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Stranieri barbari migranti Storia

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Quando gli stranieri eravamo noi.<br />

Veneziani nell’impero ottomano<br />

(xv-xvii sec.)<br />

Vera Costantini<br />

«[…] durante il viaggio, e soprattutto passando per luoghi temibili<br />

e perigliosi, possa portare, a protezione propria, abiti da musulmano,<br />

turbante e armi da guerra, di modo che non abbia a subire molestia».<br />

Così scriveva il sostituto del Pascià di Sarajevo, Ibrahim, in un<br />

salvacondotto rilasciato al dragomanno [interprete] Giovan Battista Salvago,<br />

in viaggio da Istanbul a Venezia nella primavera del 1645. Come<br />

specifica lo stesso testo qualche riga prima, il dragomanno, che si recava<br />

a Venezia per prelevare il nuovo bailo [capo della colonia veneziana<br />

con funzioni diplomatiche e consolari] e scortarlo fino alla sua sede<br />

diplomatica, aveva con sé un altro lasciapassare, emesso dalla cancelleria<br />

imperiale, nel quale il sultano chiedeva alle autorità amministrative<br />

e militari competenti della tratta che separava la capitale dalla costa<br />

balcanica occidentale di proteggere il viaggiatore e, tramite lui, la sua<br />

funzione, che acquisiva tanta più importanza quanto più si avvicinava<br />

l’inizio delle ostilità che avrebbero opposto l’Impero ottomano alla<br />

Repubblica di Venezia per il possesso dell’isola di Candia. Questo<br />

salvacondotto consente di sollevare numerose questioni.<br />

Opportunamente contestualizzate, queste si possono articolare in<br />

una proposta di trattazione del tema suggerito dal titolo della conferenza<br />

cui si ispira il breve scritto che segue.<br />

Innanzi tutto: perché un’autorità provinciale reiterava un ordine<br />

imperiale? Il territorio della Bosnia ottomana, che si stendeva su uno<br />

spazio assai più ampio degli attuali confini dell’omonima nazione,<br />

era compreso nei termini geografici espressi dal firmano [decreto reale]<br />

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