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IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D'AMORE - Liberta' Educazione ...

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<strong>IL</strong> <strong>LINGUAGGIO</strong> <strong>DELLA</strong> <strong>LIRICA</strong><br />

D’AMORE<br />

(dalle Origini ai nostri giorni)<br />

DI CHIARA TONDANI<br />

Classe V A – Liceo linguistico di Pontremoli<br />

Revisione a cura del prof. Davide Grassi<br />

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INTRODUZIONE<br />

Questo lavoro tratta la lirica d’amore, analizzandone il linguaggio e quattro aspetti<br />

principali che sono: la struttura metrica dei componimenti, la loro sintassi, le metafore e le<br />

immagini che li caratterizzano, e infine le parole che ricorrono con maggior frequenza.<br />

L’opera si divide in tre parti, che sono state svolte negli anni scolastici 1999/00, 2000/01,<br />

2001/02.<br />

La prima parte inizia da quel gruppo di poeti che operarono tra il 1220 e il 1250 circa, alla<br />

corte di Federico II di Svevia, la cui denominazione è “Scuola Siciliana”. I maggiori<br />

esponenti della corrente, anche se è riduttivo per tutto il movimento citarne solo alcuni, sono<br />

Iacopo Da Lentini, Pier Della Vigna, lo stesso Federico II, Guido Delle Colonne, Stefano<br />

Protonotaro ed altri che operarono in Sicilia.<br />

In seguito ho analizzato il filone poetico dei “Rimatori toscani di transizione”,<br />

rappresentati soprattutto da Guittone D’Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Paolo<br />

Lanfranchi, e altri che operarono in Toscana.<br />

Poi ho studiato il movimento fiorentino del “Dolce stil novo”, i cui più grandi esponenti<br />

sono Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Cino Da Pistoia,<br />

Dino Frescobaldi e altri meno rappresentativi.<br />

Due capitoli a parte sono dedicati ai famosissimi Dante Alighieri e Francesco Petrarca, il<br />

cui lavoro fu talmente vasto e innovativo da porli in percorsi di studio individuali.<br />

La seconda parte dell’opera riguarda il lungo periodo che va dal Quattrocento<br />

all’Ottocento, contraddistinto da vari fenomeni letterari, centrati soprattutto sul Classicismo.<br />

Sono stati analizzati alcuni poeti del Quattrocento, successivamente gli esponenti del<br />

Petrarchismo, come Bembo, Gaspara Stampa, Ariosto. Il Seicento è stato affrontato<br />

soprattutto con l’analisi di alcune liriche di Marino e dei Marinisti e di alcuni classicisti, come<br />

Guidi e Chiabrera. È stata poi trattata l’Arcadia e si è arrivati ad analizzare qualche poeta del<br />

Neoclassicismo, come Monti e Foscolo. Il Romanticismo è stato trattato con l’analisi di alcuni<br />

autori, che hanno affrontato – all’interno della loro opera – il tema dell’amore. Infine due<br />

capitoli a sé sono stati dedicati a due grandi poeti dell’Ottocento: Giacomo Leopardi e Giosuè<br />

Carducci.<br />

Per quanto riguarda il Novecento, data la vastità del periodo e la difficoltà ad individuare<br />

specifiche correnti letterarie concernenti la tematica amorosa, si è scelto di trattare cinque<br />

autori, ritenendoli adeguatamente rappresentativi della lirica d’amore del Novecento e cioè<br />

Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Guido Gozzano, Giuseppe Ungaretti ed Eugenio<br />

Montale. Una breve Appendice è dedicata ad Umberto Saba. Questi scrittori hanno riguardato<br />

la terza parte dell’opera, che – essendo stata svolta nel corrente anno scolastico 2001/02 – si<br />

intende assunta come argomento proprio da presentare all’Esame di Stato.<br />

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2


PARTE PRIMA (dai Siciliani a Petrarca)<br />

1.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

LE POESIE DEI SIC<strong>IL</strong>IANI<br />

Diversamente da quella provenzale, che era di norma poesia per musica, la poesia siciliana<br />

è ormai semplice poesia per la lettura.<br />

I componimenti metrici della Scuola siciliana sono fondamentalmente tre: la canzone, la<br />

canzonetta ed il sonetto.<br />

Le canzoni siciliane, nonostante eccezioni, cambiano le rime passando da stanza a stanza.<br />

Ogni stanza consta di due parti, la fronte e la sirma ( dalla parola che significa la “coda” o<br />

“strascico della Veste”), una delle quali, o anche entrambe, si suddividono in due elementi<br />

identici o simmetrici, i piedi per la fronte, le volte per la sirma: la stanza risulta pertanto<br />

tripartita o quadripartita. Talora tra fronte e sirma si interpone un verso, detto chiave, che è<br />

poi ripetuto nelle volte della sirma; in tal caso si parla di sirma bipartita. L’ultima stanza della<br />

canzone, nella quale il poeta si rivolge, spesso, alla canzone stessa è detta Congedo ed è<br />

modellata sullo schema della Sirma.<br />

I versi che predominano sono l’endecasillabo e il settenario.<br />

Accanto alla canzone e a generi meno diffusi si introduce un’importante novità, dovuta<br />

probabilmente al notaio Iacopo Da Lentini, il sonetto, nella sua prima apparizione a rime<br />

esclusivamente alterne, formato da quattordici versi endecasillabi. Le due quartine hanno rima<br />

generalmente alternata o incrociata ripetuta nelle due strofe (salvo rare eccezioni) e cioè:<br />

ABAB, ABAB ovvero ABBA, ABBA. Nelle due terzine lo schema metrico è più libero,<br />

potendo assumere diverse variant, quali CDE, CDE ; CDE EDC; CDC, DCD …<br />

Per quanto concerne la canzonetta, essa è costituita secondo lo stesso schema della<br />

canzone, ma con versi minori dell’endecasillabo, come settenari e ottonari.<br />

Il repertorio siciliano, nonostante poche eccezioni di attestazione meno antica, ci è giunto<br />

largamente e progressivamente toscaneggiato dai copisti.<br />

Lo studio del metro e in particolare delle rime prova che il linguaggio era nettamente<br />

siciliano, si intende di quel siciliano che, con immagine dantesca, si suol chiamare “illustre”,<br />

adoperato cioè con intenzione non dialettale, bensì letterariamente nobilitato e regolarizzato a<br />

ideale imitazione della lingua universale e grammaticale per eccellenza, il Latino.<br />

I poeti siciliani, quindi, nella loro produzione utilizzavano gli apporti del Latino ( siamo<br />

allora di fronte a “latinismi”), ma anche gli apporti della lirica cortese ( siamo allora di fronte<br />

a “provenzalismi” o in senso più largo a “gallicismi”). In una situazione del genere - per fare<br />

degli esempi concreti - vidiri rimava con serviri, vui con fui. I copisti toscani, ai quali si deve<br />

in gran parte la conservazione dei testi siciliani originali, cercarono cioè di toscanizzarli,<br />

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3


specialmente nelle terminazioni vocaliche collegate con la rima. Così nella canzone<br />

“Madonna dir vi voglio” di Iacopo Da Lentini, il verso 2 come l’amor m’ha priso e il<br />

corrispondente verso 6 che’n tante pene è miso hanno subito un intervento toscaneggiante che<br />

ha sostituito priso all’originale prisu e miso all’originale misu.<br />

Nei versi 29-30 della stessa canzone co si fo per long’uso / vivo’n foc’amoroso , la rima<br />

che nell’originale c’era ( usu con amorusu ) risultava persa nella trascrizione toscana. O<br />

meglio, si era di fronte alla cosiddetta rima imperfetta, tuttavia accettata dalla cultura<br />

duecentesca e ancora trecentesca, e adoperata anche da autori sommi. Questa particolare rima<br />

imperfetta si suol chiamare “rima siciliana”.<br />

Dopo aver sintetizzato i tratti principali della metrica nella poesia siciliana, proviamo ad<br />

analizzare alcuni dei più famosi componimenti dei siciliani.<br />

“Meravigliosamente” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di settenari, in sette stanze;<br />

ogni stanza è costituita da due piedi abc e una sirma ddc; c’è quindi una rima chiave ( la c )<br />

che fa da collegamento.<br />

Troviamo le rime siciliane ai vv. 3-6 … e mi tiene ad ogn’ora /… la simile pintura, ai vv.<br />

33-36 …e non po’ stare incluso / …a voi, vis’amoroso; ai vv.51-54 …che voi pur v’ascondete<br />

/ quando voi mi vedrite.<br />

“Morte perché m’hai fatta” di Giacomino Pugliese è una canzone di sei stanze, ognuna<br />

delle quali è così strutturata: una fronte ( vv. 1-4 ) di due piedi uguali (endecasillabi con rima<br />

ABAB ), e una sirma ( vv. 5-10 ) di due volte pure identiche (due endecasillabi e un quinario<br />

con rima CCb, CCb ).<br />

A parte l’ultima stanza, che resta a sè con congedo, le altre cinque hanno un collegamento<br />

fra di loro così strutturato: le prime quattro sono collegate a coppia (la prima con la seconda:<br />

vv. 10-11 soglio / solea; la terza con la quarta: vv.30-31 donna / madonna); inoltre fra la<br />

quarta e la quinta, come nota A. E. Quaglio,


se non ch’a lo nemico<br />

che m’ha tolta madonna plageria,<br />

cioè la Morte fera,<br />

che non guarda cui fera:<br />

per lei podire aucire eo moriria.”<br />

“Dolce coninzamento” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di quattro stanze in settenari:<br />

ogni stanza è costituita da una fronte (vv.1-4) di due piedi uguali (ab, ab) e da una sirma (<br />

vv.5.10 ) anch’essa regolarmente suddivisa ( xxy, zzy ). Le stanze ad eccezione della prima,<br />

sono collegate dalla ripresa ( vv.20-21 basciari / bascianco, vv.30-31 vivente / vivente ), cioè<br />

la citazionedell’ultima parola di una stanza nel primo verso di quella successiva.<br />

1.2 TIPO DI SINTASSI<br />

Generalmente le canzoni dei Siciliani sono caratterizzate dall’espressione ritmata, scandita,<br />

lineare, senza complessità sintattica, e tendono ad esprimere il sentimento del poeta in<br />

un’affermazione chiara, immediata e calata nitidamente negli schemi comuni, piuttosto che a<br />

seguirne l’intimo discorso nel suo fluido ondeggiare nell’animo.<br />

Alla corte siciliana si formò un linguaggio poetico italiano, una tradizione di lingua e di<br />

stile che fu poi continuata dai poeti della nostra letteratura.<br />

I Siciliani assunsero a strumento di espressione il volgare che si parlava nel Regno e<br />

trassero un linguaggio poetico stilizzato e affinato, da un lato tenendo come modello il Latino<br />

( che era ancora la lingua in cui si esprimevano usualmente i dotti ), dall’altro il Provenzale,<br />

che fu imitato più decisamente perché era il modello letterario e aveva dato un nome e<br />

un’espressione ai concetti a cui si attenevano quei poeti. Essi, dunque, stabilirono un esempio<br />

di stile e di linguaggio poetico italiano selezionato e armonioso.<br />

Analizziamo dal punto di vista sintattico “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro,<br />

una canzone di endecasillabi e settenari in stanze tripartite “unissonans” ( cioè con rime<br />

costanti per l’intero componimento ).<br />

A differenza degli altri testi, assimilati dai copisti alla forma toscana, questa canzone<br />

conserva la sua veste linguistica originale, quella del siciliano illustre. E’ il documento più<br />

esteso e più importante che ci resti della forma originaria della poesia siciliana.<br />

