marconista. Un’esperienza che si rivelò utile
quando, trasferitosi a Roma, iniziò a lavorare come tecnico al
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e alla Martin Krist,
azienda specializzata in apparecchiature medicali, per poi
rientrare a Firenze, dove fu assunto in Rai come tecnico dei
ripetitori. E anche in questi contesti le sue brillanti intuizioni
dimostrarono a tutti che si trattava di un fuoriclasse. Ma siamo
solo all’inizio di un percorso professionale che lo ha sempre
portato a scontrarsi con lo scetticismo di quanti non cre-
Cuore Bialetti
La Tazzissima Bialetti
26
Lapo Baldacci

Accendigas Killer
devano nella fattibilità dei suoi progetti. E così come a vent’anni vinse la sfida lanciatagli
dagli amici costruendo un motore in miniatura, con lo stesso spirito ha affrontato
e vinto le sfide incontrate in tanti anni di lavoro. A cominciare da quella che ha
segnato l’inizio della sua trentennale collaborazione con un’azienda fiorentina, di cui
è stato prima disegnatore meccanico, poi direttore tecnico e in ultimo vice presidente.
Era il 1970 e il proprietario dell’azienda gli chiese di risolvere un problema su
cui da tempo ricercatori e tecnici
si arrovellavano: inventare uno
strumento per l’accensione delle
cucine a gas. Giunse ad una soluzione
in soli quindici giorni,
ideando uno degli oggetti simbolo
del design industriale: l’accendigas
piezoelettrico, soprannominato
Killer per via della
sua infallibilità. Il successo fu
immediato e planetario; si arrivò
a produrne diciottomila pezzi al
giorno, con il risultato di proiettare
l’azienda sul mercato internazionale.
Fu il primo di una lunga
lista di elettrodomestici e
casalinghi progettati da
Baldacci e divenuti oggetti immancabili
nelle case degli italiani, e non solo. Basti pensare al Gratì,
grazie al quale finalmente era possibile grattugiare il formaggio senza
grattarsi le dita, ai ferri da stiro resi più maneggevoli dalla scocca in plastica
e più efficienti da sistemi stiranti che miglioravano resa e manutenzione
della piastra. E ancora: vari tipi di gelatiere, aspirapolveri, spazzoloni
a vapore, forbici milleusi e robot multifunzione. La sua capacità ideativa
era tale da indurre l’azienda ad ampliare di continuo gli spazi destinati
alla produzione, dislocandoli tra Prato, Calenzano, Galliano del
Mugello e Borgo San Lorenzo. Volendo quantificare il lavoro di quegli
anni, potremmo dire che furono oltre 120 i brevetti depositati dal designer
fiorentino. Un numero che non sorprende vista la sua innata attitudine
a lavorare d’ingegno, che non vuol dire “pensare in astratto”, ma trovare
vie, modi e mezzi per risolvere problemi. E non esiste problema nel
settore industriale che possa risolversi senza considerare i costi di produzione:
concetto ben chiaro a Baldacci, che all’utilità dell’oggetto ha sempre
unito un’attenta valutazione dell’impegno necessario a realizzarlo. Il
suo intento è trovare una soluzione che sia efficace e allo stesso tempo
semplice, seppure non convenzionale. E ancora non basta, perché non c’è
soluzione che possa dirsi riuscita se non introduce un elemento di novità,
sempre rimanendo nei termini di un costo accessibile. Tutta la sua storia
coincide, infatti, con la ricerca del nuovo, senza mai perdersi in teorie
astruse, ma ponendosi come obiettivo la funzionalità. Nelle invenzioni
Il Gratì
messe a punto dagli anni Duemila ad oggi, s’intuisce
un maggiore interesse per l’estetica della
forma, da cui dipende anche la capacità evocativa
dell’oggetto. È il caso della Mokona ideata
nel 2005 per Bialetti, che rilegge in maniera
fantasiosa un mito della cultura italiana, accrescendone
le dimensioni e trasformandola in un
elettrodomestico comodo da usare e bello da
esporre. Lo stesso vale per altre due “icone”
Bialetti: Tazzona e Tazzissima, anche queste
incentrate sull’uso giocoso degli accrescitivi e
delle combinazioni cromatiche. Senza dimenticare
Cuore, ideale per bere un caffè in dolce
Macchina da caffè ispirata al cruscotto della Ferrari
compagnia, e Smart, l’ultima nata in casa
Bialetti, che già dal nome promette di essere veloce ed efficiente.
Difficile contare il numero delle invenzioni nate da questa
mente vulcanica: il fatto certo è che non c’è casa italiana dove
non ci sia o non ci sia stato un elettrodomestico di sua ideazione.
Negli anni, il catalogo delle sue creazioni si è arricchito di prototipi
dalla forma avveniristica, macchine da caffè ispirate allo
stile delle grandi case automobilistiche, caffettiere monouso ricavate
in una lattina di alluminio simile a quella di una bibita.
Oggi, pur essendo in pensione, Baldacci non ha smesso di dare
sfogo alla sua inesauribile vena creativa. Tutt’altro: ha deciso di
impiegarla per aiutare il figlio Francesco, fondatore nel 2000 del
B&B Studio, un laboratorio di idee attivo prevalentemente nella
progettazione di piccoli elettrodomestici. Se il design italiano
rappresenta l’eccellenza italiana nel mondo, l’iter professionale
di Baldacci s’inserisce a pieno titolo in questa categoria. Non a
caso, il Politecnico di Milano lo ha voluto in cattedra per trasmettere
ai designer del futuro la sua esperienza. Nel 1991, la
Columbia University di New York gli conferisce la laurea ad honorem
su segnalazione della Regione Toscana. Baldacci ringrazia,
ma preferisce non ritirarla. Non ha percorso tanta strada per
ambire ad un titolo, ma per correre il rischio dei propri sogni, e
tradurli in realtà.
Lapo Baldacci
27

Sfaccettature
Fiorentine
Il profilo di
Michelangelo
di Giorgia Armellini
Molti sono i turisti stranieri ed italiani che sostano davanti all'ingresso
di Palazzo Vecchio e che si incantano a vedere il grande
“David” di Michelangelo (Caprese 1475 - Roma 1504) e l'“Ercole
e Caco” di Baccio Bandinelli (1488-1560). Non sanno, però, che pochi metri
più in là quasi d'angolo con Via della Ninna e il Piazzale degli Uffizi c'è uno
strano profilo che ci osserva.
La voce popolare vuole che a scolpire quel ritratto sia stato proprio il Buonarroti;
una scommessa del grande artista che pare abbia realizzato quel
profilo scalpellinando con le spalle alla parete, senza poter vedere l'opera
in corso. Non si conosce neppure il nome del personaggio raffigurato, forse
un passante, forse un condannato a morte o forse il boia stesso.
Ma tra le varie versioni popolari del ritratto, la più esilarante è forse quella
secondo la quale quel “ritratto” raffigurerebbe un debitore dello stesso
Michelangelo.
Sembra dunque che l'artista si trovasse a passare da Piazza della Signoria
quando notò quell'uomo sotto la Loggia dei Lanzi; il malcapitato, che di debiti
ne doveva aver parecchi, era stato condannato alla gogna e si trovava
proprio sotto la Loggia dove era usanza dell'epoca far scontare quella pena,
sopportando le ingiurie e le angherie del popolo.
Michelangelo si avvicinò ad uno dei soldati di guardia e gli chiese per
quanto tempo ancora quel pover'uomo doveva restare attaccato ai “legni”.
Alla risposta il Buonarroti scosse la testa e disse: “Troppo
poco! Abbisogna che li fiorentini si ricordino più a lungo di
costui!”. Detto fatto, Michelangelo si mise subito all'opera
realizzando il profilo di quel disgraziato in modo che il popolo
si ricordasse di lui il più a lungo possibile.
Scopo pienamente raggiunto in quanto quel ritratto è ancora
oggi perfettamente visibile!!!
Una porta segreta in una strada curiosa
La stradella che separa Palazzo Vecchio dagli Uffizi ha un
nome curioso. Si chiama Via della Ninna a ricordo di un affresco
attribuito a Cimabue, dove una Madonna dolcissima
teneva tra le braccia il piccolo Gesù quasi a volerlo cullare. Dal popolo
fu chiamata “Madonna della Ninna” e da questa fu poi dato il
nome alla via. Questo affresco decorava l'interno della chiesa di San
Piero a Scheraggio, una costruzione romanica a tre navate riccamente
affrescata, oggi in parte inglobata nel Palazzo delle Magistrature
meglio conosciuto come Museo degli Uffizi.
Lungo via della Ninna sul lato che costeggia Palazzo Vecchio si affaccia
una porticina di legno, molto particolare per le sue ridotte
dimensioni ma con una storia molto importante!
Si ritiene che questa “porta segreta” sia stata fatta costruire da
Gualtieri VI di Brienne, quando fu chiamato dai fiorentini a dirimere
le controversie tra guelfi bianchi e guelfi neri. I governatori di Firenze
nel 1342 decisero di affidare temporaneamente la loro città ad uno
straniero, perchè non essendo legato ad alcuna fazione, potesse amministrare
al meglio la vita pubblica della città. Il Villani racconta: “In
dieci mesi e diciotto di ch'egli restò signore, gli vennero alle mani,
di gabelle e d'estimo e di prestanze e di condamnazioni, presso chè
quattrocentomila fiorini d'oro solo di Firenze”. Insomma in poco più
di dieci mesi fece più “danni della grandine”. Il popolo sconvolto da
tali ruberie e soprusi congiurò per liberarsi di lui. Il 26 luglio 1343, nel
Via della Ninna
La porta del Duca di Atene
giorno di Sant'Anna, il Duca di Atene fu cacciato da Firenze. Egli fuggì
rocambolescamente di notte attraverso la “porta segreta” che lui aveva
fatto costruire per poter passare inosservato quando di buio usciva
a “godere e gozzovigliare” e si rifugiò in Francia . Ovviamente il Duca
d'Atene non rimise più piede a Firenze ma quella porta rappresenta
un documento importante a ricordo degli avvenimenti di quell'epoca.
28 Sfaccettature Fiorentine

GADARTE
SI CELEBRANO I 60 ANNI DELL'ASSOCIAZIONE FIORENTINA
IN OCCASIONE DEL 54° PREMIO CARDO D’ARGENTO
di Margherita Oggiana
Foto di Mara Faggioli
e Carla Fossi
Dal 16 al 23 ottobre si è svolta, nella Sala delle Vetrate
dell'ex carcere delle Murate in piazza Madonna della Neve
a Firenze, la 54ª Rassegna-Concorso d’Arte contemporanea
Cardo d’Argento, riservata ai soci della storica associazione
culturale fiorentina Gadarte che quest’anno festeggia i 60 anni della sua
fondazione. La sala è stata gentilmente concessa dal Quartiere 1 del
Comune di Firenze che ha patrocinato la manifestazione.
La copertina del catalogo pubblicata in
occasione della manifestazione
A destra, il Cardo d'Argento 2016 realizzato
dall'artista Mara Faggioli
La consigliera regionale Titta Meucci con il vincitore del Cardo d'Argento Umberto Muti
Il primo premio, consegnato dalla consigliera della Regione
Toscana Elisabetta Meucci, è andato ad Umberto Muti, con
la scultura “Figlia di Niobe”. Sono stati assegnati tre secondi
premi ex-equo a Mattia Paoli, Carlotta Superti, Paolo Vannini.
Al pittore Luciano Lotti è stato assegnato il premio alla carriera
consegnato dal presidente di Gadarte Stefano Marmugi.
A tutti i partecipanti è stata consegnata una targa-ricordo per
i 60 anni della associazione.
Cinquantacinque gli artisti partecipanti:
Ritsuko Asakura, Manuela Baracchi, Guy Barneoud,
Francesco Beccastrini, Andrea Becheroni, Matteo
Bellesi, Daniela Bencivenni, Leandro Benincasi,
Umberto Betti, Graziella Bindocci, Anna Bubba,
Roberta Caprai, Enrico Carlisi, Sergio Castiglione,
Salvatore Castronovo, Silvana Cipriani, Lorella Consorti,
Andrea Del Centina, Giulio Carlo della Santa,
Denis, Mara Faggioli, Roberto Falsini, Carla Fossi,
Marcello Franceschini, Enrico Guerrini, David Harold
Hall, Akane Kato, Sergio Lori, Luciano Lotti, Angela
Lucarini, Marco Maccioni, Domenico Magnoli,
Miranda Mei, Simone Moriondo, Vitale Mundula,
Lorena Nannini, Margherita Oggiana, Gabriele
Pampaloni, Valeria Panichi, Mattia Paoli, Giulia Pieraccioni,
Cinzia Pistolesi, Pier Nicola Ricciardelli,
Renzo Sbolci, Renzo Sbraci, Rolando Scatarzi, Irma
Schiavulli, Maria Paola Spadolini, Carlotta Superti,
Angela Tarantino, Anna Maria Ughes, Paolo Vannini,
Alberto Volpi, Stefano Zellini.
La scultura Figlia di Niobe con la quale Umberto
Muti si è aggiudicato il primo premio
Un momento della cerimonia di premiazione
Gadarte
Via Sant’Egidio, 27/r - Firenze
Tel. 055 2480333 - www.gadarte.it
galleriagadarte@gmail.com
Gadarte 29

DON NANNI GUISO
ESCE DI SCENA
Un nobile sardo diventato notaio
e collezionista di teatrini a Siena
di Barbara Santoro
Dieci anni fa, l’8 novembre 2006,
scompariva dalla “scena” Nanni
Guiso uno degli uomini più amanti
della “scena” che aveva fatto del
teatro lo scopo della sua vita.
Ho conosciuto Nanni Guiso nel lontano 1992.
Non ricordo quale è stata la molla della nostra
simpatia; certo è che siamo diventati amici e
tantissime volte ho accompagnato gruppi di
varie città e nazioni a visitare la bella villa L’Apparitanella
campagna senese con la grandiosa
collezione di teatrini e marionette.
Ma chi era Don Nanni Guiso?
Difficile descrivere un personaggio così poliedrico
in poche parole: uomo raffinato e colto
ma anche tenero e alla mano; poteva avere
vent’anni o cento ma il suo animo era quello
di un bambino che si stupisce e si entusiasma Don Nanni Guiso
per tutto.
Nativo di Orosei era divenuto notissimo notaio a Siena, poiché i
genitori, nobili sardi, avevano deciso che facesse in quella città la
libera professione.
Così il giovane Nanni si era trovato in affitto una bellissima casa sulla
Piazza del Campo, dove si corre il famoso Palio, ed era diventato
un contradaiolo agguerrito.
Aveva eletto a sua dimora Palazzo d’Elci per quel senso di teatralità
della sua facciata senza spessore, che lo faceva assomigliare ad un
fondale di scena.
Ma, non contento, aveva cercato una nuova abitazione nella campagna
senese e, quasi per magia nella nebbia mattutina, aveva intravisto
un gran casolare che dopo qualche tempo riuscì a farne la sua
dimora di campagna.
Così era nata L’Apparita, dimora invidiabile ma in pessime condizioni,
con le mura screpolate e i grandi spazi verdi abbandonati al
degrado.
L’occhio raffinato del nobile sardo comprese subito che sotto quelle
povere sembianze c’era la struttura della grande “signora”. Non perse
tempo e dopo accurate ricerche scoprì che il progettista di quel
porticato era Baldassarre Peruzzi, grande architetto e scenografo
del XVI secolo. Chiamò allora Pietro Porcinai, architetto paesaggista
molto noto e insieme a lui ridisegnò il giardino in funzione del suo
sogno segreto: il teatro.
Camion di terra furono portati per
creare un terrapieno ondulato sul
quale far crescere i prati profumati
di lavanda, ricchi di ginestre con i
melograni ed i corbezzoli.
Ventisei panchine in ferro, un grande
prato circolare incorniciato da
cinque piccoli pilastri su cui poggiano
grandi vasi classicheggianti in
terracotta, una fitta siepe rotonda
a chiudere la scena e sullo sfondo
l’apparizione della città di Siena (da
qui il nome della villa: L’Apparita).
Questo all’esterno. Ma il teatro
continuava all’interno nella grande
casa; in molte stanze del primo
piano erano stipati con grazia teatrini
di tutti i tipi, di ogni parte del
mondo, di ogni dimensione: alcuni
piccoli siparietti appoggiati alle pareti,
altri grandissimi con suppellettili
d’epoca e mobili di antiquariato in versione mignon, con serviti
da toilette in oro e argento con poltrone e sedie rivestite di velluti e
broccati con porcellane di Capodimonte e di Sevres.
Bambino cresciuto ad Orosei, lontano dai figli dei contadini perché
“signorino”, per proteggerlo dal banditismo la madre lo aveva relegato
in casa, tra tappeti e ninnoli preziosi, tra mobili antichi e i quadri
degli avi appesi alle pareti. Ma Giovannino sognava di evadere da
quella atmosfera ovattata, da quelle mura dorate che non avevano
nessuna attrattiva per lui.
Un giorno, alcuni signori venuti a cacciare nelle tenute dei Guiso,
regalarono al bimbo un teatro bellissimo di stile neoclassico bianco
e oro. Nanni ne fu felice, ma il luccicante oggetto di desiderio
venne subito relegato in un ripostiglio semibuio forse perché troppo
sfarzoso in una casa mediterranea o forse perché fuorviante per la
formazione del fanciullo.
In Sardegna, infatti, non era mai esistita una tradizione di marionette
e tanto meno di burattini ma solo di storie di banditi e furfanti.
Crescendo il fanciullo capì che quell’oggetto lo avrebbe fatto sognare
e cominciare a vivere una fantastica vita alternativa in cui gi eroi
del melodramma e le eroine della lirica diventano i suoi più fedeli
compagni di gioco.
I genitori, dopo aver tentato inutilmente di allontanarlo dal giocat-
30 Nanni Guiso

