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La Toscana nuova - Anno 4 - Numero 3 - Marzo 2021 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
a cura di Marco Gabbuggiani
Yin e Yang: gli opposti complementari
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Dal punto di vista fotografico, ho sempre amato giocare
con i contrasti. E quando ho scelto di farlo in maniera marcata,
ho sempre utilizzato il bianco e nero. Sono dell’opinione
che la foto in bianco e nero non rappresenti la realtà, la
quale di fatto è a colori. È anche vero, però, che osservare
una foto monocromatica consente ai tanti “colori” della
fantasia di scatenarsi. Come nel caso della foto Yin &
Yang qui pubblicata dove il nero è nettamente distinto dal
bianco anche se ciascuno può miscelarli a suo gradimento.
Un po’ come il giorno che si trasforma in notte o il positivo
che diventa negativo. Quando ho scattato questa foto,
mi ero da poco documentato sulla filosofia cinese dello Yin
e dello Yang, rimanendone colpito. Ecco perché quando ho
visto il volto della mia amica Ilaria Rusignuolo illuminato
soltanto in parte dalla luce che entrava dalla finestra mi si
è accesa una lampadina in testa come ad Archimede Pitagorico.
In un baleno ho creato il set giusto per realizzare
questo Yin & Yang, sicuramente diverso dal simbolo che
viene usato per rappresentarlo. Ne è uscita una foto che mi
ha portato a riconoscimenti e pubblicazioni in tante riviste
del settore e ad affermarmi anche in concorsi internazionali.
Ma cosa sono lo Yin e lo Yang? Si tratta delle due metà
complementari di cui è formata qualsiasi cosa e su cui si
fonda la nostra stessa esistenza. L’equilibrio tra questi due
fattori crea il benessere interiore. Da questa semplice teoria
si sono sviluppate molte discipline in tutto il mondo
con il fine di aiutare le persone a ritrovare questo equilibrio
ideale. Esempi sono le discipline shiatsu, l’agopuntura,
la kinesiologia, la riflessologia plantare, il reiki e tante altre
pratiche. Siamo esseri completi e felici nella misura in
cui riusciamo a far crescere entrambe le parti: il lato destro
che corrisponde al maschile e il lato sinistro che corrisponde
al femminile. Ossia, la parte che ci offre protezione, che
ci aiuta a manifestare i nostri bisogni, e quella che ci fa
riconoscere ed accettare le nostre esigenze. Quella ritratta
nella foto è una situazione dove questo equilibrio è perfettamente
bilanciato e rappresenta la situazione ideale
per raggiungere il benessere. Nessun elemento dell’universo
può essere solo completamente Yin o completamente
Yang. Ognuno dei due elementi contiene il seme del proprio
opposto, come ogni donna porta dentro di sé una parte maschile
e ogni uomo una parte femminile. Così come la notte
non potrebbe esistere senza il giorno e non ameremmo
così tanto la vita se non pensassimo alla morte.
marco.gabbuggiani@gmail.com
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MARZO 2021
I QUADRI del mese
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Arte e natura nel Giardino di Daniel Spoerri a Seggiano
Intervista al direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt
Le fotografie di Paolo Roversi in mostra al MAR di Ravenna
L’Italia cattolica e contadina negli scatti di Pepi Merisio
Sand-up, il gruppo che aiuta a motivare chi lavora in azienda
Karin Monschauer, artista da record nel 2021
Curiosità storiche fiorentine: l’antica numerazione civica
La burrascosa vita sentimentale di Enrico Caruso
Concerto in salotto: Caruso, re dei tenori e caricaturista
Firenze, città di fantasmi nel libro di Elena Giannarelli
La passione per la pittura nell’intervista ad Enzo Mauri
Il viaggio metafisico delle vite nel libro di Esther Diana
Nel cuore della natura con Kinga Lopot Dzierwa
L’arte di scrivere per il teatro spiegata da Alessandro Riccio
A Grosseto la mostra omaggio allo scultore Sauro Cavallini
L’avvocato risponde: dall’altare al tribunale, la separazione dei coniugi
Dimensione salute: l’ossessione per il controllo del peso corporeo
Psicologia oggi: sovrappeso e bulimia, quando il piacere avvelena
I consigli dell’osteopata: il dolore alla spalla, cause e rimedi
I consigli del nutrizionista: come rinforzare le difese immunitarie
Firenze e la Toscana ripartono con Life Beyond Tourism
Alessandro Ciantelli: la persistenza della memoria
Vivere, il primo libro di racconti di Franca Giangeri
L’emozione della natura nelle opere di Claudio Bontà
Allegorie e simboli del magico mondo di Odara
La voce dei poeti: le liriche di Antonietta Gioscia
Miracoli, il viaggio indietro nel tempo di Lilly Brogi
MAE: dalla Sardegna a Firenze, l’eleganza del fatto a mano
Stephanie Holznecht alla conquista del mercato dell’arte
Davide Berti, paesaggista toscano fra tradizione e modernità
La tutela dell’ingegno: licenza obbligatoria sul brevetto anti Covid
Tokyo Godfathers, il romanzo sociale di Satoshi Kon
Di-segni astrologici: empatia ed altruismo dei Pesci
La Fiorentina secondo il super tifoso viola Giancarlo De Sisti
Toscana a tavola: lonza di maiale alla medievale
Storia delle religioni: commento all’Enciclica di Papa Francesco
Haiku, la nuova raccolta poetica di KristiPo
Le origini radiofoniche del Festival di Sanremo
Da Livorno alla Cina con la società di logistica F.lli Colò
Il presente post pandemia della rosticceria La Nuova Luna
B&B Hotels Italia: l’apertura di un nuovo albergo a Cortina
Arte del gusto: vitigni toscani per i vini della terra dei nuraghi
Benessere della persona: curare la pelle al cambio di stagione
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Elisabetta Mereu
Pepi Merisio
Carlo Midollini
Paolo Roversi
Silvano Silvia
Gianni Spulcioni
Alberto Venturini
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All’interno di di questo numero:
Quarta puntata
di di
“Giuliacarla Cecchi.
Firenze e e la la moda.
Un affresco del del Novecento”.
Urna Semper
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la superficie del salone dove si svolgono i corsi consente il massimo del
distanziamento ed è dotato di adeguati presidi di prevenzione anticovid.
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
Il Giardino di Daniel Spoerri a Seggiano
Un parco dove l’arte contemporanea incontra la natura
di Ugo Barlozzetti / foto courtesy www.danielspoerri.org
Daniel Spoerri, nato Feinstein nel 1930 a Galati in
Romania, è una personalità importante nell’arte europea
e statunitense dagli anni Cinquanta. Il cognome
che ha adottato è quello della madre e dello zio, figure
importanti dopo la tragica morte del padre. Figura eclettica
nel panorama artistico contemporaneo, è stato ballerino,
coreografo, mimo, poeta, scrittore e gastronomo. Ha fondato
la “eat art” ed è diventato famoso per i suoi “tableaux
pièges”. Dopo un periodo passato a New York, è stato a lungo
nell’isola greca di Simi, a Düsseldorf, a Parigi e in molte
altre località, operando, appunto, nelle iniziative ed esperienze
più diverse. Nella seconda metà degli anni Novanta
si stabilisce in provincia di Grosseto, a Seggiano, organizzando
il progetto di un parco di sculture e installazioni. Nel
1997 creò la fondazione “Hic terminus haeret”, ossia “Qui
aderiscono i confini”, in relazione alle convinzioni di uno
spazio particolarmente suggestivo. La fondazione ha promosso
non solo la conservazione delle quarantasei opere
presenti del maestro, ma ha anche favorito la presenza di
altre centootto opere legate a molto importanti personalità
che ha avuto modo di conoscere e che sono diventate suoi
amici personali. Quindi il percorso in un parco di circa sedici
ettari, dove le opere sono collocate fra ampi spazi ricchi
anche di importanti essenze, è particolarmente significativo
non solo per la fruizione dell’arte ma anche per il rapporto
con il paesaggio e la natura. È questo uno degli esempi più
significativi di quell’eccellenza toscana che sono i parchi
d’arte contemporanea. Tra i cinquanta artisti amici di Spoerri
ricordiamo: Eva Aeppli, Arman, Till Augustin, Ay-o, Roberto
Bagni, Giampaolo Di Cocco, Erik Dietman, Katharina
Duwen, Karl Gerstner, Luciano Ghersi, Alfonso Hüppi, Juliane
Kühn, Zoltan Ludwig Kruse, Bernhard Luginbühl, Ursi Luginbühl,
Birgit Neumann, Luigi Mainolfi, Meret Oppenheim,
Dieter Roth, Susanne Runge, Uwe Schloen, Kimitake Sato,
Sentiero murato labirintiforme (1996 - 1998), pietra peperino, cemento, erba, h cm
50x m 60x40
Forno Trullo - teste fumanti (1995 - 2000), bronzo e pietre, cm 200x h cm 350
Pavel Schmidt, Esther Seidel, Mauro Staccioli, Patrick Steiner,
Jesus Rafael Soto, Paul Talman, André Thomkins, Jean
Tinguely, Roland Topor, Paul Wiedmer.
www.danielspoerri.org
Il Giardino di Daniel Spoerri
Guerrieri della notte (1982), installazione di 13 elementi, bronzo, cm 136x90
I manichini (1992), installazione di 7 elementi, bronzo, cm 180x35
DANIEL SPOERRI
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Incontri con
l’arte
A cura di
Viktorija Carkina
Intervista al direttore delle Gallerie
degli Uffizi Eike Schmidt
Dal progetto “Uffizi diffusi” all’ingresso nelle collezioni di un’opera di street
art, passando attraverso il tema dell’innovazione digitale del museo
di Viktorija Carkina / foto courtesy www.uffizi.it
Grande novità degli ultimi giorni, la
collezione degli Uffizi sarà ampliata
da un dipinto dell’artista britannico
Endless. È la prima volta per un’opera
di street art all’interno del museo fiorentino.
Cosa ha favorito la scelta dell’artista
inglese e la commissione di quest’opera in
particolare?
Gli Uffizi hanno la collezione più grande e
più antica di autoritratti e di ritratti di artisti.
È una parte della collezione del museo
che è sempre stata in espansione visto che
non c’è mai stata un’interruzione del collezionismo.
I Medici furono sempre attenti
alle novità artistiche e alle opere contemporanee.
Noi abbiamo già raccolto oltre
cento ritratti di artisti importanti del nostro
tempo da Antony Gormley a Yayoi Kusama
e tanti altri. Ci mancava ancora uno street
artist, che non potevamo non inserire visto
che si tratta di una corrente artistica veramente importante.
Ovviamente, la street art non viene creata per i musei;
infatti, è forse l’unica tipologia d’arte che per definizione
si oppone al concetto del museo. Perciò, nel caso di Endless,
è importante sottolineare sempre che lui è uno street
artist, ma la sua opera in questo caso è stata creata su
commissione appositamente in uno studio. Sinceramente
mi sorprende che molti musei specializzati nell’arte contemporanea
non si siano ancora aperti a questo tipo di
arte, non andrebbe trascurata. Anche se, ovviamente, bisogna
trovare modi giusti per esporla sui muri di un museo,
visto che si estrae dal suo concetto originario.
Ci può parlare del progetto “Uffizi diffusi”?
Il progetto è nato nella primavera scorsa con il primo lockdown,
quando ci siamo chiesti come portare le opere d’arte
Il direttore Eike Schmidt con lo street artist Endless durante la consegna dell'opera entrata a far
parte delle collezioni delle Gallerie
più vicino alle persone, anche se l’idea di un museo diffuso
c’era già quasi da un secolo. Le prime iniziative prese per
spostare le opere dai depositi nel territorio risalgono ai primi
del Novecento con l’idea di avere musei non soltanto nelle
grandi città, ma su tutto il territorio toscano. Ora vorremmo
andare oltre a quello che è stato fatto in passato perché abbiamo
migliaia di opere nei depositi degli Uffizi e, a mio avviso,
non è eticamente giusto tenerle lì senza che nessuno le
possa vedere. In questo momento siamo in contatto con i primi
trenta musei che ospiteranno le nostre opere, ci saranno
luoghi piccoli, medi e addirittura grandi. Tutti i giorni ci stiamo
preparando per l’apertura dei confini e il ritorno del turismo,
che secondo me sarà ancora più intenso di prima. Ora è
il momento per creare le infrastrutture intellettuali e culturali
per poter assorbire e riflettere i flussi di visitatori.
A causa del Covid il mondo artistico si è spostato sempre
di più online dove ormai è consolidato. Anche i musei dovrebbero
essere sempre più attivi sulle piattaforme virtuali?
www.florenceartgallery.com
Assolutamente sì. Infatti, quasi tutte le piattaforme digitali
degli Uffizi sono leader in Italia e fra le più seguite
al mondo. Nonostante sia uno strumento di comunicazione
importante, bisogna comunque essere coscienti che il
8
EIKE SCHMIDT
Un momento dell'intervista di Viktorija Carkina al direttore
Sala della Venere di Botticelli
mondo digitale non è un’alternativa alla visita vera al museo
e alla percezione reale delle opere d’arte. Le piattaforme
digitali sono molto utili quando utilizzate nella
maniera corretta e produttiva, ma non potranno mai sostituire
le emozioni che si vivono davanti ad un’opera d’arte.
Ha lavorato nei più prestigiosi musei europei e statunitensi;
quali sono, secondo lei, le principali differenze nella
direzione e nell’organizzazione museale che separano i
due continenti?
Partiamo da una premessa che le differenze sono varie
fra tutti i paesi del mondo, anche fra quelli che sono all’interno
dell’Europa, ma anche all’interno dello stesso paese.
Nonostante ciò ci sono alcuni punti che distinguono
i musei americani da quelli europei. Per quanto riguarda
le collezioni, le grandi raccolte europee nascono dalle case
principesche quindi spesso hanno una storia molto più
lunga. Le collezioni di Boston, Philadelphia e New York nascono
nell’Ottocento e per gli Stati Uniti d’America sono
considerati musei antichi. Nel contesto europeo, invece,
sarebbero molto recenti, visto che qui abbiamo raccolte
che risalgono anche al Medioevo,
abbiamo una storia collezionistica
veramente molto più lunga. È diverso
anche l’intreccio tra il collezionismo
e la committenza, visto
che nel caso europeo si tratta di
opere commissionate agli artisti,
mentre negli Stati Uniti la grande
maggioranza delle opere d’arte è
stata acquistata sul mercato d’arte
quindi saltando la fase del dialogo
fra l’artista e il committente.
Oltre alle differenze che riguardano
la consistenza della collezione,
anche l’interazione del museo
con il pubblico è diversa fra i due
continenti. Negli Stati Uniti i musei
devono adottare una serie di
operazioni per attirare i visitatori,
altrimenti rimangono vuoti. Loro
costruiscono il proprio pubblico e
convincono le persone a venire al
museo mentre in Europa, spesso,
non c’è un rapporto con i visitatori
perché i musei non si impegnano
per attirarli. Questo élitarismo
non c’è negli Stati Uniti perché con
questo atteggiamento i loro musei
chiuderebbero entro un anno
dall’apertura.
Potremo ammirare il Corridoio
Vasariano a partire dal 2022, come
previsto?
Speriamo proprio di sì, per ora il lavoro
sta procedendo com’era stato pianificato. Speriamo che
non subentrino impedimenti, come anche nel caso del progetto
"Nuovi Uffizi" che dovrebbe essere finito entro il 2024. Ci auguriamo
che la pandemia rallenti, grazie ai vaccini ma anche
alla bella stagione che sta arrivando. Con la combinazione di
tutti i fattori positivi speriamo di uscire presto da questa situazione
ancora oggi molto preoccupante e, per certi versi, tragica.
È importante andare avanti con i nostri progetti edilizi,
impiantistici e di restauro, ma rimane comunque secondario rispetto
alle vite umane ancora oggi a grande rischio.
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r, 50134 Firenze
EIKE SCHMIDT
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I grandi della
Fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Paolo Roversi
Prorogata fino al 2 maggio al MAR di Ravenna la mostra
dedicata al celebre fotografo di moda
di Maria Grazia Dainelli / foto Paolo Roversi
Abbiamo incontrato il maestro Paolo Roversi MAR - Museo
d’Arte della città di Ravenna in occasione della
grande mostra antologica Studio Luce che ne omaggia
la carriera con una selezione di scatti esposti al pubblico dal
10 ottobre 2020 al 2 maggio (proroga dal 10 gennaio) 2021.
Com’è nata l’idea di questa mostra?
Mi ha contattato il Comune offrendomi la possibilità di esporre
270 scatti, un’occasione unica per far conoscere a fondo
il mio lavoro attraverso anche la pubblicazione di un imponente
catalogo. Riuscire a trovare un fil rouge che tenesse
insieme tutta la mia opera è stato molto impegnativo, soprattutto
per la curatrice Chiara Bardelli Nonino, che l’ha ritenuta
essere una sfida oltre che una bellissima avventura. C’è una
frase emblematica che amo citare per descrivere il lavoro necessario
a scegliere le foto all’interno del mio archivio: «Da
soli si può andare anche più veloci ma insieme andiamo più
lontano». Tutto lo staff del MAR ha lavorato con grande passione
alla realizzazione di questo evento espositivo che testimonia
tutto il mio percorso artistico sospeso tra passato
e presente.
A cosa si è ispirato per la scelta del titolo?
Ho preso spunto dal nome dell’atelier parigino in Rue Paul
Fort dove mi sono trasferito nel 1973 e dove tuttora lavoro.
Questo luogo è stato un punto di partenza e di arrivo della
mia poetica, un luogo fisico ma anche uno spazio della mente
dove nascono i miei scatti. Fra quelli in mostra non mancano
rimandi alla mia città natale, Ravenna, con la sua bellezza
serena, silenziosa, avvolta dalla nebbia. Un’atmosfera che ha
notevolmente influenzato il mio immaginario e la scelta poetica
di rendere visibile anche ciò che rimane nascosto nel
cuore dell’immagine.
Cosa l’ha spinta a dedicarsi alla fotografia quando era ancora
molto giovane?
Lo Studio Luce a Parigi
La mia prima macchina fotografica è stata una Ferraniaflex
ricevuta in regalo per la prima comunione. Da bambino avevo
paura del buio
e la fotografia mi
serviva per vincere
questa paura
immortalando le
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
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ombre nella mia
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stanza. Era un modo
per inventarmi storie ed avventure che mi tenevano compagnia
e che nel tempo mi hanno insegnato ad amare la
fotografia. È stato però all’età di diciassette anni, durante una
vacanza in Spagna, che questa passione ha iniziato a manifestarsi
con più forza, spingendomi a fissare l’esperienza di
quel viaggio nelle foto scattate con una Leica. Sono stato il
primo fotografo nel 1980 ad usare la Polaroid formato 20x25,
facendone un tratto distintivo del mio stile: un procedimento
lento e costoso che, grazie alla ricetta chimica dei reagenti,
mi consentiva di ottenere stampe con una grana spettacolare
e risultati di grande efficacia espressiva.
Quali sono stati i suoi maestri di riferimento agli esordi della
professione di fotografo?
Nei primi anni trascorsi a Parigi lavoravo come fotoreporter
per la Huppert Agency. Nello stesso periodo iniziai a conoscere
il mondo della moda e a scoprire i lavori di Richard Avedon,
Irving Penn, Helmut Newton, Guy Bourdin e diversi altri
grandi maestri. Dopo un periodo come assistente di Laurence
Sackman, iniziai a realizzare servizi di moda e campagne
pubblicitarie per Dior, Cerruti, Yves Saint Laurent, Valentino e
molti altri. Tante delle mie fotografie sono state protagoniste
di numerose pubblicazioni e mostre monografiche.
Perché il suo stile è definito il più personale e riconoscibile
tra i fotografi di moda?
Il mio intento è da sempre esplorare nuovi orizzonti espressivi,
dando vita ad una ricerca estetica e ad uno sguardo
10
PAOLO ROVERSI
Che valore ha la luce nel suo lavoro?
È un’alleata fedele, un’amica, un grande amore; è ciò di cui non
possiamo fare a meno, di cui abbiamo bisogno per vivere. È
un’emozione continua che mi spinge a mettere il cuore in ogni
mio scatto. La luce è una divinità capricciosa, si nasconde e
talvolta si sottrae, bisogna sapere come comunicarci.
personale sul mondo, senza orpelli o effetti speciali. Per
me la fotografia non è mai stata riproduzione ma rivelazione,
un rapporto di empatia che si crea con il soggetto immortalato
sia che si tratti di una persona che di una cosa.
Composizioni difficili da trovare in un fotografo di moda,
ricche di sogni e fantasie ma soprattutto di una bellezza
ricercata, lontana dai cliché e mai banale. E ovviamente
per fare questo è fondamentale il contributo degli stilisti,
dei make up artist e delle persone che lavorano sul set fotografico.
Perché ha definito questa mostra la più bella che abbia mai
realizzato?
L’amore per Ravenna ha in me radici profonde e indissolubili.
Ho esposto le mie foto nei più grandi musei del mondo,
ma vederle qui, in questo contesto a me caro, mi dà una
soddisfazione mai provata. In più devo a questa mostra l’avermi
fatto capire quanto i ravennati si ricordino di me ed
apprezzino il mio lavoro. È stata davvero una bella scoperta,
un ritorno più che gradito alle mie origini. Mi vengono
in mente a questo proposito alcuni versi di Ungaretti nella
poesia Casa mia: «Sorpresa dopo tanto d’un amore, pensavo
di averlo sparpagliato per il mondo invece è tutto qua».
Il mio amore per Ravenna è ancora qui, intatto, a dispetto
del tempo.
Come riesce ad entrare in sintonia con le modelle che posano
per lei?
Cerco di fotografare non solo il loro viso, il loro corpo ma anche
qualcosa di più profondo, arrivando direttamente al cuore, all’anima
per svelarne il mistero. Le mie modelle incarnano ciascuna
bellezze diverse e molteplici individualità, ma ciò che a me interessa
è catturare ciò che di loro non si vede, l’energia del momento
in cui lo sguardo del fotografo riesce a spingersi oltre l’apparenza
per fermare nello scatto il mistero della bellezza. Il risultato sono
immagini senza tempo realizzate con tempi lunghi, effetti di mosso
o di sfocato e tutto ciò che lascia spazio alla creatività. Le mie
foto non forniscono certezze ma pongono domande.
Che differenza c’è tra ritrarre una persona ed immortalare
invece un oggetto inanimato?
Non c’è grande differenza, perché il mio obiettivo è declinare
il linguaggio universale della bellezza, che vale sempre, sia
quando fotografo una modella che quando mi occupo invece
di still life. Anche gli oggetti hanno “un’anima” che mi interessa
tirare fuori, una storia da raccontare trovando un modo
sempre nuovo ed originale per farlo.
Cosa rappresenta per lei il nudo?
Il nudo è la forma più pura di ritratto
perché permette al soggetto
fotografato di mostrarsi senza maschere
e senza sovrastrutture. Ogni
immagine è un dialogo, una relazione,
uno sguardo che non s’impone
e che aiuta a rivelare quello che il
soggetto nasconde dentro.
Qual è stata la sua esperienza
come fotografo del calendario
Pirelli?
Sono il primo fotografo italiano
ad averlo realizzarlo, un traguardo
non da poco. Anche la scelta del
titolo Looking for Juliet è stata significativa.
E dove cercare Giulietta
se non a Verona? Per questo ho
realizzato un libro e un film, ho intervistato
donne che ho reputato
essere delle possibili Giuliette,
cercando la bellezza ovunque, anche
fuori dai canoni classici.
PAOLO ROVERSI
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Spunti di critica
Fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Pepi Merisio
Scomparso lo scorso
febbraio a novant’anni,
ha immortalato l’Italia
cattolica e contadina
di Nicola Crisci / foto
Pepi Merisio
Nato a Caravaggio nel 1931 e morto
a Bergamo lo scorso 3 febbraio,
Pepi Merisio inizia ad occuparsi di
fotografia come autodidatta nel 1947 e diventa
un protagonista del mondo amatoriale
degli anni Cinquanta. Nel 1956 inizia a
collaborare con il Touring Club Italiano e con le riviste Camera,
Réalité, Photo, Maxima, Pirelli Look, Famiglia Cristiana, Stern e
Paris Match. Nel 1962 diventa fotografo professionista e poco
dopo realizza il suo primo racconto per immagini intitolato In
morte dello zio Angelo. Questo servizio rappresenta una svolta
nella carriera del fotografo bergamasco che documenta il funerale
dello zio come in un “photo essay” (saggio fotografico)
all’americana. Intanto, inizia a collaborare con la rivista Epoca
e nel 1964 pubblica Una giornata col Papa al quale seguiranno
poi più di cento altri libri fotografici. Ottiene prestigiosi riconoscimenti
in Italia e all’estero, tra i quali il New talent of Popular
photography a New York nel 1963, ed espone con mostre personali
presso i principali musei e in molte gallerie del mondo.
Nel 1979 esegue per la Polaroid un servizio in bianco e nero attualmente
conservato a Boston presso la Collection Polaroid International.
Nel 1980, la rivista Progresso Fotografico gli dedica
un numero monografico, mentre l’Editoriale Fabbri lo inserisce
nella collana I grandi fotografi. Nel suo lavoro l’urgenza di documentare
gli aspetti effimeri della realtà si unisce ad una pro-
Nella Valle di Cogne (1959)
Maternità, Val di Mello, Bergamo (anni Cinquanta)
fonda nota malinconica, come si evince dalle sue parole: «Ho
sempre pensato, anzi sentito, che la fotografia debba essere un
colloquio; se non ci si guarda negli occhi è molto difficile capirsi.
Rappresento l’uomo nei suoi attimi di vita quotidiana, che
comprendono anche, ma non solo, le feste religiose, il lavoro, il
ritrovo. La fotografia è documentare quello che succede, senza
attendere fatti spettacolari, perché lo spettacolo è la vita stessa.