Tipiche del Protonotaro sono la continuità sintattica fra stanza e stanza ( dalla seconda alla<br />

terza ) e il buon verseggiare di tipo manieristico.<br />

Notiamo la rima identica ai vv.45-46 lanza / lanza , la prima volta sostantivo , la seconda<br />

verbo.<br />

Notiamo anche l’assimilazione vocalica del siciliano dal Latino.<br />

LATINO CLASSICO a a e e i i o o u u<br />

SIC<strong>IL</strong>IANO a e i o u<br />

Il siciliano ha, quindi, un sistema di cinque sole vocali toniche, e non distingue tra “e”<br />

aperta e “e” chiusa.<br />

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I provenzalismi sono frequenti: v.3 alligranza, v.5 levimenti, v.6 dimuranza, v.22 m’è pir<br />

simblanza, v.23 dulzuri, v.24 miraturi, v.27 nutricatu, v.31 chi l’ublia siguiri, v.34 intidanza,<br />

v.35 istanti, v.36 tutisuri, v.46 chi mi fer’e mi lanza, v. 46 doluri, v.59 suffituri, v.60 unuri,<br />

v.63 beninanza, v.66 amaduri, ecc.<br />

1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

L’aspetto saliente della poesia dei Siciliani è il suo convenzionalismo: temi e modi di<br />

espressione, situazioni psicologiche rappresentate, vocaboli, persino, ed immagini, ricalcano<br />

consapevolmente i modelli francesi e soprattutto provenzali. Questi poeti non vollero<br />

innovare, ma emulare i provenzali, ripetendo i loro temi e la loro esperienza artistica.<br />

La loro arte è strettamente legata agli ideali di vita e di costume di una società aristocratica<br />

cortese, con le sue rigide convenzioni. Ciò che conta, nella vita e nell’arte, non è ostentare la<br />

propria originalità, ma mostrarsi degni di appartenere alla corte, alla sua società elegante e<br />

raffinata.<br />

Il tema dominante e unico della poesia siciliana è l’ ”Amor cortese”, con il suo galateo ben<br />

definito. La donna è rappresentata con caratteri tipici e astratti: bella ( ha “bionda testa”,<br />

“chiaro viso” secondo una moda ben definita ), spesso lontana e inaccessibile, dotata di<br />

saggezza e “intendimento”, cioè leggiadria, finezza di educazione e di costume; è paragonata<br />

a una rosa odorosa, a una luminosa stella. L’amante, suo servo, ha con lei un rapporto di<br />

dedizione cavalleresca, di vassallaggio, tiene chiuso gelosamente in sé il suo amore come un<br />

sentimento prezioso che affina il suo animo, come sublime e incomparabile gioia.<br />

Da questo tema derivano svolgimenti anch’essi obbligati: lamenti per la morte della donna,<br />

canzoni di lontananza e struggente nostalgia d’amore, lamenti per la partenza della donna<br />

amata, invocazioni a lei, perché sia alfine pietosa, contrasti dialogati in cui amante chiede<br />

amore e madonna rifiuta, salvo poi a giungere, alla fine, ad un accordo.<br />

Un repertorio, come si vede, limitato e fisso, con variazioni così impercettibili che non<br />

bastano a darci il senso pieno dell’individualità del singolo poeta: è, quello dei Siciliani, come<br />

un coro, un elegante gioco cortigiano, che mai ci presenta il dramma di un’anima o le voci<br />

profonde della realtà ben complessa di quegli anni di lotte e trasformazioni radicali, cioè la<br />

passione politica e i grandi problemi morali e religiosi.<br />

Analizziamo ora una canzone che si può considerare esemplare: “Gioiosamente canto” di<br />

Guido delle Colonne: Essa sintetizza i temi tipici della tradizione cortese; esprime il<br />

sentimento amoroso con un repertorio di immagini e riferimenti di raffinato intellettualismo.<br />

E’ formata da cinque stanze, ogni stanza ha una fronte di due piedi uguali di settenari e una<br />

sirma di quattro endecasillabi.<br />

I vv.3-4 sono esemplari: … per la vostr’amanza, madonna, gran gioi sento. Qui, il poeta,<br />

esprime la gioia che prova nel sentire tanto amore e tanta passione per la donna amata.<br />

v. 6 …or aggio riposanza<br />

v.11 und’eo m’allegro di grande ardimento<br />

vv.14-15-16 la vostra fresca cera, / lucente più che spera / e la bocca aulitosa…<br />

v.49 la vostra gran bieltate<br />

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6


v.57 così mi tene Amore - corgaudente<br />

v.60 così v’adoro come servo e ‘nchino<br />

1.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Analizziamo ora diversi componimenti per stilare una lista di parole che ricorrono spesso.<br />

Effettuare tale analisi ci serve per comprendere esaurientemente il senso di tutta la ricerca.<br />

Ci aiuta anche a comprendere il modo di comporre poesia da parte di poeti dai quali si fa<br />

risalire l’origine della nostra letteratura.<br />

Ecco l’elenco degli autori e delle opere analizzate, tratte dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 1°<br />

Iacopo da Lentini:<br />

• Madonna dir vo voglio<br />

• Meravigliosamente<br />

• Guiderdone aspetto avere<br />

• Amor non vale ch’io clami<br />

• La ‘namoranza disiosa<br />

• Ben m’è venuto prima condoglianza<br />

• Donna, eo languisco e non so qual speranza<br />

• Troppo son dimorato<br />

• Non so se ‘n gioia mi sia<br />

• Uno disio d’amore sovente<br />

• Amando lungiamente<br />

• Madonna mia, a voi mando<br />

• S’io doglio non è meraviglia<br />

• Amore, paura m’incalcia<br />

• Poi no mi val merzè né ben servire<br />

• Dolce coninzamento<br />

• Dal core mio mi vene<br />

• Feruto sono isvariatamente<br />

• Cotale gioco mai non fue veduto<br />

• Amor è uno desio che ven da core<br />

• Lo giglio quand’è colto tost’è passo<br />

• Sì come il sol che manda la sua spera<br />

• Or come pote sì gran donna entrare<br />

• Molti amadori la lor malatia<br />

• Donna, vostri sembianti mi mostraro<br />

• Ogn’omo ch’ama de’ amar so<br />

• A l’aire claro ò vista ploggia dare<br />

• Io m’aggio posto in core a Dio servire<br />

• Lo viso mi fa andare alegramente<br />

• Eo viso e son diviso da lo viso<br />

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• Sì alta amanza à pres’ a lo me’ core<br />

• Per sofrenza si vince gran vitoria<br />

• Certo me par che far dee bon Signore<br />

• Sì como ‘l parpaglion c’è tal natura<br />

• Chi non avesse mai vedutro foco<br />

• Diamante, né smiraldo, né zafino<br />

• Madonna à ‘n sé vertute con valore<br />

• Angelica figura e comprobata<br />

• Quand’om à un bon amico leiale<br />

Ruggieri d’Amici<br />

• Sovente Amore m’ha riccuto manti<br />

Tommaso di Sasso<br />

• L’amoroso vedere<br />

• D’amoroso paese<br />

Guido delle Colonne<br />

• La mia gran pena e lo gravoso affanno<br />

• Amor che lungiamente m’hai menato<br />

• Ancor che l’aigua per lo foco lassi<br />

Giovanni di Brienne<br />

• Donne audite como<br />

Oddo delle Colonne<br />

• Distratto core e amoroso<br />

Rinaldo d’Aquino<br />

• Venuto m’è in talento<br />

• Poi li piace ch’avanzi suo valore<br />

• Per fino amore vao sì letamente<br />

• Amor che m’è ‘n comando<br />

• Già mai non mi conforto<br />

• In gioi mi tegno tutte le mie pene<br />

• Amorosa donna fina<br />

• In amoroso pensare<br />

• Ormai quando flore<br />

• Meglio val dire ciò ch’omo è ‘n talento<br />

• Un oseletto che canta d’amore<br />

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Paganino da Sarzana<br />

• Contra lo meo volire<br />

Pier della Vigna<br />

• Amore in cui disio ed ò speranza<br />

• Amando con fin core<br />

• Però ch’Amore non se po’ vedire<br />

Stefano Protonotaro<br />

• Pir meu cori alligrari<br />

• Assai mi placeria<br />

Jacopo d’Aquino<br />

• Al cor m’è nato e prende uno disio<br />

Jacopo Mostacci<br />

• Amor ben veio che mi fa tenire<br />

• A pena pare ch’io saccia cantare<br />

• Umile core fino e amoroso<br />

• Mostrar vorria in parvenza<br />

• Sollicitando un poco meo savire<br />

Federico II<br />

• De la mia disianza<br />

• Poi ch’a voi piace, amore<br />

• Misura, providenza e meritanza<br />

Ruggerone da Palermo<br />

• Ben mi degio allegrare<br />

Cielo d’Alcamo<br />

• Rosa fresca aulentissima<br />

Abate di Tivoli<br />

• Oi deo d’amore, a te faccio preghere<br />

• Qual omo altrui riprende spessamente<br />

• Con vostro onore facciovi uno ‘nvito<br />

Per quanto riguarda le parole adoperate, si è fatto riferimento ad un campione di opere (non<br />

necessariamente d’amore) dei vari autori e correnti, e sono state prese, per ogni corrente o<br />

autore, le dieci parole più usate.<br />

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Ecco la classifica delle dieci parole che ricorrono più frequentemente nei poeti della Scuola<br />

siciliana. Accanto ad ognuna di esse vi è l’occorrenza, cioè la percentuale di volte in cui essa<br />

ricorre, calcolata sul numero totale delle parole che compongono le opere.<br />

SCUOLA SIC<strong>IL</strong>IANA % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 1,44 14,4<br />

2 Cor(e) 0,69 6,9<br />

3 gioi(a), gioioso, gioire … 0,59 5,9<br />

4 Donna/e 0,58 5,8<br />

5 Bellezza, bel, bella 0,29 2,9<br />

6 Morte, morir(e) … 0,26 2,6<br />

7 Madonna, Agi(o) 0,25 2,5<br />

8 Viso, Servo, Servire … 0,22 2,2<br />

9 Fin, Fino/a 0,20 2,0<br />

10 Pena/e 0,17 1,7<br />

Grafico esplicativo:<br />

X 1000<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

14,4<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

6,9 5,9 5,8<br />

Cor(e)<br />

gioi(a),<br />

gioioso …<br />

FREQUENZE SIC<strong>IL</strong>IANI<br />

Donna/e<br />

2,9 2,6 2,5 2,2 2,0 1,7<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

Morte,<br />

morir(e) …<br />

Madonna,<br />

Agi(o)<br />

Viso,<br />

Servo…<br />

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Fin, Fino/a<br />

Pena/e<br />

10


LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI<br />

2.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

TRANSIZIONE<br />

Per quanto riguarda i metri adoperati dai poeti toscani, essi sono gli stessi della Scuola<br />

siciliana, cioè la canzone, la canzonetta ed il sonetto, con l’aggiunta di un metro nuovo, non<br />

adoperato dai Siciliani: la ballata. È un componimento metrico che è formato da una ripresa,<br />

in genere da due o quattro versi, e da varie strofe dette stanze. Esse sono, a loro volta,<br />

formate da una fronte (che si divide in due piedi tra loro uguali) e da una sirma (divisa in due<br />

mutazioni, o composta da una parte indivisa detta volta); la regola costante è quella che il 1°<br />

verso della volta rima con il 1° verso del 2° piede, mentre l’ultimo verso della volta rima con<br />

l’ultimo verso della ripresa<br />

Per quanto riguarda questa corrente nata in Toscana, a causa del tramonto definitivo della<br />

potenza sveva in Italia, analizzeremo alcuni componimenti del suo esponente maggiore,<br />