tolo decisero di portarlo a vedere le famose marionette di Anton
Aicher a Salisburgo. Ma questo tipo di teatro così perfetto dove venivano
mossi con grande abilità sette fili, deluse il piccolo. Fu invece
il teatro di Toone a Bruxelles che incantò il bimbo; quell’atmosfera
paesana alla Brughel, con le case scortecciate, i tavoli tarlati, le
sedie sgangherate, le bettole e i deformi agirono su Nanni come
un balsamo e dentro di lui nacque un sentimento che mai l’avrebbe
abbandonato: l’amore per il teatro.
Come lui raccontava, non aveva mai gradito il teatro dei burattini
con le maschere classiche, dove i soliti Pulcinella si battono a suon
di legnate con Arlecchino. Ma le marionette, quelle sì lo avevano
sempre affascinato e fu così che vincendo complessi interiori decise
di dedicare la sua vita al collezionismo di teatrini.
Oggi ci sentiamo tutti un po’ più orfani, quando varchiamo la soglia
dell’Apparita, anche se sono tante le tracce lasciate dall’antico
proprietario. I teatrini attualmente collocati nella villa sono
solo una piccola parte della collezione originaria.
I pezzi più importanti sono stati donati da Nanni al Comune Orosei
e sono ora esposti nel Museo Comunale Don Giovanni Guiso
inaugurato il 1° gennaio 2000. Il Museo è stato allestito, su
progetto dell’architetto Vittorio Gregotti, in un antico palazzotto
di famiglia donato anch’esso al Comune. Nel Museo oltre a teatrini
è esposta una raccolta di disegni della Scuola Romana, una
collezione di abiti (che vanno dal 1880 alla fine del XX secolo) di
grandi sarti (Sorelle Callot di Parigi, Coco Chanel, Valentino, Capucci,
ecc) ed una collezione di libri di autori o di argomenti sardi.
Il nipote Paolo, attuale proprietario della residenza, riferisce che
lo zio ha poi voluto che una sala fosse dedicata a Siena, in segno
di riconoscenza per la città dove ha trascorso buona parte
della sua vita. In questa sala si trovano tra l’altro un dipinto di
Raffaello Vanni (1595-1673) rappresentante il sacrificio di Elia
ed un cassone nuziale opera di Baldassarre Peruzzi, l’architetto
cinquecentesco al quale è attribuita l’Apparita.
È stato recentemente pubblicato un libro dal titolo: “Iscrizioni su
marmo - Omaggio di amicizia per Don Nanni Guiso” edito dalla
casa editrice Solinas di Nuoro che il già professore dell’Accademia
Chigiana Guido Burchi ha voluto scrivere per l’amico senese
che per tanti anni ha condiviso con lui l’amore per la musica ed
il teatro.
Curato dal Centro Studi G. Guiso di Orosei, Associazione Culturale
alla quale Nanni era molto legato, la realizzazione del libro è
stata frutto dell’iniziativa e dell’essenziale contributo di Loriano
Bertini grande collezionista e amico di Nanni Guiso.
L'ingresso dell'anfiteatro dell'Apparita progettato da Pietro Porcinai per Nanni Guiso
L'Apparita, progettata dall'architetto cinquecentesco Baldassarre Peruzzi
Ho visto molte persone commuoversi e cantare “quel fil di fumo” seguendo
la registrazione della voce di Renata Scotto che interpretava la
Madama Butterfly mentre Nanni faceva volare nell’aria del suo teatro
due colombe bianche.
Ho sentito tante volte dirmi grazie per aver regalato loro un pomeriggio
o una mattina di sogno.
Due piccoli bersaglieri, una delle opere della collezione di Nanni Guiso
Nanni Guiso
31

Ricordando Kevo
Artisti, critici d'arte, amici e istituzioni per
non dimenticare lo scultore Claudio Cavallini
di Maria Grazia Dainelli
Foto di Carlo Midollini
Daniela Pronestì
Sabato 24 settembre presso la ditta Gamont di Calenzano (Via degli
Olmi 49) è stata inaugurata la mostra permanente delle opere
di Kevo Cavallini, il grande scultore fiorentino scomparso lo scorso
anno. Un’esposizione che riunisce, oltre alle opere, anche gli
strumenti di lavoro, la documentazione cartacea relativa alle esposizioni e
le riproduzioni fotografiche dei murales realizzati dagli amici artisti nel suo
studio. Un omaggio voluto dalla moglie Patrizia, che per Kevo è stata non
solo una compagna di vita, ma anche una delle più ferme sostenitrici della
sua attività artistica. Insieme a lei, molti amici storici di Kevo hanno dato
il loro prezioso contributo affinché questa iniziativa potesse realizzarsi.
L’inaugurazione si è svolta alla presenza del sindaco di Campi Bisenzio,
Emiliano Fossi, e di Calenzano, Alessio Biagioli, e dei tantissimi amici e
conoscenti venuti a ricordare Kevo con il cuore gonfio di emozione.
L’esposizione è visitabile su rischiesta telefonando al 333 4330948.
Non si può dire che sia un conservatore: il suo approccio
alla scultura non ha nulla di convenzionale
o di retorico; al contrario, le uniche regole in cui si
riconosce sono quelle che lui stesso ha tratto dall’esperienza.
In effetti, è più corretto definire Kevo un “rivoluzionario
moderato” che, pur agendo in piena libertà da qualunque
schema, non rinuncia ad una rigorosa concezione
del lavoro artistico. Il suo obiettivo è operare una sintesi
fra tradizione e rinnovamento, pur conservando un’originalità
che lo emancipa da qualunque etichettatura. Scegliendo
il legno quale unico mezzo espressivo, Kevo dimostra
di voler preservare i valori di un’arte antica quanto
l’uomo per aggiornarli ai canoni dell’estetica moderna. Il
risultato è un’esaltazione dei valori tattili e cromatici della
superficie, grazie anche all’applicazione di elementi metallici
come i bulloni e le molle. Parallelamente, adottare
un tema epico gli permette di coniugare uno spirito sottilmente
analitico, che indugia sui dettagli per soddisfare
lo sguardo da qualunque angolo di osservazione, con una
vocazione al grandioso, che diventa attributo proprio della
forma a prescindere dalle effettive dimensioni dell’opera.
È il punto più alto di una ricerca che tende ad annullare il
riconoscibile per indurre l’osservatore ad una percezione
visiva libera da ogni convenzione: una conquista maturata
nel pieno rispetto di una materia ardua e antica come il
legno, che lo scultore fiorentino ha saputo piegare alle
ragioni della sua metamorfica e geniale creatività.
Tratto da:
Viaggio nel mondo delle forme
Emiliano Fossi, sindaco di Campi Bisenzio, e Alessio Biagioli, sindaco di Calenzano, inaugurano
la mostra in ricordo di Kevo alla presenza della moglie Patrizia
Alessandro Aquia
Ad un grandissimo amico, un affettuoso abbraccio.
32 Ricordando Kevo

Mauro Baroncini
Non e facile scrivere di un amico scomparso un anno fa, Claudio riempiva la vita di chi lo frequentava,
quando; mi parlò di dipingere il suo studio, ne fui entusiasta, dipingere in grande mi è sempre piaciuto.
L’idea di Claudio di far diventare quel luogo un campionario di stili pittorici ed un centro di aggregazione
artistica, un luogo dove si confrontavano artisti astratti e figurativi, forse un’ambizione sognante di
Claudio, ma se non sognassimo non avremmo la vena artistica, di conseguenza i sogni son fatti per essere
realizzati. Quando mi recai a trovare Claudio al suo studio, nel suo ambiente naturale, dove creava,
forse è meglio dire partoriva, le sue opere; si perché le opere hanno una gestazione, prima nella mente
e dopo via via nel lavoro quotidiano, appunto di gestazione, la cura dei particolari che il lavoro richiede...
torniamo all’emozione che provai all’ingresso dello studio quando mi apparve nella parete la stupenda
opera di Simonetta Fontani che ripercorreva la vita di Claudio, mi galvanizzai ancor di più nel realizzare la
mia opera, e contribuire a quella condivisione che Claudio amava. Gli artisti, chi più chi meno, lasciano il
segno: Claudio lo ha lasciato indelebile in tutti noi.
Stefania Cavallini
Claudio Caioli
Ricordare Kevo come artista è relativamente facile, chiunque
abbia visto, anche solo una sua opera, non può riconoscere
in lui un artista vero, sincero, spontaneo, ma io
voglio ricordare l'uomo Claudio Cavallini, l'uomo che con la
sua sensibilità diventa scultore dopo aver abbattuto un albero
del suo giardino, e preso dal rimorso cerca in qualche
modo di ridargli vita cominciando così a scolpirlo e dargli
l'immortalità trasformandolo in opera d'arte. Il totem che
ne ricavò, dal quel tronco, ormai destinato ad alimentare
un qualsiasi fuoco di un qualsiasi caminetto, fu la sua prima
opera, che contribuì a rivelare l'arte che che inconsciamente
era già presente in lui. Un uomo un amico sincero
e modesto come solo i veri "Artisti" sanno esserlo. Voglio
ancora salutarti come facevamo sempre: "Oka Hey" Kevo.
Cristina Falcini
Non è facile scrivere di te.
Ricordo a quanto ci tenevi che facessi
questo giglio e com'eri soddisfatto di
come l'avevo eseguito sicuro com'eri
delle mie capacità.
Per noi sei stato e sarai sempre un
grande Esempio, un grande Uomo, hai
sempre affrontato la vita come una sfida
quando ti metteva alla prova...forse eri
troppo speciale per stare in un mondo
terreno. Ci manchi tanto.
Ho diversi ricordi di Kevo, ricordo Kevo nel suo laboratorio, Kevo con la Patrizia…ricordi…ricordi…ma
la certezza è che Kevo rimane sempre con noi, fa parte di ognuno
di noi, con il suo carattere, le sue sculture…la sua forza, il suo amore per la vita.
Roberta Fiorini
Pensando, anzi “assaporando” con l'olfatto - perché il legno ha un suo profumo - oltre che
col tatto, le sculture di Kevo, mi piace dire che egli è al tempo stesso “il cantore e il canto”
dell'albero e del legno. Purtroppo non è mia tale definizione poetica del suo fare e del suo rapporto
simbiotico con la materia. Tuttavia niente avviene per caso e se è proprio questa la citazione
che affiora alla mia mente a ben guardare deriva da un autore come Conrad Aiken che possiamo
annoverare - con Ezra Pound ma anche Joyce, Lawrence - alla corrente letteraria anglo-americana
detta “Imagismo” (the imagists poets) e la cui connotazione - ecco la speciale coincidenza! - era il
ricorso ad un linguaggio essenziale, scarno, ed una narrazione segnata da continui spostamenti nel
tempo: e così fa Kevo che percorre la storia, “le” culture ed il tempo seguendo l'immediatezza della
sua ispirazione, tanto essa gli derivi dalla natura, dall'arte o dal proprio fantastico immaginario.”
Nadia Cavallini
Sei e sarai sempre con noi.
Tratto da: Kevo: il cantore e il canto del legno
catalogo mostra a Pontassieve - Sala delle Eroine, 2012
Una favola moderna
Ricordando Kevo
33

Alessandro Fedeli
Ho conosciuto Kevo grazie all'Associazione Culturale Operarte di Campi
Bisenzio. L'amore e l'interesse di fare arte sono stati i fattori iniziali
della conoscenza, ma poi è nata l'amicizia e il rispetto reciproco.
Simonetta Fontani
Nei nostri viaggi e giornate insieme, ha riempito i momenti di pausa con
racconti di ciò che combinava anni indietro, l'umorismo faceva parte di
lui. Certo, ci sono stati anche dei contrasti, che però, nel reciproco rispetto,
hanno rafforzato l'amicizia. È raro trovare tutto questo, quindi dire
"Bell'Amico" "Bella Persona" è dire poco. Ringrazio Patrizia e i suoi amici
Mimmo e Maurizio per aver fatto in maniera che sia sempre presente.
Roberto Fusini
Kevo…ti ho nel cuore.
Paolo Lantieri
Claudio Cavallini (Kevo, per quelli che frequentano il mondo dell'arte)
era un artista anomalo; non voleva essere chiamato"scultore" anche se
faceva delle bellissime sculture in legno "materia a lui congeniale" con
inserimenti di bulloni e molle. Di lui ho un bellissimo ricordo per una mostra
collettiva fatta al Castello Orsini di Soriano del Cimino, dove potei
apprezzare l'artista e l'uomo ( semplice, concreto, diretto nel dire ciò che
pensava, sagace nelle battute). Quella mostra ci legò moltissimo, tanto
che mi invitò a dipingere un pezzo di parete del suo laboratorio. In quella
occasione si rafforzò la nostra amicizia, durata ahimè molto poco per la
sua prematura scomparsa; ciò non toglie però che io lo rammenti come
una persona speciale che ho avuto il privilegio di conoscere.
Angiolo Pergolini
Ho conosciuto Claudio durante una mostra
collettiva a Sorano dove anch'io
esponevo le mie ultime sculture.
Rimasi impressionato dalla capacità
di Claudio di usare il legno, inserire
nei suoi “Gatti” (la serie scultorea del
momento) viti e grossi bulloni e rendere
il tutto armonico ed esteticamente
emozionante. Diventammo amici e quando mi chiese di dipingere una
sezione del suo studio-laboratorio, nei fui felice e onorato. Nell'accettare
il lavoro,vi rappresentai sia il “Gatto” che l'oggetto del suo collezionismo
e inoltre essendo lui innamorato di un mio dipinto , lo scambiai con un
suo ”Guerriero” che, orgogliosamente, espongo nella mia casa. Claudio
ci mancherà ma i suoi lavori non ce lo faranno mai dimenticare.
Franco Margari
Il mio amico Kevo ce l'ho in mente soprattutto per il suo sorriso,
sorriso da uomo semplice e sincero, la nobiltà di animo che affiorava
faceva in modo da mettere subito a suo agio l'interlocutore.
Quando lo conobbi, in occasione di una sua mostra, entrammo
subito in empatia reciproca, dopo pochi minuti sembrava che ci
conoscessimo da anni, una sensazione davvero unica, tipica di
quando si incontra una persona speciale.
Mi propose subito di venire a trovarlo nel suo studio per essere
presente con una mia opera in un fazzoletto di muro che mi
avrebbe riservato, accolsi subito la proposta e dopo pochi giorni
ero da lui, rimasi piacevolmente sorpreso dai lavori che riempi-
vano le pareti; erano dei bellissimi dipinti che gli amici artisti piu cari gli
avevano lasciato nel suo studio, mi disse che quando lavorava non era mai
solo, c'erano quelle presenze artistiche che in silenzio dialogavano con lui e
lo rendevano felice. Da queste parole fui fiero di dipingere per lui un pezzo
di parete e di essere presente anch'io in quel piccolo grande museo di arte
contemporanea che aveva realizzato.
Dopo qualche settimana ero li a lavorare; mi venne così spontanea quella
immagine da regalargli che in due giorni la realizzai, immaginai un paesaggio
della mente sul quale potessimo insieme immaginare di esserci, una
notte che indica una direzione da percorrere, un traguardo, una speranza. La
gioia che ebbe quando lo vide mi commosse, credo che non mi dimenticherò
mai quell'espressione del suo viso, lo ricorderò così, con quel sorriso.
34 Ricordando Kevo

