IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D'AMORE - Liberta' Educazione ...
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<strong>IL</strong> <strong>LINGUAGGIO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>LIRICA</strong><br />
D’AMORE<br />
(dalle Origini ai nostri giorni)<br />
DI CHIARA TONDANI<br />
Classe V A – Liceo linguistico di Pontremoli<br />
Revisione a cura del prof. Davide Grassi<br />
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INTRODUZIONE<br />
Questo lavoro tratta la lirica d’amore, analizzandone il linguaggio e quattro aspetti<br />
principali che sono: la struttura metrica dei componimenti, la loro sintassi, le metafore e le<br />
immagini che li caratterizzano, e infine le parole che ricorrono con maggior frequenza.<br />
L’opera si divide in tre parti, che sono state svolte negli anni scolastici 1999/00, 2000/01,<br />
2001/02.<br />
La prima parte inizia da quel gruppo di poeti che operarono tra il 1220 e il 1250 circa, alla<br />
corte di Federico II di Svevia, la cui denominazione è “Scuola Siciliana”. I maggiori<br />
esponenti della corrente, anche se è riduttivo per tutto il movimento citarne solo alcuni, sono<br />
Iacopo Da Lentini, Pier Della Vigna, lo stesso Federico II, Guido Delle Colonne, Stefano<br />
Protonotaro ed altri che operarono in Sicilia.<br />
In seguito ho analizzato il filone poetico dei “Rimatori toscani di transizione”,<br />
rappresentati soprattutto da Guittone D’Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Paolo<br />
Lanfranchi, e altri che operarono in Toscana.<br />
Poi ho studiato il movimento fiorentino del “Dolce stil novo”, i cui più grandi esponenti<br />
sono Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Cino Da Pistoia,<br />
Dino Frescobaldi e altri meno rappresentativi.<br />
Due capitoli a parte sono dedicati ai famosissimi Dante Alighieri e Francesco Petrarca, il<br />
cui lavoro fu talmente vasto e innovativo da porli in percorsi di studio individuali.<br />
La seconda parte dell’opera riguarda il lungo periodo che va dal Quattrocento<br />
all’Ottocento, contraddistinto da vari fenomeni letterari, centrati soprattutto sul Classicismo.<br />
Sono stati analizzati alcuni poeti del Quattrocento, successivamente gli esponenti del<br />
Petrarchismo, come Bembo, Gaspara Stampa, Ariosto. Il Seicento è stato affrontato<br />
soprattutto con l’analisi di alcune liriche di Marino e dei Marinisti e di alcuni classicisti, come<br />
Guidi e Chiabrera. È stata poi trattata l’Arcadia e si è arrivati ad analizzare qualche poeta del<br />
Neoclassicismo, come Monti e Foscolo. Il Romanticismo è stato trattato con l’analisi di alcuni<br />
autori, che hanno affrontato – all’interno della loro opera – il tema dell’amore. Infine due<br />
capitoli a sé sono stati dedicati a due grandi poeti dell’Ottocento: Giacomo Leopardi e Giosuè<br />
Carducci.<br />
Per quanto riguarda il Novecento, data la vastità del periodo e la difficoltà ad individuare<br />
specifiche correnti letterarie concernenti la tematica amorosa, si è scelto di trattare cinque<br />
autori, ritenendoli adeguatamente rappresentativi della lirica d’amore del Novecento e cioè<br />
Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Guido Gozzano, Giuseppe Ungaretti ed Eugenio<br />
Montale. Una breve Appendice è dedicata ad Umberto Saba. Questi scrittori hanno riguardato<br />
la terza parte dell’opera, che – essendo stata svolta nel corrente anno scolastico 2001/02 – si<br />
intende assunta come argomento proprio da presentare all’Esame di Stato.<br />
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PARTE PRIMA (dai Siciliani a Petrarca)<br />
1.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
LE POESIE DEI SIC<strong>IL</strong>IANI<br />
Diversamente da quella provenzale, che era di norma poesia per musica, la poesia siciliana<br />
è ormai semplice poesia per la lettura.<br />
I componimenti metrici della Scuola siciliana sono fondamentalmente tre: la canzone, la<br />
canzonetta ed il sonetto.<br />
Le canzoni siciliane, nonostante eccezioni, cambiano le rime passando da stanza a stanza.<br />
Ogni stanza consta di due parti, la fronte e la sirma ( dalla parola che significa la “coda” o<br />
“strascico della Veste”), una delle quali, o anche entrambe, si suddividono in due elementi<br />
identici o simmetrici, i piedi per la fronte, le volte per la sirma: la stanza risulta pertanto<br />
tripartita o quadripartita. Talora tra fronte e sirma si interpone un verso, detto chiave, che è<br />
poi ripetuto nelle volte della sirma; in tal caso si parla di sirma bipartita. L’ultima stanza della<br />
canzone, nella quale il poeta si rivolge, spesso, alla canzone stessa è detta Congedo ed è<br />
modellata sullo schema della Sirma.<br />
I versi che predominano sono l’endecasillabo e il settenario.<br />
Accanto alla canzone e a generi meno diffusi si introduce un’importante novità, dovuta<br />
probabilmente al notaio Iacopo Da Lentini, il sonetto, nella sua prima apparizione a rime<br />
esclusivamente alterne, formato da quattordici versi endecasillabi. Le due quartine hanno rima<br />
generalmente alternata o incrociata ripetuta nelle due strofe (salvo rare eccezioni) e cioè:<br />
ABAB, ABAB ovvero ABBA, ABBA. Nelle due terzine lo schema metrico è più libero,<br />
potendo assumere diverse variant, quali CDE, CDE ; CDE EDC; CDC, DCD …<br />
Per quanto concerne la canzonetta, essa è costituita secondo lo stesso schema della<br />
canzone, ma con versi minori dell’endecasillabo, come settenari e ottonari.<br />
Il repertorio siciliano, nonostante poche eccezioni di attestazione meno antica, ci è giunto<br />
largamente e progressivamente toscaneggiato dai copisti.<br />
Lo studio del metro e in particolare delle rime prova che il linguaggio era nettamente<br />
siciliano, si intende di quel siciliano che, con immagine dantesca, si suol chiamare “illustre”,<br />
adoperato cioè con intenzione non dialettale, bensì letterariamente nobilitato e regolarizzato a<br />
ideale imitazione della lingua universale e grammaticale per eccellenza, il Latino.<br />
I poeti siciliani, quindi, nella loro produzione utilizzavano gli apporti del Latino ( siamo<br />
allora di fronte a “latinismi”), ma anche gli apporti della lirica cortese ( siamo allora di fronte<br />
a “provenzalismi” o in senso più largo a “gallicismi”). In una situazione del genere - per fare<br />
degli esempi concreti - vidiri rimava con serviri, vui con fui. I copisti toscani, ai quali si deve<br />
in gran parte la conservazione dei testi siciliani originali, cercarono cioè di toscanizzarli,<br />
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specialmente nelle terminazioni vocaliche collegate con la rima. Così nella canzone<br />
“Madonna dir vi voglio” di Iacopo Da Lentini, il verso 2 come l’amor m’ha priso e il<br />
corrispondente verso 6 che’n tante pene è miso hanno subito un intervento toscaneggiante che<br />
ha sostituito priso all’originale prisu e miso all’originale misu.<br />
Nei versi 29-30 della stessa canzone co si fo per long’uso / vivo’n foc’amoroso , la rima<br />
che nell’originale c’era ( usu con amorusu ) risultava persa nella trascrizione toscana. O<br />
meglio, si era di fronte alla cosiddetta rima imperfetta, tuttavia accettata dalla cultura<br />
duecentesca e ancora trecentesca, e adoperata anche da autori sommi. Questa particolare rima<br />
imperfetta si suol chiamare “rima siciliana”.<br />
Dopo aver sintetizzato i tratti principali della metrica nella poesia siciliana, proviamo ad<br />
analizzare alcuni dei più famosi componimenti dei siciliani.<br />
“Meravigliosamente” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di settenari, in sette stanze;<br />
ogni stanza è costituita da due piedi abc e una sirma ddc; c’è quindi una rima chiave ( la c )<br />
che fa da collegamento.<br />
Troviamo le rime siciliane ai vv. 3-6 … e mi tiene ad ogn’ora /… la simile pintura, ai vv.<br />
33-36 …e non po’ stare incluso / …a voi, vis’amoroso; ai vv.51-54 …che voi pur v’ascondete<br />
/ quando voi mi vedrite.<br />
“Morte perché m’hai fatta” di Giacomino Pugliese è una canzone di sei stanze, ognuna<br />
delle quali è così strutturata: una fronte ( vv. 1-4 ) di due piedi uguali (endecasillabi con rima<br />
ABAB ), e una sirma ( vv. 5-10 ) di due volte pure identiche (due endecasillabi e un quinario<br />
con rima CCb, CCb ).<br />
A parte l’ultima stanza, che resta a sè con congedo, le altre cinque hanno un collegamento<br />
fra di loro così strutturato: le prime quattro sono collegate a coppia (la prima con la seconda:<br />
vv. 10-11 soglio / solea; la terza con la quarta: vv.30-31 donna / madonna); inoltre fra la<br />
quarta e la quinta, come nota A. E. Quaglio,
se non ch’a lo nemico<br />
che m’ha tolta madonna plageria,<br />
cioè la Morte fera,<br />
che non guarda cui fera:<br />
per lei podire aucire eo moriria.”<br />
“Dolce coninzamento” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di quattro stanze in settenari:<br />
ogni stanza è costituita da una fronte (vv.1-4) di due piedi uguali (ab, ab) e da una sirma (<br />
vv.5.10 ) anch’essa regolarmente suddivisa ( xxy, zzy ). Le stanze ad eccezione della prima,<br />
sono collegate dalla ripresa ( vv.20-21 basciari / bascianco, vv.30-31 vivente / vivente ), cioè<br />
la citazionedell’ultima parola di una stanza nel primo verso di quella successiva.<br />
1.2 TIPO DI SINTASSI<br />
Generalmente le canzoni dei Siciliani sono caratterizzate dall’espressione ritmata, scandita,<br />
lineare, senza complessità sintattica, e tendono ad esprimere il sentimento del poeta in<br />
un’affermazione chiara, immediata e calata nitidamente negli schemi comuni, piuttosto che a<br />
seguirne l’intimo discorso nel suo fluido ondeggiare nell’animo.<br />
Alla corte siciliana si formò un linguaggio poetico italiano, una tradizione di lingua e di<br />
stile che fu poi continuata dai poeti della nostra letteratura.<br />
I Siciliani assunsero a strumento di espressione il volgare che si parlava nel Regno e<br />
trassero un linguaggio poetico stilizzato e affinato, da un lato tenendo come modello il Latino<br />
( che era ancora la lingua in cui si esprimevano usualmente i dotti ), dall’altro il Provenzale,<br />
che fu imitato più decisamente perché era il modello letterario e aveva dato un nome e<br />
un’espressione ai concetti a cui si attenevano quei poeti. Essi, dunque, stabilirono un esempio<br />
di stile e di linguaggio poetico italiano selezionato e armonioso.<br />
Analizziamo dal punto di vista sintattico “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro,<br />
una canzone di endecasillabi e settenari in stanze tripartite “unissonans” ( cioè con rime<br />
costanti per l’intero componimento ).<br />
A differenza degli altri testi, assimilati dai copisti alla forma toscana, questa canzone<br />
conserva la sua veste linguistica originale, quella del siciliano illustre. E’ il documento più<br />
esteso e più importante che ci resti della forma originaria della poesia siciliana.<br />
Tipiche del Protonotaro sono la continuità sintattica fra stanza e stanza ( dalla seconda alla<br />
terza ) e il buon verseggiare di tipo manieristico.<br />
Notiamo la rima identica ai vv.45-46 lanza / lanza , la prima volta sostantivo , la seconda<br />
verbo.<br />
Notiamo anche l’assimilazione vocalica del siciliano dal Latino.<br />
LATINO CLASSICO a a e e i i o o u u<br />
SIC<strong>IL</strong>IANO a e i o u<br />
Il siciliano ha, quindi, un sistema di cinque sole vocali toniche, e non distingue tra “e”<br />
aperta e “e” chiusa.<br />
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I provenzalismi sono frequenti: v.3 alligranza, v.5 levimenti, v.6 dimuranza, v.22 m’è pir<br />
simblanza, v.23 dulzuri, v.24 miraturi, v.27 nutricatu, v.31 chi l’ublia siguiri, v.34 intidanza,<br />
v.35 istanti, v.36 tutisuri, v.46 chi mi fer’e mi lanza, v. 46 doluri, v.59 suffituri, v.60 unuri,<br />
v.63 beninanza, v.66 amaduri, ecc.<br />
1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
L’aspetto saliente della poesia dei Siciliani è il suo convenzionalismo: temi e modi di<br />
espressione, situazioni psicologiche rappresentate, vocaboli, persino, ed immagini, ricalcano<br />
consapevolmente i modelli francesi e soprattutto provenzali. Questi poeti non vollero<br />
innovare, ma emulare i provenzali, ripetendo i loro temi e la loro esperienza artistica.<br />
La loro arte è strettamente legata agli ideali di vita e di costume di una società aristocratica<br />
cortese, con le sue rigide convenzioni. Ciò che conta, nella vita e nell’arte, non è ostentare la<br />
propria originalità, ma mostrarsi degni di appartenere alla corte, alla sua società elegante e<br />
raffinata.<br />
Il tema dominante e unico della poesia siciliana è l’ ”Amor cortese”, con il suo galateo ben<br />
definito. La donna è rappresentata con caratteri tipici e astratti: bella ( ha “bionda testa”,<br />
“chiaro viso” secondo una moda ben definita ), spesso lontana e inaccessibile, dotata di<br />
saggezza e “intendimento”, cioè leggiadria, finezza di educazione e di costume; è paragonata<br />
a una rosa odorosa, a una luminosa stella. L’amante, suo servo, ha con lei un rapporto di<br />
dedizione cavalleresca, di vassallaggio, tiene chiuso gelosamente in sé il suo amore come un<br />
sentimento prezioso che affina il suo animo, come sublime e incomparabile gioia.<br />
Da questo tema derivano svolgimenti anch’essi obbligati: lamenti per la morte della donna,<br />
canzoni di lontananza e struggente nostalgia d’amore, lamenti per la partenza della donna<br />
amata, invocazioni a lei, perché sia alfine pietosa, contrasti dialogati in cui amante chiede<br />
amore e madonna rifiuta, salvo poi a giungere, alla fine, ad un accordo.<br />
Un repertorio, come si vede, limitato e fisso, con variazioni così impercettibili che non<br />
bastano a darci il senso pieno dell’individualità del singolo poeta: è, quello dei Siciliani, come<br />
un coro, un elegante gioco cortigiano, che mai ci presenta il dramma di un’anima o le voci<br />
profonde della realtà ben complessa di quegli anni di lotte e trasformazioni radicali, cioè la<br />
passione politica e i grandi problemi morali e religiosi.<br />
Analizziamo ora una canzone che si può considerare esemplare: “Gioiosamente canto” di<br />
Guido delle Colonne: Essa sintetizza i temi tipici della tradizione cortese; esprime il<br />
sentimento amoroso con un repertorio di immagini e riferimenti di raffinato intellettualismo.<br />
E’ formata da cinque stanze, ogni stanza ha una fronte di due piedi uguali di settenari e una<br />
sirma di quattro endecasillabi.<br />
I vv.3-4 sono esemplari: … per la vostr’amanza, madonna, gran gioi sento. Qui, il poeta,<br />
esprime la gioia che prova nel sentire tanto amore e tanta passione per la donna amata.<br />
v. 6 …or aggio riposanza<br />
v.11 und’eo m’allegro di grande ardimento<br />
vv.14-15-16 la vostra fresca cera, / lucente più che spera / e la bocca aulitosa…<br />
v.49 la vostra gran bieltate<br />
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v.57 così mi tene Amore - corgaudente<br />
v.60 così v’adoro come servo e ‘nchino<br />
1.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Analizziamo ora diversi componimenti per stilare una lista di parole che ricorrono spesso.<br />
Effettuare tale analisi ci serve per comprendere esaurientemente il senso di tutta la ricerca.<br />
Ci aiuta anche a comprendere il modo di comporre poesia da parte di poeti dai quali si fa<br />
risalire l’origine della nostra letteratura.<br />
Ecco l’elenco degli autori e delle opere analizzate, tratte dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 1°<br />
Iacopo da Lentini:<br />
• Madonna dir vo voglio<br />
• Meravigliosamente<br />
• Guiderdone aspetto avere<br />
• Amor non vale ch’io clami<br />
• La ‘namoranza disiosa<br />
• Ben m’è venuto prima condoglianza<br />
• Donna, eo languisco e non so qual speranza<br />
• Troppo son dimorato<br />
• Non so se ‘n gioia mi sia<br />
• Uno disio d’amore sovente<br />
• Amando lungiamente<br />
• Madonna mia, a voi mando<br />
• S’io doglio non è meraviglia<br />
• Amore, paura m’incalcia<br />
• Poi no mi val merzè né ben servire<br />
• Dolce coninzamento<br />
• Dal core mio mi vene<br />
• Feruto sono isvariatamente<br />
• Cotale gioco mai non fue veduto<br />
• Amor è uno desio che ven da core<br />
• Lo giglio quand’è colto tost’è passo<br />
• Sì come il sol che manda la sua spera<br />
• Or come pote sì gran donna entrare<br />
• Molti amadori la lor malatia<br />
• Donna, vostri sembianti mi mostraro<br />
• Ogn’omo ch’ama de’ amar so<br />
• A l’aire claro ò vista ploggia dare<br />
• Io m’aggio posto in core a Dio servire<br />
• Lo viso mi fa andare alegramente<br />
• Eo viso e son diviso da lo viso<br />
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• Sì alta amanza à pres’ a lo me’ core<br />
• Per sofrenza si vince gran vitoria<br />
• Certo me par che far dee bon Signore<br />
• Sì como ‘l parpaglion c’è tal natura<br />
• Chi non avesse mai vedutro foco<br />
• Diamante, né smiraldo, né zafino<br />
• Madonna à ‘n sé vertute con valore<br />
• Angelica figura e comprobata<br />
• Quand’om à un bon amico leiale<br />
Ruggieri d’Amici<br />
• Sovente Amore m’ha riccuto manti<br />
Tommaso di Sasso<br />
• L’amoroso vedere<br />
• D’amoroso paese<br />
Guido delle Colonne<br />
• La mia gran pena e lo gravoso affanno<br />
• Amor che lungiamente m’hai menato<br />
• Ancor che l’aigua per lo foco lassi<br />
Giovanni di Brienne<br />
• Donne audite como<br />
Oddo delle Colonne<br />
• Distratto core e amoroso<br />
Rinaldo d’Aquino<br />
• Venuto m’è in talento<br />
• Poi li piace ch’avanzi suo valore<br />
• Per fino amore vao sì letamente<br />
• Amor che m’è ‘n comando<br />
• Già mai non mi conforto<br />
• In gioi mi tegno tutte le mie pene<br />
• Amorosa donna fina<br />
• In amoroso pensare<br />
• Ormai quando flore<br />
• Meglio val dire ciò ch’omo è ‘n talento<br />
• Un oseletto che canta d’amore<br />
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Paganino da Sarzana<br />
• Contra lo meo volire<br />
Pier della Vigna<br />
• Amore in cui disio ed ò speranza<br />
• Amando con fin core<br />
• Però ch’Amore non se po’ vedire<br />
Stefano Protonotaro<br />
• Pir meu cori alligrari<br />
• Assai mi placeria<br />
Jacopo d’Aquino<br />
• Al cor m’è nato e prende uno disio<br />
Jacopo Mostacci<br />
• Amor ben veio che mi fa tenire<br />
• A pena pare ch’io saccia cantare<br />
• Umile core fino e amoroso<br />
• Mostrar vorria in parvenza<br />
• Sollicitando un poco meo savire<br />
Federico II<br />
• De la mia disianza<br />
• Poi ch’a voi piace, amore<br />
• Misura, providenza e meritanza<br />
Ruggerone da Palermo<br />
• Ben mi degio allegrare<br />
Cielo d’Alcamo<br />
• Rosa fresca aulentissima<br />
Abate di Tivoli<br />
• Oi deo d’amore, a te faccio preghere<br />
• Qual omo altrui riprende spessamente<br />
• Con vostro onore facciovi uno ‘nvito<br />
Per quanto riguarda le parole adoperate, si è fatto riferimento ad un campione di opere (non<br />
necessariamente d’amore) dei vari autori e correnti, e sono state prese, per ogni corrente o<br />
autore, le dieci parole più usate.<br />
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Ecco la classifica delle dieci parole che ricorrono più frequentemente nei poeti della Scuola<br />
siciliana. Accanto ad ognuna di esse vi è l’occorrenza, cioè la percentuale di volte in cui essa<br />
ricorre, calcolata sul numero totale delle parole che compongono le opere.<br />
SCUOLA SIC<strong>IL</strong>IANA % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 1,44 14,4<br />
2 Cor(e) 0,69 6,9<br />
3 gioi(a), gioioso, gioire … 0,59 5,9<br />
4 Donna/e 0,58 5,8<br />
5 Bellezza, bel, bella 0,29 2,9<br />
6 Morte, morir(e) … 0,26 2,6<br />
7 Madonna, Agi(o) 0,25 2,5<br />
8 Viso, Servo, Servire … 0,22 2,2<br />
9 Fin, Fino/a 0,20 2,0<br />
10 Pena/e 0,17 1,7<br />
Grafico esplicativo:<br />
X 1000<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
14,4<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
6,9 5,9 5,8<br />
Cor(e)<br />
gioi(a),<br />
gioioso …<br />
FREQUENZE SIC<strong>IL</strong>IANI<br />
Donna/e<br />
2,9 2,6 2,5 2,2 2,0 1,7<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
Morte,<br />
morir(e) …<br />
Madonna,<br />
Agi(o)<br />
Viso,<br />
Servo…<br />
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Fin, Fino/a<br />
Pena/e<br />
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LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI<br />
2.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
TRANSIZIONE<br />
Per quanto riguarda i metri adoperati dai poeti toscani, essi sono gli stessi della Scuola<br />
siciliana, cioè la canzone, la canzonetta ed il sonetto, con l’aggiunta di un metro nuovo, non<br />
adoperato dai Siciliani: la ballata. È un componimento metrico che è formato da una ripresa,<br />
in genere da due o quattro versi, e da varie strofe dette stanze. Esse sono, a loro volta,<br />
formate da una fronte (che si divide in due piedi tra loro uguali) e da una sirma (divisa in due<br />
mutazioni, o composta da una parte indivisa detta volta); la regola costante è quella che il 1°<br />
verso della volta rima con il 1° verso del 2° piede, mentre l’ultimo verso della volta rima con<br />
l’ultimo verso della ripresa<br />
Per quanto riguarda questa corrente nata in Toscana, a causa del tramonto definitivo della<br />
potenza sveva in Italia, analizzeremo alcuni componimenti del suo esponente maggiore,<br />
Guittone D’Arezzo, e di altri poeti come Chiaro Davanzati, Bonagiunta Orbicciani, Monte<br />
Andrea, Panuccio Dal Bagno, Dante Da Maiano, Paolo Lanfranchi.<br />
Analizziamo ora, dal punto di vista metrico, “Ahi lasso, or è stagion” di Guittone<br />
D’Arezzo. E’ una canzone di sei stanze più un congedo in endecasillabi e settenari.<br />
Ogni stanza è costituita da una fronte ( vv.1-8 ) che ha due piedi simmetrici ( ABBA,<br />
CDDC ) e da una sirma che include due settenari con il seguente schema ( EFGg, FfE ).<br />
Il congedo ( vv.91-97 ) è uguale alla sirma. Ora notiamo la perizia retorica con la quale<br />
questo componimento è costituito:<br />
1) Tutte le sei stanze (ad eccezione del congedo che di regola fa parte a sé ) sono collegate<br />
dalla ripresa, è perfettamente realizzata cioè la tecnica - frequente nella lirica provenzale -<br />
delle coblas capfinidas ( vv.15-16 altezza / Altezza, vv.30-31 Leone / Leone; ecc. );<br />
2) La tecnica della rima presenta una notevole varietà. Abbiamo infatti: rime ricche (<br />
vv.2-3 Ragione / guarigione; vv.32-33; vv.41-42; vv.46-49 ); rime univoche ( in cui cioè<br />
viene ripetuta la stessa parola ), vv.25-28 tanto / tanto; vv.40-44 morte / morte; vv.61-64<br />
danno / danno; rime equivoche (in cui la parola è ripetuta in senso diverso), vv.51-53 forza /<br />
forza; rime siciliane, vv.80-83 ora / mura, ( dove o chiusa rima con u : si ricordi che nel<br />
siciliano o chiusa diviene appunto u ); parole rima identiche che - nota A. E. Quaglio - > 2<br />
2 da A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani” in L<strong>IL</strong>, 1<br />
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Analizziamo “Tuttor ch’eo dirò” di Guittone D’Arezzo. E’ un sonetto in endecasillabi con<br />
rime ABBA nelle quartine e CDC, DCD nelle terzine.<br />
Notiamo l’affinità fra la prima rima delle quartine in osa e la seconda delle terzine in oso:<br />
vv.1-4 cosa / gioiosa; vv. 5-7 posa / amorosa; vv.10-12-14 gioiosa / disioso / riposo.<br />
Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. E’ un sonetto in endecasillabi, le<br />
cui rime seguono lo schema del precedente sonetto, e cioè ABBA nelle quartine e CDC, DCD<br />
nelle terzine.<br />
Analizziamo “Molto si fa brasmare” di Bonagiunta Orbicciani, un rimatore vicinissimo ai<br />
Siciliani, particolarmente al Notaio. Egli è molto incline alla canzonetta e alla ballata, non<br />
sprovvisto di iniziative metriche; è il miglior ponte tra i Siciliani e gli Stilnovisti fiorentini (<br />
Cavalcanti e Dante ). Questo componimento è una ballata mezzana ( cioè con ripresa di tre<br />
versi ), in tutti i settenari: due piedi ab, volta abx, ripresa mmx. E’ una ballata in nove stanze,<br />
la fronte divisa in due piedi ( con rima abab ) e la sirma composta da una sola volta abx.<br />
Analizziamo “Poi contra voglia” di Panuccio Dal Bagno. E’ una canzone di sei stanze,<br />
ognuna delle quali ha una fronte con due piedi uguali ( AbC ) e una sirma con due volte<br />
uguali, ma con un verso aggiunto ( DeF, DeF, F ); e il congedo differisce così dalla sirma<br />
come dalla stanza intera: sono innovazioni significative.<br />
Analizziamo “Ahi dolze e gaia” di Chiaro Davanzati. E’ una canzone di cinque stanze.<br />
Ognuna di esse ha una fronte con due piedi analoghi (AbbA, BaaB ) e una sirma CDdEeF,<br />
dunque con la prima e l’ultima rima irrelate ( ma nelle prime due stanze, la prima, e allora il<br />
verso è settenario, si identifica con b: tutto ciò è tipico della non imitata tecnica di Chiaro ).<br />
La rima irrelata è formata da due parole che non hanno connessione sintattica;<br />
proponiamo qualche esempio in questa canzone: vv.9-4 sequenza / maggiore; vv.23-28 paura<br />
/ cortesia; vv.37-42 savere / sia; vv.51-56 donata / dolorosa; vv.65-70 maggiori / via.<br />
Analizziamo “Donna di voi si rancura” di Monte Andrea. E’ una canzone di sette stanze<br />
più congedo, che si segnala per essere, al modo più frequente nella poesia provenzale, in<br />
strofe unissonans, cioè con rime costanti attraverso l’intero componimento. La fronte ha due<br />
piedi analoghi, aab, ccB ( le lettere minuscole designano ottonari), e sirma a rime baciate ( le<br />
lettere minuscole designano un ottonario la prima volta, altrimenti settenari ) ddeefF.<br />
La prima rima è siciliana ( -ora con -ura ); tutte le stanze presentano anafora; delle sirme,<br />
tolte quelle periferiche, cioè la prima e l’ultima ( congedo ), la rima in -one segnala il tema<br />
metaforico ( talora letterariamente abusato, talora non banale ): leone, paone, dragone, ecc.<br />
2.2 TIPO DI SINTASSI<br />
Facendo riferimento a Guittone D’Arezzo, esponiamo alcune notizie sulla sintassi dei<br />
componimenti dei Toscani. Guittone sembra trasferire alla sua regione e alla sua classe e parte<br />
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12
( l’agiata borghesia guelfa ), ingigantendola, l’ambizione retorica degli aristocratici e<br />
ghibellini siciliani.<br />
Nella cornice della società poetica, egli appare in relazione con i principali rimatori suoi<br />
contemporanei, il siciliano Mazzeo Di Ricco, forse Bonagiunta, certo Monte Andrea, il<br />
Guinizzelli e altri ancora.<br />
Le sue ballate sacre fanno inoltre sospettare che abbia avuto una parte di rilievo<br />
nell’elaborazione della lauda, fatto non per nulla umbro ( e all’Umbria appartiene<br />
dialettalmente la Toscana orientale ). Dante nel “De vulgari eloquentia “, classifica Guittone<br />
nei versificatori che non persero, né lessicalmente, né sintatticamente, l’abitudine di<br />
“plebescere”. Qui parla il Dante stilnovista, praticante un linguaggio scelto e melodico.<br />
Solo la critica moderna, per esempio con Giuseppe De Robertis, ha reso il debito omaggio<br />
all’importanza storica e alle qualità espressive, sia pure intermittenti, di Guittone 3 .<br />
Se anche non fu poeta grande e le nobili intenzioni oratorie prevalsero, in lui sul poetico<br />
abbandono, grande è la sua importanza nella letteratura del Duecento. Fu un iniziatore, un<br />
precursore, un letterato sapiente che diede vita a nuove forme e a nuovi schemi, a un’esigenza<br />
di poesia più complessa e atta ad accogliere la multiforme vita della coscienza, anche se il suo<br />
linguaggio, mescolato di espressioni dialettali e di suggestioni colte, latine, siciliane,<br />
provenzali, rimase spesso apro e disarmonico. Spiace anche al gusto moderno l’abuso di certi<br />
procedimenti stilistici, quali la “replicacio” ( usatissima già da Provenzali e Siciliani ), cioè la<br />
ripetizione di parole che sembrano un compiacimento di enigmista più che di scrittore ( ad<br />
esempio amore significa a morte, dice in una canzone per indicare i tristi effetti mortali cui<br />
può portare la passione amorosa ). Qui Guittone è legato al gusto del tempo, che intendeva la<br />
poesia soprattutto come artificio stilistico, secondo la pratica di quei Provenzali che erano<br />
giunti a una sorta di linguaggio ermetico ( il “trobar clus” cioè il poetare difficile ) e che<br />
Guittone voleva emulare.<br />
2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
I poeti toscani non vivevano in una corte, ma ciascuno nella propria città, nei liberi comuni<br />
della Toscana, la cui vita in questa epoca è straordinariamente viva e intensa, complicata da<br />
lotte, spesso sanguinose fra le fazioni, all’interno del singolo comune e tra città e città.<br />
C’è inoltre, in questa epoca, lo slancio costruttivo della borghesia comunale, che acquista<br />
sempre più un deciso predominio nella vita dello stato. Essa è attratta dallo splendore del<br />
costume cavalleresco, proprio di quell’antica classe egemonica, la nobiltà, che essa intende<br />
sostituire. E’ l’individualismo di chi si afferma nella società e nella vita non in nome di<br />
ereditari privilegi di casta, ma per le proprie capacità e qualità personali; è il realismo di chi<br />
non cerca, come la nobiltà, di fermare il tempo e la gerarchia sociale esistente, chiudendosi in<br />
un aristocratico sogno di vita bella, ma di chi, mercante o imprenditore, con la realtà deve fare<br />
continuamente i conti e valutarla concretamente per trasformarla.<br />
Questa situazione si riflette nella poesia toscana. Essa continua il tema dell’amor cortese,<br />
però sviluppa sempre più decisamente l’affermazione che cortesia e nobiltà non sono eredità<br />
3 La citazione è tratta da “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli<br />
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13
di sangue o di stirpe, ma conquista individuale; inoltre continua, conseguentemente, quel<br />
processo di spiritualizzazione dell’amore, e diremmo, di moralizzazione, per cui esso diviene<br />
spinta alla conquista della virtù, non tanto cavalleresca, quanto decisamente morale. Questo<br />
motivo, attraverso Guittone, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Bonagiunta Orbicciani,<br />
prepara la nuova tematica poetica, amorosa spirituale, degli Stilnovisti.<br />
La poesia toscana, infine, accoglie nuovi temi, morali e politici, riflettendo gli ideali, le<br />
lotte, le accese passioni della vita comunale.<br />
Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. Alcuni elementi di questo sonetto<br />
hanno fatto parlare di un guinizzellismo di Davanzati, cioè di affinità con lo Stilnovo. Si tratta<br />
in particolare dei seguenti:<br />
- l’immagine della luce ( vv.1 “La splendiente luce, quando appare …” ) che, nella<br />
similitudine, corrisponde alla donna, di cui sono ribaditi lo splendore ( v.4 ) e la luminosità (<br />
lumera, v.11 );<br />
- gli effetti, estesi a tutti gli uomini e non solo al poeta, del semplice “guardare”, qui<br />
limitati però ad effetti psicologici ( v.5 fece alegrare; v.7 lo fa in gioia ritornare ):<br />
La scelta del concetto e del termine alegrare ( di scarsa frequentazione stilnovistica ), la<br />
metafora imperadrice di ogni costumanza ( v.10 ), e il motivo dei pittori che prendono la<br />
donna a modello per la sua bellezza ( confinata insomma all’aspetto esteriore ) dimostrano<br />
almeno un forte influsso - anche su questo componimento - della letteratura prestilnovistica.<br />
Ma quello che è fondamentale è il fatto che le immagini e i motivi precedentemente<br />
menzionati ( alcuni dei quali pure attinti dall’area stilnovistica ) mancano delle implicazioni<br />
culturali, morali e filosofiche, proprie della rappresentazione dell’amore - come vedremo -<br />
degli Stilnovisti.<br />
Elenchiamo ora le metafore e le immagini usate in questo sonetto:<br />
v.1 la splendiente luce: la donna è luce.<br />
vv.4-8-13 ‘l suo splendore, il suo valore, di sì bella cera: gli attributi fisici della donna.<br />
v.7 lo fa in gioia ritornare: la donna è salvifica.<br />
v.9 E l’altre donne fan di lei bandiera; v.12 e li pintor la miran per usanza: la donna è<br />