Guittone D’Arezzo, e di altri poeti come Chiaro Davanzati, Bonagiunta Orbicciani, Monte<br />

Andrea, Panuccio Dal Bagno, Dante Da Maiano, Paolo Lanfranchi.<br />

Analizziamo ora, dal punto di vista metrico, “Ahi lasso, or è stagion” di Guittone<br />

D’Arezzo. E’ una canzone di sei stanze più un congedo in endecasillabi e settenari.<br />

Ogni stanza è costituita da una fronte ( vv.1-8 ) che ha due piedi simmetrici ( ABBA,<br />

CDDC ) e da una sirma che include due settenari con il seguente schema ( EFGg, FfE ).<br />

Il congedo ( vv.91-97 ) è uguale alla sirma. Ora notiamo la perizia retorica con la quale<br />

questo componimento è costituito:<br />

1) Tutte le sei stanze (ad eccezione del congedo che di regola fa parte a sé ) sono collegate<br />

dalla ripresa, è perfettamente realizzata cioè la tecnica - frequente nella lirica provenzale -<br />

delle coblas capfinidas ( vv.15-16 altezza / Altezza, vv.30-31 Leone / Leone; ecc. );<br />

2) La tecnica della rima presenta una notevole varietà. Abbiamo infatti: rime ricche (<br />

vv.2-3 Ragione / guarigione; vv.32-33; vv.41-42; vv.46-49 ); rime univoche ( in cui cioè<br />

viene ripetuta la stessa parola ), vv.25-28 tanto / tanto; vv.40-44 morte / morte; vv.61-64<br />

danno / danno; rime equivoche (in cui la parola è ripetuta in senso diverso), vv.51-53 forza /<br />

forza; rime siciliane, vv.80-83 ora / mura, ( dove o chiusa rima con u : si ricordi che nel<br />

siciliano o chiusa diviene appunto u ); parole rima identiche che - nota A. E. Quaglio - > 2<br />

2 da A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani” in L<strong>IL</strong>, 1<br />

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Analizziamo “Tuttor ch’eo dirò” di Guittone D’Arezzo. E’ un sonetto in endecasillabi con<br />

rime ABBA nelle quartine e CDC, DCD nelle terzine.<br />

Notiamo l’affinità fra la prima rima delle quartine in osa e la seconda delle terzine in oso:<br />

vv.1-4 cosa / gioiosa; vv. 5-7 posa / amorosa; vv.10-12-14 gioiosa / disioso / riposo.<br />

Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. E’ un sonetto in endecasillabi, le<br />

cui rime seguono lo schema del precedente sonetto, e cioè ABBA nelle quartine e CDC, DCD<br />

nelle terzine.<br />

Analizziamo “Molto si fa brasmare” di Bonagiunta Orbicciani, un rimatore vicinissimo ai<br />

Siciliani, particolarmente al Notaio. Egli è molto incline alla canzonetta e alla ballata, non<br />

sprovvisto di iniziative metriche; è il miglior ponte tra i Siciliani e gli Stilnovisti fiorentini (<br />

Cavalcanti e Dante ). Questo componimento è una ballata mezzana ( cioè con ripresa di tre<br />

versi ), in tutti i settenari: due piedi ab, volta abx, ripresa mmx. E’ una ballata in nove stanze,<br />

la fronte divisa in due piedi ( con rima abab ) e la sirma composta da una sola volta abx.<br />

Analizziamo “Poi contra voglia” di Panuccio Dal Bagno. E’ una canzone di sei stanze,<br />

ognuna delle quali ha una fronte con due piedi uguali ( AbC ) e una sirma con due volte<br />

uguali, ma con un verso aggiunto ( DeF, DeF, F ); e il congedo differisce così dalla sirma<br />

come dalla stanza intera: sono innovazioni significative.<br />

Analizziamo “Ahi dolze e gaia” di Chiaro Davanzati. E’ una canzone di cinque stanze.<br />

Ognuna di esse ha una fronte con due piedi analoghi (AbbA, BaaB ) e una sirma CDdEeF,<br />

dunque con la prima e l’ultima rima irrelate ( ma nelle prime due stanze, la prima, e allora il<br />

verso è settenario, si identifica con b: tutto ciò è tipico della non imitata tecnica di Chiaro ).<br />

La rima irrelata è formata da due parole che non hanno connessione sintattica;<br />

proponiamo qualche esempio in questa canzone: vv.9-4 sequenza / maggiore; vv.23-28 paura<br />

/ cortesia; vv.37-42 savere / sia; vv.51-56 donata / dolorosa; vv.65-70 maggiori / via.<br />

Analizziamo “Donna di voi si rancura” di Monte Andrea. E’ una canzone di sette stanze<br />

più congedo, che si segnala per essere, al modo più frequente nella poesia provenzale, in<br />

strofe unissonans, cioè con rime costanti attraverso l’intero componimento. La fronte ha due<br />

piedi analoghi, aab, ccB ( le lettere minuscole designano ottonari), e sirma a rime baciate ( le<br />

lettere minuscole designano un ottonario la prima volta, altrimenti settenari ) ddeefF.<br />

La prima rima è siciliana ( -ora con -ura ); tutte le stanze presentano anafora; delle sirme,<br />

tolte quelle periferiche, cioè la prima e l’ultima ( congedo ), la rima in -one segnala il tema<br />

metaforico ( talora letterariamente abusato, talora non banale ): leone, paone, dragone, ecc.<br />

2.2 TIPO DI SINTASSI<br />

Facendo riferimento a Guittone D’Arezzo, esponiamo alcune notizie sulla sintassi dei<br />

componimenti dei Toscani. Guittone sembra trasferire alla sua regione e alla sua classe e parte<br />

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12


( l’agiata borghesia guelfa ), ingigantendola, l’ambizione retorica degli aristocratici e<br />

ghibellini siciliani.<br />

Nella cornice della società poetica, egli appare in relazione con i principali rimatori suoi<br />

contemporanei, il siciliano Mazzeo Di Ricco, forse Bonagiunta, certo Monte Andrea, il<br />

Guinizzelli e altri ancora.<br />

Le sue ballate sacre fanno inoltre sospettare che abbia avuto una parte di rilievo<br />

nell’elaborazione della lauda, fatto non per nulla umbro ( e all’Umbria appartiene<br />

dialettalmente la Toscana orientale ). Dante nel “De vulgari eloquentia “, classifica Guittone<br />

nei versificatori che non persero, né lessicalmente, né sintatticamente, l’abitudine di<br />

“plebescere”. Qui parla il Dante stilnovista, praticante un linguaggio scelto e melodico.<br />

Solo la critica moderna, per esempio con Giuseppe De Robertis, ha reso il debito omaggio<br />

all’importanza storica e alle qualità espressive, sia pure intermittenti, di Guittone 3 .<br />

Se anche non fu poeta grande e le nobili intenzioni oratorie prevalsero, in lui sul poetico<br />

abbandono, grande è la sua importanza nella letteratura del Duecento. Fu un iniziatore, un<br />

precursore, un letterato sapiente che diede vita a nuove forme e a nuovi schemi, a un’esigenza<br />

di poesia più complessa e atta ad accogliere la multiforme vita della coscienza, anche se il suo<br />

linguaggio, mescolato di espressioni dialettali e di suggestioni colte, latine, siciliane,<br />

provenzali, rimase spesso apro e disarmonico. Spiace anche al gusto moderno l’abuso di certi<br />

procedimenti stilistici, quali la “replicacio” ( usatissima già da Provenzali e Siciliani ), cioè la<br />

ripetizione di parole che sembrano un compiacimento di enigmista più che di scrittore ( ad<br />

esempio amore significa a morte, dice in una canzone per indicare i tristi effetti mortali cui<br />

può portare la passione amorosa ). Qui Guittone è legato al gusto del tempo, che intendeva la<br />

poesia soprattutto come artificio stilistico, secondo la pratica di quei Provenzali che erano<br />

giunti a una sorta di linguaggio ermetico ( il “trobar clus” cioè il poetare difficile ) e che<br />

Guittone voleva emulare.<br />

2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

I poeti toscani non vivevano in una corte, ma ciascuno nella propria città, nei liberi comuni<br />

della Toscana, la cui vita in questa epoca è straordinariamente viva e intensa, complicata da<br />

lotte, spesso sanguinose fra le fazioni, all’interno del singolo comune e tra città e città.<br />

C’è inoltre, in questa epoca, lo slancio costruttivo della borghesia comunale, che acquista<br />

sempre più un deciso predominio nella vita dello stato. Essa è attratta dallo splendore del<br />

costume cavalleresco, proprio di quell’antica classe egemonica, la nobiltà, che essa intende<br />

sostituire. E’ l’individualismo di chi si afferma nella società e nella vita non in nome di<br />

ereditari privilegi di casta, ma per le proprie capacità e qualità personali; è il realismo di chi<br />

non cerca, come la nobiltà, di fermare il tempo e la gerarchia sociale esistente, chiudendosi in<br />

un aristocratico sogno di vita bella, ma di chi, mercante o imprenditore, con la realtà deve fare<br />

continuamente i conti e valutarla concretamente per trasformarla.<br />

Questa situazione si riflette nella poesia toscana. Essa continua il tema dell’amor cortese,<br />

però sviluppa sempre più decisamente l’affermazione che cortesia e nobiltà non sono eredità<br />

3 La citazione è tratta da “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli<br />

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13


di sangue o di stirpe, ma conquista individuale; inoltre continua, conseguentemente, quel<br />

processo di spiritualizzazione dell’amore, e diremmo, di moralizzazione, per cui esso diviene<br />

spinta alla conquista della virtù, non tanto cavalleresca, quanto decisamente morale. Questo<br />

motivo, attraverso Guittone, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Bonagiunta Orbicciani,<br />

prepara la nuova tematica poetica, amorosa spirituale, degli Stilnovisti.<br />

La poesia toscana, infine, accoglie nuovi temi, morali e politici, riflettendo gli ideali, le<br />

lotte, le accese passioni della vita comunale.<br />

Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. Alcuni elementi di questo sonetto<br />

hanno fatto parlare di un guinizzellismo di Davanzati, cioè di affinità con lo Stilnovo. Si tratta<br />

in particolare dei seguenti:<br />

- l’immagine della luce ( vv.1 “La splendiente luce, quando appare …” ) che, nella<br />

similitudine, corrisponde alla donna, di cui sono ribaditi lo splendore ( v.4 ) e la luminosità (<br />

lumera, v.11 );<br />

- gli effetti, estesi a tutti gli uomini e non solo al poeta, del semplice “guardare”, qui<br />

limitati però ad effetti psicologici ( v.5 fece alegrare; v.7 lo fa in gioia ritornare ):<br />

