Il quotidiano si svela nella nuova figurazione di PROFILI Alfonso e Nicola V A C C A R I di Gianfranco Labrosciano Nella vasca da bagno 2011 olio su tela, cm 50x60 Lolita sul letto 2010 olio su tela, cm 50x80 ARTA ntis.info 24 Da anni, ormai, ogni volta che li ho visti dipingere insieme nel loro studio ordinato e lindo nel quale cose e circostanze, uomini e avvenimenti, figure ed eventi paiono transitare per arrestarsi nella bruciante contemporaneità di un attimo capace di bloccarli e fissarli per sempre sulla tela, ho avuto l’impressione di partecipare a una festa. Spesso, vedendoli dipingere simultaneamente a quattro mani, concentrati sulla medesima tela, le tavolozze fra le dita, interamente riversati, proiettati, direi, sul soggetto rappresentato come a specchiarsi e riflettersi misteriosamente in esso, e osservandoli lavorare in silenzio e procedere nello spazio dei riquadri all’unisono, al ritmo sincopato dei loro corpi che ondeggiavano e flettevano davanti a me come due canne mosse da un leggero alito di vento o due violini lanciati insieme in una magistrale rapsodia, sentendo, quasi, il fraseggio dei loro pensieri e riuscendo persino a intuire la profondità dalla quale provenivano e nella quale avrei voluto immettermi correndo ma che tuttavia mi restava negata, come un limite invalicabile al di sotto del quale non sarei potuto in alcun modo scendere, ho sentito la flagranza, l’armonia, la dolce esperienza estatica dell’arte e ho provato la catarsi. Il fatto è che Alfonso e Nicola Vaccari sono gemelli: un universo che contiene altri mondi e costellazioni di pianeti e galassie, addirittura, di spazi che noi non conosciamo ancora e che si allargano a dismisura, divenendo degli enormi buchi neri, allorché parliamo di arte e di pittura. Qui le cose si complicano, e nel caso di Alfonso e Nicola la faccenda diventa un vero rompicapo. Dovreste vederli al lavoro per capire ciò che vado dicendo. Il mistero, cioè, del loro procedere pittorico è tanto esaltante quanto rimane per molti versi incomprensibile. O meglio, può essere spiegato, forse, dal loro essere ed esistere per viversi, anche artisticamente, la condizione privilegiata dai gemelli. Certo, questo del fenomeno artistico dei gemelli non è ancora stato indagato sufficientemente e credo ci vorrà del tempo prima che passi al vaglio della critica dell’arte, almeno il tempo necessario alla scienza per compiere altri passi significativi su questa affascinante componente della vita, ma sicuramente si tratta di un fenomeno, e posso garantire che nel caso di Nicola e Alfonso siamo davanti a una delle sue manifestazioni più eclatanti. Ciò detto, vediamo di entrare nella loro opera e di soggiornare un poco all’interno di essa. L’allestimento scenico della realtà che irrompe nello spazio che ci circonda mescolandosi con la no- Credo nella notte 2011 olio su tela, cm 100x120 Natale a Bologna 2011 olio su tela, cm 80x100 stra vita si manifesta, nell’arte di Alfonso e Nicola, come oggetto di un procedimento di sintesi plasmante che garantisce l’imprinting, ovvero l’immediatezza e la freschezza del dipingere da cui deriva la carica emozionale che viene posta in essere con la pittura. Invero, si tratta di una pittura di contatto, direi quasi epidermico, fra Nicola, Alfonso e le cose, il corpo del mondo e la mano - il corpo degli artisti, per cui ciò che è rappresentato annega entro se stesso in un afflato, un’affinità di sostanza, una sorta di compresenza simultanea che determina non solo gli ispessimenti materici e le regole interne delle pennellate ma gli umori e le emozioni, l’anima, in altri termini, di cui ogni opera è intrisa. Questa pittura di contatto si estrinseca, direi manifestandosi compiutamente, nelle rappresentazioni del corpo umano, in particolare di quello della donna, nell’immediatezza di talune modalità della vita collettiva come il traffico urbano colto nelle ore notturne, e nel racconto di circostanze minuziose, piccoli eventi di un tempo, quello quotidiano, soggetto all’usura e invece colto nella sua immanenza più profonda, come esperienza di una verità del reale più immanente rispetto allo stesso. Ma iniziamo dalla rappresentazione della donna, costante riferimento iconografico della pittura dei gemelli che trova dire in un lungo e ininterrotto racconto figurato in cui essa, da motore interno per l’attivazione di un circuito emozionale del reale, di natura erotica e pulsionale, muta in monumento, direi quasi plastico, di un’innegabile verità cui l’uomo non può sottrarsi, il fascino della donna medesima, che in ogni posa in cui viene colta, in ogni movimento, nel suo atteggiarsi e nelle sue movenze, persino nel suo sguardo e nel suo abbigliamento, che è quello della nostra contemporaneità, trionfa con la sua travolgente corporeità travolgendo a sua volta