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Caritate

n. 4 - ottobre/dicembre 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IBollettino delle suoreterziarie francescaneelisabettine di Padovan. 4 - ottobre/dicembre 2010Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. I, comma 2, DCB PADOVAQuesta notte è chiaracome pieno giorno:l'Amore, fatto bambino,è qui in mezzo a noi


anno LXXXII n. 4ottobre/dicembre2 0 1 0In copertina: Valentina Salmaso, acquerello, Francesco contemplail mistero di Betlemme e lo fa rivivere alla gente diGreccio, la notte di Natale 1223 (cfr. 1Cel cap. XXX, in Fontifrancescane 468-470).EditoreIstituto suore terziarie francescaneelisabettine di Padovavia Beato Pellegrino, 40 - 35137 Padovatel. 049.8730.660 - 8730.600; fax 049.8730.690e-mail incaritate@elisabettine.itPer offerteccp 158 92 359Direttore responsabileAntonio BarbieratoDirezionePaola FuregonCollaboratoriIlaria Arcidiacono, Sandrina Codebò, Barbara Danesi, MartinaGiacomini, Enrica Martello, Annavittoria TomietStampaImprimenda s.n.c. - Limena (PD)Autorizzazione del Tribunale di Padovan. 77 del 18 marzo 1953Spedizione in abbonamento postaleQuesto periodico è associato all’Uspi(Unione stampa periodica italiana)editoriale 3nella chiesaCaritas in veritate: economia e gratuità 4Marco Cagolparola chiaveNel segreto della compiacenza di Dio 7Elia Citteriofinestra apertaAncora un «esodo» 10Luca MoscatelliUn‘amicizia inter-continentale... in Gesù 13a cura della Redazionespeciale 150°Parole, significati, celebrazioni per conoscere, lodare, ringraziareElisabetta Vendramini: un ritratto a più coloriAutori variLe celebrazioni dei 150 anniPadova, basilica del Carminea cura della RedazioneRacconti e testimonianzeAutori varidall‘Argentinadall‘Ecuadordall‘Egittodal Sudandal Kenyada Betlemmedall‘Italiain questo numeroIIIIXXIIXIIIXVXVIXVIIXIXXXin camminoPartecipare e condividere 39Francesca Violatoaccanto a...Un sorriso per la Palestina 41Lucia Corradinvita elisabettinaCome sasso sul torrente 42Enrica Martellomemoria e gratitudineAncora insieme per continuare a costruire comunità 43a cura di Loredana ScudellaroInnamorate di Cristo e dei suoi “piccoli” 44Rosanna RossiAccanto alle operaie in fabbrica 46Annavittoria Tomietnel ricordoCon la veste di lino puro, splendente 48Sandrina Codebò


editorialeUna fede vestita di rossoUccidetemi, ma lasciate in pace i miei fratelli»: èl’ultimo grido di un pastore (di trentadue anni) chesa dare la vita per i suoi fratelli.I fatti di domenica 31 ottobre 2010 sono solo le ultimeagghiaccianti manifestazioni di quanto è disposto a metterein atto chi coltiva l’odio in nome di un cieco fanatismo.Sono fatti che interpellano la coscienza non solo deicristiani ma anche di chi governa, delle istituzioni internazionaliche hanno come dovere prioritario di difendere lavita umana, soprattutto se piccola e indifesa, e la libertà diprofessare la propria fede religiosa.Colpiscono le confidenze dei cristiani di Mosul e Baghdadad un giornalista di Avvenire: «Siamo come i fiori diun giardino di cui nessuno si prende cura e che tutti pensanodi poter calpestare a proprio piacimento».L’aggressione finita in tragedia a cristiani in preghierasembra una risposta provocatoria e intimidatoria alla conclusionedel recente sinodo dei vescovi del Medio-Oriente(10-24 ottobre) in cui viene rilanciata la sfida del dialogo,della pace, di una pacifica convivenza tra fedi e religionidiverse.La voce della violenza sembra umanamente invincibile:«Il vostro Dio è un Dio scomodo perché insegna la mitezza,la non violenza, il perdono... Non vogliamo dialogarecon voi».E invece la strada del dialogo continua a provocare lacoscienza di chi crede tenacemente in questa possibilità,forte della parola del Signore.Lo dicono con chiarezza le espressioni del documentofinale del sinodo.«Noi vogliamo offrire all’Oriente e all’Occidenteun modello di convivenza tra le differenti religionie di collaborazione positiva tra diverse civiltà, per ilbene delle nostre patrie e quello di tutta l’umanità.È nostro dovere, dunque, educare i credenti aldialogo inter-religioso, all’accettazione del pluralismo,al rispetto e alla stima reciproca».Con i Padri sinodali confermiamo la fede chela «Vita divina che è apparsa agli apostoli 2000anni fa nella persona del nostro Signore e SalvatoreGesù Cristo... rimarrà sempre la vita delle nostreChiese nel Medio Oriente e l’oggetto della nostratestimonianza».Parole che indicano orizzonti di luce, che apronomenti e cuori alla speranza. Con il contributodi tutte le persone di buona volontà - di quelle chehanno in mano le chiavi del potere ma anche di chisi sente semplice fratello in cammino - sarà possibilelasciare fiorire in bellezza il giardino dell’uomo efarne un luogo dove Dio possa abitare.La grazia del Natale trasformi in gesti concreti idesideri di pace di ciascuno di noi e li faccia diventareinvito al dialogo e all’accoglienza.Facciamo nostre, come augurio, le parole delsalmo 85 (84): «Sì, la sua salvezza è vicina achi lo teme» (10) e sulla terra abitata dalla suagloria, «giustizia e pace si baceranno» (11).Buon Natale!La Redazioneottobre/dicembre 2010 3


nella chiesaLETTURA DELLA LETTERA DEL PAPA (IV)Caritas in Veritate: economia e gratuitàCriteri orientativi dell'agiredi Marco Cagolsacerdote della diocesi di Padova 1Per rendere umano lo sviluppoeconomico, sociale e politicoè necessario dare spazio al“principio di gratuità”.Nei precedenti numeri abbiamovisto come Benedetto XVI nellaCaritas in veritate abbia ripercorsoe per così dire ri-narrato l’orizzontedella coscienza umana, il suonocciolo più profondo e originario, individuatonella carità, impulso ad amare,e nella verità, e in ultima analisi nelDio che ve le ha depositate. Abbiamovisto che tutto questo si propone comecoerente risposta alla questione antropologicae alla «crisi dell’umanesimo» 2 ,dal punto di vista sia culturale, sia pastorale.Entriamo ora nella logica chel'enciclica pone come criterio orienativopratico dell'economia per la persona.4 ottobre/dicembre 2010Carità e verità,criteri di azioneLa carità non è solo qualcosa cherimane relegato nella coscienza, o inambiti ristretti, ma assurge a vero eproprio «principio» sociale. È il primoprincipio, è la «via» della stessa Dottrinasociale della Chiesa (DSC), criterioorientativo per l’agire, in ogni ambito(Caritas in Veritate - CiV 2).Questo è un punto decisivo perBenedetto XVI e per la DSC: esso nascedal nesso tra carità e verità, nessogravido di conseguenze. Si può dunqueaffermare che non si possono distinguereambiti dove vale la carità e ambiti dovevale qualcosa d’altro, fosse anche la giustizia,come se la carità dovesse averesolo un ruolo successivo, quasi a soccorrerele imperfezioni della giustiziao di altri criteri adottati dalla ragione odal consenso. In definitiva la separazionetra sfera privata - come luogo dovepuò aver senso il criterio della carità- e sfera pubblica - dove ci si dovrebberegolare solo in base alla giustizia - nonha senso, perché distorce la realtà umanastessa e la sua intima struttura. Lasfera pubblica è sfera di relazioni umane,quali sono le relazioni economiche,politiche, sociali: dunque se sono relazioniumane non possono non essereinnervate da quella forza originaria. Edè chiaro che se questo vale in ordinealla carità, vale anche in ordine allagratuità, al dono, che della carità sonoespressioni e determinazioni.Allo stesso modo anche l’istanzadella verità diviene criterio operativoper la realtà sociale. Quando si diceche ovunque è necessaria l’etica, è ovvioche non si può non fare riferimentoalla verità. «Senza verità, senza fiduciae amore per il vero, non c’è coscienza eresponsabilità sociale, e l’agire socialecade in balia di privati interessi e di logichedi potere, con effetti disgregatorisulla società, tanto più in una societàin via di globalizzazione, in momentidifficili come quelli attuali» (CiV 5).Da questi due punti fermi – caritàe verità - Benedetto XVI lungo tuttal’enciclica declina una serie di «criteriorientativi per l’azione morale» (CiV 6),che operativamente traducono carità everità in ulteriori principi e determinazioniconcrete. E così egli censisce lagiustizia (CiV 6), il bene comune (CiV7), la centralità della persona umana(CiV 47), la solidarietà (CiV 57), lasussidiarietà (CiV 58), principi e valoriclassici della DSC che qui vengono ripropostie in un certo senso risemantizzatinell’orizzonte appunto della carità.Ma nell’enciclica sembrano esserceneanche altri, che non avevano maipreso il volto di un principio vero eproprio nella DSC. Uno di essi è ilprincipio di gratuità, fondato sull’esperienzadel dono, tipica della dinamicadella carità divina e umana. «La caritànella verità pone l’uomo davanti allastupefacente esperienza del dono. Lagratuità è presente nella sua vita inmolteplici forme, spesso non riconosciutea causa di una visione solo produttivisticae utilitaristica dell’esistenza.L’essere umano è fatto per il dono,che ne esprime ed attua la dimensionedi trascendenza» (CiV 34).Un altro criterio orientativo, chesembra prendere il volto di un vero eproprio principio, è quello della relazionenella comunione.Entrambi questi criteri sono riconducibiliimmediatamente alla fraternità 3 .Essi si comprendono in modo piùchiaro osservando come “agiscono”all’interno delle tematiche specifiche.Per ragioni di spazio ci limitiamoal principio di gratuità che viene introdottoproprio all’inizio del capitoloIII dell’enciclica che si occupa dell’attivitàeconomica, lasciando ai lettori lacuriosità di approfondire gli altri temispecifici negli altri capitoli.Economia, attività fraternadella famiglia umana«Lo sviluppo economico, sociale epolitico ha bisogno, se vuole essere autenticamenteumano, di fare spazio alprincipio di gratuità come espressionedi fraternità» (CiV 34).Questo è proprio il punto di ingressodell’enciclica nel grande temadell’economia e dello sviluppo economico,decisivo per lo sviluppo umanointegrale, e reso ancor più rilevantedalla dinamica della globalizzazione.


Tale puntodi ingressoè coerente conl’impostazioneche abbiamoindividuato, cioèla considerazionefondamentale circala coscienza umana ela dimensione antropologica.La considerazione fondamentale èquesta: se è vero che «l’essere umanoè fatto per il dono» (CiV 34), e chequesta è la sua esperienza originariae la pienezza del suo essere, rischiadi essere disumano tutto ciò che loesclude a priori. Dunque anche nell’ambitoeconomico non può non averspazio questa dimensione. Potremmodire che sarebbe cinico che gli uoministabilissero a priori che in certi ambitil’esperienza più profonda di se stessinon potesse esprimersi.Di fatto, uno dei campi dove si èpiù pervicacemente teorizzato che nonpossano valere carità e dono, è statoquello dell’economia e del mercato.Escludendo carità e dono non si ècostruito un terreno eticamente neutrale,ma si sono introdotti altri parametriculturali ed etici. Questo, BenedettoXVI lo afferma chiaramente, quandosostiene che «il mercato non esiste allostato puro. Esso trae forma dalle configurazioniculturali che lo specificanoe lo orientano» (CiV 36). Il mercato«non è, e non deve perciò diventare illuogo della sopraffazione del forte suldebole. La società non deve proteggersidal mercato, come se lo sviluppo diquest’ultimo comportasse ipso facto lamorte dei rapporti umani» (CiV 36). Seil mercato si presenta così è perché unacerta ideologia lo orienta così.Su questo presupposto si è costruitala cosiddetta teoria dei “due tempi”:«una delle illusioni più gravi che lamoderna ideologia economica abbianutrito negli ultimi tempi. Tale praticaparte dall’assunto che il mercato hauna sua logica intrinseca di funzionamento,basata sull’individualismoutilitarista: ciascuno nel mercato devepensare per sé e cercare di raggiungereil massimo dei profitti o dellerendite o dei salari;se, dopo, nelsuo tempo liberodall’attività dimercato, vorràdisporre del suoreddito in manierasolidaristica, sarà liberodi farlo. (…) Si èanche accreditata una certaconcezione del mercato come un meccanismoimmutabile e predeterminato(le “leggi ferree” del mercato), che puòsolo essere controbilanciato dall’attivitàretributiva dello stato, al qualeviene affidato un ruolo “riparatore”dei guasti. La Caritas in veritate attaccaquesta pratica dei due tempi, chesottende una profonda cesura dell’animoumano, inevitabilmente crudele edegoista quando agisce sul mercato, mamagari è pietoso e caritatevole quandoagisce fuori dal mercato, una cesurafonte di gravi disagi psichici» 4 .«La dottrina sociale della Chiesaritiene», invece, «che possano esserevissuti rapporti autenticamente umani,di amicizia e di socialità, di solidarietà edi reciprocità, anche all’interno dell’attivitàeconomica e non soltanto fuori diessa o “dopo” di essa» (CiV 36).L’enciclica arriva a criticare questaimpostazione anche per via induttiva,mostrando le conseguenze negative ditale impostazione del mercato e dell’economia:le insostenibili diseguaglianze;la penalizzazione del lavoroe dei lavoratori; l’erosione del “capitalesociale” e delle motivazioni dellepersone che collaborano all’impresa;la compromissione della coesione sociale;fino alla messa a rischio dellademocrazia. E constata, a metà tral’osservazione dei fatti e la riflessionerazionale, che «i costi umani sono sempreanche costi economici e le disfunzionieconomiche comportano sempreanche costi umani» (CiV 32).Certo, l’enciclica richiama in modochiaro anche il ruolo della politica, chedeve dare le regole all’economia, edeve occuparsi della redistribuzione;ma nell’enciclica si cerca anche di superarela concezione dualistica tra statoe mercato.I tre pilastriL’enciclica, riprendendo la CentesimusAnnus, introduce tra i due anchela società civile, constatando che inessa più spesso trova posto propriola dimensione della fraternità e dellagratuità: associazionismo, cooperativismo,economia no-profit, economiadi comunione. E con forza BenedettoXVI sostiene che la società degli uominideve reggersi su tutti e tre i pilastri:mercato, stato, società.Ma Benedetto XVI non si fermaqui, e questo mi pare il punto più interessante,perché è coerente con l’unitarietàdell’orizzonte della coscienzaumana su cui tanto abbiamo insistito.Schematicamente noi potremmorappresentare la suddetta tripartizionein questo modo: il mercato è il luogo dove vale il contratto,lo scambio di equivalenti (o diutilità marginali, come direbbero glieconomisti più avveduti); dove vale ilprofitto fine a se stesso e dunque doveè legittima la massimizzazione del profitto;dove vale la giustizia commutativa(quando va bene); in altre parole, il“dare per avere” (cfr. CiV 39); lo stato sarebbe l’ambito dove valela legge, la regolamentazione, la redistribuzioneobbligatoria delle risorsee dei profitti; dove vale la giustiziadistributiva; in altre parole il “dare perdovere” (cfr. CiV 39); la società civile sarebbe l’ambitodove vale la fraternità, la reciprocità,la cooperazione volontaria, la nonmassimizzazione del profitto ma lasua condivisione; dove vale la caritàe il dono; in altre parole il “dare senzacontropartita” (CiV 37).Questa tripartizione è ovviamenteschematica, ma aiuta a comprenderela via per un’economia umana. Infattila dimensione economica è presente intutti e tre gli ambiti, e si manifesta nell’impresaprivata, nell’impresa pubblica,e impresa a fini mutualistici e sociali.Questa tripartizione porta l’enciclica arivendicare uno spazio maggiore perciò che emerge dalla società civile intermini di esperienze economiche. Sichiede infatti che sia riconosciuto ilottobre/dicembre 2010 5nella chiesa


nella chiesapluralismo dei modelli di impresa, affinchètutti abbiano reali possibilità diaffermarsi. Ma quello che è interessanteè che questo non è richiesto solo perrivendicare spazio ad un mondo “terzo”(detto infatti nel linguaggi comune“terzo settore”) il quale oggi sarebbetroppo penalizzato ed emarginato. Ilsenso profondo di questa indicazionedell’enciclica è un altro, ed è molto piùimportante: è la «civilizzazione dell’economia»che nasce dal «reciprococonfronto sul mercato da cui ci si puòattendere una sorta di ibridazione deicomportamenti» (CiV 38).6 ottobre/dicembre 2010Nella logica del donoe della gratuitàQui sta il punto: se è vero l’orizzonteantropologico censito da BenedettoXVI, esso può divenire l’orizzonte unitarioanche dell’esperienza economica,in ogni ambito. Oggi ciò che appareè che è proprio l’impresa privata, eil mercato capitalistico che sembranodiscostarsi dalla prospettiva antropologicacosì delineata, ponendo quella “cesuraprofonda”, e costruendo un mondoantitetico alla logica della fraternità,i cui segni sono descritti con cura intutta l’enciclica. Quella globalizzazioneche potrebbe adombrare l’unità della“famiglia umana”, per le distorsionidella logica economica (e anche politica),si rivela in molti casi portatriceinvece di un processo contrario.L’enciclica specifica che tutto ilprocesso economico (produzione, distribuzione,consumo) non può estraniarsidalla logica della fraternità, del donoe della gratuità; deve “ibridarsi”. Essadeve «trovare posto entro la normaleattività economica» (CiV 36). La DSCaveva sempre detto che «la giustiziariguarda tutte le fasi dell’attività economica,perché questa ha sempre a chefare con l’uomo e con le sue esigenze»(CiV 37); fasi che sono: reperimentodelle risorse, finanziamenti e investimenti(cfr. CiV 40 e 65), produzione,consumo. Qui le responsabilità sonomolteplici e in ogni fase è necessarioguardare con spirito di giustizia a tuttii soggetti coinvolti, non solo a chi detieneil capitale o agli investitori.L’enciclica dunque, coerentementeal modo con cui aveva delineato ilrapporto tra carità e giustizia, spingequesta esigenza di giustizia fino allafraternità e al dono. E mostra come ciòsia possibile: finalizzazione al bene comunedell’attività economica, profittonon solo fine a se stesso e non necessariamentemassimizzato a scapito dialtri fattori, finalizzazione sociale degliutili (e non solo redistribuzione forzosadello stato); responsabilità fraternaverso tutti i soggetti coinvolti. Sonotutte strade percorribili, coerenti congiustizia e dono.Benedetto XVI conferma tutto questoenumerando una serie di realtà chedi fatto già cercano di muoversi in questalogica “ibrida”, dove le tre logichetrovano una unitarietà, e dove alloranon si corre il rischio che lasciando almercato la logica dello scambio questascivoli pian piano verso l’utilitarismopuro: «imprese tradizionali, che peròsottoscrivono dei patti di aiuto ai Paesiarretrati; fondazioni che sono espressionedi singole imprese; da gruppi diimprese aventi scopi di utilità sociale;il variegato mondo dei soggetti dellacosiddetta economia civile e di comunione.Non si tratta solo di un “terzosettore”, ma di una nuova ampia realtàcomposita, che coinvolge il privato e ilpubblico e che non esclude il profitto,ma lo considera strumento per realizzarefinalità umane e sociali. Il fatto chequeste imprese distribuiscano o menogli utili oppure che assumano l’una ol’altra delle configurazioni previste dallenorme giuridiche diventa secondario rispettoalla loro disponibilità a concepire ilprofitto come uno strumento per raggiungerefinalità di umanizzazione del mercatoe della società» (CiV 46). L’auspicata“ibridazione” porta Benedetto XVI adire anche che appare quasi superata ladistinzione tra profit e no-profit.Una sfida culturaleDunque dalle dicotomie tipichedel nostro tempo, coerentemente conciò che è depositato nel profondo dellacoscienza umana, come via di soluzioneanche alle disfunzioni e distorsionidell’economia, enfatizzate dalla globalizzazionee dalla tecnica, BenedettoXVI lancia la sfida dell’ “ibridazione”.Un progetto e una sfida “culturale”per gli stessi economisti, ispirati da un“nuovo umanesimo”.«La grande sfida che abbiamo davantia noi, fatta emergere dalle problematichedello sviluppo in questotempo di globalizzazione e resa ancorpiù esigente dalla crisi economico-finanziaria,è di mostrare, a livello siadi pensiero sia di comportamenti, chenon solo i tradizionali principi dell’eticasociale, quali la trasparenza, l’onestàe la responsabilità non possono veniretrascurati o attenuati, ma anche che neirapporti mercantili il principio di gratuitàe la logica del dono come espressionedella fraternità possono e devonotrovare posto entro la normale attivitàeconomica. Ciò è un’esigenza dell’uomonel momento attuale, ma anche un’esigenzadella stessa ragione economica. Sitratta di una esigenza ad un tempo dellacarità e della verità» (CiV 36).Con l’approfondimento sul temadell’economia, abbiamo un saggiosu come questa grande meditazionesull’uomo e su Dio possa veramenteilluminare e “rivoluzionare” anche iparadigmi su cui si sono costruite tantifenomeni sociali che noi - condizionatidalle ideologie dominanti - diamo perimmutabili. Allo stesso modo l’enciclicaaffronta i temi dei diritti umanie dell’ambiente (capitolo IV), dellaglobalizzazione (capitolo V) e dellatecnica (capitolo VI).Ciascuno, attraverso le chiavi di letturache abbiamo cercato di offrire inqueste pagine, può affrontarli direttamente.(fine)1Direttore dell’ufficio della pastorale socialee del lavoro e del Centro di ricerca eformazione “G. Toniolo” – Padova.2Caritas in veritate. Linee guida per lalettura a cura di Giorgio Campanini, EDB,Bologna 2009, p. 25.3Cfr. In caritate Christi, 2/2010, p. 5.4VERA ZAMAGNI, Come rendere lo sviluppodavvero sostenibile?, in AA.VV., Caritàglobale, Libreria Ed. Vaticana, 2009, p. 58ss.


parola chiaveumiltà - letiziaGODERE DELL'AMORE DEGLI ALTRINel segretodella compiacenza di DioRivestirsi di umiltàparola chiavedi Elia Citteriofratelli contemplativi di Gesù 1Dio esprime la sua compiacenzaper gli umili e i poveri.L'umile non ha bisognodi affermare se stesso, nonsi preoccupa della propriagrandezza, ma promuove lagrandezza di tutti.La parabola degli invitatia nozzeCon la parabola degli invitati anozze (cfr. Lc 14,7-11), Gesù illustrala condizione dell’uomo davanti a Dio:l’uomo è invitato alla tavola del suoSignore! Scegliere l’ultimo posto non èquestione di furbizia, ma dipende dallacoscienza della dignità dell’invito.Più l’uomo ha il senso della grandezzadel mistero del regno dei cieli e piùsi sente piccolo; più si sente piccolo epiù è esaltato colui che l’invita. Più sifa grande e più vuol dire che si ponenel confronto con gli altri invitati, cioènon gli importa nulla di colui che l’hainvitato. Si serve dell’invito per farsibello davanti agli altri convitati.In effetti chi si umilia ha un sensovivo della dignità a cui è chiamatoe si sente tanto indegno dell’onoretributatogli che non c’è più posto nelsuo cuore per pensieri di confronto oinvidia verso chiunque. È la dinamicatipica dell’amore: non ha bisogno diaffermare se stesso chi ha raggiunto loscopo vero dell’affermazione vera disé, che è quello di godere intimità conl’amato. L’umiltà ottiene quello che lagrandezza sogna soltanto.Come si esprime il Siracide, secondoalcuni manoscritti greci e il testoebraico: «Molti sono alteri e gloriosi,ma i suoi segreti li rivela agli umili,poiché grande è la misericordia di Dio,agli umili svela il suo segreto» (Sir3,19-20). È il segreto della compiacenzadi Dio per i poveri e i peccatori chesiamo, svelata da Gesù nel suo amoredi misericordia per gli uomini.Se l’uomo rivendica per sé o esibiscedavanti agli altri titoli particolaridi dignità, non ha ancora conosciutol’intimità dell’amore di Dio e perciònon sarà capace di rinunciare alle suemeschine grandezze. In positivo, laconseguenza strana, ma salutarmenteevangelica, di tale atteggiamento è chemeno ci si preoccupa della propriagrandezza, più ci sta a cuore la grandezzadi tutti. Tale è la natura dell’umiltàevangelica.Nel libro dei Proverbi si legge questaespressione: «non darti arie davantial re» (Pro 25,6). Si può comprendere:in ogni incontro con un fratello, sehai coscienza di colui che ti invita allatavola dell’amore, come puoi preferirete a lui e offrirti di occupare il primoposto? Ti daresti arie davanti al re cheha invitato te come lui.Gesù sigilla la parabola degli invitatia nozze con l’espressione: «chiunquesi esalta sarà umiliato, e chi siumilia sarà esaltato» (Lc 14, 11), richiamandoil giudizio che verrà pronunciatoalla fine dei tempi, ma lacui veridicità appare evidente fin daadesso. Due possono essere i punti divista nella cui ottica la frase acquistaparticolare significato:1) Dal punto di vista del principioche riceveremo in base alle nostreazioni. Allora vuol dire: chi si esalta [=avrà umiliato gli altri] riceverà umiliazione;chi si umilia [= avrà onorato glialtri] riceverà onore. Oppure ancora:chi si esalta [= sarà stato così pienodi sé da essere vuoto degli altri] saràlasciato solo; chi si umilia [= sarà statocosì vuoto di sé da essere pieno deglialtri] godrà dell’amore di tutti.2) Dal punto di vista della dinamicaspirituale. Nella prima parte della frasei verbi esprimono un’azione di segnonegativo: esaltarsi=gonfiarsi, essereumiliato=condannato. Nella secondaparte invece i verbi esprimono un’azionedi senso positivo: umiliarsi=attirarela grazia (come dice Is 66,2: «Su chivolgerò lo sguardo? Sull’umile e suchi ha lo spirito contrito»), essereesaltato=glorificato, come Gesù sullacroce e nella sua resurrezione.Conversione del cuore e gioiaÈ caratteristico che la prima paroladella liturgia quaresimale, tempoconsacrato alla penitenza, suoni: «Tuami tutte le tue creature, Signore, enulla disprezzi di ciò che hai creato;tu dimentichi i peccati di quanti siconvertono e li perdoni, perché tu seiil Signore nostro Dio» (antifona d’ingressodel mercoledì delle ceneri). Suquesta professione di fede e di amore siinnesta l’invito alla penitenza coniugatain elemosina, preghiera e digiuno. Ladinamica spirituale in gioco è sottolineatadall’accorgersi e dal relazionarsial prossimo (l’elemosina, oltre che unasorta di restituzione, è un atto fraterno,una condivisione, un riconoscimentodel prossimo come nostro fratello) edalla capacità di relazionarsi a Dio (lapreghiera è abolizione del “teatro”, cioèottobre/dicembre 2010 7