La scelta del concetto e del termine alegrare ( di scarsa frequentazione stilnovistica ), la<br />

metafora imperadrice di ogni costumanza ( v.10 ), e il motivo dei pittori che prendono la<br />

donna a modello per la sua bellezza ( confinata insomma all’aspetto esteriore ) dimostrano<br />

almeno un forte influsso - anche su questo componimento - della letteratura prestilnovistica.<br />

Ma quello che è fondamentale è il fatto che le immagini e i motivi precedentemente<br />

menzionati ( alcuni dei quali pure attinti dall’area stilnovistica ) mancano delle implicazioni<br />

culturali, morali e filosofiche, proprie della rappresentazione dell’amore - come vedremo -<br />

degli Stilnovisti.<br />

Elenchiamo ora le metafore e le immagini usate in questo sonetto:<br />

v.1 la splendiente luce: la donna è luce.<br />

vv.4-8-13 ‘l suo splendore, il suo valore, di sì bella cera: gli attributi fisici della donna.<br />

v.7 lo fa in gioia ritornare: la donna è salvifica.<br />

v.9 E l’altre donne fan di lei bandiera; v.12 e li pintor la miran per usanza: la donna è<br />

modello sia delle altre donne sia degli uomini, in particolare i pittori che la ammirano per<br />

ritrarre la sua bellezza.<br />

2.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Prendiamo in considerazione componimenti di Guittone d’Arezzo, il più importante poeta<br />

dei rimatori toscani di transizione. Precisamente analizzeremo dalle Rime le canzoni da I a L<br />

ed i sonetti da I a CCXLVI<br />

Anche in questo caso procederemo a stilare un elenco delle parole più usate e a costruire<br />

un grafico esplicativo.<br />

Questa è la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.<br />

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RIMATORI TOSCANI % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 0,71 7,1<br />

2 Cor(e) 0,39 3,9<br />

3 Gioia, gioi, gioire … 0,38 3,8<br />

4 Donna/e 0,32 3,2<br />

5 Morte, morir(e) … 0,31 3,1<br />

6 Virtute 0,20 2,0<br />

7 Valor(e) 0,18 1,8<br />

8 Bellezza, Bel, Bella/e 0,17 1,7<br />

9 Sol(e) 0,15 1,5<br />

10 Vita 0,13 1,3<br />

Grafico esplicativo:<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

7,1<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

FREQUENZE GUITTONE D'AREZZO<br />

3,9 3,8 3,2 3,1<br />

Cor(e)<br />

Gioia, gioi,<br />

gioire …<br />

Donna/e<br />

Morte,<br />

morir(e) …<br />

2 1,8 1,7 1,5 1,3<br />

È evidente che le parole sono, più o meno, le stesse dei poeti siciliani; anzi, le prime<br />

quattro parole: amore – cuore – gioia – donna sono poste nella stessa posizione delle due<br />

classifiche. Il che dimostra la stretta analogia tra rimatori siciliani e poeti toscani di<br />

transizione.<br />

Virtute<br />

Valor(e)<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

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Sol(e)<br />

Vita<br />

15


LE POESIE DEL DOLCE ST<strong>IL</strong> NOVO<br />

3.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

I componimenti metrici adoperati dai poeti del Dolce stil nuovo sono, in sostanza, in<br />

medesimi dei rimatori toscani, e cioè: canzone, sonetto – con le sue varianti – e ballata.<br />

Prendiamo in esame tre componimenti di Guido Guinizzelli, quattro di Guido Cavalcanti e<br />

due di Cino da Pistoia.<br />

“Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli è una canzone di sei stanze di<br />

dieci versi ciascuna secondo lo schema: ABAB ( fronte ), cDcEdE ( sirma ).<br />

La fronte è composta di due piedi uguali e presenta tutti endecasillabi; la sirma alterna<br />

endecasillabi e settenari. Da rilevare la presenza della tecnica delle coblas capfinidas ( tranne<br />

che tra V e VI stanza ) e la frequenza di rime che si ripetono in stanze successive ( ad esempio<br />

-ore in I, II, IV; -ura in I, II, III; ecc. ), di rime identiche ( ad esempio sole / sole ai versi 5-7;<br />

cielo / cielo ai versi 41-43; poi ancora ai versi 3-38, 4-18-25, 5-7-42 ). Si noti la rima siciliana<br />

ai versi 18-20 natura / ‘nnamora.<br />

“Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo” del Guinizzelli è un sonetto secondo lo schema<br />

ABAB, ABAB, CDE, CDE. Notiamo le rime siciliane ai versi 2-4 ancide / merzede, e ai versi<br />

6-8 divide / vede.<br />

“Dolente lasso, già non m’asecuro” sempre del Guinizzelli, è un sonetto secondo lo stesso<br />

schema del precedente. Come ci fa notare il Contini . 4<br />

“Io non pensava che lo cor giammai” di Guido Cavalcanti è una canzone secondo lo<br />

schema ABBC, BAAC nella fronte; DeD, FeF nella sirma. Notiamo la differenza di schema<br />

di rima nei piedi.<br />

“Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira” del Cavalcanti è un sonetto secondo lo schema<br />

ABBA, ABBA, CDE, EDC.<br />

Sempre il Contini ci fa notare che la


quale “ormai è affermata l’inopia di ogni ordinario procedimento conoscitivo, che sia di qua<br />

dalla rivelazione ( “salute” )>> . 5<br />

“Voi che per li occhi mi passaste ‘l core” sempre di Cavalcanti è un sonetto secondo lo<br />

schema ABAB, ABAB, CDE, CDE.<br />

“Perch’i’no spero di tornar giammai” sempre del Cavalcanti è una ballata mezzana<br />

secondo lo schema ABAB nella fronte e Bccddx nella sirma. La ripresa ( vv.1-6 ) è uguale<br />

alla sirma, cioè composta da un endecasillabo, due settenari a rima baciata e il verso<br />

“concatenatio” ( Wyyzzx ). Notiamo la rima siciliana voi / colui ai versi 34-35.<br />

Le stanze terminano tutte con la stessa rima in -ore ( v.6 onore; v.16 dolore; V.26 core;<br />

v.36 Amore; v.46 valore ).<br />

“Tutto mi salva il dolce salutare” di Cino da Pistoia è un sonetto secondo lo schema<br />

ABAB, ABBA, CDC, DCD.<br />

“La dolce vista e’l bel sguardo soave” dello stesso autore della precedente, è una canzone<br />

di settenari e endecasillabi; ogni stanza è composta di una fronte ABAB e di una sirma<br />

BccdD. Il congedo ( vv.46-50 ) è uguale alla sirma.<br />

Vi sono riprese e ripetizioni ( anche tra stanze capfinidas, vv.18-19 e vv.36-37 ).<br />

Le rime presentano tre coppie di rime baciate BBccdD, alcune rime sono ricorrenti ( -ore I,<br />

II stanze ), molte producono fra loro assonanza o consonanza ( nella prima stanza: -ore, -orte;<br />

nella seconda: -asso, -ardo; nella quarta e nella sesta: -anto, -ento; nella seconda e nella<br />

quarta: -ute, -uto; ecc. ), vi sono frequenti rime o assonanze interne o significative ripetizioni<br />

foniche ( vi è ad esempio una fitta rispondenza tra amore e morte quasi sempre vicini e spesso<br />

associati a termini come dolore, conforto, core, forte, porto, ecc.: si vedano i versi 6-24 come<br />

riscontro pratico di queste note metriche ).<br />

3.2 TIPO DI SINTASSI<br />

Con il “dolce stil novo” la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase<br />

culminante in Italia. I poeti esponenti di questo nuovo nucleo poetico sono i fiorentini Guido<br />

Cavalcanti, Dante Alighieri, Guido Guinizzelli, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi e il pistoiese<br />

Gino De’ Sigibuldi. Essi si staccano nettamente dalla poetica dei rimatori toscani e dalla<br />

precedente tradizione siciliana e provenzale.<br />

Ciò che li distingue sul piano formale è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici tipici di<br />

Guittone e la scelta di un ideale estetico al quale ispirarsi per rendere il poetare più “dolce”,<br />

raffinato, musicale, morbido, sfumato, capace di dare voce più adeguata di quanto non<br />

avessero saputo fare i poeti precedenti, all’interiorità del sentimento.<br />

La dolcezza dello stile, insomma, è un fatto formale che non pregiudica la varietà dei temi<br />

e degli stati d’animo: come dice Marti


angelicata possono essere espresse con la tecnica della dolcezza, ma anche la malinconia, il<br />

dolore, il senso della morte, l’angoscia e la “paura” d’amore”>> 6<br />

La particolare sintassi di questa corrente può quindi comprendere le diverse maniere<br />

individuali e i diversi temi prediletti da ciascun componente del gruppo ( la malinconia di<br />

Cino, l’angoscia e lo sbigottimento di Guido Cavalcanti, ad esempio ).<br />

Per meglio renderci conto in che cosa consiste questo stile “dolce”, analizziamo il testo più<br />

celebre di Guinizzelli, già preso in esame nel precedente paragrafo, la canzone “Al cor gentil<br />

rempaira sempre amore”. Essa si può considerare il vero e proprio “manifesto” della nuova<br />

tendenza poetica. Seguiremo il seguente schema di analisi, che può essere utilizzato in tutti gli<br />

altri testi. Abbiamo vari livelli di analisi: livello fonico: se vi sono suoni aspri.<br />

livello metrico: come sono collegate le varie stanze; se ci sono rime ripetute nelle varie<br />

stanze.<br />

livello lessicale: se ci sono parole-chiave; quale posizione occupano all’interno del verso;<br />

se sono presenti latinismi e/o provenzalismi.<br />

livello retorico: se ci sono metafore, similitudini, analogie, allitterazioni, assonanze.<br />

livello sintattico: se la sintassi usata è semplice o complessa; se c’è una corrispondenza tra<br />

il tessuto sintattico e le argomentazioni adottate di carattere dottrinale e filosofico.<br />

livello ritmico: se vi sono enjambements.<br />

Nella canzone del Guinizzelli, per quanto concerne il livello fonico, possiamo affermare<br />

che sono praticamente assenti suoni aspri e , in particolare, scontri di consonanti. Per quanto<br />

riguarda il livello metrico non si trovano rime rare o difficili, cioè con combinazioni di suoni<br />

rari e poco comuni, quindi molto difficili da trovare; poco presenti sono anche rime che<br />

mostrino particolari artifici: vi sono solo due rime univoche, vv.5-7 sole / sole, vv.41-43 cielo<br />

/ cielo, ed una rima siciliana ai versi 18-20 natura / ‘nnamora. Compare solo episodicamente<br />

la tecnica delle “coblas capfinidas”: vv.10-11 foco / foco; vv.20-21 ‘nnamora / Amor; vv.40-<br />

41 splendore / splende.<br />

A livello lessicale non vi sono termini particolarmente rari e ricercati, ma il lessico è in<br />

genere piano e comune. Sono pochi i francesismi e i provenzalismi: rempaira, clar (che può<br />

essere anche un latinismo ), aigua, coraggio, semblo, semblanti, sembianza, amanza.<br />

Per ciò che concerne il livello sintattico, osserviamo un andamento fluido e piano, senza<br />

dure inversioni ( con qualche eccezione: la posposizione del soggetto natura al verso 4, del<br />

ferro in la minera al verso 30, ai versi 45-50 ).<br />

A livello ritmico notiamo l’assenza di spezzature violente; pause forti all’interno di un<br />

verso ( punti fermi, punti e virgole ); sono rari gli enjambements dalla forte inarcatura ( vv.26-<br />