modello sia delle altre donne sia degli uomini, in particolare i pittori che la ammirano per<br />
ritrarre la sua bellezza.<br />
2.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Prendiamo in considerazione componimenti di Guittone d’Arezzo, il più importante poeta<br />
dei rimatori toscani di transizione. Precisamente analizzeremo dalle Rime le canzoni da I a L<br />
ed i sonetti da I a CCXLVI<br />
Anche in questo caso procederemo a stilare un elenco delle parole più usate e a costruire<br />
un grafico esplicativo.<br />
Questa è la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.<br />
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14
RIMATORI TOSCANI % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 0,71 7,1<br />
2 Cor(e) 0,39 3,9<br />
3 Gioia, gioi, gioire … 0,38 3,8<br />
4 Donna/e 0,32 3,2<br />
5 Morte, morir(e) … 0,31 3,1<br />
6 Virtute 0,20 2,0<br />
7 Valor(e) 0,18 1,8<br />
8 Bellezza, Bel, Bella/e 0,17 1,7<br />
9 Sol(e) 0,15 1,5<br />
10 Vita 0,13 1,3<br />
Grafico esplicativo:<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
7,1<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
FREQUENZE GUITTONE D'AREZZO<br />
3,9 3,8 3,2 3,1<br />
Cor(e)<br />
Gioia, gioi,<br />
gioire …<br />
Donna/e<br />
Morte,<br />
morir(e) …<br />
2 1,8 1,7 1,5 1,3<br />
È evidente che le parole sono, più o meno, le stesse dei poeti siciliani; anzi, le prime<br />
quattro parole: amore – cuore – gioia – donna sono poste nella stessa posizione delle due<br />
classifiche. Il che dimostra la stretta analogia tra rimatori siciliani e poeti toscani di<br />
transizione.<br />
Virtute<br />
Valor(e)<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
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Sol(e)<br />
Vita<br />
15
LE POESIE DEL DOLCE ST<strong>IL</strong> NOVO<br />
3.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
I componimenti metrici adoperati dai poeti del Dolce stil nuovo sono, in sostanza, in<br />
medesimi dei rimatori toscani, e cioè: canzone, sonetto – con le sue varianti – e ballata.<br />
Prendiamo in esame tre componimenti di Guido Guinizzelli, quattro di Guido Cavalcanti e<br />
due di Cino da Pistoia.<br />
“Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli è una canzone di sei stanze di<br />
dieci versi ciascuna secondo lo schema: ABAB ( fronte ), cDcEdE ( sirma ).<br />
La fronte è composta di due piedi uguali e presenta tutti endecasillabi; la sirma alterna<br />
endecasillabi e settenari. Da rilevare la presenza della tecnica delle coblas capfinidas ( tranne<br />
che tra V e VI stanza ) e la frequenza di rime che si ripetono in stanze successive ( ad esempio<br />
-ore in I, II, IV; -ura in I, II, III; ecc. ), di rime identiche ( ad esempio sole / sole ai versi 5-7;<br />
cielo / cielo ai versi 41-43; poi ancora ai versi 3-38, 4-18-25, 5-7-42 ). Si noti la rima siciliana<br />
ai versi 18-20 natura / ‘nnamora.<br />
“Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo” del Guinizzelli è un sonetto secondo lo schema<br />
ABAB, ABAB, CDE, CDE. Notiamo le rime siciliane ai versi 2-4 ancide / merzede, e ai versi<br />
6-8 divide / vede.<br />
“Dolente lasso, già non m’asecuro” sempre del Guinizzelli, è un sonetto secondo lo stesso<br />
schema del precedente. Come ci fa notare il Contini . 4<br />
“Io non pensava che lo cor giammai” di Guido Cavalcanti è una canzone secondo lo<br />
schema ABBC, BAAC nella fronte; DeD, FeF nella sirma. Notiamo la differenza di schema<br />
di rima nei piedi.<br />
“Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira” del Cavalcanti è un sonetto secondo lo schema<br />
ABBA, ABBA, CDE, EDC.<br />
Sempre il Contini ci fa notare che la
quale “ormai è affermata l’inopia di ogni ordinario procedimento conoscitivo, che sia di qua<br />
dalla rivelazione ( “salute” )>> . 5<br />
“Voi che per li occhi mi passaste ‘l core” sempre di Cavalcanti è un sonetto secondo lo<br />
schema ABAB, ABAB, CDE, CDE.<br />
“Perch’i’no spero di tornar giammai” sempre del Cavalcanti è una ballata mezzana<br />
secondo lo schema ABAB nella fronte e Bccddx nella sirma. La ripresa ( vv.1-6 ) è uguale<br />
alla sirma, cioè composta da un endecasillabo, due settenari a rima baciata e il verso<br />
“concatenatio” ( Wyyzzx ). Notiamo la rima siciliana voi / colui ai versi 34-35.<br />
Le stanze terminano tutte con la stessa rima in -ore ( v.6 onore; v.16 dolore; V.26 core;<br />
v.36 Amore; v.46 valore ).<br />
“Tutto mi salva il dolce salutare” di Cino da Pistoia è un sonetto secondo lo schema<br />
ABAB, ABBA, CDC, DCD.<br />
“La dolce vista e’l bel sguardo soave” dello stesso autore della precedente, è una canzone<br />
di settenari e endecasillabi; ogni stanza è composta di una fronte ABAB e di una sirma<br />
BccdD. Il congedo ( vv.46-50 ) è uguale alla sirma.<br />
Vi sono riprese e ripetizioni ( anche tra stanze capfinidas, vv.18-19 e vv.36-37 ).<br />
Le rime presentano tre coppie di rime baciate BBccdD, alcune rime sono ricorrenti ( -ore I,<br />
II stanze ), molte producono fra loro assonanza o consonanza ( nella prima stanza: -ore, -orte;<br />
nella seconda: -asso, -ardo; nella quarta e nella sesta: -anto, -ento; nella seconda e nella<br />
quarta: -ute, -uto; ecc. ), vi sono frequenti rime o assonanze interne o significative ripetizioni<br />
foniche ( vi è ad esempio una fitta rispondenza tra amore e morte quasi sempre vicini e spesso<br />
associati a termini come dolore, conforto, core, forte, porto, ecc.: si vedano i versi 6-24 come<br />
riscontro pratico di queste note metriche ).<br />
3.2 TIPO DI SINTASSI<br />
Con il “dolce stil novo” la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase<br />
culminante in Italia. I poeti esponenti di questo nuovo nucleo poetico sono i fiorentini Guido<br />
Cavalcanti, Dante Alighieri, Guido Guinizzelli, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi e il pistoiese<br />
Gino De’ Sigibuldi. Essi si staccano nettamente dalla poetica dei rimatori toscani e dalla<br />
precedente tradizione siciliana e provenzale.<br />
Ciò che li distingue sul piano formale è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici tipici di<br />
Guittone e la scelta di un ideale estetico al quale ispirarsi per rendere il poetare più “dolce”,<br />
raffinato, musicale, morbido, sfumato, capace di dare voce più adeguata di quanto non<br />
avessero saputo fare i poeti precedenti, all’interiorità del sentimento.<br />
La dolcezza dello stile, insomma, è un fatto formale che non pregiudica la varietà dei temi<br />
e degli stati d’animo: come dice Marti
angelicata possono essere espresse con la tecnica della dolcezza, ma anche la malinconia, il<br />
dolore, il senso della morte, l’angoscia e la “paura” d’amore”>> 6<br />
La particolare sintassi di questa corrente può quindi comprendere le diverse maniere<br />
individuali e i diversi temi prediletti da ciascun componente del gruppo ( la malinconia di<br />
Cino, l’angoscia e lo sbigottimento di Guido Cavalcanti, ad esempio ).<br />
Per meglio renderci conto in che cosa consiste questo stile “dolce”, analizziamo il testo più<br />
celebre di Guinizzelli, già preso in esame nel precedente paragrafo, la canzone “Al cor gentil<br />
rempaira sempre amore”. Essa si può considerare il vero e proprio “manifesto” della nuova<br />
tendenza poetica. Seguiremo il seguente schema di analisi, che può essere utilizzato in tutti gli<br />
altri testi. Abbiamo vari livelli di analisi: livello fonico: se vi sono suoni aspri.<br />
livello metrico: come sono collegate le varie stanze; se ci sono rime ripetute nelle varie<br />
stanze.<br />
livello lessicale: se ci sono parole-chiave; quale posizione occupano all’interno del verso;<br />
se sono presenti latinismi e/o provenzalismi.<br />
livello retorico: se ci sono metafore, similitudini, analogie, allitterazioni, assonanze.<br />
livello sintattico: se la sintassi usata è semplice o complessa; se c’è una corrispondenza tra<br />
il tessuto sintattico e le argomentazioni adottate di carattere dottrinale e filosofico.<br />
livello ritmico: se vi sono enjambements.<br />
Nella canzone del Guinizzelli, per quanto concerne il livello fonico, possiamo affermare<br />
che sono praticamente assenti suoni aspri e , in particolare, scontri di consonanti. Per quanto<br />
riguarda il livello metrico non si trovano rime rare o difficili, cioè con combinazioni di suoni<br />
rari e poco comuni, quindi molto difficili da trovare; poco presenti sono anche rime che<br />
mostrino particolari artifici: vi sono solo due rime univoche, vv.5-7 sole / sole, vv.41-43 cielo<br />
/ cielo, ed una rima siciliana ai versi 18-20 natura / ‘nnamora. Compare solo episodicamente<br />
la tecnica delle “coblas capfinidas”: vv.10-11 foco / foco; vv.20-21 ‘nnamora / Amor; vv.40-<br />
41 splendore / splende.<br />
A livello lessicale non vi sono termini particolarmente rari e ricercati, ma il lessico è in<br />
genere piano e comune. Sono pochi i francesismi e i provenzalismi: rempaira, clar (che può<br />
essere anche un latinismo ), aigua, coraggio, semblo, semblanti, sembianza, amanza.<br />
Per ciò che concerne il livello sintattico, osserviamo un andamento fluido e piano, senza<br />
dure inversioni ( con qualche eccezione: la posposizione del soggetto natura al verso 4, del<br />
ferro in la minera al verso 30, ai versi 45-50 ).<br />
A livello ritmico notiamo l’assenza di spezzature violente; pause forti all’interno di un<br />
verso ( punti fermi, punti e virgole ); sono rari gli enjambements dalla forte inarcatura ( vv.26-<br />
27 foco / caldo, vv.48-49 splende / del suo gentil ).<br />
A livello retorico non vi è presenza di numerose figure retoriche; qui sono rare e la più<br />
frequente è il paragone.<br />
6 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 116<br />
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18
3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
I temi e le metafore presenti negli stilnovisti fanno parte della tradizione di tutta la lirica<br />
d'amore, a cui comunque vengono dati significato e valore diversi, perché utilizzati in modo<br />
nuovo per diverse finalità e perché inseriti in un diverso contesto.<br />
E’ il caso della metafora della donna-angelo, frequente anche nei poeti cortesi: nei testi<br />
degli stilnovisti l’immagine si carica di nuovi e più profondi significati ( la donna è per<br />
l’uomo un tramite verso l’Assoluto, è figura del sovrannaturale ).<br />
Ma l’elenco degli elementi tradizionali presenti negli stilnovisti non si esaurisce al caso,<br />
sicuramente il più clamoroso, della donna-angelo, anzi è lungo: l’iconografia tradizionale<br />
dell’amore, rappresentato ad esempio come arciere soriano o infante cieco; il manifestarsi<br />
dell’amore attraverso la vista della donna; l’amore come servizio; la subordinazione<br />
dell’amante all’amata; tutta una serie di metafore ( amore che arde, il poeta che vive nel fuoco<br />
e ne è consumato, la stella polare che guida l’amante …) e di temi ( il gabbo, la donnaschermo,<br />
l’amore non corrisposto … ), alcuni bisticci ( amore / amaro, Salute / saluto,<br />
entrambi di origine provenzale ) e via dicendo.<br />
Descriviamo ora i tratti principali nei quali si nota il grande rinnovamento del Dolce stil<br />
novo nei confronti della lirica d’amore precedente. Per quanto riguarda la donna, essa sembra<br />
quasi smaterializzarsi, non possedere più attributi fisici e non essere più “fonte di eccitanti<br />
fantasie” nel poeta-amante. Non è più chiamata a colloquiare con il poeta; al colloquio con la<br />
donna si sostituisce il colloquio con terze persone sulle qualità e virtù della donna.<br />
La lode della virtù della donna non riguarda più virtù mondane, ma virtù spirituali. Quella<br />
della donna diventa così un’immagine interiorizzata, una sintesi di ideali all’interno<br />
dell’anima del poeta amante. Da qui scaturisce il concetto della donna-angelo, che non è solo<br />
una decorazione superficiale dei componimenti ( la donna è bella come un angelo ), ma<br />
diviene nodo concettuale profondo per cui la donna opera beneficamente come un angelo, non<br />
solo sul poeta, ma su tutti coloro che la accostano.<br />
Anche il concetto di amore muta profondamente. Come sostiene il Marti . 7 Quindi, in Dante “un processo di conoscenza porta verso<br />
l’ineffabile rivelazione trascendente dell’Assoluto”. In Cavalcanti “ gli accende l’ansia<br />
dell’Assoluto sentito come inattingibile approdo”. In Cino Da Pistoia “gli permette di cogliere<br />
il senso dell’assoluto nei modi e nei moti della mente e del cuore per la ricerca della verità<br />
nell’interno dell’uomo”.<br />
I componimenti, quindi, esprimono l’estatica contemplazione e lode delle virtù della<br />
donna: li potremmo definire “componimenti di lode” che, sia pure con qualche differenza,<br />
sono comuni a tutti i principali componenti del gruppo e, si può dire, costituiscono una<br />
modalità tipica della poesia stilnovistica.<br />
7 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 119<br />
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19
Una modalità complementare alla precedente è quella in cui la medesima concezione della<br />
donna e la medesima nozione di amore, suscitano nel poeta un sentimento di angoscia, la<br />
percezione della propria inadeguatezza e inferiorità. E’, quest’ultima, una caratteristica del<br />
Cavalcanti, poeta dello sbigottimento, della lacerazione interiore, del senso della morte.<br />
Per quanto riguarda, invece, la nozione tradizionale di nobiltà, notiamo che l’ideale<br />
stilnovistico non è più la nobiltà di sangue secondo l’ottica cortese, ma “nobiltà come<br />
ingentilimento”, come esito di un processo interiore di raffinamento, che coincide<br />
strettamente con la costante dedizione ad Amore.<br />
La critica ha avuto giudizi discordanti sulla questione del rapporto che hanno gli stilnovisti<br />
con un gruppo di poeti tardo provenzali ( Guiraut Riquier, Guilhelm De Montanhagol,<br />
Sordello e Lanfranco Cigala ) e qualche toscano ( Monte Andrea, Chiaro Davanzati, ad<br />
esempio ).<br />
L’opinione del Sapegno è su una sostanziale continuità, oltre che di temi e stilemi, anche di<br />
valori e ideali: la concezione dell’amore sarebbe radicata in quella cortese; le innovazioni del<br />
gruppo risiederebbero nella tecnica più affinata, in un gusto più elevato e in un<br />
“approfondimento e raffinamento dell’indagine psicologica”. 8<br />
Vi sono, invece, assertori del carattere profondamente innovativo dello stilnovismo, sia dal<br />
punto di vista più prettamente formale dei componimenti, sia da quello culturale.<br />
Consideriamo la concezione della donna in Guinizzelli e in particolare il concetto di<br />
donna-angelo secondo l’interpretazione del Marti: il Guinizzelli pone l’immagine della donna<br />
in un’ordinata visione dell’universo facendo riferimento all’analogia dell’operare degli angeli,<br />
con tesi del tutto lontane dalla poetica cortese, nella quale, invece, l’immagine angelica resta<br />
estetica e decorativa. 9<br />
Con questa intuizione poetica, Guinizzelli risolse l’urgente problema del rapporto fra<br />
sentimento amoroso e legge morale, tra poetica ed etica. La donna angelo stilnovistica incide<br />
nel vivo della poetica tradizionale.<br />
Con Guinizzelli si inaugura una nuova giovinezza poetica permeata di una più fresca<br />
spiritualità.<br />
3.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Prendiamo in esame, per quanto riguarda le parole adoperate dagli stilnovisti, i seguenti<br />
autori con le relative opere:<br />
Guido Guinizzelli:<br />
• Tegno de foll’impres’a lo ver dire<br />
• Madonna il fino amor ched eo vi porto<br />
• Donna, l’amor mi sforza<br />
• Al cor gentil rempaira sempre amore<br />
8 Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973, p. 21<br />
9 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, pp. 118-120<br />
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• Lo fin pregi avanzato<br />
• Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo<br />
• Vedut’ho la lucente stella diana<br />
• Dolente, lasso, già non m’asecuro<br />
• Ch’eo cor avesse, mi potea laudare<br />
• Io voglio del ver la mia donna laudare<br />
• Lamentomi di mia disaventura<br />
• Gentil donzella, di pregio nomata<br />
• Madonna mia, quel di’ ch’Amor consente<br />
• Sì sono angostioso e pien di doglia<br />
• Pur a pensar mi par gran meraviglia<br />
• Fra l’altre pene maggio credo sia<br />
• Chi vedesse a Lucia un var capuzzo<br />
• Volvol te levi, vecchia rabbiosa<br />
• Omo ch’è saggio non corre leggero<br />
• O caro padre meo, de vostra laude<br />
Guido Cavalcanti:<br />
• Fresca rosa novella<br />
• Biltà di donna e di saccente core<br />
• Avete ‘n voi li fior’ e la verdura<br />
• Chi è questa che ven ch’ogn’om la mira<br />
• Li miei foll’occhi, che prima guardaro<br />
• Deh, spiriti miei, quando mi vedete<br />
• L’anima mia vilment’è sbigottita<br />
• Tu m’hai sì piena di dolor la mente<br />
• Io non pensava che lo cor giammai<br />
• Novella doglia m’è nel cor venuta<br />
• Poi che di doglia cor conven ch’i porti<br />
• Perché non fuoro a me gli occhi dispenti<br />
• Voi che per li occhi mi passaste ‘l core<br />
• Se m’ha del tutto obliato Merzede<br />
• Se Merzè fosse amica a’ miei disiri<br />
• A me stesso di me pietate vene<br />
• S’io prego questa donna che Pietate<br />
• Non sian le triste penne sbigottite<br />
• Io prego voi che di dolor parlate<br />
• O tu che porti nelli occhi sovente<br />
• O donna mia, non vedestù colui<br />
• Veder poteste, quando v’inscontrai<br />
• Io vidi li occhi dove Amor si mise<br />
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• Un amoroso sguardo spiritale<br />
• Posso degli occhi miei novelle dire<br />
• Veggio negli occhi de la donna mia<br />
• Donna me prega, per ch’eo voglio dire<br />
• Per li occhi fere un spirito sottile<br />
• Una giovane donna di Tolosa<br />
• Era in penser d’Amor quand’i trovai<br />
• Gli occhi di quella gentil foresotta<br />
• Come m’invita lo meo cor d’amare<br />
• Io temo che la mia disaventura<br />
• La forte e nova mia disaventura<br />
• Perch’i’ no spero di tornar giammai<br />
• Certe mie rime a te mandar vogliendo<br />
• Vedeste, a mio parere, onne valore<br />
• S’io fosse quelli che d’Amor fu degno<br />
• Se vedi Amore, assai ti priego, Dante<br />
• Dante, un sospiro messagger del core<br />
• I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte<br />
• Certo non è de lo ‘ntelletto accolto<br />
• Gianni, quel Guido saluta<br />
• Ciascuna fresca e dolce fontanella<br />
• Se non ti caggia la tua santalena<br />
• Cavelli avea biondetti e ricciutelli<br />
• Da più a uno fece un sollegismo<br />
• Una figura della donna mia<br />
• La bella donna dove Amor si mostra<br />
• Di vil matera mi conven parlare<br />
• Guata, Manetto, quella scrignutuzza<br />
• Novelle ti so dire, odi, Nerone<br />
Lapo Gianni:<br />
• Eo sono Amor che per mia libertate<br />
• Amore, io non son degno ricordare<br />
• Gentil donna cortese e di bonare<br />
• Angelica figura novamente<br />
• Dolc’è ‘l penser che mi notrica ‘l core<br />
• Donna, se ‘l prego de la mente mia<br />
• Se tu martoriata mia soffrenza<br />
• Amore i’ prego la tua nobeltate<br />
• Angioletta in sembianza<br />
• Novella grazia a la novella gioia<br />
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22
• Questa rosa novella<br />
• Ballata, poi che ti compose Amore<br />
• O Morte, della vita privatrice<br />
• Amor, nova ed antica vanitate<br />
• Nel vostro viso angelico amoroso<br />
• Sì come i Magi a guida de la stella<br />
• Amor, eo chero mia donna in domino<br />
Gianni Alfani:<br />
• Guato una donna dov’io la scontrai<br />
• Donne, la donna mia ha d’un disdegno<br />
• Quanto più mi disdegni più mi piaci<br />
• Ballattetta dolente<br />
• De la mia donna vo’ cantar con voi<br />
• Se quella donna ched i’ tegno a mente<br />
• Guido, quel Gianni ch’a te fu l’atrieri<br />
Dino Frescobaldi:<br />
• Un sol penser che mi ven ne la mente<br />
• Poscia che dir conviemmi ciò ch’io sento<br />
• Voi che piangete nello stato amaro<br />
• Per gir verso verso la spera la finice<br />
• Morte avversara, poich’io son contento<br />
• Donna, dagli occhi tuoi par che si mova<br />
• Amor, se tu se’ vago di costei<br />
• Tanta è l’angoscia che nel cor mi trovo<br />
• Un’alta stella di nova bellezza<br />
• Quest’è la giovanetta ch’Amor guida<br />
• Poscia ch’io veggio l’anima partita<br />
• Al vostro dir, che d’amor mi favella<br />
• Giovane, che così leggiadramente<br />
• Questa altissima stella, che si vede<br />
• Per tanto pianger quanto li occhi fanno<br />
• No spero di trovar giammai pietate<br />
• In quella parte ove luce la stella<br />
• La foga di quell’arco, che s’aperse<br />
• Deh, giovanetta, de’ begli occhi tuoi<br />
• Quant’e’ nel meo lamentar sento doglia<br />
• L’alma mea trist’è seguitando ‘l core<br />
Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.<br />
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23
DOLCE ST<strong>IL</strong> NOVO % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 1,18 11,8<br />
2 Cor(e) 0,90 9,0<br />
3 Morte, morir(e) … 0,64 6,4<br />
4 Donna/e 0,60 6,0<br />
5 Occhi 0,40 4,0<br />
6 Bellezza, bel, bella 0,38 3,8<br />
7 Spirto, spirito 0,34 3,4<br />
8 Gentile 0,31 3,1<br />
9 Valor(e) 0,29 2,9<br />
10 Virtu(te) 0,27 2,7<br />
Grafico esplicativo:<br />
X 1000<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
11,8<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
9,0<br />
Cor(e)<br />
FREQUENZE ST<strong>IL</strong>NOVISTI<br />
6,4 6,0<br />
Morte,<br />
morir(e) …<br />
Donna/e<br />
4,0 3,8 3,4 3,1 2,9 2,7<br />
Occhi<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
Spirto,<br />
spirito<br />
Rispetto alla precedente lirica d’amore si notano – a livello lessicale – alcune differenze,<br />
pur in una situazione di forte analogia, data dal fatto che i termini amore – core – donna<br />
occupano comunque i primi posti nella classifica. Le novità sono tuttavia evidenti:<br />
1) Scompare, tra i primi dieci, il termine gioi(a), che era tipico della poesia siculo –<br />
toscana di stretta derivazione provenzale (frequenza 1,2 x 1000)<br />
2) acquistano peso i termini occhi (4x1000), spir(i)to (3,4 x 1000) e gentile (3,1 x 1000),<br />
che costituiscono elementi basilari della nuova poetica stilnovista, nella quale<br />
assistiamo ad una spiritualizzazione dell’Amore, ad una scarsa descrizione fisica della<br />
donna (ridotta generalmente ai soli occhi) e infine alla netta corrispondenza tra Amore<br />
e cuor gentile.<br />
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Gentile<br />
Valor(e)<br />
Virtute<br />
24
LA POESIA DI DANTE (Le Rime)<br />
4.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
Le Rime di Dante Alighieri comprendono 80 componimenti, di cui 54 autentici e 26 dubbi.<br />
I 54 testi autentici contengono, dal punto di vista metrico, 33 sonetti, 13 canzoni, 5 ballate,<br />
una sestina, una sestina doppia ed un sonetto doppio. Sonetti, ballate e canzoni erano già<br />
presenti nelle liriche dei precedenti rimatori. La sestina è, invece, una novità. Essa si compone<br />
di sei strofe, ciascuna formata da sei endecasillabi e costruita sulle parole – rima della strofa<br />
precedente, secondo questa regola: ogni stanza assume alternativamente l’ultima rima e la<br />
prima della stanza precedente, poi la penultima e la seconda, poi la terzultima e la terza. Lo<br />
schema risulta il seguente: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.<br />
Il congedo, di tre versi, si forma sulle prime parole – rima delle prime tre stanze; le tre parole<br />
– rima che mancano sono recuperate all’interno dei versi procedendo a ritroso; in pratica lo<br />
schema del congedo è il seguente: A(B)F(D)C(E). Analoga la struttura metrica della sestina<br />
doppia. La prima stanza ha il seguente schema: ABAACAADDAEE; l’ordine delle parole –<br />
rima nelle altre stanze è stabilito sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così<br />
via, sino all’esaurimento delle combinazioni (ad es. la seconda stanza è EAEEBEECCEDD),<br />
Il congedo ha il seguente schema: AEDDCD. Quanto al sonetto doppio esso ha il seguente<br />
schema metrico: AaBBbA, AaBBbA, CDdC, DCcD (Abbiamo l’introduzione di un settenario<br />
dopo il 1° e 3° verso delle quartine e dopo il 2° verso delle terzine).<br />
Prendiamo ora in esame alcuni componimenti tratti dalle Rime per analizzarne la metrica.<br />
Analizziamo “Tre donne”: è una canzone di sei stanze; ogni stanza ha per piedi due<br />
quartine identiche, AbbC, mentre nella sirma, collegata alla fronte ( CddEeFEfGG ), il<br />
Carducci riconosceva un altro “quartetto” e due “terzetti”, tuttavia di non omogenea struttura.<br />
Il primo congedo ha la consueta identità di struttura con la sirma, e perciò la sua prima rima è<br />
irrelata. Molto diverso il secondo congedo ( EDeFFGG ), dove irrelata è invece la seconda<br />
rima. La notevole divergenza nello schema e la mancanza in vari codici fanno pensare che,<br />
secondo un’abitudine già ovvia nei trovatori, quest’altro sia un’aggiunta ( forse non di molto<br />
posteriore ).<br />
“Per una ghirlandetta” è una ballata per musica, composta da una ripresa di tre settenari (<br />
schema abc ) seguita da tre strofe, ciascuna di quattro novenari e tre settenari ( schema:<br />
DEDEebc ).<br />
“Deh, Violetta, che in ombra d’Amore” è una ballata “grande”, per la ripresa di quattro<br />
versi ( ABBA ) endecasillabi. Segue poi una sola strofa ( Cde, Dce - mutazioni - e EFFA -<br />
volta ) di endecasillabi e settenari.<br />
“Un dì si venne a me Malinconia” è un sonetto di metro ABBA, ABBA, CDC, DCD.<br />
“Così nel mio parlar voglio esser aspro” è una canzone di cinque stanze, ciascuna delle<br />
quali ha tredici versi su cinque rime. Lo schema è il seguente: AbbC, AbbC, CCDdEE. Ne<br />
risulta che dal quinto verso in avanti si hanno solo rime baciate, cosa che contribuisce al ritmo<br />
martellante, incalzante del componimento. La rima è notevole anche per la presenza di nessi<br />
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25
consonantici aspri: -tr ( petra, impetra, arretra, faretra; squatra, atra, latra, latra ); -rz (<br />
scorza, forza, ferza, terza, scherza, sferza ); -spr ; -rm; -zz; -rs; -lz; -rr; -nd; -nc; ecc.<br />
Vi sono rime rare e difficili ( fatte con parole scarsamente attestate, almeno in rima: è più<br />
facile , infatti, far rimare parole con terminazioni frequenti - cuore, amore, dolore - che parole<br />
con terminazioni rare nel lessico italiano; così è per ferza, terza, scherza, sferza ai versi 67-<br />
68-71-72, o per squatra , atra, latra, latra ai versi 54-55-58-59 ).<br />
Vi è una rima equivoca ( latra / latra ai versi 58-59: il primo è un sostantivo, “ladra”, il<br />
secondo voce verbale da “latrare” ).<br />
Vi è la rima derivativa ( ferza, sferza ai versi 67-72, dove la voce verbale “sferza” è<br />
composta dal sostantivo “ferza”; ma forse lo è anche petra / impetra ai versi 2-3, se - come<br />
rileva il Contini - 10 .<br />
“Amor, tu vedi ben che questa donna” è una sestina doppia ( ABA, ACA; ADD, AEE ) con<br />
congedo AEDDCD. Ha sostanzialmente la struttura di una stanza di canzone di tutti<br />
endecasillabi, con distinzione di fronte e sirma e rispondenza di rime ( le due parole-rima che<br />
compaiono due volte sono in rima baciata ). L’ordine delle parole-rima nelle stanze<br />
successive si stabilisce sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così via, sino al<br />
compimento, nelle cinque stanze, delle possibili combinazioni ( la seconda stanza è dunque<br />
EAE, EBE; ECC, EDD; ecc. ). Il congedo segue ordinatamente la disposizione delle prime<br />
parole-rima di ciascuna stanza, con raddoppiamento di quella centrale.<br />
4.2 TIPO DI SINTASSI<br />
Le “Rime”, e cioè quelle poesie di Dante che non sono state raccolte dal poeta nella “Vita<br />
nuova” o nel “Convivio”, ci consentono di seguire il vasto e complesso cammino percorso da<br />
Dante per arrivare all’ideale stilistico raffinato e aristocratico della “Vita nuova”, allo stile<br />
“comico”, cioè vario, articolato, complesso, finalizzato ad esprimere realisticamente tutta la<br />
vita dell’universo e dell’animo umano nei suoi molteplici aspetti, ora nobili, ora volgari, ora<br />
umili, ora alti, ora infimi, ora sublimi.<br />
In qualche caso sono visibili le tracce di un tirocinio stilistico siculo-guittoniano; altre<br />
volte si tratta di poesie leggere ( ballatelle o sonetti ) madrigalesche ed epigrammatiche, per<br />
donne i cui nomi, reali o convenzionali ( Fioretta, Violetta, Lisetta), sono stati variamente<br />
avvicinati o allontanati dalle famose descrizioni femminili della “Vita nuova”.<br />
Possiamo distinguere, in questa sorta di canzoniere dantesco, oltre alle rime giovanili<br />
dominate dall’ideale espressivo stilnovistico, e a quelle di corrispondenza, la tenzone con<br />
Forese Donati, e le rime “petrose”, caratterizzate, la prima, dal gusto della violenta<br />
deformazione caricaturale, le seconde, dal gusto di un poetare in rima aspra e difficile,<br />
sull’esempio dei più astrusi poeti provenzali. Vi sono infine le rime dottrinali, nutrite sì di<br />
10<br />
La citazione di G. Contini è tratta dalla premessa alla canzone nell’edizione delle Rime da lui curata, in<br />
“Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970.<br />
26<br />
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pensiero e svolte secondo un solido schema dimostrativo, ma più spesso avvivate dall’ardore<br />
del sentimento e dell’idealità morale.<br />
Concludendo, le “Rime” sono una serie di tentativi, un procedere irrequieto del poeta in<br />
una continua e travagliata ricerca espressiva.<br />
4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Come per l’analisi della sintassi, così nell’analisi delle metafore e degli stilemi più<br />
ricorrenti, è necessaria una suddivisione dell’esperienza poetica dantesca. La distinzione più<br />
comprensibile che si può fare è la seguente: le rime della lode, le rime petrose, quelle<br />
dottrinali, quelle allegoriche e, infine, quelle comiche.<br />
Ovviamente, quelle che riguardano più da vicino la nostra ricerca sono le rime della lode,<br />
perché è in esse che compare la tematica dell’amore. Queste ultime, a differenza delle<br />
seconde sopracitate, fanno parte dell’esperienza stilnovistica di Dante.<br />
Liberandosi dal Cavalcanti, Dante scopre una maniera più personale a cui più tardi<br />
attribuirà un grande valore di svolta. Sono le “nove rime”, lo “stilo delle loda”, che<br />
costituiranno poi il nucleo vitale della “Vita nuova”.<br />
All’amore doloroso, Dante sostituisce la lode disinteressata di Beatrice, la gentilissima<br />
della “Vita nuova”. Notiamo, quindi, il subentrare di un amore disinteressato, finalizzato ad<br />
appagare se stesso, rimpiazzando la logica dell’amore come reciprocità di servizio. Nelle sue<br />
radici cavalcantiane e guinizzelliane, è questo il culmine dell’esperienza stilnovistica.<br />
Dante aveva dedicato componimenti anche ad altre donne ( Fioretta, Violetta, ecc. più tardi<br />
reinterpretate come donne schermo, la cui funzione sarebbe stata quella di copertura del<br />
segreto d’amore per Beatrice ), ed aveva cantato Beatrice anche in modi più convenzionali,<br />
ma ad un certo punto dovette farsi chiara in lui la potenzialità simbolica dell’amore per<br />
Beatrice, che diviene allora il supremo, l’unico. Beatrice diventa la “beatrice”, colei che<br />
beatifica, cioè un miracolo, una creatura angelica non solo metaforicamente, ma proprio<br />
venuta di cielo in terra a miracol mostrare, dal cielo rimpianta e al cielo destinata a fare<br />
ritorno, dove il pensiero di Dante la contemplerà nell’ultimo sonetto della “Vita nuova”.<br />
Per quanto riguarda, invece, le rime petrose ( da Petra, senhal della donna cantata ), esse<br />
sono caratterizzate dallo stile aspro, nelle quali Dante abbandona l’immaginario stilnovistico e<br />
si riallaccia all’esperienza del “trobar clus” ( poetare difficile ) di Arnaut Daniel.<br />
Caratteristica generale delle petrose è una sorta di immobilità, di fisicità tematica per cui, al<br />
limite, in esse non compare ( né potrebbe ) lo svolgersi dinamico di una situazione. I<br />