parola chiavedel fare le cose per essere visti sia daglialtri che da se stessi; il digiuno servecome sostegno alla preghiera, all’agireinteriore pulito e retto, contrassegnatodalla gioia del cuore che va incontro alproprio Dio e di conseguenza è liberodi incontrare i suoi fratelli).L’elemento che però suggeriscemeglio la corrispondenza dell’azioneesteriore con la conversione interioredel cuore è la gioia, che io interpretereicome quel senso di levità, di leggerezza,di non seriosità con cui si compionole buone opere lontani da quel dannatosenso di importanza che ci diamo oda quell’ottuso bisogno di affermazionepresso gli altri che ci divora. Èsignificativo che la chiesa, all’inizio delcammino quaresimale, ricordi proprioquesta condizione di levità con cuioccorre compiere tutte le opere di penitenza.È il modo più autentico per farrimarcare come le opere di penitenzanon riguardino che la conversione delcuore e la conversione del cuore nonconsista in altro che in una capacità difare incontro con Dio, con il prossimo,con noi stessi. La ricompensa promessanon ha nulla a che fare con la pagadovuta al lavoro fatto; riguarda solola rivelazione e la pienezza che gustail cuore quando viene incontrato daQualcuno di cui porta il desiderio,quando si apre alla vita di una relazioneche trasforma totalmente il suo mododi vedere e di sentire.Umiltà via al regnoCon l’umiltà, che fa in modo chenessuno debba mai chinare la testadavanti a noi, ritroviamo la nostradignità la quale si risolve nel daredignità a tutti. Si ricostituiscono glispazi per vivere rapporti di comunionecon i fratelli. È l’umiltà ben definitada Marco Asceta: «Pensare umilmentenon consiste nel condannare la propriacoscienza, ma nel discernere la graziadi Dio ed i sentimenti correlati» 2 . Èl’umiltà che fa dire a Isacco Siro: «Sepratichi una bella virtù e non sentiil gusto del suo soccorso, non meravigliarti.Finché l’uomo non diventaumile, non prende la paga della sua8 ottobre/dicembre 2010opera. La ricompensa non è data all’opera,ma all’umiltà. Chi fa torti allaseconda, perde la prima» 3 .Di questa umiltà parla Pietro nellasua lettera svelandone il segreto digrazia: «Rivestitevi tutti di umiltà gliuni verso gli altri, perché Dio resisteai superbi, ma dà grazia agli umili.Umiliatevi dunque sotto la potentemano di Dio, perché vi esalti al tempoopportuno, gettando in lui ogni vostrapreoccupazione, perché egli ha cura divoi» (1Pt 5, 5-7).Se osserviamo il modo di agire diGesù nei vangeli, con quel suo fare decisoe sovranamente libero, è proprioall’umiltà, compresa nel suo mistero,che va riferito quel tratto che lo caratterizzacome persona e che egli esigedai suoi apostoli. La sua decisione nonva letta tanto nel segno della radicalitàdella sequela di Dio contro i sentimentinaturali dell’uomo, quanto nelcontenuto di questa radicalità: essereabitati da mitezza ed umiltà di modoche la misericordia di salvezza del Signoresi compia senza esserne deviatio distolti da nessuna cosa o persona,da nessun evento lieto o triste, da nessunaafflizione per quanto pesante. Ilriferimento al regno è assoluto; la viaper il regno è unica, la stessa che hapercorso Gesù, quella che s. Chiaradi Assisi commenta con rara finezza:«Disse egli, infatti: “Le volpi hanno leloro tane, gli uccelli del cielo i nidi, mail Figlio dell’uomo, cioè Cristo, nonha dove posare il capo” (Mt 8,20); equando lo reclinò sul suo petto, fu perrendere l’ultimo respiro (Gv 19,30)» 4 .Come a dire: quando ha lasciatoriposare il suo capo, lo fece per sempree rese il suo spirito, cioè rese il suospirito a noi perché di lui e come lui potessimovivere, senza voler avere altroposto ove riposare. Si tratta di quellostesso spirito che s. Paolo, scrivendoai Galati, chiama spirito di libertà econtro il quale nulla possono i desideridella carne che pur ci fanno guerra. È lalibertà di vivere in mitezza ed umiltà,segno della presenza dello Spirito delSignore che introduce al suo regno. Èil compimento dell’invocazione che recitiamonel Padre Nostro: venga il tuoregno, venga il tuo Spirito 5 e ci purifichifacendoci vivere in mitezza ed umiltàper realizzare fino in fondo la rivelazionedell’amore di Dio agli uomini, unicoscopo di ogni annuncio apostolico.La gioia del regnoLa gioia del regno è coinvolgente eradicale, arriva alle radici del cuore ene alimenta la vita. Capace di far dire:l’afflizione del tuo cuore è affare trate e Dio, mentre i tuoi fratelli hannodiritto alla tua gioia 6 ; non tenere ituoi beni come costituissero la tuagioia, perché quando te li toccassero,sparirebbe la tua gioia; non rivendicarediritti perché quando non te liriconoscessero resteresti schiacciato.Perché noi ci lamentiamo tanto nellavita? La lamentela è il sintomo dellaprecarietà della libertà conquistata, lospazio di morte nel quale indugiamo,un impedire al nostro cuore di viverenell’amore esattamente là dove si trova,né più in qua né più in là, né più suné più giù!La perdita di senso e di interioritànella società odierna lascia gli individuitroppo distanti tra loro e nell’impossibilitàdi superare la distanza.Troppo preoccupati dei propri diritti,non ci si accorge dello scadimento dilivello nel difenderli perché, invece dilottare in nome dell’essere, finiamo perlottare solo per l’avere, nell’illusioneche il possesso ci porti all’essere. Seper il possesso, agire con la forza dellarivendicazione porta a qualche risultato,al livello dell’essere, rivendicare,esigere e difendere porta al fallimento.In effetti, insieme all’affermazione dise stessi sta l’incapacità del dono di sé,l’incapacità di un rapporto in gratuitàe gratitudine, vera porta d’ingresso al


mistero della comunione e della riscopertadelle radici del proprio cuore.Ci potremmo domandare: in cosaconsiste il regno di Dio? La rispostadi Gregorio di Nissa è assolutamentechiara: «Altrove è detto: “Mi hai datola gioia nel mio cuore” (Sal 4,8). Eil Signore dice: “Il regno dei cieli sitrova dentro di voi” (Lc 17,21). Qualè il regno dei cieli che secondo lui sitrova dentro di noi? Di cos’altro sipuò trattare, se non della gioia che siriversa dall’alto nelle anime tramitelo Spirito? Essa è come l’immagine, lagaranzia e la prova della gioia eternadi cui godranno le anime dei santi nelsecolo che attendono» 7 .La gioia è in rapporto con il misterodella rivelazione del segreto di Dio: lacomunione con gli uomini. Come lasua gioia è quella di stare con i figli degliuomini, così la gioia per gli uominiè stare con Dio. Ma non si può starecon Dio, che è Creatore e Padre, se noninsieme a tutti i fratelli.La gioia dello Spirito corrisponde,come frutto, alla sua opera, che è lariconciliazione,il poter vivere«un cuor solo eun’anima sola».Forse è per questoche troviamocosì difficile farsì che la gioialambisca in profonditàil nostrosentire. Vorremmoessere pienidi gioia, ma non nello Spirito Santo;vorremmo essere pieni di gioia, masenza partecipare al segreto di Dio.Non per nulla la Scrittura abbina gioiae Spirito Santo: «mentre i discepolierano pieni di gioia e di Spirito Santo»(At 13,52).L’opera dello Spirito Santo è l’edificazionedi un’umanità che vive «uncuor solo e un’anima sola» ed in questoconsiste la gioia. Queste due cose insiemesono la vita eterna, la partecipazioneal mistero stesso della vita di Dio ein Dio, che non dipende minimamenteda quello che fa il mondo o da quelloche ci fa il mondo.Ci potrebbe venire tutto quantocontro, ma nulla potrebbe contro questedue cose. Per questo è da qui cheproviene la speranza per il mondo.Per quanto ci possiamo riconoscerein mille opere buone, non è a partireda queste che troveremo sicurezza.La grazia è data all’umiltà e non allafatica, perché il riposo adatto per ilnostro cuore è soltanto l’intimità dicondivisione con Qualcuno di sentimentiprofondi e non la fiducia in unapropria grandezza, pur nobile.Riporto ancora un passo di IsaccoSiro estremamente chiaro per riconoscerela dinamica dello Spirito: «Nonc’è nessuno che abbia discernimentose non è anche umile, né uno che siaumile se non ha discernimento. Nonc’è nessuno che sia umile se non è anchepacifico, né uno che sia pacifico senon è umile. Non c’è nessuno che siapacifico se non è anche gioioso» 8 .Una bella espressione di padre TimothyRadcliffe, pensata in rapportoal teologo, ma applicabile anche aldiscepolo, al credente, dice che chiascolta la Parolaè chiamato aessere il testimonedella gioia diDio, che ha fattoconoscere la profonditàdel suoamore per l’uomo9 . Ogni lottacontro le nostreresistenze e lenostre ribellionidavanti alla Parola come davanti allasua osservanza, in noi stessi come intutti, è per far scaturire la benedizioneche racchiude, la benedizione dellagioia.Quando ci si oppone al mondo innome del vangelo non è per cambiarlocon il nostro volere [...], ma per aprirloallo splendore di Dio, solidali conl’umanità e con il creato. Quella gioiaè la potenza di cui preghiamo di esserepervasi, dopo la comunione eucaristica:«La potenza di questo sacramento, oPadre, ci pervada corpo e anima, perchénon prevalga in noi il nostro sentimento,ma l’azione del tuo santo Spirito».umiltà - letiziaQuando l’opera che si compie sitraduce in vero atto sacro, il suo fruttosta nella gioia che si sprigiona nell’anima,potenza dello Spirito Santo,del regno di Dio che si rende cosìsfiorabile.In effetti così è delineata la comunitàcristiana nei racconti evangelici dellarisurrezione di Gesù: una comunitàunita attorno al suo Signore, testimonedel suo amore, pervasa dalla gioia delloSpirito Santo, in missione apostolicanel mondo fino alla fine dei tempi. 1Sacerdote dal 1972, vive nella Comunitàdei Fratelli Contemplativi di Gesù di Capriatad’Orba (AL), diocesi di Alessandria.2Cfr. MARC LEMOIN, Traités, I, parGeorges-Matthieu de Durand, Paris 1999, cerf(SC 445), La justification par les œuvres, n. 103.Nella versione italiana del primo volume dellaFilocalia, ed. Gribaudi, corrisponde al n. 111 esuona: «L’umiltà non è condanna da parte dellacoscienza, ma riconoscimento della grazia diDio e della sua compassione» (MARCO L’ASCE-TA, A proposito di quelli che credono di esseregiustificati per le opere, p. 198).3A proposito di coloro che vivono presso Dio,Discorso 37 in ELIA CITTERIO, La vita spirituale,i suoi segreti, EDB, Bologna 2005, p. 210.4Lettera prima di s. Chiara alla beataAgnese di Praga, FF 2864.5L’espressione è riportata da Gregorio diNissa nel suo commento al Padre nostro: «Lostesso pensiero ci è spiegato forse più chiaramenteda Luca il quale, auspicando che vengail Regno, invoca l’alleanza dello Spirito Santo.Invece di “Venga il tuo regno”, dice infatti inun passo del suo Vangelo: “Venga il tuo spiritosu di noi e ci purifichi”». Si veda S. GREGORIODI NISSA, La preghiera del Signore, Roma 1983,Paoline (Letture cristiane delle origini, 12/testi),Omelia III, p.79.6«E badino di non mostrarsi esteriormentetristi e rannuvolati come gli ipocriti, ma simostrino gioiosi nel Signore e ilari e convenientementeaffabili», Dalla Regola non bollata, VII,16 in S. FRANCESCO DI ASSISI, Scritti, Edizionifrancescane, Padova 2002, p. 267. Cfr. FF 27.7GREGORIO DI NISSA, Fine professione eperfezione del cristiano, Traduzione, introduzionee note a cura di Salvatore Lilla, Roma1979, Città nuova (Testi patristici, 15): Il finecristiano, p. 55.8ISACCO DI NINIVE, Un’umile speranza.Antologia. Scelta e traduzione dal siriaco a curadi Sabino Chialà, Bose 1999, Qiqajon, p. 180.9Si veda la sua bellissima lettera ai domenicani:La perenne sorgente della speranza.Lo studio e l’annuncio della buona novella,Roma 1995, Curia generalizia dell’Ordine deiPredicatori.ottobre/dicembre 2010 9parola chiave


finestra apertaFREQUENTATORI DI CONFINIANCORA UN «ESODO»INSIEME A SORELLE E A FRATELLIdi Luca Moscatellibiblista della diocesidi MilanoUn ultimo trattodi camminosull’itineranza cristianaalla luce della fede.«Uscire» comestruttura della fedeL’essere umano è gettatofuori e insieme ha bisognodi uscire. E non puòfarlo da solo. Deve essereanticipato, provocato, costretto,esortato da qualcunoo da qualcosa. L’immaginedella nascita – uscitada un ventre materno tantocomodo quanto, a un certopunto, stretto – lo segna finnella sua più intima essenzae lo accompagna in un camminocaratterizzato dallanecessità di frequenti iniziin quanto molte sono e dolorosele fini che lo segnano.Nati una volta, rinati piùvolte, un giorno usciremoda questa vita per rinascereun’ultima volta. L’uomoè fatto per trascendersi,per questo ha la necessitàdi uscire. Però ha paura diperdersi, perché una rinascitasuppone sempre unamorte. Uscire apre un orizzonteulteriore ma imponesempre anche un abbandono,pone una cesura tra undentro e un fuori, un noto eun ignoto, una familiarità euna estraneità. Perciò questadimensione dell’uomoè il suo grande problemae, insieme, la sua più preziosapossibilità. Tuttaviaper uscire è assolutamentenecessario che qualcuno,o qualcosa, ci indichi unastrada e alluda a una meta.È quello che ha fatto Dio.Uscire è strutturale allafede perché è strutturalealla vita. Fede è infatti ilmodo di vivere l’aperturaumana in modo che corrispondaalla manifestazionedi Dio. Fede è entrare inrelazione (alleanza) con coluiche ci ha dato la vita eche vuole darcene ancora dipiù. Per entrare nell’alleanza,però, dobbiamo primauscire da tutto quello checi tiene lontani dal Signore.Per questo fin dal primo incontroDio fa uscire, avviaun cammino, libera. È perquesto che nella Legge diIsraele l’evento dell’«esodo»,cioè l’uscita dalla schiavitùdell’Egitto, occupa quattrolibri su cinque. Si trattadell’evento fondatore dellafede ebraica, che ha valorenon solo perché è accaduto,ma più profondamente perchéesso rivela la strutturadi ogni incontro con Dio,come anche di ogni incontroautentico e liberante conun altro essere umano.L’ esodo di Dioverso l’uomoMa non è possibile usciredalla nostra lontananzaUna veglia di invio dei missionari: chiamati ad uscire e annunciare.da Dio per entrare nell’alleanzase lui non prendel’iniziativa di venirci incontro.Per questo il nostrouscire è possibile solo seDio stesso per primo esceper incontrare ciò che è altroda sé. La Scrittura narramolte uscite di Dio: quandocrea, quando cerca Abramo,quando si manifesta aMosè...; fino alle ultime, lepiù grandi, quando invia ilFiglio e poi lo Spirito santo(cfr. Gv 8, 42).Tutte le volte questeuscite di Dio hanno resopossibile un incontro e un«esodo», e insieme hannotracciato una strada permanente- è il Dio fedele - seguendola quale possiamosperimentare in ogni tempoe in tutti i luoghi la comunionecon lui.Gesù è uscito dal Padreed è tornato a lui. Ma dopola sua itineranza nel mondonon è tornato tutto comeprima. Come non torniamomai semplicemente alpunto di partenza quando,dopo essere usciti per stradarientriamo a casa, a maggiorragione il passaggio di Gesùha lasciato dietro di sé deicambiamenti radicali e indistruttibili.La comunionecon Dio e la vita piena sarannodisponibili ormai persempre, per tutti e ovunque,solo che si accetti dipagare il prezzo (e per Gesùè stato ”caro”: la croce) che«uscire» comporta.Anche le partenze missionarie,allora, hanno ungrande valore per tutta lachiesa se ci ricordano e inqualche modo riattivanoquesta struttura. Si parteper incontrare, e l’incontrochiede sempre un’uscitada sé. Si parte per ritornare,anche: prima o poi sarànecessario uscire anche dalluogo dove per un tempo siè vissuta la propria missione.Se il missionario non sapiù “uscire” e “tornare”, ildinamismo della missionesi inceppa e il segno che egli10 ottobre/dicembre 2010


appresenta si oscura. Pertutti è una grande perdita.Itineranza e confiniL’itineranza è l’altra facciadell’uscita. Si esce per andare,appunto. E l’itineranzasegna come carattere generalei momenti fondativi della rivelazioneebraico-cristiana.Già l’epoca dei patriarchinarra di pastori nomadi.E, fatto sorprendente, talipastori rimasero nomadianche quando fu loro assegnatauna meta, la terra diPalestina, raggiunta la qualecontinuarono a risiedervicome forestieri spostandosicontinuamente.L’uscita dall’Egitto,poi, rappresenta un ritornoall’itineranza antica.È la forma della sequelache abbiamo già illustratoa proposito di Gesù e deisuoi, con le medesime caratteristichedi affidamentoalla guida di Dio e alla suaprovvidenza. Ma anche conla necessità che implica dichiedere e offrire ospitalità.Tale itineranza “nel frattempo”di questa vita nonha mai fine, fino al giornoatteso del compimento.Anche sul piano storico,dopo la sedentarizzazionein Palestina, Israele conobbel’esilio e la diaspora, cosìcome la chiesa fu spintadalla missione a uscire incessantementeda sé.E come i cristiani “sedentari”si formano comunqueal discepolato leggendonel Nuovo Testamento levicende di itineranti, anchegli ebrei ricevono dallaTorah la testimonianza dipadri che vissero nell’itineranza:la condizione di itineranzafu e resta strutturalealla loro identità di “attraversatori”1 e alla nostranuova vita di “missionari”.Del resto, è noto come ilNuovo Testamento abbiavisto proprio nella figura diAbramo l’immagine tipicadel credente, che appuntoesce dalla sua terra e va doveDio gli indica.Gli itineranti, però,inciampano nelle frontiereche i sedentari fissanoovunque. È la loro croce.Essi infatti vengono espostidalla loro itineranza, sonosenza protezione (come gliorfani e le vedove...).Il loro passare è destinato,come abbiamo visto 2 ,a creare tensioni e conflittiin quanto scompagina lafragile pace, gli improbabiliequilibri, che gli uominicercano stabilendo confini.Qualche volta questo accadeperché essi mancano didiscrezione e non chiedonoospitalità. Ma spesso la tensionesi accende semplicementeperché nell’orizzontecircoscritto di “casa nostra”appare uno straniero. El’opposizione è oltretuttofacilmente unanime.Per questa loro funzionedi prevenzione, protezionee regolazione della violenzai confini hanno una grandeutilità. Tuttavia essi sonosoggetti a derive e appesantimentiche rischiano continuamentedi pervertire illoro scopo: invece di essereutili strumenti per gestiredialettiche e conflitti, e cosìmantenere in ogni caso unarelazione con l’altro, diventanomotivo di esclusione edi scontri devastanti che miranoal puro annullamentodell’alterità. Da questa perversionesempre possibileci potrebbe salvaguardareproprio l’itineranza di alcunie il loro attraversamentodei nostri territori, a pattoche si sia capaci di affrontarela fatica dell’apertura.Dalla chiusuraal dialogo«Mentre stavano compiendosii giorni in cui sarebbestato tolto dal mondo,si diresse decisamenteverso Gerusalemme e mandòavanti dei messaggeri.Questi si incamminaronoed entrarono in un villaggiodi Samaritani per fare ipreparativi per lui. Ma essinon vollero riceverlo, perchéera diretto verso Gerusalemme.Quando viderociò, i discepoli Giacomo eGiovanni dissero: “Signore,vuoi che diciamo chescenda un fuoco dal cieloe li consumi?”. Ma Gesùsi voltò e li rimproverò. Esi avviarono verso un altrovillaggio» (Lc 9, 51-56).Una differenza etnica,sulla quale se ne innestauna religiosa, fa scattarel’esclusione. Ma Gesù impedisceai suoi di assumerela medesima logica, che èpoi quella della violenza.Quando il conflitto si presentacon queste caratteristicheva semplicementeevitato. E Gesù accetta diuscirne apparentementesconfitto.Se invece è possibile,esso va gestito in modo chesi possa passare dalla chiusuraviolenta in difesa all’aperturae al dialogo: «Gesùgiunse pertanto ad unacittà della Samaria chiamataSicàr, vicina al terrenoche Giacobbe aveva datoa Giuseppe suo figlio: quic’era il pozzo di Giacobbe.Gesù dunque, stancodel viaggio, sedeva pressoil pozzo. Era verso mezzogiorno.Arrivò intanto unadonna di Samaria ad attingereacqua. Le disse Gesù:“Dammi da bere”. I suoidiscepoli infatti erano andatiin città a far provvistadi cibi. Ma la Samaritanagli disse: “Come mai tu,che sei giudeo, chiedi dabere a me, che sono unadonna samaritana?”. I giudeiinfatti non mantengonobuone relazioni con i samaritani.Gesù le rispose:“Se tu conoscessi il dono diL’incontro di Gesù con la samaritana, icona Atelier S. Andrea.finestra apertaottobre/dicembre 2010 11


finestra apertaDio e chi è colui che ti dice:“Dammi da bere!”, tu stessagliene avresti chiesto edegli ti avrebbe dato acquaviva”». (Gv 4, 5-10).Naturalmente ci sonomolti e a volte pesanticonfini tra religioni diverse.Ma anche nella medesimareligione si constata la faticadi accettare chi attraversa,chi è un po’ strano, diverso,ecc. C’è infatti ancheun’itineranza “interna”, edovremmo viverla comeuna benedizione sebbenesia faticosa e sempre un po’anche destabilizzante.Profeti, missionari, frequentatoridi difficili frontierece ne sono anche tradi noi. Invece di “ucciderli”dovremmo imparare adaprirci e a lasciarci provocaredalle loro esistenze.Non ci ricordano forse ilMaestro di Nazaret?12 ottobre/dicembre 2010Cogliere il «momentoopportuno» edessere «benedizione»Gesù chiama: la sua parola anticipa e rende possibile l’“esodo”senza condizioni.L’itinerante che ha daportare una buona notizia,mentre viaggia si guarda attentamenteintorno.Così fa Paolo ad Atene.Cerca elementi, spunti,agganci per entrare in relazione.Più precisamenteosserva e si sforza di coglierel’ispirazione e l’anelitofondamentali di un popolo,di una cultura, di una città.Anche quando fremedi sdegno al vedere cosesbagliate, questo gli accadesemplicemente perché amaquegli uomini. Infatti nonsi tratta soltanto di piazzareun prodotto, e dunquedi elaborare la strategia piùadatta a ottenere lo scopo. Èspinto piuttosto dall’urgenzadi annunciare l’amore diDio che vuole la vita. E deveconvincere il proprio interlocutoreche tale urgenzanon ha altra ragione chenon sia l’amore per lui (siveda l’esperienza dell’Apostoloall’areopago di Atene;cfr. At 17, 16-23).Naturalmente si imparaanche dagli ostacoli e dalledifficoltà. L’itinerantenon pianifica troppo. Nonpuò. Si lascia guidare anchedagli impedimenti, dai divieti,dalle svolte obbligate.Quello che importa è cheegli viva di volta in volta inun luogo amandolo profondamentee sentendosi nelbene e nel male sulla stessabarca degli altri. L’universalitàdel cristianesimo,resa possibile dallo Spiritosanto, è questa capacitàdi diventare particolare inogni luogo, in mezzo a ognipopolo, a contatto con ognicultura, in qualsiasi condizionedell’esistenza umana.Certo una solidarietà delgenere comporta dei rischi.Può succedere di trovarsicon quelli in mezzo ai qualisi vive in quel momento nelbel mezzo di una tempesta.Può succedere addiritturadi averli avvertiti su comeevitare il pericolo e di nonessere stati ascoltati.Anche in quel caso il discepolodi Gesù non toglieràa quella gente testarda, eppureamata, la sua solidarietà.Non abbandonerà lanave lasciando l’equipaggioal suo destino. Cercheràpiuttosto di essere per loroaiuto e occasione di benedizione:«Come giunse laquattordicesima notte daquando andavamo alla derivanell’Adriatico, versomezzanotte i marinai ebberol’impressione che unaqualche terra si avvicinava.Gettato lo scandaglio, trovaronoventi braccia; dopoun breve intervallo, scandagliandodi nuovo, trovaronoquindici braccia. Nel timoredi finire contro gli scogli,gettarono da poppa quattroancore, aspettando con ansiache spuntasse il giorno.Ma poiché i marinai cerca-vano di fuggire dalla nave egià stavano calando la scialuppain mare, col pretestodi gettare le ancore da prora,Paolo disse al centurione eai soldati: “Se costoro nonrimangono sulla nave, voinon potrete mettervi in salvo”.Allora i soldati reciserole gomene della scialuppa ela lasciarono cadere in mare.Finché non spuntò il giorno,Paolo esortava tutti aprendere cibo: “Oggi è ilquattordicesimo giorno chepassate digiuni nell’attesa,senza prender nulla. Perquesto vi esorto a prendercibo; è necessario per lavostra salvezza. Neancheun capello del vostro capoandrà perduto”. Ciò detto,prese il pane, rese grazie aDio davanti a tutti, lo spezzòe cominciò a mangiare.Tutti si sentirono rianimati,e anch’essi presero cibo.Eravamo complessivamentesulla nave duecentosettantaseipersone. Quando si furonorifocillati, alleggerironola nave, gettando il frumentoin mare» (At 27, 27-38).E se questo vale per“quelli di fuori”, a maggiorragione vale per i nostrifratelli nella fede. Sesiamo chiesa condividiamocon tutte le altre chiesegioie e dolori. E se qualchechiesa soffre non possiamosottrarci al dovere dellasolidarietà che ci chiamaad essere magari occasionedi benedizione anche perloro: ce lo insegna Paolonella sua seconda letteraai Corinti, al capitolo 8 (2Cor 8, 1-15). 1«Ebreo», in ebraico ‘ibri, haun’assonanza non casuale con laradice ‘br che significa attraversare,passare dall’altra parte.2Cfr. In caritate Christi, n.3/2010, p. 14.