Stefano Marrucci
Correvano gli anni Settanta quando l'amico
Claudio, non ancora scopertosi artista, mi
commissionò due lavori, a me che ero reduce
da una personale monotematica, tenutasi allo
Studio Inquadrature 33 di Coverciano e avente
come tema il “biliardo erotico”. In quella occasione,
amante di tale gioco e non solo, mi
chiese di dipingere per lui un grande pannello
che avesse come soggetto la sua passione, il
biliardo appunto.
Successivamente Claudio mi chiese un altro
lavoro, questa volta ispirato alla celebre tavola
di Paolo Uccello conservata agli Uffizi raffigurante
la Battaglia di San Romano e per la quale
aveva un una specie di “fissa”. In quella occasione
dipinsi su tela la morte di Bernardino della
Ciarda, condottiero a capo dei senesi.
Questa premessa per spiegare il motivo per
cui, quando in anni recentissimi Claudio mi
chiese di decorare il suo laboratorio, volli che
queste due passioni, il gioco e la storia, lo accompagnassero durante le sue
ore di lavoro e questa fu anche l'occasione per trascorrere quattro belle e
intense mattinate parlando, dipingendo e scolpendo.
Diana Polo
Ricordo con affetto quando Kevo
mi chiese di dipingere una mia
opera sulla parete del suo studio.
Ne fui veramente felice: la mia
arte gli piaceva. Così ho passato
qualche ora con lui ed ho potuto
scoprire meglio la sua personalità,
i suoi molti interessi, il suo
amore per la poesia ermetica. Mi
promise che avremmo letto qualcuna
delle sue ma purtroppo non
ne avemmo tempo. Solo dopo che
se ne andò me ne fu regalata una
che custodisco con grande affetto.
Nel tempo passato assieme ebbi anche la gioia di conoscere sua moglie
Patrizia. Ricordo il suo abbraccio amichevole, la sincerità e spontaneità con
cui apprezzava il mio lavoro. Mi dissi: “sono proprio delle belle persone”
sapendo che presto saremmo diventati amici. L’opera che decisi di realizzare
si chiamava “Concerto notturno”. Raffigurava una giovane donna intenta
a suonare la sua viola al chiaro di una luna piena. Al suo interno decisi
di inserire una delle sculture di Kevo, lo “Squalo”, e di posizionarla sulla
sommità della viola, là dove le corde vengono tese e vengono rese capaci
di produrre musica. Lo posizionai come se stesse spiccando un salto per
tuffarsi nel mare, ma Kevo mi suggerì di modificarlo e di farlo saltare verso
il cielo. Aveva ragione, funzionava!
Kevo era un creativo, una persona innamorata dell’arte, un uomo che si
approcciava alla scultura con amore e rispetto. In poche parole era un uomo
unico e sono felice di averlo conosciuto.
La moglie di Kevo, Patrizia, con le nipotine
Enrico Pazzagli
Ebbi modo di conoscere Kevo qualche anno fa, alla personale che lui
fece alla Casa di Giotto a Vespignano. Osservando i suoi lavori, mi
complimentai con lui per la sensibile creatività che traspariva dalle
sue opere. Amava lavorare il legno e, dopo averlo scelto con attenta
cura, iniziava a plasmarlo con le mani, in modo che esso potesse
esprimere ciò che aveva dentro di sé e così comunicarlo anche agli
altri. In seguito, ebbi modo di conoscerlo meglio quando l’amico e
artista Mauro Baroncini ci invitò entrambi alla sua casa di campagna
a Frascole in un bel giorno di primavera. In quell’occasione scoprii
le mie affinità con il suo modo di pensare e di essere, oltre alla
condivisione dell’ amore per l’arte.
Così, insieme ad altri artisti, accettai con gioia il suo invito a realizzare
una pittura sulle pareti del suo originale studio/ laboratorio.
La sua prematura scomparsa ha lasciato in noi un senso di vuoto
che però sono certo che lui vorrebbe che riempissimo, continuando
a ricordarlo con affetto, sia come uomo che come artista.
Rebecca Zacchi
Valerio Savino
Claudio Cavallini per gli amici Kevo.
Una gran bella persona, artista, amico.
Dal momento del primo incontro la nostra conoscenza
cresceva sempre di più in una bella armonia.
Argomenti su arte società e politica ci trovavano in
perfetta sintonia. E ora, ora, ora!!!
Sento i tuoi colpi sul legno e come
si diceva "dagliene secche".

“Il collezionista di sogni”
In un libro la storia di Frederick Stibbert
e del museo donato alla città di Firenze
di Barbara Santoro
Èdi piacevole lettura e ricca di
curiosità e aneddoti la vita
di Frederick Stibbert (1838-
1906) raccontata da Enrico
Colle e Simona Di Marco ne “Il collezionista
di sogni” edito da Electa Storie.
Il libro documenta la vera storia di uno
stravagante collezionista del XIX secolo
di origine inglese, ma nato e cresciuto
in Italia, che accarezzava il sogno di
viaggiare e raccogliere oggetti che potessero
raccontare la storia delle culture
del mondo. E ci è pienamente riuscito
come dimostra il bellissimo museo a lui La copertina del libro
intitolato e da lui costruito, partendo da
una casa in stile gotico destinata ad accogliere la sua eclettica collezione
di ben 56.000 pezzi: naturalia e mirabilia da paesi lontani,
manufatti artistici, pitture e sculture, curiosità, armature, costumi,
quadri, cassoni, libri e stampe.
I suoi interessi si indirizzarono anche verso l’Oriente - India, Turchia
e antico Egitto (dove si recò nel 1869 per l’inaugurazione del Canale
di Suez) - e lo stimolarono ad erigere, forse su suo stesso progetto,
Una veduta esterna di Villa Stibbert
La Sala della Cavalcata del Museo Stibbert
Frederick Stibbert in abiti spagnoli
un sacello in stile egiziano nel giardino della villa.
Una febbre irrefrenabile lo spinse, infine, verso le culture cinese
e giapponese, e ad acquisire pezzi originali oramai diventati unici.
Prima di morire Stibbert donò la sua casa-museo alla città di Firenze
ed oggi il visitatore può ammirare la varietà e ricchezza della collezione
che questo gentiluomo, dandy, finanziere oculato ha saputo
mettere insieme nella sua appassionante esistenza.
Il libro è un interessante romanzo con una minuziosa narrazione di
usi e costumi di un’epoca. I personaggi sono visti e commentati con
grande passione ed inquadrati con raffinata psicologia in modo da
non essere stucchevoli manichini di sottofondo, ma ognuno a suo
modo attira la simpatia del lettore che fino all’ultimo rigo non perde
il piacere della lettura.
Le fotografie e le didascalie apposte nelle ultime pagine rendono ancora
più intrigante il romanzo che fa nascere nel lettore il desiderio
di ritornare a visitare quella curiosa villa sulla collina di Montughi,
oggi museo, che è stata la dimora di Frederick Stibbert .
36
Il collezionista di sogni

SPECIALE
ALLUVIONE
50° anniversario
A cura di Barbara Santoro
Eventi
Testimonianze
Documenti
Foto inedite
Curiosità
Speciale Alluvione 1966 37

SPECIALE ALLUVIONE
Lo scultore Sauro Cavallini
anche Angelo del Fango
Che l’alluvione di Firenze nel 1966 sia
stata una sciagura per l’arte e i cittadini
della città medicea è un dato di fatto,
che il suo risanamento lo si debba
in gran parte all’opera gratuita prestata da volontari
soprannominati oggi “Angeli del Fango”,
un qualcosa che durante gli attuali cerimoniali
in occasione del 50° anniversario viene evidenziato
con estrema gratitudine. Come spesso accade
poi, investigando e studiando sono saltati
fuori, nonostante la distinzione sia irrilevante,
Angeli noti e meno noti. Il nostro cardinale Betori
è stato un giovane umbro che è venuto a dare
una mano, così come tanti stranieri o personaggi
famosi come il cantautore Antonello Venditti.
Tra questi vorremmo ricordare, anche perché recentemente
scomparso, un allora giovane artista fiorentino, già vincitore
del Fiorino d’Oro per la scultura un anno prima, che fermò la
sua attività per dare un importantissimo contributo alla città di
Firenze, restaurare le opere marmoree di Santa Croce: lo scultore
Sauro Cavallini. Quanto da lui fatto in quel periodo, ai più
sconosciuto, è stato scoperto per caso dagli eredi rovistando
fra le carte del suo studio fiesolano. Hanno rinvenuto, sbiadito
dagli anni, un articolo di un quotidiano fiorentino di allora che
documentava i complicatissimi restauri.
Il pezzo è intitolato “Come sono state restaurate le sculture a
Santa Croce” ed inizia così: “7 febbraio 1967, sono trascorsi tre
mesi e tre giorni esatti dalla tremenda giornata della sommersione”.
L’articolo narra le già evidenti differenze fra lo spettacolo
apocalittico che nella mattinata del 5 novembre si erano
trovati innanzi i giornalisti salendo le scalinate della chiesa
accedendo alle navate del tempio e ciò che invece era stato
fatto in quel brevissimo lasso di tempo. Le navate e le cappelle
di Santa Croce liberate dal fango e dalla nafta, le statue scaraventate
sui pavimenti dal precipitare della piena erano state
risistemate ai loro posti di una volta. Un lavoro duro, ingrato,
iniziato con slancio e spirito di abnegazione subito dopo il deflusso
delle acque da giovani volontari accorsi da ogni parte
d’Italia e dall’estero. Si deve a loro se le opere di scultura di
Santa Croce erano tornate alla loro primitiva bellezza : il monumento
a Michelangelo del Vasari, la tomba di Galileo Galilei di
Giulio Foggini, la tomba di Vittorio Alfieri eseguita da Antonio
Canova, la “Madonna del Latte” del Rossellino e la “Pietà” di
Baccio Bandinelli.
Prima di riuscire a debellare la nafta hanno dovuto però superare
difficoltà di ogni tipo: prima fra tutte la ricerca di solventi
adatti ad asportare le macchie e contemporaneamente a non
“attaccare” il marmo, alterandone colore e forma. In questa opera si
è distinto, documenta l’articolo, il giovane scultore fiorentino Sauro
Cavallini. Lo seguirono per tre giorni nel suo lavoro scendendo nella
cripta sotto l’altar maggiore mentre era intento a ripulire la “Pietà” del
Bandinelli alla luce tremolante delle candele. Cavallini li fece assistere
alle prove e controprove per trovare il giusto dosaggio degli elementi
necessari alla composizione del solvente giusto.
Un lavoro paziente e guidato da una lunga esperienza che ha dato i suoi
frutti. Descrissero come Sauro Cavallini era riuscito là dove altri con
formule prese in prestito “dall’industria del lavaggio”, avevano dovuto
rinunciare. Proseguono raccontando quanto lui operasse in silenzio
ma con passione e accanimento cercando di prevedere ogni possibile
conseguenza, distinguendo prima di utilizzare ogni singolo prodotto la
“qualità” dei marmi. In questa maniera evitò in partenza di trovarsi di
fronte poi a sconcertanti scoperte (tipo i sali saturi di nitrato) che avreb-
38 Sauro Cavallini

SPECIALE ALLUVIONE
bero reso inutile il suo lavoro. Usò impasti a base di eteri per togliere
le macchie di superficie, fece ricorso a miscele che di volta in volta
studiava, tenute insieme con il talco per eliminare le macchie più
profonde. Sauro Cavallini portò a termine il suo impegno per la città
di Firenze, una città che ha amato fino in fondo donandole alcuni
fra i suoi monumenti più belli; tra questi ricordiamo il “Monumento
alla Pace” all’interno del giardino del Palazzo dei Congressi, il gruppo
bronzeo “Fontana della Maternità” nel giardinetto antistante il
Ponte San Niccolò oppure il grande Crocifisso nel Cimitero di San
Miniato al Monte. Sauro Cavallini è stato un artista che in silenzio,
come operò in Santa Croce, portò l’arte italiana in Europa.
Fra le sue opere estere più importanti ricordiamo “L’Inno alla Vita” a
Strasburgo all’interno del Palazzo del Parlamento Europeo, le opere
pubbliche nel Principato di Monaco come il monumento “Fraternità”
davanti alla stazione di Montecarlo e il “Passo a due” nei giardini
di Fointville.
Il suo lascito culturale è indiscutibile e vorremmo con questo articolo
ricordarlo non solo per il grande artista contemporaneo che è
stato ed è, ma anche per l’amore che egli ha sempre dimostrato per
la città di Firenze sin dai suoi esordi.
Non lasciò la città nemmeno quando a metà degli anni Ottanta,
ospite a Detroit (USA) del presidente dell’industria automobilistica
Henry Ford II, provarono a convincerlo a rimanere e trasferirsi là per
insegnare scultura all’interno della omonima Fondazione Ford. Dopo
un mese a Detroit tornò nel suo studio a Fiesole. Uno scultore della
Vita come molti lo descrivevano, un Angelo del Fango, come altri,
che oggi i fiorentini meriterebbero di conoscere più approfonditamente
e magari ringraziare.
Caterina Margherita
Una curiosa mostra a ricordo dell’alluvione
Per il 50° anniversario dell’alluvione che colpì Firenze e il bacino
dell’Arno, Caterina Margherita ha intrapreso un viaggio
lungo il corso del fiume nell’ascolto dei sussurri delle
sue sponde.
Stimolata ad approfondire il tema dell’alluvione in tutta la sua complessità,
l’artista ha dato corpo all’opera attraverso la lettura di testi,
la raccolta delle testimonianze, lo studio dei reperti alluvionati,
l’analisi del paesaggio e della sua geografia.
L’artista, nella mostra curata da Emanuela Domenica Paglia, invita
il visitatore a seguire il fluire dell’acqua del fiume Arno lungo un
percorso, che passa attraverso le sale di Villa Arrivabene, in piazza
Alberti 1A, fino ad arrivare allo studio dentistico Longo-Bellesi, in
via Scipione Ammirato 26, dove le incisioni eseguite con la tecnica
dell’acquatinta, i dipinti ad encausto, le opere in carta, raccontano
l’Arno dal 1966 ai giorni d’oggi.
L’ultima tappa del percorso dà l’opportunità di comprendere i processi
stessi dell’opera; pertanto, la sala espositiva dello studio dentistico,
situata di fronte alla villa, presenterà gli studi che hanno
condotto la pittrice verso l’opera finale.
L’intento è proprio quello di guidare lo spettatore a ri-tracciare gli
spostamenti vissuti dall’artista per la realizzazione del progetto.
Durante il suo percorso Caterina Margherita ha incontrato la dottoressa
Guasti che l’ha accompagnata all’interno del laboratorio
di restauro della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, è stata
supportata dall’Autorità di Bacino del Fiume Arno che ha messo a
disposizione cartografia e foto d’epoca. L’intera produzione artistica
è stata resa possibile grazie alla residenza artistica presso la Scuola
Internazionale di Grafica d’Arte Il Bisonte di Firenze, alla residenza
artistica presso Maison Bio’Concept e al sostegno dell’Associazione
il Palmerino.
Anche la poetessa Annarita Zacchi, che collabora in varie occasioni
con l’artista, ha scritto e letto alcuni brani creando un‘atmosfera
davvero speciale.
La nota storica e critica d’arte Lucia Fiaschi, che ha presentato la
curiosa mostra, ha avuto parole elogiative per la giovane artefice e
noi ci uniamo a lei nell’augurarle tanto successo.
Caterina Margherita
39