27 foco / caldo, vv.48-49 splende / del suo gentil ).<br />

A livello retorico non vi è presenza di numerose figure retoriche; qui sono rare e la più<br />

frequente è il paragone.<br />

6 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 116<br />

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18


3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

I temi e le metafore presenti negli stilnovisti fanno parte della tradizione di tutta la lirica<br />

d'amore, a cui comunque vengono dati significato e valore diversi, perché utilizzati in modo<br />

nuovo per diverse finalità e perché inseriti in un diverso contesto.<br />

E’ il caso della metafora della donna-angelo, frequente anche nei poeti cortesi: nei testi<br />

degli stilnovisti l’immagine si carica di nuovi e più profondi significati ( la donna è per<br />

l’uomo un tramite verso l’Assoluto, è figura del sovrannaturale ).<br />

Ma l’elenco degli elementi tradizionali presenti negli stilnovisti non si esaurisce al caso,<br />

sicuramente il più clamoroso, della donna-angelo, anzi è lungo: l’iconografia tradizionale<br />

dell’amore, rappresentato ad esempio come arciere soriano o infante cieco; il manifestarsi<br />

dell’amore attraverso la vista della donna; l’amore come servizio; la subordinazione<br />

dell’amante all’amata; tutta una serie di metafore ( amore che arde, il poeta che vive nel fuoco<br />

e ne è consumato, la stella polare che guida l’amante …) e di temi ( il gabbo, la donnaschermo,<br />

l’amore non corrisposto … ), alcuni bisticci ( amore / amaro, Salute / saluto,<br />

entrambi di origine provenzale ) e via dicendo.<br />

Descriviamo ora i tratti principali nei quali si nota il grande rinnovamento del Dolce stil<br />

novo nei confronti della lirica d’amore precedente. Per quanto riguarda la donna, essa sembra<br />

quasi smaterializzarsi, non possedere più attributi fisici e non essere più “fonte di eccitanti<br />

fantasie” nel poeta-amante. Non è più chiamata a colloquiare con il poeta; al colloquio con la<br />

donna si sostituisce il colloquio con terze persone sulle qualità e virtù della donna.<br />

La lode della virtù della donna non riguarda più virtù mondane, ma virtù spirituali. Quella<br />

della donna diventa così un’immagine interiorizzata, una sintesi di ideali all’interno<br />

dell’anima del poeta amante. Da qui scaturisce il concetto della donna-angelo, che non è solo<br />

una decorazione superficiale dei componimenti ( la donna è bella come un angelo ), ma<br />

diviene nodo concettuale profondo per cui la donna opera beneficamente come un angelo, non<br />

solo sul poeta, ma su tutti coloro che la accostano.<br />

Anche il concetto di amore muta profondamente. Come sostiene il Marti . 7 Quindi, in Dante “un processo di conoscenza porta verso<br />

l’ineffabile rivelazione trascendente dell’Assoluto”. In Cavalcanti “ gli accende l’ansia<br />

dell’Assoluto sentito come inattingibile approdo”. In Cino Da Pistoia “gli permette di cogliere<br />

il senso dell’assoluto nei modi e nei moti della mente e del cuore per la ricerca della verità<br />

nell’interno dell’uomo”.<br />

I componimenti, quindi, esprimono l’estatica contemplazione e lode delle virtù della<br />

donna: li potremmo definire “componimenti di lode” che, sia pure con qualche differenza,<br />

sono comuni a tutti i principali componenti del gruppo e, si può dire, costituiscono una<br />

modalità tipica della poesia stilnovistica.<br />

7 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 119<br />

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19


Una modalità complementare alla precedente è quella in cui la medesima concezione della<br />

donna e la medesima nozione di amore, suscitano nel poeta un sentimento di angoscia, la<br />

percezione della propria inadeguatezza e inferiorità. E’, quest’ultima, una caratteristica del<br />

Cavalcanti, poeta dello sbigottimento, della lacerazione interiore, del senso della morte.<br />

Per quanto riguarda, invece, la nozione tradizionale di nobiltà, notiamo che l’ideale<br />

stilnovistico non è più la nobiltà di sangue secondo l’ottica cortese, ma “nobiltà come<br />

ingentilimento”, come esito di un processo interiore di raffinamento, che coincide<br />

strettamente con la costante dedizione ad Amore.<br />

La critica ha avuto giudizi discordanti sulla questione del rapporto che hanno gli stilnovisti<br />

con un gruppo di poeti tardo provenzali ( Guiraut Riquier, Guilhelm De Montanhagol,<br />

Sordello e Lanfranco Cigala ) e qualche toscano ( Monte Andrea, Chiaro Davanzati, ad<br />

esempio ).<br />

L’opinione del Sapegno è su una sostanziale continuità, oltre che di temi e stilemi, anche di<br />

valori e ideali: la concezione dell’amore sarebbe radicata in quella cortese; le innovazioni del<br />

gruppo risiederebbero nella tecnica più affinata, in un gusto più elevato e in un<br />

“approfondimento e raffinamento dell’indagine psicologica”. 8<br />

Vi sono, invece, assertori del carattere profondamente innovativo dello stilnovismo, sia dal<br />

punto di vista più prettamente formale dei componimenti, sia da quello culturale.<br />

Consideriamo la concezione della donna in Guinizzelli e in particolare il concetto di<br />

donna-angelo secondo l’interpretazione del Marti: il Guinizzelli pone l’immagine della donna<br />

in un’ordinata visione dell’universo facendo riferimento all’analogia dell’operare degli angeli,<br />

con tesi del tutto lontane dalla poetica cortese, nella quale, invece, l’immagine angelica resta<br />

estetica e decorativa. 9<br />

Con questa intuizione poetica, Guinizzelli risolse l’urgente problema del rapporto fra<br />

sentimento amoroso e legge morale, tra poetica ed etica. La donna angelo stilnovistica incide<br />

nel vivo della poetica tradizionale.<br />

Con Guinizzelli si inaugura una nuova giovinezza poetica permeata di una più fresca<br />

spiritualità.<br />

3.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Prendiamo in esame, per quanto riguarda le parole adoperate dagli stilnovisti, i seguenti<br />

autori con le relative opere:<br />

Guido Guinizzelli:<br />

• Tegno de foll’impres’a lo ver dire<br />

• Madonna il fino amor ched eo vi porto<br />

• Donna, l’amor mi sforza<br />

• Al cor gentil rempaira sempre amore<br />

8 Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973, p. 21<br />

9 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, pp. 118-120<br />

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• Lo fin pregi avanzato<br />

• Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo<br />

• Vedut’ho la lucente stella diana<br />

• Dolente, lasso, già non m’asecuro<br />

• Ch’eo cor avesse, mi potea laudare<br />

• Io voglio del ver la mia donna laudare<br />

• Lamentomi di mia disaventura<br />

• Gentil donzella, di pregio nomata<br />

• Madonna mia, quel di’ ch’Amor consente<br />

• Sì sono angostioso e pien di doglia<br />

• Pur a pensar mi par gran meraviglia<br />

• Fra l’altre pene maggio credo sia<br />

• Chi vedesse a Lucia un var capuzzo<br />

• Volvol te levi, vecchia rabbiosa<br />

• Omo ch’è saggio non corre leggero<br />

• O caro padre meo, de vostra laude<br />

Guido Cavalcanti:<br />

• Fresca rosa novella<br />

• Biltà di donna e di saccente core<br />

• Avete ‘n voi li fior’ e la verdura<br />

• Chi è questa che ven ch’ogn’om la mira<br />

• Li miei foll’occhi, che prima guardaro<br />

• Deh, spiriti miei, quando mi vedete<br />

• L’anima mia vilment’è sbigottita<br />

• Tu m’hai sì piena di dolor la mente<br />

• Io non pensava che lo cor giammai<br />

• Novella doglia m’è nel cor venuta<br />

• Poi che di doglia cor conven ch’i porti<br />

• Perché non fuoro a me gli occhi dispenti<br />

• Voi che per li occhi mi passaste ‘l core<br />

• Se m’ha del tutto obliato Merzede<br />

• Se Merzè fosse amica a’ miei disiri<br />

• A me stesso di me pietate vene<br />

• S’io prego questa donna che Pietate<br />

• Non sian le triste penne sbigottite<br />

• Io prego voi che di dolor parlate<br />

• O tu che porti nelli occhi sovente<br />

• O donna mia, non vedestù colui<br />

• Veder poteste, quando v’inscontrai<br />

• Io vidi li occhi dove Amor si mise<br />

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• Un amoroso sguardo spiritale<br />

• Posso degli occhi miei novelle dire<br />

• Veggio negli occhi de la donna mia<br />

• Donna me prega, per ch’eo voglio dire<br />

• Per li occhi fere un spirito sottile<br />

• Una giovane donna di Tolosa<br />

• Era in penser d’Amor quand’i trovai<br />

• Gli occhi di quella gentil foresotta<br />

• Come m’invita lo meo cor d’amare<br />

• Io temo che la mia disaventura<br />

• La forte e nova mia disaventura<br />

• Perch’i’ no spero di tornar giammai<br />

• Certe mie rime a te mandar vogliendo<br />

• Vedeste, a mio parere, onne valore<br />

• S’io fosse quelli che d’Amor fu degno<br />

• Se vedi Amore, assai ti priego, Dante<br />

• Dante, un sospiro messagger del core<br />

• I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte<br />

• Certo non è de lo ‘ntelletto accolto<br />

• Gianni, quel Guido saluta<br />

• Ciascuna fresca e dolce fontanella<br />

• Se non ti caggia la tua santalena<br />

• Cavelli avea biondetti e ricciutelli<br />

• Da più a uno fece un sollegismo<br />

• Una figura della donna mia<br />

• La bella donna dove Amor si mostra<br />

• Di vil matera mi conven parlare<br />

• Guata, Manetto, quella scrignutuzza<br />

• Novelle ti so dire, odi, Nerone<br />

Lapo Gianni:<br />

• Eo sono Amor che per mia libertate<br />

• Amore, io non son degno ricordare<br />

• Gentil donna cortese e di bonare<br />

• Angelica figura novamente<br />

• Dolc’è ‘l penser che mi notrica ‘l core<br />

• Donna, se ‘l prego de la mente mia<br />

• Se tu martoriata mia soffrenza<br />

• Amore i’ prego la tua nobeltate<br />

• Angioletta in sembianza<br />

• Novella grazia a la novella gioia<br />

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22


• Questa rosa novella<br />

• Ballata, poi che ti compose Amore<br />

• O Morte, della vita privatrice<br />

• Amor, nova ed antica vanitate<br />

• Nel vostro viso angelico amoroso<br />

• Sì come i Magi a guida de la stella<br />

• Amor, eo chero mia donna in domino<br />

Gianni Alfani:<br />

• Guato una donna dov’io la scontrai<br />

• Donne, la donna mia ha d’un disdegno<br />

• Quanto più mi disdegni più mi piaci<br />

• Ballattetta dolente<br />

• De la mia donna vo’ cantar con voi<br />

• Se quella donna ched i’ tegno a mente<br />

• Guido, quel Gianni ch’a te fu l’atrieri<br />

Dino Frescobaldi:<br />

• Un sol penser che mi ven ne la mente<br />

• Poscia che dir conviemmi ciò ch’io sento<br />

• Voi che piangete nello stato amaro<br />

• Per gir verso verso la spera la finice<br />

• Morte avversara, poich’io son contento<br />

• Donna, dagli occhi tuoi par che si mova<br />

• Amor, se tu se’ vago di costei<br />

• Tanta è l’angoscia che nel cor mi trovo<br />

• Un’alta stella di nova bellezza<br />

• Quest’è la giovanetta ch’Amor guida<br />

• Poscia ch’io veggio l’anima partita<br />

• Al vostro dir, che d’amor mi favella<br />

• Giovane, che così leggiadramente<br />

• Questa altissima stella, che si vede<br />

• Per tanto pianger quanto li occhi fanno<br />

• No spero di trovar giammai pietate<br />

• In quella parte ove luce la stella<br />

• La foga di quell’arco, che s’aperse<br />

• Deh, giovanetta, de’ begli occhi tuoi<br />

• Quant’e’ nel meo lamentar sento doglia<br />

• L’alma mea trist’è seguitando ‘l core<br />

Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.<br />

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23


DOLCE ST<strong>IL</strong> NOVO % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 1,18 11,8<br />

