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FOTO ALESSANDRO TREVES<br />
vantaggio». Ha iniziato a scrivere canzoni a<br />
11 anni, ma in tutta l’adolescenza ne avrà finite<br />
una manciata. Il problema erano soprattutto i<br />
testi. Non riusciva a trovare le parole giuste,<br />
perciò si concentrava sempre più sulla musica.<br />
«È perché non sono un grande lettore,<br />
ho sempre preferito suonare il piano». Il suo<br />
primo software per produrre l’ha trovato<br />
dentro una scatola dei cereali. Era la sorpresa<br />
in regalo con la confezione, roba davvero<br />
da principianti che, però, ha avvicinato per<br />
la prima volta Sampha ai computer, anche<br />
grazie al primo abbozzo di studio che gli ha<br />
costruito uno dei fratelli. Quando parla della<br />
famiglia, sul suo viso è stampato un sorrisone<br />
che racconta più cose di quante ne dicano<br />
le parole. Ma non dura a lungo. Per parlare<br />
di Process, il suo album di esordio da solista<br />
uscito lo scorso febbraio dopo un paio di EP<br />
di riscaldamento, bisogna necessariamente<br />
passare per il momento più tragico della sua<br />
vita. «Ho cominciato a scrivere i primi pezzi<br />
del disco in un momento di transizione. Inevitabilmente,<br />
Process affronta la malattia e poi la<br />
perdita di mia madre», dice. La musica in quel<br />
momento è stata per lui non solo la via di fuga<br />
da una realtà inaccettabile, ma anche un modo<br />
per riposare quella capocciona piena di dread<br />
sparati in aria. Process è un luogo malinconico,<br />
per quanto non parli esclusivamente di perdita.<br />
Un giornalista inglese in una recensione ha<br />
definito “ferita” la voce di Sampha. Lui non è<br />
molto d’accordo, ma in ogni caso riconosce che<br />
ogni cantante soul che si rispetti ha alle spalle<br />
qualcosa da dimenticare. E per dimenticare,<br />
saggiamente, Sampha canta. «Ho realizzato<br />
che per processare, per metabolizzare i traumi,<br />
a volte bisogna solo parlarne», spiega. Ora non<br />
lo spaventa più nulla, a parte forse «l’eventualità<br />
di fallire». Ci è voluto tempo per capirlo e<br />
soprattutto coraggio per farlo, specie per una<br />
persona così timida come lui. Siamo seduti<br />
uno di fronte all’altro e qualche volta fatica a<br />
guardarmi negli occhi. Ma risponde sempre<br />
con grande limpidezza anche quando gli chiedi<br />
se ha cattive abitudini. «Oh, eccome se ne ho!»,<br />
mi risponde. Dalla foga con cui lo dice uno<br />
pensa subito alla droga o peggio, ma poi vien<br />
fuori che le sue cattive abitudini consistono<br />
nell’andare a letto tardi, non richiamare le<br />
persone e nell’essere troppo goloso (e un po’<br />
si vede), anche di cibi italiani. Probabilmente,<br />
metà dei “vizi” è colpa della vita frenetica che<br />
ormai si è sostituita a quella di una volta. Sampha<br />
è appena tornato dalla Sierra Leone, dove<br />
ha girato un cortometraggio con Apple Music.<br />
Si intitola come l’album, ma non vuole esserne<br />
lo spot, né tanto meno la versione video come<br />
Interstella 5555 lo è di Discovery dei Daft Punk.<br />
Non è nemmeno un documentario, perché i<br />
dialoghi sono ridotti al minimo. «Si basa sulla<br />
mia vita, ma vuole tenere al centro dell’attenzione<br />
la diaspora dei migranti e, in parte, il<br />
disco. Una delle poche voci che si sentono è<br />
quella di mia nonna che parla in sierraleonese»,<br />
ci ride su. «Ovviamente coi sottotitoli». RS<br />
ROLLING STONE_GIUGNO <strong>2017</strong> 83