“personaggi rituali” di questi componimenti sono tre: il poeta, la donna e Amore.<br />
Un’ultima caratteristica che segnaliamo per ciò che riguarda queste poesie, è il realismo<br />
innanzitutto linguistico, assai più che descrittivo-situazionale.<br />
Il Contini scrive:
tramite alla conoscenza celeste - con quella, che altrettanto approssimativamente si può dire<br />
pessimistica, del Cavalcanti - l’essere amato come trascendente rispetto all’amante e<br />
irraggiungibile, la qualità dolorosa e ‘paurosa’ della passione ->>. 11<br />
La critica ha anche discusso la sacralità della figura di Beatrice: per alcuni l’amore per<br />
Beatrice e Beatrice stessa sono un mezzo per arrivare a Dio, 12 e la Vita Nuova traccia un<br />
percorso verso Dio, nel quale Beatrice è la figura di Cristo; per altri Beatrice è il fine ultimo<br />
dell’amore di Dante, non è il tramite con Dio, ma è paragonata a Cristo, perché è colei che<br />
dona beatitudine, e quest’ultima è appagamento che non desidera altro. 13 Estremamente<br />
sublimato e spiritualizzato, l’amore per Beatrice non si risolve però in misticismo.<br />
4.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate prendiamo in esame le Rime, e<br />
precisamente le 54 rime di sicura attribuzione.<br />
Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente ed il relativo grafico.<br />
DANTE, LE RIME % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 0,88 8,8<br />
2 Donna/e 0,74 7,4<br />
3 Bellezza, bel, bella 0,58 5,8<br />
4 Cor(e) 0,45 4,5<br />
5 Occhi 0,38 3,8<br />
6 Morte, morir(e) … 0,34 3,4<br />
7 Mente 0,27 2,7<br />
8 Gentile, Dolce(zza) 0,22 2,2<br />
9 Sol(e), Pietra 0,19 1,9<br />
10 Luce 0,18 1,8<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
8,8<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
7,4<br />
Donna/e<br />
5,8<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
FREQUENZE DANTE<br />
4,5 3,8 3,4 2,7 2,2 1,9 1,8<br />
Cor(e)<br />
Si nota che le parole adoperate da Dante, pur con qualche variazione, risultano molto simili<br />
a quelle usate dagli stilnovisti, di cui Dante fece parte, e dei quali sono mantenuti significativi<br />
termini, quali occhi (3,8 x 1000) e gentile (2,2 x 1000)<br />
11 G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970, p. 302.<br />
12 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 152.<br />
13 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p.152.<br />
Occhi<br />
Morte …<br />
Tempo<br />
Mente<br />
Gentile,<br />
Dolce(zza)<br />
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Sol(e),<br />
Pietra<br />
Luce<br />
28
LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (Canzoniere)<br />
5.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
Il Canzoniere di Petrarca si compone di 366 poesie, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9<br />
sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Abbiamo già parlato delle canzoni, dei sonetti, delle ballate e<br />
delle sestine. La novità in Petrarca è costituita dal madrigale. I madrigali sono componimenti<br />
brevi, costituiti da due o tre strofe di tre endecasillabi ciascuna, seguite da una o due coppie di<br />
endecasillabi, generalmente a rima bociata. I quattro madrigali di Petrarca hanno questi<br />
schemi metrici: ABA BCB CC; ABA CBC DEDE; ABC ABC DD; ABB ACC CDD.<br />
Prendiamo adesso in esame alcuni componimenti tratti dal Canzoniere.<br />
“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” ( I ) è un sonetto di schema metrico ABBA,<br />
ABBA, CDE, CDE. La bipartizione tra quartine e terzine, tra invocazione speranzosa di pietà<br />
e ripiegamento sulla severa condanna di sè, è segnata anche dalle rime: nelle quartine si hanno<br />
tutte rime con sillaba aperta, -ono, -ore, cioè con rime vocaliche; nelle terzine, invece, con<br />
sillaba chiusa, -utto, -ente con scontro di consonanti.<br />
Al verso 4 si noti la cesura; gli enjambements sono rari, poiché ognuno di questi versi può<br />
rimanere a sé, improntato sul medesimo equilibrio.<br />
“Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e ‘l anno” ( LXI ) è un sonetto di schema metrico<br />
ABBA, ABBA, CDC, DCD. Anche in questo sonetto sono rari gli enjambements; si noti la<br />
coordinazione per polisindeto, rappresentata dall’anafora in e nei versi 1-2-3-7-11.<br />
“Padre del ciel, dopo i perduti giorni” ( LXII ) è un sonetto di schema metrico ABBA,<br />
ABBA, CDE, CDE. Vi sono solo tre enjambements ai versi 5-9-10.<br />
“Chiare, fresche e dolci acque” ( CXXVI ) è una canzone di schema metrico<br />
abCabCcdeeDfF. Ogni stanza è formata dalla fronte, a sua volta divisa in due piedi, e dalla<br />
sirma, divisa in due volte.<br />
5.2 TIPO DI SINTASSI<br />
Il Canzoniere, insieme ai Trionfi, è l’unica opera di Petrarca scritta in volgare. Alla base di<br />
quest’opera vi è un’esperienza reale e vissuta dal poeta: l’amore per Laura.<br />
Non è una vera e propria esperienza vissuta – allorché ci troveremmo di fronte a un leggere<br />
moderno, romantico ( prodotto cioè da una stagione culturale che ha esaltato la poesia come<br />
trascrizione spontanea di sentimenti ) – ma è una trasfigurazione letteraria, come una<br />
costruzione ideale, esemplare, che segue determinati codici.<br />
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La poetica del Canzoniere è limpida, equilibrata, armoniosamente perfetta, dotata di una<br />
miracolosa fluidità musicale, nonostante non si possa definire così l’intricato universo<br />
petrarchiano.<br />
Per Petrarca la poesia non è esplorazione accanita dell’anima, non sfogo immediato del<br />
sentimento. I conflitti interiori non si gettano sulla pagina con la violenza scomposta con cui<br />
nascono nell’intimo, ma passano attraverso un filtro che li decanta e li purifica: la letteratura<br />
svolge questo ruolo.<br />
L’esigenza di chiarezza e decantazione, corre parallela alla cura della perfezione formale,<br />
al minuziosissimo e assiduo lavoro di lima che il poeta applica ai suoi versi, affinché non vi<br />
resti nulla di grezzo, di approssimativo o di scomposto. Potremmo dire che la poesia di<br />
Petrarca è retta da un “classicismo formale” che si manifesta come selezione ed idealizzazione<br />
del reale. Lo stile di Petrarca è stato definito “monolinguismo” ( al contrario del<br />
“plurilinguismo” dantesco ). Nessuna parola spicca mai, come intensa macchia di colore, nel<br />
tessuto del discorso: Petrarca tende a creare un’armonia di insieme in cui nessun particolare<br />
predomini. Come il poeta stesso afferma, il suo assiduo, infaticabile lavoro di lima sui testi,<br />
tende a far soavi e chiare le rime aspre e fosche. Nel termine aspre notiamo l’allusione al<br />
tono dantesco delle rime petrose.<br />
5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE<br />
La materia quasi esclusiva del Canzoniere è l’amore del poeta per una donna, chiamata<br />
Laura, incontrata il Venerdì Santo in una chiesa di Avignone.<br />
La figura di Laura è, comunque, evanescente, vicina e insieme lontana, irraggiungibile;<br />
quasi un fantasma del cuore, viva nel sentimento e nell’immaginazione del suo poeta, ma mai<br />
definita da una sorta di concretezza. Vero protagonista dell’opera è dunque Petrarca, la sua<br />
anima tormentata.<br />
La “Laura trasfigurata nella poesia” diviene per il poeta l’anelito di felicità, una felicità<br />
terrena non effimera e caduca, la tensione verso una vita più bella.<br />
Per comprendere gli altri temi della poesia petrarchiana, analizziamo il sonetto “Voi<br />
ch’ascoltate in rime sparse il suono”, una ricapitolazione e rivalutazione a posteriori della<br />
propria esperienza umana e letteraria.<br />
1. Divaricazione temporale. Il sonetto propone, innanzitutto, una forte divaricazione<br />
temporale tra passato e presente, scandita lungo il testo dall’alternanza di verbi al presente (<br />
v.1 ascoltate; v.4 sono; v.5 piango e ragiono; v.8 spero trovar ) e verbi al passato ( v.2<br />
nudriva; v.4 era; v.10 fui ), ma sottolineata ed enfatizzata dall’antitesi del verso 4 ( quand’era<br />
in parte altr’uom da quel ch’i’ sono ), e soprattutto dall’or sì del verso 9. In una struttura<br />
metrico-ritmica, infatti, piuttosto regolare e persino monotona, il verso in questione spicca<br />
perché è l’unico ad essere accentato sulla quinta posizione ( mentre dominano accenti in<br />
quarta e sesta posizione negli altri versi più “regolari” ): questo fatto, e le ragioni sintattiche<br />
connesse, impongono, oltre ad una variazione di ritmo rispetto ai versi precedenti, una doppia<br />
pausa nella lettura che assolve, appunto, la funzione di dare enfasi al sintagma “or sì”.<br />
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2. Divaricazione dell’io. Questa divaricazione temporale determina, a sua volta, una<br />
divaricazione dell’io del poeta. Egli, in altri termini, sembra scindersi in un “io” che scrive e<br />
vive il presente e un “io” che è vissuto nel passato, caratterizzati da un diverso atteggiamento,<br />
ma soprattutto da una diversa consapevolezza. Al passato l’io del poeta era smarrito nel suo<br />
primo giovenile errore, nudriva ‘l core di sospiri, era in parte altr’uom da quel che è al<br />
presente, favola fu gran tempo, senza accorgersi o vergognarsi delle dicerie e del popol<br />
tutto. Al presente si sostituisce, in primo luogo, la consapevolezza (conoscer chiaramente)<br />
dell’errore, del vaneggiar, ma, in secondo luogo, anche il piangere, il ragionare (scrivere di<br />
questa passata condizione e riflettere sul presente ), la speranza di trovar pietà e perdono,<br />
l’intensa vergogna e il pentimento.<br />
3. L’io protagonista dissimulato. La centralità dell’analisi del proprio io, della<br />
propria vicenda psicologica è, però, dapprima dissimulata in una sorta di gioco illusionistico.<br />
Il sonetto si apre con un Voi, che al lettore deve apparire un soggetto sospeso, in attesa di un<br />
predicato che non compare; in realtà si tratta di un vocativo; e il soggetto logico e<br />
grammaticale del periodo, che prende da solo le due quartine, compare soltanto al verso 8.<br />
Anzi, propriamente, non compare: è l’”io” sottinteso al verbo spero. Questa latitanza del<br />
soggetto sino all’ottavo verso è in parte compensata dalla presenza, in frasi dipendenti, di tre<br />
“io” ( vv.2-4-5 ) e di un “mio” al verso 3: il tutto produce appunto un “gioco illusionistico”,<br />
che turba il lettore ( come già rilevavano i commentatori antichi ), un gioco di insistenza, e al<br />
tempo stesso dissimulazione del protagonista logico e tematico delle quartine, del sonetto, e<br />
poi dell’intero Canzoniere. Nelle terzine, viceversa, l’io del poeta è subito messo in evidenza (<br />
Ma ben veggio ): presenza, questa, addirittura enfatizzata ai versi 11-12 mediante<br />
allitterazione ( di ME Medesmo Meco MI vergogno ) e ripresa ( et del MIO vaneggiar ). A<br />
questo proposito, si noterà, però, che 14 (Contini ) che rinvia allo stato di incertezza, vergogna in cui si<br />
trova il poeta.<br />
4. La vergogna e il persistere nell’errore. La divaricazione dell’io, protagonista del<br />
sonetto, tra passato e presente è solo parziale. Fondamentale è, a questo proposito, la<br />
limitazione del verso 4 ( quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono). Al presente il poeta<br />
prova vergogna e pentimento, ha raggiunto la chiara conoscenza razionale dell’errore e della<br />
più generale vanità delle cose e dei piaceri mondani, anche in questo caso sottolineata da<br />
“echi semantici e fonico-sillabici” ( Naferi ): “VArio … VAne … VAN … proVA … troVAR<br />
… VANeggiar …” in una sorta di citazione dissimulata di un luogo biblico: “vanitas<br />
vanitatum et omnia vanitas”. Ma questo fatto non comporta che il poeta se ne sia liberato: egli<br />
è ancora, almeno in parte, invischiato nell’errore, ancora adesso oscilla fra le vane speranze e<br />
il van dolore, piange, non solo per il pentimento, e ragiona. Persino il vaneggiar del verso 12<br />
non è esclusivamente riferito al passato.<br />
A proposito delle interpretazioni di sull’identità di Laura, proponiamo l’analisi svolta da<br />
Ugo Bosco.<br />
etrocesso al ruolo di puro cesellatore di parole e modulatore di ritmi, di puro “letterato”;<br />
altri ancora, in posizione intermedia, ammettendo la realtà storica della donna e dell’amore,<br />
evidenziano la simbolicità della loro rappresentazione: Laura, come Beatrice; donna<br />
“spirans” e insieme simbolo.<br />
Quest’ultima interpretazione è quella del De Sanctis, che vede Laura come “donna-dea”.<br />
Un altro critico, il Croce; rimanendo fedele alla precedente posizione, asserisce “Il suo Dio o<br />
la sua dea, il suo ethos, la sua politica appassionante si chiamò Laura … Nel profondo, nelle<br />
radici del suo essere, non si trova che quella speranza e disperazione d’amore … Ed è amore<br />
vero e proprio, nel quale egli richiede il ricambio e il possesso, e non l’ottiene e spera<br />
sempre…”.<br />
Il Croce vede l’amore del poeta, “centro, fulcro” della sua spiritualità.<br />
Comunque bisogna partire dal fatto che nella vita dell’uomo, l’amore per Laura non fu<br />
che un episodio che il poeta lirico vuole rappresentarci come centrale e determinante: un<br />
episodio trasformato in “mito”.<br />
Non si deve tentare di definire l’esistenza o no di Laura, ma l’essenza della più vasta<br />
speranza e disperazione, che al poeta piacque cantare sotto la specie della sua speranza e<br />
disperazione d’amore>> 15 .<br />
5.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Come già detto, per la redazione dell’elenco delle parole maggiormente ricorrenti<br />
analizzeremo il Canzoniere.<br />
Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.<br />
PETRARCA, <strong>IL</strong> CANZONIERE % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 0,61 6,1<br />
2 Bellezza, bel, bella 0,58 5,8<br />
3 Dolce(zza) 0,54 5,4<br />
4 Cor(e) 0,47 4,7<br />
5 Occhi 0,46 4,6<br />
6 Sol(e) 0,41 4,1<br />
7 Morte, morir(e) … 0,38 3,8<br />
8 Ciel(o) 0,34 3,4<br />
9 Tempo 0,26 2,6<br />
10 Vita 0,25 2,5<br />
Grafico esplicativo:<br />
15 U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977, pp. 19 – 22<br />
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32
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
È evidente anche in Petrarca un linguaggio che si rifà, nelle sue linee essenziali, a quello<br />
degli stilnovisti e di Dante. In effetti tra le dieci parole maggiormente usate dal poeta<br />
troviamo i consueti termini comuni a tutte le correnti, come amore e cuore. Accanto ad essi vi<br />
sono parole usate dagli esponenti del Dolce stil nuovo, come occhi (4,6 x 1000) o parole usate<br />
da Dante, come dolcezza (5,4 x 1000) e sole (4,1 x 1000).<br />
CONCLUSIONI<br />
FREQUENZE PETRARCA<br />
6,1 5,8 5,4 4,7 4,6 4,1 3,8 3,4<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
Dolce(zza)<br />
Cor(e)<br />
Occhi<br />
2,6 2,5<br />
Le conclusioni che possiamo trarre dall’analisi dei cinque grafici e delle occorrenze nei<br />
relativi autori (Siciliani, Guittone, Stilnovisti, Dante, Petrarca) sono abbastanza interessanti. È<br />
più che evidente la ricorrenza molto frequente di alcune parole, che diventano tematiche e<br />
rappresentative della lirica.<br />
Innanzitutto ci balza subito agli occhi che la parola che ricorre in tutte le correnti ed autori<br />
in percentuale sempre rilevante è amore. Nei Siciliani, soprattutto, essa ha la percentuale più<br />
alta. Nei Toscani, nel Dolce stil novo, in Dante e in Petrarca tende invece a diminuire.<br />
Un altro termine che ha una presenza ed una percentuale costante è cor, che si mantiene<br />
più o meno stabile in tutte le correnti, ma aumenta nel Dolce stil novo, anche se non in modo<br />
considerevole (9,0 x 1000 contro il 4 – 8 x 1000 delle altre correnti).<br />
Anche la parola bellezza compare, in percentuale tra l’1,7 x 1000 e il 5,8 x 1000, in tutte le<br />
correnti ed autori.<br />
La parola gioia, tipica dei Siciliani e dei Toscani, scompare – almeno tra le prime dieci –<br />
dagli stilnovisti in poi (1,2 x 1000 negli stilnovisti, 0,3 x 1000 in Dante e 0,2 x 1000 in<br />
Petrarca). Con gli stilnovisti fanno il loro ingresso – tra le prime dieci – parole come gentile,<br />
occhi, dolcezza (al 12° posto con il 2,0 x 1000) che aumentano notevolmente la loro presenza.<br />
Tali termini restano in Dante ed in Petrarca, i quali recepiscono sostanzialmente, in campo<br />
lessicale, le innovazioni portate dai rimatori del Dolce stil nuovo.<br />
I cambiamenti linguistici più rilevanti si notano, in effetti, dal Dolce stil nuovo in poi,<br />
poiché a partire dallo Stilnovo assistiamo all’omogeneità dei termini, all’uso completo delle<br />
parole che, in modo esemplare, esprimono l’idea di amore e di tutto ciò che vi ruota attorno.<br />
Per quanto riguarda la struttura dei componimenti, si può asserire che sin dall’inizio essi si<br />
articolano in sonetti, ballate, canzoni e canzonette. Le produzioni poetiche di Dante e Petrarca<br />
33<br />
Sol(e)<br />
Morte,<br />
morir(e) …<br />
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Ciel(o)<br />
Tempo<br />
Vita
dedicano tutta una loro opera alla raccolta di componimenti che per la maggior parte sono<br />
sonetti: le Rime, per quanto riguarda Dante, e il Canzoniere, per Petrarca.<br />
La sintassi, nella lirica d’amore, evolve gradualmente, seguendo un processo di<br />
affinamento, semplificazione, ingentilimento e purificazione. Anche se l’evoluzione è<br />
graduale, si nota comunque come nel Dolce stil novo ci sia il più netto distacco dalla<br />
tradizione precedente. Da qui in poi, Dante e Petrarca, saranno i più grandi rappresentanti di<br />
questo rinnovamento, anche se per Petrarca sarebbe necessario un discorso a parte, in quanto<br />
non si suol definirlo uno stilnovista, bensì il precursore dell’Umanesimo.<br />
Il motivo predominante della lirica d’amore, come facilmente si comprende, è l’amore. Da<br />
esso si diramano sottogruppi di immagini e metafore che, nonostante siano sempre le stesse in<br />
ogni movimento poetico, mutano aspetto e si caratterizzano in modo diverso. Queste metafore<br />
sono principalmente due: la figura della donna e il sentimento del poeta. Per entrambe<br />
bisognerebbe fare un discorso individuale in ogni corrente, ma i momenti di maggiore<br />
importanza sono stati nel Dolce stil novo, nella produzione di Dante e in quella di Petrarca.<br />
Nei primi due sono affini: la donna assume l’angel sembianza, diventa il tramite tra poeta e<br />
Dio, e assume il significato salvifico.<br />
Analizzando, invece, il sentimento del poeta nella produzione di Petrarca, si assiste al<br />
radicale mutamento nei confronti della lirica precedente. Egli vive l’amore solo dentro di sé,<br />
si fa unico interprete, unico interlocutore e unico destinatario dell’amore.<br />
Concludendo, si può affermare, da questo lavoro d’indagine, quanto sia importante l’uso o<br />
l’omissione di determinate parole, affinché la comprensione di un poeta o di una corrente<br />
siano più facili. È importante , inoltre, sottolineare la genialità di alcuni uomini, la loro<br />
sensibilità. Uomini che hanno costruito le fondamenta della nostra lingua, della nostra cultura,<br />
ma soprattutto, che ci aiutano a ragionare e a modellare il pensiero.<br />
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34
PARTE SECONDA<br />
(Dall’Umanesimo alla fine del Romanticismo)<br />
LA <strong>LIRICA</strong> D’AMORE DEL 1400<br />
6.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
I metri usati nella lirica d’amore del Quattrocento riprendono i classici metri di Petrarca, e<br />
cioè sonetto, canzone, sestina, ballata, madrigale. In aggiunta abbiamo altre tipologie<br />
metriche, di varia origine, che fanno il loro ingresso nella poesia d’amore. Le principali sono<br />
le seguenti:<br />
1) La terza rima, o capitolo in terzine: formata da terzine di endecasillabi, chiusi da un<br />
verso isolato, rimato con il penultimo verso: ZYZ – Y; prende ispirazione dai Trionfi<br />
del Petrarca.<br />
2) L’ottava rima: composta da una strofa di otto endecasillabi, i primi sei a rima alternata,<br />
gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC. Viene usata da Lorenzo<br />
il Magnifico.<br />
3) Lo strambotto: è un breve componimento in endecasillabi; gli schemi più diffusi sono<br />
ABABAB, ABABCC, AABBCC (sei versi), oppure ABABABAB, ABABCCDD,<br />
AABBCCDD (otto versi). Viene usato dal Poliziano.<br />
4) La villotta e la villanella: componimenti in metro variabile, modellati sulle ballate<br />
5) La frottola barzelletta: non è un metro ben definito, presenta schemi vari, con versi<br />
lunghi e brevi, può essere modellata sulla ballata.<br />
6) I canti carnascialeschi: simili alle ballate, ma composti da ottonari. Sono usati da<br />
Lorenzo il Magnifico.<br />
In questo paragrafo analizzeremo i componimenti metrici di alcune liriche di Lorenzo il<br />
Magnifico, e di Angelo Poliziano.<br />
Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico analizziamo Il cor mio lasso in mezzo<br />
all’angoscioso petto e Tante vaghe bellezze ha in sé raccolto.<br />
Sono due sonetti, il primo di schema ABBA ABBA CDE CDE, il secondo ABBA ABBA<br />
CDE EDC. In entrambi sono numerosi gli enjambements, quindi il ritmo è abbastanza rapido<br />
e scorrevole.<br />
Per ciò che concerne Angelo Poliziano analizziamo I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino<br />
e Ben venga maggio.<br />
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35
Il primo componimento è una ballata, o “canzone a ballo”, di endecasillabi, con rime<br />
ABABBX per la strofa, XX per la ripresa. L’ultima parola del componimento, giardino,<br />
coincide con l’ultima della ripresa.<br />
Vi sono pochi enjambements ( vv.1-3-6-7-13-14-17-30 ); da notare alcuni versi spezzati (<br />
vv.1-4-5-9-11-16-17-21-23-25-28-30 ).Oltre che da questi elementi, il ritmo è determinato<br />
anche dalla serie anaforica quando … quando … quando ai versi 24 e 25.<br />
Il secondo componimento è, anch’esso, una ballata ( destinata ad essere cantata con<br />
accompagnamento musicale ) di tutti settenari, con otto strofe di schema ababbx ( x sempre in<br />
maggio ), ripresa xx formata da un quinario e da un settenario.<br />
Sono presenti alcuni enjambements ( vv.1-3-7-9-11-13-15-17-19-21-23-25-27-33-36-37-<br />
39-47-49 ), ma in misura minore rispetto ai versi spezzati. Possiamo affermare che il ritmo di<br />
entrambe le poesie è piuttosto lento.<br />
6.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Per comprendere che tipo di linguaggio usano i due poeti prenderemo spunto dall’ Epistola<br />
proemiale che fa capo a tutta una raccolta di testi poetici toscani che Lorenzo il Magnifico<br />
inviò a Federico di Aragona nel 1477. L’Epistola proemiale e probabilmente la stessa scelta<br />
dei testi della raccolta, si devono al Poliziano, che parla però in nome di Lorenzo.<br />
Questo testo è di grande importanza nell’ambito di quel processo di rivalutazione del<br />
volgare che caratterizza tutto il Quattrocento. Lorenzo Il Magnifico e Poliziano, assieme a<br />
tanti altri poeti loro contemporanei, operarono concretamente quella controtendenza che<br />
mirava a riconoscere dignità al volgare, a restituirgli campi d’uso non subalterni, a sostituirlo<br />
al Latino come lingua di cultura. Si possono apprezzare, grazie a loro, opere di qualità in<br />
volgare, sia in ambito poetico che prosastico. La ripresa del volgare, soprattutto, ma non solo,<br />
in ambito letterario, è guidata lungo le linee che avevano ispirato l’elaborazione linguistica e<br />
stilistica del Petrarca, anche se non con gli stessi risultati: il volgare degli umanisti cerca<br />
ispirazione nei classici latini, sia pur indirettamente, e cerca di competere con il Latino<br />
umanistico in dignità, eleganza e raffinatezza. Ecco perché vi è una forte frequenza di<br />
latinismi in ambito lessicale.<br />
Ritornando all’Epistola, Poliziano pone in rilievo i sommi Dante e Petrarca, ma anche tutti<br />
gli altri poeti che fanno parte dell’intera tradizione poetica.<br />
Possiamo asserire, quindi, che il linguaggio adoperato dagli umanisti, come Lorenzo il<br />
Magnifico e Poliziano, è assolutamente aderente a quello volgare della produzione del<br />
Petrarca.<br />
6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE<br />
Prendiamo in esame I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino. In questa lirica, che è fra le più<br />
belle e celebri del Poliziano e dell’intero Quattrocento, un giardino lussureggiante in<br />
primavera è metafora della giovinezza; il far ghirlande, il coglier la rosa mentre è più fiorita,<br />
significano goder la giovinezza; la sfioritura ( prima che sua bellezza sia fuggita v.27 ) evoca<br />
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36
il declino della giovinezza. Il messaggio che chiude il componimento ( sicché, fanciulle,<br />
mentre è più fiorita,/ coglian la bella rosa del giardino ) è poi un equivalente del celebre<br />
“carpe diem” oraziano. L’invito a godere la vita nella sua stagione migliore ha origine, in una<br />
lunga tradizione, dalla constatazione della labilità della vita e della giovinezza stessa. Emilio<br />
Bigi, sintetizzando i temi più tipici della lirica giovanile del Poliziano, ha parlato di 16<br />
L’invito edonistico a godere dei piaceri, espresso tramite la metafora del “cogliere la rosa”,<br />
torna più volte nella letteratura quattrocentesca, e si concretizza nel godere i piaceri<br />
dell’amore: ecco la vena sensuale, libera da ogni senso di peccato, che in qualche modo<br />
contrasta con il petrarchismo (ispirato al platonismo, tipicamente rinascimentale, che<br />
affermava la spiritualizzazione dell’amore). Da tutto ciò ricaviamo che la posizione di<br />
Poliziano è del tutto laica: se le cose belle sono effimere, bisogna goderle prima che esse si<br />
dileguino.<br />
Riassumendo quelli che sono i temi prediletti alla lirica d’amore quattrocentesca,<br />
possiamo evidenziare la rappresentazione di un mondo di serena ed equilibrata gioia vitale e<br />
la fiducia ottimistica nella vita, nella natura e nell’uomo.<br />
Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico vi è una disparata gamma di interpretazioni<br />
critiche. Ciò è dato dall’ eterogeneità della sua produzione, dalla presenza di temi spesso<br />
contraddittori. Alcuni critici hanno parlato di “dilettantismo”, altri di “intellettualismo”, c’è<br />
chi ha messo in discussione la sincerità d’ispirazione, chi ha individuato un impegno nella<br />
realtà, chi contrariamente ha messo in evidenza il desiderio di evasione, chi ha tentato di<br />
coniugare i due aspetti.<br />
Sicuramente vi è una forte componente di eclettismo, probabilmente causata dai suoi<br />
impegni politici, che non gli hanno permesso di aspirare ad una fama esclusivamente dovuta<br />
alle sue opere letterarie. Premesso questo, non si possono negare le sincere motivazioni<br />
all’esercizio e alla sperimentazione letteraria. 17<br />
Per quanto riguarda Poliziano, la critica tende a porre in rilievo la questione che riguarda<br />
l’idea che egli aveva di funzione dell’arte, cioè cosa fossero per lui poesia e filologia. Eugenio<br />
Garin, ad esempio, parla di :<br />
un culto della parola che si esplica in un interesse profondo, rigoroso ed analitico per tutti i<br />
documenti e le testimonianze del passato investigati e compresi con un acuto senso della loro<br />
storicità.<br />
Per ciò che concerne il suo stile, ne richiamiamo i concetti chiave tratti dall’epistola al<br />
Cortese: rifiuto della rigida imitazione di un unico modello, per quanto possa considerarsi<br />
“ottimo” ( nel caso specifico Cicerone ) , affermazione della necessità di imitare tutti gli<br />
autori che presentino qualche pregio, in un processo di assimilazione e interiorizzazione della<br />
parola degli antichi che costituisce il fondamento dell’originalità stilistica individuale. Questa<br />
concezione dell’imitazione giustifica l’applicazione della formula “docta varietas” per<br />
definire gusto, ideale estetico e pratica dello stile polizianei. La concreta analisi delle pagine<br />
16<br />
La citazione di E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana, UTET,<br />
Torino 1986, p.384<br />
17<br />
La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato.<br />
37<br />
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poetiche di Poliziano, in volgare e in Latino, dimostra l’incidenza di tale gusto: echi diversi,<br />
diverse reminiscenze, calchi e citazioni anche dissonanti per provenienza e qualità, ora attinti<br />
ai citati modelli letterari classici, ora viceversa a componimenti di andamento popolare, si<br />
intrecciano in complessi e originalissimi impasti. Siamo vicini a quel gusto e a quella pratica<br />
linguistica e stilistica, ispirati all’ibridismo tipicamente quattrocentesco 18 .<br />
Comunque, anche se non linearmente, la tendenza degli ultimi decenni del Quattrocento è<br />
di fare del petrarchismo un momento sempre più centrale dell’elaborazione lirica, sul piano<br />
tematico e su quello formale.<br />
6.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per ricercare le prime dieci parole adoperate dai lirici del Quattrocento abbiamo<br />
considerato i seguenti autori con relative opere:<br />
Lorenzo dei Medici<br />
• Canzoniere<br />
• Poemetti in terzine<br />
• Rime in forma di ballata: Laude 1 – 9; Ballate 1 – 29; Canti carnascialeschi 1 – 11<br />
• Poemetti in ottava rima: Ambra; Nencia; Selva 1; Selva 1, 142; Selva 2; Selva 2, 31<br />
Angelo Poliziano:<br />
• Rime<br />
Jacopo Sannazaro:<br />
• Arcadia<br />
• Sonetti<br />
• Canzoni<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:<br />
POETI DEL QUATTROCENTO % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 0,50 5,0<br />
2 Cor(e) 0,39 3,9<br />
3 Bellezza, bel, bella 0,38 3,8<br />
4 Dolce(zza) 0,29 2,9<br />
5 Sol(e) 0,29 2,9<br />
6 Occhi 0,27 2,7<br />
7 Tempo 0,20 2,0<br />
8 Ciel(o) 0,19 1,9<br />
9 Vita 0,17 1,7<br />
10 Morte 0,16 1,6<br />
Si nota chiaramente che le parole sono le stesse che usa Petrarca, con qualche leggero<br />
cambiamento che riguarda la posizione nella classifica. Anche le percentuali di frequenza<br />
18 La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato.<br />
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38
isultano abbastanza simili, oscillando tra l’1,5 e il 6 x 1000. Questo dimostra la forte<br />
dipendenza dei poeti del Quattrocento dal modello petrarchesco<br />
Grafico esplicativo:<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
5,0<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
FREQUENZE POETI DEL QUATTROCENTO<br />
3,9 3,8<br />
Cor(e)<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
2,9 2,9 2,7 2,0 1,9 1,7 1,6<br />
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Dolce(zza)<br />
Sol(e)<br />
Occhi<br />
Tempo<br />
Ciel(o)<br />
Vita<br />
Morte<br />
39
<strong>IL</strong> PETRARCHISMO<br />
La poesia del Cinquecento è caratterizzata dal Petrarchismo, esperienza poetica che<br />
consiste nell’imitazione di Petrarca, considerato il modello assoluto della lirica d’amore. È in<br />
questo momento che il linguaggio del petrarchismo diventa il codice letterario principe, base<br />
di ogni esperienza letteraria. Analizzeremo, in questo capitolo, varie esperienze poetiche:<br />
quella di Pietro Bembo, quella di Ludovico Ariosto, quella di Gaspara Stampa, quella di<br />
Mons. Della Casa, quella di Vittoria Colonna, per concludere con Torquato Tasso, il quale –<br />
pur nella sua originalità poetica – dal punto di vista della materia amorosa può essere<br />
considerato un petrarchista.<br />
7.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
Dal punto di vista metrico i Petrarchisti seguono, ovviamente, la lezione del Petrarca, che –<br />
come già era accaduto nel Quattrocento – rimane il modello fondamentale. Tuttavia è<br />
possibile individuare alcuni mutamenti di rilievo.<br />
Innanzitutto la ballata; essa subisce cambiamenti, con l’introduzione dei versi ottonari ed<br />
in seguito tenderà a sparire.<br />
Il madrigale cambia completamente struttura: diventa un componimento eterometrico, con<br />
l’alternanza di endecasillabi e settenari, disposti liberamente, con schemi a piacere; i versi<br />