finestra apertaVILLAFRANCA-ECUADORUN’AMICIZIA INTER-CONTINENTALE…IN GESÙfinestraa cura della RedazioneUn’esperienza di catechesiaperta al mondotra un paese del Venetoe un quartiere dellaperiferia di Quitoin Ecuador.La voce delle animatrici.Che bello ascoltare Samueleparlare di suazia, missionaria inEcuador: rendeva la missionemolto più vicina alnostro vissuto. È da qui checirca due anni fa nacquel’idea di iniziare una corrispondenzacon i bambinidell’Ecuador.Cominciarono le primelettere… e dai bambini nacqueanche l’idea di sostenerei bambini dell’InfanziaMissionaria: ogni settimanaraccoglievano i loro risparmiin una scatola posta nelnostro angolo della preghieraaccanto al vangeloe alla candela.A fine anno ci siamoscambiati una foto di gruppoe abbiamo creato unquaderno ad anelli, in cuisono raccolte tutte le letteree le foto. Così, all’approssimarsidella loro primacomunione, parlando dipane spezzato e guardandoa Gesù pane spezzato pernoi, abbiamo riconosciutoin questo piccolo gesto -rinunciare a qualche pacchettodi patatine, a qualchegelato, a parte dellapaghetta settimanale pergli amici dell’Ecuador - ilnostro modo per spezzarciper gli altri.L’iniziativa della scatolaè continuata ed è diventatauna piacevole abitudine:guardare la scatola era comeguardare i nostri amicilontani.Nell’estate 2009 Samueleandò in Ecuador pertrovare la zia e al suo ritornoci ha insegnato la preghieradel Gloria al Padre inspagnolo che ora recitiamoogni settimana. Un modosemplice per sentirci ancorapiù vicini e uniti nella preghiera!A Natale abbiamo inviatocon la lettera un regalo:un puzzle, realizzatoappositamente dai bambinicon le loro catechiste, in cuierano disegnati l’abbracciodi mani intrecciate che tengonounite le cartine dell’Ecuadore dell’Italia e lapreghiera del ‘Gloria al Padre’in spagnolo e in italiano.Il simbolo della nostraamicizia intercontinentale,un’amicizia in Gesù!Ora siamo nella fase ditrasformare la corrispondenzadi gruppo in corrispondenzaindividuale, ossiaogni bambino sta scrivendouna lettera ad unamico dell’Ecuadore viceversa.Speriamoche questaamicizia sifaccia sempre più profonda,come il sostegno e lapreghiera reciproca!Linda Loregiola,Villafranca PadovanaEra l’anno di preparazionealla prima comunionee, programmando franoi catechiste, cercavamonuove idee per dare significatoe concretezza al “farecomunione”.Il fatto di avere due suoreoriginarie della nostraparrocchia (una delle qualizia di uno dei bambini)che prestavano servizio inEcuador ci ha spinte in questadirezione. Abbiamo organizzatoun incontro conla responsabile del gruppomissionario della nostraparrocchia che con foto ediapositive ha presentato airagazzi l’Ecuador e ci haraccontato alcune sue esperienzein quel Paese, presentandopoi le attività dellenostre suore con i bambinied i ragazzi. Ci ha parlatosoprattutto di amicizia: «Seio rinuncio a qualcosa dimio, posso avere un amicoin più; se avere un amico èottobre/dicembre 2010 13


finestra apertasempre una ricchezza, avereun amico lontano lo è doppiamenteperché può condividerecon me esperienzee conoscenze diverse dallemie». Successivamente anchela zia di Samuele in unasua lettera ci presentava piùdettagliatamente la realtà incui operava e il suo lavorocon i bambini dell’InfanziaMissionaria 1 .È stata una logica conseguenzaallora per i ragazziportare a catechismo unsalvadanaio, in cui metterele monetine che rappresentavanola rinuncia a qualcosache per loro era un dipiù, ma che per altri potevadiventare la possibilità diavere cose utili ed importanti.Due ragazzi inoltre,appoggiati dalle famiglie,hanno deciso di condividerecon gli amici dell’Ecuadorle mance ricevute per laIl gruppo dei bambini dell'Infanzia Missionariadi Carapungo - Quito, con le animatrici.loro prima comunione.Alla fine dell’anno abbiamoscritto tutti insiemeuna lettera di gruppo e poii ragazzi hanno aggiuntouna lettera personale in cuisi presentavano, inviavanodei disegni e chiedevano dicorrispondere con un amicoecuadoregno.Nel frattempo il ritornodi una delle altre suoredel nostro paese - che è venutaa trovarci per parlarcidella sua esperienza e perrispondere alle numeroseGruppo dei bambini di Villafranca Padovana che stanno vivendol’esperienza di amicizia Italia-Ecuador, con le animatrici.domande dei ragazzi - hadato nuovo vigore all’iniziativae, quest’anno, siamoripartiti con maggior entusiasmo,ravvivato dall’arrivodelle risposte alle lorolettere.È stata un’emozionegrandissima per i ragazziaprire le lettere indirizzate aciascuno di loro e leggere leprime parole che, sebbenein spagnolo, non avevanobisogno di traduzione, maarrivavano direttamente alcuore Hola, amigo! (ciao,amico!). È stato bello scoprireamici che, pur abitandodall’altra parte del mondo,vivevano esperienzesimili alle loro e condividevanole stesse passioni. Allafine di quest’anno, abbiamoanche raccolto le nostreofferte assieme alle lettereper gli amici dell’Ecuadore… l’amicizia continua!Giovanna Miolo,Villafranca Padovananoi, giovani animatoridel gruppo Infancia AMisionera di Carapungo- Quito, sembra buono ilcontatto con altri bambinidi un altro paese, l’Italianella fattispecie, perchésuggerisce ai nostri bambiniche non sono gli uniciche fin da piccoli si preparanoad essere missionari eche nel mondo ce ne sonomolti altri, in tutti i Paesi.Questa piccola esperienzadi corrispondenzadiventa allora un ulterioreincentivo per far crescerein noi e nei bambini il desideriodi farci missionari delvangelo.Tutte le volte che arrivanolettere, foto, giochi,disegni dall’Italia li vediamoemozionati: si rendonoconto di avere amici cheabitano in un Paese moltolontano e si sentono da lororicordati e appoggiati. Nesegue la voglia di rispondere…di scrivere o mandarequalcosa.A noi piacerebbe continuarequesta iniziativa,sollecitati dallo slogan checi accompagna Dei bambinidel mondo sempre amici!Ci piacerebbe continuarla,anche per scambiarciidee fra animatori e frabambini, e coltivare i valoridell’amicizia, dell’aiuto reciproco,della solidarietà,dell’unione e dell’allegria,dell’amore verso il prossimoe della umiltà.Infine, grazie ai nostriamici italiani per il loro farsivicini in modo semplice eautentico.Gabriella e gli animatoridi Carapungo - Quito1Opera fondata nel 1843 damonsignor Janson De Forbin, vescovodi Nancy (Francia). Mira aeducare i fanciulli allo spirito missionario,interessandoli alle necessitàdei loro coetanei dei paesidi missione, mediante l’offerta dipreghiere e di aiuti materiali.finestra aperta14 ottobre/dicembre 2010


Speciale 150°1860-2010: 150 anni dalla morte di Elisabetta VendraminiParole, significati,celebrazioni per conoscere,lodare, ringraziareSOMMARIOElisabetta VendraminiRitratto a più colori Figlia prediletta nel Figlio Elisabetta e le figlie «Sfogherò il mio amore nel servire i bisognosi» Elisabetta Beata: un dono e una promessaLe celebrazioni dei 150 anni Padova, basilica del Carmineracconti e testimonianze dall’Argentina: Chiamate a vivificare il dono carismatico dall’Ecuador: Raccontare madre Elisabetta dall’Egitto: Tra memoria e rendimento di grazie dal Sudan: Quando l’amore trasforma la vita dal Kenya: Madre Elisabetta è viva in noi da Betlemme: Raccontare ed essere “fonte di pace”Elisabetta Vendramini,foto stabilimento fotografico A. Perini, Procuratie S. Marco,Venezia, 1854-56 ca. dall’Italia:da Bassano: Una eredità da custodireda Pordenone: Quel 27 aprile...da Padova: Una festa a più vociI150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Elisabetta Vendramini: ritratto a più colori Elisabetta Vendramini:ritratto a più coloriChiamata a farsi poveraUna lettura dal “di dentro” del cammino di Elisabettanel suo entrare in intimità con Gesù, facendosi come luipovera con i poveri e per i poveri.di Francapia Ceccotto stfeLa chiamata di Dio irrompe nellacoscienza di Elisabetta proprioalla vigilia delle nozze: «Non vediche la tua condotta a dannazioneti porta? Vuoi tu salvarti? Va’ aiCappuccini». Ricordando questomomento Elisabetta annota: «A talvoce, che a me fu un fulmine, rimasesì scossa la mia natura che tostomi fu chiesto cosa mi sentiva [...].Rinvenuta alquanto dissi: Se sietevoi che ciò volete, Signore, datemila forza per obbedirvi» 1 .La pronta disponibilità della personaconsente la “presa” consacrantedello Spirito il cui effetto è losfocarsi di ogni altro interesse: daquel momento infatti tutto le diventaestraneo: i discorsi, le mode, gliamori, il suo ragazzo di Ferrara, lasua famiglia...Seguono tre anni di attesa durantei quali Dio la prepara ad altrenozze. Lo sposo per il quale l’ha pensatada sempre è il Figlio prediletto,Gesù, servo sofferente che si donaper la salvezza del mondo.Lo fa iniziandola alla professionedi povera.La conversione che Dio le chiesefu veramente una conversione versoil basso, verso i poveri: un vieni checomportava un va’, un esodo in povertànella direzione dei poveri.Ai “Cappuccini” Elisabetta muovei primi passi verso il “dove” di Dioalla scoperta della sua vocazione emissione. Attraverso un camminodi svuotamento Dio la conduce ariconoscere e ad accogliere la povertàsua personale e quella degli altri e lagratuità del suo amore; a fare la sceltadei poveri riconoscendosi in essi,sorella e madre, testimone di caritànella tenerezza e nella compassione.Il periodo trascorso ai Cappuccininon fu facile. Privazioni, fatiche econtrarietà metteranno a dura provala sua fede e il suo slancio. La situazioneche vi trova, se da un lato sollecitala sua esperienza e creatività,dall’altro sembra opporsi alla chiamatadi Dio per niente preoccupatodi dare indicazioni precise.Elisabetta teme d’essersi sbagliata;in realtà sta solo allenandosi avivere l’abbandono fiducioso e filialeche le consentirà di impossessarsicon amore della sua vita e di faredella chiamata dall’Alto una personalee libera risposta di amore.La sofferenza la dispone all’ascoltodi Dio, alla preghiera, allanecessità di misurarsi con le esigenzedel vangelo e con Dio stesso che laaccoglie con le sue ambizioni e generoseimpulsività e le purifica.Attraverso la sofferenza Elisabettagiunge a riconoscersi con stuporee gioia grande solamente nella chiavedi questa rivelazione di amore, acui si consegna totalmente.Identificata con Cristopovero e crocifissoL’azione di Dio in Elisabetta èespressa dalla sua identificazionecon Cristo povero e crocifisso. Ed èsintetizzata in una espressione che laBassano, il conservatorio “Ai Cappuccini”,oggi sede della Fondazione“Don Marco Cremona”, dove Elisabettavisse dal 1820 al 1826 (foto 1939).III150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Elisabetta Vendramini: ritratto a più colori Elena Bava, Elisabetta Vendramini e lasua spiritualità, bassorilievo in bronzo,1992, Padova, Casa Madre suoreelisabettine, chiesa di san Giuseppe.giovane Elisabetta confida al primodirettore spirituale, padre AntonioMaritani, e che crede di aver ascoltatodalla bocca di Dio. Teme d’essereingannata e tuttavia quelle parole risuonanosempre più nel suo intimoe non la lasciano in pace.Sono le parole che il Padre avevaproclamato a Gesù e che riguardavanodirettamente Gesù, sono le stesseparole, al femminile. Dio Padre avevadetto: «Tu sei il mio Figlio predilettonel quale mi sono compiaciuto» edella sente: «Tu sei la mia figlia dilettanella quale ho posto le mie compiacenze.È possibile che proprio a lei ilSignore dica queste parole? Non potrebberoessere espressione di un orgoglioquasi diabolico? Il timore dicebene come Elisabetta riconosca e sentaprofondamente l’infinita distanzache vi è fra lei e quel Dio che le parlacon le parole stesse che aveva proclamatoper il suo Figlio Unigenito, maimparerà, e giustamente, che le parolein<strong>Caritate</strong>C H R I S T Iascoltate sono soltanto una promessa:tutta la vita sarà impegnata a realizzarle,perché il progetto a cui ella èchiamata dovrà sempre più identificarlacon Gesù, il figlio prediletto.Tale identificazione si compiràin una lenta discesa nell’umiltà, nell’oblio.Vivrà l’annientamento del Figliodi Dio.IV150° anniversarioSono pagine intense quelle a cuiElisabetta affida il dramma che sperimentanella carne e nello spirito:«Che tempeste, che pericoli, chetenebre, che agonie e urti di disperazionenon provai! Dio solo puòconoscerle... tornai a invocarlo, lopregai, lo baciai crocefisso e a Luitutta mi offersi e Lui solo volendo»(D 3465.3466 ). «Tu ben vedi, o mioSignore, in qual deserto e in qual profondoda più anni io mi trovi. NumeraliTu! Ora poi le acque delle tribolazionimi affogano! Deh, stendimi latua mano, ponimi tra le tue braccianelle quali io mi getto» (D 3470).Veramente il mistero del Figlio“consegnato” per la salvezza del mondosi riattualizza in lei attraverso unalunga notte, dove il grido delle suepene davanti a Dio si fa supplica dell’umanitàlontana, bisognosa, privadi speranza, e al tempo stesso è offertae anticipo davanti al Padre.La pace a cui lentamente approdasegna la sua trasformazione nelCristo: la pace sempre più la avvolge,sempre più Elisabetta entra nel silenziodi Dio realizzando una feconditàche è vita per la Chiesa (cfr D. Barsotti,Elisabetta Vendramini, maestra divita spirituale, in Epistolario, p. [55]) .Madre e sorella dei poveriProcedendo nella via in cui Diol’ha incamminata Elisabetta comprendesempre di più il senso delleparole che determinarono la sua de-Il bassorilievoIl bassorilievo illustra la spiritualità e la missione di beata Elisabetta Vendramini. Sullosfondo mistico della Trinità – raffigurata con la classica immagine del triangolo, lacolomba, la croce – si staglia la figura di Elisabetta Vendramini nell’atto di staccarsidalla croce per soccorrere due ragazzi poveri. Elisabetta ama l’uono e assieme a CristoSignore lo fa rinascere: l’amore ridesta l’amore.Ai piedi della Beata sta il mondo, da lei visto come un luogo di acque morte e fangosein cui l’umanità giace sommersa, ma ora per la presenza dell’amore che la abita ètrasformato in luogo in cui la vita è tornata a fiorire: i papiri che si alzano dalla paludetestimoniano lo sbocciare dell’amore e della speranza che lo Spirito suscita inElisabetta e nelle sue figlie che continuano nel tempo la missione misericordiosa dilei a favore degli afflitti e degli abbandonati.Elisabetta si trova fra la terra e il cielo; Elisabetta è terra e cielo perché, come ognisanto, è trasparenza di Dio nella forza della intercessione e nel vigore operativo, è riflessodi Dio che realizza oggi come ieri la buona notizia evangelica, facendo splendere laterra di bellezza e di grazia.suor Francapia Ceccotto


Elisabetta Vendramini: ritratto a più colori cisione di consacrarsi totalmente alSignore. Vede con chiarezza di esserestata scelta per comunicare e far provare,come lei aveva sperimentato,«l’amore invero strabocchevole» diDio Padre verso le sue creature, particolarmenteverso le più bisognose.La sua esperienza al riguardo èdifficile da tradurre in parole, percui ricorre ai simboli, alle immagini.La più frequente è l’immagine dellaluce: il suo splendore è il riflesso diDio, «mare di luce che si diffondesoavemente e pienamente» (D 2952).Nella luce che si diffonde riconosceil suo amore di Padre che sicompiace di effondersi su ogni creatura.In questa luce riflessa scoprela bellezza e grandezza dell’uomo:egli «possiede l’immagine di Dio», è«l’oggetto dei cari affetti», è «erededi Dio stesso». Non solo. Penetrandoancor più nel mistero, vede «come ciamò l’Eterno in sé eternamente efuori di sé, nel tempo, in Cristo» nelquale «siamo stati scelti per esseresanti e immacolati nella carità» (Ef1,4) e nella cui morte-risurrezionesono state vinte la nostra morte e ilnostro peccato.Il superamento di questa divisioneè il nuovo prodigio di amore chevede Dio fare l’esperienza dell’essereumano “dal di dentro” per rialzarci esanarci “dal di dentro”.Mentre Dio rivela ad Elisabettale insondabili profondità del suoamore e la attira nel suo dinamismovitale, l’effetto di questa stessaesperienza conduce Elisabetta trai poveri bisognosi di misericordia.«Non solo sembra misericordia volersipascolare nelle miserie mie, maper una sete che io sento di praticarele donne della Casa d’Industria 2parmi che le voglia alle mie unite lemiserie di quelle e così rendere allamisericordia più gradito il pascolo.Io spero con l’aiuto di Dio di averle ecangiarle» (D fsd, 1181) 3 .La povertà e i poveri diventanolo spazio umano di Dio-Carità, illuogo della manifestazione storicadella gratuità del vangelo e della suainesauribilità.La scelta di vita in povertà a serviziodei poveri fatta da Elisabetta ègesto concreto, visibile, che riproponeil carattere umanizzante e insieme“scandaloso” del vangelo e la suaattualità. È la “buona notizia” che sifa storia vera. Ne possiamo coglierei segni in via degli Sbirri, nella regiasoffitta, nei poveri che sente a lei consegnatida Dio; nelle compagne povere- Felicita Rubotto era una giovanecresciuta agli Esposti; Maria ChiaraDer, originaria di Gratz, abbandonatadalla madre a Padova - un minuscolodrappello con il solo bagagliodella povertà, esposto totalmenteall’amore di Dio e alle richieste deipoveri; un Istituto povero che nondà garanzie di sussistenza, ma che èben radicato nella volontà di Dio enella coraggiosa povertà sua e dellesue sorelle. Il cambio di condizionesociale fatto e assunto come scelta divita, sulle orme del Cristo povero ecrocifisso di Francesco di Assisi, nonle consente altra alternativa.La povertà e i poveri sono la suaricchezza. In mezzo a loro il cuorepuò davvero spaziare negli orizzontidell’amore gratuito, l’amore che formala vita di Dio.Il messaggio di ElisabettaQuale messaggio Dio vuole darciattraverso Elisabetta Vendramini?Anzitutto, che il Signore Gesù èla perla preziosa, il tesoro della vita,il riferimento da non perdere di vista,colui che tiene sempre aperta lastrada: buon pastore che camminanon dietro, ma davanti alle sue pecore«per fare loro da sicura scorta» 4 .Ci ricorda, inoltre, che la sua presenzatrasforma tutte le relazioni, rendecomunicanti le differenze, affida aciascuno un bene per l’altro e offre aciascuno un dono attraverso gli altri,che genera «unione e pace», «pazienzae tolleranza» (I 40,1,4), trasforma illimite da elemento distruttivo a occasionedi amore più grande, in grado diaccogliere la persona nella sua totalità,capace di cercare il bene dell’altro.L’esperienza di madre Elisabettaè segno di come Dio è veramentel’unico all’altezza della sua domandadi realizzazione:«... non ho altro beneche l’essere tua creaturae tu il mio Creatore, Tu il mio Padree io figlia tua» (D 2053).Il modo con il quale Elisabettaha guidato la famiglia religiosa da leifondata testimonia come servire nonè servirsi degli altri, ma, semplicemente,servire: «Mie figlie e signore»,«Mie figlie e padrone»: così si firmaElisabetta sdrammatizzando il ruoloe purificandolo dalla tentazione difarsi potere. «Le cariche sono pesi,non onori...» (I 11,1), alcune figlienon rendono, sono tanto grezze! Ebbene:Dio ce le dona per la nostracrescita spirituale. Ci aiutano a scoprirela nostra vanità 5 .Guardando all’agire della Beatasi comprende che la vera ragione diogni impegno sociale e la sua efficaciaderivano dalla fede in Dio e dallaimitazione del Cristo, e che la dimensionereligiosa può determinarein forma totale la vita della personae realizzarla pienamente: «Io per menon cerco che amore né voglio cheamore; questo volendo avrò in Dioogni sorta di paradiso, perché Dio èamore e ogni paradiso vi è nel mioamore Iddio» (D 262). Un agire chetestimonia, inoltre, che la centralitàdi tale amore non distoglie dall’uomoe dalla sua storia, ma ve lo immerge:«... orando vidi il mondo sottola figura di un sudicio mare... nelmezzo di questo mi vedeva, immersacon tutti, deforme aborto tutto maliin ogni mio membro» (D 1882); «...vidi ancora ch’io fui eletta per essereai peccatori miei pari vera madreonde farli ricorrere e provare, comeio sperimentai, le misericordie divineinvero strabocchevoli» (D 2629).Un messaggio affidato ai nostricuori a conclusione della celebrazionedei centocinquant’anni dalla suamorte.1Elisabetta Vendramini, Diario (in seguitocitato con D) 13.2Asilo comunale di mendicità in Padova.3D fsd: Diario, foglio senza data.4Istruzioni (in seguito citato I) 21,2.5Cfr. Elisabetta Vendramini, Epistolario(in seguito citato E).V150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Elisabetta Vendramini: ritratto a più colori Elisabetta Vendramini e le figlieSpunti dagli scrittiRiscoprire la Madre nel suo rapportarsi con le figlie è unentrare in contatto più intimo con il suo cuore, che guardava“lontano”: alle figlie del suo tempo ma anche a quelle future,a noi e a quelle “che Dio ci invierà”.di Anna Maria Griggio stfeigilare, amare, sopportare e pascere:questo è il dovere di«Vuna buona madre» (E 471). Quattropiste che la beata ElisabettaVendramini suggerisce a suor AntoniaCanella, superiora di una delleprime comunità. In questi verbimi sembra, in un certo senso, sintetizzatolo stile di Elisabetta neiconfronti delle figlie e prime suoreelisabettine.Come aquila che vegliala sua nidiataElisabetta Vendramini veglia sullefiglie che Dio le ha inviate perchésiano tutte di Dio, perché Dio sia ilcentro e bene dell’anima, «colui chel’ha amata, mirata e scolpita nellasua mano» (I 1,2; 18,4).Da esperta maestra di spirito sache ora la debolezza ora la stanchezzaora le tentazioni possono affievolireil fervore degli inizi, perciòinsiste nel presentare e mantenerevivo ai loro occhi l’ideale a cui guardarecostantemente. Non si preoccupasolo che siano sagge spose fedeli, maanche si cura della loro salute e delloro benessere: «Come state? Mangiatevolentieri? Ridete? Dormite? Viprego di stare sempre allegre nel Signore»(E 232).Vicina con il cuoreL’amore di Elisabetta per le figlieè concreto, fatto di tenerezza e attenzionealle loro necessità: il cibo,il riposo, il vicendevole affetto e unasana ilarità. Alle suore della primacomunità aperta a Venezia scrive:«vicinissima vi sono col cuore abbenchélontana con la persona… ilmio cuore è sempre in moto, ora conuna suora bisognosa, ora con un’altra»(E 243). Le osserva e le seguetutte. Gode con loro del buon esitodell’apostolato e ha sempre in cimaa tutto la memoria della «messe incui Dio ci pose, veramente apostolica»(E 324) e pertanto è contenta distaccarle da sé «perché al servizio vimando del caro prossimo» (E 234).E non ha timore di proporre unabuona amicizia tra sorelle che si sostenganol’una l’altra per «farsi a gustodello Sposo» (E 454): «La virtuosaamicizia che tieni con la Toninami piace; ti raccomando di fomentarlanell’altre ancora; siate tutte unsol cuore ed una sola anima» (E 57).Elisabetta esprime l’amore ancheportando le pene e le angosce dellefiglie le quali, come ogni creaturaumana, passano attraverso i travaglie le burrasche della vita. Solo qualcheesempio:a una figlia che cerca consolazioninella preghiera spiega che «la viadello spirito abbisogna delle quattrostagioni di cui abbisogna la nostraterra per dare a suo tempo la necessariasussistenza all’uomo» (E 403);a un’altra chiede con amore informazionisulla condotta che tienecon le fanciulle, «per le quali ti bramonon soltanto madre e nutricema sollievo ricchezza e rifugio» (E171);a una superiora raccomanda:«Salutami le figlie; coltiva più conl’esempio che con la voce il loro spirito;siate tutte buone religiose, mareligiose Terziarie come professatoavete» (E 392);a una figlia molto provata raccomanda:«L’obbedienza ti sarà sempreun sole che illumina le tue tenebre ouna lucerna che ti farà chiaro anchenella privazione del sole» (E 604).Elisabetta sa quanto sono difficiligli inizi di una vita da vere religiose:ne conosce i dubbi, le tristezze,le paure. Come una tenera madreed esperta maestra di spirito guidale suore con sapienza, illuminando,incoraggiando, orientando desiderie promesse.Quanto amorevole è l’espressioneche rivolge a una figlia: «Iddio tiamò benché traviatella… e ti tolse daipericoli per sua particolar grazia eprotezione; ringrazialo e corrispondi…»(E 476).Come il buon pastoreGesù buon pastore è un modelloche Elisabetta presenta più voltealle suore nelle sue Istruzioni.Il desiderio che esse siano «tutteagnelle di Gesù» la eccita a parlareperché ascoltino la voce del Pastoree camminino «dietro le sue ormelungo un sentiero che le guida allasalvezza» (I 37,4).«Segui qual pecorella docilel’agnello immacolato Cristo Gesù»(E 182), dice a una figlia che davasperanze di una ottima riuscita nellavita spirituale ma che muore giovanissima,a 33 anni. E a tutte nelle suein<strong>Caritate</strong>C H R I S T IVI150° anniversario


