01.08.2023 Views

180Meraviglie n. 45

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

vero obbrobrio antiterapeutico del

passato, come a possibili soluzioni,

vuol dire non conoscere la storia ed

il funzionamento di tali istituzioni

totali e non comprendere il grande

passo di civiltà che invece si è compiuto

in Italia con la loro chiusura,

sostituita da una vasta rete territoriale

ed ospedaliera di servizi ben

più avanzati, anche se

non ancora pienamente

rispondenti al grande

bisogno di promozione,

prevenzione, cura e riabilitazione

esistente.

ta

il tema inquietante

della violenza da parte

disturbi mentali, non si

sa o si dimentica che

essa non è mediamente

superiore a quella

presente nel resto della

popolazione e pertanto

quando esplode essa

viene erroneamente

percepita come fosse

un rischio molto più

te

le diverse dimensioni

del dolore e della patologia mentale

se vogliamo impedire i corto

circuiti tra il nostro approccio di

ascolto e di accoglienza, che è per

sua natura non violento, e il fondo

violento della nostra vita cosiddetta

civile, che avolte contribuisce a

creare la psicopatologia e spesso la

esaspera, anziché attenuarla, con il

fondo paranoico dei complottismi e

eventuali responsabilità, carenze,

omissioni che, dai livelli clinici a

quelli sociali e giudiziari, possono

aver impedito i possibili interventi

preventivi. Ma non avendo gli

elementi per entrare nel merito,

non è corretto avanzare commenti

che poi, nel perdurare di un troppo

basso livello di cultura della salute

Una dolcissima immagine della compianta Dottoressa

Barbara Capovani, crudelmente aggredita da un suo

paziente e poi deceduta qualche giorno dopo

mentale, non farebbe altro che assommarsi

a quelle reazioni emotive

di tante persone e delle stesse istituzioni

che risultano distorsive e provocano

solo sentimenti di paura, di

rabbia e di vendetta nelle comunità.

Va invece detto ad alta voce che ora

non si tratta di rassicurare la gente,

di promettere soluzioni organizzative,

lasciando poi che resti scandalosamente

bassa l’attenzione alla

salute mentale e che le risorse ad

essa destinate, anche con il PNRR,

continuino ad essere del tutto inadeguate.

Dobbiamo gridare che

sono almeno due decenni che l’Organizzazione

mondiale della sanità

invita, inascoltata, i governi, le

istituzioni e chiunque abbia potere

decisionale, a considerare la salute

ne,

oltre tutto questo, noi psichiatri,

psicologi, infermieri, assistenti

sociali, terapisti della riabilitazione

psichiatrica, cosa dovremmo fare?

Cambiare il nostro sguardo umanistico?

Non credere più alla bellezza,

faticosa quanto vogliamo, a

volte tragica, del diventare persone?

E credere invece, anche noi,

15

allo stereotipo della pericolosità di

ogni malato mentale? Militarizzare

i servizi per la salute mentale?

Tornare alle vecchie e sempre seduttive

logiche della segregazione

e dell’esclusione, magari oggi dorate

e mitigate dai nuovi psicofarmaci?

A quel punto tradiremmo noi

stessi. E tanto varrebbe cambiare

mestiere. Abbiamo perso

Barbara, una collega, una

madre, una bella persona,

e non possiamo farla resuscitare.

Dovremmo anche

sfuggente, del nostro proporci

come argine, sia pure

fragile, sia pure precario,

alle più tremende vertigini

della mente? La tentazione

di molti operatori e professionisti

della salute mentale

di fare anche solo un passo

indietro è forte perché non

siamo degli eroi. Quei colpi

di martello hanno dilaniato

anche il corpo del sogno che

ci muove, hanno squarciato

l’ordito, già così precario,

dei rapporti di cura

reciproca, di condivisione

della nostra condizione di

fragilità. E’ utile allora ricordare il

no,

che ci esorta ad imparare a riconoscere

tutto ciò che non è inferno

sulla Terra, a difenderlo, a farlo durare.

Allora, nessun passo indietro.

Dobbiamo restare fedeli al senso

profondo del nostro mestiere. Il

nostro impegno, adesso e sempre,

dev’essere quello di conservare il

sorriso di Barbara Capovani, come

quello lasciatoci dieci anni fa da

Paola Labriola a Bari, di conferma-

persone. Dobbiamo mantenere l’apertura

al dono e alla gratuità anche

di fronte al male. Dobbiamo restare

terapeuti.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!