il mondo, che è colui che la guarda - o la dipinge - accogliendola e celebrandola come in una gran festa ed evocando i versi di Baudelaire che le fa dire, ergendola a sua volta in monumento di inalterabile realtà: “ Sono bella, o mortali, come un sogno di pietra, e il mio corpo, che a tutti fu sventura, genera un amore eterno e muto come la materia”. Di questo corpo, di questa materia si sostanzia la pittura dei fratelli Vaccari, che segna per questo uno sbarramento, un diaframma, un ideale spartiacque dal quale non si esce. La seconda dimensione della pittura di questi artisti è l’attimo che fugge nella massima dimensione del tempo quotidiano, il traffico urbano. Qui “I notturni” dei gemelli hanno fatto già epoca e sono entrati, così credo, nella storia della nuova figurazione italiana, di cui gli stessi sono stati i precursori e da tempo i protagonisti. In anni ormai lontani, quando imperversava una certa “disattenzione” per questo genere pittorico, i nostri percorrevano strade e autostrade e coglievano, con l’infallibile precisione di uno scatto fotografico, l’irripetibile immobilità dell’hic et nunc bloccandolo nella loro “camera oscura” che poi, per miracolo, riuscivano a riprodurre sulla tela. Erano, quei notturni, immagini di un movimento lento colte all’interno di una vettura nella quale i gemelli viaggiavano, ma - come se al posto degli occhi avessero una telecamera che riprendeva l’esterno e registrava il procedere lento delle automobili con i fari accesi, lo scorrere del traffico all’interno di un set cinematografico accuratamente orchestrato da un magistrale regista per restituire ai riguardanti le luci, i bagliori, i riflessi di un attimo che si stendeva sulle ombre dei marciapiedi, i muri delle case e le vetrine dei negozi - per immettersi in un flusso più grande di quello che avevano davanti agli occhi, un fiume, addirittura, davanti al quale lo sguardo si stupiva e si lasciava catturare con la semplice meraviglia di chi considera, o è capace di considerare, la chiara semplicità della vita. Ed era appunto la vita, il suo manifestarsi nel traffico notturno, che quelle opere ci restituivano. Era come se le stesse automobili - che scivolavano silenziosamente sugli asfalti bagnati, alluvionati di luci sui quali i bagliori delle vetture stendevano veli, patine traslucide di vibrazioni luminose e guizzi di emozioni - contenessero sprazzi e frammenti di una vita silenziosa, e dialoghi, e fantasie e divagazioni di un vissuto che palpitava al loro interno e di cui si avvertiva, di vettura in vettura, la stanchezza, la noia, la malinconia e persino l’incanto il disincanto. Era come se ogni vettura fosse in realtà un libro aperto o una casa in cui si raccontava, senza vederla, lo svolgersi della vita. E l’alchimia, la magia di quei racconti consisteva nell’essere evocati semplicemente dall’illusione ottica della luce, che palpitava di interni bagliori, altri fuochi e altri riverberi, nelle profondità del riguardante. Infine gli eventi minuziosi, le tante piccole, impercettibili azioni in cui si svolge la vita di tutti i giorni e sulle quali non riusciamo a fissare la nostra attenzione perché troppo rapide e soggette all’usura del quotidiano. Ma appunto per questo i fratelli Vaccari le colgono, invece, come i grandi eventi della storia quotidiana, capovolgendone il senso ed ergendole a monumenti proprio bloccandoli, fissandoli come gesti banali di una ripetizione però necessaria nella quale si sostanzia l’apparente usura della vita. Così una semplice immersione in una vasca da bagno diventa un’occasione - per il taglio prospettico ardito, la prospettiva ravvicinata, il corpo di una giovane descritto con puntiglioso realismo nell’attimo in cui sta per abbandonarsi al bagno ristoratore - per una sorta di incisione pittorica, un intervento magistrale per appuntare uno spillo sul vestito troppo grigio della vita, ma in maniera tale che nessuna delle componenti anzidette sia decisiva quanto la flagranza dell’acqua che quasi si ode scorrere nel riquadro. Perché ciò che è raccontata, ancora una volta, non è la vicenda di una giovane che prende un bagno, ma la vita. La vita intera, col suo profumo il suo mistero, che tutto avvolge e consuma. I referenti di quest’opera austera e avvincente possono essere tanti. Ma per una volta non ne facciamo. Lasciamola vivere, questa preziosa manifestazione artistica, semplicemente da sola. Solo, vediamo di isolarla in questo nostro tempo rapido e fuggitivo, magari ricordandoci di Borges quando recitava: “Non ammirazioni né vittorie, ma semplicemente essere ammessi come parte di una verità immutabile. Come le pietre e gli alberi”. Alfonso e Nicola Vaccari vivono e lavorano a Forlì ARTA ntis.info 25
TINA LUPO SCULTURE L’Immolato, 1998 metallo bianco brunito, cm 40x30x15 www.kultrunmuseum.it