2 Cor(e) 0,90 9,0<br />

3 Morte, morir(e) … 0,64 6,4<br />

4 Donna/e 0,60 6,0<br />

5 Occhi 0,40 4,0<br />

6 Bellezza, bel, bella 0,38 3,8<br />

7 Spirto, spirito 0,34 3,4<br />

8 Gentile 0,31 3,1<br />

9 Valor(e) 0,29 2,9<br />

10 Virtu(te) 0,27 2,7<br />

Grafico esplicativo:<br />

X 1000<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

11,8<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

9,0<br />

Cor(e)<br />

FREQUENZE ST<strong>IL</strong>NOVISTI<br />

6,4 6,0<br />

Morte,<br />

morir(e) …<br />

Donna/e<br />

4,0 3,8 3,4 3,1 2,9 2,7<br />

Occhi<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

Spirto,<br />

spirito<br />

Rispetto alla precedente lirica d’amore si notano – a livello lessicale – alcune differenze,<br />

pur in una situazione di forte analogia, data dal fatto che i termini amore – core – donna<br />

occupano comunque i primi posti nella classifica. Le novità sono tuttavia evidenti:<br />

1) Scompare, tra i primi dieci, il termine gioi(a), che era tipico della poesia siculo –<br />

toscana di stretta derivazione provenzale (frequenza 1,2 x 1000)<br />

2) acquistano peso i termini occhi (4x1000), spir(i)to (3,4 x 1000) e gentile (3,1 x 1000),<br />

che costituiscono elementi basilari della nuova poetica stilnovista, nella quale<br />

assistiamo ad una spiritualizzazione dell’Amore, ad una scarsa descrizione fisica della<br />

donna (ridotta generalmente ai soli occhi) e infine alla netta corrispondenza tra Amore<br />

e cuor gentile.<br />

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Gentile<br />

Valor(e)<br />

Virtute<br />

24


LA POESIA DI DANTE (Le Rime)<br />

4.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

Le Rime di Dante Alighieri comprendono 80 componimenti, di cui 54 autentici e 26 dubbi.<br />

I 54 testi autentici contengono, dal punto di vista metrico, 33 sonetti, 13 canzoni, 5 ballate,<br />

una sestina, una sestina doppia ed un sonetto doppio. Sonetti, ballate e canzoni erano già<br />

presenti nelle liriche dei precedenti rimatori. La sestina è, invece, una novità. Essa si compone<br />

di sei strofe, ciascuna formata da sei endecasillabi e costruita sulle parole – rima della strofa<br />

precedente, secondo questa regola: ogni stanza assume alternativamente l’ultima rima e la<br />

prima della stanza precedente, poi la penultima e la seconda, poi la terzultima e la terza. Lo<br />

schema risulta il seguente: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.<br />

Il congedo, di tre versi, si forma sulle prime parole – rima delle prime tre stanze; le tre parole<br />

– rima che mancano sono recuperate all’interno dei versi procedendo a ritroso; in pratica lo<br />

schema del congedo è il seguente: A(B)F(D)C(E). Analoga la struttura metrica della sestina<br />

doppia. La prima stanza ha il seguente schema: ABAACAADDAEE; l’ordine delle parole –<br />

rima nelle altre stanze è stabilito sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così<br />

via, sino all’esaurimento delle combinazioni (ad es. la seconda stanza è EAEEBEECCEDD),<br />

Il congedo ha il seguente schema: AEDDCD. Quanto al sonetto doppio esso ha il seguente<br />

schema metrico: AaBBbA, AaBBbA, CDdC, DCcD (Abbiamo l’introduzione di un settenario<br />

dopo il 1° e 3° verso delle quartine e dopo il 2° verso delle terzine).<br />

Prendiamo ora in esame alcuni componimenti tratti dalle Rime per analizzarne la metrica.<br />

Analizziamo “Tre donne”: è una canzone di sei stanze; ogni stanza ha per piedi due<br />

quartine identiche, AbbC, mentre nella sirma, collegata alla fronte ( CddEeFEfGG ), il<br />

Carducci riconosceva un altro “quartetto” e due “terzetti”, tuttavia di non omogenea struttura.<br />

Il primo congedo ha la consueta identità di struttura con la sirma, e perciò la sua prima rima è<br />

irrelata. Molto diverso il secondo congedo ( EDeFFGG ), dove irrelata è invece la seconda<br />

rima. La notevole divergenza nello schema e la mancanza in vari codici fanno pensare che,<br />

secondo un’abitudine già ovvia nei trovatori, quest’altro sia un’aggiunta ( forse non di molto<br />

posteriore ).<br />

“Per una ghirlandetta” è una ballata per musica, composta da una ripresa di tre settenari (<br />

schema abc ) seguita da tre strofe, ciascuna di quattro novenari e tre settenari ( schema:<br />

DEDEebc ).<br />

“Deh, Violetta, che in ombra d’Amore” è una ballata “grande”, per la ripresa di quattro<br />

versi ( ABBA ) endecasillabi. Segue poi una sola strofa ( Cde, Dce - mutazioni - e EFFA -<br />

volta ) di endecasillabi e settenari.<br />

“Un dì si venne a me Malinconia” è un sonetto di metro ABBA, ABBA, CDC, DCD.<br />

“Così nel mio parlar voglio esser aspro” è una canzone di cinque stanze, ciascuna delle<br />

quali ha tredici versi su cinque rime. Lo schema è il seguente: AbbC, AbbC, CCDdEE. Ne<br />

risulta che dal quinto verso in avanti si hanno solo rime baciate, cosa che contribuisce al ritmo<br />

martellante, incalzante del componimento. La rima è notevole anche per la presenza di nessi<br />

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25


consonantici aspri: -tr ( petra, impetra, arretra, faretra; squatra, atra, latra, latra ); -rz (<br />

scorza, forza, ferza, terza, scherza, sferza ); -spr ; -rm; -zz; -rs; -lz; -rr; -nd; -nc; ecc.<br />

Vi sono rime rare e difficili ( fatte con parole scarsamente attestate, almeno in rima: è più<br />

facile , infatti, far rimare parole con terminazioni frequenti - cuore, amore, dolore - che parole<br />

con terminazioni rare nel lessico italiano; così è per ferza, terza, scherza, sferza ai versi 67-<br />

68-71-72, o per squatra , atra, latra, latra ai versi 54-55-58-59 ).<br />

Vi è una rima equivoca ( latra / latra ai versi 58-59: il primo è un sostantivo, “ladra”, il<br />

secondo voce verbale da “latrare” ).<br />

Vi è la rima derivativa ( ferza, sferza ai versi 67-72, dove la voce verbale “sferza” è<br />

composta dal sostantivo “ferza”; ma forse lo è anche petra / impetra ai versi 2-3, se - come<br />

rileva il Contini - 10 .<br />

“Amor, tu vedi ben che questa donna” è una sestina doppia ( ABA, ACA; ADD, AEE ) con<br />

congedo AEDDCD. Ha sostanzialmente la struttura di una stanza di canzone di tutti<br />

endecasillabi, con distinzione di fronte e sirma e rispondenza di rime ( le due parole-rima che<br />

compaiono due volte sono in rima baciata ). L’ordine delle parole-rima nelle stanze<br />

successive si stabilisce sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così via, sino al<br />

compimento, nelle cinque stanze, delle possibili combinazioni ( la seconda stanza è dunque<br />

EAE, EBE; ECC, EDD; ecc. ). Il congedo segue ordinatamente la disposizione delle prime<br />

parole-rima di ciascuna stanza, con raddoppiamento di quella centrale.<br />

4.2 TIPO DI SINTASSI<br />

Le “Rime”, e cioè quelle poesie di Dante che non sono state raccolte dal poeta nella “Vita<br />

nuova” o nel “Convivio”, ci consentono di seguire il vasto e complesso cammino percorso da<br />

Dante per arrivare all’ideale stilistico raffinato e aristocratico della “Vita nuova”, allo stile<br />

“comico”, cioè vario, articolato, complesso, finalizzato ad esprimere realisticamente tutta la<br />

vita dell’universo e dell’animo umano nei suoi molteplici aspetti, ora nobili, ora volgari, ora<br />

umili, ora alti, ora infimi, ora sublimi.<br />

In qualche caso sono visibili le tracce di un tirocinio stilistico siculo-guittoniano; altre<br />

volte si tratta di poesie leggere ( ballatelle o sonetti ) madrigalesche ed epigrammatiche, per<br />

donne i cui nomi, reali o convenzionali ( Fioretta, Violetta, Lisetta), sono stati variamente<br />

avvicinati o allontanati dalle famose descrizioni femminili della “Vita nuova”.<br />

Possiamo distinguere, in questa sorta di canzoniere dantesco, oltre alle rime giovanili<br />

dominate dall’ideale espressivo stilnovistico, e a quelle di corrispondenza, la tenzone con<br />

Forese Donati, e le rime “petrose”, caratterizzate, la prima, dal gusto della violenta<br />

deformazione caricaturale, le seconde, dal gusto di un poetare in rima aspra e difficile,<br />

sull’esempio dei più astrusi poeti provenzali. Vi sono infine le rime dottrinali, nutrite sì di<br />

10<br />

La citazione di G. Contini è tratta dalla premessa alla canzone nell’edizione delle Rime da lui curata, in<br />

“Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970.<br />

26<br />

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pensiero e svolte secondo un solido schema dimostrativo, ma più spesso avvivate dall’ardore<br />

del sentimento e dell’idealità morale.<br />

Concludendo, le “Rime” sono una serie di tentativi, un procedere irrequieto del poeta in<br />

una continua e travagliata ricerca espressiva.<br />

4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Come per l’analisi della sintassi, così nell’analisi delle metafore e degli stilemi più<br />

ricorrenti, è necessaria una suddivisione dell’esperienza poetica dantesca. La distinzione più<br />

comprensibile che si può fare è la seguente: le rime della lode, le rime petrose, quelle<br />

dottrinali, quelle allegoriche e, infine, quelle comiche.<br />

Ovviamente, quelle che riguardano più da vicino la nostra ricerca sono le rime della lode,<br />

perché è in esse che compare la tematica dell’amore. Queste ultime, a differenza delle<br />

seconde sopracitate, fanno parte dell’esperienza stilnovistica di Dante.<br />

Liberandosi dal Cavalcanti, Dante scopre una maniera più personale a cui più tardi<br />

attribuirà un grande valore di svolta. Sono le “nove rime”, lo “stilo delle loda”, che<br />

costituiranno poi il nucleo vitale della “Vita nuova”.<br />

All’amore doloroso, Dante sostituisce la lode disinteressata di Beatrice, la gentilissima<br />

della “Vita nuova”. Notiamo, quindi, il subentrare di un amore disinteressato, finalizzato ad<br />

appagare se stesso, rimpiazzando la logica dell’amore come reciprocità di servizio. Nelle sue<br />

radici cavalcantiane e guinizzelliane, è questo il culmine dell’esperienza stilnovistica.<br />

