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Rolling_Stone_Italia__Giugno_2017

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FOTO ALESSANDRO TREVES<br />

vantaggio». Ha iniziato a scrivere canzoni a<br />

11 anni, ma in tutta l’adolescenza ne avrà finite<br />

una manciata. Il problema erano soprattutto i<br />

testi. Non riusciva a trovare le parole giuste,<br />

perciò si concentrava sempre più sulla musica.<br />

«È perché non sono un grande lettore,<br />

ho sempre preferito suonare il piano». Il suo<br />

primo software per produrre l’ha trovato<br />

dentro una scatola dei cereali. Era la sorpresa<br />

in regalo con la confezione, roba davvero<br />

da principianti che, però, ha avvicinato per<br />

la prima volta Sampha ai computer, anche<br />

grazie al primo abbozzo di studio che gli ha<br />

costruito uno dei fratelli. Quando parla della<br />

famiglia, sul suo viso è stampato un sorrisone<br />

che racconta più cose di quante ne dicano<br />

le parole. Ma non dura a lungo. Per parlare<br />

di Process, il suo album di esordio da solista<br />

uscito lo scorso febbraio dopo un paio di EP<br />

di riscaldamento, bisogna necessariamente<br />

passare per il momento più tragico della sua<br />

vita. «Ho cominciato a scrivere i primi pezzi<br />

del disco in un momento di transizione. Inevitabilmente,<br />

Process affronta la malattia e poi la<br />

perdita di mia madre», dice. La musica in quel<br />

momento è stata per lui non solo la via di fuga<br />

da una realtà inaccettabile, ma anche un modo<br />

per riposare quella capocciona piena di dread<br />

sparati in aria. Process è un luogo malinconico,<br />

per quanto non parli esclusivamente di perdita.<br />

Un giornalista inglese in una recensione ha<br />

definito “ferita” la voce di Sampha. Lui non è<br />

molto d’accordo, ma in ogni caso riconosce che<br />

ogni cantante soul che si rispetti ha alle spalle<br />

qualcosa da dimenticare. E per dimenticare,<br />

saggiamente, Sampha canta. «Ho realizzato<br />

che per processare, per metabolizzare i traumi,<br />

a volte bisogna solo parlarne», spiega. Ora non<br />

lo spaventa più nulla, a parte forse «l’eventualità<br />

di fallire». Ci è voluto tempo per capirlo e<br />

soprattutto coraggio per farlo, specie per una<br />

persona così timida come lui. Siamo seduti<br />

uno di fronte all’altro e qualche volta fatica a<br />

guardarmi negli occhi. Ma risponde sempre<br />

con grande limpidezza anche quando gli chiedi<br />

se ha cattive abitudini. «Oh, eccome se ne ho!»,<br />

mi risponde. Dalla foga con cui lo dice uno<br />

pensa subito alla droga o peggio, ma poi vien<br />

fuori che le sue cattive abitudini consistono<br />

nell’andare a letto tardi, non richiamare le<br />

persone e nell’essere troppo goloso (e un po’<br />

si vede), anche di cibi italiani. Probabilmente,<br />

metà dei “vizi” è colpa della vita frenetica che<br />

ormai si è sostituita a quella di una volta. Sampha<br />

è appena tornato dalla Sierra Leone, dove<br />

ha girato un cortometraggio con Apple Music.<br />

Si intitola come l’album, ma non vuole esserne<br />

lo spot, né tanto meno la versione video come<br />

Interstella 5555 lo è di Discovery dei Daft Punk.<br />

Non è nemmeno un documentario, perché i<br />

dialoghi sono ridotti al minimo. «Si basa sulla<br />

mia vita, ma vuole tenere al centro dell’attenzione<br />

la diaspora dei migranti e, in parte, il<br />

disco. Una delle poche voci che si sentono è<br />

quella di mia nonna che parla in sierraleonese»,<br />

ci ride su. «Ovviamente coi sottotitoli». RS<br />

ROLLING STONE_GIUGNO <strong>2017</strong> 83

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