Il lavoro, in particolare la tradizione contadina, è sempre stato
il mio tema prediletto. Mi piace fotografare la gente normale
che si alza la mattina e deve andare a lavorare tutto il giorno.
Fotografo allo stesso modo il contadino come il Papa. La spiritualità
l’ho vissuta fin da piccolo nel santuario di Caravaggio;
vedere i pellegrini che arrivavano con i carri di notte e dormivano
sotto i portici mi ha sempre affascinato». Di lui scrive il critico
Denis Curti: «Nel cuore della cultura contadina il fotografo
trova le radici della propria ispirazione e ne fa poetica distintiva
del suo sguardo. Nei fatti, Merisio riesce a dare forma a una
nuova architettura dell’estetica del quotidiano. Questa è la sua
peculiarità, questa la sua forza propulsiva».
In attesa dell'udienza papale (1964)
Immagine dal reportage Una giornata con il Papa (1964)
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PEPI MERISIO
Servizi per
le aziende
La motivazione di chi lavora in azienda e nelle organizzazioni:
Sand-Up aiuta a rilevarla e a svilupparla
Testo e foto di Lorenzo Canuti, Gianni Spulcioni e Alberto Venturini
Chi non si è mai trovato di fronte a collaboratori che
non vedono l’ora di spegnere il computer per andarsene
a casa? Oppure che in modo costante “scaricano
il barile” delle proprie responsabilità? O che “sbuffano”
dalla mattina alla sera, parlando male di tutti? Ci siamo imbattuti
spesso in queste situazioni, in tantissimi anni di
consulenza alle organizzazioni. E allora ci siamo detti che
era tempo di spingerle davvero al cambiamento aiutandole
a gestire queste criticità in modo diverso. Ci sono imprese
che considerano il benessere dei collaboratori non rilevante
per il loro funzionamento e successo, ponendo prioritariamente
attenzione ad altri aspetti come la tecnologia, le
strutture, la capacità di produrre. Tutto importante, nessuno
può dubitarne, ma non basta. Il culto della razionalità
e dell’efficienza ad ogni costo spesso considera una debolezza
occuparsi di relazioni interpersonali, di emozioni, di
sentimenti, degli aspetti insomma più immateriali che muovono
l’organizzazione. Purtroppo è una visione riduttiva.
Non curando anche questi fattori, si genera un clima “freddo”,
scarsamente collaborativo o addirittura conflittuale.
Siamo convintissimi di quanto ricerche e studi scientifici di
tutto il mondo hanno ampiamente dimostrato: in qualunque
organizzazione, in ogni impresa, tutto questo induce non
solo demotivazione ma anche vero e proprio malessere in
chiunque vi operi. Stress veri o presunti, scarso impegno
nelle attività, poca o nessuna disponibilità a mettere anche
Un esempio del metodo Sand-Up: i dipendenti dell’organizzazione utilizzano sabbia ed oggetti per rappresentare il proprio
grado di motivazione
un pezzetto di anima e di cuore in quello che si fa, e a collaborare
con i colleghi quando c’è da fare squadra. Un malcontento
che induce a parlar male dell’organizzazione, con
conseguenze negative sulla sua immagine e generando il
malfunzionamento dell’azienda. Curare invece motivazione
e benessere genera, tra gli altri effetti, un’utilità economica.
Come poter essere, allora, agenti veri del cambiamento nella
motivazione delle persone? Prima di tutto verificandone
il reale livello dentro l’organizzazione. Forniamo la risposta
ad una semplice domanda: le persone dentro l’organizzazione
o l’impresa quanto si sentono motivate? Per accertarlo,
Sand-Up mette assieme e usa più strumenti di indagine in
un percorso prestabilito. Un elemento qualificante e assolutamente
innovativo di questo percorso è far rappresentare
alle persone la propria motivazione materializzandola: coinvolgendole
nella costruzione concreta di una metafora, loro
stesse danno espressione al proprio pensiero creativo, utilizzando
le mani e la sabbia come strumento di innovazione
della mente. Sand-Up si sviluppa
dall’intreccio del costruttivismo alle
teorie della Sand Therapy di Dora
Kalff. Il metodo Sand-Up utilizza
come materiale un’ampia cassetta
in legno contenente sabbia e vari
oggetti. In questo spazio le persone,
in gruppo, costruiscono con
gli oggetti quello che con le parole
non saprebbero o non vorrebbero
esprimere: la rappresentazione
concreta di come sentono e vivono
l’organizzazione alla quale appartengono.
Creano un mondo che
corrisponde al loro stato interiore
attraverso il gioco libero e creativo.
Combinando la metafora con
gli altri approfondimenti, Sand-Up
“misura la febbre” all’organizzazione
e le indica quindi cosa fare per
migliorare la motivazione delle sue
persone. Ne aiuta il successo.
SAND-UP
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Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Karin Monschauer
Dalla mostra virtuale Artidotum all’Expo di Abu Dhabi:
un 2021 da record per l’artista lussemburghese
di Margherita Blonska Ciardi
Senza titolo (2020), arte digitale, stampa su tela, cm 90x90
Fino al prossimo 13 aprile, l’artista lussemburghese
Karin Monschauer espone alcuni suoi recenti lavori
nella mostra d’arte contemporanea internazionale
Artidotum 3 D. Nata come risposta artistica al dramma
globale della pandemia, questa mostra si sarebbe dovuta
svolgere in una prestigiosa galleria di Roma, ma a causa
del peggioramento della situazione sanitaria si è deciso di
creare una versione virtuale dell’evento. I lavori presentati
da Karin Monschauer ci trascinano nel regno di una bellezza
che nasce dalla fusione tra matematica e arte di ricamo.
La scelta della digital art come mezzo di espressione ha dato
a quest’artista l’opportunità di conoscere il mondo fondato
sulle leggi della logica. Da sempre, infatti, matematica e
geometria suscitano il suo interesse e la ricerca nell’ambito
dell’arte digitale le ha consentito di sperimentare moltepli-
Zickzack (2016), arte digitale, stampa su
tela, cm 22x110
ci soluzioni compositive a riguardo. Il suo stile si fonda sul
neoplasticismo di Mondrian, al quale si ispira per la scelta
dei colori e l’ortogonalità delle trame tonali, e sull’optical
art di Anuszkiewicz. Karin Monschauer cerca sempre di trovare
un equilibrio logico tra gli elementi cromatico-geometrici
che s’incastrano tra loro come tessere di un mosaico.
Spesso le geometrie create dalle trame di colore sono costruite
con una suddivisione aurea; all’orditura delle tonalità
calde vengono contrapposte quelle fredde, comunicando
una piacevole sensazione di armonia. Le tessiture cromatiche
ricordano la struttura di un patchwork oppure quella
del ricamo raqm caratteristico della tappezzeria orientale.
In queste opere si avverte l’eco delle avanguardie futuriste
e dadaiste, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati
al dinamismo e alle forme degli ingranaggi meccanici. Pur
14
KARIN MONSCHAUER
essendo lavori bidimensionali creano nell’osservatore l’illusione
ottica della tridimensionalità. Ricamando le superfici
con la digital art, Karin Monschauer ottiene trame coloristiche
che uniscono alla fantasia ornamentale un’impronta razionale
e logica. Come in un caleidoscopio, queste opere
presentano una grande varietà cromatica, con spazi geometrici
che proiettano lo spettatore in mondi fantastici e pieni
di armonia. Il suo stile unico e riconoscibile è stato molto
apprezzato durante la Biennale d’Arte Contemporanea svoltasi
a Firenze nel 2017, in occasione della quale l’artista
ha ricevuto il secondo Premio Lorenzo il Magnifico per la
sezione Computer art. Dell’opera di Karin Monschauer si è
parlato più volte su La Toscana Nuova, su altre riviste come
Arte Mondadori e Art Now, sul Catalogo dell’Arte Moderna
Mondadori e sull’Atlante dell’Arte De Agostini. I quadri
da lei proposti nella mostra virtuale Artidotum colpiscono
per la straordinaria brillantezza dei colori ottenuta grazie
alla sua tecnica innovativa. Realizzati in Svizzera dentro un
laboratorio, sono stampati con la tecnica Dbond su di una
carta speciale che permette di potenziare la pigmentazione
dei colori. L’effetto finale è sorprendente e la luminosità
dei colori ricorda quella dei rosoni delle chiese illuminate
dal sole. Presente in molte aste di arte contemporanea, Karin
Monschauer ha ormai conquistato una popolarità internazionale.
Il prossimo 10 marzo si terrà l’asta online della
storica Galleria Colasanti di Roma, dove verrà messa in vendita
la sua opera Zickzack. Uno dei suoi lavori presenti nella
mostra virtuale Artidotum verrà scelto per la vendita presso
la nuova casa d’aste milanese Wondike. Nel 2021, l’artista
parteciperà inoltre ad altre due importanti esposizioni:
l’Expo di Abu Dhabi e, a settembre, la terza edizione a Venezia
della mostra Aqvart, collegata quest’anno ad altri significativi
eventi come la Regata Storica di Venezia, la Biennale
d’Arte e il Festival del Cinema.
Senza titolo (2020), arte digitale, stampa su carta fine art e applicazione su vetro, cm 88x84
KARIN MONSCHAUER
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Margaret Karapetian d’Errico
La sottile arte dell’incisione
La bufera nel profondo, tecnica mista, cm 35x50
Le farfalle, tecnica mista, cm 80x55
www.margaretkarapetian.it
derrico.margaret1@gmail.com
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
Curiosità storiche
fiorentine
L’antica numerazione civica
Testo e foto di Luciano e Ricciardo Artusi
La numerazione civica degli edifici
com’è oggi in uso risale al 1865
(anno di Firenze capitale d’Italia)
ed è molto diversa da quella di un tempo.
Oggi tale numerazione è apposta per
ogni strada procedendo con il numero 1,
dal lato sinistro e dal numero 2 da quello
destro, contrassegnando così progressivamente
tutti gli ingressi ai fabbricati.
I numeri rossi riguardano le attività commerciali.
Le due numerazioni, quindi, non
procedono di pari passo e talvolta sono
anche molto distanti. Per un rapido e sicuro
riconoscimento, l’inizio della numerazione
è “affidato” al corso del nostro
fiume, l’Arno, dalla cui direzione di scorrimento
deriva tale convenzione, contraddistinguendo
così le strade cittadine, quelle periferiche e dei
sobborghi. Tale prassi è anche precisata dall’art. 12 del vigente
Regolamento Comunale per la Toponomastica. Nelle piazze,
invece, la numerazione ha inizio dalla prima casa all’angolo
di sinistra facendo ingresso dalla via principale, procedendo
progressivamente per tutte le case circostanti, per finire
all’angolo opposto. In passato non esisteva una denominazione
delle strade e tanto meno la numerazione: l’individuazione
del luogo avveniva attraverso i “canti”, cioè le cantonate dei
palazzi e delle case di note famiglie, oppure in base ad attività
svolte, personaggi tipici o insegne pubblicitarie esistenti in
quel luogo. Il nome dei “canti” ha rappresentato la toponomastica
più antica, ancor prima che le strade assumessero una
specifica denominazione e poi la numerazione. Va detto che,
fino all’anno 1826, le targhe stradali, fatte di semplice vernice
sull’intonaco, erano soggette ad inevitabili deterioramenti
e quindi a continui ripristini. Soltanto alla fine di quell’anno la
municipalità decise di sanare l’inconveniente, stabilendo che
l’apposizione dei nuovi cartelli stradali avvenisse su lastre di
marmo. Sino al XVII secolo, le case ebbero una “numerazione
parrocchiale” e cioè il numero dello stabile corrispondeva a
quello del “Registro degli Stati d’Anime” redatto dai parroci secondo
quanto disposto nel Concilio di Trento. Questo sistema
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
Il numero 5 di Piazza Strozzi già 1012 Via de' Cerretani 10 già 4659
restò in vigore fino al 1808, ma al termine di quell’anno, sotto
la dominazione francese, il 24 ottobre, per facilitare il servizio
postale, di polizia e degli alloggi militari venne imposta
per tutti gli edifici la numerazione progressiva. L’innovativo sistema
iniziò a gennaio 1809 e terminò a novembre dello stesso
anno. Palazzo Vecchio, ritenuta la “prima casa” della città,
ebbe naturalmente il numero 1 dall’accesso in Via dei Leoni
e da qui, continuando a girare in modo avvolgente intorno alle
strade comprese entro le mura trecentesche, giungendo al
Ponte Vecchio con il numero 1288. In Oltrarno, nel quartiere
di Santo Spirito, iniziava con il numero 1289 terminando nel
Lungarno Soderini con il 3345. Ritornando sulla destra del fiume,
dal Ponte alla Carraia in Borgo Ognissanti, nel quartiere
di Santa Maria Novella, poi in quello di San Giovanni dove al
Palazzo Medici Riccardi fu assegnato il 6038, oggi numero 1,
per poi finire in Santa Croce, precisamente in Via Mozza, con
l’8025 che corrisponde all’attuale numero 2 di questa breve
strada che, proprio per la sua esigua estensione, era detta Via
Mozzina. Curioso particolare è quello di Palazzo Pitti che fu
dichiarato esente dalla numerazione in quanto “reggia” e quindi
conosciuta e superiore a tutti gli altri edifici. Nella piazza,
però, la numerazione “a chiocciola” scorreva regolare come lo
dimostra ancora, nella sua vetusta presenza, il numero 1702
sopra l’ingresso della casa contrassegnata dal 7. Ma in Oltrarno
non è rimasta solo questa attestazione: in Via dei Serragli
99, all’angolo con Via Santa Maria, sull’immobile di quello
che fu lo studio dello scultore Pio Fedi, è ancora ben visibile il
numero 2538, in Via Maggio al civico 13, altro numero napoleonico
1876 con il nome dell’allora proprietario F. Briganti. Altre
testimonianze di questa numerazione francese: al lato del
portone del civico 12 in Via Porta Rossa, dove esiste ancora
il 1026 con nome “Sanguineti”, un’altra in Piazza Strozzi al
numero 5 già 1012, nonché quella lapidea in Via dei Cerretani
10 già 4659, numero scolpito fra graziosi ornamenti floreali.
NUMERAZIONE CIVICA
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Personaggi
Il ciclone Caruso
Un archivio di lettere in asta da Christie’s getta nuova luce
sulla burrascosa vita sentimentale del re dei tenori
di Fabrizio Borghini
Èdi questi giorni la notizia che Christie’s ha messo
all’asta 283 lettere e telegrammi spediti da Enrico Caruso
e 425 a lui indirizzati che contribuiranno a definire
ulteriormente il già conosciutissimo profilo artistico e
umano del grande tenore. Una di queste lettere, durissima nei
confronti del cantante napoletano, gli fu inviata da Teresa Da
Vela, sua “suocera” nonostante avesse nove anni meno di lui.
«Abbiamo sentito cose terribili e vergognose. È impossibile
per un uomo onesto comportarsi così. Che mi dici di questa
famiglia che volevi crearti? E questa donna che da sette anni
attende fedelmente l’adempimento delle tue promesse? Come
ti giudicherà il mondo? Non hai già creato abbastanza
scandalo?» scriveva da Villa Bellosguardo di Lastra a Signa a
New York nell’estate 1918. Chi era la donna che da sette anni
aspettava di convolare a nozze con Caruso e che ora si sentiva
beffata dalla notizia dell’imminente matrimonio americano
del re dei tenori? Per capire questa complessa vicenda familiare,
bisogna tornare indietro di una ventina d’anni, al 18 agosto
1897, quando il ciclone Caruso si abbatté sulla Toscana
approdando a Livorno per interpretare Traviata e Bohème, da
giovane tenore pressoché sconosciuto. Come protagonista
femminile nel ruolo di Mimì, lo affiancò la già affermata soprano
fiorentina Ada Giachetti, nata nel 1874. Figlia di Guido
Giachetti, Intendente di Finanza, e di Giuseppina Guidalotti,
era sorella maggiore di Rina, nata a Firenze nel 1880, anch’essa
affermata soprano. Durante la fatale estate 1897, Caruso
fu ospite della casa dei Giachetti in viale Regina Margherita a
Livorno e corteggiò contemporaneamente le due sorelle, in
Con la moglie Dorothy Park Benjamin e la figlia Gloria a Sorrento al Vittoria Hotel nel 1921
Enrico Caruso
maniera esplicita Rina, che era nubile, in maniera clandestina
Ada già maritata con il ricco commerciante Gino Botti e madre
del piccolo Lelio di due anni. Quando scoppiò la travolgente
passione fra Ada e Enrico che li indusse a scappare a
Milano, lei era già in attesa di un loro figlio che nacque nel luglio
1898 nel capoluogo lombardo; fu chiamato Rodolfo, come
il protagonista della galeotta Bohème che li aveva fatti
innamorare. Nel frattempo, la folgorante carriera artistica di
Caruso stava decollando tanto che nel 1903 fu ingaggiato per
una tournée negli Stati Uniti, intrapresa con Ada al seguito,
che lo consacrò celebrità internazionale. Nel 1904, carico di
gloria e con 1000 dollari di compensi ricevuti, decise di investire
l’ingente somma di denaro nell’acquisto della storica Villa
I Pini alle Panche con l’attigua fattoria di Belvedere in
Cercina nei pressi di Firenze. Fu qui, nei luoghi della sua infanzia,
che Ada, il 7 settembre 1904, partorì il loro secondogenito
Enrico Junior detto Mimmi, versione maschile di Mimì.
Sebbene con un’ottima carriera artistica alle spalle, Ada decise
di abbandonare le scene per dedicarsi ai figli e alla gestione
della impegnativa proprietà pur continuando a seguire e
consigliare Enrico nei sempre più pressanti impegni artistici.
Nell’estate del 1905, rientrato dall’ennesimo tour americano,
il tenore investì i suoi ormai favolosi guadagni ancora in To-
18
IL CICLONE CARUSO
Con i figli Rodolfo e Mimmi a Villa Bellosguardo
scana acquistando un’altra storica dimora nobiliare, la cinquecentesca
Villa Campi a Lastra a Signa che ristrutturò
chiamandola Bellosguardo. Il susseguirsi ininterrotto dei successi
e la fama, ormai planetaria, però, lo stavano allontanando
sempre più dalla famiglia e dalla sua terra d’adozione.
Nell’estate del 1908 Ada, sempre più sola, si innamorò dell’autista
e fuggì con lui a Nizza; nonostante l’appianamento degli
inevitabili strascichi legali che ne conseguirono, il legame fra
Ada e Enrico non si ricompose a causa della fuga di lei in Argentina
con un nuovo amante dopo la sua ultima esibizione a
Montecarlo nel dicembre 1909. Rina, che nel frattempo aveva
proseguito una brillante carriera internazionale, in seguito a
questa traumatica separazione, decise di abbandonare la lirica
per fare da madre ai nipoti Rodolfo e Mimmi. Dal gennaio
1910, dopo aver cantato al Costanzi di Roma nel Mefistofele,
si dedicò totalmente ai ragazzi e a Caruso con il quale nel
frattempo aveva instaurato un rapporto sentimentale destinato
a protrarsi per sette anni. Nell’estate del 1912, dopo l’ultimazione
dei lavori di restauro, Mimmi fu il regista di una festa
altisonante organizzata a Bellosguardo per celebrare ufficialmente
il fidanzamento tra il padre e la zia, e la nuova famiglia
trascorse le estati 1913 e 1914 nella villa sul lungomare Carducci
di Livorno di proprietà di Rina. Fra i documenti ora all’asta,
ci sono 20 lettere e 18 telegrammi di Caruso a Rina e ben
135 lettere e 21 telegrammi inviati da lei a lui fra il 1913 e il
1917. Sono gli anni della loro intensa storia d’amore dalla
quale nacque anche un figlio prematuramente scomparso
che fu sepolto, con una piccola cerimonia funebre, nel cimitero
di Rifredi e, per evitare le minacciate ritorsioni da parte di
Ada, sulla pietra tombale fu incisa la scritta Racuso, anagramma
di Caruso. L’ultima estate che li vide insieme fu quella
del 1916 perché, a causa della guerra, il tenore non fece più
ritorno in Italia. Anche la corrispondenza fra loro si diradò
sempre di più tanto che fra le lettere oggi venute alla luce ce
n’è una del 7 gennaio 1918 in cui Rina lo accusa di non essersi
fatto più vivo da cinque mesi. Quando poco tempo dopo dagli
Stati Uniti arrivò la notizia delle imminenti nozze del
cantante con la giovane ereditiera Dorothy Park Benjamin, Teresa
Da Vela, per difendere Rina, prese carta e penna per scrivere
a Caruso la lettera in cui bacchettava sonoramente uno
degli uomini più famosi e potenti del mondo rischiando di
compromettere irrimediabilmente i rapporti col “genero”. E la
risposta non si fece aspettare: Caruso intimò all’amministratore
Vecchiettini di mettere i sigilli alle ville e fece affidare
Mimmi a una governante mentre Rodolfo era militare sulle Alpi.
L’intrepida Teresa, nata a Certaldo nel 1882, era stata assunta
come dama di compagnia dalla famiglia Giachetti e
quando Guido rimase vedovo di Giuseppina, lui e Teresa, che
nel 1900 avevano avuto un figlio, Umberto, decisero di sposarsi
a Livorno: era il 1905. Teresa stabilì un legame affettivo
profondo con Rina e con i due figli di Ada che crebbe insieme
a Umberto, che ne era lo zio, come fratelli. Nonostante la reprimenda,
Caruso sposò ugualmente Dorothy nell’agosto
1918 a New York gettando nello sconforto Rina, Guido e Teresa
che poco dopo il matrimonio dovettero abbandonare le
due dimore. Nell’estate del 1919, il tenore decise di attraversare
l’Atlantico per portare a Bellosguardo Dorothy e farla incontrare
con i numerosi parenti fatti giungere appositamente
da Napoli. Dopo l’aggravarsi della pleurite che lo aveva colpito,
nel giugno 1920 Enrico, con Dorothy e la piccola Gloria, nata
a New York nel dicembre 1919, affrontò una nuova
traversata oceanica per raggiungere Bellosguardo sperando
di trovare giovamento dall’aria salubre che vi si respirava. Dopo
un lungo soggiorno a Sorrento, si diresse verso Firenze ma
si dovette fermare a Napoli perché le sue condizioni stavano
peggiorando. Spirò all’Hotel Vesuvio con lo sguardo rivolto
verso il golfo che l’aveva visto esordire nei locali come interprete
del tradizionale repertorio canoro partenopeo. Il profondo
radicamento toscano non si è disperso nel tempo perché
a 100 anni dalla sua scomparsa qui vivono ancora figli e nipoti
di quelli che furono travolti dal ciclone Caruso. Rina si dedicò
all’insegnamento e nel dicembre 1919 sposò il professor
IL CICLONE CARUSO
19
Con Ada Giachetti
Rina Giachetti, sorella di Ada e promessa sposa di Caruso
Comparini ed ebbe un figlio, Roberto
nato a Firenze nel 1923 e morto nel
1986. Sua moglie Marisa e la figlia
Gloria hanno vissuto per molti anni a
Firenze nelle vicinanze di piazza Puccini.
Mimmi, morto nel 1987, aveva
sposato alle Panche nel 1922 Elena
Canessa della famosa famiglia di antiquari
napoletani. Nel 1923 nacque il
loro primo figlio, Enrico Cesare morto
nel 1989, che sposò Fanny Fornelli; i
loro due figli, Federico e Riccardo, tenore,
vivono a Viareggio. L’altro figlio,
Vladimiro, nato a Cercina nel 1925, ha
vissuto come rilegatore di libri nel capoluogo
toscano dove è deceduto nel
1988. Teresa Da Vela, scomparsa a Firenze
nel 1966, è stata sepolta nella
cappella della famiglia Pierallini a dimostrazione
dell’indissolubile affetto
che l’aveva legata per tutta la vita a Rina.
Accanto a lei è sepolto il figlio Umberto,
Pierallini, pneumologo di Careggi, senza avere figli; dopo aver
perso tutti i suoi beni con la crisi del 1929, fu ospite della famiglia
Fontanella Servadio prima a Crespina e poi a Stabbia
di Cerreto Guidi dove morì nel 1959 fra le braccia di Teresa.
Fu sepolta nella cappella della famiglia Pierallini a Antella.
Ada morì nel 1946 a Rio De Janeiro in ristrettezze economiche
seppur aiutata da Caruso, come dimostra un documento
datato 1920 all’asta da Christie’s. Rodolfo sposò Armanda
che dopo aver lavorato all’ufficio del Presto di San
Martino della Cassa di Risparmio, è morto nel 1971 a Firenze
dove è nata nel 1932 la figlia Paola, che vi abita ancora nei
pressi del Ponte alla Vittoria. Dorothy è morta a Baltimora nel
1955 all’età di 62 anni, mentre Gloria ha cessato di vivere nel
1999. Enrico Caruso, intorno al quale questo walzer di incroci
umani si sono dipanati, era nato il 25 febbraio 1873 a Napoli
e il destino ha voluto che lì morisse il 2 agosto 1921.
Una cartolina inviata dal tenore a Ada Giachetti da Buenos Aires a Milano
20 IL CICLONE CARUSO
A cura di
Giuseppe Fricelli
Concerto in
salotto
Caruso caricaturista
di Giuseppe Fricelli
Non tutti sanno che il mitico tenore Enrico Caruso
fu un bravissimo caricaturista. Nei suoi numerosi
ritratti rivela una naturale padronanza del segno.
Il maestro denota una perizia ed una acutezza umoristica
eccezionale. Moltissimi sono i personaggi da lui raffigurati.