SPECIALE ALLUVIONE
DI PIETRA E D’ORO
Il Ponte Vecchio di Firenze, sette secoli di storia e di arte
In occasione delle celebrazioni per i cinquant’anni
dell’alluvione, unitamente al numero
speciale della rivista delle arti “MCM-
La storia delle cose” esce questo volume
che raccoglie le vicende storiche, artistiche e
architettoniche del Ponte Vecchio, considerato
sia come monumento di straordinario fascino
che richiama i visitatori da tutto il mondo, sia
come singolare luogo di lavoro e creatività.
Proprio per questa duplice veste il Ponte è da
sempre teatro di eventi antichi e contemporanei;
un luogo dove, fin dal 1593 (anno in cui le
botteghe orafe lì trasferite per volontà del Gran
Duca Ferdinando I° de’ Medici iniziarono l’attività)
si sono prodotti manufatti ai più alti livelli artistici e tecnici.
Un convegno a Palazzo Vecchio dedicato alla cultura, curato dalla
rivista “MCM - La storia delle cose” fondata nel 1985 da Maria
Cristina de Montemayor ha presentato questo volume che si apre
con le presentazioni di Dario Nardella (sindaco
di Firenze), Eugenio Giani (Presidente del Consiglio
Regionale della Toscana), Luigi Dei (Rettore
dell’Università degli Studi di Firenze) e con l’introduzione
di Eike Schmidt (Direttore delle Gallerie
degli Uffizi); a seguire i saggi di Claudio Paolini
(le vicende architettoniche), Cristina Acidini
(iconografia del ponte nei secoli), Antonio Natali
(il Corridoio Vasariano e gli Autoritratti), Dora Liscia
(i Gioielli), Elisabetta Nardinocchi (argenti e
maestri), Lucia Barocchi (la vera storia delle mine
“inesplose” nel 1944), Marco Ferri (il Ponte, tribuna
e palcoscenico di eventi).
Pubblicato in italiano ed inglese, il libro è composto
da 160 pagine, arricchite da un poderoso apparato iconografico
e da un’accurata ed esauriente bibliografia.
La copertina è opera dell’artista fiorentino Stefano Ficalbi.
Roberto Germogli Una curiosa
mostra a ricordo dell’alluvione
Fino al 27 di novembre Palazzo Malaspina a San Donato
in Poggio ospita la mostra fotografica di Roberto Germogli
dal titolo: “L’alluvione e non solo….”.
L’Alluvione di Firenze del 1966 avvenne nelle prime ore
del venerdì 4 novembre.
Roberto Germogli si era alzato presto per andare a pesca con
un suo zio. Saputa la notizia che l’Arno aveva rotto gli argini si
recò armato di macchina fotografica pronta in piazza del Duomo,
verso piazza della Signoria e in quelli che sarebbero stati i centri
nevralgici sottoposti all’allagamento. In quell’occasione riuscì a
fare delle foto uniche immortalando monumenti, abitazioni e strade fiorentine
lambite dalle melmose acque del fiume. Oltre a queste foto così
particolari Roberto Germogli ci fa vedere anche una serie di immagini
bellissime dedicate a paesaggi toscani e di vita vissuta con la macchina
fotografica al collo dal terremoto del Friuli alla guerra di Sarajevo.
Il suo occhio attento e l’uso sapiente della macchina fotografica permettono
ai visitatori di godere di questa bella esposizione.
40 Di Pietra e d'Oro

SPECIALE ALLUVIONE
ARNO: FONTE DI PROSPERITÀ,
FONTE DI DISTRUZIONE
Dopo il grande successo
della mostra “Una
Capitale e il suo Architetto”,
organizzata lo
scorso anno per celebrare i 150
anni dell’Unità d’Italia, Archivio
ci regala adesso un’altra grande
mostra sulla storia del fiume Arno,
sorgente essenziale di prosperità
per Firenze ma anche causa di
disastri idrogeologici, lutti e distruzioni.
La mostra dal titolo: “Arno: fonte di prosperità, fonte di
distruzione” storia del fiume e del territorio nelle carte d’archivio
sarà esposte fino al 4 febbraio 2017 all’Archivio di Stato di Firenze,
viale Giovane Italia, 6.
I molteplici materiali esposti: documenti, cartografie, disegni, progetti
originali, fotografie, opere d’arte e perfino un’autentica barca
usata sull’Arno, prestata dall’Associazione culturale I Renaioli di
Firenze, rendono interessantissima questa esposizione voluta in occasione
del cinquantenario dell’Alluvione del 4 novembre 1966.
Tre sono le sezioni che compongono il percorso espositivo, le prime
due sono dedicate al legame tra il fiume e il territorio circostante,
con speciale riguardo a Firenze e all’area propriamente fiorentina.
Nella terza, invece, sono affrontate le conseguenze che le acque
dell’Arno ebbero su quella
parte del patrimonio dell’archivio
allora conservato
nelle 40 sale ai piani terreni
degli Uffizi, nonché su molti
altri archivi pubblici e privati
della città ricordando
specialmente quei giovani
“angeli del fango” accorsi
da tutto il mondo. Il catalogo,
bellissimo, edito da Polistampa
mette in risalto i contributi di competenti professionalità tra
cui: archivisti, geografi, storici dell’architettura e dell’arte ed è ricco
di moltissimi materiali provenienti da collezioni private, gallerie e
fondi di istituzioni culturali fiorentine.
Preziosi manoscritti, quadri, stampe, fotografie, oggetti d’arte che
vanno da una stele romana che personifica una divinità fluviale fino
ad una scultura in terracotta di Italo Griselli intitolata: Arno.
Ancora una volta la grande disponibilità dell’amica Giuseppina Carla
Romby, alla quale va tutta la mia gratitudine, ci accompagnerà a visitare
questa mostra che sono certo toccherà il cuore di molti di voi.
Saranno presenti nel percorso dell’esposizione alcuni filmati sulle
tematiche trattate, appositamente realizzati per l’occasione, tra i
quali l'intervista “dialogo sull’Arno” al professor Ignazio Becchi.
DIspLUVIO Firenze e il suo fiume
a 50 anni dall’alluvione
In occasione delle manifestazioni per il cinquantesimo dell'alluvione
di Firenze, che colpì la città il 4 novembre del 1966 si è svolto, presso
l'Auditorium dell'Archivio di Stato, il convegno di presentazione del libro
“DispLUVIO, Firenze e il suo fiume a 50 anni dall'alluvione”. Il convegno
organizzato dall'Unità di Ricerca di Paesaggio, Patrimonio culturale e Progetto
(PpcP) dell'Università di Firenze, in collaborazione con l'Archivio di Stato di
Firenze, è un primo appuntamento per riprendere ed approfondire alcuni temi
della mostra: “Arno. Fonte di prosperità, fonte di distruzione”, attualmente in
corso presso questo Istituto fino al 4 febbraio 2017.
Questa raccolta di scritti, contributi e riflessioni, edita da Angelo Pontecorboli,
ha l'obiettivo di recuperare il senso del rapporto tra la città e il suo fiume, che,
pur nella diversità di vita che ha contraddistinto le due sponde, si pone come
identità unica, con il fondante carattere di “essere attraverso”.
Come ricorda Mariella Zoppi nell'introduzione: “L'Arno non solo attraversa
Firenze ma la definisce, la permea, la struttura. L'Arno, i suoi ponti e le sue
DIspLUVIO
41

SPECIALE ALLUVIONE
sponde identificano Firenze almeno quanto le architetture di Filippo
Brunelleschi o Arnolfo di Cambio”.
Gli scritti che il libro raccoglie, affrontano le reazioni all'indomani
dell'alluvione tramite una lettura critica della stampa estera e
nazionale, interpretano le riflessioni di Edoardo Detti in relazione
all'applicazione del PRG del 1962, riportano l'attenzione sul tema
del rapporto tra Firenze e l'arte contemporanea tramite le iniziative
e gli appelli di Ludovico Ragghianti agli artisti, si soffermano sulle
incerte e ricorrenti ambiguità della pianificazione urbana fiorentina
e approfondiscono aspetti della relazione profonda e spesso conflittuale
tra la città e il suo fiume. Un percorso di riflessione e di riordino
di quanto è avvenuto a Firenze da quel 4 novembre 1966 a oggi e
che diventa una sorta di verifica sulle aspettative e le speranze che
la città aveva partorito nel post-alluvione e che non sempre hanno
avuto un percorso positivo .
Come il fiume accompagna la vita di Firenze così il filo conduttore
di questo volume sono le significative foto inedite di Adriano Bartolozzi,
all'epoca giovane ricercatore universitario, che scandiscono i
giorni delle acque e del fango, dalle piogge incessanti allo sbigottimento
collettivo, dalle prime reazioni dopo la ricognizione dei danni
fino al comune lavoro di recupero e il difficile ritorno alla normalità.
Il Convegno e il libro partendo dall'alluvione di Firenze del 1966 cercano
di scuotere le coscienze mettendo in risalto come la cultura
della prevenzione dei rischi ancora non abbia attecchito nel nostro
bel Paese.
“La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà lunga e dura,
forse secolare. Ma è il massimo compito d'oggi, se si vuole salvare
il suolo in cui vivono gli italiani...” così scriveva Luigi Einaudi ad
Alcide de Gasperi del 1951 al termine del suo viaggio nelle zone del
Polesine colpite dall'alluvione.
Un'affermazione purtroppo quanto mai attuale!
ALL’ARCHIVIO STORICO
LE TESTIMONIANZE
DEI FIORENTINI
Dal 28 ottobre al 31 gennaio l’Archivio Storico del Comune di Firenze
(Sala delle Esposizioni, via dell’Oriuolo 35) ospita la mostra
“L’Arno in Città - L’alluvione del 4 novembre 1966 nella memoria
dei fiorentini”.
L’ iniziativa rientra nell’ambito del progetto “La tua storia la nostra
storia” che intende valorizzare l’immenso patrimonio rappresentato
dalle testimonianze personali e familiari come momenti della più
vasta vita della comunità cittadina.
Raccogliendo in archivi digitali le foto di famiglia, gli scritti e i documenti
dei cittadini che intendono contribuire al progetto si potrà
così mettere a disposizione degli studiosi dei materiali fondamentali
per capire e ricostruire, accanto alla storia istituzionale, anche
la storia sociale della città.
IN SALA D’ARME
“ALFABETI SOMMERSI”
Nella Sala d’Arme di Palazzo Vecchio i Musei Civici fiorentini propongono
dal 1 al 13 novembre “Alfabeti sommersi, un percorso
lungo cinquant’anni da Firenze a Firenze”, un video con immagini
inedite e a colori, girate da Beppe Fantacci, che sarà proiettato
nelle nicchie monumentali raccontando in modo coinvolgente
i giorni dell’alluvione. Fantacci si rese protagonista di numerose
iniziative che contribuirono a creare un ponte di solidarietà tra gli
Stati Uniti (era presidente della Camera di Commercio Americana in
Italia) e la Firenze alluvionata. Una mostra di arte contemporanea
affiancherà il filmato, con le opere di due grandi artisti contemporanei,
Emilio Isgrò e Anselm Kiefer, mettendo al centro un’altra
delle vittime di quella tragedia: il libro.
MOSTRA OMAGGIO
“L’ALLUVIONE
E GLI UFFIZI”
Il Direttore della Galleria degli Uffizi Eike Schmidt presenta ai fiorentini
una piccola mostra nella Sala 41, la stessa che fino a poco
tempo fa ha ospitato i capolavori di Botticelli.
In mostra le immagini dei locali degli Uffizi che furono allagati dalle
acque dell’Arno così come anche gli spazi esterni colpiti dall’alluvione,
scattate dai fotografi allora in servizio per la Soprintendenza.
L’ARNO STRARIPA
A FIRENZE
Il 4 novembre si è inaugurata all’Auditorium del giornale La Nazione
alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella la
mostra dal titolo “L’Arno straripa a Firenze”, nella quale si documenta
come il giornale seppe raccontare la tragedia.
Insieme alle pagine esposte dell’epoca ci saranno foto e filmati inediti
custoditi negli archivi. In più verrà proiettato un documentario
che farà vedere quei giorni vissuti dentro al giornale.
La mostra è aperta al pubblico con ingresso gratuito.
“DA CIMABUE IN QUA”
L’ACCADEMIA E I
PROFESSORI DEL DISEGNO
NELL’ALLUVIONE DEL 1966
A cinquant’anni da quel tragico evento è stato deciso di riportare
all’attenzione del grande pubblico non tanto e non solo una semplice
illustrazione dei danni alle opere e dei restauri susseguitisi, ma
42 Miscellanea Alluvione

SPECIALE ALLUVIONE
un interrogativo su come un evento così grande possa aver influito
sulla cultura e sulla creazione artistica.
Su quella catastrofe i maestri dai segni e dalle visioni più disparate
si misurarono raccontandola secondo le loro particolari suggestioni
ed ora queste opere sono esposte, in un allestimento di grande
effetto emotivo, dagli architetti David Palterer e Vincenzo Medardi.
I curatori Cristina Acidini, Giulia Coco ed Enrico Sartori presentano
tra gli artisti Luciano Guarnieri, Piero Tredici, Fernando Farulli
e Paolo Frosecchi.
La mostra aperta all’Accademia delle Arti e del Disegno, in via Ricasoli
68 angolo piazza San Marco, rimarrà aperta ad ingresso libero
fino al 28 dicembre.
“IL GIORNO DELLA PIENA”
DI LUCIANO BAUSI
L’avvocato Luciano Bausi iniziò la sua attività politica nel 1960
come assessore all’Urbanistica e al Patrimonio con i sindaci La Pira,
Lagorio e Bargellini.
Nei giorni successivi all’alluvione del 1966 si distinse per la efficiente
organizzazione dei soccorsi. Fu sindaco, salvo brevi interruzioni,
dal 1967 al 1974 e divenne Senatore della Repubblica dal 1976.
L’autore di questo libro, oggi ristampato e gratuitamente offerto dal
giornale La Nazione in occasione del cinquantesimo anniversario
dell’alluvione, racconta i fatti a chi non ne fu testimone, mettendo
in risalto i problemi dell’Arno: un fiume che troppe volte ha tradito i
fiorentini per poter pensare che non tradisca più.
Lo scrittore racconta personaggi e aneddoti ormai dimenticati ma
che si affacciarono sul disastroso palcoscenico della città, quando
tutti i fiorentini furono esposti all’onda travolgente e poi isolati nel
silenzio mortale del giorno dopo.
I figli Letizia, Susanna, Guido Giacomo e Ada Bausi nel ricordare il
loro babbo in quel periodo di emergenza (era assessore all’urbanistica
e sindaco di Firenze in “pectore”) ringraziano l’Ente Cassa di
Risparmio di Firenze, la casa editrice Polistampa e La Nazione per
aver permesso la ristampa di questo libro che rivela tutta la dedizione,
la passione e l’onestà con cui si lavorava in quei giorni senza
mai piangersi addosso o voler essere protagonisti.
“E LE ACQUE SI CALMARONO”
È stata inaugurata alla Biblioteca Nazionale Centrale e preceduta da
un convegno sul significato storico del patrimonio ebraico a Firenze
dalle origini, la mostra “E le acque si calmarono”. Centinaia di
libri, volumi a stampa, manufatti riportati a vita nuova e restaurati
dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici con il contributo della
Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze sono presenti in mostra e
visibili fino al 27 gennaio 2017.
GLI ALLUVIONATI
E IL LORO SINDACO
Nello studio che fu di Piero Bargellini (via delle Pinzochere 3) è
in esposizione fino al 13 di novembre, tutta una serie di materiale
inedito utile per comprendere il rapporto che ebbero i fiorentini con
il loro sindaco nei tragici giorni dell’alluvione del 1966, messo a disposizione
dal nipote Gregorio Nardi grande pianista e musicista
di fama.
Attraverso lettere, documenti, fotografie e testimonianze la mostra
non pone al centro l’alluvione ma i fiorentini soprattutto quelli più
poveri che si videro portar via dall’acqua i mezzi di sostentamento.
La loro voce riemerge dalle centinaia di lettere indirizzate al loro
sindaco e conservate nell’archivio di Piero Bargellini insieme ai suoi
diari e a quelli della moglie Lelia.
ARNO 66.
LA MACCHINA DEL TEMPO
La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è stata uno dei
luoghi simbolo dell’alluvione del 1966. Migliaia di persone di tutto il
mondo, i famosi Angeli del Fango, giunsero a Firenze per recuperare
manoscritti e libri rari e per metterli in sicurezza dai danni provocati
dall’acqua. Negli archivi della Biblioteca Nazionale sono conservate
circa 3.500 fotografie a documentare quanto fu realizzato in quei
giorni. Per mancanza di risorse le fotografie non erano mai
state né catalogate né digitalizzate. Partendo da tale necessità
e dalla volontà di trasformare il materiale in patrimonio comune e
fruibile, i partner di Sensi Contemporanei Toscana per il Cinema, in
accordo con la Biblioteca Nazionale Centrale e Fondazione Sistema
Toscana, hanno realizzato la digitalizzazione e catalogazione delle
fotografie, in parte provenienti dall’Archivio Foto Locchi.
Per valorizzare il patrimonio recuperato e renderlo accessibile
al pubblico, alla Biblioteca Nazionale sarà allestito un percorso
di “realtà aumentata” da fruire attraverso tablet/smartphone
e che consentirà di vedere le immagini immortalate nelle fotografie,
nel punto esatto da dove sono state scattate.
Utilizzando l’App “Arno66-TimeTravel” si potrà invece esplorare
la mappa di Firenze e “camminare in città” come nei giorni del
1966.
Ci sarà inoltre un “Tour Virtuale della BNCF”, che permetterà, indossando
un apposito caschetto, come in un videogioco, di rivivere
i giorni dell’alluvione, scegliendo in quale luogo andare e in quale
situazione “immergersi”.
La mostra sarà visibile fino al 30 novembre 2016.
Miscellanea Alluvione
43