restano meno di 14.<br />
La sestina perde praticamente ogni rilievo e non ha più alcuna importanza.<br />
La canzone resta quella codificata da Petrarca, ma inizia a subire qualche variazione. Ad<br />
esempio Annibal Caro in Manca il fior non divide più piedi e volte.<br />
Accanto ai metri tradizionali si fanno, tuttavia, strada nuove forme compositive. Le<br />
principali sono le seguenti:<br />
1) L’ode oraziana: ispirata al poeta latino Orazio; è formata da brevi strofe di 4 – 6 versi<br />
endecasillabi e settenari; gli schemi più usati sono: ABBA, aBbA, aBbACc, aBabB,<br />
AbBA, AbbA, Abba. Il primo ad introdurla è Pietro Bembo, con Io vissi pargoletta. In<br />
seguito l’ode diventerà la concorrente più forte della canzone.<br />
2) L’ode pindarica: è l’altra concorrente della canzone, ispirata al poeta Pindaro. È<br />
formata da tre parti: strofe-antistrofe-epodo, strutturati secondo la metrica petrarchesca.<br />
In Alamanni abbiamo lo schema seguente: abCabCcdddDfF (prime due strofe),<br />
ghIghIikllkmM (terza strofa)<br />
Prendendo in considerazione la produzione lirica dei vari poeti da noi analizzati, possiamo<br />
affermare che la maggior parte dei componimenti usati sono, comunque, sonetti. Per fare<br />
qualche esempio citiamo: Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura ( schema metrico: ABBA<br />
per le quartine; CDE e DEC per le terzine ) e Solingo augello, se piangendo vai ( schema<br />
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40
metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Pietro Bembo; Dal vivo fonte<br />
del mio pianto eterno ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE per le terzine ) e Occhi<br />
miei, oscurato è il nostro sole ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDD per le terzine )<br />
di Vittoria Colonna; Voi, ch’ascoltate in queste meste rime ( schema metrico: ABBA per le<br />
quartine; CDE per le terzine ) e Rimandatemi il cor, empio tiranno ( schema metrico: ABBA<br />
per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Gaspara Stampa; Chiuso era il sol da un<br />
tenebroso velo (schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e EDC per le terzine) e O<br />
sicuro, secreto e fidel porto ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le<br />
terzine ) di Ludovico Ariosto; D’un alto monte onde si scorge il mare ( schema metrico:<br />
ABAB per le quartine; CDE per le terzine ) e Scrissi con stile amaro, aspro e dolente (<br />
schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e CED per le terzine ) di Isabella De Mora.<br />
Abbiamo anche componimenti diversi dal sonetto, ma in minor numero. Citiamo, ad<br />
esempio, Voi mi poneste in foco di Bembo, canzonetta di settenari e endecasillabi, secondo lo<br />
schema aBABbbB, senza congedo; Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico<br />
Ariosto, madrigale con rime secondo lo schema ABCaBcDD.<br />
7.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Come possiamo intuire dal titolo del capitolo, il “Petrarchismo”, la produzione di questi<br />
poeti rimanda a quella di Francesco Petrarca ( 1304 Arezzo - 1374 Arquà ). Analizzando ogni<br />
singolo componimento lirico di Bembo, di Ariosto, della Stampa, Della Colonna, si notano<br />
forti influssi del Canzoniere petrarchesco, che a volte si traducono in veri e propri casi di<br />
imitazione ( come Voi, ch’ascoltate in queste meste rime e Mesta e pentita de’ miei gravi<br />
errori di Gaspara Stampa ).<br />
Il linguaggio e la sintassi della maggior parte dei componimenti sono fluidi, lineari, senza<br />
forti spezzature.<br />
Sarà utile aprire una parentesi sulla riflessione sulla lingua e sulla letteratura di Pietro<br />
Bembo, per capire meglio alcuni aspetti del linguaggio lirico che stiamo analizzando.<br />
In direzione critica e di poetica, egli determina e sancisce l’affermazione della teoria<br />
dell’ottimo modello ( e precisamente di un duplice modello prosastico e poetico: Cicerone e<br />
Virgilio per il Latino, Boccaccio e Petrarca per il Toscano ). Nell’ambito della discussione<br />
linguistica, egli propugna con successo la tesi del fiorentino letterario, espresso dai due grandi<br />
trecentisti in particolare. In direzione più strettamente poetica, poi, Bembo propone<br />
un’esperienza poetica vissuta tutta all’insegna di una sempre più profonda e consapevole<br />
appropriazione del mondo ideale e immaginario, della forma espressiva e dello stile del<br />
modello petrarchesco.<br />
Abbiamo, nel Cinquecento, un ritorno alla lettura diretta e approfondita del Petrarca e,<br />
contemporaneamente, il rifiuto consapevole e polemico dell’eclettismo-ibridismo<br />
quattrocentesco.<br />
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41
7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Il Petrarchismo cinquecentesco è permeato di neoplatonismo; si propone come<br />
un’esemplare vicenda d’anime che, attraverso l’esperienza d’amore, mirano ad elevarsi e a<br />
cogliere il senso della bellezza e della bontà divina; è, inoltre, una vicenda di ingentilimento e<br />
di perfezionamento spirituale.<br />
Questa corrente lirica fonde insieme due diverse letture del piano tematico: quella<br />
platonizzante e quella cristiana. La prima è la consueta vicenda d’amore che si nutre di<br />
sospiri, di ricordi, di immagini mentali, di languide contemplazioni, di idoleggiamenti della<br />
persona amata e degli oggetti e dei luoghi delle sue epifanie; la seconda è la vicenda di un<br />
amore terreno nutrito di ansie, sospiri, ardori, errori, che, col trascorrere del tempo, viene<br />
giudicato come traviamento e lascia il posto a un progressivo riaccostamento penitente a Dio.<br />
Queste due letture sono legate in un rapporto dialettico, e i poeti materializzano nei loro<br />
versi questa fusione.<br />
Il madrigale Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico Ariosto, ci propone<br />
l’analisi della tematica della morte come conseguenza della bellezza della donna amata: il<br />
poeta non sa condividere la dominante visione terribile della morte, perché per lui essa<br />
diviene la somma di tutta la felicità possibile.<br />
La canzonetta Voi mi poneste in foco, testimonianza della prima fase della ricerca lirica di<br />
Pietro Bembo, verte su . 19<br />
Secondo Luperini 20<br />
7.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per elencare le dieci parole più usate dai petrarchisti, abbiamo preso in esame i seguenti<br />
autori con i relativi testi:<br />
• Ludovico Ariosto: Rime<br />
• Pietro Bembo: Rime<br />
• Mons. Giovanni Della Casa: Rime<br />
19 La citazione è tratta da “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960.<br />
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42
• Gaspara Stampa: Canzoniere<br />
• Vittoria Colonna: Rime<br />
• Torquato Tasso: Rime<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:<br />
PETRARCHISTI % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 0,47 4,7<br />
2 Bellezza, bel, bella 0,44 4,4<br />
3 Ciel(o) 0,43 4,3<br />
4 Sol(e) 0,41 4,1<br />
5 Cor(e) 0,32 3,2<br />
6 Dolce(zza) 0,30 3,0<br />
7 Alma 0,19 1,9<br />
8 Occhi 0,17 1,7<br />
9 Luce 0,16 1,6<br />
10 Mondo 0,15 1,5<br />
Grafico delle frequenze:<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
4,7 4,4 4,3 4,1<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
FREQUENZE PETRARCHISTI<br />
Ciel(o)<br />
Sol(e)<br />
3,2 3<br />
Cor(e)<br />
1,9 1,7 1,6 1,5<br />
Si può notare che le parole usate sono sostanzialmente quelle di Petrarca con qualche<br />
leggero scostamento e con qualche eccezione: morte non è tra le prime dieci parole usate dai<br />
petrarchisti, ma si colloca all’ 11° posto con l’1,4 x 1000; alma e mondo non sono tra le prime<br />
dieci parole usate da Petrarca, ma hanno in Petrarca una frequenza, rispettivamente, dell’ 1,5<br />
x 1000 e dell’1,8 x 1000, che sono assai vicine ai valori dei petrarchisti.<br />
Anche in questo caso, dunque, come in quello dei poeti del Quattrocento, appare netta ed<br />
evidente la dipendenza degli autori esaminati dal modello petrarchesco.<br />
20 La citazione è tratta da”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani<br />
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Dolce(zza)<br />
Alma<br />
Occhi<br />
Luce<br />
Mondo<br />
43
<strong>IL</strong> MARINISMO<br />
In Italia, nel ‘600, Marino è il caposcuola di una nuova tendenza poetica, definita in<br />
seguito lirica barocca, dal nome adoperato dagli Illuministi, in senso dispregiativo, per<br />
caratterizzare tutto il secolo precedente ad essi.<br />
Assieme a Marino, analizzeremo anche altri esponenti di questa corrente, come ad esempio<br />
Claudio Achillini, Tommaso Stigliani, Ciro Di Pers, Giacomo Lubrano e Federico Meninni.<br />
8.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
La produzione lirica dei marinisti verte soprattutto sul sonetto, ma comprende anche le<br />
altre forme metriche tipiche della tradizione poetica italiana, come canzoni, odi, madrigali,<br />
che abbiamo visto precedentemente.<br />
Per quanto riguarda Marino, possiamo citare Onde dorate (sonetto secondo lo schema<br />
ABBA ABBA per le quartine, e CDC DDC per le terzine); Amorosa animazione (sonetto<br />
secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDE CDE per le terzine); Al sonno (sonetto<br />
secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le terzine); Invita la sua<br />
ninfa all’ombra (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le<br />
terzine).<br />
Per quanto riguarda gli altri marinisti possiamo ricordare La mina, sonetto secondo lo<br />
schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Claudio Achillini; Cedri fantastici variamente figurati<br />
negli orti reggitani, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Giacomo<br />
Lubrano; Orologio da rote, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Ciro Di<br />
Pers; Condizione della vita umana, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di<br />
Federico Meninni.<br />
Per quanto concerne i componimenti diversi dal sonetto, citiamo due madrigali di Marino<br />
(Or lieve ape foss’io e Vidi anch’io tutta ignuda) e il madrigale di settenari ed endecasillabi<br />
(schema: aaBbCcDD) Scherzo di immagini di Tommaso Stigliani.<br />
8.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
I tratti principali del linguaggio barocco sono: il sensualismo, il gusto per il dato fisico e<br />
concreto del reale, l’immissione nel tessuto poetico del brutto, del grottesco e del macabro; le<br />
tecniche della catalogazione e della variazione, quasi dell’inventariamento delle possibili<br />
situazioni tematiche e dei possibili oggetti poetabili; il gusto dello straniamento di situazioni<br />
comuni o della ricerca di situazioni insolite, paradossali; il gusto per i giochi prospettici e per<br />
le metamorfosi (illusionismo) e il concettismo.<br />
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44
Dato fondamentale, poi, è anche il riuso della tradizione, e cioè la “rifunzionalizzazione dei<br />
materiali poetici tradizionali”. I marinisti prendono spunto soprattutto dal Petrarca e creano un<br />
repertorio originale, che coniuga la pura classicità con la libertà e il gusto del poeta. Il Getto<br />
scrive: . 21<br />
8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Per quanto riguarda le tradizionali immagini della lirica d’amore, quali la rappresentazione<br />
della donna e della natura e il tema d’amore, i lirici barocchi convertono l’astrattezza, la<br />
spiritualità, l’atemporalità delle raffigurazioni in concretezza, fisicità, determinazione e, nel<br />
caso delle bellezze muliebri, in sensualità e lascivia.<br />
Accanto al tema della bellezza naturale o muliebre, volta dall’astratto al concreto, si<br />
insinuano temi e motivi impensabili nella precedente tradizione: il brutto, il grottesco, il<br />
deforme, l’eccentrico, il bizzarro, e persino il lugubre e il macabro. Tutto ciò è un<br />
ampiamento delle cose poetabili, che deve essere ricordato tra le più importanti e anticipatrici<br />
delle innovazioni barocche.<br />
Attraverso la tecnica della catalogazione e della variazione abbiamo l’immissione di nuovi<br />
temi. Così, ad esempio, alle donne bionde della tradizione si aggiungono le castane, le brune e<br />
le rosse, con molti nuovi attributi; così si introducono donne che leggono ( magari con gli<br />
occhiali ), che danzano, che corrono, che nuotano, e via dicendo. Quindi gli stessi schemi<br />
della classicità si applicano alla “bellissima natatrice”, alla “bellissima mendica”, alla<br />
“bellissima filatrice”, alla ”bella sartora”, alla “bella ballarina”, alla “bella donna frustata”, o<br />
ancora, mutando materia, a una grandissima varietà di oggetti, fiori, frutti, ortaggi, piante e<br />
animali ( perle, coralli, oro, argento, topazi, rubini, rose, gigli, girasoli, melograni, pomo,<br />
pere, cipolle, viti, cedri, usignoli, pavoni, lucciole, zanzare, farfalle … ).<br />
Le poesie barocche sono il terreno per un realismo fisico ed esteriore, alieno da ogni<br />
approfondimento affettivo e psicologico: raramente le figure si animano di una vita interiore,<br />
gli eventi acquistano echi sentimentali e i paesaggi si fanno specchio dei moti dell’animo.<br />
Già nel Seicento vi erano state forti polemiche nei confronti della , delle soluzioni bizzarre, ai limiti dell’assurdo, che caratterizzavano i<br />
componimenti del Marino e dei suoi seguaci.<br />
Nel Settecento questo giudizio negativo si consolidò, soprattutto quando, sotto la spinta<br />
dell’esperienza francese, anche i letterati italiani più avvertiti, iniziarono a proporre un nuovo<br />
modello di creatività letteraria, razionalmente ispirato ad un nuovo ideale di ,<br />
lontano da ogni estremismo.<br />
21 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/ Grosser, Principato.<br />
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45
Francesco De Sanctis, critico dell’Ottocento risorgimentale, accentua ancora<br />
maggiormente il giudizio negativo sulla lirica marinista, ritendendola espressione di un’età di<br />
servilismo, e contrapponendola (sul piano morale e politico) all’esperienza di Galilei, Sarpi,<br />
Campanella (fautori del ).<br />
Solo nel 1910 la critica italiana mostrò un nuovo interesse per il Seicento.<br />
Benedetto Croce propose, come primo volume della collana “Scrittori d’Italia” pubblicata<br />
da Laterza, la sua antologia dei “Lirici marinisti”. Pur non scagionando il Barocco dalle<br />
accuse tradizionali, egli offrì per la prima volta una serie di testi che fino a quel momento<br />
erano stati piuttosto giudicati che letti.<br />
Giovanni Getto, l’unico critico al quale va il merito di avere sottoposto la lettura del<br />
Barocco italiano ad una più profonda interpretazione della Civiltà barocca, colse nella<br />
metafora il segno di qualche ricerca, che rappresenta la tensione di una civiltà al<br />
rinnovamento dei suoi riferimento ormai da secoli consolidati. 22<br />
8.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per quanto concerne l’analisi delle parole più adoperate possiamo procedere, anche in<br />
questo caso, in modo analogo ai precedenti. Di Marino abbiamo analizzato La Galeria,<br />
mentre per quanto riguarda i lirici marinisti sono stati presi in considerazione alcuni poeti<br />
riportati nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4° con le relative opere. Essi sono: T. Stigliani, M.<br />
Macedonio, S. Caetano, G.B. Manso, F. Balducci, F. Della Valle, S. Enrico, G.B. Basile, B.<br />
Cusano, G. Palma, G.A. Rovetti, B. Tortoletti, M. Barberino, P.G. Orsino, G. D’Aquino, M.<br />
Romagnosi, G. Grosso, A. Galeani, G.B. Pucci, A.M. Narducci, T. Sbarra, F. Massini, C.<br />
Abbelli, L. Tingoli, F. Marcheselli, P. Abriani, F. Bracciolini, A. Barbazzo, A. Fortini, A.<br />
Augustini, M. Arlotto, F. Leonida, G. Saracini, P.P. Bissari, C. Trivulzio, G. F. Cormani, E.<br />
Stampa, A. Mancini, D’Incerto, M. Lunghi, A. De Rossi, G. Fontanella, G. Salomoni, B.<br />
Morando, Brignole Sale, P. Michiele, P. Zazzaroni, L. Quirini, A. Basso, V. Zito, A.<br />
Muscettola, Ciro Di Pers, G. Battista, G. Artale, G. Lubrano, G. Canale, F. Mennini, L.<br />
Casaburi, T. Gaudiosi, B. Dotti, A. Perrucci.<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:<br />
MARINISTI % X 1000<br />
1 Bellezza, bel, bella 0,58 5,8<br />
2 Amor(e), amoroso/a 0,47 4,7<br />
3 Sol(e) 0,34 3,4<br />
4 Ciel(o) 0,33 3,3<br />
5 Cor(e) 0,31 3,1<br />
6 Morte 0,25 2,5<br />
7 Occhi 0,18 1,8<br />
8 Seno 0,16 1,6<br />
9 Vita 0,14 1,4<br />
10 Dolce(zza) 0,13 1,3<br />
22 Da “Il giudizio sul Barocco” tratto da BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla<br />
Storia al testo” PARAVIA, Vol. C p.<br />
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46
X 1000<br />
Grafico delle frequenze:<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
5,8<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
4,7<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
FREQUENZE MARINISTI<br />
3,4 3,3 3,1 2,5 1,8 1,6 1,4 1,3<br />
Sol(e)<br />
Ciel(o)<br />
Cor(e)<br />
Rispetto ai poeti fin qui analizzati notiamo qualche novità interessante.<br />
Le prime dieci parole sono, in sostanza, le stesse degli altri lirici, e sono derivate dal<br />
lessico petrarchesco. Tuttavia, tra queste, si nota il termine seno (1,6 x 1000) che era<br />
pressochè assente nei poeti fin qui esaminati (0,4 x 1000 nei petrarchisti, al di sotto dello 0,1 x<br />
1000 in tutti gli altri). Il termine seno richiama alla sensualità, tipica del Barocco, e<br />
rappresenta un’innovazione rispetto alla tradizione. Andando oltre i primi dieci vocaboli,<br />
troviamo altri termini innovativi, scarsamente adoperati dai rimatori precedenti, come capelli,<br />
crine, amante (1,0 x 1000); bacio, baciare (0,97 x 1000); sangue (0,96 x 1000). Ciò denota la<br />
tendenza innovativa del linguaggio dei marinisti, anche se – riferendoci alle parole più<br />
adoperate – il lessico permane nel suo insieme tradizionale e conservativo e continua a<br />
seguire la lezione del maestro Petrarca.<br />
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Morte<br />
Occhi<br />
Seno<br />
Vita<br />
Dolce(zza)<br />
47
<strong>IL</strong> CLASSICISMO BAROCCO<br />
Sempre nel Cinquecento assistiamo alla nascita di una corrente molto diversa dal<br />
Marinismo, intenzionalmente antibarocca, in cui spiccano Gabriello Chiabrera (1552-1638),<br />
celebre per le sue odi pindariche e le canzonette anacreontiche, Alessandro Guidi, autore di<br />
varie opere di stampo classicista, tra cui Endimione, e Fulvio Testi (1593-1646), celebre per le<br />
odi che scrisse riprendendo i modelli di Orazio e Pindaro.<br />
9.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
I poeti del Classicismo barocco sono grandi innovatori per quanto riguarda la metrica; anzi<br />
li potremmo definire dei veri campioni dello sperimentalismo metrico. Chiabrera e Testi<br />
adoperano un modello di canzone, nella quale non vi è più separazione tra i piedi della fronte<br />
e le volte della sirma. Alessandro Guidi, addirittura, varia lo schema della canzone di strofa in<br />
strofa, sia per quanto riguarda la lunghezza, sia per quanto riguarda la struttura.<br />
Questi poeti sono poi creatori di nuove forme metriche. Tra le forme da loro introdotte,<br />
che si affiancano ovviamente a quelle della tradizione, ricordiamo le seguenti:<br />
1) la canzonetta anacreontica: ispirata al poeta Anacreonte, rimodellata da Chiabrera; è<br />
composta da versi in prevalenza corti (quadrisillabi, senari, quinari), tra cui alcuni sono<br />
sdruccioli; le strofe generalmente non hanno più di sei versi; vari sono gli schemi<br />
metrici, tra cui a8a4b8c8c4b8 ; è detta anche canzonetta melica<br />
2) la strofa alcaica: ad imitazione del poeta Alceo, introdotta da Chiabrera; è composta da<br />
quattro versi: i primi due ottenuti legando un quinario piano con un quinario<br />
sdrucciolo, il terzo verso è un novenario anapestico (accenti sulle sillabe 2°,5°,8°), il<br />
quarto verso è un decasillabo trocaico (accenti sulle sillabe 1°,3°,5°,7°,9°)<br />
3) la strofa asclepiadea: di imitazione oraziana, introdotta da Chiabrera; per rendere il<br />
ferecrazio Chiabrera usò il settenario piano, il gliconio lo rese con il settenario<br />
sdrucciolo, l’asclepiadeo fu reso in vari modi: endecasillabi sdruccioli o doppi quinari<br />
sdruccioli<br />
Per quanto riguarda Chiabrera, la sua produzione poetica si esprime in canzonette e metri<br />
per musica, “leggerissime cose”, tutte fondate sull’eleganza dei ritmi e l’esile fluidità dei<br />
metri 23 .<br />
Le raccolte a cui tale produzione è riferita sono le seguenti: ”Canzonette” (Genova 1591),<br />
“La maniera de’ versi toscani” (ivi 1599), “Scherzi e canzonette morali” (ivi 1599),<br />
“Vendemmie di Parnaso” (in “Rime”, Venezia 1605, parte I).<br />
Nelle “Canzonette” la varietà dei temi e dei metri si muove, tuttavia, ancor decisamente<br />
dentro il solco della tradizione toscana. A giudizio di Asor Rosa
sulla struttura del componimento, per tentare di trarne, attraverso l'accostamento audace dei<br />
versi di misura molto diversa fra loro e l’uso fortemente ritmico della rima, effetti di<br />
musicalità dolce ed allegra nello stesso tempo>> 24 .<br />
Lo schema metrico che ricorre più frequentemente in questa raccolta e che, forse,<br />
rappresenta il risultato più originale del Chiabrera, è la canzonetta formata di ottonari e<br />
quaternari, secondo lo schema AaBbCcB: ai primi due versi, legati da una rima baciata,<br />
corrispondono gli altri quattro versi stretti in forte unità fra loro (il primo rima col quarto, il<br />
secondo col terzo), spezzati proprio sul finire del quaternario rapido e sorridente (il quinto<br />
verso della strofa), che alleggerisce la voluta sentenziosità dell’immagine tematica.<br />
A tale genere di componimenti appartengono le due canzonette Belle guance e Belle rose<br />
porporine. Nella “Maniere de’ versi toscani” l’esperimento si spinge, invece, fino in fondo, e<br />
l’imitazione dei classici diviene preponderante. Chiabrera, infatti, tende a riprendere<br />
direttamente metri o modi stofici propri della poesia greco-latina (soprattutto versi giambici e<br />
trocaici). Il suo tentativo consiste, in sostanza, nel rileggere i versi italiani secondo le<br />
possibilità della metrica antica e nel realizzare su questa base nuove e inusitate combinazioni.<br />
Nella canzonetta Dolci miei sospiri, lo schema metrico è aabccb, e i versi sono trocaici<br />
dimetri ammezzati.<br />
Nella canzonetta La violetta lo schema metrico è aaBccB (dove B sono i versi giambici, e<br />
gli altri sono trocaici).<br />
Per quanto riguarda Fulvio Testi, dopo aver esordito nel 1617 con un volume di liriche di<br />
evidente influsso marinistico, divenne deciso campione dell’antimarinismo, accostandosi al<br />
Chiabrera. Anch’egli, nelle “Odi”, si rifà al modello pindarico attraverso l’esempio di Orazio.<br />
Prendiamo, ad esempio, l’ode A Cintia: la strofe esastica, che qui vediamo, deriva dalla<br />
precedente per l’abbreviazione del terzo verso (settenario) e l’aggiunta di un distico rimato<br />
(ABbACC). Tale struttura è una delle più usate dal Testi per le odi di carattere erotico.<br />
9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI<br />
Analizzando il lessico di Belle rose porporine, del Chiabrera, osserviamo l’uso ricorrente<br />
del diminutivo e del vezzeggiativo per rendere il senso dell’atmosfera rarefatta e irrealistica<br />
(v.25 auretta; v.26 erbetta; v.28 praticello; v.31 zeffiretto).<br />
Nella canzonetta Belle guance, l’immaginazione naturalistica e paesistica è mostrata<br />
attraverso espressioni iperboliche come nei primi tre versi : bella guancia che disdori/ gli almi<br />
amori,/ che sul viso ha l’alma Aurora.<br />
Per Testi, riferendoci sempre all’ode A Cintia, possiamo affermare che nel suo classicismo<br />
si insinuano elementi manieristici, soprattutto per il richiamo alla mitologia. Nonostante ciò<br />
rimane un grande esempio di classicità, sia per la fattura stilistica, sia per la grande sapienza e<br />
misura retorica.<br />
24 La citazione è tratta da “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori<br />
Laterza.<br />
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49
9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
In Belle rose porporine, del Chiabrera, possiamo trovare termini e definizioni stereotipate,<br />
di veri e propri “topoi” stilistici, tipici della lirica d’amore: V.1 belle rose porporine; v.7 rose<br />
preziose; v.12 bel sorriso; vv.37-38 fior vermigli / gigli, v.10 bel guardo.<br />
Così come in Dolci miei sospiri compaiono: vv.1-2 sospiri / martiri; vv.11-12 amor<br />
crudele / mio dolore; v.15 desio; v.20 lunga fede; v.23 gran beltate; v.37 fiamma ardente.<br />
In A Cintia del Testi, il motivo dominante è quello oraziano di godere e far godere delle<br />
proprie bellezze fin quando l’età giovanile lo permette. Questo è un luogo comune della<br />
poesia erotica classica, ma allo stesso tempo è anche estremamente frequente presso i poeti<br />
quattrocenteschi e in quelli barocchi contemporanei a Testi ( vedi Marino in Ninfa avara).<br />
Alberto Asor Rosa così si esprime a proposito di Chiabrera: 25 .<br />
9.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per quanto concerne le parole adoperate, abbiamo scelto di analizzare un’ intera opera,<br />
L’Endimione di Alessandro Guidi.<br />
Ecco la tabella con le frequenze delle dieci parole più usate ed il relativo grafico:<br />
25 Da “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco” Carlo Muscetta,<br />
Alberto Asor Rosa<br />
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50
CLASSICISTI % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 1,45 14,5<br />
2 Bellezza, bel, bella 0,77 7,7<br />
3 Cor(e) 0,39 3,9<br />
4 Morte 0,29 2,9<br />
5 Alma 0,23 2,3<br />
6 Sol(e) 0,22 2,2<br />
7 Luce, Mente, Selva 0,20 2,0<br />
8 Lume, Seno 0,19 1,9<br />
9 Occhi, Dolcezza, Ciel(o) 0,17 1,7<br />
10 Virtute, Pietà, Dea, Destino 0,16 1,6<br />
X 1000<br />
Grafico delle frequenze:<br />
20<br />
18<br />
16<br />
14<br />
12<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
14,5<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
7,7<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
OCCORRENZE ALESSANDRO GUIDI<br />
3,9 2,9 2,3 2,2 2 1,9 1,7 1,6<br />
Cor(e)<br />
Morte<br />
Alma<br />
Si nota che il linguaggio continua a seguire la lezione di Petrarca, e infatti molti sono i<br />
termini comuni tra Guidi e il Maestro; ad esempio: Amor(e), Bello, Bellezza, Cor(e), Sol(e),<br />
Morte … Tuttavia alcuni termini introdotti dal Barocco sono presenti anche nel classicista<br />
Guidi; tra questi spicca il vocabolo seno (1,9 x 1000). Sostanzialmente dal punto di vista<br />
delle parole adoperate le novità, rispetto a quanto detto fin qui, non sono molte.<br />
Sol(e)<br />
Luce,<br />
Mente,<br />
Selva<br />
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Lume,<br />
Seno<br />
Occhi,<br />
Dolcezza,<br />
Ciel(o)<br />
Virtute,<br />
Pietà, Dea,<br />
Destino<br />
51
L’ARCADIA<br />
L’Accademia d’Arcadia nacque il 5 ottbre 1690 a Roma, in occasione dell’incontro di<br />
quattordici letterati uniti dalla comune appartenenza al circolo letterario della regina Cristina<br />
di Svezia, morta l’anno prima. Fu fondata dal letterato, filosofo e giurista Gian Vincenzo<br />
Gravina, e dall’abate maceratese Giovan Mario Crescimbeni. L’Arcadia ebbe come centro<br />
Roma, ma si diffuse poi in tutta Italia, dando vita a numerose sezioni o “colonie”.<br />
Il nome dell’accademia fu quello della mitica regione della Grecia antica, abitata dai poetipastori;<br />
“pastori” si dissero i soci, che adottarono pseudonimi della poesia pastorale,<br />
perpetuando così la finzione bucolica, il sogno di un ritorno alla natura, di un’evasione dalla<br />
realtà. L’Arcadia raccolse tutti i più significativi poeti del tempo, che erano accomunati<br />
dall’adesione ad un programma minimo: la restaurazione del “buon gusto”, la messa al bando<br />
del “disordine” secentista, dagli eccessi personali del “cattivo gusto” barocco.<br />
10.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
I metri adoperati dai poeti dell’Arcadia riprendono la lezione del Chiabrera e ne adottano<br />
forme e componimenti. Abbiamo, dunque, canzonette, odi asclepiadee, odi alcaiche … i<br />
componimenti più adoperati sono i seguenti:<br />
1) il sonetto con le sue varianti, ad esempio il sonetto audato, rinterzato …<br />
2) le odi pindariche, divise – come abbiamo già visto – in strofa, antistrofe,epodo<br />
3) le odi oraziane, che imitano la struttura dell’ode di Orazio, in genere con gli schemi<br />
ABBA o aBbA<br />
4) le odi anacreontiche, costituite da strofe con, al massimo, sei versi, in genere senari,<br />
settenari, ottonari. Tra queste la più interessante e fortunata è la quartina proposta da<br />
Ludovico Savioli – Fontana, con schema a7b7c7b7 (con a7, c7 sdruccioli)<br />
5) l’endecasillabo sciolto che avrà grandissima fortuna in seguito e che può dirsi<br />
un’anticipazione arcadica (vedi Rolli e Savioli)<br />
Per quanto riguarda Paolo Rolli possiamo affermare che fu colui che, anche prima del<br />
Metastasio, portò la poesia arcadica ad un livello di dignità ed impegno e frantumò gli schemi<br />
del petrarchismo pastorale e del pindarismo.<br />
Nella sua produzione poetica iniziale abbiamo odi, canzonette e sonetti. Ciò che lo rese<br />
celebre furono le “Elegie” in terzine dantesche (dodici dal 1711 al 1715) che, tranne le ultime<br />
quattro di argomento vario, cantano l’amore del poeta per una nobile che egli chiama<br />
“veziosa” Egeria, e rivelano, come egli stesso dirà in un “Preambulo” in versi, la volontà<br />
. Il<br />
rispetto dei modelli latini porta Rolli a prendere, come esempio di scrittura, Tibullo.<br />
Ricordiamo, tra i componimenti più significativi, l’elegia in terzine dantesche “O amica<br />
degli amanti, primavera”.<br />
L’opera più significativa della stagione centrale rolliana sono gli “Endecasillabi”<br />
(quattordici in tutto, successivamente portati a venti). Insieme ad essi, le “Rime”, in cui Rolli<br />
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52
si richiamava intenzionalmente a Catullo. Per gli “Endecasillabi” e le “Rime” ricordiamo:<br />
“Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” (Endecasillabi, VI) il cui metro consiste in endecasillabi<br />
faleci e catulliani (cioè composti di due quinari di cui uno, in genere il primo, sdrucciolo),<br />
organizzati in terzine nelle quali il primo verso e il terzo (quinari sdruccioli più piani) rimano,<br />
il secondo è libero e composto da un quinario piano più uno sdrucciolo;<br />
“Gentile, morbida, leggiadra mano” (Endecasillabi, XVII) composto di endecasillabi<br />
catulliani senza rima, formati da un quinario sdrucciolo più uno piano;<br />
“Solitario bosco ombroso”, canzonetta composta di quartine di ottonari a rima alternata,<br />
dei quali il primo e il terzo piani, il secondo e il quarto tronchi.<br />
Per quanto riguarda il conte Ludovico Savioli Fontana, possiamo riassumere la sua<br />
produzione poetica negli “Amori” (la prima parte scritta nel 1758, composta di dodici<br />
canzonette; la seconda nel 1765 composta da ventiquattro canzonette, che vengono a sostituire<br />
le prime dodici). Tra i due termini degli “Amori” si pone “Amore e psiche”, poi rielaborata, e<br />
la tragedia “Achille” in endecasillabi sciolti.<br />
Per quanto concerne gli “Amori” ricordiamo: “Il mattino”, terzo componimento della<br />
raccolta, il cui metro è composto di quartine di settenari, dei quali il primo e il terzo sdruccioli<br />
e senza rima, il secondo e il quarto piani e rimati. Questo schema metrico dà l’impressione<br />
che la quartina sia divisa in due versi lunghi a rima baciata, ognuno dei quali occupato da un<br />
periodetto generalmente compiuto;<br />
“La notte” (XV) con metro identico a quello del componimento precedente.<br />
10.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Analizziamo la canzonetta “La libertà” di Pietro Metastasio: alla sapientissima<br />
disposizione delle argomentazioni di tema affettivo, si accompagna una non minore abilità di<br />
costruzione stilistica.<br />