Si passa da Puccini a Boito, da Tosti a Mahler, da
Lina Cavalieri ad Anna Pavlova, da Tito Ricordi a Roberto
Bracco, da Ermete Novelli a Leopoldo II: una carrellata
di divertenti ed ottime caricature che ho avuto modo
di apprezzare ed ammirare in un libro acquistato a Verona
negli anni Settanta. Sono bellissime anche le scene di
opere che Caruso si dilettava a disegnare come quelle de
La fanciulla del West, Madama Butterfly e Cavalleria Rusticana.
Se vi capita di ascoltare Enrico Caruso nelle sue
incisioni vi renderete conto della ricchezza vocale irraggiungibile,
del timbro caldo e profondo della sua mirabile
voce, della sua generosità nel fraseggio. Un vero miracolo
della natura!
Enrico Caruso in un autoritratto del 1906
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
CARUSO CARICATURISTA
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Umberto Muti in occasione della mostra nel 2019 al Rifugio Gualdo (Sesto Fiorentino)
Umberto Muti
La materia viva del legno
+ 39 338 9502842
Ninfa, fronte e retro (2016), legno dipinto, h cm 160 Figli di Niobe (2011), legno, h cm 170
I libri del
Mese
Elena Giannarelli
Arguti, ironici e bonari: sono i
fantasmi fiorentini protagonisti
del libro Non è vero… ma ci credo
di Fabrizio Borghini
Èuscito in questi giorni un libro che tratta un argomento
del tutto inedito e sorprendente. Non è vero… ma ci
credo, è il titolo che non lascia trapelare alcunché sui
contenuti mentre è senz’altro più esplicito il sottotitolo: Spettri
a Firenze. Lo ha scritto la professoressa Elena Giannarelli,
per anni docente all’ateneo fiorentino, che, dopo il pensionamento,
si è voluta regalare, ed ha regalato a noi lettori, questo
piacevolissimo lavoro mirabilmente in bilico fra la rigorosa
ricostruzione di eventi storici della città e la collocazione
all’interno di questi di personaggi realmente vissuti che, a distanza
di secoli, continuano indisturbati ad aggirarsi fra palazzi,
strade, piazze e, ovviamente, cimiteri.
Perché questo titolo?
Mi sono rifatta a una commedia di Peppino De Filippo che
parlava di superstizione la cui morale era: anche se sei scettico,
meglio evitare di passare sotto una scala o attraversare
la strada dopo il passaggio di un gatto nero...non si sa mai...
lo stesso vale per i fantasmi.
Lei racconta storie che sicuramente susciteranno perplessità…
L’ho messo in conto e per questo ringrazio il coraggioso editore
Massimo Ciani.
Sono decine e decine le storie delle presenze fantasmatiche;
a quali fonti ha attinto?
La pubblicazione l’ho firmata io, ma sarebbe più giusto considerarla
un’opera corale perché tanti sono stati i fiorentini che
nei secoli hanno tramandato oralmente le vicende di fantasmi
di concittadini assolutamente non celebri. Per quelli più
famosi, come Ginevra degli Almieri, Beatrice Portinari, Monna
Tessa, le fonti sono letterarie e storiche. Alla tradizione
popolare appartengono le sporadiche apparizioni di Dante.
Invece Alighiero Alighieri e l’amata Beatrice sono, diciamo
così, più presenti…
È vero. Il padre del sommo poeta è stato più volte visto aggirarsi
sul Ponte Vecchio, con una scarsella in una mano e
una corda con un nodo nell’altra, dato che è morto in odore
di usura. Così l’ha raffigurato in copertina il bravissimo illustratore
Lido Contemori. Beatrice è stata vista, o ne è stata
percepita la presenza, verso il 1918/19 da un famoso profumiere
con bottega in piazza della Signoria; si chiamava Maurice
Bancalari e giurava che gli era apparsa in abito rosso,
con un mantello verde, proprio come descritta da Dante. Anche
negli anni Duemila, persone attendibili sostengono di
averla incrociata vicino agli Uffizi.
I luoghi più frequentati sembrerebbero essere l’antico
ospedale di Santa Maria Nuova e cimiteri storici come
quello degli Inglesi e quello dei Pinti.
Monna Tessa, che con Folco Portinari fondò il nosocomio nel
cui chiostro fu sepolta, sembra che vigili ancora sulle vicende
della struttura dove aleggiano anche le presenze di due oblate,
suor Olimpia e suor Domitilla, quest’ultima uccisa misteriosamente
negli anni Sessanta nell’ospedale. Una bella storia narra
di un elegante nobiluomo che nella notte fra il primo e il due
novembre lascia il cimitero dei Pinti per dirigersi nel vicino cimitero
degli Inglesi dove ad attenderlo c’è una signora vestita
di bianco e con un gran cappello di paglia. I due si incamminano,
arrivano all’Arno e poi, prima dell’alba, rientrano nelle rispettive
“residenze” dopo un romantico congedo.
Ma lei, professoressa, ci crede o no ai fantasmi?
Qualche dubbio ce l’ho. Non credo all’iconografia tradizionale
che parla di catene, stridore di porte, cigolii....questi sono
fantasmi fiorentini, arguti, ironici e sostanzialmente bonari
che mi consentono, con le loro vicende, di scrivere la storia
di Firenze da un punto di vista particolare.
ELENA GIANNARELLI
23
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Enzo Mauri
La pittura, una passione lunga una vita
Intervista all’artista lombardo nella sua casa studio a pochi passi da Piazza di Spagna
di Daniela Pronestì
Incontriamo Enzo Mauri nella sua casa studio di Roma, a pochi
passi da Piazza di Spagna. È una giornata di pieno sole,
di quelle che esaltano i particolari delle facciate e dei monumenti,
facendo sentire ancora di più l’eco di una bellezza millenaria
come quella del centro storico romano. Nato a Monza nel
1946, dopo oltre cinquant’anni trascorsi a Milano, città dove ha
studiato e svolto la professione di ingegnere, Mauri si è trasferito
nel cuore della capitale, segnando così l’inizio di un nuovo periodo
della sua esistenza interamente dedito allo studio e alla
pratica della pittura. Dopo aver attraversato un elegante androne
e salito i gradini di una scala a chiocciola, si arriva all’appartamento
in cui l’artista abita con la moglie Maria Immacolata.
Questa casa è lo specchio fedele delle due passioni che da sempre
lo accompagnano: quella per l’arte, con opere sue alle pareti
ed altre di artisti suoi amici oppure acquistate negli anni per
collezionismo, e quella per la lettura, con montagne di libri di
ogni tipo a riempiere i pochi spazi lasciati liberi dalle tele e dagli
altri attrezzi per dipingere. Completa l’appartamento un grande
terrazzo affacciato sui tetti e sullo splendore artistico di Roma
dove Mauri ha ricavato lo studio interamente a vetri in cui dipin-
Enzo Mauri nello studio a vetri ricavato sul terrazzo del suo appartamento romano
ge. Roba da fare invidia a molti pittori per il contesto mozzafiato
intorno ma anche, e soprattutto, per la luce che invade questo
spazio da ogni parte. È qui che ha luogo l’intervista, tra pennelli,
colori, tele bianche ed altre già abbozzate: un disordine ordinato
nel quale ogni cosa parla di un presente costruito sulle basi di
un antico amore per la pittura.
Quando ha iniziato ad interessarsi all’arte? Qual è stata
la molla?
Non saprei dire con precisione quando, posso dire piuttosto
che l’interesse per l’arte mi accompagna da sempre. Potrei definirla
un’inclinazione naturale assecondata forse anche dal
fatto di avere avuto in famiglia uno zio che disegnava e realizzava
piccole sculture ed elementi decorativi in legno. Ne conservo
ancora qualcuno, e guardandoli oggi, a distanza di molto
tempo da quando bambino vedevo mio zio lavorare il legno,
riesco ad apprezzarne la qualità artistica. In generale, credo
che l’amore per l’arte sia il risultato di più fattori: l’ambiente familiare
certamente aiuta, così come l’innata sensibilità per il
bello, non solo quello artistico ma anche quello della natura.
Eppure, tutto questo non basta, perché l’arte è un codice che
va studiato e conosciuto a fondo per poterne veramente comprendere
i meccanismi. Ed è quello che io cerco di fare da sempre,
anche da prima di dedicarmi alla pittura.
Nella sua vita professionale, però, ha scelto un’altra
strada, quella dell’ingegneria civile. Come ha conciliato
le due cose?
Omaggio a Giorgio Morandi
Sì, è vero, ho scelto di fare l’ingegnere, una professione che
24
ENZO MAURI
impone rigore scientifico, diciamo, ma che sottende anche
un lato creativo. Del resto, il mio lavoro non mi ha impedito
di interessarmi all’arte anche mentre studiavo per diventare
ingegnere. Ricordo i pomeriggi trascorsi a Milano con
due cari amici, Giorgio Tedioli ed Enzo Contini, che come
me amavano l’arte e all’arte hanno dedicato gran parte della
loro vita, il primo come designer, l’altro come scultore. Ci
eravamo conosciuti, ancora giovanissimi, alla scuola d’arte
di Sesto San Giovanni. Insieme andavamo per gallerie e
musei, visitavamo gli studi di artisti allora famosi. Eravamo
poco più che ragazzi ma avevamo già le idee molto chiare
sul fatto che l’arte sarebbe stata una presenza certa nelle
nostre vite.
Cosa ricorda della Milano di allora? Com’era l’ambiente
culturale e artistico?
Era il periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, e
Milano era già una città che offriva molto dal punto di vista
culturale. Con i miei amici Giorgio ed Enzo frequentavamo
le migliori gallerie di allora: Toninelli, Blu, Bergamini,
il Naviglio e la galleria Delle Ore. Era, per così dire, il nostro
passatempo preferito andare per mostre, un’occasione
per conoscere più da vicino questo mondo. Si respirava
un’atmosfera vivace in città, soprattutto nel quartiere di
Brera, dove c’erano caffè artistici e letterari molto interessanti
da frequentare, come il famoso Caffè Jamaica, ritrovo
dei maggiori artisti ed intellettuali della Milano di
quegli anni. È stato un periodo importante per me, la mia
prima formazione artistica è avvenuta allora, grazie anche
ad alcune mostre, come quella di Francis Bacon alla galleria
Toninelli, che mi ha davvero aperto un mondo e fatto
conoscere da vicino le opere di un artista tra i più significativi
del nostro tempo.
Metropolitana (2020), olio su tela
Tra gli inizi della sua carriera professionale e la scelta
di dedicarsi totalmente alla pittura corrono quasi cinquant’anni.
In che modo l’arte è stata sua compagna in
questo ampio lasso di tempo?
Come dicevo prima, aver lavorato come ingegnere mi ha
permesso di sviluppare la mia vena creativa, per quanto
applicata ad aspetti tecnico – costruttivi e non propriamente
artistici. Ma è stato comunque un bell’esercizio, e
posso dire di aver amato tanto la mia professione. Per il
resto, mi sono sempre dilettato a disegnare, ad allenare
l’occhio e la mano nella pratica assai difficile del disegno.
E non avendo allora ancora iniziato a dipingere, collezionavo
le opere degli altri, degli amici Giorgio ed Enzo, ma
non solo. Ricordo che una volta fui sul punto di acquistare
un’opera di Filippo de Pisis, artista che ho sempre trovato
affascinante come l’altro grande emiliano Giorgio Morandi
e il lombardo Ennio Morlotti. Di Morandi ho anche dipinto
un ritratto perché mi incuriosiva il suo personaggio, la
scelta, da un certo punto in poi, di vivere come un eremita
e di occuparsi soltanto dei problemi della pittura. La mia
non è stata una scelta così radicale, ma a modo mio ho deciso
di dare un taglio netto con quella che era stata la mia
vita per quasi sessant’anni e consacrare finalmente ogni
mio sforzo alla pittura.
Veniamo, appunto, a questa scelta: una brillante carriera
come ingegnere e poi, dopo la pensione, il trasferimento
a Roma e l’inizio di una nuova vita…
Sì, lo definirei esattamente così: l’inizio di una nuova vita.
La scelta di Roma non è stata casuale. Mia moglie è
romana ed è nata proprio nella casa dove abitiamo adesso.
Trasferirsi qui ha significato per lei tornare nella sua
città dopo diversi anni trascorsi
a Milano, mentre per me ha rappresentato
un’occasione per fare
quello che avevo sempre sognato:
studiare pittura e dipingere.
Dicevo prima che la pittura va
conosciuta a fondo prima di poter
anche solo impugnare un pennello.
È una questione di rispetto
verso quest’arte tanto straordinaria
quanto complessa. Per questo,
inizialmente ho deciso di
iscrivermi alla Scuola delle Arti
Ornamentali conosciuta a Roma
come “la San Giacomo” perché
si trova vicino all’omonima chiesa
di via del Corso. È una delle
scuole d’arte più antiche e celebri
della capitale, oggi gestista
dal Comune e fondata nel lontano
1885. Da qui sono passate intere
generazioni di artisti che hanno
dato un’impronta importante
ENZO MAURI
25
alla cultura italiana e romana in
particolare, come Pericle Fazzini
e Mario Mafai, quest’ultimo
tra i massimi esponenti della cosiddetta
“Scuola romana”, insieme
ad altri nomi altrettanto
conosciuti come quelli di Scipione,
Renato Marino Mazzacurati
e Antonietta Raphaël. Esaurita
questa prima esperienza, mi sono
iscritto all’Accademia di Belle
Arti per completare con basi ancora
più solide la mia formazione.
Ho studiato disegno, pittura,
affresco, restauro e tutto quello
che poteva servirmi a maturare
una conoscenza profonda delle
varie tecniche artistiche.
Gli esordi da pittore la vedono
impegnato tanto nella rappresentazione
del paesaggio quanto della figura umana:
qual è, tra i due, il genere che più preferisce?
Frammenti urbani (2020), olio su tela
Non mi sento di esprimere una preferenza, nel senso che,
prima ancora del soggetto, a me interessa la pittura, il modo
di combinare i colori, di farli “vivere” sulla tela, di risolvere
il rapporto tra la forma disegnata e quella dipinta.
Rappresentare la natura mi è servito per affinare il senso
del colore, esercitare l’occhio a riconoscere e riprodurre
sulla tela i rapporti chiaroscurali, modulare i diversi piani
della visione, conciliando il vicino e il lontano, il primo piano
e l’orizzonte. Ritrarre le figure mi consente invece di alimentare
la mia curiosità verso l’essere umano, verso ciò
che il corpo racconta dell’individuo, del suo modo di essere,
di vivere, di muoversi nel contesto caotico delle grandi
città. Nella natura mi perdo, mi rispecchio, ritrovo soprattutto
l’armonia impossibile nel tran tran delle azioni quotidiane;
alla figura umana, invece, guardo come farebbe un
antropologo, e cioè con il bisogno di capire cos’è che davvero
ci muove e ci spinge ad essere come siamo.
In effetti, osservando i suoi dipinti ambientati in metropolitana
o per le strade romane invase da turisti si
ha l’impressione che le persone sciamino in qua e in là
senza sapere dove stiano andando. È il disorientamento
dell’uomo contemporaneo ciò che le interessa raccontare?
Sì, è questo che voglio raccontare, ma ci sono arrivato per
gradi. Inizialmente mi interessava soprattutto il rapporto
tra figura e sfondo, il modo in cui le due cose sembrano
fondersi e diventare un tutt’uno nella finzione pittorica.
Sono partito da qui per poi concentrarmi maggiormente
sulle persone, non sui loro volti però, quelli non mi interessano,
ma sulla miriade di azioni e gesti attraverso i quali ci
esprimiamo. Questo vale soprattutto per i soggetti che mi
capita d’incontrare in metropolitana: la gran parte di loro,
giovani e meno giovani, ha la testa piegata sul telefonino.
Non si guardano l’un l’altro, non comunicano, sembrano
totalmente estraniati da tutto ciò che accade intorno. Per
carità, a me va bene, perché così posso fotografarli senza
che se ne accorgano e poi servirmi di questi scatti come
modelli per i miei quadri. Ma, al netto di questo, mette
tristezza vedere come sempre di più l’uomo di oggi stia
delegando la propria vita e i rapporti con gli altri a questi
che sono e dovrebbero restare solo e soltanto oggetti utili
ad uno scopo pratico. Purtroppo, è una deriva inarrestabile
che allontana le persone anziché facilitarne le relazioni,
ma soprattutto le rende sempre più sole, chiuse in loro
stesse, diffidenti verso l’altro. È di questo che voglio parlare
nella mia pittura.
Il suo stile è incentrato sull’intensità del colore, ma altrettanto
importante è lo spazio bianco intorno alle figure:
perché questo contrasto?
Il colore mi affascina più di ogni altra cosa: per me la realtà
è un prisma colorato che cerco di trasporre sulla tela
alternando armonie a contrasti, tinte forti ad altre più fredde
come i neri e i grigi. Ma è il bianco l’origine di tutto, dei
singoli colori così come della luce che rende visibili le cose.
Il bianco nei miei quadri serve proprio a questo, a far
vivere le figure in uno spazio che non è vuoto, ma contiene
in sé tutto ciò che serve alla pittura, cioè disegno, colore
e forma e il modo in cui questi elementi entrano in relazione
per generare l’illusione della realtà dipinta. Per questo
motivo, mi piace concentrare su di una stessa tela tutte le
variabili possibili: la figura finita e quella appena abbozzata,
la forma colorata e quella soltanto disegnata, il colore
mescolato e steso con il pennello e quello applicato puro
e in rilievo. Insomma, è la pittura la vera protagonista dei
miei quadri; a lei devo le gioie e le fatiche di questa seconda
parte della mia vita, e di questo non posso che esserle
infinitamente grato.
26 ENZO MAURI
I libri del
Mese
Esther Diana
Il viaggio metafisico delle vite che tornano
di Erika Bresci
Il romanzo d’ambientazione storica è racchiuso
nella cornice straniante e magica di
un’avventura insolita e paranormale, che ha
per protagonisti tre gatti da appartamento e gioca
con una delle caratteristiche universalmente
riconosciute dalla tradizione al mondo felino: l’avere
nove vite. A bordo del lettone padronale Basileia,
Olaf e Trixy si trovano a raccontare – e a
rivivere – una delle loro vite precedenti, vissuta
in forma umana, archiviata con l’amaro in bocca
degli irrisolti con cui molte esistenze sono solite
concludersi. Il viaggio metafisico è quindi
occasione propizia per “mettere a posto”, ma soprattutto
vedere con occhi nuovi (fino a coglierne
l’armonia non compresa durante il percorso
terreno) gli episodi di una storia tutta incardinata
nella prima metà del secolo scorso e, per questo,
condizionata e intrisa dei sentimenti e delle
difficoltà prodotte dai due conflitti mondiali. Al
centro, la figura di Anita (Basileia), figlia costretta
a crescere troppo in fretta, indurita dalla vita
e da una sete di affetto inappagata che la porta
a trascorrere le giornate in una corsa quotidiana,
un fare parossistico e frenetico – «pareva
una farfalla impazzita: sempre intenta a svolazzare
qua e là per mettere a posto e per pulire» –,
illudendosi di potersi realizzare in quel suo moto
perpetuo. Convinta che «la casa l’avrebbe rappresentata
agli occhi del mondo», sorvola sulla
profondità delle relazioni, le vive anch’esse come
oggetti materiali da spolverare ogni tanto e
da proteggere da tutti quei manigoldi che potrebbero
entrare di nascosto nelle sue linde stanze e
portare via. Ladri insospettabili, come potrebbe
essere una nuora, per esempio. Tanto che l’ansia
di possesso sconvolge anche la vita del figlio Ruggero (Olaf),
così diverso da lei; un’anima leggera, meditativa, delicata
nell’esprimersi nella pittura, innamorato proustianamente
della mite, pastosa Linetta (Trixy), candida e solo apparentemente
remissiva. Ruggero, prigioniero di guerra per otto lunghi
anni, che altrettanti (o quasi) passerà intrappolato nella
casa materna insieme alla sposa, incapace di sottrarsi a un
ricatto di affetti che affetto non è. Il racconto della storia familiare
si interrompe con il trasloco (conquista) di Ruggero e
Linetta, sposi e a loro volta genitori, in una casa propria, tolti
gli ormeggi e le zavorre da quella della madre. La cornice
risolve nelle ultime battute le mancanze e i rancori rimasti a
ribollire, smussa gli angoli, addolcisce lo stridio del tempo e
lascia ai lettori l’immagine serena di tre persone intente a innalzarsi
verso l’infinito con il sorriso, mano nella mano. La
leggerezza della favola esopica di Basileia (“la regalità”), Olaf
(“il figlio”) e Trixy (diminutivo di Beatrix, ovvero “colei che rende
beato”) è invenzione narrativa intelligente, capace da un
lato di fare da antidoto alla gravità della storia narrata, dall’altro
di rendere evidente come tutto nella vita sia un gioco di
opposti (favola e storia, silenzio e ciarlare, impegno e inettitudine,
possesso e dedizione). L’Italia tra e delle due guerre
dipinge una quinta cupa e coerente con lo snodarsi delle vicende
familiari – fatte di silenzi, di colpe, di segreti indicibili
– di uomini e donne che forse davvero solo la catarsi della
morte e la possibilità di rigenerarsi dopo aver compreso possono
salvare. Ma il messaggio resta comunque di speranza.
Perché quella scala (di vaga rimembranza platonica) che porta
in alto esiste e ognuno di noi ha, ad attenderlo, un baffo
amico che gli farà da guida verso una versione migliore di sé.
ESTHER DIANA
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Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Kinga Lopot Dzierwa
Un invito ad entrare nel cuore della natura tra misteri e ricordi
di Margherita Blonska Ciardi
Artista e professoressa d’Arti visive e Pedagogia all’Università
di Cracovia, Kinga Lopot Dzierwa ha scoperto l’amore
per l’arte grazie a due fortunati incontri avvenuti
uno tra i banchi di scuola e l’altro in un circolo culturale. Nata a
Włoszczow, piccolo paese in Polonia, è qui che da ragazza ha
seguito un corso di disegno organizzato presso la Casa della
Cultura (in polacco “Dom Kultury”) sotto la guida della giovane
insegnante Maria Dudkiewicz. Questo corso, che sembrava essere
soltanto un intrattenimento per bambini, si è rivelato invece
fondamentale per la sua crescita. Successivamente, mentre
frequentava le scuole dell’obbligo nella città di Kielce, un insegnante
d’arte pieno di entusiasmo le ha permesso di scoprire
e valorizzare le sue doti artistiche. Negli anni, alla passione per
l’arte si è affiancato anche l’interesse per l’insegnamento e per la
pedagogia che sono diventate la sua ragione di vita e l’hanno vista
intraprendere una brillante carriera didattica. «L’essere umano
– afferma Kinga Lopot Dzierwa – può diventare artista solo
se la sua ricchezza interiore viene scolpita dall’ambiente esterno».
Dopo la maturità si è trasferita a Cracovia dove ha terminato
gli studi universitari, frequentato alcuni master e conseguito
l’abilitazione all’insegnamento universitario. Parallelamente ad
una strepitosa carriera didattica ha sempre portato avanti l’attività
artistica. Le sue opere destano attenzione per la particolare
tecnica e il velo di mistero che le avvolge. Non usa grandi formati
e preferisce lavorare in serie, tipo patchwork, oppure creare
trittici per organizzare al meglio lo spazio del suo atelier. Tecniche
come olio su tela, collage e acquarello sono le sue preferite
e se ne serve per catturare le bellezze naturalistiche di luoghi
legati alla sua infanzia. I quadri ad olio spesso si sviluppano in
serie dedicate a paesaggi in verticale e in orizzontale. I primi sono
realizzati a spatola con sfumature prese dai colori della terra
e stratificazioni che ricordano la corteccia degli alberi. Si avverte
il riferimento alla vita delle piante, alla linfa che le alimenta e
al loro forte legame con l’ambiente circostante e con il terreno.
I paesaggi orizzontali, ispirati sempre dagli alberi, alludono invece
all’effimera bellezza delle vedute panoramiche, delle colline
brune e spesso innevate. In queste opere sembra di sentire il
respiro della terra e del vento che percorre spaziosi campi trac-
Paesaggio monocromatico (2020), olio su tela e carta
Paesaggio monocromatico 0211 (2020), olio su tela e carta di riso, cm 80x80
di riso, cm 80x40
28
KINGA LOPOT DZIERWA
Paesaggio monocromatico 015 (2020), tecnica mista su cartone,
carta di riso e acrilico, cm 40x30
Paesaggio monocromatico 016 (2020), olio su tela e carta di riso, cm 40x40
Acquerello lirico (2017), acquerello su carta, cm 40x40
ciati con colori tenui: la connessione con Madre Natura è tangibile.
Le tonalità usate nei quadri ad olio variano dal bianco (della
neve) al beige, passando attraverso gli ocra e sfumature di marrone
tendenti gradualmente al bruno. Queste composizioni sono
una sublime reinterpretazione del paesaggio reale che viene
scomposto in superfici geometrizzate, secondo una tecnica che
l’artista ha acquisito dopo anni di studio e guardano le opere di
maestri come Klimt, Klee, Kandinskij e Mondrian. Gli acquerelli
colpiscono invece per le insolite e sgargianti scelte cromatiche,
attraverso le quali il riferimento alla natura viene espresso
in maniera diversa. L’artista usa spesso la tecnica del frottage
per dettagli come le venature delle foglie e le impronte floreali.
In queste opere la rappresentazione della natura, e e soprattutto
della flora, si concentra maggiormente sui particolari, sull’osservazione
ravvicinata dei frutti selvatici e del sottobosco con
i fiori e le variopinte foglie autunnali raffigurate come misteriosi
tesori. I colori forti, vitali ed energici servono
a rappresentare bellezza, gioia ed abbondanza
del creato. In queste opere si avverte il riferimento
alla scuola dei coloristi polacchi come
Potworowski. Dipingendo i suoi quadri in piena
libertà e imbrattando spesso i suoi vestiti di
colore perché trascinata dal momento di euforia
e di felicità, Kinga Lopot Dzierwa conferma
lo slogan dei coloristi: «Pittura per la pittura». Il
mondo esterno viene svincolato dalla realtà ed
elaborato durante il processo artistico per offrirne
un’interpretazione del tutto libera e personale.