Roberta Ferronato
Dalle aule universitarie alla
Arthur Murray di Firenze
di Roberta Ferronato
Foto di Duccio Ricciardelli
Roberta con Giuliano in Danae e Giove. Mise dell'Atelier Giuliacarla
Cecchi. I fregi sul copricapo sono dell'argentiere Lorenzo
Foglia
Ho insegnato per molti anni Politica Economica del Turismo alla Facoltà di
Economia di Firenze. Le leggi che in questi ultimi anni si sono succedute
sulla cosiddetta “buona scuola”, come oggi si usa dire, hanno decretato
in anticipo la mia uscita da un’attività di insegnamento e di ricerca che
ho amato profondamente e nella quale ho profuso impegno e fantasia. Confesso che
il nuovo status aveva creato in me una sensazione di smarrimento, di vuoto, di disagio
cui dovevo in ogni modo sopperire. Provvidenziale mi è giunto un suggerimento
dell’amica Pola, titolare dell’Atelier Giuliacarla Cecchi (di Pola sono stata la relatrice
della sua tesi di laurea), la quale, conoscendo il mio temperamento estroso (bizzarro?),
mi ha consigliato di iscrivermi alla scuola di ballo Arthur Murray. Un lungo colloquio
con il manager-ballerino Giuliano
ed eccomi pronta per
lanciarmi in una nuova esperienza-avventura
ritagliata
ad hoc sulla mia personalità.
Poco mi stimola imparare a
ballare per affrontare una
sala da ballo. Mi coinvolge,
invece, realizzare show dove
posso liberare la mia creatività
scegliendo soggetto,
interpretazione, musica. I
miei maestri mi propongono
la coregrafia e, con pazienza,
Roberta Ferronato con il maestro Salvatore nella coreogerafia Funiculì
Funiculà
mi insegnano la tecnica per eseguire le figure che la compongono. Il risultato è che
in due anni sono stati messi a punto dieci show. Si passa dalle danze popolari quali
il Sirtaki (musica dal film Zorba il greco), la tarantella napoletana (Funiculì Funiculà
intonata da Il Volo) a rappresentazioni di storie liberamente ispirate a brani musicali di
successo (Ci vuole un fisico bestiale, Viva la mamma, Marinai donne e guai, Tequila,
La pantera rosa, Marakaibo) dove mi calo nei panni di vari personaggi: in ordine, la
palestrata sexy, la mamma tutta etichetta e buone maniere, la ragazza del marinaio
dongiovanni, la ricca ereditiera messa in catene per aver sostenuto la causa dei peones
nella rivoluzione messicana, la pantera Bagheera in gabbia, la danza voluttuosa
tra la finta brutta e il partner prescelto dove, ahimé in ritardo, i due ballerini scoprono
l’inconciliabilità delle loro tendenze sessuali. Non mancano le interpretazioni di miti
greci ed ecco Il Perseo e la Medusa sul Bolero di Ravel e, ultimo show presentato di
recente al teatro di Rifredi, Danae e Giove su brano musicale Goldfinger. Un’altra mia
passione è l’artigianato artistico di alto livello, specie se fiorentino e, allora, sulle mise
di ogni personaggio che interpreto non può mancare un manufatto dei nostri meravigliosi
artigiani-artisti. Attualmente sto preparando, insieme al mio maestro Salvatore,
uno show per una nuova esperienza-avventura e così la storia, anzi le storie, continueranno
con altri sogni da inseguire e realizzare al suono di belle musiche tra volteggi
e chassé croisé al fianco dei miei bravi maestri.
Scuola di ballo Arthur Murray
Piazza degli Strozzi, 5 - 50123 Firenze - http://www.arthur-murray.it/
44 Roberta Ferronato

“Cena Ecumenica”
a La Tenda Rossa
di Elena Maria Petrini
ti una ricca collezione di quadri e poi, sagacemente collocate, opere
scultoree di artisti contemporanei. Per amanti e cultori dell’estetica
l’ambiente è elettrizzante, non si sa dove guardare, ma la percezione
generale è quella di una attenta ricercatezza atta a creare un
“clima” dove regna la qualità, declinata in tutte le sue forme. Protagonisti
in cucina i giovani chef Maria Probst e Cristian Santandrea, il
loro sguardo è sveglio e intelligente: briosi ed entusiasti interpreti di
una cucina creativa, ma ben salda nelle sue radici tradizionali toscane,
e che fa un po’ l’occhiolino, per così dire, anche alla Romagna.
La loro bravura ed abilità ai fornelli si riflette nei loro piatti di terra e
di mare, dove si gusta, oltre alla squisitezza delle vivande, anche la
personale sensibilità e perspicacia nel presentare quegli antichi
“gusti familiari”, riproposti con delicatezza ed equilibrio.
Così la delegazione di Empoli dell’Accademia Italiana della Cucina
ha pensato di organizzare, proprio in questo posto particolare, per il
giorno 20 ottobre la “Cena Ecumenica”, dove il menù era stato deciso
dall'Accademia per dare memoria
al terremoto di Amatrice, con la pasta
Amatriciana. Il magnifico menù, composto
da antipasto (mazzancolla e
polpo, zucca gialla, spalla, salicornia),
primo (pasta Amatriciana), secondo
(maialino da latte con cipollotti
rosolati al miele e rosmarino con salsa
di Guinness) e dolce (cioccolatini e
piccola pasticceria), sono stati accompagnati
da tre vini di aziende
d'eccellenza: lo Chardonnay Fabrizio
Bianchi 2013 dell'azienda Monsanto,
seguito da Cavalli Tenuta degli Dei
2013 Toscana IGT, e per finire lo straordinario
Merlino Rosso fortificato
La Tenda Rossa: scultura in bronzo
di Wilfredo Garzanti
Lo staff del ristorante La Tenda Rossa. Da destra Barbara e Cristiana Salcuni, Natascia
e Cristian Santandrea e Maria Probst
Stasera siamo a Cerbaia, una frazione del comune di San
Casciano Val di Pesa in provincia di Firenze, sulle splendide
e dolci colline nel cuore del Chianti, presso il ristorante
La Tenda Rossa, invitati dal simposiarca Giovanni Donnini,
accademico della delegazione di Empoli dell'Accademia Italiana
della Cucina, per la "cena ecumenica".
Infatti, questa sera tutte le delegazioni del mondo si riuniscono a
cena come fosse un'unica cena per tutti gli accademici con un menù
a memoria di Amatrice.
Il locale è in piazza del Monumento, una piazzetta medievale con il
classico monumento ai caduti, in uno spazio urbano collocato nel
centro del borgo. Si entra e l’ambiente è subito accogliente. Caldi
colori pastello, luci soffuse, bella atmosfera; ci colpisce subito per la
sua particolare raffinatezza. Mobilio scelto, molto elegante, quasi un
salotto dove da bellissimi divani e poltrone Frau, si può ammirare
una vera e propria galleria d’arte trasformata in ristorante: alle pare-
Dolomiti Pojer e Sandri.
La degustazione dei piatti
è stata accompagnata da
un olio d'eccellenza, Exentia
gocce d'oro dell'Azienda
Matrix srl di Giovanni
Donnini, selezione delle
olive della Fattoria Paiatici
condotta da Marcellina
Tussardi Donnini.
L’Ecumenismo è, letteralmente,
il movimento che
Scultura in bronzo di Wilfredo Garzanti
ha per scopo l’unione mondiale
di tutte le differenti confessioni cristiane; ma oggi, al di là del
significato religioso, l’aggettivo ecumenico ha preso, nel linguaggio
colloquiale, il significato di “mondiale” o, per dirla con un termine
tipico dei nostri giorni, globale. In senso lato, dunque, è ecumenico
un sentimento o un “qualcosa” che possiede un quid di aggregante;
insomma, quello speciale ingrediente capace, positivamente, di unificare
i cuori e riunire le menti e gli animi degli esseri umani. Ed anche
la cena ecumenica di quest'anno ha avuto il proprio elemento
unificante: la cosiddetta Cucina del Riuso, qualcosa di molto antico
ma al contempo di attualissimo.
L’azione del riuso, è tutta incentrata sul concetto di “avanzo”, che
non è affatto roba da gettar via, ma al contrario è un vero tesoro, una
risorsa economica dalle infinite sfumature di gusto e per tutti i gusti.
Oggi la politica del riciclo culinario, infatti, è un’operazione di sagacia
alimentare notevole, ma anche di brillante raziocinio gastronomico,
particolarmente adatta ad interconnettersi intimamente ad una
sapienza vecchia di millenni eppure modernissima.
46 “Cena Ecumenica”

Wall & Ceiling System
Showroom FuturGes
I PRODOTTI
La FuturGes distribuisce ed installa in esclusiva rivestimenti innovativi e di design quali:
Cartongesso (pareti divisorie, controsoffitti semplici e decorativi, riqualificazioni acustiche degli ambienti,
protezioni e compartimentazioni antincendio); Bio-edilizia (costruzioni a secco con struttura portante in
legno e/o acciaio); Isolamenti a Cappotto (interni ed esterni con tutti i materiali disponibili sul mercato
quali: polistirene, lana minerale, fibra di legno, sughero, calcio silicato); Facciate Ventilate (disponibili con
finiture effetto intonaco civile, decorative, doghe in legno e pannelli metallici); Soffitti Tesi (membrane in pvc
o tessuto prodotti in 7 finiture e 250 colori che vanno a sostituire il classico controsoffitto e rendono gli ambienti
unici nel suo genere); Pietra Flessibile ( 2mm. di spessore, retroilluminabile, flessibile, installabile in
esterno ed interno, a pavimento o a parete, visto il minimo spessore è molto indicata nelle ristrutturazioni);
Sale Rosa dell’Himalaya (mattonelle di varie misure in sale rosa installabili a pavimento o a parete, per
creare ambienti sani oltre che belli, inoltre è disponibile tutta la linea di prodotti a base di sale rosa per la cura
dei capelli e del corpo); Pitture Naturali (per camerette dei bambini o luoghi dove le emissioni volatili
nocive, devono essere molto contenute); Pittura Lavagna e Calamita (applicabili su qualsiasi superficie
CHI SIAMO
Nel 2004 nasce la FuturGes, Azienda Leader nel settore dell’edilizia tecnica, condotta da
Marco Vannuzzi: pareti, contropareti e controsoffitti in cartongesso, rivestimento camini,
librerie, cappotti termici per esterno e/o interno; sono stati per diversi anni il Core Business
della FuturGes.
Grazie alla voglia di imparare e di stare al passo con i tempi la FuturGes in collaborazione
con Ingegneri, Architetti e, professionisti operanti nel settore del risparmio energetico è
diventata edificatrice di case in edilizia sostenibile (con struttura portante in legno e/o in
acciaio).
Già nel 2009 in concomitanza all’entrata in Azienda della compagna Daniela Frediani a
ricoprire il ruolo di Responsabile Commerciale, la FuturGes ha iniziato ad affacciarsi al
mondo del design con rivestimenti, finiture e complementi. Grazie alla stretta collaborazione
con l’Arch. Ilaria Barnini, l’Azienda offre anche un servizio di Contract: dalla progettazione
alla realizzazione di case, negozi, spa, centri benessere..... e, realizza complementi d’arredo
e d’illuminazione unici, su misura e, a piacimento del Cliente.
A Maggio 2016 a grande richiesta, la FuturGes ha migliorato ancora il servizio offerto, grazie
all’apertura del propio showroom, dove è possibile vedere e toccare con mano i vari materiali.
Esempio di parete attrezzata in cartongesso
arredi in genere); Carta da Parati (personalizzabili, lavabili, installabili sia a parete che a pavimento che all’interno di docce o ambienti umidi); Pannelli Tridimensionali
(installabili sia in esterno che in interno per dare movimento alle pareti); Piante Stabilizzate (muschi, licheni e foglie “mummificate” per dare colore e un tocco di
natura agli ambienti interni); Effetto Corten (tinteggiatura ad effetto ossidativo di qualsiasi superficie con finitura ferro e/o rame); Resine (sia cementizie che epossidiche
installabili sia a pavimento che a parete, da interno ed esterno e, per dare nuova vita a mobili e complementi d’arredo);
Pittura Lavagna Design Carta da parati Rivestimenti in sale rosa
Per Natale se volete fare un regalo “particolare”Vi invitiamo a venirci a trovare nel nostro showroom in Via
Aldebaran, snc 56024 Ponte a Egola (PI), negli orari: dal Lunedì al Sabato dalle 9:30 alle 12:30 e dal Lunedì
al Venerdì dalle 15:30 alle 19:30 (nel pomeriggio solo su appuntamento).
T. 0571 418551 M1. 333 5282831 (Marco) M2. 338 4717991 (Daniela)
www.futurges.com - info@futurges.com

Con le opere del maestro
Luciano Pasquini l’arte
contemporanea entra alla
Certosa di Pontignano
di Chiara Certini
Foto di Antonio Viscido
La Certosa di Pontignano nel comune di Castelnuovo Berardenga
a due passi da Siena, è un luogo ancora avvolto
da una magica quiete profonda: costruita dai monaci
certosini entro la fine del Trecento e da essi abitata per
più di quattro secoli, è stata nel Novecento dimora del rettore universitario
Pietro Bracci prima di passare per le mani dell'Università
Fabrizio Borghini intervista Chiara Certini per la rubrica Incontri con l'arte di Toscana TV
degli Studi di Siena, tutt'ora proprietaria del complesso. Divenuta
centro congressi di fama internazionale e luogo ideale per soggiorni
ed eventi tra le dolci colline del territorio senese, la Certosa è attualmente
gestita dal gruppo Soges di Firenze e torna a far parlare
di sé per la sua alta disposizione all’accoglienza: e non solo come
d’abitudine verso i numerosi ospiti (turisti o convegnisti provenienti
da ogni parte del mondo che qui possono sostare grazie ai centodieci
posti letto disponibili tra le varie possibilità di alloggio) o verso
la cittadinanza (che può riappropriarsi di questi spazi visitando su
richiesta o tramite visita guidata i chiostri, i giardini e la splendida
chiesa cinquecentesca dei monaci, popolarmente definita la “piccola
Cappella Sistina” per il fascino delle sue pitture), ma anche nei
confronti dell’arte. Infatti, dato che si è appena conclusa la mostra
Costruire col colore (27 maggio - 16 ottobre 2016) dedicata all’opera
del pittore contemporaneo Luciano Pasquini, la Certosa può aggiungere
al suo lungo e secolare “curriculum” il prezioso svolgimento di
questa rassegna, auspicando che segni l’inizio di una nuova stagione:
per l’occasione ventisei dipinti di Pasquini hanno ornato le pareti
delle ampie sale che ospitano con continuità matrimoni ed eventi
esclusivi di ogni sorta e la sala del ristorante interno, creando un
itinerario di colori sposati perfettamente alla semplicità del luogo.
È vero, l’arte qui non è alla sua prima apparizione (la Certosa riapre
Una delle opere di Luciano Pasquini in mostra alla Certosa di Pontignano
le sue porte alla pittura come quando, appunto, sul finire del Cinquecento
si era affidata ai pennelli di un altro fiorentino, Bernardino
Poccetti, per la decorazione ad affresco di alcuni ambienti e della
nominata chiesa), ma con l’opera di Pasquini è entrata in questi
ambienti l’arte contemporanea, quella ormai rara che non cerca a
La critica d'arte Chiara Certini mentre presenta al pubblico la mostra di Luciano Pasquini
48 Luciano Pasquini

adicale dentro il suolo (…)”, afferma Cristina Acidini nel suo testo
presente nel catalogo redatto per la mostra, curato da chi scrive; a
lei, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, e
alla sua profonda comprensione del procedere pittorico di Pasquini
si deve la genesi del titolo della mostra Costruire col colore, poiché,
come spiega, nella sua opera “sono i colpi di pennello a costruire,
con sapienti allusioni alle strutture e alle superfici, l'identità delle
singole forme”. E anch’io, altrettanto ammaliata dall’efficacia di
queste immagini abilmente dominate pur nell’apparente fugacità,
nello stesso catalogo paragonavo la tela ad “una tavolozza viva, in
cui i colori e le materie si mescolano e si compongono restituendo
quella stessa freschezza odorosa che i campi toscani regalano nel
loro tempo migliore”.
Un'immagine del convivio che ha concluso il vernissage
tutti i costi il contrasto e la rottura con il passato bensì il legame
con la tradizione pittorica e figurativa ancorata a queste zone. Effettivamente
per la schiettezza di questo luogo ci voleva l’indole di
Pasquini, nato a Firenze nel 1943 e dagli anni Settanta instancabile
interprete con la sua arte della natura delle nostre campagne: ed il
pittore, tra i più significativi del panorama contemporaneo e ancora
attivissimo nella sua casa-studio, visitabile, immersa nelle colline
vicino a Villamagna, si dimostrava sin da subito pronto a prestare
con la sua opera tutto il suo personale sentimento di amore verso
il territorio toscano. Quest’ultimo, infatti, ha sempre costituito,
con i propri frutti e gli antichi casamenti, il soggetto indispensabile
nell’intera produzione dell’artista, ben rappresentata dalla selezione
della mostra in questione; è per questo motivo che in un luogo
legato alla sua terra da un rapporto secolare come la Certosa di
Pontignano risultava particolarmente agevolato quel dialogo tra la
natura dipinta sulle tele dal pittore e la campagna reale, visibile
tutt’intorno dagli affacci e dalle finestre. Come non riconoscere, in-
Il pubblico del vernissage in visita alla chiesa cinquecentesca della Certosa
Con la mostra monografica dedicata all’artista, conclusasi a
Pontignano, comunque, non si chiude che un capitolo: le pitture
di Pasquini resteranno ad ornare un’altra residenza d’epoca
dall’autentico sapore toscano, avendo trovato dal 2015 un’esposizione
permanente nell’Art Hotel Villa Agape di Firenze
(sosta d’eccellenza sulle morbide pendici attorno al Piazzale
Michelangelo), e la Certosa non smetterà di essere attraente
nel suo immutato fascino. Sarà anzi pronta, da adesso, ad aprirsi
all'occasione di un altro prolifico dialogo artistico, parimenti
“antico e contemporaneo”: come lo è stato quello tra la Certosa
ed il pittore, Luciano Pasquini.
Un'opera floreale del maestro Pasquini in esposizione alla Certosa
fatti, nella serie dei “tetti” di Pasquini gli stessi profili delle case di un
contado familiare, o nei paesaggi, vere e proprie sinfonie di colori, le
nostre dolci colline al mutare delle tinte per le stagioni? Ebbene, in certi
soggetti dell’artista anche le vigne solcano la materia pittorica quanto
fanno con il suolo fecondo di questi pendii.
“Tutto questo mondo solido e vero, antico e contemporaneo al tempo
stesso, resta acquattato in ogni quadro di Pasquini come un apparato
L'elegante connubio fra un'opera di Luciano Pasquini e gli interni della Certosa
Luciano Pasquini
49