Prenderemo spunto, per l’analisi, da una minuziosissima relazione di Giorgio Cavallini (in<br />
“Sigma”, 27, pp.58-73)<br />
Se nelle strofette iniziali (vv.1-8) le rime, i troncamenti, le allitterazioni, le ripetizioni<br />
concorrono a creare la musica della canzonetta, in quelle successive (vv.9-16) il bisogno di<br />
rievocare il passato si esprime mediante la tecnica della negazione.<br />
La sapienza stilistica è riconfermata nei versi seguenti dalla presenza delle assonanze<br />
(vv.33-34), di ripetizioni (vv.35-36, 41-42, 57-59), dalla tecnica della “variatio” (vv.38-39),<br />
dai chiasmi (vv.43-44, 45-48) e dalle anafore (vv.43-44, 62-63).<br />
In “La notte” di Savioli, troviamo, nella seconda parte soprattutto, notazioni chiaramente<br />
classiche: vv.37-38-39-40 Forse a begli occhi insidia/ tese un sapor fallace,/ e sulle piume<br />
immemore/ a suo dispetto or giace.<br />
In generale, il linguaggio della lirica arcadica è semplice, armonioso, razionale.<br />
Abbiamo uno spiccato ritorno al classicismo, al petrarchismo, con la conseguente<br />
abolizione del concettismo e dell’illusionismo barocco.<br />
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53
10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Prendendo in considerazione “O amica degli amanti” di Paolo Rolli, la raffigurazione della<br />
bellezza della donna lievemente offuscata, resa con la delicata metafora delle impallide rose<br />
(v.43), e l’acceno al ritorno della beltà primiera (v.50), hanno una classica castità di disegno e<br />
di sentimento.<br />
In “Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” sempre di Rolli, la donna è osservata nel gesto di<br />
inanellarsi e imbiancarsi di cipria la lunga chioma (v.14) e adornarsi di gioielli. Questo è il<br />
centro di attenzione di una serie di metafore esplicite come: v.15 qual neve in albero; v.20<br />
com’astri; v.27 il seno argenteo delle conchiglie. E di aggettivi delicati e superlativi, o di<br />
intenso significato anche nel grado normale: v.9 dolcissimo e soave; v.13 terso; v.16 vaghi;<br />
v.17 ricchi e tremule; v.18 sottilissimi; v.20 purissimi; v.24 morbida e gentile; v.26 pure; v.28<br />
pomposa; v.35 ricco; v.36 superbi e lieti. E di insistenze semantiche sui toni chiari e<br />
luminose: v.2 pallido; v.5 lucidi; v.11 avorio; v.12 candido; v.14 bianca; v.15 neve; v.26<br />
latteo; v.27 argenteo; V.35 imbiancano.<br />
I poeti d’Arcadia contrapposero alle stravaganze e alle bizzarrie immaginose e verbali dei<br />
poeti barocchi, un ideale di poesia semplice, fondata su una ragionata naturalezza di<br />
sentimenti e di espressione, ritrovata attraverso l’adesione ai modelli classici e a quello<br />
petrarchesco. Il Petrarca fu, dapprima, il poeta più imitato, ma in seguito gli Arcadi si volsero<br />
soprattutto alle situazioni e ai modi dell’antica poesia idillica. Il paesaggio tipico della poesia<br />
arcadica, ripetuto fino alla monotonia, è quello così bene sintetizzato dal Momigliano: .<br />
Il limite più appariscente della poesia arcadica è proprio qui, nella sua ricerca di un<br />
rinnovamento non spirituale, ma soltanto formale e letterario. Alla retorica della “meraviglia”,<br />
del “grandioso”, gli Arcadi contrapposero la retorica del tenue, del delicato, di un manierismo<br />
lezioso e sdolcinato. Tuttavia, pur entro questi limiti, l’Arcadia, nei confronti del Barocco,<br />
rappresentò l’esigenza di una poesia che esprimesse sentimenti più intimi, che fosse di nuovo<br />
incentrata sull’uomo.<br />
L’Arcadia intese contemperare la nostra tradizione poetica con le nuove tendenze<br />
razionalistiche europee, col suo ideale di una poesia che fosse un sogno, come si disse, fatto in<br />
presenza della ragione, ma pur sempre un sogno, col suo col suo fascino di gentilezza e di<br />
grazia 26 .<br />
26 Il paragrafo è tratto da “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia.<br />
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54
10.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate nell’Arcadia, abbiamo scelto 140<br />
liriche di Pietro Metastasio, prendendole dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4°.<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />
ARCADIA % X 1000<br />
1 Amor(e), amoroso/a 0,48 4,8<br />
2 Cor(e) 0,36 3,6<br />
3 Sol(e) 0,31 3,1<br />
4 Bellezza, bel, bella 0,30 3,0<br />
5 Ciel(o) 0,24 2,4<br />
6 Seno 0,22 2,2<br />
7 Dolce(zza) 0,15 1,5<br />
8 Man(o)/i 0,14 1,4<br />
9 Pietà, pietate, pietoso 0,13 1,3<br />
10 Volto, Dio 0,12 1,2<br />
Grafico frequenze:<br />
X 1000<br />
10,0<br />
8,0<br />
6,0<br />
4,0<br />
2,0<br />
0,0<br />
4,8<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
FREQUENZE PIETRO METASTASIO<br />
3,6 3,1 3,0<br />
Cor(e)<br />
Sol(e)<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
2,4 2,2<br />
Ciel(o)<br />
1,5 1,4 1,3 1,2<br />
I termini restano, anche qui, sostanzialmente analoghi a quelli di Petrarca, del quale sono<br />
mantenute le parole più significative: Amor(e), Cor(e), Sol(e), Ciel(o), Bellezza.<br />
Analogamente al Barocco ed ai classicisti resta tra le prime dieci la parola Seno (2,2 x 1000).<br />
Il lessico è pertanto fedele alla lezione del Petrarca.<br />
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Seno<br />
Dolce(zza)<br />
Man(o)/i<br />
Pietà,<br />
pietate,<br />
pietoso<br />
Volto, Dio<br />
55
<strong>IL</strong> NEOCLASSICISMO<br />
La poetica e il gusto neoclassico furono alla base di molti scrittori della seconda metà del<br />
Settecento. Alcuni dei più significativi furono Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte e Ugo<br />
Foscolo, i quali rispecchiarono il loro tempo nella molteplice varietà, sia per quanto riguarda<br />
le tendenze letterarie, sia per quanto riguarda gli aspetti politici e ideologici.<br />
11.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
I componimenti metrici del Neoclassicismo recepiscono le forme già analizzate nelle<br />
epoche precedenti, soprattutto quelle arcadiche. L’uso dei metri, comunque, varia da autore<br />
ad autore. Possiamo considerare, a titolo di esempio, Monti e Foscolo.<br />
Caratteristica saliente del Monti fu il suo continuo mutare atteggiamenti e opinioni nei<br />
riguardi della storia coeva. Ciò si trasfigurò nella sua produzione, in cui ritroviamo la<br />
molteplicità delle poetiche e delle tendenze che confluirono in lui. Nei diciannove anni della<br />
sua dimora a Roma (1778-1797), il Monti, ricevuto subito in Arcadia, poetò e verseggiò<br />
appunto in modi arcadici, scrivendo canzonette sulle orme di Metastasio, sonetti descrittivi<br />
alla Minzoni, “visioni” a modo del Varano 27 . Accolse spunti neoclassici componendo l’ode<br />
“Prosopopea di Pericle” (1779) e l’altra ode famosa “Al signor Montgolfier” (1784); scrisse<br />
anche “La bellezza dell’universo”, in terzine, i sonetti “Sulla morte di Giuda”, il poemetto “Il<br />
pellegrino apostolico” e, poi, la “Bassvilliana”, accogliendo in queste opere le lezioni più<br />
varie, da Dante, a Milton, dal Marino al Frugoni; dal tedesco Klopstock al Varano.<br />
Invece, per quanto riguarda Foscolo, la sua produzione lirica contiene odi e sonetti. Le due<br />
odi sono: “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”.<br />
Quest’ultima è composta da sedici strofe di sei versi ciascuna, formata da cinque settenari,<br />
alternatamente piani e sdruccioli, a cui segue un endecasillabo, che rima col settenario<br />
precedente. Lo schema metrico è abacdD.<br />
I sonetti sono dodici, possiamo citare: “Alla sera” (con schema metrico: ABAB per le<br />
quartine, CDC e DCD nelle terzine); “In morte del fratello Giovanni” (con schema metrico:<br />
ABAB per le quartine, CDC e DCD nelle terzine); “Alla musa” (con schema metrico: ABBA,<br />
ABAB nelle quartine, CDE nelle terzine); “Che stai? già il secol l’orma ultima lascia” (con<br />
schema metrico: ABBA nelle quartine, CDC nelle terzine).<br />
27 La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio,<br />
PALUMBO.<br />
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56
11.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
“Al signor Montgolfier” di Vincenzo Monti, documento esemplare di poesia celebrativa e<br />
d’occasione settecentesca, è caratterizzata da un linguaggio aulico, altamente intonato. Tutto<br />
ciò ha una funzione analoga a quella delle figure metriche: rendere “poetici”, e quindi<br />
praticabili letterariamente, argomenti od oggetti che, di per sé, secondo il gusto classico,<br />
sarebbero prosastici ed impoetici, come fatti di cronaca, dottrine scientifiche, strumenti,<br />
composti chimici. Monti segue, in tal modo, la poesia illuministica di Parini.<br />
“Alla sera”, di Foscolo, è un sonetto caratterizzato dalla partizione sintattica: le due<br />
quartine, nucleo descrittivo e quasi statico, le terzine, nucleo dinamico. Ogni singola parola è<br />
legata alle altre per formare schemi sintattici particolari. Ne proponiamo un esempio: il “nulla<br />
eterno” del verso 10 è il nucleo centrale da cui si sprigiona tutto il movimento lirico. “Nulla<br />
eterno” contrapposto a “reo tempo” (v.11); “pace” (v.13) contrapposto a “spirto guerrier”<br />
(v.14).<br />
Il linguaggio dei sonetti e delle odi del Foscolo è una celebrazione alla classicità, che, per<br />
lui, rappresenta una bellezza scomparsa che, comunque, può trasfigurarsi nella poesia.<br />
11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Le metafore e le immagini adoperate dai poeti neoclassici sono sovente desunte dal<br />
patrimonio mitologico classico, che costituisce, per questi autori, un fondamentale bagaglio di<br />
topoi e di strumenti da adattare ad ogni possibile occasione. Il discorso vale per Vincenzo<br />
Monti, come per Ugo Foscolo.<br />
In “Al signor Montgolfier”, composta per la prima ascensione in pallone, i motivi sono<br />
ripresi dall’Illuminismo, e sono: l’esaltazione della scienza e la fiducia nelle forze dell’uomo<br />
e del progresso.<br />
In “Al principe Sigismondo Chigi”, componimento in endecasillabi sciolti che trae spunto<br />
da un amore infelice del poeta per Carlotta Stewart, si scorgono motivi “romantici” all’interno<br />
di una scenografia classicista. I motivi romantici (la solitudine, la chiusura nell’intimità<br />
dell’io, la comunione con la natura) sono orecchiamenti puramente esteriori. Infatti, possono<br />
trasformarsi agevolmente in una scenografia classicisticamente mitologica e decorativa<br />
(l’ampio squarcio sul sorgere del sole, personificato come un dio della mitologia antica).<br />
Il senso romantico della natura trapassa poi in un vagheggiamento della bella natura<br />
idillica, che è un tema tradizionale del classicismo italiano sin dal Petrarca.<br />
Nell’ode “All’amica risanata”, Foscolo si colloca a metà strada tra l’Arcadia e il<br />
Neoclassicismo. Gli elementi arcadici che possiamo notare sono, ad esempio, l’omaggio<br />
galante alla bella donna, con le scene dell’arpa e della danza, intrise di sottile ed elegante<br />
erotismo. Gli elementi neoclassici, invece, riguardano lo sforzo costante di nobilitare ogni<br />
aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato, attraverso il<br />
travestimento grecizzante (i monili sono opera di “scalpelli achei”, le scarpette da ballo sono<br />
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57
“candidi coturni”, le feste “cori notturni”, gli unguenti “ambrosia recente”, la stanza da letto<br />
“arcani lari”).<br />
In questa ode ritroviamo anche alcuni temi cari al Foscolo: l’efficacia rasserenatrice della<br />
bellezza (vv.9-12), la sua funzione eternatrice, la stessa funzione della poesia, quella sacrale<br />
del poeta (che si fa garante dell’eternità dei valori più alti).<br />
Per quanto concerne Ugo Foscolo, sono stati molteplici i tentativi interpretativi di tutta la<br />
sua produzione, a partire dall’amico Melchiorre Cesarotti, per poi continuare fino ai giorni<br />
nostri.<br />
Mario Fubini (1928), per quanto riguarda la stagione idealistica di inizio Novecento, vede<br />
il centro dell’ispirazione foscoliana non nella “passione irruente”, ma nella “lirica riflessione”,<br />
che si attua nella progressiva liberazione dalle passioni e nella conquista di una<br />
“contemplazione serenatrice”. Fubini coglie il distacco dalle passioni come momento<br />
essenziale dell’opera di Foscolo.<br />
Giuseppe De Robertis (1944), invece, compie una critica basata sull’attenta analisi<br />
stilistica dell’opera foscoliana. L’esperienza di Foscolo si trasfigura, si annulla nella parola.<br />
Nel campo della critica marxista, Marco Cerutti (1969, 1983, 1990) fonde interessi storicosociologici<br />
con strumenti di lettura strutturale dei testi. Particolarmente valida, nella lettura di<br />
Cerutti, è l’interpretazione del neoclassicismo foscoliano come reazione alla delusione storica<br />
patita dall’ideologia giacobina.<br />
In modo molto innovativo, Vincenzo Di Benedetto (1990), studia le modalità di riuso dei<br />
modelli letterari da parte di Foscolo, sfatando l’idea che il suo classicismo sia tutto orientato<br />
verso la Grecia: almeno sino ai “Sepolcri” sono i poeti latini a sostanziare la sua opera, per cui<br />
il suo classicismo non appare distinguibile da quello della cultura letteraria del secondo<br />
Settecento.<br />
11.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori,<br />
inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°:<br />
Vincenzo Monti:<br />
• Prosopopea di Pericle<br />
• La bellezza dell’Universo<br />
• A Sigismondo Chigi<br />
• Pensieri d’Amore<br />
• Al sig. di Montgolfier<br />
• Amor peregrino<br />
• La Fecondità<br />
• Sulla morte di Giuda<br />
• Alla Marchesa Malaspina<br />
• Bassvilliana<br />
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• Musogonia<br />
• Prometeo<br />
• Le piante che in Giudea<br />
• Il fanatismo<br />
• La superstizione<br />
• Il pericolo<br />
• Per il Congresso di Udine<br />
• Dopo la battaglia di Marengo<br />
• Mascheroniana<br />
• Nell’anniversario della morte di Luigi XVI<br />
• Il Bardo<br />
• Le api panacridi<br />
• Per un dipinto dell’Agricola<br />
• Sopra se stesso<br />
• Le nozze di Cadmio ed Ermione<br />
• Sulla Mitologia<br />
• Per l’onomastico della sua donna<br />
Ippolito Pindemonte:<br />
• Al cavaliere C. Vennelli<br />
• A G. Persons<br />
• Alla Luna<br />
• Alla salute<br />
• La melanconia<br />
• La giovinezza<br />
• Mattino<br />
• Mezzogiorno<br />
• Sera<br />
• Notte<br />
• Il lamento di Aristeo<br />
Ugo Foscolo:<br />
• Le Odi<br />
• I Sonetti<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />
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NEOCLASSICISMO % X 1000<br />
1 Cor(e) 0,28 2,8<br />
2 Bellezza, bel, bella 0,27 2,7<br />
3 Ciel(o) 0,25 2,5<br />
4 Morte 0,22 2,2<br />
5 Amor(e), amoroso/a 0,20 2,0<br />
6 Sol(e) 0,19 1,9<br />
7 Dolce(zza), Terra 0,16 1,6<br />
8 Occhi, Pietà 0,13 1,3<br />
9 Pianto 0,12 1,2<br />
10 Petto, Fronte, Vita, Dio 0,11 1,1<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
FREQUENZE NEOCLASSICISMO<br />
2,8 2,7 2,5 2,2 2,0 1,9 1,6 1,3 1,2 1,1<br />
Cor(e)<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
Ciel(o)<br />
Morte<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
Le parole sono quasi tutte quelle adoperate dal Petrarca, che rimane il modello di<br />
riferimento princiaple anche per i Neoclassici. È interessante notare che i termini del lessico<br />
amoroso, come core, bellezza, amore, occhi, dolcezza, restano nelle prime posizioni, anche se<br />
la produzione dei poeti neoclassici non può considerarsi monotematica come quella del<br />
Petrarca, che parlava prevalentemente degli , dato che contiene anche<br />
argomenti ben diversi dall’Amore, come la politica, i temi civili d’occasione, i motivi<br />
strettamente mitologici.<br />
Tuttavia, nonostante ciò, il lessico resta prevalentemente petrarchesco con una<br />
preponderanza dei termini amorosi, dei quali non diminuisce la presenza, ma solamente la<br />
percentuale relativa sul totale dei termini.<br />
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Sol(e)<br />
Dolce(zza),<br />
Terra<br />
Occhi,<br />
Pietà<br />
Pianto<br />
Petto,<br />
Fronte,<br />
Vita, Dio<br />
60
<strong>IL</strong> ROMANTICISMO<br />
Con Romanticismo intendiamo, nel nostro studio, il periodo che va dagli inizi<br />
dell’Ottocento alla seconda metà dello stesso secolo. Esso viene diviso – tradizionalmente –<br />
in due fasi. Poeti come Alessandro Manzoni e Giovanni Berchet si possono collocare in quel<br />
periodo storico chiamato “Risorgimento” o “Primo romanticismo” (all’incirca 1816 – 1850);<br />
Giovanni Prati ed Aleardo Aleardi, invece, nel “Secondo Romanticismo” o “Tardo<br />
Romanticismo” (all’incirca 1850 – 1870), nel quale le istanze ideali del Romanticismo e del<br />
Risorgimento si esauriscono progressivamente, fino a diventare stanche e convenzionalmente<br />
enfatiche.<br />
12.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
I metri del Romanticismo segnano una prima differenziazione dalla lirica d’amore<br />
tradizionale. Il sonetto continua ad essere adoperato, ma non è più il metro predominante. La<br />
canzone cade progressivamente in disuso, poiché il suo posto viene assunto dall’ode, che<br />
riprende lo schema della canzonetta settecentesca già adoperata dal Parini; principali schemi:<br />
a7b7a7b7 + c7d7c7d7 (a sdrucciola e d tronca), oppure a7b7a7b7c7d7b7d7b7c7 (b sdrucciolo, c<br />
tronco), oppure a7b7c7b7d7E (a,c,d sdruccioli). I romantici si servirono proprio di queste odi,<br />
che chiamarono inni. Altro metro adoperato è poi l’endecasillabo sciolto, già usato da Parini,<br />
Monti, Foscolo. La grande novità è, però, costituita dalla ballata romantica o romanza. Essa<br />
consiste in un componimento formato da versi lunghi molto ritmici, come il decasillabo ed il<br />
doppio senario (dodecasillabo) o l’ottonario. Le strofe sono, in genere, di 6,7,8 versi talora<br />
divisi da rime tronche. Gli anticipatori furono Manzoni (Marzo 1821, La Passione) e Berchet<br />
(Il Rimorso, Sorgi Italia)<br />
12.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Il linguaggio e la sintassi dei poeti romantici, pur rimanendo in larga parte nel solco della<br />
Tradizione, assumono aspetti particolari. Ad esempio predominano le espressioni enfatiche, il<br />
tono passionale, i caratteri forti. Le costruzioni restano, comunque, piuttosto elaborate. Nel<br />
Coro di Ermengarda di Manzoni, troviamo un profondo rinnovamento della lirica italiana,<br />
che si allontana ora dalle costruzioni mitologiche e dalle nostalgie per l’antico<br />
(Neoclassicismo). A differenza della tradizione precedente, che tendeva ad analizzare l’io del<br />
poeta, la poesia manzoniana è invece epica e drammatica: ha un taglio eminentemente<br />
narrativo, si fonda sulla costruzione di personaggi, sull’analisi di moti interiori non soggettivi,<br />
ma di individualità oggettive, e mette in scena conflitti drammatici.<br />
Per quanto riguarda Giovanni Berchet, in “Matilde”, lo stile è tipicamente romantico,<br />
passionale e diretto, quasi violento in alcuni punti. Gli aggettivi usati sono forti: v.1 riarsa,<br />
v.2 stravolti, v.6 atterrita, v.16 aspro, v.23 oppresso, v.28 perfidi, v.36 trepide, v.35 serrate.<br />
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61
12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Per quello che riguarda le metafore e le immagini adoperate dai poeti del Romanticismo,<br />
l’aspetto più importante è il progressivo abbandono della Mitologia classica, che viene<br />
sostituita da altre immagini, come quelle della Storia Sacra o di quella contemporanea. Anche<br />
le consuete immagini della donna tradizionale (bionda, viso chiaro, oggetto di lodi e di<br />
omaggi), ancora in uso nel Neoclassicismo, sono abbandonate per lasciare il posto a<br />
descrizioni più realistiche e vive della figura femminile. Ad esempio, nel Coro di<br />
Ermengarda, le metafore tipiche della lirica amorosa precedente non sono molte. Infatti<br />
l’amore di Ermengarda sarà causa della sua morte, quindi comprendiamo che le immagini<br />
sono molto più violente e reali.<br />
Ermengarda è pura ed elevata, è estranea ad una realtà retta dalla legge della forza e<br />
dell’interesse, e si scontra inevitabilmente con la brutalità del mondo. Ermengarda esprime il<br />
ripudio della realtà esclusivamente nel campo privato dei rapporti amorosi. Anch’ella<br />
riproduce la figura romantica: raffigura la tipica donna angelo, che, nella sua eterea purezza,<br />
non è fatta per reggere l’urto delle passioni terrene, e soprattutto della passione amorosa. Il<br />
suo è un amore coniugale, quindi lecito e castissimo, eppure la potenza dell’amore (un “amor<br />
tremendo”) è ugualmente “empia” per lei, nel senso che ha pietà della sua fragilità, e con i<br />
suoi “terrestri ardori” la sconvolge e la devasta (si notino le forti metafore insistentemente<br />
ripetute: ardori, arsi, infocata, vampa assidua, incende, riarde). Nella memoria di<br />
Ermengarda, chiusa nel monastero, le immagini del marito sono sempre collegate a immagini<br />
di violenza e di sangue: la caccia, il cinghiale trafitto dalla freccia del chiomato sir, che riga la<br />
polvere con il suo sangue, mentre la sposa torce il volto pallida d’amabile terror, a l’orrida<br />
maglia di ferro che Carlo depone al ritorno dal campo di battaglia. Ermengarda è fatta per i<br />
placidi gaudi di un altro amore, quello celeste. Per questo rifugge dal contatto col mondo e si<br />
protende verso la sua vera patria che è il cielo.<br />
La morte diviene per lei l’unica soluzione al suo conflitto irriducibile con la realtà. Nella<br />
morte, oltre alla pace, trova anche quella ideale verginità interiore, che l’urto con la passione<br />
terrena aveva contaminato.<br />
12.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori,<br />
inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°:<br />
Giovanni Berchet:<br />
• Profughi di Parga<br />
• Clarina<br />
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62
• Il romito Cenisio<br />
• Il rimorso<br />
• Matilde<br />
• Il trovatore<br />
• Giulia<br />
• La fantasia<br />
• All’armi, all’armi<br />
• Saluto a Milano<br />
Niccolò Tommaseo:<br />
• Poesie<br />
Giovanni Prati:<br />
• Edmenegarda<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />
ROMANTICISMO % X 1000<br />
1 Cor(e) 0,41 4,1<br />
2 Amor(e), amoroso/a 0,39 3,9<br />
3 Dolor(e) 0,25 2,5<br />
4 Ciel(o), Pensier(o) 0,24 2,4<br />
5 Bellezza, bel, bella - Dio 0,23 2,3<br />
6 Morte 0,21 2,1<br />
7 Donna/e, Vita, Terra 0,19 1,9<br />
8 Fiore 0,18 1,8<br />
9 Pianto 0,15 1,5<br />
10 Occhi, Madre 0,14 1,4<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
4,1 3,9<br />
Cor(e)<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
FREQUENZE ROMANTICISMO<br />
2,5 2,4 2,3 2,1 1,9 1,8 1,5 1,4<br />
Dolor(e)<br />
Ciel(o),<br />
Pensier(o)<br />
Bellezza,<br />
bel, bella -<br />
Dio<br />
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Morte<br />
Donna/e,<br />
Vita, Terra<br />
Fiore<br />
Pianto<br />
Occhi,<br />
Madre<br />
63
È possibile estendere – a livello di lessico adoperato – le considerazioni già fatte a<br />
proposito del Neoclassicismo. In sostanza, la poesia romantica non è più monotematica, come<br />
quella della Tradizione e quindi l’Amore non ha più una preponderanza assoluta. Infatti la<br />
poesia romantica si concentra su opere di stampo religioso (“Inni sacri”); di stampo tragico; di<br />
stampo patriottico e civile. Questo si nota dall’abbassamento delle percentuali relative ai<br />
termini amorosi calcolate sul totale della produzione degli autori. Tuttavia, nonostante ciò, le<br />
parole adoperate non si discostano molto dal linguaggio di Petrarca, che continua ad essere un<br />
solido punto di riferimento per tutti i poeti italiani che vogliono parlare d’Amore.<br />
Termini come amore, donna, morte, core, occhi sono ben presenti nelle poesie dei<br />
romantici e si riallacciano, ancora una volta, al maestro Petrarca.<br />
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64
L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA<br />
Giacomo Leopardi, da molti considerato un esponente del Romanticismo soggettivo<br />
italiano, fu in realtà un poeta classicista, ancorato, da un punto di vista formale, linguistico e<br />
stilistico, alla Tradizione. Egli stesso si autodefinì e polemizzò con<br />
i Romantici. Quello che lo fa essere moderno è la forza del suo pensiero e il contenuto delle<br />
sue riflessioni esistenziali, le quali – per certi aspetti – anticipano tematiche addirittura<br />
novecentesche. Eppure quest’uomo geniale visse appartato, in un <br />
lontano dalla Civiltà e dall’evoluzione e trovò nel canto lirico il mezzo più idoneo ad<br />
esprimere le sue sofferenze interiori ed il suo stato d’animo. Così dice Petronio: 28<br />
13.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
La produzione lirica di Giacomo Leopardi è molto ampia: del 1816 le “Rimenbranze” e<br />
l’”Appressamento alla morte”. Del 1817 le “Elegie”, una delle quali entrò con il titolo “Il<br />
primo amore” nella raccolta definitiva dei “Canti”.<br />
Nel ’19 scrisse due canzoni: ”Per una donna inferma di malattia lunga e mortale” e “Nella<br />
morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano di un chirurgo”.<br />
Del ’18 “All’Italia” alla quale seguirono, fino al ’23, un’altra decina di “Canzoni”. Il<br />
genere le ricollega, almeno dal punto di vista tecnico-formale, alla tradizione lirica italiana:<br />
sono Canzoni di schema petrarchesco, spesso di ampio respiro, su temi attinti ora dalla cultura<br />
classica (“Bruto minore”, “Ultimo canto di Saffo”), ora da fatti moderni rivissuti con spiriti<br />
classici (“A un vincitore nel gioco del pallone”), ora dalla tradizione letteraria (“All’Italia”),<br />
ora da “occasioni”, sia pubbliche (“Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone<br />
della Repubblica”) sia private. In questi testi le strofe sono di uguale lunghezza, anche se di<br />
strofa in strofa rime e versi (solo settenari ed endecasillabi) non corrispondono perfettamente.<br />
Negli stessi anni compose, intrecciandola con le Canzoni, una serie di sei liriche -<br />
“L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “Alla luna”, “Il sogno”, “Lo spavento notturno”, “La<br />
vita solitaria” - pubblicate nel 1826 con il titolo di “Idilli”.<br />
Con gli idilli cadono le costruzioni macchinose della Canzone, con le sue strofe tutte<br />
uguali e le sue rime ripetute, e subentrano gli endecasillabi sciolti, trattati con la tecnica<br />
dell’enjambement, che permette di rompere la misura uguale, in un intrecciarsi di misure e di<br />
ritmi ogni volta diversi.<br />
Nel 1825 ebbe inizio in Leopardi un risorgimento sentimentale, che diede luogo ad una<br />
seconda grande stagione della poesia leopardiana, nella quale egli compose una serie di<br />
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65
liriche, che battezzò, come tutte le altre, col termine generico di “Canti”, ma che i critici di<br />
stampo tradizionale e crociano hanno chiamato i “grandi idilli”, a indicare il loro riallacciarsi,<br />
per l’ispirazione e la poetica, al tono degli “idilli” giovanili: “A Silvia”, “Le ricordanze”, “Il<br />
sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il passero solitario”, “Canto notturno di<br />
un pastore errante dell’Asia”.<br />
In queste poesie Leopardi adotta lo schema della Canzone libera, detta anche leopardiana.<br />
In essa le strofe sono di diversa lunghezza, si mescolano versi rimati con versi sciolti, la rima<br />
è conservata solo per alcuni versi.<br />
L’ultima delle liriche di Leopardi è “La ginestra”, nata dall’incontro tra la stoica<br />
accettazione del nostro destino e il senso di fraternità che è nelle parole di Plotino.<br />
Per quanto riguarda le liriche d’amore dedicate a Fanny Targioni Tozzetti, ricordiamo: “Il<br />
pensiero dominante”, “Amore e morte”, “Aspasia” e “A se stesso”, “Consalvo”. Anche questi<br />
ultimi componimenti seguono l’impostazione della Canzone libera.<br />
13.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Il linguaggio di Leopardi è scelto ed aulico, con uso di termini arcaici e dotti (es. veroni<br />
per balconi, ostello per casa, famiglia per servitù …). La sintassi è complessa, con periodi<br />
ricchi di subordinate e costruzioni latineggianti e in certi casi difficili da risolversi in<br />
parafrasi. Analizziamo – a titolo di esempio – “L’infinito”, uno degli idilli in endecasillabi<br />
sciolti. La poesia si articola in due momenti, corrispondenti a due distinte sensazioni di<br />
partenza.<br />
Nel primo momento (vv.1-8) l’avvio è dato da una sensazione visiva, o, per dir meglio,<br />
dall’impossibilità della visione. L’impedimento della vista, che esclude il “reale”, fa<br />
subentrare il “fantastico”.<br />
Quindi, nel secondo momento (vv.8-15), l’immaginazione prende l’avvio da una<br />
sensazione uditiva. Da ciò possiamo desumere una lunga serie di simmetrie (a livello fonico,<br />
letterario, filosofico, formale e strutturale), ma quella che qui ci interessa studiare è la<br />
simmetria sintattica e lessicale. I due periodi in cui sono rese rispettivamente le esperienze<br />
dell’infinito spaziale e temporale sono costruiti su due serie analoghe in forma di<br />
polisindeto 29 : interminati spazi (…) e sovrumani silenzi, e profondissima quiete, (…) l’eterno,<br />
e le morte stagioni, e la presente, e il suon di lei. La simmetria si rompe sul piano lessicale:<br />
nel membro in cui si è resa l’esperienza dell’infinito spaziale si ha la prevalenza di parole<br />
molto lunghe: interminati (v.4), sovrumani (v.5), profondissima (v.6); nel membro dedicato<br />
all’infinito temporale vi sono invece parole più brevi, al massimo trisillabe (eterno, stagioni,<br />
presente): gli arditi polisillabi danno il senso di un’esperienza vertiginosa, che “spaura”,<br />
mentre le parole più brevi e consuete corrispondono al distendersi dell’esperienza verso la<br />
pace del naufragio dell’io.<br />
28<br />
La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia” di Giuseppe Petronio, PALUMBO<br />
29<br />
Polisindeto (dal greco polys = molto, e syndéo = lego insieme): coordinazione tra più membri sintattici o<br />
proposizioni mediante ripetute congiunzioni. Esempio: E mi sovvien l’eterno / e le morte stagioni, e la presente /<br />
e viva e il suon di lei. (Leopardi, “L’infinito”, vv11-13). E’ l’opposto di asindeto 8coordinazione dei membri<br />
della proposizione o del periodo senza l’uso di congiunzioni).<br />
66<br />
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Nel componimento vi è un continuum metrico-sintattico: nessun verso tranne il primo e<br />
l’ultimo, è isolabile sintatticamente: il discorso sintattico continua sempre nel verso seguente;<br />
di conseguenza, su 15 versi vi sono ben dieci enjambements. La continuità è ribadita, sul<br />
piano sintattico, dall’alta presenza di particelle congiuntive, che allacciano i singoli periodi:<br />
ma sedendo, ove per poco, e come il vento, e mi sovvien, così tra questa, e il naufragar. La<br />
congiunzione e è poi frequentissima anche all’interno dei periodi. L’impressione complessiva<br />
che si ricava da queste strutture è di un processo unitario, continuo, che però si articola in<br />
momenti ben individuati al loro interno. La poesia è perciò un esempio di perfetta<br />
compenetrazione di significante e significato: a una continuità narrativo-psicologica<br />
corrisponde la continuità della struttura stilistica.<br />
13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Metafore ed immagini della poesia leopardiana sono tratte in genere o dalla Storia, che si<br />
ricollega ai temi civili; o dalla Natura, che fa da cornice ai grandi temi esistenziali. Nelle<br />
prime canzoni (scritte dal 1818 al 1823) è presente il patriottismo che, se pur generico, ha una<br />
sua intimità, in quanto il lamento sulla decadenza della patria è tutt’uno con il lamento sulla<br />
propria giovinezza inoperosa. Questo disagio si alimenta del rimpianto per le grandi età<br />
passate, del tormento di stare a Recanati.<br />
Negli stessi anni delle Canzoni, Leopardi scrive gli “Idilli”, quelle sei liriche pubblicate nel<br />
1826, in cui sono presenti le stesse ideologie che sorreggono le Canzoni. Ne “L’Infinito” lo<br />