Per questo motivo, preferisce non dare
titoli ai suoi quadri, ma solo il nome iniziale della
serie, sperando così di lasciare spazio alla
fantasia dell’osservatore. «Avrai la vita dello
stesso colore del quale sono i tuoi pensieri» diceva
Marco Aurelio. Un motto nel quale Kinga
Lopot Dzierwa si identifica e per questo cerca
di trasmettere una parte della propria energia
creativa a chi guarda i suoi quadri. Il prossimo
mese di maggio le sue opere saranno in mostra
a Roma, per poi partecipare a settembre alla
terza edizione di AqvArt a Venezia.
KINGA LOPOT DZIERWA
29
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
L’arte di scrivere un testo teatrale
Ne parliamo con l’attore, autore e regista Alessandro Riccio
di Doretta Boretti / foto courtesy Alessandro Riccio
Dopo le interviste, nei precedenti articoli,
ad alcune figure professionali
della “fabbrica teatro”, grazie alle
quali abbiamo capito quale ruolo importante
ciascuna di loro rivesta, è doveroso considerare
l’elemento senza il quale una rappresentazione
teatrale non si potrebbe definire tale:
il testo. Ne parliamo con Alessandro Riccio,
una delle “maschere” più originali e interessanti
di questo terzo millennio: regista, attore,
cantante ed autore di testi teatrali.
Come nasce in te l’idea di scrivere un testo
teatrale?
Io sono un uomo curiosissimo, adoro leggere
stranezze. Il mondo è spesso più ricco
di spunti di quanto non s’immagini. Tantissime
idee le ho trovate leggendo saggi (lo
spettacolo su Eusapia Palladino, la prima
spiritista italiana, è nato leggendo la biografia
di Cesare Lombroso), articoli di giornali,
oppure guardando film (La meccanica
dell’amore nasce da Io e Caterina di Alberto
Sordi) o manifesti (lo spettacolo Reine
de joie mi è stato ispirato dall’omonima affiche
di Toulouse -Lautrec). Poi ovviamente
anche dalle esperienze private, da ciò che
senti l’esigenza di raccontare, da una tua
urgenza.
Quanto è difficile? Occorre molto studio?
Ci sono dei canoni da rispettare?
Per me è un inferno. La drammaturgia è una
vera e propria arte. Necessita di molto studio.
Le regole sono davvero tante e fondamentali,
ma poi serve il talento e l’applicazione. Tutti
gli scrittori consigliano di scrivere ogni giorno
almeno una pagina. Io non nasco come drammaturgo e
per me scrivere è sempre a servizio della messa in scena.
Credo che i miei testi siano meno ricchi dei miei spettacoli:
attraverso la regia racconto di più che con le sole parole. Ma
lo ripeto: non sono un drammaturgo e mi va bene così.
Hai scritto un numero incredibile di commedie: ce n'è qualcuna
a cui sei più affezionato e perché?
Alessandro Riccio (ph. Luca Brunetti)
È come chiedere ad una madre: quale figlio preferisci? Ogni
spettacolo ha il suo perché nella vita di un regista ed è importante,
a mio avviso, osservare il lavoro completo di un
artista, non la singola opera. Comunque Sotto spirito, la storia
di Eusapia Palladino, Archibusati e In viso veritas credo
siano tra i miei lavori preferiti, scritti proprio con il cuore.
Spesso i tuoi testi passano dal comico al drammatico
con estrema ironia. Ti riconosci in questa affermazione e
quanto è importante l’ironia?
Il cambio di registro improvviso è davvero una mia cifra
stilistica. Mi piace passare dalla risata grassa alla frase
30
ALESSANDRO RICCIO
struggente e viceversa. Perché nella vita è così: nei momenti
più drammatici si cerca sempre di sorridere. E quando
si ride, spesso capita di pensare alle cose tristi. La
risata è senza dubbio un salvavita, la leggerezza necessaria
per sostenere i nostri drammi personali.
Di solito interpreti personaggi di tua invenzione ma ti
cimenti anche in personaggi scritti da altri. In questo
secondo caso, è necessario mettere mano al testo? E
l’autore, se vivo, come reagisce?
Io non credo al “Dio drammaturgo”: sono fermamente convinto
che una collaborazione paritaria fra scrittore, regista
e attore possa portare a risultati estremamente più stratificati
e interessanti. Sei occhi vedono meglio di due. Io
metto sempre mano al testo, perché se devo dire una battuta,
mi deve essere comoda in bocca. E cerco di spiegare
il perché: chi la vince poi è un’altra storia...
Gaia Nanni e Alessandro Riccio interpretano la cameriera meccanica Amapola e il signor Orlando ne La meccanica dell'amore (ph. Giuseppe D'Ambrosio)
ALESSANDRO RICCIO
31
Riccio in abito settecentesco per lo spettacolo Ti racconto Don Giovanni con l'Orchestra della Toscana (ph. Marco Borrelli)
Sei sempre un vulcano di idee, neppure la pandemia ti ha impedito
di continuare a lavorare. Cosa hai in programma per i
prossimi mesi?
Ho in mente più di dieci spettacoli diversi da scrivere: un
processo alle streghe, una vicenda in una prigione della rivoluzione
francese, un cantastorie démodé, un’eredità in
mano ad un folle e naturalmente Il carrozzone di Făgărăş,
lo spettacolo che stiamo provando in questo periodo, nato
durante la reclusione. E molte altre storie ancora che di
sicuro non parleranno di pandemia né di virus. Il teatro è
la nostra ora d’aria, un mezzo che, per me, deve allontanarsi
dall’asfissiante quotidianità per indagare il vero protagonista
del mondo: l’essere umano. Non di ricordarci le
nostre piccolezze di tutti i giorni. È un arte per volare alto,
il teatro.
Alessandro Riccio è Giacomo Puccini nello spettacolo I fiati dell'opera in collaborazione con l'Orchestra della Toscana (ph. Marco Borrelli)
32 ALESSANDRO RICCIO
Eventi in
Toscana
Grosseto rende omaggio allo scultore
Sauro Cavallini con una mostra a cielo
aperto nel centro storico della città
di Barbara Santoro / Foto courtesy Centro Studi Sauro Cavallini
Tra gli eventi promossi dal Comune di Grosseto e dalla
Fondazione Grosseto Cultura e inseriti nel calendario
2021 del Polo culturale Le Clarisse prenderà il via
il prossimo 21 marzo (e fino al mese di settembre), nel centro
storico della città, in piazza Dante, la grande mostra intitolata
Dinamica – La scultura monumentale di Sauro Cavallini.
Realizzata in collaborazione con il Centro Studi Sauro Cavallini
di Fiesole, vedrà la presenza di alcune grandi sculture in
bronzo realizzate dall’artista spezzino, naturalizzato fiorentino,
scomparso nel 2016. «Una delle nostre priorità – ha detto Anton
Francesco Vivarelli Colonna, sindaco di Grosseto – è rendere
l’arte accessibile all’intera comunità, portando le opere nelle
vie, in mezzo alla gente, per trasformare Grosseto in una sorta
di museo permanente. Penso che con la mostra di Sauro Cavallini,
di cui siamo molto fieri, il nostro obiettivo si stia concretizzando
nel modo migliore». Giovanni Tombari, presidente della
Fondazione Grosseto Cultura, con Mauro Papa, direttore del
Polo culturale Le Clarisse, si sono mostrati da subito interessati
a promuovere questo evento che racconta Cavallini come
un talento multiforme che ha saputo dialogare con la materia in
maniera eccelsa. Per l’occasione saranno esposte sculture monumentali
in bronzo realizzate dall’artista tra il 1967 e il 1984,
ovvero: Amore Universo, dove i corpi si muovono nello spazio
in un legame universale indissolubile; Balletto Multiplo, un vi-
Titani (1968), bronzo, cm 60x310 e cm 50x210
Balletto Multiplo (1984), bronzo, cm 260x280x250
vace balletto di gruppo in cui tre sinuose silhouette si muovono
armoniosamente con una coreografia che si articola intorno
alla figura centrale sollevata in un agile slancio; Centauro, creatura
mitologica metà uomo e metà cavallo raffigurata fremente
e scalpitante con le zampe anteriori per indicare lo scontro
ideale tra l’uomo e il centauro, tra la saggezza e l’aggressività;
Icaro, figura imponente e straordinariamente plastica rappresentata
con le braccia aperte che ricordano ali spiegate, il
corpo ricurvo in avanti e la testa china, la gamba sinistra piegata
sul basamento (unico punto di appoggio dell’opera) e la
destra slanciata lateralmente a riprendere il movimento delle
braccia e ad indicare la capacità dell’uomo di superare i propri
limiti; Titani, dotati di una forza straordinaria, sono presentati
in tutta la loro grandiosità, alti, snelli, con le braccia lungo
il corpo o sollevate al cielo, carichi di un’energia interiore trattenuta,
ma pronta ad esplodere. Le storie mitologiche, e in particolare
i miti greci, sono state punto di riferimento costante
per Cavallini che, ispirandosi ai protagonisti di favolose leggende,
ha realizzato opere cariche di significati simbolici che
spesso gli hanno consentito di esprimere i suoi profondi ideali.
Attivo per oltre mezzo secolo, Cavallini ha sempre mostrato
una personalità eclettica, confrontandosi con diverse forme
di espressione (disegno, pittura e soprattutto scultura) e riuscendo
a ottenere commissioni prestigiose, così come il privilegio
di essere presente con le sue opere
in collezioni di elevato spessore come
quelle della Città del Vaticano, del Principato
di Monaco, del Parlamento Europeo
di Strasburgo, nonché amministrazioni
pubbliche e importanti istituti bancari.
Moltissimi i riconoscimenti ricevuti
in vita e, dalla sua scomparsa avvenuta
nel 2016, si è registrato un sempre maggiore
riconoscimento e apprezzamento
del suo lavoro da parte della critica,
anche grazie ad una serie di eventi che
hanno dato l’opportunità ad un pubblico
sempre più vasto di conoscerne l’opera.
Con questa mostra prosegue quindi il
successo di un artista che ha dedicato
la propria vita alla realizzazione di opere
di grande impatto emotivo e di notevole
attualità, raggiungendo livelli altissimi
di approfondimento e di conoscenza
dell’arte scultorea e non solo.
SAURO CAVALLINI
33
L’avvocato
Risponde
A cura di
Alessandra Cirri
Dall’altare al tribunale: la separazione dei coniugi
di Alessandra Cirri
Il matrimonio è un istituto giuridico solenne con cui i nubendi-coniugi
si scambiano il reciproco consenso a condividere
la vita ed assumono reciproci obblighi. Per la
Costituzione è il fondamento della famiglia. Al momento della
celebrazione delle nozze, sia dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile,
sia con matrimonio religioso, vengono letti tre articoli del
codice civile. Nell’emozione del momento, molti non vi prestano
attenzione, ma sono di fondamentale importanza: si parla
di “obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale,
alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla
coabitazione…”, “obbligo imposto ad ambedue i coniugi di
mantenere, istruire, educare, assistere moralmente i figli”. Poche
parole dense di significato. In Italia, nel 2019 sono stati
celebrati 184.088 matrimoni, 11.690 in meno rispetto all’anno
precedente. Il trend evidenzia un progressivo calo, sempre più
in aumento, di matrimoni. I costumi sono mutati notevolmente
negli ultimi trent’anni e il matrimonio non rappresenta più
una mèta a cui aspirare. Di pari passo aumentano le convivenze,
le famiglie dei single, come si evince dalla recente disciplina
normativa delle Unioni Civili e delle Convivenze di Fatto.
Venendo al momento della “crisi familiare”, i clienti che si rivolgono
al mio studio si sentono insicuri e impauriti perché il
passo è grande. Dopo trent’anni di attività capisco subito quali
siano stati i problemi: è fondamentale che il cliente si senta
compreso. A volte mi chiedo se sono un bravo avvocato, stante
la mia propensione alla comprensione, mi dico che dovrei
essere più distaccata, ma non ci riesco. Forse ciò è dovuto anche
alle mie esperienze, figlia di genitori separati e poi divor-
ziati, e io stessa divorziata. La prima cosa che premetto è che
non ci sono né vinti né vincitori, perché si sta parlando di pezzi
di vita, di figli, e il tentativo quindi è di dissuaderli dall’intraprendere
lunghe e costose battaglie giudiziarie. Per questo mi
adopero per instaurare trattative con la controparte, per giungere
ad un accordo bonario, conscia del fatto che una diatriba
giuridica non farebbe che aggravare ferite e dolori, oltre che allungare
notevolmente i tempi. La separazione è consensuale o
giudiziale; la prima è basata sul consenso di entrambi i coniugi,
che siglano una sorta di accordo che verrà trascritto nel ricorso
introduttivo. Alla seconda si ricorre in caso di mancato
accordo o impossibilità di raggiungerlo. In tal caso, si redige
un ricorso introduttivo al fine di giungere all’udienza presidenziale
ed ottenere i migliori provvedimenti provvisori ed urgenti
che dovranno essere adottati dal giudice e che permarranno fino
al termine della causa. Il processo di separazione giudiziale
è bi-fasico. La prima fase, introdotta con ricorso, termina
con l’udienza presidenziale ove i coniugi separatamente vengono
ascoltati dal presidente e poi successivamente lo stesso
adotta dei provvedimenti provvisori ed urgenti che riguardano:
l’affidamento dei figli e le modalità di visita degli stessi, l’assegno
mensile, quale contributo al mantenimento della prole,
considerando le risorse economico e patrimoniali di ciascun
genitore, il rimborso delle spese straordinarie attinenti ai figli,
l’assegnazione della casa familiare, a quale genitore il collocamento
dei figli. Il presidente, infine, assegna la causa ad un
giudice istruttore. Questa è la seconda fase della separazione
giudiziale, che ha lo svolgimento di qualsiasi altra causa, ovvero
con trattazione scritta ed orale, escussione di testi, assunzione
di mezzi di prova, eccetera. La separazione giudiziale,
tuttavia, può essere trasformata in consensuale in qualsiasi
momento, laddove i coniugi abbiano, nel frattempo, raggiunto
un accordo. La consensuale si basa sull’accordo raggiunto e
poi trascritto nel ricorso introduttivo. Il contenuto dell’accordo
può essere molto più ampio della separazione giudiziale, ovvero
oltre a disciplinare i quattro punti fondamentali della separazione
– affidamento dei minori, assegnazione della casa
coniugale, assegno per i figli, eventuale assegno per coniuge
beneficiario – si può estendere anche a tutti i rapporti patrimoniali
dei coniugi, come divisione di beni mobili o immobili, conti
correnti, altre posizioni patrimoniali, eccetera. I coniugi che
prevedano il trasferimento di parte o di un intero bene immobile
a favore di un coniuge o dei figli godono dell’esenzione fiscale,
laddove ciò sia rappresentato come elemento
funzionale alla risoluzione della crisi coniugale. La separazione
consensuale termina con l’omologa, una sorta di timbro
con il quale i coniugi vengono autorizzati a essere separati alle
condizioni dai medesimi indicate nel ricorso, previo vaglio
del pubblico ministero che svolge funzioni di controllo dell’interesse
pubblico. La separazione giudiziale, invece, termina
con sentenza. La separazione con negoziazione assistita ha
lo stesso identico valore della separazione consensuale svol-
34
LA SEPARAZIONE
ta in tribunale. In questa procedura le
parti siglano una Convenzione preliminare
che altro non è che sancire delle regole
di condotta per tutto il periodo
necessario per il raggiungimento di un
accordo che deve avvenire entro novanta
giorni dalla sottoscrizione della Convenzione.
In questo periodo le parti
trovano l’accordo con l’assistenza degli
avvocati, che poi trascrivono in un atto
“accordo di negoziazione assistita per la
separazione personale”. Tale atto viene
depositato presso la Procura delle Repubblica
del tribunale. Emesso il provvedimento,
gli avvocati dovranno trasmetterlo
all’Ufficio di Stato Civile del Comune dove
sono state celebrate le nozze. Il vantaggio
della negoziazione assistita è la celerità:
mentre per una separazione consensuale
depositata in tribunale ci vogliono dai 3 ai 6 mesi di tempo per
avere l’udienza presidenziale e poi avere l’omologa, con la negoziazione
si può fare tutto nell’arco di un mese. Il tema centrale
nelle separazioni riguarda i figli. La legge ha notevolmente
modificato l’istituto dell’affidamento dei figli, prevedendo come
regola generale l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi
i genitori. Gli articoli del codice civile sono stati modificati,
per cui dall’affidamento esclusivo siamo passati all’affidamento
condiviso nel 98% dei casi. L’affidamento esclusivo può essere
disposto dal giudice solo laddove l’affidamento condiviso
sia pregiudizievole per il minore, ovvero in casi eclatanti di violenze.
Il minore, inoltre, può essere ascoltato dal giudice quando
abbia compiuto 12 anni. L’Italia era stata più volte
sanzionata dalla Corte di Strasburgo per avere ignorato questo
principio, definito della “bigenitorialità”, con esclusione di
una figura genitoriale dai rapporti con i figli. I figli dovrebbero
essere le figure centrali, mentre spesso accade che diventino
merce di scambio o di ritorsione di un genitore contro l’altro,
causando enormi danni agli stessi, nell’illusione che, mettendo
in cattiva luce l’altro genitore, vengano ripagati dai torti subiti.
In realtà, invece, viene perpetuato un gravissimo danno ai
figli, che successivamente si ritorcerà contro lo stesso genitore.
La mia esperienza professionale mi ha insegnato che i figli
sono i giudici più severi. La regolamentazione tra genitori e figli
sta diventando sempre più paritaria, ormai i tribunali non
accettano più la frequentazione tra un genitore e figlio relegata
al solo week-end, indipendentemente dall’età del minore,
salvo che sia un neonato. È molto importante rispettare regole
di divisione paritaria per i giorni della settimana, per le feste
natalizie e pasquali, per le vacanze estive. Ai figli deve essere
garantito l’habitat familiare, ovvero la casa dove sono cresciuti
va preservata per tutelare le loro abitudini e le relazioni sociali,
e per tale motivo viene assegnata al genitore che risulterà
essere collocatario dei figli, quasi sempre individuato nella
madre. Non importa se l’abitazione familiare sia di proprietà
esclusiva di uno o dell’altro genitore, se sia in comproprietà tra
entrambi i genitori, se sia gravata da un mutuo, questa viene
assegnata in ogni caso al genitore collocatario fino a quando
i figli non avranno raggiunto la loro autonomia economica.
Uno dei pochi casi di limitazione del diritto di proprietà. Il genitore
“spogliato” dalla casa familiare anche se di sua proprietà
esclusiva, dovrà attendere molti anni prima di ritornarne
in possesso e magari continuare a pagare le rate di mutuo. Per
quanto concerne l’assegno per il mantenimento dei figli, se vi
è una ripartizione equiparata di tempo di permanenza con entrambi
i genitori e se gli stessi hanno redditi simili, si può arrivare
ad una forma di mantenimento diretto, ovvero ogni
genitore provvederà al mantenimento dei figli quando li ha
con sé. Diversamente, il giudice può stabilire un assegno a
carico di un genitore e a favore dell’altro, per garantire il più
possibile lo stesso tenore di vita ai figli, in relazione alle capacità
patrimoniali di ciascun genitore e al tempo dagli stessi
impiegato per la loro cura. Altra cosa sono le spese
straordinarie, che riguardano tutte quelle spese che hanno il
carattere dell’imprevedibilità come le spese mediche, scolastiche
e extra-scolastiche o di svago. La ripartizione avviene,
di solito, al 50% tra i genitori, a meno che non ci sia una sproporzione
di redditi. In Italia non esistono parametri precisi
per determinare l’ammontare dell’assegno per i figli o per il
coniuge debole; l’indagine condotta dal giudice si basa essenzialmente
sulle dichiarazioni dei redditi che spesso non
corrispondono a realtà.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze
+ 39 055 0164466
avvalecirri@gmail.com
alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it
LA SEPARAZIONE
35
Dimensione
Salute
A cura di
Stefano Grifoni
Quando il controllo del peso diventa
un’ossessione
di Stefano Grifoni / foto Carlo Midollini
L’Italia è la nazione dove le persone si dedicano di
più al controllo del peso corporeo. Gli italiani hanno
l’ossessione della bilancia e la usano circa 112
volte l’anno, uno su cinque ogni giorno. Le donne ancora
di più 115 volte l’anno. Complessivamente il 78% delle persone
si preoccupa del proprio stato di benessere fisico e
psichico attraverso il controllo del peso due volte al giorno
con una media di 218 volte l’anno. Nonostante questo
metodo non si hanno risultati soddisfacenti sul peso e sul-
la salute a causa principalmente della difficoltà di abbinare
dieta e attività fisica in maniera regolare per gli orari di
lavoro e gli impegni familiari. In sostanza la maggioranza
delle persone vuole mantenersi in forma ma non sa come
farlo e salire su una bilancia non è sufficiente. Per esempio
i muscoli sono più pesanti del grasso e quindi la sola
misurazione del peso non ci dice se si sta perdendo grasso
o aumentando il muscolo. La bilancia non serve per conoscere
il peso dell’anima.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
36
PESO CORPOREO
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Il piacere che avvelena: sovrappeso e bulimia
di Emanuela Muriana / foto Carlo Midollini
Tanti e complessi sono i disordini
e i disturbi alimentari. Ormai in
crescita esponenziale negli ultimi
decenni, si sono evoluti seguendo i modelli
culturali che hanno messo l’immagine
di sé come uno dei primi ingredienti
della propria identità e autostima. L’identità
ce l’abbiamo, non perché siamo nati ma
perché gli altri ce la riconoscono. Non siamo
altro che il risultato del riconoscimento
delle persone che abbiamo incontrato.
L’autostima invece è la considerazione che
la persona ha di se stesso. In questo clima
la nostra immagine diventa per alcuni il parametro
della propria persona, generando
spesso comportamenti inefficaci nel tentativo
di correggersi. Il piacere e il controllo
mal riuscito dell’alimentazione si traducono
invece in sovrappeso e bulimia, cioè
alimentazione incontrollata. Già Epicuro
nelle sue Massime ricorda: «I piaceri più
intensi sono quelli provenienti dal ventre».
Un esperto, lui, di gestione del piacere, visto
che pare alternasse giornate di digiuno
a giornate di grande abbuffate. Insomma il
binge eating (disturbo da alimentazione incontrollata)
è un problema diffuso che si
basa sull’illusione di tenere sotto controllo
il peso. Restringere per strafogarsi è un
modo per incrementare il piacere di man-
giare, un contrasto che amplifica il senso di gusto e sazietà.
Un meccanismo rischioso perché anche il più raffinato binge
eater finisce per abbuffarsi senza tregua. Come si mantiene
il disturbo? La restrizione crea l’abbuffate, a cui segue un
periodo di restrizione a cui seguiranno abbuffate incontrollate.
Un meccanismo ormai patologico sul quale possiamo
intervenire senza pensare di fare leva solo sulla volontà. La
bulimia invece è una patologia alimentare basata su una sfrenata
tendenza a mangiare, connotata da un piacere incontrollabile
e da una conseguente e continua paura di perdere
il controllo. Qui non abbiamo fasi di restrizione o astinenza.
Come si mantiene il disturbo? Con il tentativo di controllare
il desiderio di consumare, cadendo nel paradosso di in-
crementare il desiderio di abbuffarsi. Sono di solito persone
sensibili che imparano ad essere sfrenate con il cibo come
una sorta di adattamento funzionale ad una realtà a loro ingestibile.
Spesso sono inconsapevoli di questo aspetto del
disturbo e vivono il cibo come una sorta di demone che si è
impossessato di loro. Tra loro troviamo persone che alternano
periodi di dieta, in cui possono raggiungere anche il peso
forma, e recupero del peso spesso con interessi. È la casistica
più numerosa che si rivolge prevalentemente a dietologi e
medici, ma non agli psicoterapeuti. Tutte le diete funzionano,
basta essere capaci di seguirle. Se non si riesce siamo in uno
dei tanti problemi o disturbi psicologici che rimarranno tali se
non sono adeguatamente trattati.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
SOVRAPPESO E BULIMIA
37
I consigli
dell’osteopata
A cura di
Stefano Masini
Il dolore alla spalla
Problema muscolare o spia di altri disturbi
Testo e foto di Stefano Masini
Èfrequente riscontrare una sintomatologia dolorosa
della spalla nella pratica osteopatica. Il “complesso”
della spalla è l’insieme di cinque articolazioni. Soddisfa
due necessità contraddittorie: mobilità e stabilità. Per
tali scopi, superfici articolari, muscoli con relativi tendini, legamenti,
capsule e borse sierose svolgono un’azione coordinata.
La perdita di “salute” di uno di questi elementi causerà una
sofferenza di tutto il sistema. Inoltre una rete di muscoli, fasce
e nervi correlano la spalla con gomito, colonna vertebrale,
articolazione temporo-mandibolare, diaframma, fegato, vescica
biliare, stomaco e pancreas. Tali rapporti suggeriscono che
un dolore nella regione della spalla non sia esclusivamente riconducibile
ad un problema locale. Le cause possono spesso
essere rintracciate a distanza. Non appena il paziente entra in
studio inizia la raccolta delle informazioni osservando come
è costretto a posizionare la spalla ed a limitarne i movimenti,
conoscendo sinteticamente la sua storia clinica passata ed
attuale, facendosi raccontare quali attività lavorative e sportive
svolge, definendo le caratteristiche del dolore ed, infine,
effettuando alcuni test specifici. Tutto questo permetterà di
stabilire se sia corretto l’approccio osteopatico o se altrimenti
sia necessaria una valutazione medico-specialistica. Nella
mia esperienza riscontro con frequenza due diverse condizioni.