Grazia Tomberli
Alla Galleria di Palazzo Coveri con
la mostra "La passione di una vita"
di Barbara Santoro
Foto di Benedetta Gori
Ai confini dell'acqua, 2014, olio su tela, cm. 50x100
Grazia Tomberli nel suo studio con Cristina Acidini
cuore, una sensazione confusa, spesso fermata velocemente sul
taccuino durante una passeggiata o un viaggio. Grazia Tomberli
dipinge all’aperto i suoi paesaggi e i suoi fiori sgargianti perché
ha la necessità immediata di comunicare ciò che dipinge quasi a
chiedere subito un giudizio a se stessa che se non è positivo la porta
a strappare tutto.
La materia è rielaborata poi nello studio, sui tetti che guardano la
collina di Fiesole. E qui finisce per diventare “canto alla vita”.
I suoi fiori bianchi, intatti come la luce, candidi come la neve appena
caduta, che in questa esposizione hanno solo un numero: composizione
1-2-3 sono i licanti, i gigli, le robinie. Esseri fragili che hanno
carpito e improntato la tela con le loro essenze fino quasi a rimanerne
storditi, con una morbidezza di ali di angelo che ci trasportano in
una sfera ultraterrena della più alta poesia.
Conosco Grazia Tomberli da quasi una vita, ed ho avuto
la fortuna di conoscere il suo babbo, Sergio Tomberli,
ottimo pittore, purtroppo scomparso giovanissimo.
Ho per lei una vera “venerazione”, ed i suoi quadri riempiono
la mia casa di città, quella di campagna, lo studio di mio marito
e anche le abitazioni di parenti, a cui ho donato con grande
piacere le sue creazioni sapendo in partenza che li avrei fatti felici.
Infatti Grazia appartiene a quella “rara”sfera di artisti, che mai
“strafanno”, che mai osano uscire dalla linea cromatica dell’equilibrio
tra ciò che vede l’occhio e la natura intorno a lei.
Dipinti ad olio, grafiche, acquerelli, affreschi o pastelli arrivano diversamente
al cuore della gente perché lei è capace di fermarsi al
momento giusto, senza forzature.
Punto di partenza dell’ideazione è sempre un’immagine chiusa nel
Alcune tele di Grazia Tomberli pronte per la mostra di Palazzo Coveri
50 Grazia Tomberli

Ginestre, 2012, olio su tela, cm. 120x120
Giaggioli blu, 2014, olio su tela, cm. 80x80
L’artista rapida crea sulla carta, sulla tela o sulla stoffa macchie di
colore che si dilatano a poco, come “bolle di sapone”, che si interrompono
proprio là dove la traccia cromatica è perfetta. Nessun
ripensamento, solo l’occhio che guarda con attenzione ciò che ha
creato. Il titolo verrà aggiunto dopo a composizione finita, e sarà
perfettamente centrato come in “Tempo Rinascimentale”, dove i
melograni appoggiati aperti in primo piano, stanno a simboleggiare
una rinascita non solo religiosa ma quasi metafisica, mentre la cupola
del Brunelleschi appare soffusa in lontananza.
D’altronde Grazia fin da bambina è stata abituata al bello, accanto
al padre a cui preparava pennelli, spatole e acquaragia in quello
studio nel quale tutt’ora lei lavora.
Sono cinquant’anni che Grazia Tomberli dipinge e questa è una
esposizione, a cui ne seguiranno tante altre a dimostrazione di
quello che ha fatto usando una grande varietà di mezzi, tutti sperimentati
con grande successo: dalla grafica all’acquerello, dai pastelli
ai colori a olio, dal flo-master, fino all’incisione e all’affresco,
dimostrando sempre e in tutto la grande tecnica e versatilità.
Quel suo “non finito”, quel suo “non tracciato”, quel suo “non costruito”
ma gettato d’impeto in modo che la composizione risulti
sempre “morbida” e “vaporosa” secondo la sua personale esigenza
d’armonia, sono i suoi “talenti” e sono tanti.
La Galleria di Palazzo Coveri, fondata nel giugno del 2004 con l’obiettivo
di creare un giusto equilibrio tra il moderno e il contemporaneo,
tra il rapporto del passato e quello del futuro, fornisce attraverso
mostre e presentazione di libri, sia agli artisti che al grande
pubblico, occasioni e momenti d’incontro tra collezionisti, critici,
giornalisti e storici dell’arte per scambiare idee e ed informazioni
culturali.
La Galleria di Palazzo Coveri è sicuramente un’importante vetrina
per eventi speciali, non solo per l’arte pittorica.
Vento tra gli ulivi, 2010, olio su tela, cm. 60x80
Lo spazio può essere affittato ad istituzioni privati, alberghi e aziende
offrendo una consulenza mirata in funzione dei progetti.
Enrico Coveri, grande stilista di moda che durante gli anni dal 1975
al 1990 portò il nome della moda italiana nel mondo, aveva scelto
questo luogo come abitazione.
Qui vedremo le opere di Grazia Tomberli (quelle di ora e quelle del
passato) per testimoniare i suoi cinquant’anni di professione. Persino
due teneri oli del 1963 e il Premio Italia 1993 “Plenilunio su
Firenze” sono esposti in questo posto magico.
Il catalogo dell’esposizione è curato da Cristina Acidini e Anita
Valentini, stampato da Bandecchi&Vivaldi e edito da Beatrice
Cifuentes-Sarmiento che mirabilmente dirige questa meravigliosa
galleria.
Grazia Tomberli - “La passione di una vita”
Inaugurazione giovedì 10 novembre ore 18.00
dall'11 novembre al 21 dicembre
Orario: 11/13 - 15,30/19 - Chiuso lunedì e giorni festivi
Ingresso libero
Grazia Tomberli
51

L’opera svelata
Alla Soffitta Spazio delle Arti di Sesto
Fiorentino la mostra di Piero Biondi
di Stefano Bandinelli
Il primo evento della stagione 2016-17 de La Soffitta Spazio
delle Arti ha riscontrato l'unanime gradimento del pubblico.
Per il taglio del nastro della mostra “Piero Biondi-L'opera
svelata”, tenutasi domenica 23 ottobre alle 10,30, le storiche
sale espositive al secondo piano del Circolo Arci-Unione Operaia di
Colonnata a Sesto Fiorentino si sono gremite di appassionati d'arte
accorsi per ammirare le creazioni di un artista che solo a 66 anni ha
deciso di esporre quadri, disegni, ceramiche, gioielli e molto atro
frutto di 50 anni di collaborazioni con grandi marchi nazionali e di
Piero Biondi tra le opere tra le opere in esposizione alla Soffitta
Piero Biondi e Antonio Pieri intervistati da Fabrizio Borghini per Toscna TV
Damiano Sforzi, Piero Biondi, Francesco Mariani e Antonio Pieri presentano la mostra
un'immensa creatività.
All'inaugurazione sono intervenuti il responsabile del gruppo La Soffitta
Spazio delle Arti e presidente del Circolo Arci-Unione Operaia
di Colonnata, Francesco Mariani, il vice sindaco di Sesto Fiorentino,
Damiano Sforzi, il titolare di Idea Toscana, Antonio Pieri, amico
dell'artista e primo sponsor del progetto espositivo e, ovviamente,
Alcune splendide creazioni di Piero Biondi
Piero Biondi.
“La Soffitta - ha detto Mariani - punta quest'anno su eventi di altissima
qualità e per questo abbiamo scelto di iniziare con la prima
mostra in assoluto di uno dei più grandi creativi che abbiamo a Sesto
Fiorentino. La collezione di opere e oggetti che Biondi propone
è davvero splendida e siamo sicuri che conquisterà tutti rendendo
52 Piero Biondi

Piero Biondi festeggiato dai concittadini sestesi
La performance di danza di Eleonora Sampaolesi durante il vernissage
Una serie di opere di piccolo formato in esposizione alla Soffitta
Eleonora Sampaolesi "dialoga" con le opere durante la performance
giustizia a un artista rimasto troppo a lungo nell'ombra”.
“Lo straordinario afflusso di pubblico all'inaugurazione - ha aggiunto
Pieri - ci riempie di gioia.
Sono felice di aver aiutato un amico come Piero, che dal 2006 firma la
nostra collezione Prima Spremitura con il tema dell’olivo toscano, a mettere
in piedi il progetto. Lui ha già 66 anni, ma quando si può contare
su una produzione così bella non è mai troppo tardi per esporre. Ed è
per questo che, alla fine, abbiamo deciso di titolare la mostra 'L'opera
svelata'”.
Il pubblico è rimasto particolarmente affascinato anche dalla perfor-
mance di danza di Eleonora Sampaolesi che, volteggiando tra
le teche, ha “dialogato” con le opere indossando alcune collane
in esposizione. Eleonora, marchigiana, da 15 anni a Firenze, formatasi
con Gaia Scuderi e Roberta Bongini, insegnante di danza
espressiva araba, ha spiegato così l'esibizione: “Ho cercato di
esprimere, con un'altra forma d'arte, le straordinarie emozioni
che le opere di Piero hanno dato a me”.
Per La Soffitta questa è la mostra numero 428 in 52 anni di attività
e il vice sindaco di Sesto Fiorentino Sforzi ha sottolineato
con piacere la continuità del progetto: “Anche quest'anno la stagione
è partita benissimo perché questa mostra consente di far
conoscere un patrimonio della nostra città rappresentato da un
artista vero: studente all'istituto d'arte, insegnante alla scuola
media Cavalcanti e straordinario collaboratore di varie aziende
del territorio capace di creare un marchio che è oggi diffuso in
tutto il mondo. Il fatto di averlo finalmente scoperto ufficialmente
con questa mostra a alla Soffitta credo sia un valore aggiunto
importante per la nostra comunità”.
La mostra è visitabile in orario serale nei giorni feriali, dalle 21
alle 23, il sabato dalle 16 alle 19 e la domenica dalle 10,30 alle
12,30 e dalle 16 alle 19; lunedì chiuso.
Piero Biondi di fianco a uno dei suoi lavori più significativi
La Soffitta Spazio delle Arti
c/o Circolo Arci di Colonnata
Piazza M. Rapisardi, 6 - Sesto Fiorentino (FI)
ufficiostampa@lasoffittaspaziodellearti.it
Piero Biondi
53

SIAMO TUTTI GRECISTI...
ANCHE CHI NON LO SA!
IL GRECO: UNA LINGUA “RADICE”
DELLA NOSTRA CULTURA
di Giorgia Armellini
Cento parole per dirlo, cento parole
di origine greca attraverso le quali
Loretta Bulletti, ex bibliotecaria
e appassionata di studi classici e
il Professor Luciano Mario Ventura sperano di
sorprenderci e di mostrare che mentre parliamo
la nostra lingua in realtà parliamo “greco”. Il libro,
scritto a quattro mani, dal titolo “Le cento
parole: greco, la lingua nascosta”, vuole essere
un viaggio dentro l'antichità classica in genere e
dentro quella greco- romana in particolare.
Come afferma il professor Ventura, nella postfazione,
“questa operetta vuole essere un modesto
contributo per far acquisire al lettore la
consapevolezza che la lingua greca antica, e la
cultura/civiltà dei popoli che la parlavano, non è
lingua morta, ma si è incarnata e trasfusa nella
nostra lingua e, più o meno direttamente, in
noi stessi, nella nostra civiltà”. In un momento
in cui la lingua della Rete e le espressioni
inglesi la fanno da padroni a Loretta Bulletti
e a Luciano Mario Ventura sembra opportuno
recuperare la lingua delle nostre origini, che
oggi risulta familiare solo agli studenti del
classico ma che invece appartiene a tutti noi!
Basta sfogliare le pagine di questo prezioso libretto
per capire quante volte in una sola giornata
adoperiamo parole di derivazione greca
come: farmacia, caos,clima, euro, cinema, catastrofe,
dialogo senza contare i nomi propri:
Irene, Stefano, Alessandro, Giorgio, Eleonora.
Un piccolo compendio che consiglio a tutti di
avere quale “atto d'amore” per le radici della
nostra cultura!
1916-1956-2016
A SESSANT’ANNI
DALL’ISTITUZIONE DEL
MUSEO DI PALAZZO
DAVANZATI, A CENTO ANNI
DALL’ASTA NEWYORKESE
DEGLI ARREDI DEL MUSEO
DI ELIA VOLPI
54
Lunedì 21 novembre 2016
Giornata di studi al Museo di Palazzo Davanzati
via Porta Rossa 13 - Firenze
Ore 10: saluti istituzionali e presentazione:
Paola D’Agostino
direttore del Museo del Bargello
Niccolò Rosselli Del Turco
Presidente degli Amici di Palazzo Davanzati e Casa Martelli
Coordinamento degli interventi:
Brunella Teodori e Jennifer Celani

