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Caritate

n. 4 - ottobre/dicembre 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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finestra apertaDio e chi è colui che ti dice:“Dammi da bere!”, tu stessagliene avresti chiesto edegli ti avrebbe dato acquaviva”». (Gv 4, 5-10).Naturalmente ci sonomolti e a volte pesanticonfini tra religioni diverse.Ma anche nella medesimareligione si constata la faticadi accettare chi attraversa,chi è un po’ strano, diverso,ecc. C’è infatti ancheun’itineranza “interna”, edovremmo viverla comeuna benedizione sebbenesia faticosa e sempre un po’anche destabilizzante.Profeti, missionari, frequentatoridi difficili frontierece ne sono anche tradi noi. Invece di “ucciderli”dovremmo imparare adaprirci e a lasciarci provocaredalle loro esistenze.Non ci ricordano forse ilMaestro di Nazaret?12 ottobre/dicembre 2010Cogliere il «momentoopportuno» edessere «benedizione»Gesù chiama: la sua parola anticipa e rende possibile l’“esodo”senza condizioni.L’itinerante che ha daportare una buona notizia,mentre viaggia si guarda attentamenteintorno.Così fa Paolo ad Atene.Cerca elementi, spunti,agganci per entrare in relazione.Più precisamenteosserva e si sforza di coglierel’ispirazione e l’anelitofondamentali di un popolo,di una cultura, di una città.Anche quando fremedi sdegno al vedere cosesbagliate, questo gli accadesemplicemente perché amaquegli uomini. Infatti nonsi tratta soltanto di piazzareun prodotto, e dunquedi elaborare la strategia piùadatta a ottenere lo scopo. Èspinto piuttosto dall’urgenzadi annunciare l’amore diDio che vuole la vita. E deveconvincere il proprio interlocutoreche tale urgenzanon ha altra ragione chenon sia l’amore per lui (siveda l’esperienza dell’Apostoloall’areopago di Atene;cfr. At 17, 16-23).Naturalmente si imparaanche dagli ostacoli e dalledifficoltà. L’itinerantenon pianifica troppo. Nonpuò. Si lascia guidare anchedagli impedimenti, dai divieti,dalle svolte obbligate.Quello che importa è cheegli viva di volta in volta inun luogo amandolo profondamentee sentendosi nelbene e nel male sulla stessabarca degli altri. L’universalitàdel cristianesimo,resa possibile dallo Spiritosanto, è questa capacitàdi diventare particolare inogni luogo, in mezzo a ognipopolo, a contatto con ognicultura, in qualsiasi condizionedell’esistenza umana.Certo una solidarietà delgenere comporta dei rischi.Può succedere di trovarsicon quelli in mezzo ai qualisi vive in quel momento nelbel mezzo di una tempesta.Può succedere addiritturadi averli avvertiti su comeevitare il pericolo e di nonessere stati ascoltati.Anche in quel caso il discepolodi Gesù non toglieràa quella gente testarda, eppureamata, la sua solidarietà.Non abbandonerà lanave lasciando l’equipaggioal suo destino. Cercheràpiuttosto di essere per loroaiuto e occasione di benedizione:«Come giunse laquattordicesima notte daquando andavamo alla derivanell’Adriatico, versomezzanotte i marinai ebberol’impressione che unaqualche terra si avvicinava.Gettato lo scandaglio, trovaronoventi braccia; dopoun breve intervallo, scandagliandodi nuovo, trovaronoquindici braccia. Nel timoredi finire contro gli scogli,gettarono da poppa quattroancore, aspettando con ansiache spuntasse il giorno.Ma poiché i marinai cerca-vano di fuggire dalla nave egià stavano calando la scialuppain mare, col pretestodi gettare le ancore da prora,Paolo disse al centurione eai soldati: “Se costoro nonrimangono sulla nave, voinon potrete mettervi in salvo”.Allora i soldati reciserole gomene della scialuppa ela lasciarono cadere in mare.Finché non spuntò il giorno,Paolo esortava tutti aprendere cibo: “Oggi è ilquattordicesimo giorno chepassate digiuni nell’attesa,senza prender nulla. Perquesto vi esorto a prendercibo; è necessario per lavostra salvezza. Neancheun capello del vostro capoandrà perduto”. Ciò detto,prese il pane, rese grazie aDio davanti a tutti, lo spezzòe cominciò a mangiare.Tutti si sentirono rianimati,e anch’essi presero cibo.Eravamo complessivamentesulla nave duecentosettantaseipersone. Quando si furonorifocillati, alleggerironola nave, gettando il frumentoin mare» (At 27, 27-38).E se questo vale per“quelli di fuori”, a maggiorragione vale per i nostrifratelli nella fede. Sesiamo chiesa condividiamocon tutte le altre chiesegioie e dolori. E se qualchechiesa soffre non possiamosottrarci al dovere dellasolidarietà che ci chiamaad essere magari occasionedi benedizione anche perloro: ce lo insegna Paolonella sua seconda letteraai Corinti, al capitolo 8 (2Cor 8, 1-15). 1«Ebreo», in ebraico ‘ibri, haun’assonanza non casuale con laradice ‘br che significa attraversare,passare dall’altra parte.2Cfr. In caritate Christi, n.3/2010, p. 14.

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