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Caritate

n. 4 - ottobre/dicembre 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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nella chiesapluralismo dei modelli di impresa, affinchètutti abbiano reali possibilità diaffermarsi. Ma quello che è interessanteè che questo non è richiesto solo perrivendicare spazio ad un mondo “terzo”(detto infatti nel linguaggi comune“terzo settore”) il quale oggi sarebbetroppo penalizzato ed emarginato. Ilsenso profondo di questa indicazionedell’enciclica è un altro, ed è molto piùimportante: è la «civilizzazione dell’economia»che nasce dal «reciprococonfronto sul mercato da cui ci si puòattendere una sorta di ibridazione deicomportamenti» (CiV 38).6 ottobre/dicembre 2010Nella logica del donoe della gratuitàQui sta il punto: se è vero l’orizzonteantropologico censito da BenedettoXVI, esso può divenire l’orizzonte unitarioanche dell’esperienza economica,in ogni ambito. Oggi ciò che appareè che è proprio l’impresa privata, eil mercato capitalistico che sembranodiscostarsi dalla prospettiva antropologicacosì delineata, ponendo quella “cesuraprofonda”, e costruendo un mondoantitetico alla logica della fraternità,i cui segni sono descritti con cura intutta l’enciclica. Quella globalizzazioneche potrebbe adombrare l’unità della“famiglia umana”, per le distorsionidella logica economica (e anche politica),si rivela in molti casi portatriceinvece di un processo contrario.L’enciclica specifica che tutto ilprocesso economico (produzione, distribuzione,consumo) non può estraniarsidalla logica della fraternità, del donoe della gratuità; deve “ibridarsi”. Essadeve «trovare posto entro la normaleattività economica» (CiV 36). La DSCaveva sempre detto che «la giustiziariguarda tutte le fasi dell’attività economica,perché questa ha sempre a chefare con l’uomo e con le sue esigenze»(CiV 37); fasi che sono: reperimentodelle risorse, finanziamenti e investimenti(cfr. CiV 40 e 65), produzione,consumo. Qui le responsabilità sonomolteplici e in ogni fase è necessarioguardare con spirito di giustizia a tuttii soggetti coinvolti, non solo a chi detieneil capitale o agli investitori.L’enciclica dunque, coerentementeal modo con cui aveva delineato ilrapporto tra carità e giustizia, spingequesta esigenza di giustizia fino allafraternità e al dono. E mostra come ciòsia possibile: finalizzazione al bene comunedell’attività economica, profittonon solo fine a se stesso e non necessariamentemassimizzato a scapito dialtri fattori, finalizzazione sociale degliutili (e non solo redistribuzione forzosadello stato); responsabilità fraternaverso tutti i soggetti coinvolti. Sonotutte strade percorribili, coerenti congiustizia e dono.Benedetto XVI conferma tutto questoenumerando una serie di realtà chedi fatto già cercano di muoversi in questalogica “ibrida”, dove le tre logichetrovano una unitarietà, e dove alloranon si corre il rischio che lasciando almercato la logica dello scambio questascivoli pian piano verso l’utilitarismopuro: «imprese tradizionali, che peròsottoscrivono dei patti di aiuto ai Paesiarretrati; fondazioni che sono espressionedi singole imprese; da gruppi diimprese aventi scopi di utilità sociale;il variegato mondo dei soggetti dellacosiddetta economia civile e di comunione.Non si tratta solo di un “terzosettore”, ma di una nuova ampia realtàcomposita, che coinvolge il privato e ilpubblico e che non esclude il profitto,ma lo considera strumento per realizzarefinalità umane e sociali. Il fatto chequeste imprese distribuiscano o menogli utili oppure che assumano l’una ol’altra delle configurazioni previste dallenorme giuridiche diventa secondario rispettoalla loro disponibilità a concepire ilprofitto come uno strumento per raggiungerefinalità di umanizzazione del mercatoe della società» (CiV 46). L’auspicata“ibridazione” porta Benedetto XVI adire anche che appare quasi superata ladistinzione tra profit e no-profit.Una sfida culturaleDunque dalle dicotomie tipichedel nostro tempo, coerentemente conciò che è depositato nel profondo dellacoscienza umana, come via di soluzioneanche alle disfunzioni e distorsionidell’economia, enfatizzate dalla globalizzazionee dalla tecnica, BenedettoXVI lancia la sfida dell’ “ibridazione”.Un progetto e una sfida “culturale”per gli stessi economisti, ispirati da un“nuovo umanesimo”.«La grande sfida che abbiamo davantia noi, fatta emergere dalle problematichedello sviluppo in questotempo di globalizzazione e resa ancorpiù esigente dalla crisi economico-finanziaria,è di mostrare, a livello siadi pensiero sia di comportamenti, chenon solo i tradizionali principi dell’eticasociale, quali la trasparenza, l’onestàe la responsabilità non possono veniretrascurati o attenuati, ma anche che neirapporti mercantili il principio di gratuitàe la logica del dono come espressionedella fraternità possono e devonotrovare posto entro la normale attivitàeconomica. Ciò è un’esigenza dell’uomonel momento attuale, ma anche un’esigenzadella stessa ragione economica. Sitratta di una esigenza ad un tempo dellacarità e della verità» (CiV 36).Con l’approfondimento sul temadell’economia, abbiamo un saggiosu come questa grande meditazionesull’uomo e su Dio possa veramenteilluminare e “rivoluzionare” anche iparadigmi su cui si sono costruite tantifenomeni sociali che noi - condizionatidalle ideologie dominanti - diamo perimmutabili. Allo stesso modo l’enciclicaaffronta i temi dei diritti umanie dell’ambiente (capitolo IV), dellaglobalizzazione (capitolo V) e dellatecnica (capitolo VI).Ciascuno, attraverso le chiavi di letturache abbiamo cercato di offrire inqueste pagine, può affrontarli direttamente.(fine)1Direttore dell’ufficio della pastorale socialee del lavoro e del Centro di ricerca eformazione “G. Toniolo” – Padova.2Caritas in veritate. Linee guida per lalettura a cura di Giorgio Campanini, EDB,Bologna 2009, p. 25.3Cfr. In caritate Christi, 2/2010, p. 5.4VERA ZAMAGNI, Come rendere lo sviluppodavvero sostenibile?, in AA.VV., Caritàglobale, Libreria Ed. Vaticana, 2009, p. 58ss.

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