ESPEDITO DE LEONARDIS
Folgorato dalla chiropratica. "Mettere a disposizione della
persona quello che sai usando le mani. Nessuna medicina
è alternativa: tutte sono complementari o integrate"
di Lorenzo Borghini
insieme hanno messo su un ospedale di medicina ‘integrata’, dove
tutti portano quello che possono per il beneficio del paziente. Pitigliano
è un’esperienza bellissima, unica non solo in Italia ma nel mondo.
Il dottor De Leonardis il giorno della laurea con i professori Greg Ross a sinistra e Lester
Lahm a destra
Daniel David Palmer, padre della chiropratica, spesso accusato
di essere un ciarlatano, definì la chiropratica “Arte,
Scienza e Filosofia”. Sei d’accordo?
D’accordissimo, perché D. D. Palmer, viene citato da tutti ma pochi
lo conoscono. Palmer fondò la prima scuola a Davenport (Iowa), poi
ebbe problemi, anche con la giustizia, e fu buttato fuori, come succede
spesso ai grandi visionari, come successe a Steve Jobs. Poi
fondò un’altra scuola a Portland, dove io ebbi la fortuna di studiare, e
di leggere alcuni dei suoi testi. Palmer era un guaritore a metà tra lo
sciamanico e l’informazione medico scientifica. I chiropratici parlano
di sublussazione, mentre Palmer non cita mai la sublussazione, ma
parla di sub lux, ovvero sotto la luce, che è l’idea che lui aveva dello
stato di benessere: essere o non essere nella luce. Suo figlio poi lo
ha provato a studiare, e in questo B. J. Palmer è stato geniale. Hanno
Il termine chiropratica è riferito allo studio, alla diagnosi,
alla cura e alla prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici
e dei loro effetti sullo stato generale di salute. Ma
cosa significa davvero per te chiropratica?
Per me chiropratica è tutto quello che è possibile fare sul corpo con
l’ausilio delle mani. Nasco come chiropratico canonico e strutturato
e poi piano piano, durante l’arco della professione, perdo alcune
cose per acquisirne altre. Quando ero a scuola avevo un professore
a cui devo tantissimo, lui era un meticcio indiano e diceva sempre
“steal from the best”, ovvero “ruba dai migliori”; quindi, facendo
chiropratica mi resi conto che tu non hai la verità per le mani, tu
hai un modello, come tutti. E poi c’erano altre persone che avevano
altri modelli che erano delle verità per loro, che fossero chiropratici,
osteopati o massaggiatori shiatsu, e tutti avevano un modello
di spiegazione per l’approccio del corpo. E questa è la chiropratica:
mettere a disposizione della persona quello che sai usando le mani.
Una diatriba che sembra non finire mai è quella se sia o meno
una medicina alternativa. Tu cosa ne pensi?
Nessuna medicina è alternativa, tutte le medicine sono complementari
o integrate… Perché io non sono alternativo a una frattura, perché
se c’è una frattura c’è l’ortopedico, mentre se hai problemi alla
sciatica c’è l’ortopedico ma ci sono anch’io. Non è che sono alternativo
a lui, ma ci si integra. Per esempio a Pitigliano è da poco nata
una realtà bellissima, in cui medici di medicina allopatica o ufficiale
lavorano insieme a medici che usano medicine ‘non convenzionali’, e
Espedito De Leonardis con Big Show al Mandela Forum di Firenze
Espedito De Leonardis
55

intuito cose straordinarie. Quella era un’epoca
particolare, in cui c’erano grandi intuizioni
che sono state poi sviluppate dopo: da
Hahnemann con l’omeopatia a Freud con la
psicanalisi. Quello è il periodo nel quale c’è
stato uno sconvolgimento epocale di quello
che era un protocollo a tutti i livelli, con
le intuizioni e le scoperte di grandi uomini.
Secondo me a Palmer non fu resa giustizia,
perché lui parlava di filosofia perché non
avendo a volte cognizioni scientifiche supportava
con il concetto filosofico quella che
era la sua intuizione.
Quale è stato il tuo percorso?
Io parto da casa mia in Puglia e vengo qui
a Firenze per fare l’ISEF. Giocavo a pallacanestro
- a discreti livelli - e faccio l’ISEF, mi
sposo e apriamo una palestra. E abbiamo
tutti i mesi 400 bambine perché facevamo
ginnastica artistica. Eravamo quindi, non
voglio dire bravi, ma conosciuti. In questo
frangente conosco Meersseman, il fratello
di quello del Milan, Geert Meersseman, e
vedo per la prima volta un intervento chiro-
Ancora Espedito De Leonardis con Big Show. Sullo sfondo Eddie Guerrero
De Leonardis durante il giuramento di Ippocrate il giorno della laurea con il Preside
della facoltà
pratico. Sai quando sei folgorato sulla via di Damasco? Mannaggia!
Sicché si crea un’empatia tra me e lui. Nello stesso periodo avevo
già conosciuto Patrizia, che poi è diventata mia moglie, quindi mi
separo e mi iscrivo a Medicina.
Però arrivo a dirle che non era quello che volevo fare, perché quando
sei folgorato e hai un’idea difficilmente ti adatti alle altre. E quindi
consigliato da Meersseman cercai la strada migliore per fare chiropratica.
Avendo avuto già un altro figliolo dall’altro matrimonio,
e per non allontanarmi troppo da lui, mi fermai in Inghilterra, come
primo anno… Però è sempre lo stesso discorso, io avevo un’idea di
chiropratica che non si sposava con quello che mi stavano insegnando,
quella era più fisioterapia che chiropratica. Quindi dopo un anno
andai via e mi diressi negli Stati Uniti. E lì mi si è aperto un mondo,
perché la scuola dove sono stato è una scuola tecnica, scientifica e
filosofica, dove diventavi una specie di medico di base. Cioè dovevi
avere gli strumenti per cui all’occorrenza li potessi usare. Noi face-
vamo minor surgery, e se ti tagliavi imparavi a cucire… ti insegnavano
ad aiutare a partorire. Infatti mio figlio l’ho fatto nascere io.
E quindi tu hai una base scientifica notevolissima; per questo, per
imparare anatomia ho dissezionato quaranta cadaveri. Però era fortemente
filosofica da una parte. Ho avuto tre maestri: uno era Lester
Lahm, il meticcio indiano, un altro Le Fevre quello che ci organizzava
le cliniche e lui diceva sempre “il modo in cui ti alleni è il modo in cui
giochi”, e infine un professore che si chiama Greg Ross che ogni due
anni vedo perché viene in Italia a trovarmi.
Ross mi ha sconvolto, mi ha aperto il mondo, mi ha fatto capire che
c’era l’energia oltre la materia, mi ha fatto capire come l’empatia
per una persona possa fare la differenza e di come le mani sono
uno strumento, come l’ago per l’agopuntura, ma poi sei te che attivi
l’attivatore, cioè se le mani sono l’attivatore sei te che fai la
differenza con la tua capacità e intenzione. Quello che faccio è la
naturale conseguenza di quello che lui mi faceva vedere, mi insegnava…
lui non lo insegnava a scuola… ho avuto la fortuna che
lo ha condiviso con me. L’altra cosa più incredibile è quando inizi a
lavorare e ti rendi conto che tante cose non tornano e che tutti hanno
una chiave d’accesso. Se tu hai un problema e vieni da me forse te lo
risolvo, se vai dall’agopuntore forse te lo risolve, vai dallo psicologo
e forse te lo risolve. Quindi dov’era il segreto? Il segreto era che noi
siamo energia funzionale alle emozioni, noi siamo emozioni, siamo
quello che pensiamo e quello che mangiamo, e il più delle volte
mangiamo in base a come pensiamo. Quindi andai a rivedermi le
cose com’erano e mi resi conto che ogni emozione aveva un organo
target, la rabbia il fegato, la preoccupazione lo stomaco… e ogni
organo ha un distretto muscolare target, un’articolazione, che a loro
volta hanno una chimica di base che sono regolate e correlate dal
meridiano corrispondente. Per cui se sei uno psicologo attraverso
la parola arrivi, se sei un medico attraverso un farmaco arrivi, se
sei un chiropratico, un osteopata, un fisioterapista, lavorando arrivi.
Capito? Se sei un agopuntore ci arrivi comunque perché lavori sull’energia.
E a quel punto questo mi sconvolse letteralmente e cercai di
56 Espedito De Leonardis

capire che diavolo stava succedendo. E lì mi sono
fregato, perché ho cominciato a studiare quando
ho smesso di studiare, e non ho più smesso, perché
cercavo delle risposte, e l’unica che ho trovato era
nell’embriologia. Nell’embriologia ho tutto quello
che faccio ora. Tutti sanno che quando prende un
infarto fa male il braccio sinistro, ma pochi sanno
perché… Perché da un punto di vista embrionale,
cioè quando il bambino si forma, dopo i pre foglietti
germinativi si forma il tubo neurale che diventerà
la colonna vertebrale, e dopo i metameri che diventeranno
le vertebre. Da ogni metamero nasce il viscere,
l’organo, il muscolo, la parte dermatomerica,
e mantengono una specie di memoria embrionale,
cioè quando viene un infarto, quello che si mette in
moto è il vecchio metamero 2 della toracica, e da
lì nasce lo stomaco, la cervicale, il dermatomero
del braccio e il cuore… quindi ci sono molte gastriti
che sembrano delle angine, molte cervicali
che sembrano infarti e molti infarti che sembrano
gastriti. E questa è l’embriologia. Io, ti ripeto, ho
cominciato a studiare quando ho smesso di studia-
Mandela Forum di Firenze: Espedito De Leonardis "interviene" su
Eddie Guerrero
re, e mi si è aperto il mondo a 360° e non mi sono
più fermato. Questo è il mio percorso.
È risaputo che hai lavorato, e lavori tutt’ora,
con sportivi di ogni genere. Da calciatori a lottatori
di wrestling. Quale è stato il paziente a
cui sei più affezionato?
Ad una persona che non c’è più: Eddie Guerrero. La
prima volta che ho lavorato con loro a Firenze, andai
lì al Palazzetto dello sport e non sapevo neanche chi
Il dottor Espedito De Leonardis parla di chiropratica durante un convegno
fossero i lottatori di wrestling. Eravamo negli spogliatoi del Mandela Forum e il primo
che mi mandarono era Big Show, più di 2 metri per 200 chili, non passava dalla porta,
era impressionante; e insieme a lui entrò un signore che disse: “Dottore le dispiace se
sto seduto qui vicino a lei?” con molto garbo. “Ci mancherebbe” risposi.
Così si mise sulle panchine dello spogliatoio e quando venivano le persone lui mi
chiedeva molte cose su quello che facevo, sul perché lo facevo con una curiosità
garbata e interessata; poi smetteva e leggeva un libro.
È stato con me quattro ore, durante le quali tutti venivano a conferire con lui, perché
era il leader indiscusso. Ogni due per tre si assentava e leggeva questo libro.
Partiamo alle 16 si arriva alle 20; dopo quattro ore a parlare della mia vita e del suo
passato poco piacevole, gli chiesi cosa stesse leggendo. Leggeva la Bibbia! Tu lo
vedevi sul palco che faceva il suo show e di lui ti facevi un’idea, ma questa era una
persona di una bellezza straordinaria, di una purezza d’animo…
Ci si lascia e ci si vede, sempre a Firenze, dopo un anno. E lì baci e abbracci, continua
questo sodalizio, questa empatia meravigliosa e ci salutiamo col fatto che loro
dovevano tornare dopo sei mesi a Livorno e ci mettiamo d’accordo: sarebbe tornato
portando anche la sua famiglia e sarebbero stati ospiti in casa nostra. Due giorni
prima di venire a Livorno è morto. Non si è mai capito cosa sia successo.
Non mi crederai ma John Cena, Big Show, tutti questi nottoloni piangevano come
una vite tagliata. Avevano fatto nello spogliatoio un tavolino con un altarino e la sua
foto, le candeline e tutto quanto. Guarda se ci penso mi scappa da piangere anche
ora, e io piangevo con loro, perché è la persona che più di tutti mi ha toccato, perché
era un grande uomo. Davvero.
Il tuo caso più complesso?
Il problema è che non ci sono casi complessi e casi facili, sono tutti dei compromessi
tra quello che tu sai che puoi fare e quello che la persona ha o si può aspettare da te.
Per quanto riguarda i recuperi record mi viene in mente quello di Vincent Laurini, due
anni fa, quando l’Empoli era allenato da Sarri. Aveva questa pubalgia continua, lo
visitai il venerdì e il sabato era in campo. Poi ci sono casi davvero belli, come quello
di un avvocato, una donna che non parla più da dieci anni e in due volte ha ripreso
a parlare.
Ad oggi, in Italia, non esiste alcun percorso di studio riconosciuto nell’ambito
della chiropratica; però, nel 2017 verrà inaugurato a Roma il primo corso
di laurea in Chiropratica organizzato dalla Life University di Marietta. Che sia
un’apertura verso un futuro diverso?
Se così fosse sarebbe una manna dal cielo per la chiropratica, perché la scuola è
l’unico strumento che hai per fare ricerca, perché nessuno di noi ha tempo per fare
ricerca; fare ricerca è della scuola. Io ho attaccato stamani mattina alle 8 e stacco
alle 20, quando ho il tempo di fare ricerca? Per questo spero con tutto il cuore che
vada in porto il progetto.
Espedito De Leonardis
57

Umami, questo sconosciuto
Alla scoperta di un ingrediente “saporito”
tipico della cucina del Sol Levante che ha un
qualcosa di stimolante che intriga il palato
di Elena Maria Petrini
È
l’ora di cena a casa di
Kikunae Ikeda, un
gentiluomo nipponico
un po’ vecchio stampo.
Un signore elegante, occhialini
tondi e baffi brizzolati: è un
docente di chimica all’Università
Imperiale di Tokyo.
Correva l’anno1907. Il professore
sta assaporando un bel brodo
Dashi, una classica specialità
giapponese, fatto con un’alga,
molto usata come ingrediente
nella cucina del Sol Levante,
chiamata Kombu e quella sera,
complice forse anche una certa
dose di appetito, la pietanza gli
Il professor Kikunae Ikeda
sembra particolarmente squisita… ma che cos’è che la rende così
buona?
Il dottor Ikeda comincia a studiare la composizione chimica dell’alga
Kombu e, l’anno successivo, scopre per così dire il “colpevole” ed
è un’autentica illuminazione: riesce infatti ad isolare una sostanza
contenuta nell’alga che non è altro che un sale di sodio dell’acido
glutammico, il glutammato monosodico.
È quello che dava quel delizioso sapore al brodo.
Lo scienziato, non a caso, ribattezza la sua scoperta “Ajinomoto”,
termine azzeccatissimo e translitterabile con qualcosa di simile a
“origine del sapore” o “essenza del gusto”.
Un momento: sapore di cosa?… e che gusto ha?
Ma è logico, è il gusto di Umami, che in lingua giapponese significa
proprio “saporito”, che diviene a pieno titolo uno dei cinque
gusti fondamentali percepiti dai recettori della nostra lingua,
assieme al dolce, salato, amaro ed aspro.
Qualora fosse intuitivo riflettere su qualcosa di dolce o di amaro,
apparentemente lo è un po’ meno pensare a qualcosa di Umami,
anche se questo gusto lo abbiamo tutti da sempre percepito, in
quanto è caratteristico di molti cibi, senza che ce fossimo mai
resi conto.
Di cosa sa l’Umami? Immaginiamo il gusto pieno e complesso di
un dado da brodo, di un estratto concentrato di carne, di una
colatura di alici oppure di una bottarga, ad esempio.
Qualcosa che ha un quid di stimolante, quel “certo non so che”
di appetitoso che non solo intriga il palato ma anche certi nostri
neurotrasmettitori che ci fanno mangiare avidamente un cibo
anche soltanto insaporito con glutammato; che “se non ti lecchi
le dita, godi solo a metà”; che, finché non è finito il sacchetto,
non si riesce quasi a smettere di mangiare (“e per fortuna che ne
ho prese due confezioni!” )…
Che poi faccia male o meno...i pareri sono molto discordanti.
Insomma il gusto Umami, generato dal glutammato monosodi-
Riso Vialone Nano agli agrumi con crudo di tonno, gambero e granella di pistacchio
58 Umami

contengono, per natura, il sale di sodio dell’acido glutammico.
Ecco perché, allora, una cipolla che rosola o un aglio che imbiondisce
nell’olio extra vergine, solo dal profumo ci fanno già venire l’acquolina
in bocca; ecco perché una semplice fetta di pane fresco con
burro ed acciughe, oppure con salsa tonnata, ci stuzzica solo all’idea;
ecco perché un’abbondante spolverata di formaggio Parmigiano
rende tutto così gustoso, magari su una bella salsa di pomodoro
ristretto a condimento di un italianissimo e fumante piatto di spaghetti
(“al dente”, neanche a dirlo!)…
co, si potrebbe presentare attraverso uno slogan esilarante, dicendo
che a tutti gli effetti: “titilla la papilla”!
Oggi, il glutammato è prodotto industrialmente (esaltatore di sapidità
E621), ma è anche contenuto naturalmente in diversi cibi, non solo di
origine vegetale, ma anche carni, pesci, formaggi, funghi e… alghe,
che per ora da noi non sono molto diffuse, essendo considerate in
La pizzeria del ristorante Don Fefé di Firenze
Per non parlare poi di quell’altra gloria nazionale, col tempo trasformatasi
in un autentico ed “ecumenico” piatto mondiale, che è la
pizza, diffuso ed amato a livello ormai planetario. Perché soddisfa il
palato in un modo quasi scandaloso?
Allora guardiamo con attenzione un po’ di ingredienti a caso, impiegati
per alcune delle sue infinite versioni: funghi, scamorza, peperoni,
salsa di pomodoro, acciughe, aglio, salamino piccante, mozzarella,
frutti di mare, cipolle, pomodorini, tonno, scaglie di formaggio
Grana… e senza contare l’appagamento generato dal carboidrato
che ne costituisce la base di pasta fresca.
Ebbene, questi componenti sono tutti formidabili propulsori del “saporito”,
cibi capaci di propagare l’”essenza del gusto” letteralmente
come se piovesse!
Tutto chiaro adesso?
Ora, dunque, non ci resta altro da fare che “scatenare” a più non
posso tutto l’Umami possibile e immaginabile, per poi andarcelo a
gustare in santa pace da qualche parte, o come avrebbe detto entusiasta
il buon professor Ikeda: “Itadakimas!”.
Europa un po’ troppo esotiche.
Forse, tra un Sushi e un Sashimi… vedremo se diventeranno famose.
Tornando a noi, variegate genti sparse sulla penisola, pronti con tutta
la buona volontà ad addentrarci in esperienze culinarie anche estreme,
in fondo siamo - per fortuna o purtroppo - molto tradizionalisti in
fatto di buona tavola, e così per rimanere a casa nostra, finiremo per
scoprire che di Umami ne masticavamo (e scusate il bisticcio) già da
un sacco di tempo: infatti, molti degli ingredienti di altrettanti piatti
nostrani, sono in grado di “scatenare” il gusto dell’Umami, poiché
Via Giuseppe La Farina, 29 - 50132 Firenze
Telefono: 055 576763
Umami
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Franco Carletti
Fantasioso e versatile. L'artista senese
mai scontato e ripetitivo, moderno ed
al passo con i tempi
di Lucia Raveggi
Nato nel 1954 a Gaiole in Chianti (Siena), vive e lavora a
Siena. Laureato in Giurisprudenza, collaboratore di un
noto studio notarile da oltre venti anni, ha iniziato a
dipingere da giovanissimo spinto dalla sua insegnante
pittrice che lo ha seguito anche dopo gli studi.
Gli impegni professionali assorbono la maggior parte del suo tempo
e solo da alcuni anni ha potuto dedicarsi con continuità alla pittura.
L'incontro con Mario Meozzi, critico d'arte e presidente dell'Associazione
culturale La Tavolozza di Pontedera, e con il pittore Daniele
Bacci hanno spinto l'artista ad esporre i suoi lavori ed a redigere un
primo catalogo contenente le prime opere più significative.
"Una piena immersione nel paesaggio", intitola Mario Meozzi la sua
nota critica all'artista.
Spoleto Arte incontra Venezia: Franco Carletti con il professor Sgarbi, 2016
Dalle pietre al tufo, 2016, acrilico su tela, cm. 50x40
La sua pittura, che porta avanti con passione, non è più per lui una
attività saltuaria ma impegno costante e meditato rivolto alla contemplazione
della realtà e alla sua poetica trasformazione.
Carletti è giunto alla pittura attuale, proseguendo nella sua ricerca,
sulla traccia di un figurativo moderno che tuttavia affonda le sue
radici nella migliore tradizione coloristica. Ne sono testimonianza la
continua mutabilità delle tecniche che hanno caratterizzato il suo
lungo percorso. Si tratta di un arricchimento necessario, e di una illuminata
liberazione dalle fatiche del quotidiano.
Visioni espresse con essenzialità, aspetti del paesaggio e della na-
Sulla strada per Volterra, 2016 acrilico su tela, cm. 40x50
60 Franco Carletti