Istruzioni: «… diamo retta alle cure, aifischi amorosi di tal disinteressatoPastore e contentiamo quel Cuoresì amante… col vedere come lui vede,col soffrire com’Egli soffre, col camminarecom’Egli cammina e dovecammina, con l’essere alla fine a luiunite in questo viaggio, per pascolarepoi nel suo Cuore eternamentepascoli d’amore» (I 21,5).Sani e ubertosi sono i pascoli acui Elisabetta conduce le figlie: unafede soda, semplice e umile (cfr. I4,3), un amore «che non cerca riposi»(E 2), che «non ha altra libertàche la schiavitù» (E 189); una seteviva e una gratitudine somma perGesù Sacramentato che «vuole innestarsinel cuor nostro pel mezzodella santissima comunione» (I 5,4);una passione ardente per il CristoUmanato e Crocifisso, Dio che «sidimostra grande con l’umiliarsi» (E181; E 305).Infine, Elisabetta sa quanto puòin un cuore giovane l’attrattiva perl’ideale: come madre addita alle figlietutta la grandezza di un idealeluminoso e bello: «Figlie mie, alta èla vostra origine, perché veniamo daDio, ed alto è pure il nostro fine perchéa Dio andiamo. Cuori reali sianoi nostri… siete poste nelle mie maniper educarvi alla reale» (I 9,4.5). Alcune suore sostano in filiale venerazionedavanti al Diario di madre Elisabetta,esposto nell’oratorio dell’Immacolata inCasa Madre, in occasione del 150°. Elisabetta Vendramini: ritratto a più colori «Sfogherò il mio amorenel servire i bisognosi»Nelle pagine del Diario Elisabetta rivela quanto il suo amoregrande per il Signore Gesù abbia bisogno di esprimersinel servizio ai più poveri: una circolarità intensache ha segnato tutta la sua vita.di Liviana Fornasier stfeElisabetta Vendramini annotanel Diario uno dei suoi colloquiinteriori con il Signore con parolecariche di significato in tema direlazione: «ti miro […] ti amo, tistringo in umanità per sommo mioamore presa!» (D 1656).L’espressione rivolta a Dio mettein luce un profondo legame non vissutoa livello intimisticoe risolvibile nelrapporto tra creaturae Creatore. Il verbostringere è pregnantenel suo significato eva oltre lo stare vicino,il toccare, l’abbracciare,l’aiutarela persona; sembraassumere la connotazionedel porsirealmente nella situazione del fratelloescluso facendosi carico della sua realtàincondizionatamente e senza alcunariserva con un atteggiamento di determinazionee coraggio.Elisabetta desidera “stringere Dionell’umanità” raggiungerlo, incontrarlo,amarlo nella condizione umanadelle sue prime compagne, delleragazze abbandonate e delle personepiù povere e bisognose avvicinandosoprattutto quelle maggiormenteabbruttite dal male e dal peccato.È un compito immane che si senteaffidare direttamente da Dio «...così tu, mi si disse, procura di levaredal fango le anime dei prossimi consante industrie» (D 2915).In un’altra immagine descrittanel Diario, Elisabetta si vede immersa,dalla cinta in giù, in un marefangoso circondata da persone, didiverse nazionalità, interamente copertedalla melma; lei con le bracciapuò prendere per mano ogni persona,portarla in superficie e aiutarlaa salvarsi. Trovata in Dio la spintae l’energia per amare è in grado dioffrire un aiuto concreto alla personabisognosa e quando ciò le risultaimpossibile a livello umano intervienecon la forzadella preghiera diintercessione capacedi raggiungere ogniuomo oltre lo spazioe il tempo.Per sentirsi unadonna pienamenterealizzata non puòche far circolarel’amore ricevuto definitocome «struggentee vivificante» (D 1379) ed èconsapevole di dover dare sfogo all’amore:«Io mi sento per Gesù sìamante ch’io sfogherò il mio amore,nel servire tollerare e aiutare anorma dei bisogni il caro prossimomio» (D 1774).Ama i poveri, gli esclusi della societàperché essi la costringono, inmodo particolare, a fare contattocon la sua umanità ferita e bisognosadi misericordia; la costringonoa rompere il circolo dell’egoismo, atrovare il vero senso del vivere cheassume il significato di vivere per glialtri. Nel sacrificio di se stessa perl’altro Elisabetta trova la sua realizzazione:si sente pienamente donnae madre, consegnata all’amore incondizionato.VII150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Elisabetta Vendramini: ritratto a più colori Elisabetta beata:un dono e una promessaLa beatificazione di Elisabetta Vendramini, fondatricedell’Istituto: oltre l’emozione, una passione nuova percomprendere sempre di più la Madre e la conferma deldesiderio di percorrerne le orme.di Oraziana Cisilino stfeLa beatificazione della Fondatricedi una famiglia religiosa è unavvenimento unico per la famigliastessa, per la Chiesa e per la comunitàumana. È “evento” che coinvolgein modo diretto e affettivoogni sorella.A vent’anni di distanza dalla beatificazionedi madre Elisabetta, lamemoria di quanto vissuto è ancoraviva in me, intensamente.L’attesaLunghi gli anni in cui abbiamoalimentato la speranza di sentire ildesiderato annuncio. Ricordo in particolarei sussulti di gioia in CasaMadre quando le campane suonaronoa festa per l’approvazione delcontenuto teologico degli scritti diElisabetta e il riconoscimento dellevirtù eroiche da parte della Congregazionedelle cause dei santi e, infine,l’annuncio della beatificazione inSan Pietro.Ricordo con riconoscenza quanto ecome questo periodo di attesa ha favoritola conoscenza, lo studio e il confrontovitale con gli Scritti della Fondatrice.Sono stati di consistente e profondoaiuto la Positio super virtutibusdi Elisabetta Vendramini, pubblicatanel 1986 (un documento storico, curatocon passione e competenza daalcune sorelle che rimane un puntodi riferimento importante sulla vitae sugli scritti della Madre), le Lettereprogrammatiche della Superiora generale,le celebrazioni annuali dell’Impianto,il 10 novembre, e altri sussidia livello generale e provinciale.È stato un modo nuovo di accostarela Madre e di penetrarne più inprofondità lo spirito.Non ne possiamo venerare il corpo,ma il patrimonio dei suoi scrittinutre la nostra spiritualità, ci rendefamiliare la sua esperienza misticache trabocca trasformandosi in caritàoperosa nella realtà ecclesiale esociale del suo tempo.La celebrazioneLa celebrazione in San Pietro il 4novembre 1990 ci ha trovato pronteper accogliere la grazia della cazione e la sua ricaduta di bene sututta la famiglia elisabettina e suibeatifi-luoghi dove è presente come comunitàoranti e di servizio.Da Padova e da altre località no partiti per Roma vari pullmancon un numero considerevole disuore e laici che si sono incontrati inso-preghiera il 3 novembre nella chiesadi San Gregorio VII in Roma.Del momento celebrativo miporto in cuore l’emozione della chiarazione di papa Giovanni PaoloII: Elisabetta Vendramini Beata, edi-le parole nell’omelia che no in luce aspetti significativi dellametteva-sua personalità: una contemplativache sa piegarsi su ogni uomo, inparticolarmente sul fratello fragile emalato, che desidera cavar anime dalfango perché rifulga l’immagine bellache Dio ha impresso in ciascuno.Dietro a lei generazioni di bettine, noi comprese, continuano elisa-abere alla piaga di Gesù per dare a Lui abere il cuore di tutte quelle anime che ciinvia e noi rintracceremo (cf I 2, 4).Le celebrazioni locali sono statenumerose, in particolare a Padova,culla della famiglia religiosa e a Bassano,città natale di Elisabetta.Attorno a quel 4 novembre si sonorealizzate iniziative diverse: recitals,drammatizzazioni, canti nuovidedicati alla Madre, incontri al finedi presentarne la figura.C’era un grande fervore: far conoscereElisabetta era spontaneariconoscenza al Signore per averladonata alla Chiesa, al mondo, qualemodello di santità.Presentare la Madre significavaparlare del frutto del suo “sì” cheaveva preso corpo nella famiglia elisabettinacon i suoi centosessantadueanni di vita, le sue opere, che hannovisto la profusione di competenze,dedizione, energie, creatività di generazionidi suore.L’oggiSono trascorsi vent’anni: ciascuna,qualunque sia l’età, il servizio ola situazione in cui si trova non puòdimenticare questo tratto di storiacosì intenso, così promettente, cosìcarico di speranza.L’attesa attuale è sì quella delmiracolo per la canonizzazione, maè molto più intensa quella che cifa chiedere al Signore Gesù che sirealizzi quanto ci dice l’Apocalisse:«Ecco, io faccio nuove tutte le cose»(Ap 21, 5).Ho bisogno, abbiamo bisogno,oggi, di questa novità dello Spiritoe della conseguente appassionatarisposta a tutti i livelli per noncadere nella tiepidezza, così comesuccede alla chiesa che è a Laodicea«…sei tiepido, non sei cioè né freddoné caldo…».Ma il Signore non abbandonachi si lascia correggere e si apre alui: «Ecco: sto alla porta e busso.Se qualcuno ascolta la mia voce emi apre la porta, io verrò da lui,cenerò con lui ed egli con me» (Ap3, 14 -20). in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IVIII150° anniversario


