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Caritate

n. 4 - ottobre/dicembre 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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Tale puntodi ingressoè coerente conl’impostazioneche abbiamoindividuato, cioèla considerazionefondamentale circala coscienza umana ela dimensione antropologica.La considerazione fondamentale èquesta: se è vero che «l’essere umanoè fatto per il dono» (CiV 34), e chequesta è la sua esperienza originariae la pienezza del suo essere, rischiadi essere disumano tutto ciò che loesclude a priori. Dunque anche nell’ambitoeconomico non può non averspazio questa dimensione. Potremmodire che sarebbe cinico che gli uoministabilissero a priori che in certi ambitil’esperienza più profonda di se stessinon potesse esprimersi.Di fatto, uno dei campi dove si èpiù pervicacemente teorizzato che nonpossano valere carità e dono, è statoquello dell’economia e del mercato.Escludendo carità e dono non si ècostruito un terreno eticamente neutrale,ma si sono introdotti altri parametriculturali ed etici. Questo, BenedettoXVI lo afferma chiaramente, quandosostiene che «il mercato non esiste allostato puro. Esso trae forma dalle configurazioniculturali che lo specificanoe lo orientano» (CiV 36). Il mercato«non è, e non deve perciò diventare illuogo della sopraffazione del forte suldebole. La società non deve proteggersidal mercato, come se lo sviluppo diquest’ultimo comportasse ipso facto lamorte dei rapporti umani» (CiV 36). Seil mercato si presenta così è perché unacerta ideologia lo orienta così.Su questo presupposto si è costruitala cosiddetta teoria dei “due tempi”:«una delle illusioni più gravi che lamoderna ideologia economica abbianutrito negli ultimi tempi. Tale praticaparte dall’assunto che il mercato hauna sua logica intrinseca di funzionamento,basata sull’individualismoutilitarista: ciascuno nel mercato devepensare per sé e cercare di raggiungereil massimo dei profitti o dellerendite o dei salari;se, dopo, nelsuo tempo liberodall’attività dimercato, vorràdisporre del suoreddito in manierasolidaristica, sarà liberodi farlo. (…) Si èanche accreditata una certaconcezione del mercato come un meccanismoimmutabile e predeterminato(le “leggi ferree” del mercato), che puòsolo essere controbilanciato dall’attivitàretributiva dello stato, al qualeviene affidato un ruolo “riparatore”dei guasti. La Caritas in veritate attaccaquesta pratica dei due tempi, chesottende una profonda cesura dell’animoumano, inevitabilmente crudele edegoista quando agisce sul mercato, mamagari è pietoso e caritatevole quandoagisce fuori dal mercato, una cesurafonte di gravi disagi psichici» 4 .«La dottrina sociale della Chiesaritiene», invece, «che possano esserevissuti rapporti autenticamente umani,di amicizia e di socialità, di solidarietà edi reciprocità, anche all’interno dell’attivitàeconomica e non soltanto fuori diessa o “dopo” di essa» (CiV 36).L’enciclica arriva a criticare questaimpostazione anche per via induttiva,mostrando le conseguenze negative ditale impostazione del mercato e dell’economia:le insostenibili diseguaglianze;la penalizzazione del lavoroe dei lavoratori; l’erosione del “capitalesociale” e delle motivazioni dellepersone che collaborano all’impresa;la compromissione della coesione sociale;fino alla messa a rischio dellademocrazia. E constata, a metà tral’osservazione dei fatti e la riflessionerazionale, che «i costi umani sono sempreanche costi economici e le disfunzionieconomiche comportano sempreanche costi umani» (CiV 32).Certo, l’enciclica richiama in modochiaro anche il ruolo della politica, chedeve dare le regole all’economia, edeve occuparsi della redistribuzione;ma nell’enciclica si cerca anche di superarela concezione dualistica tra statoe mercato.I tre pilastriL’enciclica, riprendendo la CentesimusAnnus, introduce tra i due anchela società civile, constatando che inessa più spesso trova posto propriola dimensione della fraternità e dellagratuità: associazionismo, cooperativismo,economia no-profit, economiadi comunione. E con forza BenedettoXVI sostiene che la società degli uominideve reggersi su tutti e tre i pilastri:mercato, stato, società.Ma Benedetto XVI non si fermaqui, e questo mi pare il punto più interessante,perché è coerente con l’unitarietàdell’orizzonte della coscienzaumana su cui tanto abbiamo insistito.Schematicamente noi potremmorappresentare la suddetta tripartizionein questo modo: il mercato è il luogo dove vale il contratto,lo scambio di equivalenti (o diutilità marginali, come direbbero glieconomisti più avveduti); dove vale ilprofitto fine a se stesso e dunque doveè legittima la massimizzazione del profitto;dove vale la giustizia commutativa(quando va bene); in altre parole, il“dare per avere” (cfr. CiV 39); lo stato sarebbe l’ambito dove valela legge, la regolamentazione, la redistribuzioneobbligatoria delle risorsee dei profitti; dove vale la giustiziadistributiva; in altre parole il “dare perdovere” (cfr. CiV 39); la società civile sarebbe l’ambitodove vale la fraternità, la reciprocità,la cooperazione volontaria, la nonmassimizzazione del profitto ma lasua condivisione; dove vale la caritàe il dono; in altre parole il “dare senzacontropartita” (CiV 37).Questa tripartizione è ovviamenteschematica, ma aiuta a comprenderela via per un’economia umana. Infattila dimensione economica è presente intutti e tre gli ambiti, e si manifesta nell’impresaprivata, nell’impresa pubblica,e impresa a fini mutualistici e sociali.Questa tripartizione porta l’enciclica arivendicare uno spazio maggiore perciò che emerge dalla società civile intermini di esperienze economiche. Sichiede infatti che sia riconosciuto ilottobre/dicembre 2010 5nella chiesa

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