Nella prima, il dolore è causa-effetto di un deficit di mobilità
e forza per gli esiti di un trauma diretto o indiretto, per microtraumi
ripetuti nel tempo, per posture disfunzionali, per scarso
esercizio, fattori tutti che possono provocare una sofferenza
dei tendini (in particolare quelli dei muscoli sovraspinoso e capo
lungo del bicipite brachiale) e della borsa sottoacromiale
(specializzata nel ridurre l’attrito fra alcune strutture durante
il movimento). L’obiettivo terapeutico, in questo caso, consiste
nel ripristinare il movimento ed incrementare la forza: si utilizzano,
secondo le necessità individuali, tecniche di decoattazione
articolare, mobilizzazione scapolare rispetto al torace
ed esercizi con elastici. Nell’altra condizione, invece, il dolore
della spalla è riferito, ossia il problema ha origine altrove: il
muscolo diaframma ed i visceri addominali sono spesso i principali
responsabili. Durante il ciclo inspirazione-espirazione, il
diaframma esercita un’azione di spinta-richiamo sui visceri addominali
sottostanti. Una tensione delle strutture che collegano
diaframma e visceri o i visceri fra loro potrà, attraverso il
torace, influenzare l’articolazione della spalla. In questo caso
Tecnica di inibizione-facilitazione sul diaframma
Tecnica di decoattazione articolare: mobilizzazione scapolare rispetto al torace
le tecniche di inibizione-facilitazione sul diaframma, le manipolazioni
viscerali ed alcuni semplici esercizi di respirazione
permetteranno di eliminare la sintomatologia dolorosa. In sintesi,
“salute” è libertà di movimento: con l’approccio osteopatico
si recupera il movimento e quindi lo stato di salute.
Diplomato in Educazione Fisica nel 1989 ed in
Fisioterapia nel 1995, Stefano Masini si specializza
in Osteopatia nel 2008. Esercita la professione
dal 1995, prima in centri di riabilitazione e dal
2001 come libero professionista.
Studio Medico San Jacopino
Via Ponte all’Asse 3 A , Firenze
Orario: lun-ven 9.00-12.30 / 15.00-19.00
+ 39 055.354792
masinistefano@hotmail.it
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DOLORE ALLA SPALLA
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
Rinforzare il sistema immunitario
con l’alimentazione
di Silvia Ciani
Per contrastare l’infezione da Coronavirus non esiste
una dieta specifica, sono utili, piuttosto, una serie di
comportamenti che riguardano il nostro stile di vita
oltre che una corretta alimentazione. Dobbiamo inoltre abituarci
a mantenere questi comportamenti per diverso tempo,
almeno finché il numero di persone che hanno già contratto
il virus e il numero di vaccinati sarà talmente elevato che
le probabilità di diffonderlo ad altre sarà molto bassa. Occorre,
soprattutto, continuare ad usare le mascherine (in modo
corretto), mantenere il distanziamento (anche all’aperto),
igienizzare le mani. Poi, per rafforzare il nostro organismo,
anche in vista della prossima primavera, occorre avere uno
stile alimentare equilibrato e riuscire a mantenere un peso
stabile. Per farlo è importante rispettare queste regole: fare
pasti regolari con porzioni adeguate; utilizzare alimenti freschi
e preferire quelli di stagione perché mantengono al meglio
le loro caratteristiche nutrizionali; essere aderenti il più
possibile alla dieta mediterranea; bere almeno 2 litri di acqua;
combattere la sedentarietà muovendosi il più possibile. Per
aiutare ulteriormente il nostro sistema immunitario possiamo
anche porre più attenzione agli alimenti ricchi di nutrienti
funzionali, cioè quei nutrienti (particolari vitamine, polifenoli
e minerali) di cui sono dimostrate le proprietà antiossidanti
e immuno-regolatorie. In particolare, ricche di vitamine A e
C in questa stagione sono la verdura di colore verde e rosso
come broccoli, spinaci, carciofi, radicchio, carote, barbabietole,
e la frutta come arance, mandarini, pompelmi, mele, pere,
kiwi e uva. I polifenoli li troviamo soprattutto negli alimenti
freschi di colore viola-rosso scuro come il radicchio e i frutti
di bosco. Ma li possiamo trovare anche nel te, nel vino, nel
cioccolato fondente e nell’olio extravergine di oliva. Quest’ultimo,
insieme alla frutta secca – come noci, mandorle, arachidi
e pinoli – è anche ricco di vitamina E. Le vitamine A e
D le troviamo nel pesce, che tra l’altro è anche ricco di grassi
omega-3, anch’essi indispensabili per il processo antinfiammatorio.
Fra i minerali, lo zinco, essenziale per lo sviluppo
delle cellule deputate alla risposta immunitaria, si trova principalmente
nella carne, nel pesce, nelle uova, nei formaggi,
ma anche, insieme al selenio (altro antiossidante indispensabile),
nei prodotti integrali, nei legumi, oltre che nella frutta
secca. Se l’alimentazione è varia e moderata, insieme ad una
adeguata idratazione e all’attività fisica costante, si conserva
anche un buon equilibrio della flora batterica intestinale: essa
consente di mantenere integra la barriera intestinale, impedendo
agli agenti patogeni di proliferare e consentendo la
produzione di ulteriori sostanze immuno-stimolatorie essenziali
per la regolazione e il corretto funzionamento del sistema
immunitario.
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas
14 d - Firenze / + 39 339 7183595
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SISTEMA IMMUNITARIO
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
Firenze e la Toscana protagoniste della
ripartenza con Life Beyond Tourism
Una mostra internazionale e il progetto degli Infopoint quali
simboli di rinascita dei territori
Lo scorso 11 febbraio grazie alla mostra internazionale
e interattiva Florence in the World, the World
in Florence il Movimento Life Beyond Tourism
Travel to Dialogue e la Fondazione Romualdo Del Bianco
hanno lanciato, da Firenze nel mondo, un messaggio di ripartenza.
Il progetto della mostra era pronto per essere
realizzato proprio un anno fa, quando la pandemia da Covid-19
ha fermato tutto. Florence in the World, the World
in Florence è una mostra fotografica con gli scatti di
Corinna Del Bianco, promossa dalla Fondazione Romualdo
Del Bianco e organizzata dal Movimento Life Beyond
Tourism Travel To Dialogue, è stata pensata per essere un
esercizio di narrazione della nostra città, Firenze, in ottica
Life Beyond Tourism da portare in giro per il mondo. È
anche la proposta di un meccanismo innovativo grazie alla
tecnologia NFC del nostro partner Europromo per offrire
al visitatore spunti sul patrimonio materiale e immateriale
della città. È la speranza di costruire assieme alla nostra
rete internazionale una seconda mostra The world in Florence
con le fotografie delle espressioni culturali dei territori
che già la stanno ospitando nel mondo. È il nostro
modo di guardare avanti per il dialogo interculturale e il
viaggio dei valori.
Il fatto che il progetto della mostra sia internazionale è un
elemento strategico per la città di Firenze nel mondo, oltre
che per la Toscana. Rappresenta l’opportunità di ripartire
da Firenze con Life Beyond Tourism e lancia un messaggio
importante per la comunità internazionale, come ha sottolineato
il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani
intervenuto nella prima giornata della mostra: «Il messaggio
di un turismo che è qualità – afferma Giani – nell’entrare
nei contenuti, nei significati, nella storia, nel futuro
di quello che può significare il dialogo nelle varie parti del
mondo». In questo contesto rientra il lavoro che negli anni
è stato portato avanti da Life Beyond Tourism grazie alle
relazioni internazionali della Fondazione Romualdo Del
Bianco costruite in oltre trent’anni di impegno per il dialogo
interculturale, come sottolineato ancora dal presidente
della Regione: «La Fondazione ha fatto strada con iniziative
che vanno nel senso della qualità dell’incontro e delle
relazioni che si creano in un pianeta che impara ad apprez-
40
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
zare il bello e in questa mostra il
bello di Firenze e della Toscana viene
fuori con grande evidenza».
La mostra e il messaggio di positività
in una ripresa del viaggio a
partire dalla Toscana nel mondo
sono stati accolti con entusiasmo
anche dalla città di Firenze, con le
parole della vice sindaca Cecilia del
Re che saluta la mostra auspicando
che sia il mezzo attraverso cui
«portare il cuore di Firenze, le emozioni
di Firenze nel mondo e riuscire
ad accompagnare una ripresa
che tutti noi auspichiamo». E ancora
l’assessore Tommaso Sacchi,
intervenuto per salutare le università
presenti in video collegamento:
«Sono molto felice di spendere
qualche breve parola per salutare
questa straordinaria occasione
che cade in un anno così difficile e
particolare e anche doloroso che è
l’anno colpito dalla pandemia. A distanza
di quasi un anno siamo con
voi per presentare questa straordinaria
occasione di racconto della
nostra città per immagini».
La mostra si inserisce in un percorso
di relazioni internazionali
avviato grazie agli oltre trent’anni
di attività della Fondazione ed è
già esposta a Ivanovo (Russia), Riga
(Lettonia), Durham (Regno Unito),
Tambov (Russia) e Baku (Azerbaijan) e arriverà presto
anche in Marocco e Mozambico. Il risultato di un lavoro
che non si ferma e che è riuscito a creare nell’ultimo anno
la rete degli Infopoint Life Beyond Tourism all’interno di:
Ivanovo State University (Russia), Riga Technical University
(Lettonia), Durham University (Regno Unito), la Tambov
State University (Russia), Azerbaijan Architecture and
Construction University di Baku, Azerbaijan Tourism Management
University (Azerbaijan), UCLGA-United Cities
and Local Governments of Africa (Marocco) e Maputo University
(Mozambico). In queste istituzioni infatti sono stati
creati dei punti informativi su Life Beyond Tourism che
rappresentano una presenza istituzionale del Movimento,
della Fondazione e di Firenze stessa nel territorio. Un luogo
dove conoscere le numerose attività e i programmi di
Life Beyond Tourism a disposizione di studenti e docenti
(fasi di mobilità Erasmus a Firenze nei nostri uffici, opportunità
di lavoro, concorsi internazionali). Un punto di riferimento
per la comunità accademica per tenere informati i
membri su iniziative presenti e future, anche grazie ai materiali
in consultazione e agli aggiornamenti online.
Da Firenze nel mondo e dal mondo a Firenze con la convinzione
che non ci siamo mai fermati!
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,
ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori
insieme alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali
che custodiscono. Offre proposte di consulenza per lo sviluppo di
progetti di marketing territoriale e turistico, formazione, eventi, comunicazione,
relazioni internazionali.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
41
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Alessandro Ciantelli
La persistenza della memoria
di Daniela Pronestì
Èuna pittura della memoria quella di Alessandro
Ciantelli, memoria che se da un lato “congela” sul
supporto emozioni ed immagini affiorate dal passato,
dall’altro lato esprime l’urgenza di tramandare una storia
che rischia altrimenti di essere dimenticata. Più precisamente,
nell’opera di Ciantelli, la memoria incarna sia l’immobilità
di ricordi che sono pietre miliari nella vita dell’artista,
sia la necessità di perpetuare nel tempo esperienze che
legano la memoria del singolo a quella collettiva. La dimensione
privata del ricordo gli offre quindi lo spunto per
parlare di una vicenda che non riguarda se stesso soltanto,
ma che abbraccia il destino di intere generazioni di uomini
e di donne che come suo padre e sua madre hanno speso la
loro esistenza nel lavoro dei campi e nella cura del focolare
domestico. L’intersecarsi di amore filiale e riflessione sociale
spiega perché dei propri genitori Ciantelli non offra un
ritratto tradizionale, con volti riconoscibili e nomi di persona,
ma preferisca invece soffermarsi su quegli aspetti che
trasformano ambedue le figure nei simboli di uno stile di vita
votato al sacrificio, alla fatica operosa, alla cura della terra
con la stessa devozione con cui si curano i figli. Proprio
perché incarnano una dimensione quasi mitica del vivere rispetto
ai costumi odierni, entrambe le figure non compaiono
nei dipinti come presenze esplicite, ma vengono invece
raccontate attraverso ambientazioni investite, a loro volta,
di precisi significati simbolici: la campagna di Giaccherino,
dove Ciantelli è nato e suo padre ha coltivato la terra,
un’anonima casa colonica in località le Caselle, luogo natale
della madre a cui l’artista è tornato più volte in cerca delle
proprie radici, e più in generale scorci rurali che riportano
alla memoria saperi antichi e gesti rituali del vivere contadino.
Di quest’ultimo restano, a testimoniarlo, cascine, mu-
Colori della memoria (2007), tecnica mista su tavola, cm 80x100
retti, attrezzi da lavoro; e ancora, paesaggi coltivati, sentieri
di campagna, mulattiere. Nient’altro, quindi, che “terra e cose”,
frammenti di un’unità perduta che l’artista recupera e
concentra in un linguaggio nel quale un logoro sacco di juta
del padre diventa un elemento cromatico, l’intonaco staccato
dalla casa della madre una superficie da dipingere, la
tela a righe di un vecchio materasso di campagna il perno
della composizione. Scampoli di materia integrati nel corpo
dell’opera con una cifra espressiva soltanto in parte riferibile
alla poetica informale, rispetto alla quale, in questo caso,
non è l’atto creativo a nobilitare la materia, ma è il porsi
di quest’ultima come reliquia ad elevare il dipinto alla dignità
di un’icona sacra. Se la memoria è immateriale, sembra
dire Ciantelli, la materia permette allora di renderla visibile,
Memorie in verticale (2016), tecnica mista su cartone telato, cm 40x50
Autunno (2012), tecnica mista su tavola, cm 90x110
42
ALESSANDRO CIANTELLI
e dunque di evocare una dimensione che appartiene al regno
astratto della mente e non a quello concreto del mondo
reale. È questa, infatti, la funzione della foglia oro presente
in gran parte dei suoi dipinti: materializzare la preziosità
di valori umani e culturali che il tempo non può cancellare.
Così come il ritmo delle stagioni, vero e proprio leitmotiv
della pittura di Ciantelli, assurge, invece, a metafora di memorie
che sempre si rinnovano nel cuore di chi le conserva.
Sulla superficie scabra e rilevata del supporto, tra segni
graffiti e figure incise nel colore, si aprono “finestre” spalancate
su spazialità sospese, scorci di natura e forme astratte,
con una struttura a comparti che, come la predella di un
polittico, richiede una lettura delle singole unità visive da sinistra
a destra in senso orizzontale. Un espediente narrativo
che replica, sul piano simbolico, lo sviluppo lineare del
tempo, con spazi vuoti tra una finestra di colore e l’altra, come
a voler indicare un percorso spesso accidentato. Vuoti
che soltanto la memoria può colmare, procedendo dal basso
all’alto, dalla terra al cielo, lungo una direttrice verticale
che riscatta, elevandoli, gli anonimi protagonisti di una civiltà
ormai quasi del tutto perduta.
Le opere di Alessandro Ciantelli sono in vendita presso la galleria
Artistikamente di Pistoia - www.artistikamente.net
Frammenti in verticale (2009), tecnica mista su tavola, cm 100x80
Frammenti di casa colonica (2016), tecnica mista su tavola, cm 70x100
ALESSANDRO CIANTELLI
43
I libri del
Mese
Vivere
Omeopata con la passione per la scrittura, Franca Giangeri ha da poco
pubblicato il suo primo libro di racconti e ha già in cantiere un romanzo
Testo e foto di Elisabetta Mereu
Franca Giangeri nella sua casa di Scandicci
In questo anno appena trascorso i libri sono stati un prezioso
alleato per uscire da una realtà insolita e inquietante
che peraltro ancora ci avvolge. Tantissimi hanno
letto ma altrettanti hanno scritto e finalmente portato a termine
un progetto rimasto sospeso per troppo tempo. Come
è successo a Franca Giangeri, medico omeopata, autrice di
Vivere (Le Parche Edizioni), che a questo proposito afferma:
«Avevo iniziato a scrivere già nel 2011, ma poi per una
serie di eventi luttuosi mi sono bloccata. Però l’anno scorso
ho sentito proprio il bisogno forte di far riemergere la miriade
di sensazioni che ho dentro, perché scrivere è davvero
terapeutico». E queste emozioni contrastanti traspaiono già
dalla copertina dominata dal rosso, dal nero e dal giallo,
colori che indicano la passione di chi, nel bene e nel male,
ha vissuto tutto appieno, l’oscurità che attraversa inevitabilmente
l’animo umano e, infine, la luce del sole che, nonostante
tutto e tutti, torna sempre a splendere con un nuovo
giorno. «Vivere è gustare l’alba e il tramonto», si legge nei
versi che aprono la narrazione e che, insieme alla lunga poesia
finale dedicata a Laurina, un’amica d’infanzia, contribuiscono
a caratterizzare questo libro. Dalla penna della
dottoressa Giangeri (che sta già lavorando ad un romanzo
di prossima uscita ndr.), emergono storie profondamente
intrise dei suoi ricordi di bambina prima e di donna poi,
che però possono rappresentare ognuno di noi, come sottolinea
l’editore Marco Bartiromo nella prefazione: «I dieci
racconti di Franca Giangeri sono pagine di vita da cui scaturiscono
immagini fatte di malesseri e disagi che l’autrice
sapientemente indirizza in una sola direzione: verso la
ricerca del senso della vita. Tra le righe delle ottanta pagine
c’è la gioia, raccontata come segno di forza e di cambiamento.
E la gioia, per chi la prova, è un dovere nei confronti
degli altri. Bisogna tentare di renderli partecipi, perché la
vita è cadere e rialzarsi, soffrire ma anche ridere e soprattutto
andare avanti tutti i giorni». Una peculiarità che appartiene
soprattutto a noi donne, uniche creature/creatrici e,
come l’Araba Fenice, sempre capaci di rinascere a nuova vita,
seppur lacerate dall’imponente cumulo di macerie di un
passato che non si dimentica, ma al quale non vogliamo più
appartenere.
Per i lettori de La Toscana nuova l’autrice in accordo con l’editore
ha deciso di proporre un’agevolazione sul prezzo di copertina
del libro.
Per informazioni: + 39 3477138949
leparchedizioni@gmail.com
www.leparchedizioni.shop/product-page/vivere
Franca Giangeri
info@francagiangieri.it
VIVERE
45
Il fuoco di Prometeo, olio su tela, cm 100x110
Prometeo, olio su tela, cm 70x50
Andrea Simoncini
L’eternità del mito
www.andreasimonciniarte.it / www.centrostudigentilini.it / andreasimoncini1@yahoo.it
Andrea Simoncini andreasimoncini1
Lo studio del pittore, olio su cartone telato, cm 50x40
Venere preclassica, olio su cartone telato, cm 60x40
A cura di
Laura Belli
Speciale
Pistoia
Claudio Bontà
L’emozione della natura in un quadro
di Laura Belli
La stradina dell'amore, acrilico su tavola, cm 60x70
Claudio Bontà è un artista che, seguendo
un innato amore per la natura, ha raggiunto
risultati pittorici che destano ammirazione.
L’ambiente naturale è il soggetto prediletto
delle sue opere e nello specifico i paesaggi toscani
e i fiori, dei quali riesce a cogliere e a rappresentare,
in lussureggianti composizioni, la
bellezza delle forme e il fulgore dei colori. Si avvale
con perizia del colore in tutte le sue varianti
cromatiche, rendendolo elemento fondante del
suo linguaggio figurativo; predilige per questo i
colori acrilici che, per la loro velocità di essiccazione,
consentono una stesura rapida di velature
sovrapposte e garantiscono brillantezza e luminosità
alla composizione. Parlando della propria
arte, Bontà afferma: «Mi definisco un “cacciatore
d’ombre”, vago spesso nei campi in fiore, lungo
gli argini dei fiumi, lungo il mare, nei boschi,
nei paduli, in una solitaria e appassionata ricerca
espressiva di un momento che sarà unico e irripetibile,
atto a creare quell’emozione che mi ab-
braccia armonicamente, nella ricerca continua della “luce”,
linfa vitale sulla mia tela». Erede del grande filone pittorico
del paesaggismo toscano, se ne distacca perché non introduce
mai, nelle sue composizioni, la figura umana, ma predilige
la rappresentazione della natura nell’avvicendarsi delle
stagioni e nel variare delle luci: lo splendore del giorno, la
rossa malinconia del tramonto sull’immoto padule. Pur non
essendo una pittura minuziosa, nulla viene trascurato di tutto
ciò che può contribuire ad evocare nell’intimo dell’osservatore
emozioni e sensazioni persino fisiche. Di fronte ad un
suo quadro raffigurante campi appena mietuti non si può non
percepire l’odore del grano, il calore soffocante e polveroso,
il frinire delle cicale o il richiamo di un boschetto che offre un
po’ di ombra. Quella di Bontà è una pittura decisamente coinvolgente
che riflette la sua sensibilità e risveglia
quella dello spettatore; è uno stimolo per la fantasia
ad andare oltre il quadro e a liberare le proprie
emozioni fino a sentirsi, come l’autore, parte
del paesaggio. L’artista mostra notevole abilità
anche nella raffigurazione dei fiori, sia quando sono
parte di un paesaggio sia quando sono invece
il soggetto principale del quadro. È molto difficile
catalogarli nel genere della natura morta, tale è
la vitalità che sprigionano e la gioia che donano
all’osservatore tramite i colori declinati in infinite
sfumature e gli attenti giochi di forme e di volumi.
La natura è un soggetto congeniale a Claudio
Bontà, che la ritrae con uno stile davvero originale
e riconoscibile .
Ombre e luci sul Pescia, acrilico su tavola, cm 60x70
Claudio Bontà
Via Emilia Romagna 72
Santa Lucia, Uzzano (Pistoia)
claudiobonta@gmail.com
+ 39 3334160305
CLAUDIO BONTÀ
47
Ritratti
d’artista
Odara
Allegorie e simboli di un mondo magico
di Jacopo Chiostri
La pittura di Odara, nome d’arte di Claudia Macchiaroli,
è l’esito di un percorso cognitivo di ricerca, ascolto
di se stessa e di studi, il cui risultato è una rappresentazione
che invita alla riflessione e che si colloca tra metafisica
e surrealismo. La Macchiaroli è approdata a Firenze
dopo aver lasciato, all’ultimo anno, la Facoltà di Architettura
a San Paolo in Brasile; a Firenze ha studiato all’Accademia
italiana di arte, moda e design; per la pittura ha imparato la
tecnica della tempera all’uovo con Patrizia Zingaretti, che insegnava
a utilizzare la mano come terminale della trasmissione
diretta di un’idea. Gli stimoli maggiori, tradotti in una
pittura che è sintesi tra lo spazio-tempo della metafisica di
de Chirico e l’ermetismo enigmatico di Magritte, nacquero
per lei dallo studio di libri a carattere religioso ed esoterico,
argomenti che catturavano la sua attenzione e saturavano
la necessità di conoscenza. «C’è stato un periodo in
cui non capivo molto bene in quale realtà vivessi, la lettura
di quei libri fu un passaggio necessario» dichiara la pittrice.
«Ho letto la Torah, il libro della Scala (una versione del viaggio
notturno di Maometto nell’Aldilà ndr.), e altri, perfino la
Blavatsky e il suo libro dello Dzyan, dalla cui lettura difficilmente
si esce sani (considerato esempio di libro maledetto,
al confine fra horror e fantasy ndr.). Intanto continuavo a disegnare
e a dipingere ad olio anticipando eventi che si sarebbero
verificati dopo poco, per esempio la morte di mia
madre». La svolta decisiva, sul piano artistico, avvenne però
con la conoscenza più approfondita di artisti come il surrealista
belga Paul Delvaux, come Salvator Dalì, William Blake,
inglese, pittore, poeta e incisore, Amos Nattini, illustratore
della Divina Commedia, quel grande, inquietante fotografo
che è stato il lettone Misha Gordin, e Zdzisław Beksińsk, pittore
e incisore polacco. Conoscere le loro opere ha signi-
Passaggio perdonabile delle scelte mediocri
La resa dei conti
48
ODARA
Casa della cornice
www.casadellacornice.com
ficato per Odara non sentirsi più sola. E da quel momento
ha dipinto con intensità espressiva, dando forma a composizioni
popolate da figure allegoriche e misteriose, lune e
alberi. «Queste creature – spiega – mi accompagnano da
sempre, sono entità magiche o spirituali, proteggono, rassicurano,
anche se a volte possono sembrare ingenue. Gli alberi
sono serbatoi di acqua, uno dei principi del cosmo. La
conoscenza delle acque è il primo passo per l’alta magia.
Ne abbiamo bisogno per purificarci e far crescere il nostro
albero sempre più alto, saggio e luminoso. Le lune rappresentano
l’inconscio, la sensibilità, l’intuizione, la fantasia e
gli istinti, se sono a terra significa che siamo poco coscienti
della vita e che siamo collegati solo allo strato superficiale
della nostra esistenza». I suoi sono dipinti con una forte
componente onirica e si rivolgono, per stimolarlo, all’inconscio
dell’osservatore. «La vita è fatta anche di sogni, d’intuizione,
di ascolto e di consapevolezza, vorrei vedere più
persone accordate con l’universo e con il proprio albero, nella
speranza che possa esserci più serenità, amore e tolleranza
verso gli altri» dice. Fondamentale nella suo linguaggio
espressivo è poi la presenza di quel mistero che è la sincronicità,
principio di junghiana memoria che consiste nel legame
tra due eventi anche non contemporanei, connessi tra
loro non in maniera causale, ma in modo tale che l’uno influisca
materialmente sull’altro; questo elemento appare evidente,
anche ingombrante, in queste opere nelle quali ogni
elemento ha un valore simbolico sicuramente non casuale.