Le celebrazioni Elisabetta dei 150 anni: nel racconti mondo e testimonianze Le celebrazioni dei 150 anni:racconti e testimonianzeCi piace condividere quanto, nei diversi Paesi dove è presente la famiglia elisabettina, è stato oggetto di memoria e di riflessione nel ricordodei centocinquant’anni dalla morte di Elisabetta Vendramini: un evento che ha coinvolto tutte le suore ma anche le personeche con le elisabettine vivono impegno apostolico, fatiche, speranze, progetti di futuro.Centrale è stata l’eucaristia del 24 aprile 2010 a Padova (nella foto in basso), concelebrata da oltre trenta sacerdoti e partecipatada molte suore, amici e collaboratori 1 .Padova, basilica del Carminea cura della RedazioneRiportiamo stralcio del saluto della superioragenerale, madre MargheritaPrado, ai convenuti e dell’omelia del presidentedella celebrazione, padre GianniCappelletto.Elisabetta Vendramini:un dono alla chiesa di PadovaUn fraterno benvenuto alle sorellecon le quali ci siamo dateappuntamento per far festa con lanostra Madre, un cordiale benvenutoa tutti, a voi che avete risposto all’invitoe ora ci onorate della vostrapresenza.Lo scorso 2 aprile ricorrevano 150anni dalla morte di Elisabetta Vendramini:ne abbiamo ricordato il transitocon una veglia di preghiera; martedìprossimo, 27 aprile, ricorre la memorialiturgica di lei, proclamata beata daGiovanni Paolo II il 4 novembre 1990:la celebriamo oggi, ringraziando insiemeil Signore per questa figura didonna suscitata nella Chiesa in unastagione di grandi cambiamenti e digrandi povertà, come era quella delnostro Nordest del primo 800.Ringrazio padre Gianni Cappelleto,ministro provinciale della provinciapatavina dei minori conventuali,che ha fraternamente aderito all’invitodi presiedere la celebrazione.È stato un invito per “ricordare”.Quando nel 1830 Elisabetta e leprime compagne vestono l’abito dellesorelle del Terz’Ordine di s. Francescod’Assisi, lo ricevono dalle manidi padre Francesco Peruzzo - giàministro provinciale della Provinciapatavina - in forza del suo mandatodi direttore, visitatore e commissariodel Terz’ordine francescano. Nellemani dello stesso padre Peruzzo, nel1831, le sorelle professano la Regoladel Terz’ordine.Con padre Gianni, ringrazio iconcelebranti. Ringrazio cordialmentedon Alberto Peloso, parrocodi questa parrocchia, e i suoicollaboratori, perché volentieriospita questo e altri nostri appuntamenti.Essere «memoria vivente»Ho trovato interessante la seguenteaffermazione del sociologopolacco Zygmunt Bauman:«L’identità germoglia sulle tombedella comunità».È un’espressione che, pur nonessendo applicabile letteralmente allabeata Elisabetta in quanto la suatomba non esiste più, dice una profondaverità: l’identità di un gruppoIX150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze (in questo caso del vostro Istituto– care sorelle elisabettine) germogliadalla memoria viva di chi ci hapreceduto, soprattutto di chi sta afondamento del gruppo stesso.La vostra esperienza può essereaccostata a quella del popolo ebraico,prima di tutto: di uno dei suoi“padri fondatori”, Mosè, il librodel Deuteronomio dice (34,5-6):«Mosè, servo del Signore, morìin quel luogo […] secondo l’ordinedel Signore. Fu sepoltonella valle […]. Nessuno finoad oggi ha saputo dove siala sua tomba».Eppure sappiamo cheancor oggi gli ebrei ritornanosempre a Mosè perdefinire la loro identitàe il loro cammino nellastoria, anche senzapregare sulla sua tomba perché loritengono ancora “vivo”!E anche noi cristiani siamo invitatia «non cercare tra i morti Colui cheè vivo» (cfr. Lc 24,5-6): ne facciamomemoria autentica ascoltando la Parola,celebrandolo vivente nei sacramenti,testimoniandolo nel “lavare ipiedi” degli altri, specie dei poveri.Non abbiamo una tomba da venerarequanto una persona – il Risorto– che desidera incontrarci ancoraper risvegliare in noi la vita!Così pure voi, care sorelle, nonavete una tomba su cui deporre un“Libro dei morti” conservato nellaparrocchia del Carmine, dove è registratala morte della parrocchianasuor Elisabetta Vendramini.fiore … ma avete fiori (le vostre vite ele vostre opere) con cui testimoniateche Elisabetta Vendramini è viva epresente oggi! Voi siete la “memoriavivente” di quanto la vostra Fondatriceha incarnato al suo tempo e haaffidato a voi come eredità.Mi viene spontanea una domanda:“Come incarnare oggi l’essere memoriavivente?”.La risposta è “scontata” nella suasemplicità: con quel sano realismoche sa coniugare l’attenzione all’oggicon lo sguardo rivolto al futuro per“ri-dire” quanto ricevuto dal passato.Per commentare questa affermazionemi rifaccio a ciò che holetto sul numero di gennaio/marzodella vostra rivista In caritate Christi2 . Così l’autrice descrive la situazionee gli atteggiamenti di madreElisabetta che «giace inferma ormaida tempo»:«Il suo corpo è tormentato dasofferenze e costretto quasi all’immobilità;il respiro è spesso affatifcato,tuttavia il suo sguardo è vigile,attento, il suo cuore è con le figliee per le figlie» alle quali «rivolgeparole di riconoscenza e di incoraggiamentoalla fedeltà».Lascio a voi specificare i dettaglidi quanto ha vissuto madre Elisabettaquell’1-2 aprile del 1860. Misoffermo un attimo sul “come” voipotete essere “memoria vivente” oggidel carisma germogliato dalla beataElisabetta.Come quello di madre Elisabetta,anche il “corpo” del vostro Istitutopuò apparire «tormentato da sofferenzee costretto quasi all’immobilità»,e il suo “respiro” può apparire«affaticato» nel camminare tra glieventi della storia attuale. Ma tra voinon c’è “solo” questo! In voi – comegià in madre Elisabetta – c’è anche«uno sguardo vigile, attento» e«un cuore che è per le sorellee con le sorelle».Atteggiamento di vigilanzaattenta, prima di tutto,per saper individuaree smascherare le tentazioniche portano adannacquare il carismaricevuto, ad abbassarela guardia e a scivolareverso compromessidi mediocrità cherisultano una contro-testimonianza.Tra le tante tentazioni che stannodistruggendo l’originalità della vitareligiosa oggi mi pare di segnalare:la mentalità secolarista che «induce anon prendersi cura della propria vitadi fede o della propria vita spirituale»(A. Gardin); magari c’è una certa“pratica esteriore” ma manca la “passioneper Dio” che rimette continuamentein cammino; l’imborghesimentoche porta ad abbandonare certi “stilidi vita” esigenti, ad eliminare l’ideastessa di sacrificio e rinuncia o di“combattimento spirituale” per potercrescere; l’individualismo che conducea rinchiudersi nel proprio; macosì si perde il senso della fraternità,della condivisione e della comunionein comunità.Oltre alla vigilanza, sull’esempiodi madre Elisabetta, è necessariocoltivare un «cuore che è per e con lesorelle»: un cuore che ama e fa amareil bello e il buono che già sta germogliandoin tante sorelle e lo aiutaa crescere. In altre parole, un cuoreche “si prende cura” con femminilematernità di “quattro S”: speranza,fondata sulla promessa che il SignoreGesù ha fatto a madre Elisabettadi voler l’Istituto con le caratteristichedi francescanità e di laicità, aldi là dei numeri che esso può con-in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IX150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze Dall’ArgentinaChiamate a vivificareil dono carismaticoA Burzaco e a Pablo Podestà, come in tutte le altre comunitàparrocchiali, il ricordo delle proprie radici.I bambini della “Casa familia” di Burzacoprotagonisti del concorso di disegno.Foto a destra: momento del pranzocon gli anziani a Burzaco.di Teresina Perin stfeBurzaco (periferia di Buenos Aires)la celebrazione del centocin-Aquantesimo anniversario della mortedi Elisabetta Vendramini è stata vissutacon alcuni momenti semplicima significativi.Martedì 27 aprile 2010 la comunitàha fatto festa a madre Elisabetta con ibambini della “Casa familia” che eranostati coinvolti in una specie di concorsodi disegni sulla vita di Elisabetta Vendramini:la premiazione è stato momentomolto bello e partecipato, cui èseguito un pranzo “speciale”.Domenica 2 maggio 2010 la comunitàha condiviso il pranzo congli anziani soli del barrio, iniziativafinanziata da “piccole industrie” dellacomunità stessa.A Pablo Podestà (sempre periferiadi Buenos Aires), dopo la bella manifestazioneintercomunitaria delFestival della canzone realizzato daigiovani delle varie parrocchie in cuisiamo presenti, ispirati nei loro cantiagli Scritti di san Francesco e di ElisabettaVendramini, e il pranzo con glianziani del luogo, il 4 aprile, abbiamodato solennità alla festa liturgicadella Beata.La beata Elisabetta Vendramini,cui è dedicata la nostra cappellasemi-pubblica, è considerata anchela protettrice del barrio, la zona circostantela nostra comunità, “CasaBetania”.Sabato 24 aprile abbiamo celebratola festa patronale adornandola chiesa ed il cortile e invitando lagente della parrocchia e della zona aringraziare il Signore con noi e conil Movimento francescano elisabettino.Bella la partecipazione sia alla processione,durante la quale l’immaginedella Madre ha percorso le variestrade del barrio, sia alla solenne celebrazioneeucaristica.Alla messa è seguita la festa popolare,in cui si è condivisa la gioiafraterna anche con una favolosa “pesca”e con balli folcloristici e un gustosissimobuffet.Accompagnate da alcuni laici delMovimento, abbiamo dedicato il lunedì26 a visitare le famiglie che vivonoattorno a noi, portando a tutti unabenedizione, l’amicizia, la vicinanzae proponendo le iniziative che realizziamoin “Casa Betania” a favore deiProcessione in onore della beata Elisabettaattraverso il barrio di Pablo Podestà.più bisognosi: la catechesi, l’appoggioscolastico, un gruppo biblico, levisite ai malati.Questa piccola “missione” ci hapermesso di rinnovare e rinsaldare ivincoli con le famiglie, con personepovere, ammalate e sole; tutti ci hannoaccolto con gioia, anche i vicini dialtre religioni.Martedì 27 aprile, celebrando lafesta liturgica della beata ElisabettaVendramini, abbiamo ricordato anchei quarant’anni della nostra presenzain terra argentina.Suor Chiara dalla Costa, in formasintetica, ha raccontato la storiadegli inizi, stralciando alcuni datidalla cronaca e sottolineando comeil seme del carisma, caduto in terra, ègerminato ed ha portato frutto.Queste celebrazioni, molto belle,sono state una nuova chiamata alladisponibilità e all’impegno di vivificareoggi il dono carismatico peressere quelle madri e sorelle che Elisabettasognò e, come lei, poter direa tutti con la vita, la compassione diDio per ogni uomo «parto del suoamore misericordioso». in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IXII150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze Dall’EcuadorRaccontare madre Elisabetta:la gioia di sentirci figlie e sorelleIl 150° della morte di Elisabetta, occasione preziosaper raccontare e parlare di lei.a cura delle sorelle dell’EcuadorPer noi elisabettine che ci troviamoin Ecuador, la celebrazione dei 150anni dalla morte di madre ElisabettaVendramini è stata una occasione preziosaper raccontare e far conoscere allagente con cui viviamo la vita della nostrafondatrice e alcuni aspetti della suaspiritualità, il come e il dove operiamocome suore elisabettine.Numerose e varie sono state le iniziativeproposte nelle parrocchie, qualila visita ai diversi gruppi e ai ragazzidella catechesi, la preghiera del ‘rosarioelisabettino’ durante la settimana vocazionale,la veglia vocazionale sabato24 aprile e l’animazione delle messecelebrate domenica 25 aprile. Con semplicitàdiamo voce alle sorelle di ognicomunità che con le loro parole, o conquelle di chi ha aderito alla proposta, ciraccontano l’esperienza vissuta.Da Carcelén - QuitoNoi di Carcelén (dove siamopresenti dal 1981) abbiamovissuto questo momento comeopportunità per conoscere, approfondiree amare il carisma dellabeata Elisabetta che vive oggi nellesue figlie nel mondo.Uno dei primi segni è statoquello di accogliere con gioia l’invitoda parte di “radio cattolica”e di “radio Luna” a proporre nelledue emittenti una riflessionesulla vita consacrata e sul nostrocarisma. Nella nostra chiesa, nelpresbiterio, abbiamo posto ungrande quadro della Madre con leparole: El amor nos posea, nos lancepor el mundo entero. Ansio salvar almasche ha suscitato nelle personeinterrogativi che si sono tradottiin preghiera e devozione, espressamolte volte nel toccare il quadro oaccendere una candela.Durante la settimana vocazionaleabbiamo coinvolto la comunitàparrocchiale con la recita delrosario “elisabettino”. Nelle celebrazionii sacerdoti hanno messoin luce la presenza significativadelle suore elisabettine nella parrocchiae hanno chiesto il donodi sante vocazioni alla vita sacerdotale,religiosa emissionaria. Graziealla proiezione del filmato:Il cuore dell’uomo è il cuoredi Dio, i vari gruppi, i bambini ei giovani del catechismo hannoconosciuto un po’ di più il ruolo ela missione della suora per il benedell’umanità.È stato bello vedere le espressionidi meraviglia, entusiasmo, felicità,compassione mentre ascoltavanoil racconto del nostro lavoroapostolico. Le espressioni deiragazzi della catechesi (nella foto)che abbiamo raccolto fanno dacommento alla gratuità e all’ottimismoche riconoscono esserepresenti nell’operare di noi suore,nel nostro dedicarci alle personepovere e bisognose.Infine, bella e partecipata ci èparsa la veglia di preghiera perle vocazioni, nella quale – dopoaver raccontato alcune vocazionidell’antico e del nuovo testamento– si è proposta la figura di madreElisabetta. Abbiamo reso grazie aDio per la sua risposta positivae per tutte le sorelle che attualmenteoperano in Italia, Egitto,Sudan, Israele, Kenya, Argentina,Ecuador. Abbiamo concluso conl’animazione delle celebrazioni eucaristichedi domenica 24 aprile;in particolare la processione offertoriale,con segni francescani edelisabettini, ha aiutato l’assembleaa familiarizzare con il nostro carisma.Da Portoviejon preparazione della festa, noi diI Portoviejo abbiamo proposto laXIII150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze settimana elisabettina coinvolgendo ilaici della parrocchia e condividendocon loro la ricchezza del nostro carisma:ogni giorno sono stati loro stessii protagonisti e con il nostro aiutone hanno presentato un aspetto.Abbiamo iniziato la settimanacon la presentazione del filmato Ilcuore di Dio è il cuore dell’uomo cui è seguitada parte delle educatrici dellaguarderia 1 la presentazione del tema“Madre Elisabetta e i più piccoli”.I giovani da parte loro hannoproposto la drammatizzazione dellavocazione di Elisabetta e hanno preparatouna ‘ora santa’ ossia un momentodi preghiera per le vocazioni.Infine i membri del gruppo elisabettinohanno presentato l’aspettomissionario del nostro carisma.Martedí 27 aprile abbiamo conclusocon una solenne celebrazioneeucaristica, una processione e unpiccolo agasajo (festa) francescano.Da Tachina - Esmeraldasell’occasione dei 150 anni abbiamoelevato la nostra lode eNil nostro ringraziamento al Signoreper il dono di madre Elisabetta, fondatricedella nostra famiglia religiosa.Anche la comunità parrocchialedi Tachina ci ha accompagnato partecipandoalle varie proposte.Durante la settimana vocazionaleabbiamo pregato il rosario elisabettinomeditando i misteri della vita diGesù e facendo un parallelo con lavita della beata Elisabetta e con alcuniscritti frutto della sua riflessionesugli stessi misteri.All’entrata della chiesa, sopra untavolo, abbiamo posto alcuni foglietti,su cui poter scrivere le propriepreghiere, che sono poi stati raccoltiin un cesto posto ai piedi della suaimmagine.Ci ha commosso vedere grandie piccoli che con tanta fede si inginocchiavanodavanti alla immaginedella madre per depositare le lororichieste e dire una preghiera.La vigilia è stata un momentomolto bello nel quale abbiamo ricordatole grandi chiamate bibliche,la chiamata di Elisabetta e la nostrastessa chiamata. Il coro dei bambini,con il loro entusiasmo, ha reso lapreghiera più gioiosa.La santa messa della domenica èstata celebrata con grande solennitàe il sacerdote ha presentato moltobene la figura della Madre, evidenziandola sua spiritualità, l’ideale cheguidò la sua vita, il suo sapersi consegnaree il servizio alle persone piùbisognose, la sua spinta missionariacon il desiderio di far sempre gli interessidi Gesù. Non poteva naturalmentemancare un piccolo regalo: a tuttiabbiamo consegnato un’immagine euna medaglia della Madre.Grazie, madre Elisabetta! La tuapresenza - a 150 anni dalla tua morte- continua ad essere molto viva, latua vita e la tua testimonianza attraeed entusiasma! Tu sei il faro che ciindica il cammino per arrivare a Gesù,porto sicuro di felicità!Da Carapungo - Quitoun cuore grato e pieno di allegriaÈ quello che ci abita in questi giornidopo l’intensa esperienza vissutanella parrocchia, con la nostra gente.Raccontare madre Elisabetta: espressionedal sapore quasi magico che ciha permesso di ritornare alle radicidella nostra identità restituendocila gioia del “sentirci figlie” di unadonna semplice e forte, generosa econsegnata alla volontà del Signore.La storia della Madre e i riferimentialle nostre presenze nel mondosono stati – nei gruppi parrocchiali- fonte di numerosi interrogativi.Alcuni desideravano conoscereun po’ di più le caratteristiche dellanostra spiritualità, altri hanno chiestoinformazioni sui diversi serviziche svolgiamo. È sorta anche unariflessione intorno alla scelta dellavita consacrata e sul senso di unatale scelta. La nostra gente ci ha ancheprovocato, indicandoci le “nuovefrontiere” cui dovremmo aprirci qualile persone disabili, i tossicodipendentie gli alcolisti, le ragazze-madri,i giovani che vivono in situazioni diviolenza e/o criminalità, la violenza eil disagio nelle famiglie...L’incontro con i bambini dellacatechesi e dell’infanzia missionaria(vedi il significato a pagina 14) èstato più divertente: sfogliando illibretto Elisabetta una madre dal cuoregrande, si lasciavano catturare dalleimmagini e con sorprendente rapiditàsapevano cogliere al volo gli aspetticentrali della vita di Elisabetta:“ascoltò la voce del Signore”, “erauna madre con un cuore grande”,“ha dedicato tutta la vita alle per-in<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze sone bisognose”. Con i più grandiinvece abbiamo dato spazio a sogni edesideri e – a partire dal brano evangelicodel giovane ricco - ci siamochiesti: E io che cosa farei? Di fronte allaproposta del Signore quale sarebbe la miarisposta?Abbiamo accompagnato tuttiquesti momenti con la preghiera: larecita del rosario “elisabettino”durante la settimanavocazionale, la veglia vocazionalee l’animazione dellemesse celebrate nella IV domenicadi Pasqua, dedicataa Gesù buon pastore e allapreghiera per le vocazioni.Ad ogni iniziativa hanno collaboratoi membri del gruppo elisabettino -laici che da alcuni anni condividonocon noi un cammino di conoscenzae approfondimento della nostra spiritualità– e i giovani della parrocchia.Abbiamo concluso le celebrazionimartedì 27 aprile, festa liturgica dellaBeata: durante l’eucaristia il gruppoelisabettino ha rinnovatole promesse (nellafoto accanto) quale segno di adesione edisponibilità a seguire il suo esempio.Significative la tetsimonianza che alcunedi loro ci hanno lasciato.La festa è terminata: si sonospente le luci sul palcoscenico; ...però noi rimaniamo accese del granfuoco della carità consegnatoci daMadre, fuoco le cui scintille dobbiamoportare per il mondo intero. 1Termine con il quale si identifica il corrispettivodella nostra scuola dell’infanzia.2Gruppi religiosi nati in seno al movimentopentecostale.Dall’EgittoTra memoriae rendimento di graziePer tutte le comunità dell’Egitto la memoria di madreElisabetta è stato momento di festa che ha rinvigorito il sensodi appartenenza.Da GhizaAnche noi, sorelle che operano inEgitto, abbiamo celebrato i 150anni della nascita al cielo di madreElisabetta: 150 anni di memoria, divita, di meraviglie compiute dal Signore.Il giorno 25 aprile noi iuniori, altermine di una giornata di studio eriflessione, abbiamo animato - assiemealle sorelle della comunità di Dokki- una veglia di preghiera con immaginie frasi che ci hanno aiutatoad entrare in sintonia con la Madreper prepararci a celebrare l’indomanila sua memoria liturgica.Il 26 aprile, sempre a Dokki, c’èstata la celebrazione eucaristica, presiedutadal vescovo latino, monsignorAdel Zaki, per ringraziare ilSignore del dono di Elisabetta Vendramini,dato a noi ma anche a tuttala chiesa. A dire questo grazieeravamo in tante: era rappresentataogni comunità; abbiamo condivisola preghiera anche con le giovanipostulanti.È stata una celebrazione moltopartecipata, in cui abbiamo sperimentatola presenza viva in mezzo anoi della nostra Madre.Monsignor Adel ci ha ricordatoche celebrare centcinquant’anni èfare memoria del dono grande cheoggi viviamo come famiglia, un donoche ha avuto in Elisabetta terrenoaccogliente; è ricordare che il carismaè presente in Egitto da quandosono arrivate le prime suore, che, animateda passione apostolica, hannoaffrontato fatiche e vissuto nella povertà,con e come la beata ElisabettaVendramini.Durante la processione offertorialesono stati portati all’altare alcunidoni, densi per noi di significato(nella foto in basso): il pane e il vino,simbolo della forza che il Signoredona ogni giorno; l’immagine di ungrande cuore, segno dell’unità ditutta la famiglia elisabettina; un tau,espressione della fedeltà all’ispirazionefrancescana e infine il logo dellanostra famiglia religiosa, segno diappartenenza e di condivisione.Dalla mensa eucaristica siamopoi passate alla mensa condivisa fraternamente,nella semplicità e gioiafrancescane.Terminata la festa, ognuna è ritornataalla propria comunità, contentadell’esperienza vissuta, percontinuare a vivere e ad alimentarela preziosa eredità del dono ricevuto.Le iuniori della DelegazioneEgitto-SudanXV150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze Da NeqadaIl giorno 25 aprile 2010 abbiamofesteggiato nella parrocchia di Neqadatre avvenimenti: il ricordo dei 150anni dalla morte di madre ElisabettaVendramini; i settantacinque annidella presenza delle suore elisabettinein Egitto; i venti anni dalla sua beatificazione.La celebrazione eucaristica secondoil rito copto, presieduta dalparroco, è stata il centro della festa(nella foto le suore della comunità).All’offertorio, portando all’altareil crocifisso, abbiamo ricordato chequello che alcuni hanno consideratouno scandalo, per noi è divenutostrumento di salvezza, il segno dellanostra fede, di un amore che ognigiorno si rinnova nella nostra storia,che ci sostiene e si fa cibo e bevandadi vita nuova. Con i fiori abbiamo sottolineatocome la diversità, quando èvissuta nell’accoglienza e nell’unità,riflette la bellezza della comunione:come i fiori, tanti e diversi, attingonovita dalla stessa acqua, così anchele suore elisabettine sparse in Egittotraggono la loro linfa vitale dalla stessaParola e partecipano dello stessodono carismatico. Le candele ci hannoricordato che anche una flebileluce, come può apparire quella di unapiccola candela, è sufficiente per diradareil buio dell’incredulità; questaluce è per noi la Parola di Dio chetutti ci unisce e ci orienta nel cammino.Infine, con l’immagine della beataElisabetta Vendramini che ha fondatola nostra famiglia religiosa, abbiamosottolineato il suo desiderio che le figliefossero capaci di raggiungere ogniangolo della terra per portare l’amoredel Signore, un sogno che è divenutorealtà anche nel nostro Paese.È una storia lunga settantacinqueanni, come ha raccontato suorTeresa Derias prendendo la paroladopo l’omelia del parroco. Ha ricordatola figura della Vendramini, ilsuo carisma, la storia della fondazionee la fiducia delle prime suore nellaprovvidenza e nei Santi. Ha poi proseguitonarrando l’arrivo delle primesuore in Egitto, e in particolare aNeqada, e di come abbiano vissutola povertà materiale, la fatica dellalingua e altre difficoltà, abbracciatecon fede e con amore.Lo sguardo si è allargato a comprendereanche le altre zone dell’Egittoe del mondo nelle quali operiamo.Il racconto si è concluso ricordandola beatificazione di madre Elisabetta,beatificazione che è statoun grande dono per la Chiesa e perciascuna suora elisabettina.La gente ha ascoltato attentamentequanto il Signore ha compiutoe continua a compiere nella nostravita. Alla fine della celebrazioneeucaristica a ciascuno dei convenutiè stata offerta in ricordo la medagliadella fondatrice e con tutti gli amiciche hanno voluto essere presentiabbiamo condiviso un momento diagape fraterna.La festa è stata vissuta con gioiainsieme alla comunità parrocchiale;per tutte noi ha rappresentatoun’occasione per renderci più consapevolidell’impegno di lavorare con eper la Chiesa nel mondo e di quantosia bello testimoniare l’amore di Dioper tutti, specie per i poveri e i piccolipiù bisognosi.suor Teresa DeriasDal SudanQuando l’amore trasforma la vitaUna celebrazione fatta di canti, preghiere e danze perdire grazie al Signore per il dono della beata ElisabettaVendramini e per la presenza delle sue figlie a Banat.di Rita Andrew stfeIl giorno 7 maggio abbiamo celebratocon grande solennità a Banatil ricordo dei centocinquant’annidalla nascita al cielo della nostrabeata madre Elisabetta e dei venticinquedella nostra presenza in terrasudanese.Ha presieduto la celebrazione eucaristica,monsignor Daniel Adwok,ausiliare del cardinale di Khartoum,monsignor Gabriel Zubeir Wako.Diversi sacerdoti, suore delle variecongregazioni presenti in Sudan,molta gente non solo della nostraparrocchia, ma anche di quelle vicine,si sono uniti a noi per far festa.Ha condiviso questo momento particolare,suor Soad Youssef, nuovasuperiora delegata della missioneEgitto-Sudan.Il vescovo ha iniziato la sua omeliacon la frase della madre Fondatrice:«L’amore ci possieda, ci facciaoperare, ci getti nel mondo comevento. Anime portargli io bramo»,ricordando che la celebrazione e lapresenza di tante persone era unsegno di conferma e di incoraggiamentoper le suore elisabettine cheoperano nella comunità di Banat.Ha inoltre sottolineato come celebrarei centocinquant’anni dallamorte della beata Elisabetta testimonila forza del dono spirituale che dalei è trasmesso alle sue figlie che daoltre venticinque anni operano inSudan (la prima comunità in Sudanè stata aperta nel 1984 in servizionell’ospedale militare a Safia-Khartoum,chiusa nel 1991).in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IXVI150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze E questo, nonostante gli inizinon siano stati facili, a causa dellaguerra; ma la forza dell’amore - haproseguito il presule - ha aiutato lenostre suore a mettersi tra la gente,per condividerne gioie, sofferenze,fatiche, disagi per il clima... con unadedizione commovente ed inspiegabile,a servizio dei malati, dellacatechesi, della promozione delladonna...Il Vescovo ha concluso la suaomelia invocando dal Signore la suabenedizione e con l’augurio che lafamiglia elisabettina possa avere ildono di nuove vocazioni sudanesi.Sono poi risuonate alcune testimonianzesull’opera elisabettina inSudan, raccontata dalla voce di alcunepersone che fin dall’inizio hannocamminato con le suore, condividendonela missione.È intervenutaanche la Superioradelegata, soffermandosiin particolare su quattro parole:Rallegrarsi: perché la nascita alcielo di madre Elisabetta è per noimotivo di gioia.Ringraziare: perché nel «giornofatto dal Signore» è bello renderegrazie per quanto lui ha fatto connoi e per noi in questi venticinqueanni di presenza in Sudan.Impegnarsi: in un cammino di collaborazione,consapevoli che ciascuno- suore e parrocchiani - ha bisognodell’aiuto dell’altro per costruirela comunità cristiana.Sperare: certe, anche quando nonè facile, che il Signore non abbandonanessuno: lui ha promesso dirimanere con noi sempre. Dal KenyaMadre Elisabetta è viva in noiPer celebrare la nascita al cielo di madre Elisabetta,tutta la comunità del Kenya si è incontrata per pregare,ricordare, condividere.a cura di Paola Manildo stfeRi-cor-dare è impegno a fare memoriadi un passato per ri-dare-al-cuorenuovamente le ragioni forti che guidano ipassi dell’oggi e, chissà, quelli del domani.Ricordare a 150 anni dalla morte èstato scavare i perché, il come e il dovedella vita di madre Elisabetta Vendramini:i suoi primi passi alla sequela delSignore, come quelli dell’età matura, finoalla consegna ultima di se stessa.Ecco perché l’intera comunità delKenya, in sintonia con tutte le sorelleelisabettine sparse nel mondo, ha fattomemoria dei 150 anni dalla sua mortenel corso di un intenso week-end che ciha viste radunate nella comunità del noviziatoin Kahawa West, alla periferia diNairobi, il 23 e 24 aprile scorsi.XVII150° anniversarioGrazie ad una preparazione partitaoltre due mesi prima, ogni comunità hacercato di “raccontare la Madre” ancheattraverso le sfide al carisma che provengonodal Kenya di oggi. In un intrecciarsi diespressioni le più diversificate, ElisabettaVendramini è stata presente “più viva chemai” tra noi con le sue parole, le sue sceltee il suo esempio di madre e sorella deipoveri perché figlia prediletta del Padre.Quasi a sigillare l’evento a coronamentodella nostra festa, Juliana Njeri Muriukiha pronunciato il suo sì al Signore nellafamiglia elisabettina attraverso la primaprofessione, diventando così figlia e sorelladi Elisabetta.Ma sentiamo dal racconto di tre giovanisorelle lo svilupparsi dei diversi momentiche hanno fatto del nostro weekenduna occasione per riapproriarci insiemedelle nostre comuni origini, originispirituali e di senso che motivano il nostroalzarci da tavola per offrire un servizioregale 1 in questa terra del Kenya.Abbiamo celebrato il ricordo dellasua morte, sì, ma madre Elisabettaè viva, viva in noi! Lo abbiamo sperimentatocon commozione e gioia il23 e 24 aprile 2010 quando tutte cisiamo riunite a Kahawa, quasi fosseproprio lei, Elisabetta Vendramini,a rivolgere un invito personale a ciascunasuora 2 , novizia, postulante e aciascuna comunità, il ‘noi’ fraternoche vive e traffica il dono comune.È nel bel giardino della casa delnoviziato che il nostro incontrarcivede il suo inizio; la coordinatricesuor Antonia Nichele ci invita ain<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze scambiare l’un l’altra un welcome! 3che vada ben oltre l’euforia di chi siri-incontra dopo mesi di separazione,un saluto di riconciliazione e dipace affinché tutte possiamo “sentircia casa” con tutte.Le nostre voci diventano “una”,grazie ad un canto che racconta diDio che invita tutti a parteciparealla sua gioia, mentre entriamo nellasala preparata a festa dove ElisabettaVendramini, nel ritratto postoal centro, è la padrona di casa chesembra esprimere a ciascuna il suocaloroso welcome.Qui ogni comunità, in modo diverso,rende partecipi le altre sorelledel lavoro di riflessione sul carisma,ispirato al tema “alzarsi da tavola peroffrire un servizio regale”, che ha impegnatotutte negli ultimi due mesi.La comunità di Karen è chiamataad aprire il momento di condivisionee lo fa attraverso la lettura dibrani tratti dagli scritti della Fondatriceattinenti il servizio apostolico;le pause tra un brano e l’altro, lamusica che li accompagna rendonoil momento solenne e profondo.Segue la comunità di Naro Moruche attraverso una breve rappresentazioneteatrale punta sulle nuovesfide incontrate in questo tempo peressere vicine alle persone disabili.La rappresentazione della comunitàdi Kahawa narra di un dialogoideale con madre Elisabetta attraversole domande di una giovane suoraIl momento del Wellecome nel giardinodi Kahawa.e delle sue sorelle su come potervivere il carisma oggi e rispondereal dramma della prostituzione dellebambine e dell’alcoldipendenza chedistrugge i legami familiari.La comunità di Nthagaiya ha rappresentatola difficoltà di bilanciarevita fraterna, apostolato e preghierain una società in evoluzione cheesige dalla vita religiosa qualità dipresenza e chiarezza di identità.La conclusione è lasciata alla comunitàdi Mugunda che ci fa entrarenel dramma dell’aids grazie ad unarticolato lavoro in power point; nuovesfide si pongono davanti a noi: trale tante quelle di bimbi nati sieropositivi,ora adolescenti che si ribellanoad un destino che altri hanno “disegnato”per loro.Arricchite da quanto visto e sentito,frutto di impegno e cooperazioneall’interno delle singole comunità,nonché divertite dalla scoperta di attricinascoste... quanto improvvisate,condividiamo la cena preparata conil contributo di tutte e ricordandoun proverbio kikuyu: «La famigliache mangia insieme, cresce insieme»,continuiamo, non solo spiritualmente,il nostro fare corpo.L’incontro giunge al suo culminenella veglia della notte.In sala è buio, ci avvolge un silenziodenso di sentimenti, pensierie domande; l’unica luce provienedalla candela grande posta vicino alritratto della Madre. Grazie alla suafamiliarità con Dio, il carisma ora è“raggiungibile” da ciascuna: siamoquindi invitate ad accendere la nostracandela all’unica fonte primadi uscire in una solenne processioneche ci conduce alla cappella del noviziato.La musica che ci accoglie, le immaginiin power point che accompagnanola narrazione della sua vitaevocano in alcune luoghi familiari,mentre altre si sentono quasi preseper mano e accompagnate a visitarei luoghi della nascita, della vita, dellafondazione dell’Istituto e infine dellamorte di Elisabetta Vendramini.In un secondo momento, nellosfondo di altre immagini molto belle,Elisabetta stessa sembrava parlarcicon le sue Istruzioni, le Lettere ebrani dal suo Diario, esortandoci aduna compassione sempre rinnovataperché «Figlie… alta è la nostra origine,perché veniamo da Dio ed altoè pure il nostro fine perché a Dio andiamo.Cuori reali siano i nostri...»(I 9,4).A Dio lei è già ritornata, precedendociin un cammino che hala croce come sicuro indicatore dipercorso. Nella celebrazione del suotransito al Padre, che chiude la nostralunga giornata, emerge con chiarezzache non ci sono vie “altre”: la croce èstata la fonte della sua salvezza cosìcome lo è per ciascuna di noi.Ci si lascia nel silenzio, perché difronte al mistero della morte non cisono parole che possano “dire” nésguardi che possano “spiare”.Il giorno successivo è un giornonuovo, pieno di luce, dove tutto fremeper la celebrazione festosa perl’arrivo di una nuova figlia: JulianaNjeri diventa sorella elisabettina.La vita continua, finché il Signorevorrà. La compassione di Dio sianarrata ovunque: è così che madreElisabetta sarà viva per sempre!suor Agnes Karimi Gatitu,suor Anastasia Gathoni Maina,suor Teresa Wanjiru Kimondo1Tema della Assemblea quadriennale delKenya celebrata dal 21 al 29 agosto a Nairobi.2Presenti per l’occasione anche sr JudithMukoiti e sr Catherine Wambui, in Uganda peril corso triennale in infermieristica.3Benvenuta!in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IXVIII150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze Da BetlemmeRaccontareed essere «fonti di pace»Celebrare la beata Elisabetta Vendramini con i parrocchiani:un vero dono.a cura della comunitàdel Caritas Baby HospitalUno degli aspetti della pastoraleparrocchiale di padre SamuelFayez Fahim, parroco di “S. Caterina”,parrocchia cristiana latina diBetlemme è stato quello di accoglierela proposta di una commissione parrocchialeformata da religiose (tra lequali suor Lucia Corradin) che desideravafar conoscere ai parrocchianii vari Istituti religiosi operanti nellaParrocchia.Se il carisma dei fondatori è donodello Spirito fatto alla Chiesa, èimportante far conoscere la multiformericchezza di questi doni ai cristianiche vedono operare, con svariatiservizi, i figli e le figlie di questifondatori.Varie opportunità ci hanno permessodi stringerci attorno ai religiosi/edei vari Istituti operanti quia Betlemme.Il 150° anniversario della mortedi madre Elisabetta è stato per noiMomenti della celebrazione nella chiesaparrocchiale di “Santa Caterina”.l’occasione per far conoscere il donoche il Signore ha fatto alla beataElisabetta e che è stato consegnato anoi per farlo fruttificare nel tempo enello spazio.Gli impegni parrocchiali ci hannopermesso di celebrare l’evento il9 maggio 2010. Una data un po’“lontana” rispetto a quella propriadella ricorrenza ma, consapevoli cheil tempo è soltanto una dimensioneterrena, abbiamo accettato la propostadel parroco vivendo la memoriadella nascita al cielo di madre Elisabettacon una celebrazione eucaristicache è stata anche occasione perpadre Samuel, durante l’omelia, diinvitare i giovani presenti a non chiudersialla voce del Signore che continuaa chiamare ancora oggi come hachiamato un tempo Elisabetta.La celebrazione è stata solenne,animata dai canti del coro OliveBranch di cui fa parte anche suor Lucia.Tutti i canti inarabo ma..., sorpresafinale, l’inno del nostroIstituto L’amore ci possieda, musicatodal gruppo Gen, è cantato in italiano.È stato bello sentire echeggiarele parole della Madre in una chiesasituata a pochi metri dalla Grottache ha visto nascere il Figlio di Dio,così come è stato emozionante sentiresuor Erika raccontarci, all’iniziodella celebrazione, la vita della Fondatrice.È stato bello contemplarel’immagine di Elisabetta posta sottol’ambone, come segno della sua capacitàdi “dire” la Parola con la sfumaturaa lei consegnata dallo Spirito,lì dove la Parola ha preso formaumana in Gesù, vero Figlio di Dionostro Padre. È stato intenso, alla finedella celebrazione, consegnare unpane dolce in memoria del pane cheElisabetta condivideva con i poveri,proprio dove il Verbo si è fatto “pane”per la nostra fame di Infinito.È stato altrettanto importantestringerci attorno alla comunità cristianadi Betlemme per dire a tuttiche quello che facciamo al CaritasBaby Hospital trova la sua sorgentee radice nella grazia che una donnaha saputo accogliere, custodire e“trafficare” così che diventasse patrimonioper noi.Alla celebrazione erano presentianche i membri del Comitato Esecutivodell’ospedale e alcuni dipendenti,che sono diventati parte attiva inalcuni momenti della celebrazione- lettura della Parola, preghiere deifedeli, processione offertoriale -; conla presenza hanno voluto dirci la lorostima e il loro grazie.Ci hanno detto la loro vicinanzaanche alcuni amici sacerdoti che hannovoluto essere presenti, concelebrando,per condividere la nostra gioia.Nella sua semplicità e sobrietàla celebrazione ci ha fatto sentireparte di un popolo in cammino allaricerca, ognuno secondo i doni ricevutidallo Spirito, di modalità perdire l’amore del Padre in questa Terracosì tanto travagliata ma sempreSanta.XIX150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze Dall’Italia: Bassano del GrappaUn’eredità da custodireLa comunità scolastica ricorda una “illustre bassanese”:Elisabetta Vendramini.Bassano, duomo di Santa Maria in Colle:fonte cui fu battezzata Elisabetta Vendramini;a fianco, il registro dei battesimi: vi è segnatol’atto che attesta che la piccola Elisabetta èdivenuta cristiana, il 10 aprile 1790.Sopra: la torre civica da cui ha preso il nomela via, Dietro Torre, dove è nata ElisabettaVendramini, oggi dedicata alla Beata.di Annamaria Griggio stfeQuando muore una persona carasi cerca di raccoglierne l’eredità.Una eredità patrimoniale può essereutile per compiere opere di bene, mauna eredità spirituale consente divivere di quei beni.L’eredità che lascia ElisabettaVendramini alla sua morte – avvenutail 2 aprile 1860 – è fatta di uncarisma dono della compiacenza divinache lei vuole accenda il mondointero attraverso l’opera delle figlie;una famiglia religiosa ispirata allaspiritualità di san Francesco d’Assisi;una scia di bene che la presenza delleelisabettine lascia negli ambienti enei luoghi dove è chiamata a operare;opere e persone che ne continuanola trasmissione dei frutti testimoniandoneil duraturo valore. Perquesto è giusto onorare i benefattoridell’umanità negli anniversari dellaloro morte.Non abbiamo tuttavia fatto grandimanifestazioni: il pellegrinaggioBassano-Padova nel mese di aprile 1 ,percorrendo il tragitto che ElisabettaVendramini percorse dalla sua cittànatale a quella che Dio aveva sceltoper lei, e una solenne celebrazioneeucaristica nel giorno della sua festaliturgica, il 27 aprile.La celebrazione ha avuto luogonel duomo di Santa Maria in Colle– dove la beata è stata battezzata– con la partecipazione di alunni edex alunni dell’Istituto Vendramini,degli insegnanti, di molti genitori epersone amiche e del parroco dellaparrocchia dove ha sede l’“IstitutoVendramini”, don Rosino Giacomin.Ha commosso lo slancio e, non meno,il fervore dei fanciulli che, adeguatamentepreparati e interessati,hanno cantato con sicurezza le lodia Dio e alla beata Elisabetta.Le opportune, sapienti paroledel presidente, l’abate monsignorRenato Tomasi, hanno saputo attirarel’attenzione dei presenti aiutandol’assemblea a riflettere sulsignificato della festa e dell’onoreche si deve ai santi.Non meno ha saputo tenere destol’interesse, benché collocato allafine della celebrazione, l’interventodi suor Paola Rebellato che ha delineatoalcuni tratti della figura di ElisabettaVendramini particolarmenteadatti alla giovane età della maggioranzadell’assemblea.La sobrietà dei festeggiamenti èstata una scelta condivisa, fondatanon solo sull’amore all’umiltà dellabeata Elisabetta Vendramini, ma anchesulla convinzione che non tantole manifestazioni esteriori danno lustroa una figura, quanto la traduzionein atto dei suoi insegnamenti edei suoi esempi di vita.Il pellegrinaggio del 17-18 aprilee la celebrazione del 27 dello stessomese sono stati per noi due segnisufficienti a tener viva nella popolazionedi Bassano la memoria diuna concittadina che l’ha onorata eancora la onora con la continuazionedella sua opera educativa, mirataa rendere onesto e generoso il cuoredell’uomo e cittadino di domani,quell’uomo – dice Elisabetta Vendramini– «a cui Dio vuole versare la suabeatitudine» (D 303), «grand’essere,fatto solo per essere il dolce oggettodelle beneficenze divine e della suagloria» (D 220).1Cfr. In caritate Christi, n. 2/2010, p. 25.in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IXX150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze Dall’Italia: PordenoneQuel 27 aprile alla scuola“Elisabetta Vendramini”Una festa ricca di sorprese, gioia, coinvolgimento,stupore di grandi e piccini.di Marita Girardini stfeanni dalla morte di ElisabettaVendramini, 27 Apri-150le festa liturgica della beata ElisabettaVendramini… ricorrenze importanti,così importanti da vivere con i bambinidella nostra scuola, con chi lavoracon noi e con noi condivide ilprogetto educativo. Ma come?Era necessaria una modalità consonaa tutti, una modalità che sensibilizzassegrandi e piccoli alla festadi madre Elisabetta.È nato un grande gioco.I bambini si sono accostati a ElisabettaVendramini ascoltando dagliinsegnanti gli episodi della sua vita eagendoli.I giochi sono stati i più svariati aseconda dell’età dei bambini.C’è stato chi per formare il nomeElisabetta Vendramini ha fatto unacaccia al tesoro, chi ha usato il metododell’orienteering (gara di orientamento);i più piccoli si sono dilettatialla ricerca, tra le tante letterine, diquelle giuste per formare il nome acui è intitolata la loro scuola.Flash sul “grande gioco”: il gioco conle letterine per formare il nome “giusto”;pagina accanto: il “gioco delle scarpe.”Per spiegare ai più grandi comeElisabetta cresceva andando a scuolae come aiutava i bambini poveri, èstata consegnata una piantina dellevie di Padova in cui si doveva individuareviale Codalunga e via E. Vendramini(nella foto di pagina XXII). Ipiù piccoli hanno aiutato Elisabettaa portare i bambini a scuola percorrendoun labirinto.C’è stata la gara del colorare e tagliarele stelle per creare il cielo cheElisabetta vedeva di notte dalla regiasoffitta; il “miracolo delle scarpe” èstato vissuto, da tutti, cercando leproprie mescolate con quelle deglialtri in un grande mucchio; la sfidaa staffetta ha segnato il raccontodel grande cesto di frutta regalatoad Elisabetta per i bambini dellascuola.Per finire, i bambini, ancora divisiper classi, hanno risolto un cruciverba:i piccoli hanno trovato la parolamisteriosa “Elisabetta è beata” mentrei più grandi la frase molto cara adElisabetta: “Voglio che il mondo tutto siaacceso di amore”.Anche le insegnanti hanno accoltola propostache ha richiesto la“rinuncia” a un pomeriggiodi lavoro per un pomeriggiodi festa per Elisabetta.Con entusiasmo ciascuna hamesso del proprio: chi ha narrato,chi ha condotto i giochi, chi ha fattoda giudice, chi ha dato i tempi e chiha scattato le foto.Tutti insieme ci siamo immersinel mondo di Elisabetta in modogioioso e giocoso.Anch’io con loroome insegnante ho seguito inC quel pomeriggio i bambini diprima elementare per cui, pur avendosentito le grida di divertimento ele risate dei ragazzi più grandi, sonorimasta vicina ed ho fatto il percorsocon i più piccoli.Posso dire di aver avuto la fortuna,più che il compito, di stare conloro perché lo stupore, la curiosità el’entusiasmo nei bambini purtroppoè inversamente proporzionale allaloro crescita, a meno che non incontrinonella vita adulti capaci edesiderosi di aiutarli a conservarequesti doni.È stato bello sentirne le risatedurante i giochi, alternate ad unsilenzio quasi riverenziale nei momentiin cui veniva letta loro la storiadella beata Elisabetta Vendramini.La sentivano per la prima volta ela ascoltavano con attenzione davveroparticolare, quell’attenzionespeciale che i più piccoli riservanoalle narrazioni come se solo in esseXXI150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze si celasse la realtà: in un mondofatto di episodi, gag, sms, spot pubblicitari,la storia con la sua concatenazionedi eventi sembra unarealtà di cui i bambini sentono piùdi tutti bisogno.Tanto più una storia come quelladi Elisabetta caratterizzata da coerenza,fede, bontà: esempio di vita evirtù rare in ogni tempo, tanto piùin questo in cui sembra esistere solol”io” e il “qui e ora”.Negli occhi incantati davanti allettore e nelle bocche semiaperte deibambini mi pareva di leggere il pensieroche passava nella mente: “Maè una storia inventata?”, con tuttala fatica che credo debbano provarecontinuamente nel distinguere finzionee realtà.Io, come maestra e come persona,mi porto a casa da quel pomeriggio,lo sguardo di stupore puroe sincero, perché sono convinta che,finché si è capaci di stupirci del benee del male, non si è indifferenti:stupirci del bene ci dà la voglia diimitarlo perché ci ha toccato dentro,stupirci del male significa nonessere abituati e quindi continuare acombatterlo.Chiara Pasquini, insegnanteDall’Italia: PadovaUna festa a più vociSimboli, musica, canti, giochi che hanno coinvolto tuttala comunità educativa confluita nel cuore dell’opera diElisabetta: la Casa Madre.Un girasole colmo di doniLa mattinata del 27 aprile per glialunni della Scuola ElisabettaVendramini è stata davvero speciale.La Scuola anche quest’anno haproposto alle famiglie un gesto disolidarietà, in collaborazione conl’associazione “San Vincenzo” dellaparrocchia di S. Antonio d’Arcella,ossia la possibilità di raccoglieregeneri alimentari da distribuire allefamiglie più bisognose del quartiere.L’iniziativa ha riscosso per l’ennesimavolta un grande successo edè stata davvero considerevole la rispostaottenuta. Durante la mattinauna classe per volta si è recata nelluogo indicato per depositare i doni.Ad attendere i bambini c’era suorMaria Luisa che, attraverso dei pannelliraffiguranti la vita di Elisabetta,ha raccontato alcuni fatti importantiche hanno segnato la sua vita e lasua missione nel mondo.I bambini poi sono stati invitatia svolgere un’altra attività che li hacoinvolti in prima persona: il completamentodi un grande pannellocon rappresentati dei girasoli. Elisabettanei suoi scritti ha lasciato unmessaggio alle sue suore proprio apartire dall’esperienza del girasole:«Il girasole, abbenché coperto sia dinubi il caro astro che vagheggia, maicessa di rivolgersi a quello: così voi,sì nelle tenebre che nel pien meriggio,mai cessate di mirare il vero Soldi giustizia e di adorare, riverenti,quell’adorabile volontà della qualevi vorrei pazze, piene e ripiene e pervase»1 .La nostra attività voleva propriosottolineare che ognuno può guardaree fare riferimento nella propriavita al vero Sole, cioè Gesù.Il pannello rappresentava un girasoleda completare, formato da 16petali, tanti quante le sezioni e leclassi di cui è composta la Scuola.Ogni bambino doveva con un ditodipingere una parte di petalo chene componeva la corolla e lasciareall’interno del grande pistillo il proprionome come segno di adesione esintonia con il messaggio proposto.Le risonanze ricevute hanno dimostratoche anche questa iniziativaè stata ben accolta dai bambini chein<strong>Caritate</strong>C H R I S T IXXII150° anniversario