Dante aveva dedicato componimenti anche ad altre donne ( Fioretta, Violetta, ecc. più tardi<br />

reinterpretate come donne schermo, la cui funzione sarebbe stata quella di copertura del<br />

segreto d’amore per Beatrice ), ed aveva cantato Beatrice anche in modi più convenzionali,<br />

ma ad un certo punto dovette farsi chiara in lui la potenzialità simbolica dell’amore per<br />

Beatrice, che diviene allora il supremo, l’unico. Beatrice diventa la “beatrice”, colei che<br />

beatifica, cioè un miracolo, una creatura angelica non solo metaforicamente, ma proprio<br />

venuta di cielo in terra a miracol mostrare, dal cielo rimpianta e al cielo destinata a fare<br />

ritorno, dove il pensiero di Dante la contemplerà nell’ultimo sonetto della “Vita nuova”.<br />

Per quanto riguarda, invece, le rime petrose ( da Petra, senhal della donna cantata ), esse<br />

sono caratterizzate dallo stile aspro, nelle quali Dante abbandona l’immaginario stilnovistico e<br />

si riallaccia all’esperienza del “trobar clus” ( poetare difficile ) di Arnaut Daniel.<br />

Caratteristica generale delle petrose è una sorta di immobilità, di fisicità tematica per cui, al<br />

limite, in esse non compare ( né potrebbe ) lo svolgersi dinamico di una situazione. I<br />

“personaggi rituali” di questi componimenti sono tre: il poeta, la donna e Amore.<br />

Un’ultima caratteristica che segnaliamo per ciò che riguarda queste poesie, è il realismo<br />

innanzitutto linguistico, assai più che descrittivo-situazionale.<br />

Il Contini scrive:


tramite alla conoscenza celeste - con quella, che altrettanto approssimativamente si può dire<br />

pessimistica, del Cavalcanti - l’essere amato come trascendente rispetto all’amante e<br />

irraggiungibile, la qualità dolorosa e ‘paurosa’ della passione ->>. 11<br />

La critica ha anche discusso la sacralità della figura di Beatrice: per alcuni l’amore per<br />

Beatrice e Beatrice stessa sono un mezzo per arrivare a Dio, 12 e la Vita Nuova traccia un<br />

percorso verso Dio, nel quale Beatrice è la figura di Cristo; per altri Beatrice è il fine ultimo<br />

dell’amore di Dante, non è il tramite con Dio, ma è paragonata a Cristo, perché è colei che<br />

dona beatitudine, e quest’ultima è appagamento che non desidera altro. 13 Estremamente<br />

sublimato e spiritualizzato, l’amore per Beatrice non si risolve però in misticismo.<br />

4.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate prendiamo in esame le Rime, e<br />

precisamente le 54 rime di sicura attribuzione.<br />

Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente ed il relativo grafico.<br />

DANTE, LE RIME % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 0,88 8,8<br />

2 Donna/e 0,74 7,4<br />

3 Bellezza, bel, bella 0,58 5,8<br />

4 Cor(e) 0,45 4,5<br />

5 Occhi 0,38 3,8<br />

6 Morte, morir(e) … 0,34 3,4<br />

7 Mente 0,27 2,7<br />

8 Gentile, Dolce(zza) 0,22 2,2<br />

9 Sol(e), Pietra 0,19 1,9<br />

10 Luce 0,18 1,8<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

8,8<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

7,4<br />

Donna/e<br />

5,8<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

FREQUENZE DANTE<br />

4,5 3,8 3,4 2,7 2,2 1,9 1,8<br />

Cor(e)<br />

Si nota che le parole adoperate da Dante, pur con qualche variazione, risultano molto simili<br />

a quelle usate dagli stilnovisti, di cui Dante fece parte, e dei quali sono mantenuti significativi<br />

termini, quali occhi (3,8 x 1000) e gentile (2,2 x 1000)<br />

11 G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970, p. 302.<br />

12 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 152.<br />

13 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p.152.<br />

Occhi<br />

Morte …<br />

Tempo<br />

Mente<br />

Gentile,<br />

Dolce(zza)<br />

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Sol(e),<br />

Pietra<br />

Luce<br />

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LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (Canzoniere)<br />

5.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

Il Canzoniere di Petrarca si compone di 366 poesie, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9<br />

sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Abbiamo già parlato delle canzoni, dei sonetti, delle ballate e<br />

delle sestine. La novità in Petrarca è costituita dal madrigale. I madrigali sono componimenti<br />

brevi, costituiti da due o tre strofe di tre endecasillabi ciascuna, seguite da una o due coppie di<br />

endecasillabi, generalmente a rima bociata. I quattro madrigali di Petrarca hanno questi<br />

schemi metrici: ABA BCB CC; ABA CBC DEDE; ABC ABC DD; ABB ACC CDD.<br />

Prendiamo adesso in esame alcuni componimenti tratti dal Canzoniere.<br />

“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” ( I ) è un sonetto di schema metrico ABBA,<br />

ABBA, CDE, CDE. La bipartizione tra quartine e terzine, tra invocazione speranzosa di pietà<br />

e ripiegamento sulla severa condanna di sè, è segnata anche dalle rime: nelle quartine si hanno<br />

tutte rime con sillaba aperta, -ono, -ore, cioè con rime vocaliche; nelle terzine, invece, con<br />

sillaba chiusa, -utto, -ente con scontro di consonanti.<br />

Al verso 4 si noti la cesura; gli enjambements sono rari, poiché ognuno di questi versi può<br />

rimanere a sé, improntato sul medesimo equilibrio.<br />

“Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e ‘l anno” ( LXI ) è un sonetto di schema metrico<br />

ABBA, ABBA, CDC, DCD. Anche in questo sonetto sono rari gli enjambements; si noti la<br />

coordinazione per polisindeto, rappresentata dall’anafora in e nei versi 1-2-3-7-11.<br />

“Padre del ciel, dopo i perduti giorni” ( LXII ) è un sonetto di schema metrico ABBA,<br />

ABBA, CDE, CDE. Vi sono solo tre enjambements ai versi 5-9-10.<br />

“Chiare, fresche e dolci acque” ( CXXVI ) è una canzone di schema metrico<br />

abCabCcdeeDfF. Ogni stanza è formata dalla fronte, a sua volta divisa in due piedi, e dalla<br />

sirma, divisa in due volte.<br />

5.2 TIPO DI SINTASSI<br />

Il Canzoniere, insieme ai Trionfi, è l’unica opera di Petrarca scritta in volgare. Alla base di<br />

quest’opera vi è un’esperienza reale e vissuta dal poeta: l’amore per Laura.<br />

Non è una vera e propria esperienza vissuta – allorché ci troveremmo di fronte a un leggere<br />

moderno, romantico ( prodotto cioè da una stagione culturale che ha esaltato la poesia come<br />

trascrizione spontanea di sentimenti ) – ma è una trasfigurazione letteraria, come una<br />

costruzione ideale, esemplare, che segue determinati codici.<br />

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29


La poetica del Canzoniere è limpida, equilibrata, armoniosamente perfetta, dotata di una<br />

miracolosa fluidità musicale, nonostante non si possa definire così l’intricato universo<br />

petrarchiano.<br />

Per Petrarca la poesia non è esplorazione accanita dell’anima, non sfogo immediato del<br />

sentimento. I conflitti interiori non si gettano sulla pagina con la violenza scomposta con cui<br />

nascono nell’intimo, ma passano attraverso un filtro che li decanta e li purifica: la letteratura<br />

svolge questo ruolo.<br />

L’esigenza di chiarezza e decantazione, corre parallela alla cura della perfezione formale,<br />

al minuziosissimo e assiduo lavoro di lima che il poeta applica ai suoi versi, affinché non vi<br />

resti nulla di grezzo, di approssimativo o di scomposto. Potremmo dire che la poesia di<br />

Petrarca è retta da un “classicismo formale” che si manifesta come selezione ed idealizzazione<br />

del reale. Lo stile di Petrarca è stato definito “monolinguismo” ( al contrario del<br />

“plurilinguismo” dantesco ). Nessuna parola spicca mai, come intensa macchia di colore, nel<br />

tessuto del discorso: Petrarca tende a creare un’armonia di insieme in cui nessun particolare<br />

predomini. Come il poeta stesso afferma, il suo assiduo, infaticabile lavoro di lima sui testi,<br />

tende a far soavi e chiare le rime aspre e fosche. Nel termine aspre notiamo l’allusione al<br />

tono dantesco delle rime petrose.<br />

5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE<br />

La materia quasi esclusiva del Canzoniere è l’amore del poeta per una donna, chiamata<br />

Laura, incontrata il Venerdì Santo in una chiesa di Avignone.<br />

La figura di Laura è, comunque, evanescente, vicina e insieme lontana, irraggiungibile;<br />

quasi un fantasma del cuore, viva nel sentimento e nell’immaginazione del suo poeta, ma mai<br />

definita da una sorta di concretezza. Vero protagonista dell’opera è dunque Petrarca, la sua<br />

anima tormentata.<br />

La “Laura trasfigurata nella poesia” diviene per il poeta l’anelito di felicità, una felicità<br />

terrena non effimera e caduca, la tensione verso una vita più bella.<br />

Per comprendere gli altri temi della poesia petrarchiana, analizziamo il sonetto “Voi<br />

ch’ascoltate in rime sparse il suono”, una ricapitolazione e rivalutazione a posteriori della<br />

propria esperienza umana e letteraria.<br />

1. Divaricazione temporale. Il sonetto propone, innanzitutto, una forte divaricazione<br />

temporale tra passato e presente, scandita lungo il testo dall’alternanza di verbi al presente (<br />

v.1 ascoltate; v.4 sono; v.5 piango e ragiono; v.8 spero trovar ) e verbi al passato ( v.2<br />

nudriva; v.4 era; v.10 fui ), ma sottolineata ed enfatizzata dall’antitesi del verso 4 ( quand’era<br />

in parte altr’uom da quel ch’i’ sono ), e soprattutto dall’or sì del verso 9. In una struttura<br />

metrico-ritmica, infatti, piuttosto regolare e persino monotona, il verso in questione spicca<br />

perché è l’unico ad essere accentato sulla quinta posizione ( mentre dominano accenti in<br />

quarta e sesta posizione negli altri versi più “regolari” ): questo fatto, e le ragioni sintattiche<br />

connesse, impongono, oltre ad una variazione di ritmo rispetto ai versi precedenti, una doppia<br />

pausa nella lettura che assolve, appunto, la funzione di dare enfasi al sintagma “or sì”.<br />