Le influenze sono tante, dal neonaturalismo primitivista al
post impressionismo; è rappresentazione surreale, simbolica,
e, anche nella sua apparente quiete, il messaggio contro
l’alienazione e il conformismo è molto forte. Nei progetti futuri
di Odara c’è la Divina Commedia. «Vorrei creare delle tavole
illustrate» afferma. Per questo, pensiamo, le verrà utile
il Libro della Scala, giacché si è ipotizzato che costituisca
una delle fonti islamiche cui ha attinto Dante.
Vita-morte-vita di un amore
Unità di terapia cosmica
ODARA
49
La voce
dei poeti
Le liriche di Antonietta Gioscia
Paese
Là, fermo inerte tu stai
sulla collina dei ricordi
inseparabile dal vento d’Africa
tra papaveri e odor di ginestre.
Lunghe fredde e interminabili
le guide parallele ferroviarie
la distanza amara segnano
di arditi cuori infranti.
Lontana è la notte che fuggiì
la notte che mi aprì la via
le tue grinfie nel letto stringesti
e con le briglie al vento mi lasciasti andare
Fili di vivi pensieri
la triste mente attraversano
giochi di ricordi s’aggrovigliano
e di risvegli infantili, mi accarezzo.
(2° posto Concorso Vivaldiano 2019, Pomarico – Matera)
Viareggio
Sei terra d’estate
colorate finestre dischiuse al mare
di caldo vento l’aria che respiri
e di salmastro la tua faccia si copre.
Ti ride negli occhi
l’inverno oscuro arrabbiato
quando l’uragano impazzito ti sbatte
sei città vinta dal mare
e dal mare ti sovrastano le carezze
con il tuo cielo arlecchino
ed il chiasso estivo
che ti penetrano, si perdono
e al silenzio della tua luce
tra parole nate sulla sabbia
e pensieri ignoti tra le maree
irrequieta e sovrana, ritorni.
(1° premio Concorso sul Carnevale - Viareggio 2004)
La danza del tempo e della vita
Si apre l’aspro cammino
ed il viaggio forzatamente debutta
e quando ti nevica sui capelli
la strada comincia a sfollarsi
si disperdono gli amici
ed il canto delle tue risa
non è più sereno.
Va il calcolo del tempo
s’allontana con il suo ritmo uguale
e tu ripassi la tua memoria
intanto l’amarezza si ferma
dentro al tuo petto inquieto
e mentre tutto corre insieme al vento
il tuo giardino si prepara d’antico.
Come l’acqua dei fiumi inarrestabile
il tempo ingannevole si unisce ai tuoi dolori
con solitudini sforzi trascini la tua carcassa
mentre si snodano gli anni fuggevoli
è già sera e con parole morte insegui la via
tutt’intorno c’è aria di polvere
e nella terra che attende riprendi il tuo posto.
Lo splendore di Ornella
Bella come un campo di grano maturo in piena estate
sei un tappeto carminio di papaveri sbocciati
il sonno mite che nella notte prende
e il giorno rilucente che il buio cancella.
Bella come elevate onde tra le azzurre maree
incontaminati verdi prati da calpestare
ed il tuo viso diffonde luce e sorrisi
anche quando il sole tace.
Ti somiglia il giardino rigoglioso
sei freschezza di acacia e lillà
il respiro senza te non respira
e tu sei tutte le parole del mondo.
Un sogno la tua immagine bruna
incanto soave di rosso orizzonte
e nelle tenere sere primaverili
come un veliero che giunge dal mare, sei tu.
Antonietta Gioscia
Nata a Pomarico (MT) nel
1952, Antonietta Gioscia vive
a Sesto Fiorentino da
molti anni. Svolge l’attività di decoratrice
su vetro e nel tempo libero le
piace dedicarsi alla scrittura. Nell’ottobre
2001, ad un concorso tenutosi
a Luco dei Marsi (AQ) e con premiazione
avvenuta a Roma, ha ottenuto il
5º posto con la poesia Ricordi e solitudine. Nel 2002, a Fucecchio,
paese natale di Indro Montanelli, è stata premiata con un
secondo posto ex aequo con la lirica Ti penso amore. Nel 2004,
a Viareggio, con concorso a tema sul Carnevale, le è stato conferito
il 1° premio per la lirica Viareggio. Nel marzo 2007 è stata
selezionata quale finalista del 4° concorso internazionale
Autori per l’Europa (Ibiskos Ulivieri). Le sue composizioni sono
stata pubblicate in alcune antologie poetiche tra cui Voci dell’anima,
L’amore in versi, Firenze capitale d’Europa.
50
ANTONIETTA GIOSCIA
La voce
dei poeti
Lilly Brogi
Miracoli: un viaggio indietro nel tempo, lungo i sentieri della memoria
di Giancarlo Bianchi
Credo nell’entità superiore e nell’insolito inspiegabile
evento che definisce la parola miracolo. «La stessa
vita è un miracolo di creazione circondato di interventi
divini», scrive Lilly Brogi in apertura del volume Miracoli
pubblicato a gennaio 2020 da Gangemi editore. Squarci
di vita, un percorso che Lilly fa in compagnia della sua anima,
un luogo illuminato dalla sua saggezza. Il volume, raffinatissimo,
contiene disegni e pitture della stessa Brogi e foto
della sua famiglia: lo zio Enzo, la madre Tina, bellissima, dal
volto simile ad un angelo, una foto giovanile della stessa Lilly.
Insomma, un viaggio indietro nel tempo. Fu l’artista pisana
Francesca Montecchi Poggi a presentarmi Lilly e da quel
giorno le nostre strade si sono unite. La Brogi ha fondato l’associazione
La Pergola Arte, a cui corrisponde anche un premio
artistico internazionale, di cui faccio parte in qualità di
accademico. Ho parlato diffusamente della sua opera sulla
rivista Pegaso del dicembre 2002 e sul settimanale Metropoli
del novembre 2002. Ricordo alcuni titoli delle sue opere:
Toscana... Cave Canem; Entro l’arco del mio giorno; Alfredo
Alfredo, un anno di poesia; Bonjour Ameriga Ameriga; Toscana...
Italia... Cave Canem; Un soffio di vita; Fior da fiore; Nella
morsa del silenzio. Insieme abbiamo condiviso l’esperienza
della realizzazione delle raccolte poetiche Poeti in bici e Pianeta
donna e i volumi della collana L’Altana di Pianeta Poesia
Il dono dell’anima, Da Firenze alle stelle e Uno sguardo dall’alto
(Edizioni Benedetti Pescia) a cura di Franco Manescalchi.
Credo fermamente che questa sua ultima fatica Miracoli sia
un punto di arrivo e di nuova partenza, e a mio avviso anche
un omaggio al “miracolo” dell’amicizia. Concludo con alcuni
suoi versi dedicati alla nostra comune amica Francesca Montecchi
Poggi recentemente scomparsa: Un’onda anomala ci
assale, / è l’affetto che ci unisce / i nostri destini, desiderio /
di pace, amore ancora, / pacato, diverso, amore sempre / per
la vita, la gioia, / la fratellanza, il sogno, / la poesia.
La tamerice sugli scogli, uno dei disegni di Lilly Brogi all’interno del libro
LILLY BROGI
51
Mauro Maris
La forza “selvaggia” del colore
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
Arte e
Libri
MAE - handmade clothing
Dalla Sardegna a Firenze, l’eleganza e la comodità del fatto a mano
Di Daniela Parisi e Roberto Rampone / foto courtesy MAE
Come vestirsi per stare comode ma rendersi presentabili
nelle video riunioni e nella nuova realtà dello smartworking?
Questa la domanda che Serena Tibaldi pone alle
sue lettrici in un articolo apparso il 30 marzo sul magazine D - la
Repubblica. L’articolo cerca di dare una soluzione a come passare
velocemente dal lavoro alla pausa pranzo, con lezione di fitness
via Zoom ecc., in un momento storico in cui ciascuno di noi
si deve destreggiare tra alternanza casa-ufficio, telelavoro e didattica
a distanza, e trovare equilibrio e serenità nella propria vita
affettiva e professionale. Eccoci qua. Oggi abbiamo la risposta a
queste richieste e tanto altro. Partiamo dal principio, intervistando
Franca Lilliu, fondatrice, insieme alle sorelle, dell’azienda MAE.
Cos’è MAE?
MAE è innanzitutto un luogo, fisico e mentale, dove cose belle
sono pensate, sviluppate e create. Ci occupiamo di abbigliamento
femminile, ma più in generale ci occupiamo di far
sentire le persone che indossano i nostri capi, confortevoli, a
proprio agio nella propria pelle. Gli abiti e accessori MAE sono
fatti a mano, in Sardegna, da una grande famiglia di donne,
per altre donne che hanno bisogno di sentirsi comode nei
propri panni, ma allo stesso tempo eleganti e sempre in ordine.
Ogni pezzo racchiude in sé la qualità dei prodotti artigianali,
realizzati con cura e dedizione. MAE è uno stile non
convenzionale, etico e sostenibile. È la consapevolezza, la
volontà e soprattutto il piacere di poter costruire il proprio
spazio, pezzo per pezzo. Il nostro pensiero è che non sono i
corpi a doversi adattare agli abiti che costringono e deformano,
ma sono piuttosto gli abiti a doversi modellare sul corpo,
valorizzandone le forme ed esaltandone il carattere. Perché
ogni corpo è unico e speciale a modo suo e solo con amore
e coccole riesce ad esprimersi al meglio. Per questo pensiamo
a modelli morbidi e flessibili, come forme di donna, che
avvolgono i corpi in un morbido abbraccio e si prestano, nelle
loro mille combinazioni, ad essere reinventati ogni giorno.
Per quali taglie vengono creati i vostri vestiti?
Non ci sono taglie preconfezionate, ma una taglia media che
grazie alla fluidità dei tessuti si adatta facilmente a corpi differenti,
il che rende i nostri abiti sempre adatti a tutte le occasioni.
La scelta dei tessuti punta alla morbidezza, per questo
usiamo prevalentemente il jersey di cotone, e portiamo attenzione
all’ecosostenibilità, nell’uso di lane, cotoni, lini e fibre
naturali preferibilmente prodotte localmente. Il taglio è a mano
libera e le imperfezioni vengono valorizzate come elemento
distintivo di ogni capo. Puntiamo ai colori: forti e decisi ma
pieni di mille sfumature, che ci piace sovrapporre creando degli
eleganti “tono su tono”.
Con cosa consigliereste di abbinare i vestiti MAE?
A noi, solitamente, piace sperimentare con gli accessori,
usando materiali di scarto industriale, come pelli e cuoio, che
amiamo accostare a tessuti particolari e di pregio: da qui nasce
per esempio la collezione in wax print africano di sabot,
borse e cinture.
Come riassumeresti l’idea racchiusa in MAE?
MAE è piacere per gli occhi e rifugio per il corpo, è allegria e
sperimentazione senza mai perdere lo stile e l’eleganza. Ci rispecchia
e ci rappresenta e porta un po’ di noi fuori dall’isola
generosa di ispirazione, dove siamo nate e continuiamo a
crescere ogni giorno.
Se vi abbiamo incuriosito, sappiate che, oltretutto, MAE espone
i suoi vestiti, in esclusiva, presso Kùthà – Arte & Libri, visibili
anche sui www.kutha-artelibri.com e www.maehandmade.it
maehandmadeclothing
mae_clothing
Le sorelle Lilliu dell'azienda MAE
MAE
53
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Stephanie Holznecht
Le opere della pittrice americana alla conquista del mercato
dell’arte contemporanea
di Margherita Blonska Ciardi
Da diversi anni, l’astrattista americana
Stephanie Holznecht partecipa
con le sue opere ad importanti mostre
in Italia, come l’evento AqvArt a Venezia,
al quale ha preso parte per ben due volte, ricevendo
lo scorso anno un premio per il suo
stile che unisce action painting e minimalismo
in una ricerca pittorica davvero unica.
Di origine inglese, laureata in Arte, Grafica e
Design alla Fine Art University di Wisconsin,
Stephanie Holznecht ha sviluppato uno stile
inconfondibile nel campo dell’astrattismo.
Pur esperimentando diversi media, preferisce
l’uso di colori acrilici e lacche. La sensazione
dinamica del colore caratterizza tutta
la sua produzione, che colpisce per l’eleganza
e l’essenzialità del segno che ben rispecchiano
lo charme inglese dell’artista. Le sue
composizioni coloristiche spaziano dal mondo
bidimensionale a quello tridimensionale e
sembrano procedere anche oltre, fino alla ricerca
della quarta dimensione. Lo spazio racchiuso
dalle colorate curve create sulla tela
con movimenti concentrici permette di percepire
la velocità e il fattore tempo. Queste tele
testimoniano la spontaneità del gesto pittorico,
mentre le linee trasmettono la sensazione
di movimento di misteriosi “spazi-tempo”
che raccontano l’essenza del mondo e l’emotività
dell’artista. Stephanie Holznecht, che ha
esposto diverse volte in Toscana, ha partecipato
al concorso internazionale Vinart Award
a Montecarlo di Lucca nel 2013 dove è stata
insignita del primo premio. Nel 2018 ha esposto
a Firenze nel Salone Donatello della Basilica
di San Lorenzo; ha partecipato, inoltre,
alla mostra Contemporary Art Meeting presso
la storica casa d’aste Galleria Flori di Montecatini
Terme e successivamente le sue opere
sono state battute nelle aste di Fabiani Arte
e Colasanti a Roma. Attualmente diversi suoi
lavori partecipano alla mostra d’arte internazionale
Artidotum 3D che è anche un meeting
virtuale interattivo. L’esposizione è collegata
al network Wondike, piattaforma milanese di beni di lusso
che ha aperto da poco una sezione dedicata all’arte contemporanea.
L’evento artistico terminerà con un’asta online
che radunerà collezionisti provenienti da ogni parte del
Solar System
April showers bring May flowers
mondo. In questa mostra virtuale Stephanie Holznecht ha
presentato sei opere di cui due sono state scelte per l’asta.
Nella prima, intitolata Solar System, l’artista riesce a catturare
l’eterna bellezza e l’equilibrio degli elementi celesti;
54
STEPHANIE HOLZNECHT
In questa e nelle foto sotto la mostra virtuale Artidotum con le opere di Stephanie Holznecht
gli astri e i pianeti del sistema solare diventano un macrocosmo,
la nostra casa allargata. Le recenti ricerche spaziali
e l’attuale esplorazione di Marte hanno reso chiaro che il
futuro dell’umanità dipenderà dalla capacita di conquistare
nuovi mondi. Viviamo momenti cruciali per la sopravvivenza
della Terra e della nostra specie; la sanità e l’economia
globale sono state messe in ginocchio dalla pandemia. La
risposta di Stephanie Holznecht a questi tragici momenti
possiamo trovarla nella seconda opera April showers bring
May flowers. Il titolo allude ad un antico detto americano
e porta una nota d’ottimismo di cui tutti ora abbiamo tanto
bisogno. Il proverbio recita che “le piogge abbondanti di
aprile portano i fiori di maggio”, una metafora per dire che
dopo ogni periodo di crisi arriva il tempo della rinascita. La
mostra Artidotum è nata per rispondere con l’arte alla difficile
situazione che stiamo vivendo. Gli artisti, provenienti
da tutto il mondo, offrono, con le loro opere, un contributo
alla riflessione su quanto sta accadendo e su quanto l’arte
sia come un “mandala” che aiuta a stare meglio. L’esposizione,
che doveva inizialmente svolgersi a Roma, a causa
della situazione sanitaria è stata convertita in una mostra
virtuale, mantenendo però vivo il contatto tra i partecipanti
che ogni settimana si incontrano online per condividere
progetti e scambiare opinioni. Appena la situazione sanitaria
lo permetterà e si potrà riprendere a viaggiare, la mostra
Artidotum si terrà in presenza a Roma, come inizialmente
stabilito. Le opere di Stephanie Holznecht sono state più
volte pubblicate, anche in copertina, su La Toscana Nuova
e su altre riviste come Art Now, Arte Mondadori, Atlante
d’Arte de Agostini 2019; saranno inoltre presenti sul CAM
Mondadori 2021. La sua attività artistica è stata presentata
in diversi video televisivi con emittenti come Toscana
TV, nell’ambito della rubrica Incontri con l’arte, e Televenezia
in occasione della mostra AqvArt. Recentemente un filmato
a lei dedicato è stato caricato sul canale YouTube di
Studio Artemisia.
STEPHANIE HOLZNECHT
55
Isabella Rombolà
Il volto delle donne
isabella@tavellaantonio.191.it
Ritratti
d’artista
Davide Berti
La tradizione del paesaggismo toscano riletta con una cifra stilistica moderna
di Jacopo Chiostri
Con buona pace di un noto storico dell’arte che di recente
li ha definiti “movimento artistico fiorentino di metà
Ottocento sconosciuto ai più”, la strada, indelebile, tracciata
dai Macchiaioli continua ad essere un punto di riferimento
per tanti pittori che guardano alla “macchia” come ad una solida
tradizione in cui la tecnica produce una potente originalità
espressiva. È questo il caso di Davide Berti, pisano di nascita,
lucchese di adozione, un solido pittore innamorato dei paesaggi
toscani che sono il soggetto dei suoi lavori, lavori ricchi di suggestioni
visive. Berti si è diplomato all’Istituto d’arte di Cascina
(Pisa), nel 1979, nella Sezione legno, ma ha lavorato come
ottico, continuando una tradizione di famiglia. Dipinge da tempo,
anche se è soprattutto nel decennio più recente che ha dato
continuità alla sua vena e passione artistica, tant’è che le tante
partecipazioni a mostre e concorsi sono concentrate nell’ultimo
quinquennio. Dicevamo pittore solido, questo dato importante si
evidenzia in talune delle opere dove si avverte come la maturità
raggiunta si manifesti in una rappresentazione autorevole, scevra
da quell’accattivante artificiosità romantica che spesso s’incontra
in questo tipo di soggetti. C’è in questi suoi quadri una
felice sintesi tra kronos e kairos: da una parte la meditata e riposante
pennellata che accompagna lo spettatore in paesaggi incomparabili
in cui immergersi; dall’altra la capacità dell’artista
di fermare l’attimo, di cogliere e fissare sulla tela una suggestione,
quel momento irripetibile che definisce e aggettiva ogni singola
interpretazione sia pure di argomenti similari. Berti dipinge
prevalentemente ad olio, utilizzando sia la tela che il supporto ligneo;
non ha avuto maestri nel suo percorso, ma ricorda volentieri
un pittore, Aldo Vannini, artista troppo presto dimenticato,
La via dei cipressi (luce del tramonto), olio su tela, cm 30x30
Casolare senese, olio su tela, cm 30x40
cui si deve, tra l’altro, un mirabile Cristo in una chiesa di Uliveto
Terme. «La sua era una pittura magari un po’ cupa, con un manto
di tristezza, la mia è più vivace ricca di colore» dice Berti. E in
effetti è così, anche se un argomento mai risolto rimane la forse
inevitabile malinconia che si accompagna alla paesaggistica
toscana, sì rasserenante, ma in fondo, come tutte le cose che
avvicinano allo spirito, velata di malinconia. E non è allora contradditorio
che Berti ci dica che con i suoi quadri vuole trasmettere
serenità, quella che, assieme all’armonia estetica, è la cifra
peculiare della solennità vedutista toscana; poi ama i cipressi,
un albero nobile, esteticamente importante, l’albero simbolo della
vita eterna, solidamente “conficcato” nella nuda terra, come si
vede in quella Val d’Orcia che è uno dei soggetti prediletti. Nelle
opere di Berti ci aspettiamo di vedere la luce variare davanti ai
nostri occhi, i colori sono quanto di più naturale si possa immaginare
e danno vita a forme plastiche di grande forza, lo sguardo
va oltre, e viene condotto lontano, verso l’orizzonte, verso spazi
che sembrano infiniti. Sono composizioni raffinatamente armoniche,
studiate nel dettaglio, e l’uso sapiente dei punti cardine
della composizione trasmette senso di pace e di eufonia con
il creato. In certe sue opere, Berti sembra traghettare la pittura
dei macchiaioli verso quella visione successiva che fu la grande
stagione impressionista, il tutto rivisto in chiave moderna e personale.
L’elenco delle mostre e dei riconoscimenti ottenuti è particolarmente
lunga; ricordiamo gli eventi più recenti: I colori del
mare (2016), La vela e il mare (2017), Pisa tra terra e mare (2017),
Sillico: il paese, i dintorni, i personaggi, le cose (2017), 1° Premio
Pittura Inferarte (2017), Poseidone tra le mura (2017), VII Premio
d’arte La Sorgente (2018), L’Arno dipinto (2018), La sorgente
(2018), I colori di Castiglioncello (2019). In ultimo, all’orizzonte
della storia artistica di Berti si è ora affacciato, interrompendosi
momentaneamente per i motivi che sappiamo, il ritratto; lo studia
a Pisa col maestro Bruno Pollacci.
rambodeviz@gmail.com
DAVIDE BERTI
57
Kunst Grenzen
• Arte di frontiera •
A Roveré della Luna, in provincia di Trento, nasce un’associazione
culturale e galleria d’arte per azzerare i confini
nel segno del dialogo e dello scambio culturale
La galleria e associazione Kunst Grenzen – Arte di frontiera nasce
nel 2020, in piena pandemia, dall’iniziativa privata dell’artista
e maestro decoratore Gentile Polo nel centro storico di
Roveré della Luna, in provincia di Trento e al confine con la provincia
di Bolzano. Proprio il fatto che si tratti di un paese al confine
tra due culture e lingue diverse – quella italiana e quella
tedesca – giustifica la scelta del termine “Grenzen” che in tedesco
significa “confine/frontiera” sia culturale che sociale e
mentale. Ma non solo: dividendo la parola in due parti, gren e
zen, vengono fuori altri due significati, e quindi “ramo” (gren, in
danese) che nell’arte medievale è simbolo della logica e del-
la rinascita, e “zen” con riferimento alla cultura orientale e a
tutto ciò che invita a meditare e a riflettere. Tutti questi valori
convivono nella mission dell’associazione Kunst Grenzen, il cui
obiettivo è appunto invitare a superare l’idea del confine come
barriera che allontana e separa per intenderlo invece come uno
spazio di dialogo e di confronto tra culture e linguaggi, anche
artistici, diversi; un punto di partenza indispensabile per la rinascita
dell’individuo, della società e della cultura. Fondamentale
per sostenere un obiettivo così ambizioso il contributo degli
artisti “di confine” coinvolti da Gentile Polo nell’associazione,
e quindi Claudio Cavalieri di Trento, Andrea Pozza di Bolzano,
Sandro Ramani di Trieste, e insieme a loro anche Sarah Mutinelli,
Paolo Ober e Renata di Palma, l’ingegnere Damiano Martorelli
per le mostre virtuali ed infine la grafica e blogger Lucia
Martorelli per la gestione delle pagine web. A questi si sono aggiunti
in seguito i poeti Angelo Magro e Alberto Sighele. L’associazione
si propone di far dialogare vari ambiti della creatività
artistica, offrendo uno spazio a tutti gli interlocutori che ne faranno
richiesta sia a livello locale che nazionale ed internazionale.
Eventi espositivi in loco e online, workshop, collaborazioni
con altre associazioni e gallerie d’arte, residenze d’artista sono
alcune delle iniziative che la Kunst Grenzen si prefigge di
promuovere per avviare un costante confronto con il territorio
e con le realtà, non solo locali, operanti nel settore artistico e
culturale. Diverse le iniziative già organizzate in questo primo
anno di vita, a partire dall’evento online Aiutiamo la Protezione
Civile – una raccolta fondi per sostenere gli operatori impegnati
nell’emergenza sanitaria – passando attraverso varie
mostre virtuali e in sede come quella intitolata Grenzen e la recente
Versi in forma – Omaggio al poeta Angelo Magro, e l’avvio
di corsi di pittura, ritratto e decorazione. In programma nei prossimi
mesi una collettiva sul tema femminile e più in generale
mostre a tema sulla civiltà contadina, patrimonio da riscoprire
e valorizzare, e sulla strada romana che passava anticamente
nei pressi di Roveré della Luna.
Associazione e galleria Kunst Grenzen – Arte di frontiera
Via Villotta 7/a – 38030 Roveré della Luna (TR)
www.kunst-grenzen.eu
kunstgrenzen20artedifrontiera@gmail.com
Per informazioni o iscrizioni alla mailing list contattare:
+ 39 3356079154 (Gentile Polo)
+ 39 3474005481 (Claudio Cavalieri)
+ 39 3886319808 (Lucia Martorelli)
Kunst Grenzen – Arte di frontiera
La tutela
dell’ingegno
A cura di
Aldo Fittante
Licenza obbligatoria sul brevetto anti Covid
Una soluzione per garantire il vaccino a tutti e subito
di Aldo Fittante
Afronte dell’acuirsi della crisi non solo sanitaria ma
sempre più socio-economica determinata dall’emergenza
Coronavirus, si è scatenata una febbrile corsa
al vaccino, al momento l’unico strumento in grado di offrire
una solida prospettiva per sconfiggere definitivamente la
pandemia. Una corsa che rischia però di divenire folle, con
uno spietato ed irragionevole groviglio di interessi finanziari
e geo-politici in grado di mettere a repentaglio il sacrosanto
diritto alla salute. Si pensi al ritardo nella campagna di
vaccinazione di almeno due mesi, a causa di blocchi di produzione
e patti non rispettati. Pfizer-BioNTech, Moderna e
Astrazeneca, le uniche multinazionali che ad oggi dispongono
di un vaccino anti Covid approvato dalle autorità preposte
ed in commercio, non riescono a soddisfare in tempi accettabili
il fabbisogno di dosi necessarie ad immunizzare i cittadini
del mondo intero. È legittimo chiedersi a questo punto
se esistano serie alternative a questa insensata lotta per accaparrarsi
quello che appare un privilegio e che invece altro
non è che un sacrosanto diritto, quello di ogni essere umano
a veder tutelata la propria salute. Un’alternativa in realtà esiste
ed è percorribile sul piano della normativa internazionale
concernente i brevetti sui farmaci. Mi riferisco alla possibilità
di attivare uno strumento giuridico in grado di “raffreddare”
il mercato dei vaccini, introducendo una sorta di “sospensione”
del brevetto, una deroga chiamata “licenza obbligatoria”.