A rainfall of light, 2012, acrilico su tela, cm. 30x30
alla loro purezza. Grazie alla collaborazione con il professor Luca Filipponi,
presidente di Spoleto Art Festival, e con la direttrice artistica
Paola Biadetti, ha potuto esporre le proprie opere in prestigiose sedi
nella città di Spoleto con mostre personali e collettive in occasione
dello Spoleto Meet Art Due Mondi presentando un nuovo catalogo
delle sue opere curato dallo stesso Spoleto Art Festival.
L'artista riprende la grande tradizione figurativa toscana mettendo
dei tocchi da una parte fortemente originali e dell'altra dichiaratamente
e volutamente innovativi frutto delle sue ricerche e sperimentazioni.
Sta in questa sintesi semplice, ma nello stesso tempo molto complessa,
l'arte contemporanea di Franco Carletti "tradizione e rinnovamento".
Il contesto dell'opera d'arte rimane con questo artista
molto attrattivo al pubblico anche per la presenza di ottimi abbinamenti
cromatici mai banali che trasmettono una piacevole sensazione
estetica.
Franco Carletti appartenente all'associazione Artisti Liberi Indipendenti
di Siena nonché socio dell'associazione Toscana Cultura, lo
troviamo oggi presente in numerosi manifestazioni culturali, spesso
Fotografando al sito transitorio, 2016, acrilico su tela, cm. 60x30 Carletti a "Maestri a confronto", Spoleto 2016
Eclissi di luna, 2015, olio su tela, cm. 40x50
affiancato dalle interviste di Fabrizio Borghini, a Pisa, a Lucca, a
Siena, al Museo Guidi di Forte dei Marmi, a Pietrasanta alla Galleria
Il Cesello.
L'artista ha ricevuto in breve tempo importanti riconoscimenti da
autorevoli critici del mondo dell'arte in occasione della partecipazione
alle mostre tenute a Londra (London Calling), a Rio de Janeiro (Rio
Arte), a Sanremo, a Venezia (Spoleto Arte incontra Venezia curata da
Vittorio Sgarbi), a Firenze (Contemporanei agli Uffizi) ed in questi
giorni a Miami (Miami incontra Milano).
Risveglio, 2014, acrilico su tela, cm. 50x40
tura, figure femminili, composizioni floreali ed altro, tutte opere incentrate
sul colore e realizzate con determinazione. Opere piacevoli,
pervase da un sottile senso romantico, specie le vedute marine e i
paesaggi silenti dal tono equilibrato, in un'impronta di singolare efficacia,
dove il gioco delle luci si realizza con motivi e accostamenti
sempre nuovi. Pittura che riflette coerentemente il carattere aperto
e socievole dell'artista, che procede a passi meditati, scelti a liberare
le cose dal loro peso, a ridurle alla loro essenza, al loro profumo,
Soli in riva al mare, 2015, acrilico su tela, cm. 60x30
www.francocarletti.it - francocarletti54@gmail.com
Facebook: Franco Carletti Art Siena
Franco Carletti
61

Civiltà agropastorale
Il 5 novembre si è tenuto alla Villa di Cintoia
a Greve in Chianti l'interessante convegno
di Elena Maria Petrini
Il cinque novembre è finalmente arrivato, e l’evento sulla civiltà
agropastorale prima di Roma e l’incontro tra due civiltà:
Etrusca ed Italica, si è svolto nella Villa di Cintoia a Greve in
Chianti, di proprietà di Francesco Calamai, ma gestita dalla
società Chiantishire. Protagonisti di questo evento sono stati due libri
molto interessanti presentati dal giornalista della Nazione Paolo
Pellegrini: “Viteliù. Il nome della libertà” di Nicola Mastronardi (giornalista,
accademico dei Georgofili, collaboratore di Linea Verde Rai1
da molti anni), il primo romanzo storico sulla epopea italica, edito da
Itaca Edizioni. Una novità nel panorama letterario perché racconta la
storia per la prima volta dalla parte dei popoli italici, in particolare
Foto di Alessandro Sicuro
Tintilia unito alla liquorizia e marasca.
Abbiamo consigliato alcuni percorsi gustativi con abbinamenti tra
questo meraviglioso vino, Viteliù, ed il caciocavallo di Agnone
dell'Azienda Di Nucci Antonio e Franco, ma io l'ho trovato ideale
anche per i salumi di cinta e grigio casentinese della Macelleria Fracassi.
Prima di passare alle altre degustazioni vorrei parlare del piacere
avuto nell'ascoltare il professor Roberto Barale dell’Università di
Pisa, Dipartimento di Biologia, Sezione Genetica, che ha illustrato
con taglio scientifico i percorsi sensoriali del gusto, oltre ad eseguire
un test davvero interessante e stimolante per la conoscenza delle
Elena Maria Petrini con Gianni Aquila di Speranza Futura
Onlus durante la presentazione dei libri
Il giornalista della Nazione Paolo Pellegrini, Elena Maria Petrini e
gli autori Alessandro Sarti e Nicola Mastronardi
I sommelier FISAR mentre propongono le
bollicine delle due aziende dell'aperitivo,
Tenuta Maiano e Colle Bereto
sanniti e marsi.
Mentre il secondo “Il Bardiccio! Non fatevi infinocchiare” di Alessandro
Sarti (scrittore ed ex assessore alla cultura del Comune di
Pontassieve) Edizioni Polistampa, narra la storia di un insaccato tipico
toscano. Dal disegno in copertina di Sergio Staino, si intuisce che
è una sorta di salsiccia; prodotto povero a base di parti suine meno
pregiate, come cuore, polmoni, fegato e altro ancora, ingentiliti dal
finocchio selvatico. Questo libro ha già ricevuto un premio importante
"Segnalato Giubbe Rosse" che è stato consegnato pochi giorni fa
dal Presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani, che ha partecipato
al convegno di Cintoia.
Invece la new entry sul vino chiamato come il libro omonimo, Viteliù
dell'enologo Valentino Cirulli di Ficulle in provincia di Terni, è stato
presentato dal sommelier Ais Maurizio Tafani, che fa parte dello
staff del catering Lo Scalco di Sandro Baldi di Firenze.
Questo vino, a suo dire, è la sintesi del territorio sannitico; la scelta
delle uve infatti proviene da tre territori diversi: dalla Campania per
l'Aglianico, dall'Abruzzo per il Montepulciano e dal Molise per la
Tintilia. Una vinificazione separata e successivo assemblaggio e 18
mesi di affinamento in legno. L'enologo, proprietario dell'Azienda,
Valentino Cirulli, è stato in grado di tenere ben distinte le caratteristiche
dei tre vitigni che ritroviamo nel bicchiere, come la forza
dell'Aglianico, il tannino dolce del Montepulciano e il colore della
proprie capacità sensoriali.
L'aperitivo ha dato avvio alla seconda parte del convegno dove abbiamo
potuto degustare due “bollicine” rosate toscane delle aziende
Colle Bereto (pinot in purezza) e Tenuta Maiano (Malvasia nera), entrambi
bio, abbinati a tartine e dry snack. È seguito un ricco buffet
del catering Lo Scalco, che ha visto l'alternarsi di abbinamenti ai vini
delle aziende sponsor, come la ribollita, la zuppa di ceci con i vini
dell'Azienda Le Vigne - Fulghesu, oltre al Carbonaione dell'Azienda
Poggio alle Scalette della famiglia dell'enologo di fama internazionale
Vittorio Fiore, che abbiamo abbinato anche alla battuta di chianina
al coltello della Macelleria Fracassi; mentre per il Bardiccio
della Macelleria Fabbrini, abbiamo scelto l'altro vino molisano: Opalia,
una Tintilia in purezza creato da Antonio Valerio, proveniente da
un'unica vigna in località Miranda, nel comune di Pesche in provincia
di Isernia. La Tintilia di Campi Valerio si differenzia da tutte le altre
Tintilie per il colore, per la potenza dell'alcol, lasciando spazio alla
freschezza ed alla complessità della frutta matura in prevalenza a
bacca nera, dove si ritrovano sentori di liquorizia e vaniglia. Ottimo
anche con i salumi della macelleria di Simone Fracassi. Si è rivelato
sorprendente, invece, in abbinamento con i prodotti al cioccolato
della Pasticceria Aquila di Andrea, Leonardo, Gessica e Laura. Con la
loro pasticceria secca abbiamo assaggiato questo nettare: Zoli
dell'Azienda Le Vigne Fulghesu, un moscato strepitoso!
62 Civiltà Agropastorale

Oltre alla degustazione del vino, grande importanza va data all'unico
olio sponsor che abbiamo abbinato alla ribollita, zuppa di ceci ed alla
battuta di chianina al coltello della Macelleria Fracassi, per l'eccellenza
dell'olio Exentia gocce d'oro
dell'Azienda Matrix srl di Giovanni Donnini,
selezione delle olive della Fattoria
Paiatici condotta da Marcellina Tussardi
Donnini, che ha ricevuto molti premi internazionali,
già nel 2013-2014 e come
quello ricevuto a maggio 2016 la Gold
Medal Award all'Olive Japan, International
extra Virgin olive oil competition,
un riconoscimento per questo oro liquido
da numero uno!
Una selezione di questo olio è stato donato
alla principessa Hisako cugina
dell'imperatore giapponese; e lo possiamo
trovare presso i ristoranti stellati
come La Tenda Rossa a Cerbaia, PS di
Stefano Pinciaroli, Pavarotti and Friends
a St. Moritz e a La Palma a Capri, oltre
zone di produzione del Chianti, del Pomino, del Valdarno di Sopra e
del Carmignano.
Il bando costituisce uno dei primi esempi al mondo di delimitazione
di zona di origine dei vini in chiave moderna e trae origine da una
lunga serie di esperienze commerciali che avevano ormai consolidato
il valore qualitativo dei prodotti enologici di quei territori. Nello
stesso periodo storico in ambito europeo si gettano le fondamenta
per la nascita di denominazioni destinate a posizionarsi ai vertici
dell’enologia mondiale.
Si è creata, quindi, sinergia tra associazioni, autorità, cone il Sindaco
di Greve in Chianti, Paolo Sottani, il Presidente del Consiglio Regionale,
Eugenio Giani, il magnifico rettore Paolo Blasi, docenti
dell’universitá di Firenze, medici ed altri professionisti non solo del
settore enogastronomico, per una finalità benefica a favore della
realizzazione di un dispensario medico infantile in Madagascar che,
come riporta l'architetto Gianni Aquila, presidente dell'associazione
Speranza Futura Onlus, ancora oggi registra una mortalità infantile
elevata. Questo bellissimo evento è stato possibile realizzarlo attraverso
il contributo delle aziende agroalimentari Tenuta Maiano, Colle
Bereto, Podere Poggio alle Scalette, Campi Valerio, Cirulli Viticoltori,
Le Vigne Fulghesu, Matrix srl, Podere i Bassi, La Peperita, Fisar,
Le insalate Salanova dell'azienda
Podere i Bassi, con la
battuta di chianina al coltello
ed salumi della Macelleria Fracassi
e nello sfondo l'olio Exentia
gocce d'oro dell'Azienda
Matrix srl di Giovanni Donnini
Da destra, il presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Eugenio
Giani, il sindaco di Greve in Chianti, Paolo Sottani, uno dei
più stimati enologi a livello mondiale, Vittorio Fiore con la moglie e
fra loro Elena Maria Petrini
che essere stato inserito
nella guida 2016 Flos
Olei di Marco Oreggia
che raccoglie i migliori
450 oli del mondo. Le insalate
dell'Azienda Podere
i Bassi, la salanova
che col loro seme olandese,
con aspetto floreale
e molto decorativo sono state condite oltre che con l'oro liquido di
Matrix Srl anche con la salsa "chili secret" (peperoncino, sale marino,
aceto di mele, curcuma, pepe e limone tutti bio) ed altri insaporitori
dell'Azienda La Peperita di Bibbona.
Abbiamo poi approfondito le tematiche promosse dall'Associazione
Culturale Arkiwine - Taste Architecture, sui risvolti salutistici del
cibo e della nutraceutica, con la nutrizionista Valentina Guttadauro,
che ha raccontato quanto il cibo possa avere un effetto benefico per
l'organismo se impariamo ad utilizzarlo nelle giuste modalità, l’analisi
sensoriale, con l’intervento dell’aromatiere e direttore scientifico
dell’AIRO Donato Creti, oltre all’importanza degli abbinamenti cibovino
coordinati dalla FISAR con il relatore Giampaolo Zuliani e con il
vicepresidente nazionale Filippo Franchini; infine, Giuseppe Pandolfo,
relatore ANAG, Assaggiatore Nazionale Grappe ed Acquaviti,
che ha fatto conoscere l'importanza della degustazione e deliziato
con abbinamenti dei distillati dell'Azienda Bonollo con la cioccolata
della Pasticceria Aquila di Scandicci.
Un plauso ai sommelier Fisar per la grandissima professionalità dimostrata
durante tutto il servizio, in supporto al buffet del catering
Lo Scalco. Da sottolineare l’importanza del territorio dove si è svolto
il convegno; qui, il Granduca Cosimo III de' Medici, per la prima volta,
ha disciplinato e individuato, col Bando del 24 settembre 1716, le
Elena Maria Petrini insieme a Simona Albini di Damiani e Fabio Giannarini
di Banca Mediolanum
Elena Maria Petrini mentre presenta al pubblico Nicola Mastronardi
architetto Francesca Finocchi, Bonollo, Macelleria Fracassi, Macelleria
Fabbrini, Di Nucci, Pasticceria Aquila, Anag, Janax, ma anche
Damiani che ha esposto i suoi meravigliosi gioielli in luminose vetrine
collocate in una saletta esclusiva, l’azienda Legend, che realizza
costruzioni in legno ad alta tecnologia impiantistica e domotica, Fabio
Giannarini Global Family Banker di Banca Mediolanum, a Carrozzeria
Primavera di Firenze...e non solo, anche service meccanica e
centro gomme per le principali case automobilistiche (Ferrari, Maserati,
Toyota, Alfa Romeo, Fiat, BMW, Audi...), due imprese edili, Carlo
Corsi ed Edilvivoli, Toscana Cultura, Chiantishire Spa e Speranza
Futura Onlus.
Civiltà Agropastorale
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