stormire delle fronde al vento, nel silenzio della campagna interminata, richiama alla mente<br />
; ne “La sera del dì di festa” il morire del giorno festivo ridesta , con un moto sentimentale che Leopardi<br />
poteva aver appreso da Ortis meditante sulle Alpi la grandezza passata d’Italia, ma che era<br />
comunque legato a tutta la sua concezione della storia.<br />
Notiamo una differenza di atteggiamento, da parte di Leopardi, nei confronti delle<br />
ideologie, nelle Canzoni e negli Idilli. Nelle prime, il poeta è proteso verso l’esterno, verso gli<br />
altri, avendo lo scopo quasi di educare; nei secondi è raccolto in se stesso, nella propria<br />
interiorità, a captare, nella comunione con la Natura e con le creature innocenti, il palpito del<br />
suo cuore ancora vivo.<br />
Negli Idilli, infatti, cadono i temi tratti dalla storia o da vicende esterne, e subentrano temi<br />
interiori, derivanti da avvenimenti quotidiani: trovarsi su un colle e avere l’orizzonte limitato<br />
da una siepe; ritornare un anno dopo sul medesimo colle; ascoltare nella sera festiva un<br />
artigiano che rientra a casa di notte; un sogno; i piaceri della vita solitaria in campagna.<br />
Per quanto riguarda ciò che i critici hanno definito i “grandi idilli”, possiamo dire che alla<br />
loro base è sempre ossessiva una coscienza amara del nulla che, nel “Canto notturno di un<br />
pastore errante dell’Asia”, si espande nella rappresentazione angosciosa dell’uomo che corre<br />
verso il nulla e vi precipita e annega.<br />
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67
Queste verità dolorose sono dette con pudore e pacatezza, proprio come ne “Il sabato nel<br />
villaggio”, in cui si trova la serenità di un’ora in cui l’uomo guarda alla gioia altrui con la<br />
tristezza grave e quasi religiosa di chi sa che tanta festa è illusione.<br />
Da parte dei contemporanei, Leopardi riscosse ben poco successo: i classicisti<br />
analizzavano l’opera formalmente censurando l’uso dei vocaboli e dei costrutti; i romantici,<br />
che non vi trovavano gli ideali patriottici, morali e religiosi a cui si ispiravano nella loro<br />
battaglia culturale e politica, non lo apprezzarono.<br />
Vincenzo Gioberti fu il primo a sottolineare un conflitto tra “cuore” e “intelletto”, su cui<br />
insisteranno tanti interpreti sino a pieno Novecento.<br />
Una prima interpretazione critica è di Francesco De Sanctis (1883), che vede il contrasto<br />
tra il pensiero pessimistico e gli impulsi generosi del cuore, tesi vero l’ideale.<br />
La critica idealistica si concentra soprattutto sul rapporto tra pensiero e poesia. Benedetto<br />
Croce (1923), che relega nel “non poetico” tutto ciò che riguarda il pensiero individua la<br />
poesia solo nei momenti in cui Leopardi è “congiunto col mondo”, in cui sogna, spera, ama,<br />
gioisce. Il resto della sua opera, secondo il critico, è solo effetto di un ingorgo sentimentale,<br />
della “vita strozzata del poeta”, che gli impedisce sia l’azione, sia il pensiero, sia la poesia<br />
autentica.<br />
Karl Vossler (1923), esponente della critica fra le due guerre (che verte sul carattere<br />
intimamente religioso della poesia e della visione leopardiane), vede la base della poesia<br />
leopardiana in un “occulto fondo religioso”, in cui concordano cuore e intelletto. Questo<br />
fondo religioso è una tensione verso l’infinito, ma inteso come il nulla, che, in quanto tale,<br />
diventa per Leopardi come una divinità. Il nuovo clima culturale del secondo dopoguerra<br />
italiano, segna una svolta netta. E 1947, Water Binni e Cesare Luporini, sostengono: il primo,<br />
il carattere anti-idillico della poesia leopardiana; il secondo, sul piano filosofico delinea<br />
l’immagine di un Leopardi “progressivo”, di un orientamento democratico e repubblicano,<br />
che patisce la “delusione storica” della rivoluzione.<br />
Umberto Bosco (1957) si concentra sul motivo non idillico del titanismo.<br />
Giovanni Getto (1966) ripropone un’interpretazione di Leopardi in chiave religiosa,<br />
insistendo sulla presenza di un “linguaggio dell’assoluto”.<br />
Franco Brioschi (1980) studia Leopardi in rapporto alle grandi coordinate culturali del suo<br />
tempo, sensismo e Illuminismo, il tramonto del classicismo, la nuova problematicità<br />
romantica.<br />
Dal punto di vista stilistico, abbiamo molte indagini negli ultimi decenni. Tra le più<br />
persuasive si possono citare: Cesare Galimberti (1959), che ha studiato il “linguaggio del<br />
vero”; Emilio Bigi (1950 e 1954) che coglie nei “grandi idilli” un atteggiamento di “lucida<br />
compassione”, lontana dai fervori e dagli slanci passionali dei primi idilli.<br />
Per quanto riguarda la critica psicanalitica citiamo Giovanni Amoretti (1979), il cui studio<br />
appare persuasivo nella misura in cui non utilizza il testo come semplice “sintomo” per una<br />
diagnosi della psicologia dell’autore, ma si avvale degli strumenti psicanalitici per far<br />
emergere un tessuto simbolico, collegandolo con le strutture espressive.<br />
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68
13.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Esaminiamo tutto il blocco dei “Canti” di Leopardi, per individuare, in essi, le parole che<br />
ricorrono con maggiore frequenza.<br />
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />
LEOPARDI % X 1000<br />
1 Morte 0,53 5,3<br />
2 Cor(e) 0,35 3,5<br />
3 Amor(e), amoroso/a - Vita 0,32 3,2<br />
4 Ciel(o) 0,26 2,6<br />
5 Terra 0,25 2,5<br />
6 Giorno/i 0,24 2,4<br />
7 Natura 0,23 2,3<br />
8 Bellezza, bel, bella - Tempo 0,22 2,2<br />
9 Petto, Mondo, Età 0,17 1,7<br />
10 Dolce(zza) 0,15 1,5<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
5,3<br />
Morte<br />
FREQUENZE LEOPARDI<br />
3,5 3,2 2,6 2,5 2,4 2,3 2,2 1,7 1,5<br />
Cor(e)<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
- Vita<br />
Ciel(o)<br />
Notiamo che anche il linguaggio di Leopardi non si discosta molto, nell’uso delle parole,<br />
da quello di Petrarca, che è sempre il modello di riferimento.<br />
Vale la pena, tuttavia, di segnalare qualche importante particolarità. Per la prima volta – a<br />
partire dai Siciliani – la parola amore (o in alternativa bellezza o core) non occupa il 1° posto<br />
che è detenuto dal termine morte (5,3 x 1000). Significativa appare la presenza della parola<br />
natura (2,3 x 1000), che rappresenta la grande inerlocutrice del poeta e in un certo senso<br />
prende il posto della donna (solo lo 0,6 x 1000 di frequenza).<br />
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Terra<br />
Giorno/i<br />
Natura<br />
Bellezza,<br />
bel, bella -<br />
Tempo<br />
Petto,<br />
Mondo,<br />
Età<br />
Dolce(zza)<br />
69
L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA<br />
La produzione lirica del secondo Ottocento, in Italia, fu alquanto mediocre; inferiore, si<br />
potrebbe osare dire, alla prosa narrativa e al teatro. Fortunatamente, Carducci non fece parte<br />
di questo quadro assai statico e infelice; la sua figura e la storia della sua opera sono quanto<br />
mai importanti a comprendere ancor meglio l’evoluzione culturale ed artistica di quel periodo.<br />
14.1 COMPONIMENTI METRICI<br />
“Juvenilia”, “Levia gravia” e “Giambi ed Epodi”, sono le prime tre raccolte poetiche di<br />
Giosuè Carducci. Le poesie contenute nelle prime due raccolte furono scritte tra il 1850 e il<br />
1871, e non sono altro che esercizi di apprendistato poetico; si possono quasi definire “lirica<br />
di scuola” 30 ; “Giambi ed Epodi” comprende liriche composte tra il 1867 e il 1879.<br />
Tutte queste raccolte sono caratterizzate da un classicismo intransigente: le prime due<br />
ripropongono metri degli autori della grande tradizione italiana, da Dante a Petrarca sino a<br />
Monti e Foscolo; la terza si riferisce alle forme metriche utilizzate dai poeti antichi<br />
(Archiloco, Orazio).<br />
Nel 1877, Carducci raccolse nelle “Rime nuove” un gruppo di poesie scritte tra il 1861 sino<br />
a quella data. Sono poesie in parte nate nello stesso arco di tempo di “Giambi ed Epodi” e<br />
delle “Odi barbare”, ma il poeta amava costruire raccolte organiche di liriche sulla base<br />
dell’argomento e delle forme metrico-linguistiche.<br />
Le “Rime nuove” si rifanno alle forme tradizionali della lirica italiana, usate nel Medioevo,<br />
e caratterizzate dall’istituto della rima, ignoto alla poesia classica (con un omaggio “Alla<br />
rima” si apre appunto la raccolta).<br />
Nel 1877 fu pubblicato un primo libro di “Odi barbare”, in cui Carducci abbandonava i<br />
metri tradizionali italiani, cercando di riprodurre quelli classici. Ad esso seguì un secondo<br />
libro nel 1882 e un terzo nel 1889. L’esperimento metrico provocò scalpore, ma, a poco a<br />
poco, la novità fu accettata, e la metrica “barbara” entrò nel gusto corrente del pubblico.<br />
La metrica antica, greca e latina era accentuativa, cioè si basava sulla quantità delle sillabe,<br />
lunghe e brevi; era l’alternanza tra brevi e lunghe che creava il ritmo. La Lingua italiana,<br />
invece, non fa distinzione fra sillabe lunghe e sillabe brevi, perciò diventa importante la<br />
distinzione tra sillabe toniche (accentate) e sillabe atone (non accentate). Tentativi di<br />
imitazione dei metri antichi erano stati fatti dagli umanisti fiorentini (Alberti, Dati) ed anche<br />
in epoche successive. Essi si basavano sull’attribuzione arbitraria di quantità alle sillabe<br />
italiane, per cui i versi composti suonavano strani e deformati (es. un distico di Alberti: quèsta<br />
per èstremà, miseràbile pìstola màndo / à te chè sprezzì, mìseramènte noì). Questi esempi<br />
non ebbero successo e non furono seguiti. Si cercò allora di sostituire i versi antichi con versi<br />
italiani, mettendo arsi e tesi al posto di lunghe e brevi. L’esametro venne reso con<br />
30 La citazione è tratta da “l’attività letteraria in Italia - Storia della letteratura” di Giuseppe Petronio.<br />
PALUMBO<br />
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70
l’endecasillabo sciolto, il senario giambico venne reso con l’endecasillabo sdrucciolo …<br />
Chiabrera iniziò ad imitare parecchi sistemi strofici antichi (strofe saffica, strofe asclepiadea,<br />
strofe alcaica) usando versi italiani; a lui guardarono tutti coloro che volevano imitare i metri<br />
classici, come Rolli, Fantoni, Monti. Quando Carducci uscì nel 1877 con le “Odi barbare”<br />
non presentava niente di nuovo rispetto a quanto era già stato fatto dal Settecento in poi. La<br />
grande innovazione di Carducci fu il tentativo di imitazione dell’esametro e del distico<br />
elegiaco, cercando di riprodurre, con composizione di versi italiani e con l’alternanza arsi –<br />
tesi, il ritmo antico accentuativo. Per l’esametro adoperò diverse soluzioni, tra cui un<br />
settenario piano + un novenario piano, un senario sdrucciolo + un novenario piano, un<br />
ottonario piano + un settenario piano. Per il pentametro usò due settenari piani accoppiati,<br />
oppure un quinario piano + un settenario piano. I versi furono definiti , perché ad<br />
un latino sarebbero apparsi approssimativi e poco corretti, quindi scritti da un barbaro.<br />
14.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Il linguaggio di Carducci presenta alcune interessanti particolarità. Da un lato esso è un<br />
linguaggio classicheggiante e petrarchesco, che si richiama fortemente alla tradizione<br />
letteraria ed accademica. Accanto a questo tipo di linguaggio, che presenta ovviamente una<br />
sintassi aulica, fatta di iperbati, subordinate, costrutti latineggiante, coesiste un altro tipo di<br />
linguaggio più aderente al quotidiano, nel quale vengono inseriti termini tecnici, tipici della<br />
nuova età della II Rivoluzione industriale e dell’evoluzionismo positivista.<br />
Per comprendere meglio ciò, possiamo analizzare alcuni componimenti significativi dal<br />
punto di vista linguistico.<br />
Prendiamo in esame “Fantasia”, componimento che fa parte delle “Odi barbare”:<br />
quest’ode, modellata dall’esotismo tipico di Carducci, è pervasa da un gusto fortemente<br />
classicheggiante. Infatti il linguaggio è aulico, prezioso, fitto di latinismi (v.1 aura; v.5<br />
occiduo; v.6 cerulee; v.7 augelli; v.9 ardui; v.10 occaso; v.14 nauti) e perfettamente<br />
funzionale alla nostalgia esotizzante. Carducci, nelle sue liriche, si esprime in modo solenne; i<br />
contenuti sono ricchi di riferimenti storici e culturali; la lingua è quella propria della poesia,<br />
senza concessioni a quella del parlato.<br />
Prendiamo, ora, in esame “Alla stazione in una mattina d’autunno”, componimento<br />
appartenente alle “Odi barbare”. Nonostante il poeta solitamente prediliga un linguaggio<br />
aulico e sublime, in questa poesia troviamo un lessico grave, cupo, e in alcuni punti,<br />
fortemente aspro. Tutto ciò, ovviamente, ha una corrispondenza nel contenuto, in quanto il<br />
poeta accompagna alla stazione la donna amata (Lina Cristofori Piva, nella poesia Lidia), che<br />
si allontana da lui. Quasi tutto il componimento verte quindi sulla descrizione del paesaggio<br />
urbano, contrassegnato tra l’altro da pioggia, fango e oscurità; conseguentemente le parole<br />
adoperate hanno caratteri foschi: v.2 accidiosi; v.4 fango; v.6 plumbeo; vv.8,52 fantasma;<br />
v.10 foschi; v.11 ignoti dolori; v.12 tormenti; v.18 incappucciati di nero; vv.19,58 ombre;<br />
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71
v.21 lugubre; vv.23,60 tedio; vv.29,33 mostro; v.30 metallica anima; v.31 fiammei occhi;<br />
v.31 buio; v.36 tenebra; vv.49,58 caligine.<br />
Solo dal verso 37 al verso 48 e nella quarta strofa, dove abbiamo il riferimento a Lidia, il<br />
linguaggio cambia, diviene più dolce e malinconico: v.15 begli anni; v.16 istanti gioiti; v.37<br />
viso dolce; v.37 pallor roseo; v.38 occhi di pace; v.38 candida; v.39 floridi; v.40 pura; v.40<br />
soave; v.44 luminoso; v.46 aureola; v.47 belli; vv.43,47 sole; v.48 gentile. In questi versi<br />
luminosi, come anche in quelli più cupi e lugubri, si nota senza esitazione il gusto classico che<br />
caratterizza la poetica carducciana; ma nei versi dedicati a Lidia, ancor di più, si ritrova la<br />
tradizione classica della lirica d’amore italiana. È inoltre evidente l’uso di termini mediati dal<br />
linguaggio tecnico, che richiamano la cultura progressiva del Positivismo; ad esempio: fanali<br />
(v. 1), vaporiera (v.6), lanterna (v. 19), mazze di ferro (v. 20), sportelli (v. 25). Tutto ciò<br />
porta ad una sletterarizzazione e ad una smitizzazione del lessico poetico, come ha ben notato<br />
il Ceserani. È tuttavia parimenti vero che coesistono anche termini classici al posto di oggetti<br />
moderni, come, ad esempio, tessera (v. 13) per biglietto, caligine (vv. 49,58) per nebbia,<br />
mostro (vv. 29, 32) per treno; il che mantiene alto il tono del componimento e lo colloca in<br />
un’aura di classicismo letterario.<br />
14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Le metafore e le immagini della poesia di Carducci sono di diverse tipologie. Possiamo<br />
individure le principali:<br />
1) Immagini classiche. Carducci è senz’altro un classicista e nelle sue poesie compaiono<br />
inevitabilmente riferimenti alla mitologia e al Mondo antico, greco e latino.<br />
2) Immagini storiche. In molte sue liriche il poeta descrive memorie storiche. Il periodo<br />
preferito è il Medioevo dei Comuni, considerato un’epoca positiva, poiché segna<br />
l’inizio del processo di formazione degli Stati nazionali. Altre immagini sono tratte<br />
dalla Storia del Risorgimento e della Rivoluzione francese.<br />
3) Immagini paesaggistiche. Il paesaggio in Carducci assume una valenza fondamentale;<br />
soprattutto nelle “Rime nuove” compaiono ricordi autobiografici e sono molte le<br />
descrizioni della Natura. Si tratta di un paesaggio che è stato definito , per<br />
la presenza di colori come il rosso, il giallo, il verde. Accanto ad essi vi è però la<br />
presenza di toni cupi, rappresentati dal buio, dall’ombra, dal nero, che fanno da<br />
contrasto ai precedenti motivi cromatici.<br />
Analizziamo “Idillio maremmano”, componimento contenuto nelle “Rime nuove” formato<br />
da terzine di endecasillabi. Esso è un tipico esempio della tematica autobiografica della poesia<br />
carducciana, in modo particolare per il ricordo della giovinezza. Il discorso poetico è giocato<br />
su un motivo leopardiano: l’immagine di una donna amata in gioventù che riaffiora alla mente<br />
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72
attraverso la memoria (si ricordino Silvia e Nerina per Leopardi). Si possono trovare dei<br />
riferimenti ben chiari ai testi di Leopardi:<br />
v.7, Ove sei?: “Le ricordanze”, Ove sei, che più non odo / la tua voce sonar… (vv.144-<br />
145);<br />
v.8, Non passasti: “Le ricordanze”, Passasti, (v.149);<br />
v.8-9, Natio borgo: “Le ricordanze”, Natio borgo selvaggio (v.30);<br />
v.50, E verdi quindi i colli e quindi il mare: “A Silvia”, E quinci il mar da lungi, e quindi il<br />
monte (vv.25);<br />
vv.17-21, le rime in -ivi, uscivi … aprivi: “A Silvia”, fuggitivi … salivi (vv.4-6).<br />
Ma il motivo è espresso con un tono totalmente diverso da quello di Leopardi, si potrebbe<br />
pensare ad un voluto rovesciamento. Prima di tutto si noti la fisicità e sensualità delle<br />
immagini, ben diversa dal “vago” e “indefinito” di Leopardi: il raggio d’aprile “roseo”,<br />
l’occhio “azzurro”, il “biondeggiante or” delle spighe, la chioma “flava”, l’estate che<br />
“fiammeggia”, i “verdi” rami, il melograno che scintilla “rosso”, i colli “verdi”.<br />
Anche il simbolo femminile ha un significato antitetico a quello leopardiano: in Leopardi è<br />
la fanciulla morta giovane che, senza giungere a vedere il “fior degli anni suoi” e senza poter<br />
godere delle gioie dell’amore (la cui sorte testimonia il destino delle creature vittime della<br />
crudeltà della natura), nega ogni felicità; in Carducci è, invece, un’immagine di femminilità<br />
matronale, florida e opulenta (il fianco “baldanzoso”, il seno “restio” ai “freni del vel”, su cui<br />
l’occhio del poeta indugia con scoperto compiacimento), che allude ad un’esistenza sana e<br />
forte, ricca di gioie anche fisiche (“troppa gioia d’amplessi al marital desio”), a cui si<br />
collegano i valori della famiglia (i “forti figli” che pendevano dalla sua “poppa”, ed ora<br />
balzano arditi in groppa ai cavalli): la vita semplice della campagna e la famiglia sono i valori<br />
che qui Carducci intende celebrare.. 31<br />
La storia della critica carducciana inizia con un volume di Enrico Thovez, “Il pastore, il<br />
gregge e la zampogna” (1909); il giudizio che ne emerge è limitativo: rispetto all’apice<br />
letterario a cui era arrivato Leopardi, Carducci segna un passo indietro verso forme letterarie<br />
ormai superate.<br />
Benedetto Croce (1910), invece, rivalutò molto la poetica carducciana: anche se ammette<br />
certi momenti di “non-poesia” (per il prevalere di motivi praticistici, polemici e pedagogici),<br />
il critico indica la più alta realizzazione della poesia del Carducci in quella storica, nutrita di<br />
passione etica e civile, che diviene poesia epica. Croce individua nella poesia carducciana<br />
“l’ultima e classica grande poesia italiana”.<br />
Da un punto di vista più moderno, Domenico Petrini (1927) vede nello svolgimento della<br />
lirica carducciana una dissoluzione del mondo romantico e una ricerca di pure forme musicali<br />
e coloristiche.<br />
Mario Praz (1940), dall’alto della sua inarrivabile conoscenza delle letterature romantiche<br />
europee, vede nel “classicismo” carducciano un’espressione di “nostalgia” tutta romantica per<br />
l’antico, sentito come paradiso di bellezza definitivamente perduto nel presente squallido<br />
dominato dalla società industriale.<br />
31<br />
L’analisi del testo è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo- Dalla Scapigliatura al Verismo” di G.<br />
Baldi, S. Giusso, M, Razetti, G. Zaccaria, PARAVIA<br />
73<br />
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Natalino Sapegno (1949) dà un giudizio severo di Carducci, vedendo il momento poetico<br />
più felice nei “Giambi ed Epodi”, nell’impeto polemico della passione politica e sociale, e nel<br />
movimento nostalgico verso un’infanzia selvaggia e ribelle. Alla decadenza ideologica<br />
corrispose anche quella poetica: assumendo posizioni conservatrici, si ripiegò sull’eleganza<br />
formale.<br />
Luigi Russo (1955 e 1957), insiste su un Carducci “funebre”, cantore nostalgico di eroici<br />
mondi perduti.<br />
Nel trentennio successivo, sino ai giorni nostri, Carducci non ha più suscitato vivi interessi<br />
critici; è questo un segno di come Carducci non sia più sentito un poeta attuale, forse si vede<br />
in lui l’ultimo rappresentante della classicità.<br />
14.4 PAROLE ADOPERATE<br />
Per individuare le parole maggiormente adoperate dal Carducci abbiamo analizzato le<br />
raccolte “Rime nuove”, “Odi barbare”, “Rime e ritmi”. Ecco la tabella ed il grafico delle<br />
frequenze:<br />
CARDUCCI % X 1000<br />
1 Sol(e) 0,48 4,8<br />
2 Bellezza, bel, bella 0,36 3,6<br />
3 Amor(e), amoroso/a 0,33 3,3<br />
4 Ciel(o) 0,28 2,8<br />
5 Cor(e) 0,27 2,7<br />
6 Morte 0,26 2,6<br />
7 Bianca/o 0,23 2,3<br />
8 Fiore 0,21 2,1<br />
9 Occhi, Canto, Verde/i 0,18 1,8<br />
10 Mar(e), Ombra/e 0,17 1,7<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
4,8<br />
Sol(e)<br />
FREQUENZE CARDUCCI<br />
3,6 3,3 2,8 2,7 2,6 2,3 2,1 1,8 1,7<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
Amor(e),<br />
amoroso/a<br />
Ciel(o)<br />
Cor(e)<br />
Rispetto agli altri poeti analizzati fin qui troviamo alcune interessanti novità.<br />
Sicuramente anche per Carducci vale il discorso della corrispondenza con il lessico<br />
petrarchesco. In effetti la base del suo linguaggio è ancora quella mutuata dal Petrarca. Parole<br />
come core, amore, bellezza, morte, cielo compaiono in larga misura nei due poeti. Tuttavia<br />
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Morte<br />
Bianca/o<br />
Fiore<br />
Occhi,<br />
Canto,<br />
Verde/i<br />
Mar(e),<br />
Ombra/e<br />
74
sono ravvisabili alcuni fattori di interesse. Primo fra tutti la presenza di termini che indicano<br />
la solarità, cioè parole riferite a colori accesi e luminosi. Troviamo, infatti, sole (4,8 x 1000),<br />
bianco (2,3 x 1000), verde (1,8 x 1000) tra le prime dieci parole, e rosso (1,0 x 1000) al 14°<br />
posto. Accanto a queste parole vi sono poi termini che evocano la cupezza e la tristezza, come<br />
morte (2,6 x 1000), ombra (1,7 x 1000), tra le prime dieci parole, e nero (1,6 x 1000) all’11°<br />
posto.<br />
È comunque azzardato affermare che il lessico carducciano sia innovativo. Esso continua a<br />
seguire la Tradizione e si colloca nel Classicismo, che contraddistingue gran parte della lirica<br />
italiana e le sue basi linguistiche e lessicali.<br />
A conclusione dell’analisi della lirica d’Amore del periodo che va dal Quattrocento<br />
all’Ottocento, che ha costituito la base della seconda parte del mio lavoro, ritengo utile<br />
fornire, per tutti i principali termini adoperati dai vari poeti, il coefficiente di correlazione r<br />
rispetto a Petrarca. Esso è un valore statistico, che indica quanto un insieme di valori sia<br />
dipendente – e cioè correlato – con un altro insieme, ed è calcolato con la formula<br />
matematica: r = S(xy) / S(x) . S(y) , dove S(xy) rappresenta la così detta covarianza tra i due<br />
insiemi di dati, e S(x) . S(y) rappresentano le deviazioni standard dei due insiemi.<br />
Il coefficiente di correlazione così calcolato assume un valore tra – 1 e + 1; nel caso di<br />
valore 0 significa che non esiste correlazione, mentre un valore vicino a + 1 significa che la<br />
correlazione è molto alta.<br />
Eseguendo i calcoli rispetto a Petrarca i coefficienti di correlazione risultano i seguenti, che<br />
raccogliamo in un grafico:<br />
0,9<br />
0,8<br />
0,7<br />
0,6<br />
0,5<br />
0,4<br />
0,3<br />
0,2<br />
0,1<br />
0<br />
1<br />
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA<br />
Poeti del<br />
Quattrocento<br />
Petrarchisti<br />
L’aspetto che più ci colpisce è la forte correlazione delle varie correnti poetiche con la<br />
poesia di Petrarca. Nonostante il periodo interessato sia di oltre cinquecento anni, il<br />
coefficiente di correlazione resta abbastanza stabile e non scende mai sotto il livello dello<br />
0,70. Dobbiamo, inoltre, tenere presente il fatto che da Petrarca ai secoli successivi la<br />
tematica della lirica – precedentemente incentrata quasi esclusivamente sull’Amore – si<br />
allarga ad altri argomenti, come la politica, l’analisi introspettiva, la Natura, la Storia, le<br />
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Marinisti<br />
Antimarinisti<br />
Arcadia<br />
Neoclassici<br />
Romantici<br />
Leopardi<br />
Carducci<br />
75
tematiche civili … Questo fattore fa abbassare le percentuali di frequenza dei termini del<br />
lessico amoroso, dato che il calcolo – come si è più volte specificato – è stato fatto sul<br />
complesso della produzione poetica degli autori. Conseguentemente, anche il coefficiente di<br />
correlazione tende ad abbassarsi progressivamente, man mano che viene meno il monopolio<br />
monotematico dell’Amore.<br />
Per rendere la nostra analisi più completa, possiamo riprendere anche le correnti poetiche<br />
che precedono Petrarca, e calcolare il coefficiente di correlazione di queste rispetto a Petrarca,<br />
che avrà ovviamente coefficiente uguale ad 1,0. Il grafico che emerge è il seguente:<br />
0,9<br />
0,8<br />
0,7<br />
0,6<br />
0,5<br />
0,4<br />
0,3<br />
0,2<br />
0,1<br />
0<br />
1<br />
Siciliani<br />
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA<br />
Toscani<br />
Stilnovisti<br />
Dante<br />
È molto interessante notare che il cambiamento più radicale nel linguaggio della lirica<br />
d’Amore avviene con il Dolce Stil Nuovo (r = 0,74 rispetto a Petrarca). Il linguaggio<br />
stilnovista è sostanzialmente recepito da Dante e da Petrarca, che provvede ad integrarlo,<br />
facendone il linguaggio ufficiale della lirica d’Amore italiana fino a tutto l’Ottocento.<br />
Bisognerà attendere l’epoca successiva, e cioè il Novecento, per assistere al declino del<br />
Magistero petrarchesco ed alla nascita di un nuovo linguaggio della lirica d’Amore.<br />
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PETRARCA<br />
Poeti del<br />
Quattrocento<br />
Petrarchisti<br />
Marinisti<br />
Antimarinisti<br />
Arcadia<br />
Neoclassici<br />
Romantici<br />
Leopardi<br />
Carducci<br />
76
PARTE TERZA (Il Novecento)<br />
Con il Novecento si inaugura una nuovissima stagione letteraria. Per ciò che concerne la<br />
lirica, possiamo dire che tenta sempre più di allontanarsi dai condizionamenti della metrica e<br />
della rima.<br />
Dapprima le forme metriche vengono formalmente mantenute, ma il poeta tende a<br />
scardinarle dall’interno, come nel caso di Pascoli, apportando anche alcune innovazioni.<br />
Da questo punto di vista Pascoli può definirsi un grande innovatore, in quanto utilizza versi<br />
classici, ma scarsamente presenti ed inconsueti nella poesia italiana, quali il quinario, il<br />
ternario, il novenario.<br />
L’adozione del verso libero, che caratterizzerà tutto il Novecento, rappresenta la rottura più<br />
significativa con tutta la tradizione lirica precedente. Con il verso libero, introdotto da<br />
D’Annunzio, il poeta dà voce ad un suo ritmo interiore; la lirica di questo periodo, quindi, va<br />
incontro alle esigenze di libertà e di individualismo che erano sorte.<br />
In questo senso D’Annunzio può essere definito un <br />
Nel periodo tra le due guerre giungono ad una piena maturazione queste tendenze liriche:<br />
Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), con le due prime raccolte poetiche Il porto sepolto (1916)<br />
e Allegria di naufragi, porta alle estreme conseguenze l’innovazione del verso libero,<br />
sperimentandone le più ampie possibilità, fino a ridurlo all’unicità della singola parola.<br />
Distrugge la metrica tradizionale e si concentra sull’aspetto interiore, arrivando alle soglie di<br />
una poesia metafisica. Introduce il procedimento sempre più rarefatto ed essenziale<br />
dell’analogia, che si propone di cogliere l’essenza delle cose attraverso folgorazioni o<br />
illuminazioni improvvise.<br />
L’esperienza ungarettiana si può definire d’avanguardia, diversamente da quelle di<br />
Montale e Saba, che tentano soluzioni di compromesso, tra le avanguardie e la tradizione.<br />
Per quanto concerne Gozzano, invece, abbiamo sostanzialmente alcuni aspetti innovativi,<br />
anche dal punto di vista linguistico, ma molti aspetti restano legati alla Tradizione.<br />
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77
15.1 FORME METRICHE<br />
GIOVANNI PASCOLI<br />
I componimenti poetici di Pascoli fanno parte di alcune raccolte redatte da lui stesso.<br />
Sarebbe fuorviante tentare di riprodurre un’evoluzione interna della sua poesia tenendo in<br />
considerazione l’ordine cronologico di queste raccolte, in quanto il loro ordine di uscita non<br />
coincide con quello della composizione dei singoli testi. Tra il 1891 e il 1911, quando il poeta<br />
redige queste raccolte, lavora contemporaneamente a vari generi poetici, con tematiche e stili<br />
compositivi anche molto lontani fra loro. Quindi, possiamo asserire che la distribuzione nelle<br />
varie raccolte non obbedisce all’ordine cronologico di composizione, quanto a ragioni<br />
formali, stilistiche e metriche.<br />
La poesia di Pascoli è sostanzialmente sincronica: sono ovviamente riconoscibili<br />
arricchimenti e approfondimenti di temi, mutamenti di soluzioni stilistiche nel corso del<br />
tempo, ma svolte veramente radicali, che possono legittimamente far parlare di fasi diverse e<br />
distinte, non possono essere individuate. 32<br />
Le raccolte sono: Myricae (1892), Primi poemetti (1897), Odi e inni (1896), Poemi del<br />
risorgimento (1910-12), Poemi conviviali (1904), Nuovi poemetti (1909), Canti di<br />
Castelvechio (1903), oltre a Poesie varie che raccolgono liriche giovanili o disperse.<br />
Nella prima raccolta, Myricae, sono presenti prevalentemente componimenti molto brevi,<br />
che all’apparenza si presentano come piccole descrizioni di vita campestre con uno stile molto<br />
vicino al gusto impressionistico. Compaiono qui quelle soluzioni formali che costituiscono la<br />
profonda originalità della poesia pascoliana: l’insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico<br />
dei suoni, l’uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. Pascoli sperimenta<br />
anche una varietà di combinazioni metriche inedite, utilizzando in genere versi brevi, in<br />
particolare il novenario, un verso poco frequente nella tradizione italiana.<br />
Diversi sono i Poemetti, divisi nelle due raccolte Primi poemetti e Nuovi poemetti: sono<br />
componimenti più lunghi di quelli di Myricae, che spesso sembrano veri e propri racconti in<br />
versi. Anche la struttura metrica cambia: ai versi brevi subentrano, di regola, le terzine<br />
dantesche, raggruppate in sezioni più o meno ampie.<br />
I Canti di Castelvecchio sono definiti dal poeta stesso, nella prefazione, “myricae”, quindi<br />
si propongono intenzionalmente di continuare la linea della prima raccolta. I componimenti<br />
ritornano ad essere più brevi.<br />
I Poemi conviviali assumono un carattere estetizzante e quindi il linguaggio e il metro<br />
aderiscono alla tradizione classicista. A questa raccolta possiamo accostare i Carmina latini :<br />
trenta poemetti e settantuno componimenti più brevi scritti da Pascoli per il concorso di<br />
poesia latina di Amsterdam, per i quali, dal 1892, egli ottenne molte volte la medaglia d’oro.<br />
32 Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” vol. F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G.<br />
Zaccaria. PARAVIA<br />
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78
Per Pascoli il Latino non è una lingua morta e un puro esercizio erudito di riproduzione dei<br />
moduli espressivi fissati dagli esercizi antichi, ma è una lingua intimamente rivissuta, che<br />