Tale opportunità è in particolare prevista da accordi internazionali
ed è destinata ad operare in presenza – tra le altre ipotesi
– di emergenze di sanità pubblica, nelle quali certamente
ben può rientrare la pandemia che affligge l’intera popolazione
mondiale. Si tratta delle disposizioni speciali previste in
caso di emergenze sanitarie e pandemie dagli articoli 31 e
31 bis dell’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di
proprietà intellettuale – sottoscritto dai membri dell’Organizzazione
mondiale del Commercio (WTO) – che contemplano,
in presenza delle suddette circostanze eccezionali, la
possibilità di by-passare i brevetti e concedere licenze obbligatorie
per la produzione di farmaci essenziali. La licenza
obbligatoria potrebbe consentire di produrre – come generico
– nei numerosissimi stabilimenti sparsi per il mondo ed
in grado tecnicamente di farlo, la quantità di vaccino necessaria
a soddisfare il fabbisogno di tutti i paesi. La particolare
clausola internazionale in questione consentirebbe in altre
parole – e fermo restando il riconoscimento di un giusto ristoro
compensativo alle multinazionali titolari del brevetto
– di coinvolgere altre aziende e laboratori farmaceutici certificati
per la produzione dei vaccini, in tal modo garantendo
una massiccia produzione degli stessi almeno fino al termine
dell’emergenza pandemica e/o della effettiva disponibilità
sul mercato delle dosi necessarie all’immunizzazione di
massa. La deroga prevista dalla riferita norma internazionale
interviene in effetti su uno degli aspetti maggiormente dibattuti
del brevetto farmaceutico, rappresentato dai potenziali
limiti esistenti alla sua applicazione. È doveroso, senza alcuna
obiezione, tener sempre in giusta considerazione la titolarità
ed il legittimo esercizio di un titolo di privativa. È certo
infatti che la proprietà intellettuale costituisca un patrimonio
inestimabile per il progresso scientifico ed il corretto funzionamento
del libero mercato ed uno strumento per premiare
coloro che si sono distinti all’interno di esso investendo tempo,
risorse umane e denaro. Tuttavia, il legittimo utilizzo del
titolo brevettuale concesso deve pur sempre rispettare il sacrosanto
diritto alla salute e, nello specifico, il diritto all’accesso
ai vaccini. Tale diritto è del resto scolpito e costituisce
un noto ed imprescindibile caposaldo della nostra Costituzione
che, all’art. 32 recita: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività,
e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Sotto questo
punto di vista la licenza obbligatoria prevista dalla normativa
internazionale rappresenta una opportunità unica per ristabilire
un corretto equilibrio degli interessi coinvolti, imponendo
alle multinazionali che detengono brevetti sul vaccino anti
Covid – in funzione di un interesse di gran lunga superiore e
davvero di tutti – un sacrificio ragionevole e comunque adeguatamente
remunerato. Una strada, peraltro, da percorrere
molto in fretta in quanto ogni ritardo rischia di avere effetti
devastanti, in una situazione in cui si rivela di vitale importanza
accelerare i livelli di copertura per raggiungere nel più breve
tempo possibile l’immunità di gregge.
60 BREVETTO ANTI COVID
A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Tokyo Godfathers
Il romanzo sociale di Satoshi Kon
di Lorenzo Borghini
Due barboni, una ragazza scappata di casa e una neonata
abbandonata. Questi i protagonisti del terzo
lungometraggio di Satoshi Kon. Il teatro della vicenda
è una Tokyo innevata, durante le vacanze di Natale, in una
settimana che pare non finire mai. Gin è il tipico senzatetto
ridotto sul lastrico per guai economici, affoga i suoi problemi
nell’alcool e ricorda con nostalgia una vita che non gli
appartiene più. Hana è un transessuale allegro e senza peli
sulla lingua, che, nonostante i numerosi problemi, crede ancora
che la speranza sia l’ultima a morire. Miyuki è scappata
di casa da circa sei mesi, testarda e scontrosa si rifiuta di
tornare a causa delle sue azioni. Il loro “regalo di Natale” sarà
una bambina trovata tra i rifiuti, una luce che illuminerà le loro
vite dandogli uno scopo: ritrovare i genitori della piccola.
In Tokyo Godfathers, Satoshi Kon decide di adattare una delle
sceneggiature più usate del cinema hollywoodiano: I tre
padrini di Peter Kyne, trasposto nel ’48 anche da John Ford.
Kon, da buon cinefilo sapiente, decide di ribaltare la morale
evangelica di Ford, dando vita ad un penetrante ritratto di un
Giappone moderno e notturno. Dal modello americano prende
l’idea di una grazia che bacia le buone intenzioni e, nonostante
le avversità, conduce all’amorevole obiettivo. Dall’altra
parte, invece, la meschinità abietta di un
mondo moderno spietato, e un lieto fine
che tanto lieto non è, ma che appare
come una tregua dopo la tempesta,
priva di quel senso di pace e durevolezza.
I personaggi di Tokyo Godfathers sono
dei perdenti per antonomasia, anime
ferite che si barcamenano tra le pagine
amare della vita. Il ritrovamento della
piccola gli conferisce una speranza,
una luce che rischiara il grigiore delle loro
esistenze. Il riscatto, anche se parziale,
può avvenire, “basta solo” ritrovare i
genitori in una delle metropoli più popolose
al mondo. Satoshi Kon conferisce
ai suoi protagonisti uno spessore degno
dei romanzi di Dickens, perché il regista
nipponico è sempre stato attento alle
dinamiche sociali, dando respiro a quel
sottobosco metropolitano che tanto lo
affascina e fa riflettere. Pregno di citazioni,
Tokyo Godfathers strizza l’occhio
anche al Padrino, con un matrimonio tra
mafiosi che ci ricorda il capolavoro di
Coppola, ma allo stesso tempo guarda
anche verso Satoshi Kon stesso, quando
Gin incontra il presunto padre della
bambina e sopra un tavolo si può vedere
un giornale con una foto delle Cham,
il trio di idol di Perfect Blue, film d’esordio
del regista a cui rimarrà sempre legato.
Satoshi Kon, nonostante la sua
prematura dipartita, insieme a Katsuhiro
Ōtomo, Isao Takahata e Hayao Miyazaki,
entra a pieno titolo in quella schiera
di registi che hanno saputo elevare l’animazione
da semplice strumento per
bambini a forma d’arte intramontabile
che regge il passo coi tempi.
TOKYO GODFATHERS
61
La notte, acrilico su cartone e polistirolo, cm 100x60
Manuela Morandini
I paesaggi del cuore
manuelamorandini@alice.it
Vinarello, acquerello su carta, cm 70x50
A cura di
Manuela Ambrosini
Di-segni
astrologici
Pesci
Empatico e altruista, è incline al
cambiamento e dotato di sensibilità
profonda
di Manuela Ambrosini
Forse l’intera superficie delle acque terrestri non è abbasta
estesa per contenere il tuo spirito di servizio,
amico dei Pesci. Hai una qualità suprema nel prenderti
cura. C’è da aggiungere che anche la generosità, a volte, può
diventare un vizio, se essere di sostegno diventa un bisogno
senza minimi termini. Il cuore, reso sensibile dalla vulnerabilità
pescina, ha lo spazio di un contenitore, che può diventare
privo di confini, allora ti trasformi da fluente risorsa delle umane
speranze in tormentosa e tormentata vittima delle calamità
disperate. Il confine tra questo e quello è una questione di
punti di svolta. Infatti, tutti noi siamo un po’ vittime e un po’
carnefici, finché non diventiamo in grado di generare circoli
virtuosi ed impariamo ad essere centrati, ricchi di stabilità interiore
e palinsesti della tranquillità anche nel corso delle tempeste
della vita. Chi più di te lo ha sperimentato, che sembri
essere al centro di un vortice di empatiche condivisioni con
tutti coloro che soffrono. Tu sei come un gigante che diventa
guida universale quando riesce ad incontrare la sua parte spirituale,
che scopre il suo valore quando si solleva dalla terra
dei mortali per osservare dal cielo. Che tu lo voglia o meno hai
una connessione profonda con tutto quanto va oltre i limiti del
conosciuto, il transpersonale. Ercole, nella sua dodicesima fatica,
emula il senso dei Pesci, come eroi che sono destinati alla
liberazione e alla salvezza umana. Questo non significa, in
ogni caso, come un moderno Cristo, immolare la propria esistenza
al prossimo, ma quanto meno accrescere il senso del
proprio scopo nella vita: ciò che ti rende davvero felice può diventare
un’estensione della tua vita interiore con il piacere di
provvedere anche al benessere degli altri. Un’altra caratteristica
che ti aiuta è la capacità di adattamento: tu scorri come
l’acqua nel fiume della trasformazione e non hai paura di affrontare
i cambiamenti, tutt’altro. Attenzione a coltivare l’idealismo,
in amore l’eterna insoddisfazione può diventare la tua
pena. Tra le gesta che vorresti annoverare nel tuo parco della
realizzazione personale può spiccare l’eremitaggio. Nei luoghi
solitari tu ti ricarichi, specialmente se sei a contatto con
l’acqua, il tuo elemento. Il mito di Melusina che si trasforma in
sirena quando è lontana dal suo amore mortale ti appartiene.
La tua magia è sacra.
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Solis
Manuela coccole per l’anima
PESCI
63
Il super tifoso
Viola
A cura di
Lucia Petraroli
Giancarlo De Sisti
La viola secondo “Picchio”, ex centrocampista ed allenatore della Fiorentina
di Lucia Petraroli
Soprannominato “Picchio”, cioè “trottola” in romanesco,
Giancarlo De Sisti, nelle nove stagioni alla Fiorentina,
è stato sempre titolare e perno del centrocampo viola.
Nel 1968-69 ha conquistato lo scudetto, oltre ad una Coppa
Italia ed una Mitropa Cup. Dismessi gli scarpini nel gennaio
1981, ha raccolto la Fiorentina da Carosi portandola dalla zona
retrocessione al quinto posto in classifica. Nella stagione
successiva, invece, ha perso lo scudetto all’ultima giornata.
È rimasto alla guida dei viola fino al 1984, quando, dopo un
problema di salute, gli è stato proposto dai Pontello di essere
affiancato da Ferruccio Valcareggi, che lo ha poi sostituito.
Come giudichi il momento in casa Fiorentina?
Non è un momento facile. L’ho provato sulla mia persona, vorresti
spaccare il mondo però non riesci. Ci sono periodi in cui niente
va bene. Per riprendersi c’è bisogno di risultati pieni, un clima
buono e serenità. Adesso la viola sta viaggiando a fari spenti.
Salvezza sicura?
Se giochi con la paura non puoi ambire a posizioni buone,
ad un futuro che vorremmo europeo. Se cadi nel vittimismo
non riesci a fare quello che è nelle tue corde. Spero potremo
scongiurare questa situazione.
L’attacco è sotto la lente di ingrandimento?
Prandelli ha fatto bene a dare fiducia a Vlahovic, è un punto
da riconoscergli. Andando via Chiesa, hai perso un pezzo da
novanta. Occorre il ritorno di Castrovilli e Ribéry in ottima forma.
Con i loro guizzi puoi fare il salto di qualità. Penso a San
Siro contro l’Inter dove Ribery fece lezione di calcio. Hanno
preso Kokorin, la società ha tentato di fare qualcosa. Ma c’è
comunque un malessere. Bisogna essere compatti ora, fare
gruppo, giocare combattendo.
Giancarlo De Sisti nel 1984 quando
allenava la Fiorentina
Commisso chiamato a fare
delle scelte, panchina e
direttore sportivo: cosa si
aspetta?
Credo che oggi si debba pensare
solo all’andamento della
squadra, alla salvezza. La viola
è a ridosso dalle ultime posizioni.
Prima occorre fare risultato,
poi si penserà a tutto il resto.
L’andamento della stagione farà
poi valutare le scelte future. Oggi
serve tranquillità e pensare
al futuro imminente.
Cosa pensa della gestione
Commisso?
Non lo conosco, ma è un
uomo molto entusiasta
del progetto. Vorrebbe fare
sempre meglio. Spero
abbia buoni consiglieri
sulle questioni calcistiche
che magari ancora
non conosce bene.
Picchio in maglia viola
D’accordo con Commisso sulla questione stadio?
Anche a Roma abbiamo il problema stadio. Istituzioni e città
vanno di pari passo. Ma la prima cosa importante è la squadra,
bisogna pretendere e ottenere di più di quello che sta facendo
oggi. Lo stadio non è la panacea di tutti i mali, è una
risorsa certamente importante per una casa definitiva della
società. Deve esserci un buon progetto però da cui partire e
indicazioni prefissate che tutti devono seguire.
Quali differenze tra questa e la sua Fiorentina?
Quando noi lottavano per lo scudetto si dormiva così bene,
invece questa viola purtroppo soffre. Nella storia viola
il massimo è arrivato nel 1955-56 e nel 1968-69, non ci sono
stati tanti altri trionfi. Firenze è una città unica che ha avuto
sempre l’onere e l’onore di rappresentare il bello nel mondo.
Indossare i colori viola non deve essere un punto arrivo ma
un orgoglio. L’amore che si prova per questa maglia deve portare
a far scendere in campo venti cervelli pronti a dare il
massimo. Questo è quello che abbiamo cercato di fare noi
ai nostri tempi.
Il ricordo più bello in maglia viola?
Quando c’era Pugliese e stavamo per retrocedere davamo il
tutto per tutto in campo. Ci dividevamo tra Montecatini e Sesto
Fiorentino in ritiro dal mercoledì al sabato. Nella struttura
alberghiera dove alloggiavamo c’era un calesse con un
pony per fare un giro nel giardino del complesso. Il proprietario
dell’hotel disse all’allenatore che se avesse salvato la
Fiorentina ci avrebbe regalato
il pony. Alla fine però non
lo prendemmo, era troppo costoso
(ride).
64
GIANCARLO DE SISTI
A cura di
Franco Tozzi
Toscana
a tavola
Lonza di maiale alla medievale
Da un manoscritto del Quattrocento, una delizia per chi ama i sapori decisi
di Franco Tozzi
Questo mese presentiamo una ricetta molto antica, scritta
il 7 ottobre 1436 in fondo ad un registro contabile, ovviamente
manoscritto, proveniente (presumibilmente)
da un monastero toscano e presente nella biblioteca
dell’Accademia del Coccio a cui è stato donato. Come in tutte le
ricette antiche, non vengono date istruzioni su come realizzare la
pietanza ma vengono indicati solo gli ingredienti base, perché l’esecuzione
era (ed è) affidata all’esperienza dei “cucinieri”. La ricetta
è stata rielaborata dall’Accademia sulla base della propria
esperienza e del gusto attuale, sperando di non aver tolto nulla alla
sua originalità. Tra le due versioni riportate dallo scritto come
era usanza all’epoca, cioè cibi di “magro” per i periodi di penitenza
e di “grasso” per quelli normali, è stata scelta la versione “di grasso”
perché quella di “magro” prevede di sostituire al maiale il riso
e quindi, in pratica, verrebbe fuori un risotto molto complicato.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
La ricetta: lonza di maiale alla medievale
La pagina del manoscritto da cui è tratta la ricetta
Ingredienti:
lonza di maiale 800 gr.
arancia candita 60 gr.
cedro candito 60 gr.
zucchero 160 gr.
burro 60 gr.
pinoli 30 gr.
uva passa 20 gr.
latte di mandorle 250 gr.
spezie (anche solo cannella) 10 gr.
olio di oliva
pepe bianco
sale q.b.
farina 00 q.b.
La lavorazione inizia la sera prima mettendo la lonza a marinare
nel latte di mandorla. Al momento della cottura, scaldare
l’olio e 20 gr di burro in una casseruola; togliere la lonza
dalla marinatura, legarla, steccarla, andando anche in profondità,
con le scorze di arancia e cedro ed infarinarla (se
la carne è abbastanza compatta si può anche non legarla).
Unire la carne all’olio e al burro facendola rosolare per bene
su tutti i lati, poi salare, pepare e irrorare con il latte della
marinatura, facendo cuocere per circa 45 minuti a fuoco
basso e rigirando di tanto in tanto. Poi accendere il grill del
forno e far “grillare” la carne su tutti i lati per 15 minuti. Nel
frattempo, caramellare lo zucchero con l’aggiunta di cannella
in polvere e pepe bianco; tenere la preparazione in caldo.
A cottura avvenuta, far scolare la lonza su di una griglia
e successivamente spalmarci sopra il caramello facendolo
aderire omogeneamente alla carne. Rimettere la lonza in forno
per un massimo 20 minuti, sotto al grill: posizionare la
carne su di una griglia appoggiata sopra una teglia in modo
da raccogliere il sugo che colerà durante la cottura; rigirare
spesso. Intanto, con il fondo di cottura della carne, preparare
un sughetto di accompagnamento facendolo rapprendere
e mischiando, con il rimanente burro, l’uvetta, i pinoli,
le spezie, un cucchiaio raso di farina e un pizzico di sale.
Se il fondo dovesse risultare denso, aggiungere olio e passarlo
nel mixer facendone una crema. Al termine dei 20 minuti
dell’ultima infornata, togliere la lonza, tagliarla a fette
e disporla su di un piatto da portata, versandoci il sughetto
precedentemente preparato e ben caldo. Come accompagnamento,
anziché pane, pezzi di schiacciata “unta”, anche
questi ben caldi.
LONZA DI MAIALE
65
Cosetta Garuglieri
Dai fiori…
Papaveri, tecnica mista su tela, cm 40x50
… al paesaggio
Il borgo, olio su tavola, cm 30x40
Villa San Domenico, olio su tavola, cm 40x25
Il boschetto, olio su tavola, cm 40x30
scyoset@libero.it
A cura di
Stefano Marucci
Storia delle
Religioni
Commento all’Enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia
sociale in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri 2020
In collaborazione con la Parrocchia Santa Maria al Giglio di Montevarchi
2^ parte
Tendere la mano fa scoprire prima di tutto a chi lo fa, che
dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno
senso alla vita. Quante mani tese si vedono ogni giorno.
Purtroppo, accade sempre più spesso che la fretta trascini
l’essere umano in un vortice di indifferenza, al punto che non si
sa più riconoscere il bene che quotidianamente viene compiuto
nel silenzio e con grande generosità. Solo quando succedono
fatti che sconvolgono il corso della nostra vita gli occhi diventano
capaci di scorgere la bontà dei santi “della porta accanto”, «di
quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di
Dio» (citazione da Esort. ap. Gaudete et exsultate), ma di cui nessuno
parla. Le cattive notizie abbondano sulle pagine dei giornali,
sul web e sugli schermi televisivi, tanto da far pensare che il
male regni sovrano. Non è così. Certo, non mancano la cattiveria
e la violenza, il sopruso e la corruzione, ma la vita è intessuta
di atti di rispetto e di generosità che non solo compensano il
male, ma spingono ad andare oltre e ad essere pieni di speranza.
Tendere la mano è un segno che richiama immediatamente
alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi, nei
quali il mondo intero è stato sopraffatto da un virus che ha portato
dolore e morte, sconforto e smarrimento, abbiamo potuto vedere
tante mani tese. La mano tesa del medico che si preoccupa
di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano
tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di
lavoro, rimangono ad accudire i malati. La mano tesa di chi lavora
nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più
vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste
in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del
sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa
del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo
un tetto, non hanno da mangiare. La mano tesa di uomini e
donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre
mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una
litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio
e la paura pur di dare sostegno e consolazione. Questa pandemia
è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando
un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa
verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto,
offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere
il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa
strumenti di misericordia. È necessario un allenamento
quotidiano che parte dalla consapevolezza di quanto noi per
primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi. Questo
momento che stiamo vivendo ha messo in crisi tante certezze.
Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato
il senso del limite e la restrizione della libertà. La perdita del
lavoro, degli affetti più cari, come la mancanza delle consuete
relazioni interpersonali hanno di colpo spalancato orizzonti che
non eravamo più abituati a osservare. Le nostre ricchezze spirituali
e materiali sono state messe in discussione e abbiamo
scoperto di avere paura. Chiusi nel silenzio delle nostre case,
abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere
gli occhi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturato l’esigenza
di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima
vicendevole. Questo è un tempo favorevole per «sentire nuovamente
che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una
responsabilità verso gli altri e verso il mondo. Già troppo a lungo
siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica,
della bontà, della fede, dell’onestà. Tale distruzione di ogni fondamento
della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro
per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove
forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera
cultura della cura dell’ambiente». Insomma, le gravi crisi economiche,
finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo
che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno
deve sentire verso il prossimo ed ogni persona. “Tendi la mano
al povero”, dunque, è un invito alla responsabilità come impegno
diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento
a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San
Paolo: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri. Tutta
la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai
il tuo prossimo come te stesso. Portate i pesi gli uni degli altri».
ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO
67
I libri del
Mese
KristiPo
Haiku, una raccolta poetica
per celebrare la vita
di Alessandro Calonaci
Scriveva Flaiano: «Non c’è che una stagione: l’estate.
Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda,
l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta
puerilmente di guastarla». Come falene attratte dalla luce,
lo scorso 28 febbraio, io, il regista Federico Gori e il giornalista
Fabrizio Borghini abbiamo svolazzato intorno alla luminosità
accecante e calda dell’estate. Proprio quell’estate che ti
fa sentire la sabbia che scotta sulla spiaggia ma che un attimo
dopo, passato il primo fastidio, consente alle tue mani
di provare una sensazione rinvigorente. L’estate spensierata
che con la sua luce si adagia sulle nostre campagne svelandone
tutta la bellezza. L’estate che ti avvolge con la sua energia,
con la felicità racchiusa in un sorriso sbadato pieno di
possibilità. Quell’estate, nell’ultima domenica di febbraio, ha
avuto un nome: KristiPo. L’occasione, per quanto ci riguardava,
era un servizio televisivo per la rubrica “Incontri con l’arte”
nel bellissimo atelier di Pola Cecchi, luogo incantato ai
miei occhi, sulle multiformi doti dell’artista russa che, come
l’estate, appunto, illumina tutte le arti su cui posa la sua attenzione.
Mentre KristiPo volteggiava nei bellissimi abiti di
Pola e rispondeva alle domande di Fabrizio Borghini davanti
all’obbiettivo dell’indaffaratissimo Federico, io mi accingevo
a declamare i versi delle sue poesie raccolte in un curatissimo
libro dal titolo Haiku edito dal Masso delle Fate. Quello
dell’haiku è un genere della poesia giapponese che affonda le
proprie radici in tempi antichissimi; si tratta di una particolare
forma di componimenti che prevede solo tre versi dove si tenta
di rendere eterno un attimo fuggente che riguarda la natura
ed i suoi accadimenti. Nella struttura culturale giapponese la
forma è tutto e questo particolare modo di poetare sintetizza
il “sentire” nipponico; KristiPo non solo è stata più che ligia nel
rispetto dei tradizionali dettami, ma è andata oltre creando un
qualcosa di assolutamente originale. Con grande talento, è riuscita
a coniugare la forma dell’haiku con lo scandagliamento
dell’animo umano tanto caro alla letteratura russa che l’ha forgiata,
traendone una sintesi perfetta. Aiutata da suoi raffinati
disegni, che accompagnano sinergicamente ogni componimento,
KristiPo ci prende per mano stimolandoci alla riflessione
su quello che siamo, su come viviamo, ma soprattutto
aprendoci alla speranza di una messianica estate dell’anima
che ci consenta di raggiungere quella leggerezza calviniana a
cui tutti aspiriamo. Haiku è una raccolta poetica piena di energia,
un luogo esistenziale in cui rifugiarsi per ricordare la vita
com’era e com’è, secondo la lente deformata dell’anno osceno
che abbiamo vissuto, ma è anche un’ideale macchina del
tempo capace di condurci finalmente verso l’abbagliante luce
dell’estate… KristiPo è l’estate.
KristiPo
Artista eclettica, pittrice, scultrice, poetessa, cantante, attrice e regista,
Kristina Poplitskaya, in arte KristiPo, è nata a Mosca e risiede attualmente
a Montecatini Terme. La sua formazione è iniziata frequentando
la scuola di cinema e drammaturgia Sverdlovsk Film Studio a Ekaterinburg. Ha
seguito il corso accademico di arte e lingua italiana al Michelangelo Institute
e nel 2017 si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo. Amante
della natura ed animalista convinta, si dedica con eguale passione alla pittura
e alla poesia cimentandosi soprattutto nel genere letterario giapponese
dell’haiku. Ha iniziato a scrivere poesie quando aveva solo quattro anni. Dipinge
anche quadri legandoli alla poesia. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Prosa del 4
Maggio (VIII edizione), in collaborazione con la rete tv locale Italia 7. Attualmente
studia al Liceo Artistico Passaglia di Lucca e all’Accademia d’Arte di Firenze.
68
KRISTIPO
Cultura e
Società
Festival di Sanremo 2021 senza pubblico: un ritorno alle
origini radiofoniche della manifestazione nel lontano 1951
di Doretta Boretti
La radio, in questi ultimi anni, ha dovuto affrontare
periodi non facili ma, nonostante
tutto, è sempre riuscita a reinventarsi e
sopravvivere alle numerose intemperie (leggi, normative,
divieti e crisi economiche) da cui è stata
più volte aggredita. Quest’anno, il Festival di Sanremo
ha vissuto un momento piuttosto difficile, se
non altro dal punto di vista organizzativo-gestionale.