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze hanno partecipato e lavorato conentusiasmo.Questo momento di festa inoltreha voluto rispecchiare il tema generatoreche la comunità educativadella Scuola ha portato avanti inquest’anno scolastico, esprimendola voglia di essere come un girasolesempre rivolto verso il Sole-Gesù,portatori di una luce in più.Emanuela Greggio, insegnanteCon una nota di luceIl 30 aprile scorso si è tenuto pressola Sala Polivalente dell’IstitutoVendramini di Padova il Concertodi Primavera, iniziativa che nasce daldesiderio di vivere la scuola condividendoesperienze, emozioni e riflessioni.In sintonia con tutte le attivitàscolastiche, anche per questo momentoci si è ispirati al tema dell’annoUna luce in più, diventato perl’occasione Con una nota di luce.Si è inoltre colta l’occasione direndere omaggio alla memoria diElisabetta Vendramini nel 150° anniversariodella morte, attraverso lalettura di brani particolarmente significativitratti dai suoi scritti. Edè stato proprio lo stile semplice maprofondo di questi testi a darci l’ispirazionenella scelta del programmamusicale.Molti gli elementi che emergevanodalle riflessioni sul tema dell’annoe dagli Scritti di Elisabetta che ci premevamettere in risalto: la semplicità,che caratterizza i sentimenti più verie profondi; la natura umana, fatta didubbi, tentazioni, sbagli; la fede, conla sua straordinaria capacità di “daresenso”, di avvolgere e comprendere edi rappresentare quella luce cui ognispirito anela; la luce che, oltre ad esseretema dell’anno, ci riporta anchealla figura degli angeli con il loro meravigliosoe confortante significatosimbolico e spirituale.Insomma tanti spunti per stilareun programma musicale adeguatosenza dimenticare che ogni ascoltatore,purché lo voglia, può trovarenella musica il proprio percorso diriflessione così che essa possa diventarela dimensione ideale dove ascoltarese stessi.Ecco allora che nella musica diAstor Piazzolla ritroviamo gli echimalinconici e talvolta passionali dell’esseremateria, mentre in Arvo Pärtla scrittura semplice, rarefatta e ripetitivaci colloca in una dimensionecontemplativa dove spazio e temposembrano perdere il significato terrenoper trasformarsi in una lodeall’Infinito.E Manuel De Falla, con la DanzaRituale del Fuoco che ricorda le paroledi Elisabetta, ci riconduce bruscamentealla nostra natura terrena.Le due Ave Maria ed il DomineDeus cantati da Diana Trivellato rendonoinfine omaggio, con il lorocontenuto testuale, alla figura dellaMadonna che, prima ancora di qualunqueconsiderazione di fede e dipensiero, rappresenta un insostituibilepunto di riferimento per tuttal’umanità.La lettura dei testi tratti da variScritti di Elisabetta Vendramini,proposta da due suore, ha arricchitouna serata che, ancora una volta,ha centrato l’obiettivo di rendere lascuola luogo di incontro, riflessione,cultura e divertimento.Un sentito ringraziamento alleartiste padovane Diana Trivellato edAlessia Toffanin checon la loro disponibilitàe professionalitàhanno reso possibile la serata.Alessandro Fagiuoli, genitoreIn festa con ElisabettaUna scuola in festa. Una comunitàin festa. Questo il climacondiviso lo scorso 16 maggio in occasionedella festa di fine anno dellascuola, che ha vissuto un momentodi gioia, di condivisione e di ricordoper i 150 anni dalla morte di ElisabettaVendramini, fondatrice dellesuore elisabettine.Una festa iniziata il 27 aprile nellaquale ogni bambino ha compiutoun gesto di solidarietà per i più poveri,proseguita poi il 30 aprile con ilconcerto di primavera e culminata il16 maggio con il pellegrinaggio.Il tema conduttore, “Una lucein più”, celebra Elisabetta quale testimonedi luce: come un girasole,sempre orientato verso il sole, allaricerca di luce, è divenuta lei stessaluce e portatrice di luce.Arriviamo in prossimità dellascuola in un’atmosfera di festa. Unamusica si diffonde in tutto il quartiereinvitando ad entrare.All’ingresso, come consuetudine,XXIII150° anniversarioin<strong>Caritate</strong>C H R I S T I


Le celebrazioni dei 150 anni: racconti e testimonianze l’accoglienza è un sorriso. Sono lesuore. Una mamma chiede: «Quantisiete?». E aiutata da suo figlio offreun pass da mettere al collo per il pellegrinaggioche sta iniziando.Il pass ha un girasole disegnato,il fiore simbolo della giornata. Ciritroviamo in giardino ed in moltisiamo emozionati. Lo si vede dalleespressioni dei volti. I bambini perprimi, perché, insieme ai loro genitorie agli insegnanti, sono a scuolala domenica. Un luogo dove amanoritrovarsi; i genitori per l’atmosferache si respira, gli insegnanti e la direzioneper la gestione della festa.Dopo una breve presentazionedella giornata la musica riscalda icuori attraverso le voci dei maestriGiulia ed Antonio e tutti insiemecominciamo il pellegrinaggio dallaScuola alla Casa Madre delle suoreelisabettine.«Nella gioia del Signor marciamo,nella luce del Signor marciamo,nell’amore del Signor marciamo».Alle voci calde e coinvolgentidi Giulia ed Antonio rispondono icinquecento genitori e alunni ed èun’emozione per tutta la comunitàdell’Arcella.Foto alle pagine XXII-XXIV: momentidella festa del 16 maggio in Casa Madre,che ha coinvolto tutta la comunità.Mentre passeggiamo le finestredelle case del quartiere si animano,si affacciano persone che stanno trascorrendoun giorno di festa in famigliae sono attirate dalla melodia chearriva dalla strada.Il traffico rallenta, la città si fermaper un attimo. E le strade siriempiono di musica, di gioia, diluce, in un’emozione che cresce notadopo nota. Minuto dopo minuto.Una mamma dice: «La mia bimbanon cammina di solito». La piccola,invece, arriverà dritta e felicefino alla Casa Madre.In piazza Mazzini una sosta diraccoglimento e preghiera e attraversovia Vendramini raggiungiamo laCasa Madre.Ci accoglie un’atmosfera di veragioia. La casa di Elisabetta si apre,come tanti anni prima lei aveva volutocon le giovani che la frequentavano.Il giardino interno, centrale, ècuratissimo. Tutt’intorno i locali cheospitano le suore. Le sorelle sonofelici, e, dal terrazzo del primo pianoinondato di fiori, salutano i genitoried i bambini.Ordinatamente ci sistemiamo nelgiardino dove è stato predisposto undisegno su stoffa raffigurante deigirasoli, realizzato dai bambini dellascuola primaria e dell’infanzia che loriconoscono e sorridono.La Superioragenerale fa gli onoridi casa, saluta a nomedi tutte le comunità di Casa Madre,contenta di averci ospiti.Suor Barbara spiega ai bambiniche il girasole è un fiore che habisogno del sole per vivere. Che ilsole è Gesù. Ed i bambini di quintain risposta piantano tre girasoli nelcentro del giardino (nella foto di paginaXXII).Poi via ai giochi: dodici postazioni,e genitori e figli insieme ridonoe si divertono fra salti, balli, palloncini,disegni, barattoli, cucchiai,musica.La tredicesima postazione è quellapiù significativa, la visita della regiasoffitta. La casa di Elisabetta siapre ed i bambini entrano, curiosi esilenziosi.Una sorella racconta la storiadi Elisabetta con Felicita e Chiara,due assistenti cresciute agli Esposti.Racconta di quando Elisabetta dissealle due amiche: «Suor Chiara, suorFelicita, radunate le fanciulle povereche trovate per strada, insegneremoloro a leggere e a scrivere, a cucire, atenersi in ordine, a cucinare; pregheremoinsieme. Ma la sera tornerannonelle loro famiglie perché a nessunadeve mai mancare la famiglia, anchese questa è povera».I bambini ascoltano il racconto.E incuriositi fanno mille domande.Una volta ultimata la visita, ancoraballo, con il maestro Antonioche per tutto il pomeriggio ha tenutola regia tecnica della festa. Ilgelato conclude questo pomeriggiospeciale insieme.Le suore ci salutano e lasciamocontenti la Casa Madre, con il cuoreleggero ed arricchito da una luce in più.Una mamma chiede al suo bambino:«Come sta il tuo cuore? Ti èpiaciuta la giornata?».Suo figlio risponde: «Tantissimo,mamma, sia il pellegrinaggio che igiochi con i miei compagni. Quandotorniamo?».Pierangela Paniconi, genitore1Elisabetta Vendramini, Istruzione 15..in<strong>Caritate</strong>C H R I S T IXXIV150° anniversario


in camminoIV ASSEMBLEA INTERNAZIONALE DI GOVERNOPartecipare e condividereVerso il Capitolo generalein camminodi Francesca ViolatostfeIn cammino insiemeper rendere attualeil sogno di madre Elisabetta.Dal 30 settembre al 10 ottobre2010 si è svolta la quarta Assembleainternazionale di governoche ha visto convenire in Casa Madrele responsabili delle comunità di AmericaLatina, Kenya, Egitto, Italia;un’opportunità per formarsi insieme edelaborare strategie e proposte di camminoverso il prossimo Capitolo generaleche verrà celebrato a luglio 2011;un’occasione per sentirsi in “cammino”,con un passo a volte incerto a voltedeciso e fiducioso, che comunque sempreesprime il desiderio di rendere attualeattraverso passi e gesti il sogno di madreElisabetta.Mi piace rileggere l’esperienza dell’Assembleaattorno alle due parole:partecipare e condividere.Si può condividere con un “sentireappassionato” così come lo ha vissutoGesù. Alcuni stralci della relazionedi don Sergio De Marchi (nella foto),sacerdote della diocesi di Padova, cihanno fatto stare, con semplicità e profondità.di fronte allo stile “incarnato einculturato” di Gesù: «Radicato nelsuo tempo e nella sua terra, negli stessiambienti di vita delle persone che incontra,è qui che Gesù attinge le parole,le immagini, i riferimenti grazie aiquali adempie alla missione che riconosceessergli stata affidata dal Padre.Di sicuro non banale o improvvisato,ma neppure dettato dal mero bisognodi trovare degli espedienti che gli permettanodi comunicare con maggioreFoto di gruppo delle partecipanti all'Assemblea di governo.facilità, questo modo di esprimersi diGesù lascia trasparire in lui un sentireappassionato nei confronti dellavita, degli uomini e dell’intero mondocreato. Un sentire che nasce da unaattenzione piena di sim-patia per tuttoquanto Dio ha creato. Un sentire che,oltre a scaturire da una attenzione pienadi sim-patia per ciascuna creatura,rivela d’essere il frutto di un cuoreche si è lasciato a lungo interrogare eabitare dalle persone incontrate e dallesituazioni vissute».Con queste note di “simpatia”ascoltiamo le problematiche e gliorientamenti delle diverse assembleeche si sono tenute, in tutti i Paesidove siamo presenti, nell’anno in corso:condividiamo la vita delle diverserealtà spaziando fra Italia, Africa,Argentina, Ecuador, riconoscendovila complessità, le problematiche, maanche la vitalità di ogni realtà.Fanno ancora eco parole conosciute,e non sempre totalmente vissute,come: ritornare alla motivazionefondante, riaccendere... ravvivare...cercare i nuovi scenari e soggettiemergenti della nostra attività pastorale...liberare spazi perché altriabbiano spazi... dimensionamento...complessità del governare...Questa riflessione segnerà ancheil cammino verso il Capitolo generaledel quale è già stata innestata la marciadella preparazione.Suor Battistina Capalbo 1 , facilitatriceal Capitolo generale, ci fa intravederesentieri chiari di partecipazionee coinvolgimento nel cammino dellaFamiglia. L’obiettivo del lavoro da leicoordinato è di accompagnarci nellainterazione con il Governo generale;noi, dei “governi locali”, siamoottobre/dicembre 2010 39


in camminostate definite come “agenti,mediatrici” tra le nostre sorellee l’evento Capitolo.Apprezziamo la competenzadi suor Battistina(nella foto accanto), l’abilitànel condurre la ricerca e nelvalorizzare gli interventi; lapuntualità nelle risposte, nelchiarire questioni, nel fornirechiavi di lettura e ampliare significatia parole conosciute: sinergia, piattaforma,metodo induttivo e deduttivo,strategie…L’invito è a ricercare il massimodi partecipazione e coinvolgimentoda parte delle sorelle: permettere aciascuna di sperimentare la grazia dipartecipare a un momento forte dellafamiglia elisabettina. Solo così l’interioritàe la passione apostolica ne uscirannorinnovate e rimotivate.Alla fine, non senza la fatica dellaricerca del consenso, approdiamo alladecisione di adottare per il lavorocapitolare uno “strumento di lavoro”,precisandone le caratteristiche ela funzione.Anche per noi partecipanti all’Assembleaè forte l’invito al coinvolgimento,anche su temi un poco osticicome il Diritto, sulla base del qualerivedremo le Costituzioni.Fra Marco Vianelli, frate minoredella Provincia Umbra, guidail lavoro di due giornatee, prima di affrontare il temaspecifico delle Costituzioni,traccia un quadro teorico sulsenso del diritto; situa poiil Diritto Canonico nel suocontesto antropologico, ecclesiologico,ed in rapportoalla vita consacrata.L’uomo ha bisogno di regole perorganizzare il proprio vivere comunitario:«Dove c’è l’uomo c’è la società;dove c’è la società c’è il diritto; quindidove c’è l’uomo c’è il diritto.Il diritto è l’insieme delle condizioniche consentono all’arbitrio di ciascunodi coesistere con l’arbitrio deglialtri secondo un principio generale dilibertà».Fra Marco (nella foto accanto)sottolinea la diaconìadel codice di Diritto Canoniconei confronti del carismae ce ne offre alcune chiavi interpretative;chiarisce il ruolodelle strutture di governoe la relazione tra le sue parti.Ci sollecita a non aver timoredi cercare, oggi, quelle espressioni che“cristallizzino” meglio il carisma elisabettinoin norme.Tradurre il carisma in norme, pertrasmetterlo, può voler dire, in unacerta misura, anche tradirlo... ma paradossalmente,pur pagandone il prezzo,questo è l’unico modo perché il carismanon scompaia e si possa trasmetterealle nuove generazioni!Il lavoro procede intensamente,abbiamo bisogno di più... pause.Riprendiamo la nuova bozza delleCostituzioni, già più volte letta erivisitata, prima di darla ad experimentum.Ci addentriamo in questi temi conuna certa fatica: si aprono sempre nuovi“files” sul desktop; c’è un po’ di“sana confusione”: le relazioni trale diverse circoscrizioni e il governogenerale; il principio di sussidiarietà;l’appartenenza giuridica e affettiva;autonomia e dipendenza; ambiti digoverno del Capitolo generalee del Capitolo provinciale;l’identità del nostro Istituto:missionario o internazionale?,ecc…Non a tutto si darà unarisposta esauriente, consideratele molte variabili chenelle diverse situazioni si presenteranno.Emergono, comunque, alcuni“punti fermi”: il rinforzare l’idea dell'appartenenzaalla stessa famiglia religiosae la disponibilità a stare lì, dovela famiglia chiama, crea unità; l'offrirespazi di espressione all’originalità dicarismi personali sia nella missioneche nella vita fraterna favorisce vitalità;l'individuare i nuovi scenari e i soggettiemergenti, che oggi ci provocano,rinnova la passione apostolica.Consegniamo i lavori di questa assembleaa madre Elisabetta, perché ciaccompagni nella ricerca di espressionedel carisma oggi, anche attraverso itesti costitutivi, perché parli alle nuovegenerazioni e sia posto a serviziodel regno.in camminoSaluto finale alle sorelle dell’infermeria di Casa Madre,dopo la celebrazione eucaristica di domenica 10 ottobre.1Suora delle Figlie di San Paolo, professadal 1961. Esperta nel campo della comunicazione,ha approfondito la disciplina organizzativaapplicandola alla vita religiosa. Attualmentevive a Roma.40 ottobre/dicembre 2010


accanto a...bambiniPROGETTO “TERRE DI TOSCANA: STRUMENTI PER LA PACE”Un sorriso per la Palestinadi Lucia CorradinstfeUn'esperienza singolare di stareaccanto a chi soffre.Il gruppo Clown dottori al“Caritas Baby Hospital” di Betlemme.Le sorelle elisabettine sanno chesiamo presenti a Betlemme inun servizio dedicato ai bambinie alle loro mamme nell’unico ospedalepediatrico a tutt’oggi presente nellaCisgiordania: il Caritas Baby Hospital;non è da poco, davvero un privilegiopoter vivere accanto ai più piccolie proprio a Betlemme dove il Signoresi è fatto uomo, si è fatto bambinopovero, indifeso per essere solidale contutta l’umanità, in particolare quellapiù nascosta, bisognosa, che non haveramente voce! Forse parecchie saprannodel progetto Ricami iniziatoper l’intraprendenza di suor GemmaImparato 1 , continuato con passione ecreatività da suor Silvia Melato e orada suor Gemmalisa Mezzaro con altrettantapassione e attenzione!Ma forse pochissime sono a conoscenzadel progetto triennale “Clowndottori” iniziato nell’agosto 2007 e chesi concluderà alla fine del novembre2010.Si tratta di un progetto che peril terzo anno consecutivo vede unitediverse associazioni di volontariatoe diversi enti pubblici conl’obiettivo di rafforzare lo scambiotra Toscana e Palestina al fine disviluppare iniziative che possanofavorire il benessere fisico e socialedei bambini e dei giovani dellaPalestina, in particolare di quellidelle zone di Hebron, Betlemmee Gerusalemme. La missione vedeimpegnati tre Clown dottori dell’associazione“Banda del SorrisoOnlus” di Chianciano Terme che,grazie al contributo del comune diChianciano e della provincia di Siena,ed in collaborazione con la “FondazioneGiovanni Paolo II”, hanno sviluppatoun programma di formazione diclownterapia.L’iniziativa coinvolge dodici operatorisocio-sanitari dell’ospedale (tracui due suore: suor Jackeline Moreirae suor Lucia Corradin) con l’obiettivodi formare operatori socio-sanitari ingrado di sorridere di fronte alla malattia,non per superficialità, non perdisinteresse, ma per l’esatto contrario:per creare un rapporto empatico conil paziente ed aiutarlo ad affrontaremeglio la situazione difficile che sitrova a vivere.Il clown è una figura che ci è familiaree che, per la sua verità espressivae umana, può diventare anche un medico,un medico dell’anima. Nella culturaaraba la figura del clown è quasiinesistente e comincia a “far capolino”in questi ultimi anni. Inoltre, se consideriamoche gli operatori coinvolti sonotutte donne (solo un maschio) e, lamaggior parte, mamme, si può intuirela grande sfida umana ed educativapresente in questo progetto.Quest’anno il corso di una settimana,svoltosi in agosto, con la docenzadi Paolo Scannavino e Laura Donzelladell’Associazione “PromozioneSociale Endaxi” di Roma, ha previstoal mattino l’acquisizione di metodi distrutturazione di sketch di improvvisazione,tecniche di magia e creazionidi scene per realizzare uno spettacolo,nel pomeriggio un tirocinio obbligatorioa rotazione con interventi esternipresso varie strutture del territorio.Siamo stati al Crêche, l’orfanotrofioche accoglie i bimbi abbandonati odorfani o con alle spalle situazioni socialimolto difficili e che offre un serviziodiurno di accoglienza per i bambinidel territorio; al SOS Children Village,dove vivono oltre 100 bambini conetà compresa dai sei ai diciotto anni,in case che ospitano ciascuna dai setteai dieci ragazzi accuditi da una donnanon sposata che fa loro da madre;all’Istituto gestito dalle Suore di N.S. di Matara, che ospita bambini edadulti con handicap fisici molto gravi;a Yamima, un centro di Beitjala perbambini e adulti con handicap fisicidi vari livelli; all’Azione Cattolica diBetlemme per accogliere bambini e ragazzidella parrocchia, al Mehwar aBeitsahour, centro di accoglienza perle donne violentate, alla Casa di riposoper anziani proprio adiacente all’ospedale.Insomma non è difficileimmaginare l’impegno, la disponibilitàdi mettersi in gioco e la grandemotivazione che ha animato imembri del gruppo.A fine novembre il gruppo siritroverà per l’ultima settimanaformativa con il sostegno dell’amataBanda del sorriso e del preziososupporto educativo dell’altro docenteAndré.Qualche breve riflessione deimembri del gruppo e degli amiciClown dottori italiani potrà rende-accanto a... bambiniottobre/dicembre 2010 41


