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ELECTRO DA STADIO<br />
Incontro Dave Gahan a Berlino, metà<br />
marzo. Inizia da qui – con la fila di<br />
interviste in hotel accanto alla stazione<br />
Zoo e un miniconcerto per la tv alla<br />
Funkhaus – la promozione di Spirit e<br />
del tour mondiale “Global Spirit”. Più<br />
di un milione di biglietti già venduti,<br />
allestimento visivo firmato dal vecchio compagno<br />
di viaggio Anton Corbijn, 22 pezzi<br />
in scaletta (5 dal disco nuovo) e un doppio<br />
climax: Never Let Me Down Again alla fine<br />
della prima parte, Personal Jesus a chiudere<br />
i bis. Uno scherzetto che li terrà impegnati<br />
per qualcosa come un anno e mezzo. «Ci abbiamo<br />
messo parecchio tempo a fare il disco<br />
e sono curioso di sapere come sarà tornare<br />
a fare concerti, stare su un palco», mi dice<br />
Gahan. Sembra sincero. Aggiunge: «Di solito,<br />
verso la fine dei tour, hai voglia soltanto<br />
di tornare a casa. Io tornerò a casa alla fine<br />
della prossima estate. Poi ci sarà qualcosa di<br />
nuovo da fare e questa è la cosa bella della<br />
vita, no? Non sai mai cosa ti aspetta dopo».<br />
È piccolo di statura, gentile nei gesti. Ride<br />
spesso. La voce appena arrochita dal concerto<br />
della sera prima è più morbida e alta<br />
del registro di baritono dark che usa nei dischi.<br />
Fu una sera d’aprile del 1980 che ebbe<br />
il posto nei Depeche Mode. Cantava Heroes<br />
di David Bowie in una sala prove di Basildon<br />
e reggeva bene il salto di ottava che<br />
ti lancia nell’ultima melodrammatica strofa:<br />
“Standing by the Wall”, in piedi davanti al<br />
Muro. «Bowie ha avuto un’influenza enorme<br />
su di me, da ragazzo», ricorda ora. «Ho<br />
imparato a cantare, a essere un’artista, a<br />
scrivere canzoni nello stesso modo in cui lo<br />
faceva lui». Trentasette anni dopo, Heroes<br />
tornerà a sorpresa ogni sera verso la fine<br />
della scaletta dei concerti del “Global Spirit<br />
Tour”. In una versione rispettosissima<br />
dell’originale, intimidita quasi. La chitarra<br />
di Martin Gore si arrampica sull’intreccio<br />
inventato (una notte, proprio qui a Berlino)<br />
da Robert Fripp, mentre un’enorme bandiera<br />
sventola sul grande vidiwall, in bianco<br />
e nero. Nell’ultima strofa, quella difficile,<br />
la voce di Gahan è appena sostenuta dal<br />
pulsare di un sequencer.<br />
«Dopo aver finito il disco abbiamo fatto un<br />
piccolo concerto all’High Line Park di New<br />
York, una performance ripresa dalle telecamere<br />
senza pubblico, di fronte ai tecnici e a<br />
qualche amico. Lì ho fatto Heroes la prima<br />
volta. È venuta bene, molto bene. Ho sentito<br />
la registrazione, ma non ho ancora visto le<br />
immagini, prima o poi le faremo uscire»,<br />
racconta. Vivendo a New York, le strade di<br />
Gahan e quelle di Bowie si erano incrociate<br />
più di una volta. All’High Line Park, Bowie<br />
faceva il direttore artistico di un festival al<br />
quale i Depeche Mode avevano partecipato.<br />
Le figlie piccole di entrambi i musicisti<br />
frequentavano la stessa scuola. «Non sono<br />
mai riuscito a dirgli quanto aveva contato<br />
per me, e quanto contava ancora la sua<br />
musica», aggiunge ora Dave Gahan. E tace<br />
per pudore l’enorme emozione provata nel<br />
cantare di nuovo quella canzone. Accetta<br />
di spiegarcela così: «È una canzone piena di<br />
immagini. E di immaginario: il Muro, Berlino...<br />
Per me è una delle canzoni<br />
che dentro hanno più speranza.<br />
La metto nella stessa categoria<br />
di Imagine di John Lennon. È<br />
quasi la stessa canzone, quando<br />
descrive quest’idea: c’è alienazione,<br />