Non credo sia facile per un artista cantare,
recitare o ballare senza un pubblico presente e per
gli organizzatori tenere alto il ritmo dello spettacolo
e viva l’attenzione degli spettatori che soltanto da remoto
hanno potuto fruire di quell’intrattenimento in un momento
così amaro per troppi lavoratori. Correva l’anno 1951 quando
prese vita la prima edizione del Festival di Sanremo; venne
interamente trasmessa in diretta
radio e fu ascoltata dalla
maggior parte degli italiani
poiché il costo degli apparecchi
radiofonici era calato vertiginosamente
e moltissime
persone poterono permettersi
di ascoltarlo, integralmente,
dalla propria abitazione. Il Festival
era entrato, cantando,
nelle case degli italiani e gli
italiani iniziarono a cantare le
canzoni del Festival. Quel primo
concorso canoro fu tenuto
nel Salone delle Feste del
Il libretto con i testi delle canzoni
Nilla Pizzi a Sanremo canta Grazie dei fior Una foto storica della prima edizione del Festival nel 1951
Casinò di Sanremo e fu condotto da Nunzio Filogamo, che tutti
ricordiamo per il saluto “Cari amici vicini e lontani buonasera”
che aveva ispirato il titolo di una trasmissione radiofonica.
Vi presero parte solo tre interpreti della canzone: Nilla Pizzi,
il Duo Fasano e Achille Togliani. Cantarono ininterrottamente,
alternandosi, venti brani inediti, tra la noia e l’indifferenza
delle persone presenti che, si narra, continuarono a mangiare
chiacchierando tra loro. Vinse Nilla Pizzi con la canzone Grazie
dei fior che fu scritta da Mario Panzeri e Gian Carlo Testoni
e musicata da Saverio Seracini. Nunzio Filogamo invitò gli autori
della canzone la sera della premiazione, ma Seracini non
poté essere presente in quanto poco tempo prima era diventato
cieco in seguito ad una malattia agli occhi causata da una
precedente polmonite. Confido che, nonostante l’allora indifferenza
del pubblico presente, l’enorme successo radiofonico
che ebbero i venti brani cantati si ripeta, in questa particolare
edizione 2021, senza pubblico presente, grazie proprio ai
numerosi canali radio italiani e stranieri da cui verranno trasmessi
e ascoltati.
Il Casinò di Sanremo, sede della prima edizione del Festival
I cantanti dell'edizione del 1951
FESTIVAL DI SANREMO
69
Eccellenze toscane
in Cina
A cura di
Michele Taccetti
Da Livorno alla Cina con la società
di logistica F.lli Colò
di Michele Taccetti / foto courtesy F.lli Colò
Livorno, sin dal tempo dei Medici,
ha rappresentato la porta
per il mondo per le aziende
toscane e non solo. La città si sviluppò
soprattutto dalla seconda metà del
XVI secolo grazie ai Medici prima ed
ai Lorena in seguito, creando un porto
di importanza internazionale frequentato
da numerosi mercanti stranieri. In
pochi anni crebbe la presenza di sedi
di consolati e di compagnie di navigazione.
Questo movimento di merci,
persone e valute rese la città moderna
e all’avanguardia e contribuì ad affermarne,
sin dalla fine del Cinquecento,
i caratteri di città multietnica e multi-
culturale per eccellenza, dei quali ancor oggi sopravvivono
importanti vestigia, quali chiese e cimiteri nazionali, palazzi,
ville e opere di pubblica utilità indissolubilmente legate
ai nomi delle importanti comunità straniere che frequentarono
il porto franco fino alla seconda metà dell’Ottocento.
Questa vocazione internazionale portò a identificare la città
come “Leghorn” nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America,
“Livourne” in Francia, “Liorna” in Spagna, etc., analogamente
alle più importanti capitali di stato dell’epoca. Anche il famoso
cappello di paglia di Firenze, originario di Lastra a Signa
in Toscana, era conosciuto nel mondo sotto il nome di “Leghorn”,
appunto il nome inglese della città di Livorno da dove
partivano le spedizioni di cappelli di paglia per il mondo.
Ma dopo la seconda guerra mondiale Leghorn divenne un nome
noto anche quale porto di destinazione proprio di quella
materia prima del cappello di paglia di Firenze, ovvero le
trecce di paglia, che non più si raccoglievano e si lavoravano
nella campagna toscana, ma venivano importate dalla Cina.
Proprio da questa relazione fra cappelli di paglia, Cina e
porto di Livorno nasce la collaborazione fra China 2000 e F.lli
70
DA LIVORNO ALLA CINA
Colò, nota società livornese specializzata in servizi di spedizioni
doganali e logistica con oltre quarant’anni di esperienza
che opera in tutti i porti italiani ed ha strutture di proprietà
nei porti di Livorno, Genova, La Spezia e Trieste. La società si
avvale di un network di agenti internazionali in grado di gestire
ogni tipo di spedizione import/export da e per tutto il mondo,
organizzare trasporti terrestri e/o trasporti eccezionali,
offrire aree nazionali e bonded con possibilità di stoccaggio
di qualunque categoria merceologica e relative consulenze
doganali. F.lli Colò è ben radicata in Cina con una rete di partner
qualificati che le permette di offrire servizi da e per la
Cina di alto livello e competitività in termini di costi. La sinergia
sviluppata con China 2000 mira ad offrire un pacchetto
completo in termini di logistica e gestione commerciale, garantendo
così alle aziende italiane un servizio professionale,
diretto, rapido, efficiente ed economico da e per la Cina. F.lli
Colò non è solo una società di logistica, ma vuole essere
un partner e un consulente per i propri clienti trasformando
le loro esigenze in un servizio che tenga conto delle caratteristiche
dei materiali da gestire, della necessità di trasformare
numeri di pezzi in colli pronti ad essere spediti nella modalità
più idonea container, treno, aereo, su gomma e dell’ottimizzazione
di tempi, costi, procedure aeroportuali e doganali. Tutto
questo, spesso, senza tenere conto dell’orario e dei giorni
rossi in calendario. Con i servizi dedicati all’export, F.lli Colò
porta le eccellenze italiane nel mondo. Un valore aggiunto
della società è rappresentato dal team di esperti doganalisti,
costantemente aggiornati sulle più recenti normative e
procedure nazionali e internazionali. F.lli Colò è fra i pochissimi
operatori a disporre di una dogana “in house” che offre
un servizio di sdoganamento diretto in azienda, garantendo
ai clienti un controllo diretto delle dichiarazioni di esportazione
ai fini non imponibili d’IVA. La qualifica AEO (Authorized
Economic Operator) permette infine di avere l’autorizzazione
ad inviare le dichiarazioni doganali per tutte le merci che
arrivano nei porti italiani. Negli anni la società si è specializzata
anche nell’implementazione delle “procedure domiciliate”
ora sostituite dai cosiddetti “luoghi approvati”, ottenendo
autorizzazioni presso le principali dogane interne sul territorio
nazionale.
F.lli Colò
Piazza Attias, 21, 57125 - Livorno
www.fratellicolo.it
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
taccetti_dr_michele
Michele Taccetti
DA LIVORNO ALLA CINA
71
Racconti dalla
pandemia
Sopravvissuta alla pandemia, la rosticceria
La Nuova Luna a Firenze racconta una storia
di dedizione al lavoro e alla famiglia
di Doretta Boretti
Fino a qualche anno fa, Via
Domenico Maria Manni a
Firenze era costellata di
negozi. La crisi economica prima
e il Covid-19 dopo hanno messo
in seria difficoltà molti commercianti.
I pochi sopravvissuti alle
numerose vicissitudini, non ultime
quelle personali, sono da considerarsi
veri e propri eroi. Tra
questi, i proprietari della rosticceria
La Nuova Luna, della quale ho
avuto il privilegio di conoscere il
fondatore che purtroppo è venuto
a mancare all’affetto dei suoi cari
troppo prematuramente. I figli,
per il grande amore verso il padre,
stanno cercando di portare
avanti quello che lui, con straordinaria
determinazione, è riuscito
a creare.
Sara, se non sbaglio, sei la secondogenita.
Quando siete arrivati
in Italia? È stato difficile
integrarsi?
Sì, è vero, sono la secondogenita.
Prima di me c’è Simone e,
dopo di me, la piccola, ormai
grande, Nur. Noi tre siamo nati
tutti a Firenze, io e Simone alla
Maternità a Fiesole, Nur invece
alla Maternità dell’Ospedale
di Torregalli. I miei genitori
sono arrivati in Italia nel 1975.
Io e i mei fratelli, essendo nati,
cresciuti e avendo studiato qui,
sinceramente, non abbiamo mai
avuto difficoltà ad integrarci.
Per i miei invece è stato un pochino
più difficile, ma non più di tanto perché fin da subito
i fiorentini, vedendo il loro estremo rispetto e la loro
educazione, li hanno accolti volentieri. Mio padre e mia
madre mi hanno raccontato che negli anni Settanta gli
stranieri a Firenze erano considerati come una novità perché
ce n’erano pochi in giro e la gente era curiosa di conoscere
nuove culture, nuovi usi e costumi.
Puoi dirci che lavoro svolgi?
Sono laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Cardiologia
e svolgo la mia professione medica con tanto amore
perché quando ero in terza elementare mio padre ebbe il primo
infarto e da lì iniziò il nostro calvario negli ospedali. Nur
ancora non era stata concepita, ma ricordo che io, mamma e
72
LA NUOVA LUNA
Simone eravamo giorno e notte in ospedale per sostenerlo e
fare il tifo per lui.
Nel tempo libero aiuti la famiglia in negozio, giusto?
Eh già! Nel tempo libero sono sempre corsa in negozio ad aiutare
i miei per cercare di dare un minimo di sollievo, perché
anche con mille sacrifici, i miei genitori non ci hanno fatto
mai mancare nulla. Sono sempre stata orgogliosa e onorata
di poterli aiutare, fin da quando studiavo all'Università. Non
gli dicevo mai, per esempio, che dovevo preparare per un esame,
perché se lo avessero saputo mi avrebbero obbligata ad
andare a casa a studiare. Chiudevamo il negozio alle 22 e poi
mi ritiravo nella mia camera a studiare: quante nottate passate
sui libri! Ma lo faccio e lo rifarei mille volte perché se sono
quella che sono oggi è solo merito loro.
È stato tuo padre, del quale vorrei tu ci dicessi il nome, a
decidere di riaprire la rosticceria Luna in Via Domenico Maria
Manni. Perché l’ha chiamata “La Nuova Luna”?
Mio padre si chiamava Sahaer e, come dicevo prima, aveva
avuto un problema cardiaco. A quel tempo lavorava in un ristorante
dove da solo, come unico cuoco, cucinava quotidianamente
per trecento persone. Mia mamma, preoccupata per
la grande mole di lavoro e per il possibile stress che mio padre
poteva subire, venuta a conoscenza della vendita della rosticceria
Luna, vicino a casa, decise di parlarne col babbo. Il
vecchio proprietario non aveva lavorato bene e nel giro di poco
tempo aveva perso tutta la clientela. Così, il 1 aprile 1999,
i miei genitori decisero di comprare la rosticceria Luna dandole
il nome La Nuova Luna. Ricordo che all’inizio è stato durissimo
recuperare e trovare nuovi clienti, perché quando un
locale decade, per riportarlo in auge occorrono tempo, pazienza
e tenacia.
Che tipo di cibi offrite alla clientela e con quale orario?
Siamo aperti tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 9,30 alle 14,30,
e nel pomeriggio dalle 17 alle 22. Offriamo una grande varietà
di primi piatti e secondi freschi tutti i giorni, con vari tipi di
contorni, dalle patate arrosto alle verdure fritte, al nostro pollo,
definito dai clienti “strepitoso”, alla pizza, alle focacce e tanto
altro. Effettuiamo anche la consegna a domicilio.
Come avete affrontato questo periodo di pandemia?
È stato davvero duro. Abbiamo cercato di implementare il
servizio a domicilio, mantenendo e favorendo le consegne
con la massima sicurezza sia per lo staff che per la clientela.
A partire da destra, Sara con il padre, la madre, il fratello Simone e la sorella Nur
LA NUOVA LUNA
73
B&B Hotels
Italia
Il B&B Hotel Cortina Passo Tre Croci
alle pendici del Monte Cristallo
di Chiara Mariani
B&B Hotels, catena internazionale con più di 550 hotel
in Europa e 43 in Italia, continua la sua espansione
approdando in una location esclusiva ed internazionale:
Cortina d’Ampezzo. Soprannominata “la Regina delle
Dolomiti”, la città è un mix di arte e natura e il B&B Hotel
Cortina Passo Tre Croci s’inserisce perfettamente in questo
scenario magico e senza tempo. Situato in località Passo
Tre Croci, l’albergo si trova in posizione strategica per raggiungere
il centro città, le piste sciistiche e le attrazioni più
famose della zona come il Lago Sorapis, il Lago Misurina e
le Tre Cime di Lavaredo. Inserita nel comprensorio sciistico
più grande al mondo, il Dolomiti Superski, d’inverno Cortina
è perfetta per le sue piste – considerate tra le più impegnative
e panoramiche di tutte le Dolomiti – l’estate, invece, è la
stagione ideale per escursionisti e arrampicatori. Il B&B Hotel
Cortina Passo Tre Croci presenta un design moderno e
raffinato e propone un’accoglienza all’insegna della sicurezza
e servizi di qualità a prezzi convenienti solo su hotelbb.
com, in linea con il concept del gruppo: Only For Everyone.
A più di 1.800 metri, l’hotel dispone di 124 camere che offrono
una vista mozzafiato sulle Dolomiti e la Valle d'Ampezzo
e sono dotate dei comfort necessari come bagno privato,
connessione Wi-Fi 200 mega, Smart TV 43” con Chromecast
integrato e canali Sky gratuiti, il tutto per godersi un soggiorno
in pieno relax e sicurezza grazie al protocollo Safety
Label High Quality Anti Covid-19 sviluppato da B&B Hotels
Italia a tutela degli ospiti e dello staff. Non manca poi una
moderna area laundry/ironing a disposizione di tutti gli ospiti
e un’area shop targata B&B Hotels che, oltre a fornire prodotti
strategici ed essenziali per ogni viaggiatore, presenta
un’arricchita selezione di cibi e bevande. Al piano terra del
B&B Hotel Cortina Passo Tre Croci si trova il grande spazio
living, un mix funzionale a pianta libera dedicato all’area accoglienza,
svago e ristoro. Infine, tra gli spazi che accolgono
gli ospiti, un ampio ristorante formato da due sale: una dedicata
esclusivamente agli ospiti dell’hotel e una aperta agli
esterni con il concept Bistrot. Il nuovo B&B Hotel Cortina
Passo Tre Croci sarà il primo del gruppo a prevedere prenotazioni
di soggiorni in mezza pensione, per garantire a tutti
gli ospiti la massima flessibilità, assicurando una vacanza in
grande relax e, allo stesso tempo, con tutti i comfort necessari
nei mesi invernali così come quelli estivi.
74
B&B HOTEL CORTINA
Su B&B Hotels
Destinazioni, design, prezzo. B&B Hotels unisce il calore e
l’attenzione di una gestione di tipo familiare all’offerta tipica
di una grande catena d’alberghi. Un’ospitalità di qualità a
prezzi contenuti e competitivi, senza fronzoli ma con una forte
attenzione ai servizi. 43 hotel in Italia. Camere dal design
moderno e funzionale con bagno spazioso e soffione XL, Wi-
Fi in fibra fino a 200 mega, TV 43” con canali Sky e satellitari
di sport, cinema e informazione gratuiti. Nei B&B Hotels sono
presenti Smart TV che offrono un servizio di e-concierge
per scoprire la città a 360°.
Prenota al miglior prezzo garantito solo su hotelbb.com
B&B HOTEL CORTINA
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Arte del
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
Vitigni toscani per i vini della terra dei nuraghi
di Elena Maria Petrini / Foto Peppe Fulghesu
Nino Fulghesu nella sua vigna con la moglie
Sulle alte colline di Meana Sardo, un comune in provincia
di Nùoro, nella regione della Barbagia di Belvì,
si trova l’azienda “Le Vigne” della famiglia Fulghesu.
Siamo al centro geometrico della Sardegna, dove arriva la
brezza dei due mari: dal Golfo di Oristano, sul Mediterraneo,
e dal Tirreno. Meana Sardo è un piccolo borgo circondato
dalle suggestive colline della Terra di Nolza, con il suo maestoso
nuraghe quadrilobato, i menhir, le domus de janas e
tutte le vestigia dell’antico popolo nuragico che osò sfidare
la potenza dei faraoni d’Egitto. La civiltà nuragica si è sviluppata
a partire dalla metà del II millennio a.C. in piena età
del bronzo. Le grandi torri megalitiche di forma troncoconica
furono edificate in tutta l’isola e divennero il centro della
vita sociale dell’antica popolazione, anche se la loro funzione
si pensa sia stata per uso militare, civile o religioso.
Una recente teoria ritiene, invece, che queste strutture funzionassero
come un vero e proprio osservatorio astronomico,
e quindi che venissero collocate sul territorio secondo
precisi allineamenti con la volta celeste. In questa dimensione
affascinante, ricca di tradizioni e di paesaggi straordinari,
inizia, negli anni Trenta del secolo scorso, la storia
vinicola della famiglia Fulghesu, che mise a dimora alcuni
vigneti con le varietà dell’attuale DOC Mandrolisai, ovvero
Cannonau, Muristellu e Monica, assieme ad altri vitigni
come il Barbera Sardo, la Garnacha Tintorera (vitigno presente
già dall’Ottocento), il Cagnulari e l’Aleatico. Successivamente,
nel 1954, vennero impiantati altri due ettari di uve
Cannonau ed altri vitigni a bacca bianca della varietà Nuragus
e Malvasia. Nel 1969, Nino Fulghesu iniziò l’avventura
di una viticoltura proiettata nel futuro, implementando la
sua azienda con vitigni anche toscani e di altre regioni, come
Sangiovese, Montepulciano, Ciliegiolo, Vermentino, Cabernet
Sauvignon, Dolcetto e Nebbiolo, creando così una
produzione variegata di vini da coltivazioni biologiche certificate
di altissima qualità. Il territorio è collinare e l’azienda
si trova a circa 600 metri sul livello del mare; la cantina
sorge proprio nella zona dell’area archeologica del grande
nuraghe quadrilobato di Nolza. Oggi è una moderna azienda
guidata dai figli di Nino, Maria Teresa e i suoi fratelli, particolarmente
attenti non solo alla morfologia del terroir ma
anche alle condizioni pedoclimatiche. La tipologia delle vigne
è quella tradizionale “ad alberello”, tuttavia per i nuovi
impianti si è optato per il “cordone speronato bilaterale”.
Presentiamo di seguito alcuni vini prodotti dall’azienda che,
essendo bio, utilizza pochissimi solfiti aggiunti, mentre la
complessità fenolica e l’alta acidità generano una buona
freschezza rendendoli più equilibrati:
Kantharu - nasce da uve autoctone di Cannonau, Muristellu
e Monica. Si presenta di un bel colore rosso rubino, dal
profumo intenso e vinoso; il gusto è pieno, vellutato, armonico
e persistente. Eleganti note fruttate lo rendono particolarmente
piacevole al palato; ideale con carni rosse e formaggi
in genere.
Giuseppe Fulghesu, figlio di Nino
Ampsicora - ottenuto da uve Cannonau in purezza, ha un
bel colore rosso rubino dai riflessi violacei, un profumo intenso
che ricorda la mora e la prugna, al palato il gusto è fruttato
e intenso, persistente e vellutato. Si abbina perfettamente
con le specialità sarde, in particolare arrosti, formaggi stagionati
e piccanti.
76
VITIGNI TOSCANI
Jolao - un blend di uve autoctone come Cannonau, Ciliegiolo,
Primitivo di Manduria, Malvasia Nera e Negroamaro.
Ha un colore rosso rubino che col tempo vira verso riflessi
granato. Il profumo è persistente ed equilibrato; al palato è
morbido e ben strutturato con sentori di frutta molto matura
e note di prugna e liquirizia. Si accompagna con primi piatti
importanti e secondi di cacciagione, ma anche con formaggi
piccanti e stagionati.
Sentidu - nasce da uva Cagnulari, ha un colore rosso rubino
con riflessi violacei, un profumo intenso ed equilibrato dal
fresco sapore di frutti di bosco. Sapido e persistente, è ottimo
con carni rosse, ma anche formaggi – sia freschi che stagionati
– ed in particolare caprini.
Alinus - Vermentino in purezza, ha un colore giallo paglierino
con sfumature tendenti al verde; all’olfatto profumi di
albicocca, pesca e frutta matura, con sentori balsamici di
macchia mediterranea. Al palato si presenta sapido, fresco e
di gradevole ed equilibrata acidità, con una bella persistenza
e spiccate note minerali. È un vino “a tutto pasto”, particolarmente
indicato con frutti di mare, crostacei e pesci.
Zoli - 100% uve Moscato invecchiato in botti rovere. È ambrato,
con profumo di fiori e piante mediterranee, sapore di
miele e frutta sciroppata; ottimo con i dolci sardi e la pasticceria
della tradizione isolana, all’occorrenza diventa anche
un ottimo compagno di meditazione.
Appassimento sulla pianta dell’uva Garnacha Tintorera
Lunatico - nasce da uve Nuragus, un vitigno autoctono
a bacca bianca, molto antico, portato presumibilmente dai
Fenici. Di colore giallo paglierino delicato, talvolta intenso.
Sensazioni olfattive di fiori bianchi,
mela verde e note agrumate. Piacevolmente
sapido e fresco al palato,
si accompagna bene ai piatti di pesce
e ai dolci tipici sardi con pasta
di mandorle, noci e nocciole.
Saraceno - vino rosso dolce ottenuto
da uve stramature appassite
naturalmente sulle piante e appartenenti
ad un vecchio vitigno presente
a Meana Sarda fin dagli anni Settanta:
il Girò di Cagliari. Viene vinificato
a freddo con 2/3 giorni di macerazione
con le bucce e fermentazione
lentissima del mosto fino a 20 giorni.
Al palato si presenta dolce, con
sentori che richiamano frutti a bacca
rossa e prugne stramature.
Una selezione di vini dell'azienda Le Vigne della famiglia Fulghesu
Si conclude questa carrellata con
gli ultimi due vini prodotti: Eldorado,
ottenuto da uve moscato in purezza
e Likorys, un rosato da uve
Montepulciano.
VITIGNI TOSCANI
77
Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
Marzo: prenditi cura della pelle durante
il cambio di stagione
di Antonio Pieri
La bella stagione è alle porte, tra poco potremo dire
addio al pungente freddo che ha contraddistinto
questo inverno. Non per questo però dobbiamo abbassare
la guardia smettendo di idratare e nutrire la nostra
pelle. Infatti utilizzare prodotti naturali e biologici per prenderci
cura di noi stessi è una buona abitudine che va mantenuta
tutto l’anno.
Attenzione al cambio di stagione
Il cambio di stagione è una fase in cui il corpo e la mente vengono
messe a dura prova. Per evitare di incorrere in spiacevoli
inconvenienti è bene avere i giusti comportamenti che ci
consentono di vivere al meglio questa fase delicata.
Coccolare le mani
Come sappiamo, durante il periodo invernale, le mani sono
la parte del corpo che viene messa più a dura prova. Infatti,
sono quelle più esposte agli effetti del freddo. Durante tutto
l’inverno per contrastare questi effetti ce ne siamo presi cura
idratandole continuamente. Adesso non è il momento di
smettere, continuiamo ad idratarle e a nutrirle con prodotti
naturali e biologici. Un consiglio è quello di fare uno scrub
mani, in modo da eliminare la pelle morta, prima di applicare
una crema nutritiva naturale.
Esfoliazione
Dopo il gelo dell’inverno la pelle appare secca ed ispessita,
occorre rinnovarla effettuando il giusto rituale di esfoliazione
eliminando la pelle morta con degli scrub e idratandola con
creme corpo naturali, meglio ancora se a base di olio extra-
vergine di oliva toscano IGP biologico che, grazie a sostanze
come lo squalane o i polifenoli, idrata e protegge la pelle.
Idratare in profondità
Il Burro Corpo Fondente Prima Spremitura di Idea Toscana è
l’alleato ideale per preparare la pelle alla nuova stagione. Infatti
contiene ingredienti emollienti come i burri di karité e di
cocco e oli naturali come quello di jojoba e ha come principio
attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
La sua composizione gli permette di creare una barriera
tra gli agenti esterni e la pelle, proteggendola così dall’inquinamento
e dalle difficili condizioni ambientali. Inoltre permette di
mantenere l’idratazione della pelle, penetrando in profondità e
mantenendone lo strato superficiale liscio ed elastico. Avendo
una consistenza semisolida, al fine di migliorarne la stesura, si
consiglia di conservare il barattolo in bagno per ammorbidirlo
e massaggiarlo sulla pelle ancora calda dopo la doccia. Si
assorbirà completamente in pochi minuti. Per la sua capacità
di protezione dell’epidermide è particolarmente efficace nell’idratazione
della pelle di viso, corpo e mani, prevenendo così la
formazione di rughe, grazie all’olio extravergine di oliva, ricco
di antiossidanti naturali. È ottimo anche come crema post-depilatoria,
infatti grazie alla sua formula particolarmente ricca
di nutrienti, aiuta a lenire la pelle irritata dalla depilazione, lasciandola
morbida e liscia.
Ti aspettiamo nel nostro nel nostro punto vendita
in Borgo Ognissanti 2 a Firenze o sul sito
www.ideatoscana.it per prenderti cura della tua
pelle in maniera naturale e biologica.
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
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IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |
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