vita elisabettinare partecipi di emozioni ed esperienzevissute insieme, nella speranza chetutto concorra al bene e che tale benericevuto come dono e impegno portii suoi frutti di sorriso, allegria, partecipazioneper i nostri cari bambinipalestinesi!Ogni inizio è difficile. Ora nonabbiamo l’imbarazzo di fare il clown,ma per la nostra società è molto stranovederci vestiti da clown e fare degli spettacoli(Maha).Per la mia età (47 anni) questo corsoè stato molto importante perché ho trovatoil bambino dentro di me che forsenon avevo mai conosciuto! (Awatef).È stata una settimana molto intensae ho vissuto momenti gioiosi… Hoammirato queste donne, mamme, chelasciano mariti e figli per dedicarsi aquesta attività (suor Jackeline).Mi sono commosso nel vedere lavoglia di emergere del gruppo e latenacia di esporsi e come ci può essereun arricchimento personale. Ringraziociascuno per il dono unico di ognuno(Alessandro, Banda del sorriso).Vedervi per la prima volta in azionein ospedale e fuori nelle diverse struttureè stata una grande emozione: insieme sipuò aprire una piccola breccia nel muro!(Sara, Banda del sorriso).Il cammino è molto lungo e spetta anoi decidere cosa fare. Posso però direche tutto il gruppo ha fatto un percorso,ha aperto delle porte. Sta a ciascunodecidere cosa fare con quanto scoperto!(Laura, docente romana).Non è la strada di chi parte perarrivare, ma è la strada di chi arrivaper partire!Ci auguriamo di non stancarci dicamminare, di avvicinarci il più possibilea quello che ci fa naturalmente buffi.Bisogna non opporre resistenza anoi stessi, al nostro lato puramenteinfantile. La fragilità del clown è lasua forza”.1Cfr. Silvia Melato, Bellezza in ricamo, inIn caritate Christi, 4/2005, pp. 10-11.VENTICINQUESIMO DI PROFESSIONE RELIGIOSACome sasso sul torrentedi Enrica Martello stfeSabato 18 settembre 2010 nellachiesa di San Giuseppe in CasaMadre suor Patrizia Cagnin e suorDaniela Cavinato hanno celebrato il loroventicinquesimo anniversario di professionereligiosa.L’eucaristia è stato il modo attraversoil quale suor Daniela e suor Patrizia hannovoluto condividere con i familiari, le personecare incontrate nel cammino e le sorelleelisabettine la loro gratitudine a Dio.Don Giuseppe Zanon, che ha presiedutol’eucaristia, ha ricordato la fedeltàdi un cammino, egli che aveva venticinqueanni prima, il 7 settembre 1985,celebrato la loro prima professione.Nell’omelia ha ricordato i diversi sentimenticon cui si presiede l’eucaristiadella prima professione e l’eucaristia diun venticinquesimo: colma di gioia madi trepidazione la prima, colma di gioiama di sicurezza e conferma la secondapoiché venticinque anni sono un temponel quale la vita al seguito di Gesù si èconsolidata in una risposta di fedeltàsempre nuova e insieme stabile.Con una immagine davvero evocativadon Giuseppe ha espresso il sensodella vita di una persona consacrata, unsenso che non si comprende in astrattoma nella conoscenza e nell’incontropersonale.1Vedi In caritate n. 2/2003, p.La persona consacrata non è chiamataad un amore unico, definitivo,esclusivo nei confronti di un’altra persona,ma può essere paragonata adun sasso nel torrente. Nel camminoqualcuno appoggia il piede su quelsasso e solo in questo modo, in alcuneoccasioni, in alcuni momenti, riesce adattraversare il guado della vita. Quel sassorimane luogo di salvezza, di crescita,di consolidamento per una vita che poiprosegue, anche lontana da quel luogo,da quell’incontro, da quel momento.La presenza di molte persone allafesta di suor Daniela e suor Patrizia rendetestimonianza del loro essere state“sasso nel torrente” per molti nei loroventicinque anni di vita al seguito di Gesùe al servizio dei fratelli.Quel tutto sarà in comune tra noi,che suor Patrizia e suor Daniela hannosigillato nella professione perpetua nel1991 si è reso concreto nella loro vitaattraverso la disponibilità e l’adesione aquanto è stato loro chiesto come membravive della famiglia elisabettina.La gratitudine e la riconoscenza sonostati i tratti che hanno caratterizzatola celebrazione e il successivo incontrarsifraterno nel contorno bello delgiardino di Casa Madre.Con suor Daniela e suor Patriziaabbiamo ricordato anche suor SoadYoussef che ha fatto la sua prima professatonel 1985 a Tawirat, in Egitto. Da sinistra: suor Daniela Cavinato, suor Patrizia Cagnin e suor Soad Youssef.42 ottobre/dicembre 2010


memoria e gratitudineCELEBRATI QUARANT’ANNI DI PRESENZA IN ARGENTINAAncora insieme per continuarea costruire comunitàa cura di Loredana ScudellarostfeEra il 4 ottobre del 1970 quando la“Eugenio C.” si staccò dal portodi Genova con a bordo le primetre sorelle che lasciavano alle spalle ivolti di tante persone care. Arrivò aBuenos Aires il 16 di ottobre del 1970,e qui le suore diedero inizio all’operavoluta dal Signore.A distanza di quarant’anni, il 10 diottobre 2010 abbiamo fatto memoria delnostro impianto in terra argentina conuna giornata di festa. Erano presenti aquesto momento di festa tutte le cinquecomunità.La giornata è iniziata con una processione(nella foto in basso) attraversoil nostro barrio, accompagnate dai bambinidi “Casa Familia”, dai membri delMovimiento isabelino para el mundo edai parrocchiani. I canti esprimevanoil grazie al Signore per averci guidatoin tutti questi anni nel servizio socioassistenziale,educativo e pastorale allapopolazione di Burzaco, Junin, Ojo deAgua, Pablo Podestà e Centenario.Raggiunta la chiesa parrocchiale,la celebrazione eucaristica, presiedutadal nostro parroco, padre WaldoBritez, è stato il momento culminedella nostra riconoscenza (nella fotosopra, ai piedi dell’altare sono simbolicamentepresentate le comunitàdell’Argentina).Mi piacerebbe che oggi fosseropresenti persone che ci hanno accompagnatoagli inizi del nostro servizio,come padre Giuseppe Garbuio, suorElena Bosa, suor Idalberta Bonetti,padre Claudio, il diacono Ugalde,Iglesias, Fortunato Gomez, le catechistee le legionarie di Maria e tantealtre il cui ricordo custodisco nel miocuore.La motivazione per la quale siamostate inviate qui è stata quella di collaborarecon i sacerdoti a costruire unanuova comunità cristiana: padre GiuseppeGarbuio, infatti, da poco tempoaveva ricevuto il mandato di parrocodi questa parrocchia che in quel temposi chiamava “San Pablo”.Non mancarono le sfide, le difficoltàproprie degli inizi: l’apprendimentodella lingua, la familiarità conla nuova cultura, la lontananza da casacon poche possibilità di comunicazione.Non c’era internet, messenger ofacebook, c’era solamente il telefono inBurzaco.Però abbiamo incontrato tantepersone che ci hanno aiutato, sostenutoe incoraggiato nell’inserimento e nelservizio che all’inizio era pastorale.Quello che mi porto in cuore diquesto inizio è il grande impegno percreare comunione, per creare una comunitàviva e impegnata, con l’appoggiodelle parrocchie vicine come quellaArgentinadell’Immacolata a Burzaco Centro edi Betharram. Desidero ringraziaremolto tutti i parroci che sono stati inquesta comunità e con i quali abbiamolavorato, assieme alle suore di S.Giuseppe che ci appoggiarono molto eci furono di grande, fraterno aiuto neimomenti di difficoltà.Abbiamo lavorato molto con le catechistee i vari gruppi, anche quellifamiliari, per creare nuove cappelle,perché la parrocchia si espandeva.Abbiamo anche cercato di mantenereviva la dimensione della compassionee della cura della persona proprie delnostro carisma aprendo un piccolo dispensarioper assistere gli ammalati eaiutare le famiglie della parrocchia.La gente del barrio ci ha accoltocon tanto affetto e rispetto.Ho vissuto in questa realtà pertanto tempo e ho potuto constatarecome la gente sia cresciuta nella fede enell’impegno cristiano, pur nelle difficoltàdella vita quotidiana.Ringrazio il Signore per essere venutaqui a servirlo. Con il passar deltempo ci siamo sentite a casa: nel la-memoria e gratitudineSuor Mirella Pol, in Argentina datrentanove anni, ha portato la sua testimonianza.«Sono una delle prime suore arrivatein Argentina; i ricordi sono tanti,tante sono le persone che ho incontratoe anche gli avvenimenti vissuti.43


memoria e gratitudineArgentinavoro per il regno di Dio non ci sonoconfini e dove si incontra la Chiesa cisi sente a proprio agio».Con un grazie alla comunità cristianaper aver accolto e collaborato con lesuore elisabettine condividendo la gioiae i momenti di tristezza, ha salutatotutti con un francescano “pace e bene”,da portare in ogni famiglia.Dopo la celebrazione eucaristica lacomunità parrocchiale riunita nel salonedella Caritas ha voluto esprimereil grazie proiettando delle diapositivesugli inizi della nostra presenza a Burzaco;sono seguiti giochi e canti in unaconvivialità gioiosa.La torta dei “quarant'anni”: suor Mirella Pol, la “testimone” degli inizi, ha l’onore dispegnere le candele; con lei tutta la “comunità elisabettina” presente in Argentina.CELEBRAZIONE ALLA “CITTADELLA DELLA CARITÀ”Innamorate di Cristo e dei suoi “piccoli”Cinquant’anni di vita di amore e di serviziodi Rosanna Rossi stfeIl 4 ottobre 2010 il vescovo di Padova,monsignor Antonio Mattiazzo,ha presieduto la santa messa concelebratada quaranta sacerdoti diocesanie venticinque sacerdoti malati presentiall’Opera per ringraziare il Signoredel miracolo di carità rappresentato inquesti cinquant’anni (19 marzo 1960)dall’Opera della Provvidenza Sant’Antonioa Sarmeola. È stata occasione ancheper dire grazie all’attuale direttoremonsignor Roberto Bevilacqua, che conintelligenza e lungimiranza ha ristrutturatol’Opera per renderla sempre piùaccogliente e capace di abbracciare lesofferenze di quanti vengono a chiedereospitalità; un grazie particolare allesuore elisabettine che hanno dato vita esenso all’Opera stessa (le suore elisabettinevi arrivarono il 2 luglio 1959 perpredisporre gli ambienti).Dopo la celebrazione è stato benedettoe inaugurato il complesso44 ottobre/dicembre 2010degli uffici, alloggio religiosi e centralino-reception,ultima tappa del pianogenerale di ristrutturazione che per piùdi vent’anni ha interessato tutta l’Opera(vedi foto della pagina accanto).La celebrazione era stata preceduta,domenica 3 ottobre 2010 alleore 18.30, da un concerto offerto dallacappella musicale della pontificia Basilicadi S. Antonio, diretta dal maestroValerio Casarin.È un giorno davvero speciale oggiin cui celebriamo la festa del nostro padresan Francesco, che, abbracciando ilpovero lebbroso, ci ha indicato la stradaper stare accanto a chi soffre, è emarginato,escluso, povero ed indifeso.Questa festa, nata per celebrare icinquant’anni di vita dell’Opera, è vissutada tutti con una tale intensità disentimenti che ci fa davvero cantare congioia: Dove siamo riuniti nel tuo nome,Dio verrà e in mezzo a noi abiterà.La messa è accompagnata solennementedal coro di una trentina di suore,che cantano il loro grazie a Dio a nomedella grande famiglia dell'Opera.Una folla in poco tempo invade ilviale e in breve la chiesa è gremita: gentesemplice, forse anonima, gente chevuole esserci, che vuole entrare nellafesta perché sente che è la festa di tutti.Chi ha attraversato il cancello infretta non se n’è accorto, ma moltil’hanno vista e si sono fermati adosservare: una grande croce da cuipartono raggi argentati accoglie tuttia braccia aperte. Una croce comesegno di speranza e di vita. Essa è lìad indicare che lui, il Crocifisso risorto,rappresenta tutti quegli amici che,crocifissi, abitano nella grande casa,e che, come lui, sono risorto, perchéhanno scoperto l’amore.Attirata dalla forza che provieneda quel Crocifisso, la folla s’avvicinaalla casa ed entra nell’armonia di unmondo che ha qualcosa di “divino” edi “eterno”.La festa è anche questa presenzadi persone che hanno capito e creduto


Italiaall’amore, ed oggi sono qui per raccontarequanto questo amore sia vitale.Una storia segnatadall’amoreSono passati cinquant’anni daquando il vescovo di Padova, monsignorGirolamo Bortignon, ha inauguratoquesta casa: una “provvidenza”per tutti, vicini e lontani; un’ancora disalvezza per quanti portavano sofferenzenel cuore e nel corpo, ma ancheper quanti l'amore non l'hanno conosciutoo sperimentato abbastanza.E la gente oggi offre anche la bellatestimonianza dell’importanza dellapresenza delle suore che dall’inizio sonostate qui madri amorose e vigilantisui figli loro affidati. «Abbiamo pianto– ricorda la cronaca - nel vedere queibambini o adolescenti entrare in questacasa, ma abbiamo pianto di gioianel vedere di quanto amore fossero circondatie curati. Ogni suora una dolcefigura di donna innamorata di Cristo edei suoi fratelli più piccoli».Sono trascorsi cinquanta anni edi suore elisabettine ne sono passatetante, più di duecentocinquanta e tuttehanno lasciato un’impronta, una lezionedi vita, una storia...Noi suore siamo venute all’Operanon solo perché il Vescovo di Padovaci ha chiamate a servire gratuitamentequesti fratelli, non solo per obbedirealla Superiora generale che sceglievae inviava, ma perché attraverso questemediazioni abbiamo capito (forse nonimmediatamente e non facilmente),che lo stare qui risponde a quell’anelitoprofondo inscritto nel nostro carismache ci permette di esprimere maternitàarricchita dall'esperienza dell'amoremisericordioso di Dio Padre.L'Opera è stata una scuola di vitadove abbiamo imparato che la nostravera grandezza è farci piccole e lavera ricchezza è farci povere, comeci chiede la nostra madre ElisabettaVendramini.Ricordando gli inizi, la cronacadella comunità racconta: «L’idea dicostruire una casa per accogliere bambinio adulti minorati fisici e psichici èmaturata, nell’anno 1955, nella mentedi S. E. monsignor Bortignon, vescovodi Padova, il quale si recò dalla Rev.ma Madre generale suor CostanzinaMilani, per chiederle suore che gratuitamentesi occupassero degli ammalatiche in questa casa sarebberostati accolti. In seguito così ricorda lacronaca: Il 2 luglio 1959 le prime tresuore (suor Costanzia Cisilino, superiora,suor Crispinina Biasion, suorVitalina Maschio, seguite subito dopoda altre quattro, ndr), accompagnatedalla superiora generale suor AlfonsinaMuzzo e dalle consigliere generali,fecero ingresso nella nuova casa cheverrà chiamata “cittadella della carità”.Per otto mesi, con instancabileabnegazione e sostenendo sacrifici diogni genere, prepararono una degnaabitazione, con ogni conforto, per ibambini che la società dimentica odisprezza, mentre sono i prediletti percoloro che dal Vangelo hanno appresogli insegnamenti di Cristo».E nell’anno seguente, ottobre1960, si legge ancora: «Una quindicinadi ragazzini ed alcuni bambini intellettualmenteintegri, ma colpiti fisicamenteda atrofie muscolari, hannopotuto iniziare la scuola elementare.Era grande il desiderio di imparare,non c’era bisogno di chiamarli per andarea scuola, o da soli o accompagnatiarrivavano felici in aula. Era commoventeosservarli con quanta fatica econ quanto entusiasmo ogni mattinosi portavano al loro posto!».Un grazie corale...protesi verso il futuroOggi anche la famiglia elisabettinaringrazia il Signore per questa Operagrande e profetica insieme: qui ad ognipersona è data dignità e rispetto qualecreatura di Dio, da lui amata con tenerezza.Qui gli “ospiti” sono tutti “belli”,amabili; è un piacere visitarli e intrattenersicon loro… davvero l’amorescaccia ogni timore! A ciascuno vieneofferta ogni opportunità per migliorarela propria situazione di vita, aciascuno si parla di Dio e lo si aiuta adelevarsi a Colui che provvede ai suoipiccoli con squisita provvidenza.È grande l’Opera soprattutto perchéal centro di essa c’è Gesù eucaristiasempre esposto all’adorazione; lui è ilIl coro delle suore che ha accompagnato la celebrazione.memoria e gratitudineottobre/dicembre 2010 45


memoria e gratitudineItaliacuore della Casa, lui è il centro propulsoreche attira la gente a prendersicura di chi vi abita; è lui il motore dellaProvvidenza. È lui che dà ad ognielisabettina la gioia di donarsi sempresenza risparmio, nella giovane età onell’età matura, perché ogni giornoimpara dall’eucaristia l’amore gratuitoe misericordioso.È grande l’Opera perché aperta alfuturo, ad ogni frontiera del disagiopsico-fisico e sociale perché è luogodi accoglienza amorosa in un mondospesso superficiale ed egoista.Dagli inizi molte cose sono cambiateper porsi al passo con l’evoluzionedella società, per rispondere a una domandasempre mutevole, alle famiglieche bussano chiedendo nuove risposte.Anche per noi le cose sono mutatecon il passare degli anni. Nonpiù un gruppo forte di suore ricchedell’energia dell’età, ma una presenzavariegata: accanto ad alcune giovani,sorelle provate dagli anni e da qualchesofferenza, ma non per questo indebolitenella passione e nella dedizioneamorosa. Anche le competenze che cisono richieste ora sono diverse: conquella professionale sempre più ne-l’ottobre 1969, anno significativo perla famiglia elisabettina, in cui trovaattuazione la spinta innovativa delCapitolo speciale (1968), confermatadal successivo ventiduesimo Capitologenerale ordinario (1969).In quel contesto matura nell’Istitutol’esigenza di nuove aperture cheprevedessero l’inserimento delle suoreanche nella pastorale del lavoro.Pertanto, il 3 ottobre 1969, lasuperiora generale suor BernardettaGuglielmo, comunica al vescovo diUdine, monsignor Giuseppe Zaffonato1 , di aver deliberato, con il suo Concessariaè la competenza relazionale edi collaborazione.Collaborazione con i professionisti egli operatori laici, con il mondo del volontariatoche all’Opsa rappresenta unaricchezza umana davvero invidiabile.Il lavoro delle suore trova conferma,stima e fiducia in particolare nella personadel direttore dell’Opera, mons RobertoBevilacqua che in più occasioni hatestimoniato la preziosità della presenzadi ciascuna che, sull’esempio della beataMadre, sente suo onore servire i poveri esua gioia scomodarsi per essi. «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testatad’angolo» (dal Salmo 118)Gli ospiti che sono accolti all’Operadella Provvidenza, siano essidisabili o anziani non autosufficientio persone con problemi di Alzheimer,sono sicuramente una pietra scartatadai costruttori d’oggi: una pietrache non produce, non consuma,non spende, non vota… una pietrada scartare. Una pietra però che loscandalo della fede vuole… testatad’angolo, la pietra portante della costruzionedi un edificio. Una pietra sucui poggiare le altre (…). Anche sedeboli, gli ospiti diventano “maestridi vita” e molte persone, giovani eadulti, pellegrini all’Opera, imparanoalla “scuola di carità” le lezioni autentichedi vita: la gratuità, il sorriso,l’attesa, la speranza, la consolazione,la preghiera, la fiducia, l’abbandono,la carità operante, il silenzio e tutti ivalori autentici che la nostra società,a volte troppo consumistica ematerialistica, spesso dimentica ovolutamente soffoca con surrogatidi felicità (…). Esiste nelle personedisabili un’intelligenza del cuore chesi coglie quando si ha la pazienzadi ascoltare e guardare. Espressionidel volto, gesti e umori che chi staaccanto a loro, come le nostre suoree i nostri operatori, può percepire ecomprendere.(da: Matteo Berto,50 anni di accoglienza servendoCristo nei fratelli, p. 69)VIAGGIO NELLA STORIAAccanto alle operaie in fabbricadi Annavittoria TomietstfeIl filo della carità elisabettina inFriuli, negli anni del dopoconciliosi esprime con un’aperturaaccanto alla donna operaia,come era avvenuto nel primoNovecento nei cotonifici diPordenone, di cui parleremoprossimamente.46 ottobre/dicembre 2010Muzzana del Turgnano: si trattadi una località situata nellabassa pianura friulana, a circadieci chilometri da Latisana, versoMarano Lagunare e Grado. Il Paeseprende il nome dal fiume Turgnano,un corso d’acqua il cui bacino si sviluppacollegando Muzzana con altripaesi.Nella seconda metà del secoloscorso Muzzana divenne, per unquinquennio (1969-1974), “luogo dimissione” dell’Istituto.Negli atti d’ufficio, Muzzanacompare la prima volta alla data nel-


siglio, l’invio di tre religiose a Muzzana,per l’assistenza a un gruppo dicentoventi operaie maglieriste, dietrorichiesta del comm. Regona, direttoredel maglificio “S. Vitale”. Chiedequindi l’autorizzazione per costituireuna nuova comunità, autorizzazioneconcessa dall’Arcivescovo il 30 ottobre1969.Il servizio avrebbe dovuto esseredi presenza e sostegno morale accantodelle operaie, senza responsabilitàproduttive o altre cariche. La datadi inizio dell’opera è fissata per il 15ottobre 1969.La convenzione stipulata fra le dueparti prevede la presenza di tre suore alMaglificio “S. Vitale” per l’assistenzaalle operaie durante le ore di lavoro,dalle ore 8 alle 12 e dalle 14 alle 18,con possibilità di organizzare, al difuori dell’orario lavorativo, un pianodi formazione per le medesime.Nel giorno fissato, accompagnatedalla superiora generale suor BernardettaGuglielmo, entrarono allafabbrica suor Mariarosa Gallo e suorFranca Montin, alle quali si unì piùtardi suor Priscilla Cappuzzoni.Due giorni dopo il loro arrivo,l’Arcivescovo di Udine, un po’ perplessosul fatto che due religiose fosseroentrate a lavorare in una fabbricadi una zona piuttosto laica, mandò afar loro visita p. Ermenegildo Bosco,delegato per le religiose. Egli, incoraggiandole,invitò il parroco del paese,don Giovanni Martinis, a sostenerlespiritualmente.Volentieri don Giovanni aderì allarichiesta poiché aveva avuto modo diconoscere a Latisana le suore elisabettinee di averne apprezzato lo spirito. Ritenevala missione loro affidata una veraprovvidenza, una grazia grande perle ragazze magliaie e per le loro famigliee quindi anche per la parrocchia.A motivo dell’orario lavorativo,però, le suore potevano parteciparealla celebrazione eucaristica soltantola domenica.Fu davvero faticoso per le sorelleimpegnarsi come animatrici, dove erachiesto anche alle ragazze più giovaniuna produzione secondo aspettativediverse. Nel salone (nella foto accanto)lavoravano centocinquanta ragazze,delle quali una trentina d’età inferioreai diciotto anni, quindi apprendisteda guidare e seguire. Suor Mariarosaseguiva il reparto confezioni, suorFranca il reparto macchine. Il lavoroera così impegnativo da non concedereil tempo necessario alle esigenzepersonali.A un anno di distanza, nell’ottobre1970, suor Mariarosa Gallo scrivevaalla Superiora generale, tra l’altro:«… Sempre meno riesco a dar vitaa qualche iniziativa formativa per legiovani. Il lavoro è sempre più impegnativo,quindi le nostre energievengono assorbite al completo... Lenostre ragazze abitano molto lontano ele poche del paese vivono quasi tutte incampagna. Dopo il lavoro sono prontii pullman per riportarle alle loro case.Quindi i contatti con le operaie li abbiamosoltanto durante il lavoro. Confortala certezza che il Signore conosceil desiderio di testimoniarlo a tantegiovani che vivono incoscienti nellamiseria morale più spaventosa…».A conclusione del quarto anno dipresenza, il 3 settembre 1973, a nomedell’arcivescovo monsignor AlfredoBattisti, il parroco don Giovanni Martinis,scrive alla Superiora generale aproposito della “S. Vitale”:«Le scrive il parroco di Muzzanaper rinnovarle un grazie riconoscenteper l’opera squisitamente cristiana chele sue due consorelle, pur fra tantedifficoltà, stanno svolgendo presso ilmaglificio… L’arcivescovo di Udine,mons. Alfredo Battisti 2 , che ben conoscela benemerita Congregazione,ha voluto essere bene informato sull’attivitàtanto coraggiosa delle nostresuore operaie. Egli ha notato che illavoro così continuo ed impegnativorichiederebbe altre presenze per crearepossibilità di turni di lavoro e di servizioe per un più frequente e proficuocontatto con le giovani operaie anchefuori fabbrica. Tale suggerimento èpienamente condiviso da me, avendopiù volte notato che la stanchezza ècausa di trascuratezza nel procuraisi ilcibo necessario».Verso la conclusioneI mesi dell’inverno 1973-74 furonodedicati ad un serio discernimento daparte del Consiglio generale: esso stavamaturando una decisione relativaalla continuità o meno della presenzaelisabettina al maglificio “S. Vitale”di Muzzana. Ed il 30 gennaio 1974 laSuperiora generale comunicò all’arcivescovomonsignor Battisti la loro decisionedefinitiva: «Abbiamo ritenutoopportuno ritirare le suore dall’Opera,dato che le difficoltà createsi da tempovanno peggiorando. Ci riserviamo distudiare il modo di continuare l’esperienzacosì valida, in altro luogo e conaltre modalità».L’Arcivescovo, prendendo attodella decisione, augura che l’esperienzapossa davvero continuare diversamente.Suor Mariarosa e suor Franca, pursoddisfatte della decisione presa, lascianocon tanto rammarico le ragazze operaiesperando che la presenza in mezzoa loro rimanga un seme di bene.Il 14 febbraio 1974 rientrano inCasa Madre, convinte che l’inserimentonella pastorale del lavoro, in queglianni, poteva essere una buona opportunitàdi essere con la gente.Si può dire che la carenza di chiarezza,la scarsa attenzione alle persone,sia laiche che religiose, non hanno permessodi maturare un'esperienza ritenutasignificativa.1Arcivescovo di Udine dal 1956 al 1972.2Arcivescovo di Udine dal 1973 al 2000.memoria e gratitudineottobre/dicembre 2010 47


