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NELLE VALLI BOLOGNESI N° 52 - INVERNO 2021/2022

Il trimestrale su natura, cultura e tradizioni tra la montagna e la bassa bologese

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IL NONNO RACCONTA<br />

L’investitura<br />

del maiale<br />

Gian Paolo Borghi<br />

Le tradizioni popolari<br />

della pianura bolognese<br />

tra fede, storia<br />

e dialetto<br />

Dopo la lunga emergenza da Covid-19, il<br />

ritorno della riproposta dell’investitura del<br />

maiale da parte del Lions Club Argelato<br />

San Michele, in collaborazione con il<br />

Comitato Soci Emil Banca di Argelato e<br />

la Parrocchia di Argelato, mi ha spinto<br />

a trattare di questa tradizione, ancora<br />

presente nella memoria collettiva delle<br />

nostre campagne. Da diversi anni, peraltro<br />

in diverse località, si assiste a questa<br />

ripresa che dall’ambito familiare si è<br />

trasferita in spazi pubblici trasformandosi<br />

in una sorta di rito collettivo. Ricordo, tra<br />

le iniziative a me note, quelle effettuate<br />

al Museo della Civiltà Contadina di<br />

San Marino di Bentivoglio, a Funo di<br />

Argelato, San Giorgio di Piano (nel cortile<br />

del suo Municipio ospita un monumento<br />

al maiale, opera di Bruno Bandoli) e<br />

Castello d’Argile. Queste riproposte hanno<br />

soprattutto finalità benefiche.<br />

Nella società rurale di tradizione, il maiale<br />

era chiamato in forma vezzeggiativa<br />

ninéń (ovvero ninnolo, gioiellino), nella<br />

consapevolezza del suo valore, soprattutto<br />

nell’economia del contesto famigliare. La<br />

sua investitura (l’invstîdura) si traduceva in<br />

una indispensabile fonte alimentare, le cui<br />

pratiche di lavorazione si perdono, come<br />

si dice, nella notte dei tempi. Il periodo<br />

iniziale della macellazione coincideva con<br />

i primi freddi dell’autunno-inverno: nella<br />

vicina pianura modenese, per esempio, è<br />

ancora conosciuto il proverbio: Par Sant<br />

Andrea (30 novembre)/ciapa al pòrch par<br />

la sèa (le setole).<br />

Oreste Trebbi e Gaspare Ungarelli<br />

(Costumanze e tradizioni del popolo<br />

bolognese, Bologna 1932) annotano altri<br />

due proverbi: Per San Tmès (San Tommaso,<br />

21 dicembre)/ciâpa al ninéń pr’al nès. E<br />

Per Santa Luzî (13 dicembre) e per Nadèl/<br />

al cuntadéń mâza al purzèl.<br />

In genere, ma non era una regola<br />

fissa (dipendeva dall’andamento<br />

meteorologico), il ciclo rispettava le<br />

fasi lunari (a luna calante o nuova) e si<br />

completava nei giorni che precedevano la<br />

festa di Sant’Antonio abate (17 gennaio),<br />

patrono degli animali, durante la quale era<br />

tassativamente proibito far loro del male.<br />

Passo a descrivere sommariamente<br />

le fasi di investitura del maiale non<br />

dimenticando i modi cruenti della sua<br />

uccisione, ai quali non ci si sottraeva<br />

nella consapevolezza che il suo sacrificio<br />

avrebbe garantito la sopravvivenza degli<br />

umani, grandi e piccoli, fornendo loro<br />

proteine indispensabili per buona parte<br />

dell’anno.<br />

Dopo l’abbattimento dell’animale, si<br />

procedeva alla sua spellatura, per la quale<br />

di solito si usava una specie di conca in<br />

legno (al pladȗr o la pladȗra). Come è<br />

noto, del maiale non andava sprecato<br />

nulla, sangue compreso, che veniva<br />

destinato all’alimentazione (preparazione<br />

del sanguinaccio, del migliaccio e di altre<br />

ricette). Con l’operazione successiva, il<br />

maiale, sollevato da terra, era agganciato<br />

a una struttura di sostegno; si procedeva,<br />

quindi, all’asportazione degli organi<br />

interni (sventratura) e alla squartatura,<br />

al taglio cioè del suo corpo in due parti<br />

(mezzene).<br />

La carne veniva poi deposta su un tagliere<br />

(tulîr) di ampie dimensioni e dopo un<br />

certo tempo (anche un paio di giorni) si<br />

operava il suo taglio e la sua selezione.<br />

La vescica (psîga) e le budella (budèl),<br />

opportunamente lavate, venivano<br />

destinate a “contenitori” per l’investitura<br />

dell’animale.<br />

Per la descrizione delle successive<br />

procedure, mi affido, per brevità, alla parte<br />

finale di uno scritto del museo romagnolo<br />

della Vita Contadina di San Pancrazio<br />

di Russi: “Il grasso (strutto) liquefatto<br />

Foto, archivio MAF<br />

Ferrara<br />

sul fuoco e messo nella vescica, veniva<br />

raffreddato e messo in cantina, mentre i suoi<br />

residui venivano schiacciati con una morsa<br />

per ottenere i ciccioli (grasȗ, nel bolognese<br />

della bassa). Si preparavano i prosciutti,<br />

la pancetta che, tenuti per quaranta giorni<br />

sotto sale, venivano successivamente<br />

appesi in cantina a una trave; si macinava<br />

la carne precedentemente selezionata e la<br />

si insaccava nelle budella preventivamente<br />

lavate per preparare le salsicce, i salami, i<br />

cotechini, le coppe, i lombetti che venivano<br />

appesi in cucina a stagionare”.<br />

Per concludere, si trattava di sapienti<br />

pratiche tradizionali, per secoli trasmesse<br />

di generazione in generazione.<br />

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