ci sono differenze, ma c’è<br />
la possibilità di essere eroi per<br />
un giorno solo. Cioè, forse possiamo<br />
farcela a stare assieme. Io<br />
la interpreto così, sempre allo<br />
stesso modo: è attuale e ha ancora la stessa<br />
forza di quando è uscita».<br />
Tra il 1983 e il 1986, all’inizio della loro<br />
lunghissima storia, i Depeche Mode mixarono<br />
tre album agli Hansa Studios. Proprio<br />
quelli dove Bowie cantò Heroes, nella grande<br />
Meistersaal dalla quale si vedeva il Muro che<br />
allora era ancora in piedi. «Tante canzoni<br />
di David Bowie hanno a che fare con l’alienazione,<br />
con il crearsi un altro personaggio<br />
per vivere attraverso di lui. Da quel che ho<br />
capito, Bowie è sempre stato un personaggio<br />
molto più che una rockstar. E anche il mio<br />
compito con i Depeche Mode è sempre stato<br />
quello di mettere un personaggio umano di<br />
fronte alla freddezza dello sfondo», spiega.<br />
Allora si trasferirono tutti per brevi periodi<br />
a Berlino Ovest. Appena 20enni, immersi<br />
nel tempo sospeso della città, tra la macerie<br />
della storia e una vita notturna scatenata,<br />
stavano alloggiati all’Intercontinental Hotel<br />
di fronte allo Zoo, a pochi passi da dove si<br />
svolge quest’intervista. Incrociavano Nick<br />
Cave e gli Einstürzende Neubauten. Avevano<br />
facce da bambini, dicevano di fare<br />
“pop sperimentale” (curioso ossimoro per i<br />
tempi), scrivevano testi di sinistra, usavano<br />
gli strumenti elettronici come apprendisti<br />
futuristi. Girarono il video di Stripped prendendo<br />
a martellate carcasse di macchine a<br />
due passi dal Muro e dagli Hansa Studios.<br />
Delle canzoni che furono mixate a Berlino e<br />
ritornano nella scaletta del “Global Spirit” c’è<br />
Everything Counts: “La mano che arraffa / arraffa<br />
quel può / tutto per lorsignori, dopotutto”.<br />
E c’è Stripped, con quella polarità naïf tra il<br />
fumo della metropoli e il verde dei prati. Un<br />
buffo slogan: “Prendi una decisione / senza televisione<br />
/ Voglio sentirti parlare / soltanto per<br />
me”. Qui traduco letteralmente<br />
IN GIRO<br />
i testi, ma erano tutte canzoni<br />
scritte usando le sole tinte primarie<br />
per usare una metafora da<br />
pittori. «L’elettronica può essere<br />
molto fredda», continua Dave<br />
Gahan. «Noi abbiamo dovuto<br />
affrontare parecchie critiche,<br />
perché non usavamo strumenti<br />
tradizionali. A dire il vero, per<br />
me gli strumenti non sono mai<br />
stati così importanti, forse lo sono stati per<br />
Martin, ma per me l’importante era l’energia<br />
che sapevamo mettere nelle registrazioni<br />
e nei concerti. Poi 20 anni fa, a partire da<br />
Violator, abbiamo cominciato a usare molti<br />
strumenti tradizionali come la chitarra elettrica.<br />
Da allora l’elettronica viene usata in<br />
ogni genere di registrazione, non c’è niente<br />
di strano. Ma prima era strano».<br />
Passando attraverso la techno di Detroit<br />
– Derrick May e Kevin Saunderson li adoravano<br />
–, i Depeche Mode (almeno quanto i<br />
Kraftwerk) sono stati i primi sperimentatori<br />
del suono nel quale la musica pop è immersa<br />
da almeno 30 anni. Chiedo a Gahan per<br />
curiosità cosa pensa di tutto l’autotune<br />
che si sente in giro oggi, se lui – o il suo<br />
“personaggio” lo userebbero: «Ah, se ce ne<br />
PER IL MONDO<br />
I Depeche Mode<br />
sono impegnati<br />
in un tour mondiale.<br />
In <strong>Italia</strong> arrivano<br />
il 25 giugno a Roma,<br />
il 27 a Milano<br />
e il 29 a Bologna.<br />
FOTO MICHAEL CAMPANELLA/REDFERNS<br />
68 ROLLING STONE_GIUGNO <strong>2017</strong>