CON LA VESTE DI LINO PURO, SPLENDENTEdi Sandrina Codebò stfeAmabile Feltracco, nataa Casella d’Asolo (TV) nelsuorRosa Cellanata a Motta di Livenza (TV)il 14 luglio 1922morta Padovail 12 agosto 2010Suor Rosa Cella, nata aMotta di Livenza (TV) il 14luglio del 1922, non ancoraventenne scelse di seguirele orme del Signore Gesùabbracciando la forma divita della famiglia elisabettina.Visse con sereno impegnoil periodo formativo delpostulato e del noviziato e il2 ottobre 1944 fece la primaprofessione religiosa. Iniziòsubito a prendersi cura dellapersona in situazione dibisogno secondo la buonatradizione della Famiglia;infatti visse i primi due annidi vita religiosa all’ospedalecronici di Venezia e poi passòal Ricovero di mendicità“S. Lorenzo” nella stessacittà. Dopo un breve periododi servizio all’ospedalecivile di Pordenone per cinqueanni operò nella casadi cura “Arcella” - Padovaquindi ritornò all’ospedalecronici di Venezia. Sempredisponibile all’obbedienzanel 1962 fu nuovamente aPadova per prendersi curadegli anziani ospiti del ricovero“Beato Pellegrino” enel 1966 accettò di andarea Catanzaro, nel sanatorio“Madonna dei Cieli”.Nel 1973 fece una sostaprolungata per una riqualificazioneprofessionale quindiandò a Roma tra gli ammalatiricoverati nella casa dicura “Morelli”; da qui ritornòa Catanzaro. Nel 1976 la48 ottobre/dicembre 2010troviamo accanto ai diversamente-abilidell’“IstitutoSerafico” di Assisi e quindiancora a Catanzaro.Nel 1981 passò a Firenze,nella casa di riposo“E. Vendramini”, e nel 1985le fu chiesto un servizio diassistenza e cura, e soprattuttodi attenzione fraterna,nell’infermeria ristrutturatadi Casa Madre.Qui coronò, con quindicianni di attento e amorososervizio alle sorelle ammalate,una vita illuminatae guidata dalla parola delSignore Gesù «ero ammalatoe mi avete visitato…ogni volta che avete fattoqueste cose a uno solo diquesti miei fratelli più piccoli,l’avete fatto a me» (Mt25,36b.40).Nell’autunno del 2000lasciò il servizio perché divenutaa sua volta bisognosadi cura; nella comunità“S. Agnese” di Casa Madrevisse serenamente la suanuova “missione”: orante alCorpus Domini.Poi il Signore le chiesedi sperimentare l’infermità;di qui la necessità di trasferirsinell’infermeria di CasaMadre dove visse i suoi ultimicinque mesi portando acompimento l’offerta incondizionatadi sé fatta ancoragiovanissima nelle mani diMaria venerata nel Santuariodella sua città natale. suor Pialfonsa Feltracconata a Casella d’Asolo (TV)il 14 aprile 1940morta a Padovail 17 agosto 2010l’aprile del 1940, conobbee frequentò fin da giovanissimale suore francescaneelisabettine presenti inparrocchia. La scelta dellasorella maggiore, suorPiaignazia, elisabettina nel1957, esercitò certamenteuna influenza positiva nelsuo orientamento vocazionale:difatti nell’ottobredel 1958, poco più chediciottenne, lasciò la famigliae iniziò nel postulatoe continuò nel noviziato diPadova l’itinerario formativoche l’avrebbe preparataa consacrarsi al SignoreGesù.Il 3 maggio 1961 fece laprima professione divenendosuor Pialfonsa in onoredi papà Alfonso.L’ambito parrocchialedella scuola materna e dellacatechesi sembrò il piùcongeniale alla sua personalità;pertanto frequentòla scuola magistrale peruna conveniente preparazionea formare i bambinidella prima infanzia. SuorPialfonsa operò in moltescuole materne: in quella diSois e di Cadola nel bellunese,a Noventa Vicentina,Alonte e Pojana Maggiorenel vicentino, a Cadoneghe,Borgoricco, Piazzolasul Brenta, Villa del Conte,Torre in provincia di Padova.Nel 1982 interruppe perdue anni l’insegnamentoper frequentare a Roma unbiennio di formazione, chele permise di migliorare lesue competenze in ambitopastorale.Quando nel 1999 lasciòdefinitivamente l’insegnamentoiniziò per lei unanuova stagione: a Lissaro(PD) si dedicò completamentealla pastorale parrocchialecon particolareattenzione alla animazioneliturgica, cosa che le permisedi essere presente inmodo capillare nelle varieiniziative della parrocchia.La malattia la visitò improvvisae silente durantenel ricordoun periodo di assistenzaalla mamma ammalata; sipresentò subito in tutta lasua gravità. Gli ultimi giornidi suor Pialfonsa furonoun susseguirsi di timori, disperanze tenaci, di accoglienzasofferta del pianodel Signore, incoraggiatein ciò anche dall’atteggiamentodi suor Pialfonsache ci lasciò serenamenteabbandonata nel Signore.Riportiamo due testimonianzedi chi l’ha conosciutapiù da vicino:Ho vissuto alcuni annicon suor Pialfonsa, unasuora che amava la suavocazione, felice di condividerela vita con le sorelleche stimava e serviva concarità attenta e delicata. Vivevail mandato apostolicocon professionalità e competenza.È stata un donoper la comunità parrocchiale.Amava i giovani e neicampi-scuola era capacedi trainare il gruppo perchégrande era il suo entusiasmoe voleva trasmetterlo atutti. Preparava con cura lecelebrazioni eucaristiche e,attraverso i segni, sapevastimolare tutti a una partecipazionegioiosa e attivaalla pasqua domenicale.Ora la pensiamo per semprepartecipe della liturgiaceleste.E ancoraL’indimenticabile suorPialfonsa è arrivata tra noinel 1999. Tanti sono i ricordiche noi giovani portiamonel cuore. Con la sua audacia,rigorosità e precisioneha saputo crescere ilgruppo dei chierichetti cheancora oggi presta serviziodurante la messa.Nonostante la sua “maturaetà” non si è sottratta alleattività dei ragazzi, partecipandoattivamente ai campiscuola ACR. Per la sua simpatiae grinta i ragazzi e glieducatori l’hanno affettuosamentesoprannominata SSP(Super Suor Pia).


CON LA VESTE DI LINO PURO, SPLENDENTEDal 2004 iniziò ad assentarsidalla nostra comunitàdi Lissaro per prestareassistenza ala mammaammalata: ma siamo certiche nel suo cuore è semprerimasto vivo il ricordodi noi. Lissaro ha sempredesiderato di rivederla e hasempre saputo aspettarla,ricordandola in ogni momentocon la preghiera. Leiha saputo essere una fiammaardente, ma… cometutte le fiamme si è spentaquaggiù. Per noi quella sualuce continua a brillare dall’alto.Grazie, SSP!I giovani di Lissarosuor Teobalda Valentininata a Campiglia dei Berici (VI)il 27 agosto 1919morta a Taggì di Villafranca (PD)l’11 settembre 2010Suor Teobalda era nataa Campiglia dei Bericinel basso vicentino il27 agosto 1919; crebbein una famiglia profondamentecristiana che posele buone basi per la suascelta di vita: amare il Signorecon cuore indivisoe, nel suo nome, amare- soccorrere il prossimo.Non ancora diciannovenneIda Valentini partì per Padova;nel postulato e nelnoviziato delle suore francescaneelisabettine vissecon impegno il tempo dellaformazione iniziale; il 28settembre del 1940 fece laprima professione religiosae diventò suor Teobalda.Fu subito avviata agli studiinfermieristici nella scuolaannessa all’ospedale civiledi Padova dove fece anchele prime esperienze in qualitàdi infermiera caposala.Nel 1948 passò nella comunitàin servizio pressola casa di cura “Jorfida”quindi, per un breve periodo,operò prima nella casadi cura “Morelli” di Roma epoi nel sanatorio “Busonera”di Padova. Nel 1958 futrasferita all’ospedale civiledi Pordenone dove ebbemodo di esprimere per benventuno anni le sue qualitàumane e professionalifacendosi stimare da tutti.Nel 1982, dopo brevi presenzea Catanzaro - sanatorio“Ciaccio” - e a Pomponesco(MN) - Casa diriposo -, approdò alla casadi riposo “Santi Giovanni ePaolo” di Venezia, dove pernove anni continuò a dareprova della sua professionalitàe a testimoniare lasua scelta di servire concompetenza e gioia le personein stato di bisogno.Cessato il rapporto dilavoro nella grande strutturaveneziana, passò aFirenze per prendersi curadelle signore residenti nellacasa di riposo “E. Vendramini”.Quando nel 1993 lefu chiesto di far parte dellacomunità “Domus Laetitiae”di Taggì per assistere,come infermiera, le sorelleanziane e bisognose di curerispose ancora una voltacon generosa prontezza edimostrò attenzione a 360gradi.Nel 2007 l’avanzaredell’età e malanni di varianatura le imposero di rinunciareal servizio direttoalla persona, ma suor Teobaldacontinuò ad essere,in comunità, la suora attentae vigile che sa “dare unamano” felice di servire e ciòfino al novembre del 2009,quando fu necessario il ricoveronell’infermeria. Fuuna malata serena, consapevoledella “chiamata”sempre più prossima e lietadi andare incontro al Signoretanto amato. suor Annarachele Giacomellonata a Pianiga (VE)il 25 febbraio 1926morta a Padovail 21 settembre 2010Suor Annarachele Giacomello,nata a Pianiga (VE)il 25 febbraio 1926, scelse- non ancora ventenne -di seguire il Signore Gesùsecondo la forma di vitadelle suore francescane elisabettine:il 3 maggio 1948fece la prima professione efu subito inserita nel mondoeducativo della scuolamaterna. Operò e visse inmolti contesti parrocchiali:ad Alleghe, Cadola eCavarzano nel bellunese;nella parrocchia “S. Carlo”e “Natività” a Padova. Fupresente a Prozzolo (VE) ea Pordenone nelle scuolematerne “S. Giuseppe”e “Sacro Cuore”; quindi aGarda nel veronese.Nel 1988 lasciò definitivamentel’attività educativa:da parecchio tempoi suoi problemi di saluterendevano faticoso l’insegnamentoe l’attenzione aibambini sempre più vivaci.Iniziò per lei una nuovastagione: svolse il delicatoe prezioso compito di“collaboratrice di comunità”con una presenza attentae vigile accanto allesorelle: fu così al “Bricito”di Treviso e al “Maran” diPordenone. A S. Vito alTagliamento (PN) fece peralcuni anni la sacrestananella chiesa della casa diriposo dimostrando curaper le “cose” del Signoree attenzione per gli ospitifrequentatori quotidiani delluogo di preghiera.nel ricordoNel 2006 ebbe bisognodi una lunga degenza nell’infermeriadi Casa Madre,dimessa, le fu propostoun ambiente protettoche le consentisse riposoe serenità: la comunità diMontegrotto Terme (PD),situata nell’ex monasterodelle Clarisse, le offrì l’ambientesereno di cui avevabisogno.Esso le facilitò quelcammino interiore che, presadalle molte incombenze,non sempre aveva avutomodo di curare. Quandoperò il suo cuore dette segnidi importante sofferenza,fu costretta a ripetutiricoveri e a fare dell’infermeriadi Casa Madre la suanuova comunità: visse condignità la sua situazione diammalata e con il desideriogrande di recuperare la salute.Gradualmente tuttaviacapì che il Signore la stavachiamando e si consegnò alui pacificata e pronta.Una testimonianza.Incontrai suor Annarachelenegli anni ottanta nellacomunità “Sacro Cuore”di Pordenone. La ricordoinsegnante di scuola materna,preparata e capace;una preparazione arricchitae completata nel tempo conil metodo Montessori. Il suotratto elegante, fine, tipicamentefemminile ben integravale esigenze di questoorientamento didattico enon era difficile coglierlonella sua aula sempre accoglientee luminosa, nellacura del materiale didattico,e soprattutto nella cura deibambini a lei affidati.Suor Anna, oltre l’orarioscolastico, svolgeva anchealtri servizi, in particolarela cura e il decoro dellachiesa parrocchiale: ci tenevaall’addobbo florealeintonato liturgicamente eall’arredo sempre lindo eprofumato… credo che sanFrancesco potesse compiacersenedavvero.Riservava inoltre alcu-ottobre/dicembre 2010 49


CON LA VESTE DI LINO PURO, SPLENDENTE nel ricordone ore della domenica perla visita a persone anzianee malate: ora raggiungevacon la sua bicicletta le casedella parrocchia dove sapevaesserci qualche infermo,portando anche l’eucaristia;ora si affiancava al parrocoper visitare ammalati/anzianiin ospedale o nelle casedi riposo. Un servizio chegradualmente l’ha affinatae preparata a quella presenzadi consolazione e diconforto svolto nella casadi riposo di san Vito al Tagliamento.Suor Anna ha dovutofare spesso i conti con unasalute precaria che la rendevafragile e in alcuni momentiparticolarmente sensibile…Una situazione chenegli ultimi anni si è acuita eaggravata, riducendo progressivamentel’attività chesvolgeva nella comunitàdi appartenenza. Il trasferimentodalla comunità diMontegrotto all’infermeriadi Casa Madre è stato perlei un passo doloroso, purriconoscendo e godendodelle attenzioni e delle premureche le riservavano siale sorelle della comunità diprovenienza sia il personaledell’infermeria. In tutto avvertivache il Signore c’erae l’accompagnava e sosteneva.Nell’ultimo tratto distrada non sono mancati imomenti di sconforto e dipaura, e suor Anna non sivergognava di comunicarequesti sentimenti cercandoe chiedendo compagnia.Ma il Signore che ci conoscee non chiede oltrele nostre forze, alla fine leha preparato un passaggiosereno. Nella cornice dellafesta dei Santi e del ricordodei defunti, mi viene spontaneopensare suor Annaavvolta dalla luce di Dio chescioglie ogni ombra e nellaquale anche tutti gli affannidella vita si dileguano e ognidesiderio del cuore trova finalmentecompimento.suor Laura Scotton50 ottobre/dicembre 2010suor Agnese Peruffonata a Carmignano di S. Urbano (PD)il 22 marzo 1938morta a Monselice (PD)il 17 ottobre 2010Rosetta Peruffo scelsein età adulta di seguire ilSignore secondo la formadi vita delle suore francescaneelisabettine; infattilasciò a 24 anni la casapaterna di Carmignano,una frazione di S. Urbano(PD), dove era natanel marzo del 1938. Nell’ottobredel 1964 fece laprima professione religiosae prese il nome dellamamma divenendo suorAgnese. Fece la sua primaesperienza apostolicacome assistente nell’asiloinfantile di Cadola (BL)cui segui un prolungatoperiodo di studio che lepermise di acquisire la necessariacompetenza perprendersi cura dei piccoliospiti dell’Istituto “Caenazzo”a Badia Polesine(RO), prima e poi di quellidel sanatorio infantile “E.Vendramini” di Roma doverestò per molti anniinsegnando anche nellascuola materna “AlfonsinaMuzzo” e in quella annessaalla scuola elementare“S. Francesco”. Il periodoromano di suor Agnese fuinterrotto dai tre anni vissutia Catanzaro, scuolamaterna “Santa Croce” earricchito dalla frequenzaa corsi formativi di catechesial Pontificio AteneoAntonianum.Nel 1998 suor Agnese,già molto provata nelsuo fisico, lasciò definitivamentel’impegno scolasticoe la catechesi. Restòa Roma, comunità “MaterLaetitiae”, e per quasi diecianni fece un servizio diaccoglienza come centralinista-portinaianella vicinaCasa Famiglia “E. Vendramini”.Lasciò la Capitalenell’ottobre del 2009 perritirarsi nella comunità diMonselice (PD) che le offrìl’ambiente accogliente esereno di cui aveva bisognoper le sue condizionidi salute. Queste si aggravaronoin fretta cogliendotutti di sorpresa. E, nonostantele attenzioni e lecure, suor Agnese vennechiamata dal Signore comefrutto maturo e purificatodalla vita.Una testimonianza.suor Agnese Peruffoaveva una grande passioneper i bambini: ha passatouna vita accanto ad essi.Nella scuola materna seppedare tutto in energia,intelligenza, cuore e passione.Molti bambini l’hannoavuta come insegnantee l’hanno sempre ricordatacon tanta riconoscenzaper le sue doti educative ecreative.Finito il tempo dell’insegnamento,fece partedi una comunità di sorelleanziane: qui si rese disponibilenel servire, prestareaiuto a quelle ammalate oricoverate in ospedale.Una suora, ricoverataimmobile all’ospedale “Gemelli”di Roma per un graveincidente stradale, ricordacon commozione chetre volte al giorno andavaad accudirla; la definisceun angelo che si aggiravaattorno al letto, angelo attento,premuroso, serenoe disponibile.Grazie, suor Agnese,per le tue attenzioni e perle tue finezze; ti ricordiamocosì: fraterna e un po’schiva, capace di generosadedizione.suor Rosanna Rossisuor Maddalena Vendraminnata a Orgiano (VI)il 27 aprile 1934morta a Pordenoneil 17 ottobre 2010Suor Maddalena Vendramin,nata nell’aprile del1934 ad Orgiano, localitàdel basso vicentino abbellitadalle ultime propagginidei Monti Berici, maturò lasua vocazione alla vita religiosain una famiglia nellaquale erano evidenti e onoratii riferimenti cristiani delvivere e operare. Scelse laforma di vita delle suoreelisabettine conosciute attraversole numerose presenzeche operavano nelterritorio circostante.A vent’anni iniziò l’itinerarioformativo del postulatoe del noviziato enell’ottobre del 1956 fecela prima professione religiosa.Il collegio Carissimi “S.Giuseppe” in Roma fu ilsuo primo ambito di serviziodove mise a fruttole sue abilità manuali nelguardaroba. Nel contempomaturò la disponibilitàverso una delle espressioniapostoliche tipiche della famigliaelisabettina: la curadella persona ammalata.Come infermiera fece lasua prima esperienza nelRicovero di mendicità “S.Lorenzo” a Venezia; da quipassò a Catanzaro, nellacasa di cura “Villa Serena”e quindi nell’ospedale “ReginaMargherita” di Roma.Nel 1978 ritornò a Veneziaper prendersi curadelle persone anziane ricoveratenella casa di riposo“Santi Giovanni e Paolo”. Inquesto periodo ebbe modo


CON LA VESTE DI LINO PURO, SPLENDENTE nel ricordodi qualificare ulteriormentela sua professionalità.Nel 2001 fu trasferitaall’Istituto “S. Francesco”di Vasto Marina (CH) e dal2003 al 2008 operò nellacasa di riposo “Iviglia” a S.Candido Murisengo (AL).Già da tempo suorMaddalena accusava alcunidisturbi che rendevanofaticosa la sua motilità; aS. Candido la situazionepeggiorò visibilmente tantoda rendersi necessariala sospensione del servizioper venire ricoverata, il 28marzo 2008, nell’infermeria“S. Giuseppe” di Pordenone.Si sperava in un soggiornotemporaneo: invecedivenne definitivo.Furono due anni resisempre più faticosi dal progrediredella malattia. Neimomenti migliori, esprimevail desiderio di aiutare lesorelle ospiti dell’infermeria:tanti anni vissuti accantoalla persona ammalataavevano reso in lei abitualeun atteggiamento di servizioche neppure la malattiaaveva oscurato.Suor Maddalena fu unaammalata consapevoledella gravità della sua situazionee si preparò nellapreghiera di abbandonoall’incontro con il Signoredella sua vita.La testimonianza di chil’ha conosciuta da vicino.Suor Maddalena, unasorella che sento vicina.Abbiamo vissuto insiemerealtà non sempre facili dicui cercavamo di trovarel’aspetto positivo.Aveva un animo sensibile:i panorami del Monferratola deliziavano… Curavacon amorevolezza gli ospitidella Casa “Iviglia” chepregarono tanto con donLuigi per la sua guarigionee che pregano ancora oggisapendola tra le bracciaamorose di Dio.Nonostante la sua pocasalute si prodigava con generositàe precisione, cosìtutti la sentivano sorella emadre. Il distacco da S.Candido è stato per tuttidoloroso, ma necessario.Era particolarmentecontenta del proprio cognome,Vendramin, perchétanto simile a quello di MadreElisabetta; era come sela Madre le fosse particolarmentevicina proprio inforza di un tale cognome.Nutriva un tenero affettoper i suoi familiari e godevanel constatare quantofossero uniti nella fede enell’aiuto scambievole.Suor Maddalena se ne èandata in modo un po’ inatteso,lasciandoci l’ereditàdi una vita fatta servizio.Per tutto ciò che è stataper me ho il cuore colmo digratitudine.suor Dalisa GaleazzoSuor Maddalena Vendraminha vissuto con professionalità,competenza epassione il suo rapportocon gli ammalati. Dotatadi una forte sensibilità, avolte tornava a casa dalreparto dell’ospedale SS.Giovanni e Paolo (VE) conle lacrime agli occhi perchénon aveva saputo lenirela sofferenza di qualchepersona.Era capace di tante relazioni,pur essendo riservatae silenziosa. Il suo fisicosempre sofferente era unagrande croce, per cui a voltesembrava triste, ma erasolo preoccupata di nonessere in grado di compierela sua missione.Nell’ultima comunità incui espletò il suo servizio,la casa di riposo “Iviglia”di S. Candido di Murisengo(AL), si prese cura degliospiti della Casa e, purconsapevole della malattiache avanzava, seppe stareaccanto a loro donando serenitàe coraggio.Due anni fa, costrettadal male, dovette lasciarel’“Iviglia” dove si era sentitaamata e rispettata, anchedal Direttore e dal personaledella Casa.Il nostro grazie va a suorMaddalena per tanto beneprofuso per i poveri e per lafamiglia elisabettina. Tuttela ricordiamo con affetto.suor Rosanna Rossisuor Albaugusta Gottardonata a Padovail 13 gennaio 1919morta a Taggì di Villafranca (PD)21 ottobre 2010Suor Albaugusta Gottardoera nata in periferiadi Padova nel gennaio del1919. A ventitré anni raggiunseil postulato delle suorefrancescane elisabettinein centro città determinataa iniziare l’iter formativo perconsacrarsi interamente aGesù Signore secondo ilcarisma della beata ElisabettaVendramini.Il 2 ottobre 1944 fecela prima professione religiosae fu subito immessanell’ambito educativo dellascuola materna. Suor Albaugustaera una personasemplice e schiva, quindiaccettò con gratitudinedi non avere responsabilitàdiretta di una sezionema di affiancare le sorellesupportando la loro azioneeducativa con una presenzadiscreta e attenta.Fece la sua prima esperienzaall’Istituto “E. Vendramini”di Venezia-Lido epoi nell’Istituto “Bettini” diPonte di Brenta (PD); quindinella scuola materna diS. Eufemia di Borgoricco(PD), di S. Colombano aSettimo (FI), di Alleghe e diCodissago (BL), e infine aCandelù (TV).Nel 1983 ritornò in zonaPadova, prima in unacomunità vicina al Duomo,quindi a Taggì di Villafranca- comunità “Mater Amabilis”- dove fu diligentecentralinista per quattordicianni e, soprattutto, una presenzaserena in comunità,sempre pronta a “dare unamano” secondo il bisognoe le sue possibilità.Nel 1999 la sua saluteebbe evidenti cenni di cedimento,per cui fu necessariotrasferirla in un ambienteprotetto: la vicina infermeria.Finché le fu possibilesedeva accanto alle sorelleallettate regalando loro unapreziosa compagnia.Quando la sua infermitàsi fece più seria suor Albaugustavisse i suoi giorninel silenzio, nella preghierae nell’offerta di sé, atteggiamentiche furono i tratticaratterizzanti tutta la suavita e che costituiscono lasua preziosa eredità. Ricordiamo nella preghierae con fraterna partecipazionela sorella disuor Idaflora e suor ZaffiraDalla Priasuor Perseveranza Lincettosuor Idelfonsa Malvestiosuor Sionne Masettosuor Mariagrazia Scialinoil fratello disuor Marialessia Rettore.


Amate, solo amate.Francesco, ancora ritorna a dire ai fiori,agli alberi, al fiume:a dirlo danzandocome faceviper le vie e i colli dell’Umbria;a gridarlo al mondo intero,a quanti incontri per via;ma gridarlo danzandocome facevi:«Amate, solo amatee amatevie datee donatevie perdonatee fate pace».Dire solo questo,gridarlo anche alle pietre.David Maria Turoldo

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