rivela profonde affinità col linguaggio delle poesie italiane, soprattutto nel suo ritmo spezzato,<br />
che appare lontano dall’armonia del latino classico.<br />
Nelle forme metriche, come nei ritmi e nella lingua che vedremo in seguito, Pascoli attua<br />
uno scardinamento: metri come la terzina dantesca, versi ormai obsoleti come il novenario e<br />
il decasillabo, vengono adoperati da lui in modo del tutto personale, con slittamenti di accenti<br />
e innovazioni di ritmi che li rendono irriconoscibili. Per quanto riguarda le rime sono presenti<br />
rime ipermetre (per es. far rimare invito con gomitoli, non calcolando quindi l’ultima sillaba<br />
che resta fuori del conto); rime spezzate (dove la parola-rima è spezzata alla fine del verso e<br />
una sua parte è rigettata in quello seguente: ciondo/ loni fatto rimare con biondo; rime<br />
rigettate da un verso all’altro: piana/ mente gemendo.<br />
15.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Come abbiamo già detto, le soluzioni formali di Pascoli sono fortemente innovative.<br />
La sintassi è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui<br />
classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principali, coordinate e<br />
subordinate (tale era ancora la sintassi carducciana, e continuava ad essere quella del<br />
D’Annunzio più aulico): nei suoi testi poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione,<br />
di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza<br />
rapporti gerarchici fra di loro, spesso collegate non da congiunzioni ma per asindeto. Di<br />
frequente, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la<br />
forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi e aggettivi). La frantumazione<br />
pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, il prevalere della<br />
sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano<br />
una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. E’ una sintassi che traduce<br />
perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione “fanciullesca”, alogica, che mira a<br />
rendere il mistero, l’alone indefinito che circonda le cose, a scendere intuitivamente nel<br />
profondo della loro essenza, e quindi svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali, grande<br />
e piccolo, importante e meno importante, centrale e periferico. 33<br />
La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambements,<br />
che spezzano sintagmi strettamente uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo.<br />
Per comprendere meglio tutto ciò, analizziamo Digitale purpurea, componimento raccolto<br />
nei Nuovi poemetti (metro: terzine dantesche a rime incatenate - ABA, BCB, ecc.). Sin da una<br />
prima lettura si può notare la frantumazione dell’asse sintagmatico del racconto, che non<br />
segue un ordine cronologico di successione degli eventi, ma è continuamente interrotto da<br />
anacronie 34 : comincia al presente, fa rivivere il passato come un flash-back, torna al presente<br />
del colloquio fra le due amiche, per risalire infine al passato con la rievocazione<br />
33<br />
Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” Vol.F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G.<br />
Zaccaria, PARAVIA<br />
34<br />
“anacronia” (dal greco anà, indietro, di nuovo, e chrònos, tempo). Nel racconto, la rottura della successione<br />
cronologica dei fatti, per cui vengono raccontati dopo fatti avvenuti prima di altri, o viceversa.<br />
79<br />
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dell’esperienza trasgressiva del fiore velenoso. Anche la struttura sintattica è fortemente<br />
frantumata, discontinua. Le frasi sono brevi e interrompono continuamente il discorso in unità<br />
a sé stanti. I puntini di sospensione contribuiscono ulteriormente a questa frantumazione (v.10<br />
così dolci al cuore …; v.15 con quel fiore, fior di …; v.9 da tastiere appena tocche… ; v.15<br />
(perché mai) piangete?… ), così come la lunga parentesi di quasi tre versi, che in chiusura<br />
allontana con una forte sospensione la confessione suprema, si muore!. I versi sono<br />
continuamente interrotti al loro interno da forti pause; a ciò si uniscono i numerosissimi<br />
enjambements.<br />
Per quanto riguarda il linguaggio, fu ancora più innovativo: accanto all’uso della lingua<br />
attinta dai classici, vi è l’uso di dialettismi e di parole tratte dal gergo (riferentisi alla realtà<br />
campestre), di onomatopee, di una terminologia botanica ed ornitologica (ad indicare le<br />
infinite varietà di alberi, fiori, uccelli che popolano i suoi versi). Il lessico adoperato da<br />
Pascoli è formato da numerosi codici linguistici, e si contrappone quindi a tutta la tradizione<br />
monolinguistica della precedente tradizione poetica italiana.<br />
15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />
Pascoli fa molto uso del linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora, e cioè<br />
la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha col primo un rapporto di<br />
somiglianza. Ma l’analogia pascoliana, come quella dei simbolisti, accosta in modo<br />
sorprendente due realtà fra loro remote, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi<br />
e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso<br />
dell’immaginazione. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia, che fonde insieme<br />
diversi ordini di sensazioni (per esempio si possono trovare sensazioni visive e cromatiche,<br />
fuse con una sensazione fonica).<br />
Analizziamo Il gelsomino notturno, componimento con metro di quartine di novenari a<br />
rime alternate (abab). Per quanto riguarda il repertorio di immagini, possiamo esaminare<br />
quelle legate alla morte, quelle legate al “nido” e quelle legate all’amore. La tragedia<br />
familiare del poeta, che ha distrutto il suo “nido”, lo ha bloccato alla condizione psicologica<br />
infantile, impedendogli di uscirne. I morti continuano a rivivere nel suo personale nido di<br />
bambino, che Pascoli sembra voler proteggere da qualsiasi ingerenza esterna quale l’amore.<br />
Ecco allora l’alternanza tra le immagini mortuarie e quelle del fiore che invita all’amore<br />
(vv.1-2 E s’aprono i fiori notturni, / nell’ora che penso a’ miei cari; vv.9-10 Dai calici aperti<br />
si esala / l’odore di fragole rosse / … Nasce l’erba sopra le fosse). Uscire, legarsi alla donna,<br />
riprodursi, sarebbe un tradimento ad un legame sacro ed inviolabile con il “nido”. Quel nido<br />
rappresentato dalle seguenti espressioni: v.7 sotto l’ali dormono i nidi; v.14 le api chiuse nelle<br />
loro celle; vv.15-16 la Chiccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle.<br />
15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE<br />
Benedetto Croce, che dedicò al Pascoli un saggio nel 1907, diede un giudizio negativo. Infatti,<br />
secondo il filosofo, l’opera pascoliana era priva di unità, la poesia si presentava solo in brevi<br />
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frammenti ed era di ispirazione sostanzialmente idillica, quindi ristretta e limitata. Oltre al<br />
giudizio estetico - formale, Croce diede anche un giudizio morale, condannando quella che<br />
riteneva la "malattia" romantico – decadente; quindi la morbosità, il vago misticismo, il<br />
vagheggiamento del mistero e della morte del Pascoli furono categoricamente ripudiati.<br />
Ricerche più recenti, nel secondo dopoguerra, hanno sottolineato il valore anticipatore della<br />
poesia di Pascoli. Pier Paolo Pasolini (1955), ad esempio, afferma che .<br />
Il grande filologo e critico Gianfranco Contini (1955) analizza da un punto di vista linguistico<br />
le opere di Pascoli, sostenendo che accanto alle forme normali (grammaticalmente<br />
strutturate), compare un linguaggio “pregrammaticale” (onomatopee) e un linguaggio<br />
“postgrammaticale” (le lingue speciali e dialettali), e conclude che, se il linguaggio normale<br />
implica l’avere chiara e precisa l’idea del mondo, un linguaggio eccezionale come quello di<br />
Pascoli implica un rapporto io - mondo molto critico.<br />
Per quanto riguarda la metrica, Emilio Bigi (1962) ha messo in luce come versi e strofe di<br />
impianto tradizionale siano solo un primo piano, superficiale, al di sotto del quale se ne<br />
colloca uno più segreto, attraverso il quale si esprime la voce del “fanciullino”, che spezza le<br />
strutture in echi musicali, pause, enjambements.<br />
Per ciò che concerne la lettura psicanalitica, Giorgio Barberi Squarotti (1956) individua il<br />
nucleo fondamentale di tale poesia nell’immagine del “nido”, chiuso al mondo esterno, geloso<br />
e protettivo, che sottintende il ripudio di qualsiasi rapporto sociale e una riduzione ai puri<br />
legami del sangue, oscuri e viscerali.<br />
15.5 PAROLE ADOPERATE<br />
Riguardo alle parole adoperate nelle sue poesie, il Pascoli rappresenta una grandissima<br />
novità rispetto alla tradizione. Con lui viene meno il predominio del lessico petrarchesco, che<br />
aveva dominato pressochè incontrastato il linguaggio della lirica italiana dal Trecento<br />
all’Ottocento. Per renderci conto della grande innovazione pascoliana, possiamo – come già<br />
fatto per tutti gli altri autori e/o periodi – individuare le dieci parole maggiormente adoperate.<br />
Per questo scopo abbiamo analizzato le raccolte “Myricae”, “Canti di Castelvecchio”.<br />
Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze:<br />
PASCOLI % X 1000<br />
1 Ciel(o) 0,35 3,5<br />
2 Morte 0,28 2,8<br />
3 Cor(e) 0,27 2,7<br />
4 Ombra/e 0,26 2,6<br />
5 Nero 0,25 2,5<br />
6 Bianca/o 0,22 2,2<br />
7 Notte 0,19 1,9<br />
8 Occhi, Giorno/i 0,184 1,8<br />
9 Madre 0,177 1,8<br />
10 Mano/i, Voce 0,174 1,7<br />
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X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
FREQUENZE PASCOLI<br />
3,5 2,8 2,7 2,6 2,5 2,2 1,9 1,84 1,77 1,74<br />
Ciel(o)<br />
Morte<br />
Cor(e)<br />
Ombra/e<br />
Nero<br />
È chiaramente evidente un forte scostamento dalla Tradizione classicista e petrarchista.<br />
Alcune delle parole chiave di Petrarca, come amore, bellezza, dolcezza, donna, sole non<br />
compaiono in Pascoli nei primi dieci termini fondamentali, ed anzi hanno basse frequenze<br />
nelle sue Opere. Ad esempio amore ha una frequenza dello 0,5 x 1000; bellezza dell’1,5 x<br />
1000; dolcezza dell’1,7 x 1000; donna dello 0,2 x 1000 e sole dell’1,6 x 1000.<br />
Significativo il fatto che le prime parole che compaiono nella lista delle preferenze siano<br />
cielo (3,5 x 1000) e morte (2,8 x 1000), quasi a sottolineare la personalità fortemente turbata<br />
del poeta, che pone al centro del suo la morte ed il cielo, che è un simbolo della vita<br />
ultraterrena e del contatto con l’aldilà. Certamente per Pascoli – a differenza del Carducci – i<br />
morti costituivano un’inquietante presenza, con la quale la persona viva doveva comunque<br />
relazionarsi e fare i conti; basti vedere le numerose poesie pascoliane, che parlano della<br />
morte, o hanno richiami ai defunti; per fare solo qualche esempio: Il Gelsomino notturno (v. 2<br />
nell’ora che penso ai miei cari); L’assiuolo (v. 21 e c’era quel pianto di morte); Novembre<br />
(v. 11-12 … È l’estate, / fredda, dei morti).<br />
Possiamo ora calcolare l’indice di correlazione r tra Pascoli e Petrarca; esso ci fornisce il<br />
seguente dato: r = 0,56: un risultato che, pur confermando ancora una certa analogia con il<br />
lessico petrarchesco, segna indubbiamente una rottura rispetto al passato, dal momento che,<br />
secondo i nostri calcoli, da Petrarca in poi il valore di r rispetto a Petrarca non era mai sceso<br />
sotto lo 0,70.<br />
Bianca/o<br />
Notte<br />
Occhi,<br />
Giorno/i<br />
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Madre<br />
Mano/i,<br />
Voce<br />
82
16.1 FORME METRICHE<br />
GABRIELE D’ANNUNZIO<br />
La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio è formata da una serie di numerosi scritti, sia<br />
lirici, sia narrativi, sia teatrali, sia ancora autobiografici e della memoria. Ma ciò che più ci<br />
interessa, in questo lavoro, è la sua produzione lirica: Primo vere, 1879; Canto novo.<br />
Intermezzo di rime, 1884; L’Isotteo, 1886; Elegie romane, 1887; Poema paradisiaco, 1891;<br />
Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi (I Maia, 1903); II Elettra, 1903; III Alcyone,<br />
1904; IV Le canzoni delle gesta d’oltremare, 1912). Nelle prime raccolte D’Annunzio adotta<br />
diverse soluzioni metriche, rifacendosi alla tradizione ed anche ai metri barbari di Carducci.<br />
Le Laudi facevano capo ad un progetto che prevedeva sette libri, ognuno intitolato con il<br />
nome di una stella della costellazione delle Pleiadi. Il primo libro, Maia, non è una raccolta di<br />
liriche, bensì un lungo poema unitario di oltre ottomila versi, in cui D’Annunzio adopera<br />
subito una novità formale, cioè il verso libero, distaccandosi completamente dagli schemi<br />
tradizionali. Nel secondo libro, Elettra, buona parte del volume è costituito da liriche sulle<br />
Città del silenzio (le città italiane, ora lasciate ai margini del progresso e della vita moderna).<br />
Il terzo libro, Alcyone, quello che analizzeremo più approfonditamente, è apparentemente<br />
molto lontano dai due precedenti. Al discorso politico e celebrativo, si sostituisce il tema del<br />
panismo, ossia la fusione uomo - natura, natura - uomo. Le ottantotto liriche seguono un<br />
disegno organico, ma diverso è l’ordine cronologico di composizione. Analizziamo le forme<br />
metriche di alcune di esse. La pioggia nel pineto, è una poesia strutturata in quattro strofe di<br />
trentadue versi liberi (quinari, senari, settenari, ottonari, novenari …) con un irregolare<br />
ricorrere di rime ed assonanze. Spesso, per effetto del libero gioco delle rime e delle<br />
assonanze, la misura massima del novenario tende a frangersi nelle misure minori di un<br />
senario e un ternario, o anche di tre ternari. Talvolta, invece, “la lettura continua, anche senza<br />
praticare sinalefe al confine, di due versi di seguito, restituisce (…) l’endecasillabo”. Ne<br />
consegue 35 . Ma osserviamo la struttura delle rime (spesso ricche), e delle assonanze (ora<br />
fitte ora rade all’interno delle varie strofe). (G. Contini) 36 . In questa poesia è stato scorto il parallelismo con il concerto di una<br />
sinfonia. “La partitura musicale della poesia è costruita con strumenti sofisticatissimi. (…) Si<br />
35 “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982<br />
36 “Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Rocoroni. I edizione Oscar Mondadori del 1982<br />
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succedono versi brevi, senari, settenari, ottonari, novenari, ma persino versi trisillabi,<br />
composti da una sola parola (lontane, divini, silvani, leggeri, ..). Questa estrema<br />
frammentazione dei versi ha una valore iconico, cioè tende a riprodurre la pluralità<br />
innumerevole di presenze e di voci che si affollano nella pineta sotto le fitte gocce di pioggia.<br />
(… ) Il ritmo del discorso permette però di ricostruire speso un’altra trama metrica sotterranea<br />
e dissimulata sotto la prima. (…). Altro strumento per eccellenza del virtuosismo musicale di<br />
D’Annunzio è la rima, che ricorre anch’essa molto liberamente, senza alcuno schema fisso.<br />
Particolarmente musicali risultano le coppie di versi a rima baciata (vv.21-22 silvani / mani;<br />
vv.25-26 leggeri / pensieri; vv.28-29 novella / bella, vv.35-36 verdura / dura; vv.45-46<br />
cinerino / pino; vv.61-62 ginestre / terrestre; vv 91-92 lontana / rana). (…) Alla qualità<br />
musicale del discorso poetico dà un contributo fondamentale anche la modulazione fonica.<br />
Basti osservare la variazione tra i toni chiari della a e i toni cupi delle o toniche in questi<br />
versi: vv.37-38-39 e varia nell’aria / secondo le fronde / più rade men rade, che pare quasi<br />
avere un’intenzione mimetica della varietà dei suoni delle gocce sulle foglie>> 37 .<br />
16.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />
Come abbiamo già detto, il nucleo fondamentale del libro Alcyone rappresenta la fusione<br />
panica con la natura, che si esprime attraverso un atteggiamento di evasione e<br />
contemplazione. Il libro è il diario di un’ideale e vagheggiata vacanza estiva, dai colli<br />
fiesolani alle coste tirreniche tra Marina di Pisa e la Versilia. L’io del poeta si identifica con<br />
le varie forme della natura, animali, vegetali, minerali. C’è una ricerca sottile della musicalità,<br />
che tenta di dissolvere la parola in sostanza fonica e melodica, con l’impiego di un linguaggio<br />
analogico, che si fonda su un continuo gioco di immagini tra loro rispondentisi. Solo la parola<br />
magica del poeta - superuomo, creatura d’eccezione, quasi un vate, può capire ed esprimere<br />
l’armonia intrinseca e segreta della natura, e così rivelare l’essenza vera delle cose..<br />
D’Annunzio trasfigura musicalmente le parole, generando poesie che fondono in modo<br />
irripetibile realtà e sogno. Prendiamo per esempio Bocca d’Arno, una poesia formata da<br />
cinque strofe di undici versi ciascuna (endecasillabi con qualche settenario e quinario). Bocca<br />
d’Arno è la foce dell’Arno sul lido di Pisa; il poeta, con un pretesto meramente verbale,<br />
trasforma la la foce dell’Arno nella bocca della donna amata, le onde del fiume teorie di<br />
angeli danzanti, le reti pensili dei pescatori calici di immensi fiori favolosi; ed egli si perde<br />
insieme alla donna amata, in un’adorante contemplazione creatrice di prodigi.<br />
Il linguaggio di D’Annunzio è ricercato, classicheggiante, raffinato, aderente in toto ad una<br />
tradizione tipicamente italiana, ma innovativo per quanto riguarda il modo con cui descrive il<br />
paesaggio naturale e le figure femminili, il primo assumendo le sembianze di un mondo<br />
trasognato e splendente, le seconde incarnando figure divine. In effetti D’Annunzio è famoso<br />
per l’uso di una vasta gamma di vocaboli, ed anche per avere introdotto alcuni neologismi nel<br />
linguaggio della lirica italiana. Prendiamo, ad esempio, la lirica L’onda, tratta da Alcyone; si<br />
37 “Dal testo alla storia dalla storia al testo, Il decadentismo” Vol. F di G. Baldi, S. Giusso, M. razetti, G.<br />
Zaccaria. PARAVIA<br />
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tratta di una di cento versi, nella quale il poeta adopera moltissime parole,<br />
alcune delle quali strettamente tecniche, riferite al linguaggio marino o a quello militare:<br />
cala (v. 1), lorica (v.5), catafratto (v.6), dismaglia (v.11), ridonda (v.25), scavezza (v.39),<br />
cuora (v.45), ulva (v.46), crisopazi (v.58), berilli (v.60), melode (v.94), fura (v. 97).<br />
16.3 METAFORE E IMAGINI USATE<br />
Esaminiamo Stabat nuda Aestas, una poesia costituita da tre stanze di otto endecasillabi<br />
ciascuna. Il poeta ha “visto” l’estate. L’ha vista sotto le sembianze di una creatura divina dal<br />
piè stretto (v.1), dalla schiena falcata (v.11) e dai capei fulvi (v.11), correre leggera sugli aghi<br />
arsi dei pini, in mezzo al riverbero della luce, mentre intorno, a causa del gran caldo, tutte le<br />
cose assumono un’immobile fissità. Il poeta l’ha intravista, la riconosce, la raggiunge e<br />
quando la chiama riecheggiando il canto di un’allodola, la vede voltarsi e poi scomparire tra<br />
le erbe palustri e quindi incespicare nella paglia marina e cadere sulla spiaggia, tra la sabbia e<br />
l’acqua, nuda di un’immensa nudità, mentre il vento creava mille giochi di spume, facendo<br />
schiumare tra i suoi capelli l’onda del mare.<br />
Per tutta la lirica, la mitica figura, più che descritta, è evocata. Anzi, nel momento in cui tale<br />
evocazione assume le sembianze di una personificazione, immediatamente scompare in un<br />
dilagare di fenomeni della natura, di cieli, di ulivi, di oleandri, di aghi di pino, di canti di<br />
allodole, di odori aspri, di silenzi improvvisi, di gemiti di resine, di calure incandescenti, di<br />
luci intense, di onde spumeggianti.<br />
Il poeta, che di questa apparizione è testimone e artefice, si sente rapire dalla visione e la<br />
contempla avidamente, in uno dei suoi momenti più alti di comunione mistico - sensuale con<br />
la natura e in una ascensione totale di sensi, che ha il suo apice nella magnifica visione finale<br />
della nudità della donna – Estate, con cui egli già vagheggia di unirsi in una sorta di amplesso<br />
cosmico 38 .<br />
16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE<br />
Fino al secondo dopoguerra gli studi sull’opera dannunziana erano stati dominati dalla critica<br />
idealistica, di cui il maggior rappresentante era Benedetto Croce, che scrisse un saggio su<br />
d’Annunzio nel 1904. La critica idealistica pone l’accento sul D’Annunzio (B. Croce), sul poeta intensamente visivo, il paesista (Alfredo Gargiulo), sul<br />
poeta che sa trasfigurare la parola in musica (Attilio Momigliano), sul poeta che disincarna la<br />
sensualità, portandola fuori dai sensi (Francesco Flora).<br />
Dal secondo dopoguerra in poi la critica ha privilegiato altri campi di studio.<br />
Giacomo Devoto, Alfredo Schiaffini, Pier Vincenzo Mengaldo hanno studiato la lingua;<br />
Giorgio Barberi Squarotti, Marziano Guglielminetti, Gian Luigi Beccaria hanno analizzato lo<br />
stile, mettendo in luci i meccanismi più segreti della scrittura dannunziana; Aldo Rossi e<br />
Stefano Agosti, per la critica strutturalista, hanno esaminato le strutture profonde dei testi di<br />
38 Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni. I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982<br />
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D’Annunzio; Emerico Giachery e Giovanni Getto hanno portato alla luce le trame dei simboli<br />
sottese alle sue opere.<br />
Più recentemente, Carlo Salinari, Roberto Tessari, Alberto Asor Rosa, Arcangelo Leone De<br />
Castris, Romano Luperini, Giorgio Barberi Squarotti e Angelo Jacomuzzi hanno analizzato<br />
D’Annunzio in relazione alle ideologie del periodo storico in cui ha vissuto, quindi il suo<br />
atteggiamento nei confronti della realtà industriale; il suo rapporto contraddittorio con<br />
l’editoria, fatto da un lato di ripudio in nome di un aristocratico ideale di bellezza, dall’altro di<br />
attenta considerazione del successo commerciale.<br />
16.5 PAROLE ADOPERATE<br />
Per individuare la frequenza delle parole usate da D’Annunzio abbiamo analizzato la<br />
raccolta “Alcyone”, che contiene alcune delle poesie più note e più significative dell’autore.<br />
Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze:<br />
D'ANNUNZIO % X 1000<br />
1 Acqua 0,3 3,0<br />
2 Mar(e) - Ombra/e 0,29 2,9<br />
3 Occhi 0,27 2,7<br />
4 Terra 0,26 2,6<br />
5 Bianca/o 0,22 2,2<br />
6 Fiore 0,21 2,1<br />
7 Bellezza, bel, bella 0,2 2,0<br />
8 Nero 0,19 1,9<br />
9 Ciel(o) 0,18 1,8<br />
10 Luce/i 0,17 1,7<br />
X 1000<br />
10<br />
9<br />
8<br />
7<br />
6<br />
5<br />
4<br />
3<br />
2<br />
1<br />
0<br />
FREQUENZE D'ANNUNZIO<br />
3,0 2,9 2,7 2,6 2,2 2,1 2,0 1,9 1,8 1,7<br />
Acqua<br />
Mar(e) -<br />
Ombra/e<br />
Occhi<br />
Terra<br />
Bianca/o<br />
Si nota che il processo di scostamento dal lessico della Tradizione – già visto per Pascoli –<br />
subisce un’ulteriore accelerazione. Delle prime dieci parole usate da Petrarca solo tre<br />
compaiono tra le prime dieci parole adoperate da D’Annunzio, e precisamente occhi (2,7 x<br />
1000), bello/a, bellezza (2,0 x 1000) e ciel(o) (1,8 x 1000).<br />
Fiore<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
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Nero<br />
Ciel(o)<br />
Luce/i<br />
86
Non troviamo, invece, parole molto importanti per Petrarca, quali amore (0,9 x 1000),<br />
cor/core (1,6 x 1000), tempo (0,3 x 1000), sol/sole (1,6 x 1000).<br />
È assai significativo il fatto che le prime dieci parole usate da D’Annunzio richiamino<br />
immagini vitalistiche e terrene, evocanti la gioia sensuale e l’amore per la vita; nell’ordine<br />
abbiamo, infatti, acqua (3,0 x 1000), mare (2,9 x 1000), occhi (2,7 x 1000), terra (2,6 x<br />
1000), bianco/a (2,2 x 1000), fiore (2,1 x 1000) …<br />
Il distacco dal lessico petrarchista è evidente dal calcolo dell’indice di correlazione r tra<br />
D’Annunzio e Petrarca. Esso è pari a r = 0,42 cioè il valore più basso fin qui trovato, il che<br />
dimostra come, ormai, si sia entrati, a pieno titolo, nel lessico della poesia contemporanea. Pur<br />
non essendo stato abbandonato, l’Amore non è più esperienza dominante e centrale nella<br />
lirica e non assume più valenza monotematica. Parimenti il linguaggio, nonostante permanga<br />
ancora colto ed elevato, diviene sempre di più linguaggio delle specifiche tematiche del poeta<br />
ed è sempre meno linguaggio propriamente amoroso.<br />
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GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)<br />
Le raccolte poetiche che consacrano la sua fama poetica sono: La via del rifugio (1907) e<br />
Colloqui (1911). Queste due raccolte rappresentano una poesia di “rifugio” dalle passioni,<br />
dall’alienazione mondana e dalla storia, quasi il ritorno ad un passato tetro. L’accettazione di<br />
un’esistenza priva di eventi molto importanti e di ambizioni intellettuali o sentimentali è<br />
accompagnata dall’ironia, con cui il “dannunzianesimo rientrato” (Sanginetti) di Gozzano si<br />
scopre e proclama, oltre al desiderio di felicità e amore, la presenza della malattia, della<br />
malinconia, della nostalgia e del contatto illusorio con l’universo femminile.<br />
I Colloqui presentano una struttura omogenea e compatta; il titolo è lo stesso dei<br />
componimenti con cui si apre e si chiude la raccolta.<br />
La signorina Felicita ovvero la felicità e L’amica di nonna speranza, i due poemetti più<br />
famosi di Gozzano, parlano dell’attrazione per una provinciale “quasi brutta, priva di<br />
lusinga”, e la fuga al passato risorgimentale (“rinasco, rinasco del mille ottocento<br />
cinquanta!”), con la conseguente consapevolezza dell’impossibilità di sfuggire alla negatività<br />
del presente. Totò Merumeni, invece, è un componimento in cui si osserva il senso di<br />
estraneità posto in una situazione atemporale, in cui la degradazione dell’eroe rappresenta la<br />
figura del poeta.<br />
La signorina Felicita ovvero la felicità è un componimento di sestine di endecasillabi<br />
(schema metrico: ABBAAB). Dal punto di vista formale si osserva che gli endecasillabi<br />
seguono un andamento narrativo, quindi tendono alla discorsività di un racconto, anche grazie<br />
al legame di continuità determinato dagli enjambements. La cadenza prosastica giunge sino<br />
all’inserimento del discorso diretto, anche se esso vuole soltanto sottolineare la<br />
caratterizzazione in senso borghese dei personaggi, con lo scopo ironico di evidenziare i<br />
contrasti nei confronti del poeta. La funzione di questi inserti è anche quella di determinare<br />
una rottura con il continuum del verso tradizionale, rompendone la facile musicalità e ogni<br />
tipo di affettazione.<br />
I termini adoperati dal poeta sono quelli del linguaggio comune; preferibilmente sono<br />
vocaboli concreti (v.8 tosti il caffè; v.10 cuci i lini).<br />
In tutta la poesia coesistono in contrasto realtà e ambiti opposti, così come il linguaggio,<br />
che si alterna tra semplice e quotidiano, ed elevato e arcaicizzante (che appare però un po’<br />
irrigidito e manierato). Tutto ciò rientra nell’ambito della poesia dello choc, che consiste<br />
nell’accostamento e nella fusione di elementi striduli e contrastanti. Di qui ha origine il<br />
carattere ironico e straniante della poesia gozzaniana, che giunge sino all’artificio della<br />
finzione e allo sdoppiamento del soggetto, alterando profondamente i rapporti con la realtà.<br />
Totò Merumeni è un componimento di quartine di doppi settenari (schema metrico: ABAB<br />
CDCD, ecc.). La derivazione del nome del protagonista dell’Heauntontimoroùmenos di<br />
Terenzio, attraverso la meditazione baudelaireiana, conferma la caratteristica culturale<br />
dell’operazione qui svolta da Gozzano, che vuole evidenziare una peculiare concezione<br />
dell’arte; che vuole fornire una specie di “ritratto dell’artista”. Il componimento è quasi una<br />
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88
parodia antidannunziana, i cui vi è la contraffazione ironica e parodica, nei confronti del<br />
superuomo dannunziano. Il protagonista, Totò Merumeni, è presentato come uno scrittore<br />
della ricca cultura, ma è posto in un ambiente irrigidito e ai confini del reale. L’amore<br />
proposto è quello per una , quasi per voler sottolineare, prima di tutto<br />
lo stacco dagli amori per le donne fatali di D’Annunizio, ma anche per mettere in luce<br />
l’esperienza naturale e immediata che rifiuta ogni complicazione sentimentale e mentale.<br />
Per quanto riguarda le parole adoperate Guido Gozzano è, più o meno, sulla stessa linea<br />
del Pascoli, al quale si rifà in molte sue poesie. Abbiamo, a questo proposito, analizzato le<br />
raccolte I colloqui, La via del rifugio e alcune Poesie sparse, presenti nella LIZ 3.0. L’indice<br />
di correlazione rispetto a Petrarca è pari a r = 0,58, un valore simile a quello del Pascoli. Ecco<br />
la tebella delle frequenze ed il relativo grafico:<br />
GOZZANO % X 1000<br />
1 Bellezza, bel, bella 0,48 4,8<br />
2 Sogno 0,29 2,9<br />
3 Tempo, Vita 0,22 2,2<br />
4 Mano/i 0,19 1,9<br />
5 Cor(e) 0,18 1,8<br />
6 Amor(e), Giorno/i 0,17 1,7<br />
7 Anima/e, Dolcezza 0,165 1,7<br />
8 Ciel(o) 0,16 1,6<br />
9 Morte 0,13 1,3<br />
10 Bacio, baciare 0,12 1,2<br />
X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
4,8<br />
Bellezza,<br />
bel, bella<br />
FREQUENZE GOZZANO<br />
2,9 2,2 1,9 1,8 1,7 1,65 1,6 1,3 1,2<br />
Sogno<br />
Tempo,<br />
Vita<br />
Mano/i<br />
Cor(e)<br />
Amor(e),<br />
Giorno/i<br />
Anima/e,<br />
Dolcezza<br />
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Ciel(o)<br />
Morte<br />
Bacio,<br />
baciare<br />
89
GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)<br />
La produzione poetica ungarettiana comincia dall’esperienza bellica che il poeta compì sul<br />
Carso durante il primo conflitto mondiale; infatti a Udine pubblicò, nel 1916, Il porto sepolto.<br />
Del 1919 è la raccolta Allegria di naufragi: le due raccolte confluiranno poi, con qualche<br />
aggiunta, nel volume L’allegria (1931). Quindi possiamo definire L’allegria la raccolta dei<br />
versi che costituiscono la prima fase poetica di Ungaretti, che va dal 1915 al 1919.<br />
La seconda fase, riferentesi al periodo compreso tra il 1919 e il 1933, fa capo alla raccolta<br />
intitolata Sentimento del tempo.<br />
Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale influiscono fortemente sul formarsi di una<br />
nuova e più dolorosa consapevolezza, tra l’altro preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la<br />
morte del fratello Costantino, nel 1937, e la perdita del figlio Antonietto, due anni dopo. Ecco<br />
che con la raccolta Il dolore (1947), alla quale seguiranno La terra promessa (1950 e 1954),<br />
Un grido e paesaggi (1952) e Il taccuino del vecchio (1961), si ha la terza fase poetica<br />
ungarettiana, che va dal 1933 al 1969.<br />
Tutte le poesie di Ungaretti hanno una forte componente autobiografica e ci sono proposte<br />
come una sorta di recherche sotto forma di versi (il riferimento al capolavoro di Marcel<br />
Proust non è casuale, in quanto Ungaretti fu il primo autore a parlare delle opere di Proust in<br />
Italia, nel 1919). Egli stesso, infatti, affermò: 39 .<br />
La prima fase poetica del poeta è caratterizzata dall’estremizzazione del procedimento<br />
analogico (essendo stato influenzato dal Simbolismo); dall’abolizione della metrica<br />
tradizionale; dall’esaltazione della parola, che assume il valore di un’improvvisa e fulminante<br />
“illuminazione”. La parola viene cantata nella sua autonomia e purezza, inserita in versi brevi<br />
o magari isolata, fino al punto di farla coincidere con un verso, quasi per porla nel vuoto e nel<br />
silenzio, al di là di ogni contingenza con la realtà. Questa prima ricerca di Ungaretti si può<br />
definire “poetica dell’attimo”, in quanto a causa della guerra (tema fondamentale della prima<br />
fase) costringe a vivere in una condizione precaria, in cui da un momento all’altro può<br />
sopraggiungere la morte.<br />
Nella seconda fase poetica, quella de Sentimento del tempo, alla “poetica dell’attimo” si<br />
sostituisce una diversa percezione del tempo, che ora viene concepito come continuità e<br />
durata, che coincide con una visione problematica e complessa dell’esistenza. Dal punto di<br />
vista tecnico, la novità essenziale sta nella rivisitazione delle strutture metriche e sintattiche<br />
tradizionali (reintroduzione dell’endecasillabo e di un linguaggio più elaborato). Questa scelta<br />
deriva dalla rilettura di Petrarca e Leopardi.<br />
La terza ed ultima fase è rappresentata dai versi contenuti nella raccolta Il dolore, raccolta<br />
che dà voce al tormento personale (per la morte del fratello e poi del figlio) e collettivo (a<br />
causa della guerra). I testi non sono accompagnati da nessuna nota, il poeta si limita ad<br />
39<br />
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”; Vol. G Il primo Novecento e il periodo tra le<br />
due guerre, di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />
90<br />
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osservare. A proposito di questo Ungaretti disse: 40 .<br />
Per comprendere meglio la rivoluzione poetica di Ungaretti, analizziamo Il porto sepolto,<br />
componimento appartenente alla prima fase. Il porto sepolto è un componimento in versi<br />
liberi. Ci colpisce la brevità di questo testo e le parole chiave che contiene: V.3 disperde, V. 6<br />
nulla, V. 7 inesauribile segreto. “Il porto sepolto” rappresenta l’essenza della poesia, il suo<br />
mistero nascosto.<br />
Oppure possiamo vedere Mattino, sempre appartenente alla prima fase. Componimento<br />
composto da soli due versi “M’illumino / d’immenso”, rappresenta il momento in cui è<br />
avvenuto il contatto con l’infinito e ci comunica una sensazione di beatitudine, di pienezza di<br />
vita.<br />
Questo componimento si può considerare l’estremizzazione della sperimentazione poetica<br />
di Ungaretti, nella sua ansia di portare al limite qualsiasi semplificazione, con lo scopo di<br />
raggiungere l’assoluto distaccandosi totalmente dalla realtà.<br />
Per il computo delle parole in Ungaretti abbiamo utilizzato il Vocabolario delle<br />
concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca 41 . In particolare abbiamo<br />
considerato le raccolte Allegria, Sentimento del tempo, Il Dolore, La Terra promessa, Un<br />
grido e Paesaggi, Il Taccuino del Vecchio e altri testi a cui fa riferimento il Dizionario.<br />
La tabella delle frequenze ed il grafico sono i seguenti:<br />
UNGARETTI % X 1000<br />
1 Notte 0,402 4,02<br />
2 Occhi 0,332 3,32<br />
3 Cuore, core 0,318 3,18<br />
4 Ombra 0,278 2,78<br />
5 Amore, Luce/i 0,238 2,38<br />
6 Cielo 0,233 2,33<br />
7 Terra 0,223 2,23<br />
8 Mare 0,198 1,98<br />
9 Tempo 0,193 1,93<br />
10 Sogno 0,188 1,88<br />
40<br />
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il periodo tra le<br />
due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA.<br />
41<br />
G. SAVOCA, Vocabolario della Poesia italiana del Novecento – Le concordanze, Zanichelli, Bologna, 1995<br />
91<br />
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X 1000<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
FREQUENZE UNGARETTI<br />
4,02 3,32 3,18 2,78 2,38 2,33 2,23 1,98 1,93 1,88<br />
Notte<br />
Occhi<br />
Cuore,<br />
core<br />
Ombra<br />
Amore,<br />
Luce/i<br />
Alcune parole sono ancora quelle della Tradizione, ma in ordine differente rispetto alla<br />
norma; Amore, per esempio, ricorre al 5° posto con una frequenza del 2,3 x 1000 ed è<br />
superato da Notte e da Ombra. Il termine Bello/a, bellezza non compare tra i primi dieci ed ha<br />
una frequenza dell’1,7 x 1000.<br />
Il processo di scostamento dal lessico petrarchesco – iniziato con Pascoli – procede<br />
ulteriormente. L’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un insieme di 22 lemmi, è<br />
pari a 0,27 il che conferma la nostra tesi.<br />
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Cielo<br />
Terra<br />
Mare<br />
Tempo<br />
Sogno<br />
92
EUGENIO MONTALE (1896 - 1981)<br />
Rifiutate le soluzioni d’avanguardia, Montale resta fedele ai valori della civiltà letteraria,<br />
allontanandosi dalla disgregazione del suo presente. Non rifiuta l’impiego del verso libero,<br />
ma concede molto spazio e attenzione al metro tradizionale, con la reintroduzione<br />
dell’endecasillabo sciolto. Anche le strofe spesso tendono a disporsi secondo corrispondenze<br />
regolari (per esempio, è frequente l’uso delle quartine). Montale utilizza spesso la rima<br />
(insieme con le rime al mezzo e le assonanze). Il linguaggio aderisce alla scelta<br />
plurilinguistica del poeta, che adotta termini comuni, non disprezzando però l’uso di termini<br />
più elevati.<br />
Le raccolte poetiche che lo resero più famoso, sono: Ossi di seppia, in cui è espressa<br />
l’aridità dell’universo montaliano attraverso una concezione essenziale e scabra di tutto<br />
(paesaggio, momenti esistenziali); Le occasioni, in cui si allude all’accadere di eventi a cui è<br />
attribuita particolare importanza, in quanto potrebbero cambiare il corso uniforme e monotono<br />
dell’esistenza; La bufera e altro, che si riferisce allo sconvolgimento della guerra, che apporta<br />
un accento ancora più tragico e pessimistico nei confronti della storia; Satura, il cui titolo<br />
allude alla della Letteratura latina (etimologicamente lanx satura = piatto misto di<br />
primizie), in cui sono presenti sempre gli stessi temi delle precedenti raccolte (come il “male<br />
di vivere”), con in più una dura critica al mondo politico coevo.<br />
Dalla prima all’ultima raccolta, Montale è andato complicandosi sempre più, creando alla<br />
fine della sua esperienza poetica, linguaggi, periodi, sintassi e nessi indecifrabili.<br />
Se per Ungaretti si parlava di , per Montale si può parlare di , un’operazione di matrice simbolista in cui la condizione del soggetto è<br />
, rimanda ad un oggetto. Se per Ungaretti si parlava di ,<br />
ecco che per Montale si parla di .<br />
Sono presenti in molte poesie di Montale alcune figure femminili (Annetta, Arletta, Clizia,<br />
Mosca, quest’ultimo nome si riferisce alla moglie Drusilla Tanzi); esse sono figure spesso<br />
enigmatiche e rappresentano la sua esile speranza di approdare una qualche sicurezza.<br />
La casa dei doganieri, un componimento composto da quattro strofe (rispettivamente di<br />
cinque, sei, cinque e sei versi) di versi talora endecasillabi (ma più spesso superano tale<br />
misura, risultando composti dall’unione di due versi più brevi) appartenente alla raccolta Ossi<br />
di seppia. Come hanno interpretato Giorgio Barberi Squarotti e Stefano Jacomuzzi, l’angoscia<br />
della memoria che a poco a poco cede, col trascorrere del tempo, le sue immagini, e si<br />
annebbia, si perde, è qui vista nel contrasto doloroso fra il poeta che ancora coltiva in sé il<br />
ricordo della persona amata, dei luoghi degli incontri di un tempo, e la dimenticanza che,<br />
invece, ha oramai cancellato in lei ogni traccia del passato. Solo il poeta è legato all’ambiente,<br />
al luogo - la casa dei doganieri - dove furono trascorse le ore felici ( il tuo riso): ora che le<br />
cose sono cambiate, il paesaggio è squallido, triste, le vecchie mura sono sferzate dal vento,<br />
non c’è più sicurezza (la bussola va impazzita all’avventura), fiducia nel futuro (il calcolo dei<br />
dadi più non torna), la persona amata è lontana, è inutile tentare di richiamarla alla memoria<br />
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93
del passato lieto, il tempo è trascorso, nuove esperienze (altro tempo) hanno distrutto in lei<br />
ogni ricordo. Eppure forse quel legame d’amore poteva essere la salvezza per entrambi dalla<br />
rovina, dal male del mondo: ancora lo avverte il poeta, mentre con arida disperazione constata<br />
la dimenticanza della donna e la propria incertezza di fronte agli eventi. 42<br />
Per la nostra ricerca abbiamo analizzato le raccolte Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera<br />
e altro, Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altre poesie, servendoci<br />
del Vocabolario delle concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca 43 .<br />
Linguisticamente, come si è detto, Montale adotta una soluzione di , in<br />
quanto non rompe definitivamente con la Tradizione e non accetta del tutto il nuovo<br />
linguaggio della lirica. Le parole da lui usate sono comunque molto lontane da quelle<br />
“canoniche” della Letteratura tradizionale. In Montale si possono notare, infatti, bassissime<br />
frequenze in tutti i lemmi, sia elevati che popolari. È un fatto decisamente degno di nota che<br />
due tra le tipiche parole del lessico amoroso: amore, bello/a non compaiano tra le prime dieci;<br />
inoltre anche le altre presenti hanno frequenze bassissime, talora inferiori all1 x 1000; ad<br />
esempio, cuore ha una frequenza dello 0,97 x 1000, mare dello 0,88 x 1000, occhi dell’1,07 x<br />
1000; amore e bello/a addirittura sono fermi allo 0,4 x 1000!<br />
Ecco la tabella delle frequenze ed il relativo grafico<br />
MONTALE % X 1000<br />
1 Vita 0,24 2,40<br />
2 Tempo 0,22 2,21<br />
3 Occhi 0,11 1,07<br />
4 Ombra 0,11 1,06<br />
5 Luce/i 0,10 1,05<br />
6 Cielo 0,10 1,03<br />
7 Cuore, core 0,10 0,97<br />
8 Acqua 0,09 0,94<br />
9 Mare 0,09 0,88<br />
10 Terra 0,07 0,72<br />
X 1000<br />
10,0<br />
8,0<br />
6,0<br />
4,0<br />
2,0<br />
0,0<br />
FREQUENZE MONTALE<br />
2,40 2,21 1,07 1,06 1,05 1,03 0,97 0,94 0,88 0,72<br />
Vita<br />
Tempo<br />
Occhi<br />
Ombra<br />
Luce/i<br />
Cielo<br />
È interessante notare l’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un totale di 22<br />
termini; esso è pari a 0,097 e cioè il valore più basso fin qui trovato! Siamo ormai<br />
42<br />
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G., Il primo Novecento e il periodo tra<br />
le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />
43<br />
G. SAVOCA, Op. cit.<br />
94<br />
Cuore,<br />
core<br />
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Acqua<br />
Mare<br />
Terra
definitivamente fuori dalla Tradizione arcaizzante e siamo, a tutti gli effetti, entrati nel grande<br />
Mondo del Novecento.<br />
Un esame comparato dei vari grafici ci mostra che la mutazione del linguaggio della lirica<br />
d’amore, iniziata dopo Carducci, ha proseguito con gli altri poeti ed ha riguardato, da una<br />
parte, la progressiva diminuzione dell’indice di correlazione del lessico usato con quello di<br />
Petrarca, da sempre modello insostituibile della lirica d’amore italiana; dall’altra parte<br />
l’incremento del numero delle parole usate in poesia, l’ampiamento del registro linguistico,<br />
del lessico poetico e il conseguente abbassamento delle percentuali di frequenza dei termini.<br />
Riguardo il primo aspetto possiamo prendere l’indice di correlazione r del lessico di Pascoli,<br />
D’Annunzio, Gozzano, Ungaretti, Montale, rispetto a quello di Petrarca e costruire un grafico<br />
che parte da Petrarca per arrivare a Montale. Si può notare un progressivo decremento del<br />
coefficiente di correlazione, che arriva a valori minimi con Montale. Il grafico risulta essere il<br />
seguente:<br />
1,0<br />
0,9<br />
0,8<br />
0,7<br />
0,6<br />
0,5<br />
0,4<br />
0,3<br />
0,2<br />
0,1<br />
0,0<br />
PETRARCA<br />
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA<br />
Poeti del 1400<br />
Petrarchisti<br />
Marinisti<br />
Sull’abbassamento della frequenza dei termini, pur non essendoci una tendenza<br />
particolarmente lineare, possiamo, in linea di massima, notare un progressivo calo della<br />
frequenza massima attribuita ai termini.<br />
Ad esempio, nei Siciliani il termine più frequente (amore) ha una frequenza del 14,4 x<br />
1000, mentre in D’Annunzio la frequenza più alta che concerne il termine acqua è pari al 3,0<br />
x 1000. Possiamo, anche in questo caso, costruire un grafico sulle frequenze massime, almeno<br />
per gli autori e le correnti più importanti:<br />
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Antimarinisti<br />
Arcadia<br />
Neoclassici<br />
Romantici<br />
Leopardi<br />
Carducci<br />
Pascoli<br />
Gozzano<br />
D'Annunzio<br />
Ungaretti<br />
Montale<br />
95
Massimo valore riscontrato in un<br />
termine (x 1000)<br />
16<br />
14<br />
12<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
14,4<br />
Siciliani<br />
FREQUENZE MASSIME DEI TERMINI USATI<br />
7,1<br />
Toscani<br />
11,8 8,8 6,1 5,8 4,8 4,1 4,8 3,5 4,8 3,0 4,0 2,4<br />
Stilnovisti<br />
Dante<br />
Petrarca<br />
Marinisti<br />
È possibile notare il progressivo – anche se non sempre lineare – abbassamento della<br />
frequenza massima misurata, il che fa desumere che il numero di parole usate e la loro gamma<br />
si è notevolmente ampliato.<br />
Ciò ha portato ovviamente ad un tipo di linguaggio che si è progressivamente sganciato dai<br />
modelli della Tradizione e si è progressivamente arricchito di nuovi termini, ivi compresi<br />
quelli del lessico quotidiano.<br />
La Poesia, nata con un proprio codice e caratterizzata, anche in senso linguistico, da un<br />
proprio linguaggio, si è sempre più omologata alla Prosa, dalla quale non si distingue neanche<br />
linguisticamente, poiché della Prosa ha assunto espressioni, termini e immagini, che ne fanno<br />
un genere non più a se stante e non più settoriale e specifico.<br />
Anche questa – nel bene o nel male – è una caratteristica del Novecento!<br />
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Arcadia<br />
Romanticismo<br />
Carducci<br />
Pascoli<br />
Gozzano<br />
D'Annunzio<br />
Ungaretti<br />
Montale<br />
96
APPENDICE<br />
UMBERTO SABA (La linea antinovecentesca)<br />
Nel panorama del Novecento Umberto Saba (1883 – 1957) occupa un posto tutto<br />
particolare. La sua lirica, infatti, non segue le caratteristiche della poesia novecentesca, fin qui<br />
esaminata, e si sviluppa secondo una linea, che sembra richiamarsi ai Classici, da Petrarca a<br />
Leopardi; per questo i critici l’hanno chiamata antinovecentesca.<br />
L’antinovecentismo di Saba riguarda sia le tematiche, sia il linguaggio, che si rifanno a<br />
quelli tradizionali.<br />
L’opera organica che raccoglie tutte le poesie di Saba è il Canzoniere (prima edizione del<br />
1921; seconda edizione, molto accresciuta, nel 1945; edizione definitiva che accoglie l’intera<br />
produzione poetica di Montale è quella postuma del 1961). La critica rivolse una misera<br />
accoglienza a quest’opera; per questo motivo Saba si fece interprete di se stesso, scrivendo<br />
Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), ricca di interessanti osservazioni umane e<br />
poetiche.<br />
La crisi della parola, che coinvolge la poesia novecentesca, è estranea a Saba, in quanto il<br />
linguaggio che utilizza nelle sue poesie è familiare, casalingo. Insieme a questo registro<br />
linguistico, il poeta riporta anche quello della tradizione letteraria, ma non con lo scopo di<br />
elevare a toni alti ed aulici la sua poesia.<br />
Per Saba la parola è “parola che nomina”, non che evoca: la struttura sintattica è infatti ben<br />
definita e articolata.<br />
La metrica e l’uso delle rime aderiscono alla tradizione, per questo sono abbastanza lineari<br />
e semplici, al contrario di alcuni costrutti “avanguardistici” di difficile comprensione. Pur<br />
pulsando nel cuore del Novecento, la sua poesia è stata definita come espressione di una linea<br />
antinovecentista, in quanto rifiuta le più vistose e spericolate innovazioni della ricerca poetica<br />
del proprio tempo.<br />
Nel suo modo di fare poesia Saba, dopo aver indugiato sulle cose, le eleva a simbolo più<br />
generale di una condizione dell’uomo e della vita. Come ha scritto Mengaldo, Saba coglie<br />
44 .<br />
In Amai Saba ha affermato: . Il suo <br />
poetico non si ferma mai alle apparenze superficiali, ma cerca i sensi profondi delle cose. E’<br />
una ricerca che non si arresta di fronte al dell’esperienza, anche a costo di<br />
metterne a nudo gli aspetti più scomodi e sgradevoli.<br />
44 - 3 : le citazioni sono tratte da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il<br />
periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />
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97
Per quanto riguarda il Canzoniere, leggiamo qualche parola di Saba: 45 . Saba riconosce una certa interdipendenza fra le singole parti della sua opera; una<br />
continuità che non può essere spezzata senza danno dell’insieme; che tutto insomma nel<br />
Canzoniere, il bene e il male, si tiene, e che spesse volte quel bene è condizionato - magari<br />
illuminato - da quel male (…). Il Canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a<br />
dire il “romanzo”, e ad aggiungere, se si vuole, “psicologico”) di una vita, povera<br />
(relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze<br />
interne.<br />
A mia moglie, componimento il cui verso prevalente è il settenario, cui si aggiungono<br />
alcuni endecasillabi e due quinari, fa parte della sezione Casa e campagna, che comprende sei<br />
poesie scritte nel 1909 - 1910.<br />
L’immagine femminile riprodotta in questo componimento è del tutto rivoluzionaria<br />
nell’ambito della tradizione della lirica italiana, dove la donna, persino in Montale, è vista<br />
come un elemento salvifico, che ha subito un processo di idealizzazione e cristallizzazione.. Il<br />
poeta paragona la moglie alle femmine di numerosi animali. Mario Lavagetto ha così<br />
collegato la struttura del componimento al suo significato: 46 .<br />
Di Saba abbiamo analizzato, sempre con il Dizionario del Savoca 47 , il Canzoniere. Dal<br />
punto di vista del linguaggio Saba appare più tradizionale degli altri poeti del Novecento,<br />
poiché non elimina del tutto le parole del lessico amoroso, tenendo fede a quella che è stata<br />
definita . Per questo ricompaiono ai primi posti, anche se con<br />
frequenze decisamente basse, le parole cuore (4 x 1000), bello/a (3,7 x 1000), occhi (2,6 x<br />
1000) e amore (2,4 x 1000).<br />
Ecco la tebella delle frequenze ed il grafico:<br />
46<br />
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G; Il primo Novecento e il periodo tra le<br />
due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />
47<br />
G. SAVOCA, Op. cit.<br />
98<br />
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SABA % X 1000<br />
1 Cuore, core 0,3987 4,0<br />
2 Bello/a, bellezza 0,3707 3,7<br />
3 Vita 0,3073 3,1<br />
4 Occhi 0,2616 2,6<br />
5 Amore 0,2438 2,4<br />
6 Dolce(zza) 0,2209 2,2<br />
7 Mare 0,1981 2,0<br />
8 Sogno 0,1651 1,7<br />
9 Cielo 0,1422 1,4<br />
10 Notte 0,132 1,3<br />
X 1000<br />
10,0<br />
8,0<br />
6,0<br />
4,0<br />
2,0<br />
0,0<br />
FREQUENZE SABA<br />
4,0 3,7 3,1 2,6 2,4 2,2 2,0 1,7 1,4 1,3<br />
Cuore,<br />
core<br />
Bello/a,<br />
bellezza<br />
Vita<br />
Occhi<br />
Amore<br />
Se calcoliamo l’indice di correlazione r rispetto a Petrarca, scopriamo che esso è uguale a<br />
0,72 un valore che si riscontra nei poeti della Tradizione, che precedono addirittura Carducci!<br />
Tutto ciò conferma quanto detto, e cioè la singolarità dell’esperienza del poeta triestino,<br />
che si colloca in una sua personale ed atipica linea nel variegato e multiforme panorama della<br />
lirica italiana contemporanea.<br />
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Dolce(zza)<br />
Mare<br />
Sogno<br />
Cielo<br />
Notte<br />
99
BIBLIOGRAFIA<br />
1. A.E.Quaglio “Le origini e la Scuola siciliana”<br />
A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani”<br />
2. “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli<br />
3. “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato<br />
4. Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973<br />
5. G. Contini “Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970.<br />
6. G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970<br />
7. U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977<br />
8. E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana,<br />
UTET, Torino 1986, p.384<br />
9. “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960.<br />
10. ”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani<br />
11. BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla Storia al testo”<br />
PARAVIA<br />
12. “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori<br />
Laterza.<br />
13. “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco”<br />
Carlo Muscetta, Alberto Asor Rosa<br />
14. “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia.<br />
15. “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio,<br />
PALUMBO.<br />
16. “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar<br />
Mondadori gennaio 1982<br />
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100
INDICE<br />
INTRODUZIONE............................................................................................................................................2<br />
PARTE PRIMA (DAI SIC<strong>IL</strong>IANI A PETRARCA).....................................................................................3<br />
LE POESIE DEI SIC<strong>IL</strong>IANI..........................................................................................................................3<br />
1.1 COMPONIMENTI METRICI.....................................................................................................................3<br />
1.2 TIPO DI SINTASSI.....................................................................................................................................5<br />
1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE..........................................................................................................6<br />
1.4 PAROLE ADOPERATE.............................................................................................................................7<br />
LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI TRANSIZIONE.................................................................11<br />
2.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................11<br />
2.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................12<br />
2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................13<br />
2.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................14<br />
LE POESIE DEL DOLCE ST<strong>IL</strong> NOVO.....................................................................................................16<br />
3.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................16<br />
3.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................17<br />
3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................19<br />
3.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................20<br />
LA POESIA DI DANTE (LE RIME)...........................................................................................................25<br />
4.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................25<br />
4.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................26<br />
4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................27<br />
4.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................28<br />
LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (CANZONIERE)...............................................................29<br />
5.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................29<br />
5.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................29<br />
5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE.....................................................................................................30<br />
5.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................32<br />
CONCLUSIONI..............................................................................................................................................33<br />
PARTE SECONDA .......................................................................................................................................35<br />
LA <strong>LIRICA</strong> D’AMORE DEL 1400..............................................................................................................35<br />
6.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................35<br />
6.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI................................................................................................36<br />
6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE.....................................................................................................36<br />
6.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................38<br />
<strong>IL</strong> PETRARCHISMO...................................................................................................................................40<br />
7.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................40<br />
7.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI................................................................................................41<br />
7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................42<br />
7.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................42<br />
<strong>IL</strong> MARINISMO............................................................................................................................................44<br />
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101
8.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................44<br />
8.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI................................................................................................44<br />
8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................45<br />
8.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................46<br />
<strong>IL</strong> CLASSICISMO BAROCCO...................................................................................................................48<br />
9.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................48<br />
9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI...................................................................................................49<br />
9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................50<br />
9.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................50<br />
L’ARCADIA...................................................................................................................................................52<br />
10.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................52<br />
10.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................53<br />
10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................54<br />
10.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................55<br />
<strong>IL</strong> NEOCLASSICISMO................................................................................................................................56<br />
11.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................56<br />
11.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................57<br />
11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................57<br />
11.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................58<br />
<strong>IL</strong> ROMANTICISMO...................................................................................................................................61<br />
12.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................61<br />
12.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................61<br />
12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................62<br />
12.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................62<br />
L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA..................................................................................65<br />
13.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................65<br />
13.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................66<br />
13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................67<br />
13.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................69<br />
L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA.................................................................................70<br />
14.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................70<br />
14.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................71<br />
14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................72<br />
14.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................74<br />
PARTE TERZA (<strong>IL</strong> NOVECENTO)...........................................................................................................77<br />
GIOVANNI PASCOLI..................................................................................................................................78<br />
15.1 FORME METRICHE..............................................................................................................................78<br />
15.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................79<br />
15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................80<br />
15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE...........................................................................................................80<br />
15.5 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................81<br />
GABRIELE D’ANNUNZIO..........................................................................................................................83<br />
16.1 FORME METRICHE..............................................................................................................................83<br />
16.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................84<br />
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102
16.3 METAFORE E IMAGINI USATE..........................................................................................................85<br />
16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE...........................................................................................................85<br />
16.5 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................86<br />
GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)................................................................................................................88<br />
GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)......................................................................................................90<br />
EUGENIO MONTALE (1896 - 1981)..........................................................................................................93<br />
APPENDICE..................................................................................................................................................97<br />
UMBERTO SABA (LA LINEA ANTINOVECENTESCA).......................................................................97<br />
BIBLIOGRAFIA..........................................................................................................................................100<br />
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103
Questa ricerca é stata svolta dall’alunna Chiara Tondani ed é il risultato degli studi sul<br />
Linguaggio della lirica d’amore italiana, da lei compiuti nel corso del Triennio 1999/00,<br />
2000/01, 2001/02 sotto la mia guida.<br />
Pontremoli, 25/5/2002<br />
L’alunna<br />
____________________<br />
Visto: l’insegnante<br />
(Prof. Davide Grassi)<br />
_____________________________<br />
STAMPATO IN PONTREMOLI<br />
PRESSO <strong>IL</strong> LICEO LINGUISTICO – MAGGIO 2002<br />
PRO MANUSCRIPTO<br />
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104