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30


2. Divaricazione dell’io. Questa divaricazione temporale determina, a sua volta, una<br />

divaricazione dell’io del poeta. Egli, in altri termini, sembra scindersi in un “io” che scrive e<br />

vive il presente e un “io” che è vissuto nel passato, caratterizzati da un diverso atteggiamento,<br />

ma soprattutto da una diversa consapevolezza. Al passato l’io del poeta era smarrito nel suo<br />

primo giovenile errore, nudriva ‘l core di sospiri, era in parte altr’uom da quel che è al<br />

presente, favola fu gran tempo, senza accorgersi o vergognarsi delle dicerie e del popol<br />

tutto. Al presente si sostituisce, in primo luogo, la consapevolezza (conoscer chiaramente)<br />

dell’errore, del vaneggiar, ma, in secondo luogo, anche il piangere, il ragionare (scrivere di<br />

questa passata condizione e riflettere sul presente ), la speranza di trovar pietà e perdono,<br />

l’intensa vergogna e il pentimento.<br />

3. L’io protagonista dissimulato. La centralità dell’analisi del proprio io, della<br />

propria vicenda psicologica è, però, dapprima dissimulata in una sorta di gioco illusionistico.<br />

Il sonetto si apre con un Voi, che al lettore deve apparire un soggetto sospeso, in attesa di un<br />

predicato che non compare; in realtà si tratta di un vocativo; e il soggetto logico e<br />

grammaticale del periodo, che prende da solo le due quartine, compare soltanto al verso 8.<br />

Anzi, propriamente, non compare: è l’”io” sottinteso al verbo spero. Questa latitanza del<br />

soggetto sino all’ottavo verso è in parte compensata dalla presenza, in frasi dipendenti, di tre<br />

“io” ( vv.2-4-5 ) e di un “mio” al verso 3: il tutto produce appunto un “gioco illusionistico”,<br />

che turba il lettore ( come già rilevavano i commentatori antichi ), un gioco di insistenza, e al<br />

tempo stesso dissimulazione del protagonista logico e tematico delle quartine, del sonetto, e<br />

poi dell’intero Canzoniere. Nelle terzine, viceversa, l’io del poeta è subito messo in evidenza (<br />

Ma ben veggio ): presenza, questa, addirittura enfatizzata ai versi 11-12 mediante<br />

allitterazione ( di ME Medesmo Meco MI vergogno ) e ripresa ( et del MIO vaneggiar ). A<br />

questo proposito, si noterà, però, che 14 (Contini ) che rinvia allo stato di incertezza, vergogna in cui si<br />

trova il poeta.<br />

4. La vergogna e il persistere nell’errore. La divaricazione dell’io, protagonista del<br />

sonetto, tra passato e presente è solo parziale. Fondamentale è, a questo proposito, la<br />

limitazione del verso 4 ( quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono). Al presente il poeta<br />

prova vergogna e pentimento, ha raggiunto la chiara conoscenza razionale dell’errore e della<br />

più generale vanità delle cose e dei piaceri mondani, anche in questo caso sottolineata da<br />

“echi semantici e fonico-sillabici” ( Naferi ): “VArio … VAne … VAN … proVA … troVAR<br />

… VANeggiar …” in una sorta di citazione dissimulata di un luogo biblico: “vanitas<br />

vanitatum et omnia vanitas”. Ma questo fatto non comporta che il poeta se ne sia liberato: egli<br />

è ancora, almeno in parte, invischiato nell’errore, ancora adesso oscilla fra le vane speranze e<br />

il van dolore, piange, non solo per il pentimento, e ragiona. Persino il vaneggiar del verso 12<br />

non è esclusivamente riferito al passato.<br />

A proposito delle interpretazioni di sull’identità di Laura, proponiamo l’analisi svolta da<br />

Ugo Bosco.<br />


etrocesso al ruolo di puro cesellatore di parole e modulatore di ritmi, di puro “letterato”;<br />

altri ancora, in posizione intermedia, ammettendo la realtà storica della donna e dell’amore,<br />

evidenziano la simbolicità della loro rappresentazione: Laura, come Beatrice; donna<br />

“spirans” e insieme simbolo.<br />

Quest’ultima interpretazione è quella del De Sanctis, che vede Laura come “donna-dea”.<br />

Un altro critico, il Croce; rimanendo fedele alla precedente posizione, asserisce “Il suo Dio o<br />

la sua dea, il suo ethos, la sua politica appassionante si chiamò Laura … Nel profondo, nelle<br />

radici del suo essere, non si trova che quella speranza e disperazione d’amore … Ed è amore<br />

vero e proprio, nel quale egli richiede il ricambio e il possesso, e non l’ottiene e spera<br />

sempre…”.<br />

Il Croce vede l’amore del poeta, “centro, fulcro” della sua spiritualità.<br />

Comunque bisogna partire dal fatto che nella vita dell’uomo, l’amore per Laura non fu<br />

che un episodio che il poeta lirico vuole rappresentarci come centrale e determinante: un<br />

episodio trasformato in “mito”.<br />

Non si deve tentare di definire l’esistenza o no di Laura, ma l’essenza della più vasta<br />

speranza e disperazione, che al poeta piacque cantare sotto la specie della sua speranza e<br />

disperazione d’amore>> 15 .<br />

5.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Come già detto, per la redazione dell’elenco delle parole maggiormente ricorrenti<br />

analizzeremo il Canzoniere.<br />

Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.<br />

PETRARCA, <strong>IL</strong> CANZONIERE % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 0,61 6,1<br />

2 Bellezza, bel, bella 0,58 5,8<br />

3 Dolce(zza) 0,54 5,4<br />

4 Cor(e) 0,47 4,7<br />

5 Occhi 0,46 4,6<br />

6 Sol(e) 0,41 4,1<br />

7 Morte, morir(e) … 0,38 3,8<br />

8 Ciel(o) 0,34 3,4<br />

9 Tempo 0,26 2,6<br />

10 Vita 0,25 2,5<br />

Grafico esplicativo:<br />

15 U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977, pp. 19 – 22<br />

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32


X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

È evidente anche in Petrarca un linguaggio che si rifà, nelle sue linee essenziali, a quello<br />

degli stilnovisti e di Dante. In effetti tra le dieci parole maggiormente usate dal poeta<br />

troviamo i consueti termini comuni a tutte le correnti, come amore e cuore. Accanto ad essi vi<br />

sono parole usate dagli esponenti del Dolce stil nuovo, come occhi (4,6 x 1000) o parole usate<br />

da Dante, come dolcezza (5,4 x 1000) e sole (4,1 x 1000).<br />

CONCLUSIONI<br />

FREQUENZE PETRARCA<br />

6,1 5,8 5,4 4,7 4,6 4,1 3,8 3,4<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

Dolce(zza)<br />

Cor(e)<br />

Occhi<br />

2,6 2,5<br />

Le conclusioni che possiamo trarre dall’analisi dei cinque grafici e delle occorrenze nei<br />

relativi autori (Siciliani, Guittone, Stilnovisti, Dante, Petrarca) sono abbastanza interessanti. È<br />

più che evidente la ricorrenza molto frequente di alcune parole, che diventano tematiche e<br />

rappresentative della lirica.<br />

Innanzitutto ci balza subito agli occhi che la parola che ricorre in tutte le correnti ed autori<br />

in percentuale sempre rilevante è amore. Nei Siciliani, soprattutto, essa ha la percentuale più<br />

alta. Nei Toscani, nel Dolce stil novo, in Dante e in Petrarca tende invece a diminuire.<br />

Un altro termine che ha una presenza ed una percentuale costante è cor, che si mantiene<br />

più o meno stabile in tutte le correnti, ma aumenta nel Dolce stil novo, anche se non in modo<br />

considerevole (9,0 x 1000 contro il 4 – 8 x 1000 delle altre correnti).<br />

Anche la parola bellezza compare, in percentuale tra l’1,7 x 1000 e il 5,8 x 1000, in tutte le<br />

correnti ed autori.<br />

La parola gioia, tipica dei Siciliani e dei Toscani, scompare – almeno tra le prime dieci –<br />

dagli stilnovisti in poi (1,2 x 1000 negli stilnovisti, 0,3 x 1000 in Dante e 0,2 x 1000 in<br />

Petrarca). Con gli stilnovisti fanno il loro ingresso – tra le prime dieci – parole come gentile,<br />

occhi, dolcezza (al 12° posto con il 2,0 x 1000) che aumentano notevolmente la loro presenza.<br />

Tali termini restano in Dante ed in Petrarca, i quali recepiscono sostanzialmente, in campo<br />

lessicale, le innovazioni portate dai rimatori del Dolce stil nuovo.<br />

I cambiamenti linguistici più rilevanti si notano, in effetti, dal Dolce stil nuovo in poi,<br />

poiché a partire dallo Stilnovo assistiamo all’omogeneità dei termini, all’uso completo delle<br />

parole che, in modo esemplare, esprimono l’idea di amore e di tutto ciò che vi ruota attorno.<br />

Per quanto riguarda la struttura dei componimenti, si può asserire che sin dall’inizio essi si<br />

articolano in sonetti, ballate, canzoni e canzonette. Le produzioni poetiche di Dante e Petrarca<br />

33<br />

Sol(e)<br />

Morte,<br />

morir(e) …<br />

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Ciel(o)<br />

Tempo<br />

Vita


dedicano tutta una loro opera alla raccolta di componimenti che per la maggior parte sono<br />

sonetti: le Rime, per quanto riguarda Dante, e il Canzoniere, per Petrarca.<br />

La sintassi, nella lirica d’amore, evolve gradualmente, seguendo un processo di<br />

affinamento, semplificazione, ingentilimento e purificazione. Anche se l’evoluzione è<br />

graduale, si nota comunque come nel Dolce stil novo ci sia il più netto distacco dalla<br />

tradizione precedente. Da qui in poi, Dante e Petrarca, saranno i più grandi rappresentanti di<br />

questo rinnovamento, anche se per Petrarca sarebbe necessario un discorso a parte, in quanto<br />

non si suol definirlo uno stilnovista, bensì il precursore dell’Umanesimo.<br />

Il motivo predominante della lirica d’amore, come facilmente si comprende, è l’amore. Da<br />

esso si diramano sottogruppi di immagini e metafore che, nonostante siano sempre le stesse in<br />

ogni movimento poetico, mutano aspetto e si caratterizzano in modo diverso. Queste metafore<br />

sono principalmente due: la figura della donna e il sentimento del poeta. Per entrambe<br />

bisognerebbe fare un discorso individuale in ogni corrente, ma i momenti di maggiore<br />

importanza sono stati nel Dolce stil novo, nella produzione di Dante e in quella di Petrarca.<br />

Nei primi due sono affini: la donna assume l’angel sembianza, diventa il tramite tra poeta e<br />

Dio, e assume il significato salvifico.<br />

Analizzando, invece, il sentimento del poeta nella produzione di Petrarca, si assiste al<br />

radicale mutamento nei confronti della lirica precedente. Egli vive l’amore solo dentro di sé,<br />

si fa unico interprete, unico interlocutore e unico destinatario dell’amore.<br />

Concludendo, si può affermare, da questo lavoro d’indagine, quanto sia importante l’uso o<br />

l’omissione di determinate parole, affinché la comprensione di un poeta o di una corrente<br />

siano più facili. È importante , inoltre, sottolineare la genialità di alcuni uomini, la loro<br />

sensibilità. Uomini che hanno costruito le fondamenta della nostra lingua, della nostra cultura,<br />

ma soprattutto, che ci aiutano a ragionare e a modellare il pensiero.<br />

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34


PARTE SECONDA<br />

(Dall’Umanesimo alla fine del Romanticismo)<br />

LA <strong>LIRICA</strong> D’AMORE DEL 1400<br />

6.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

I metri usati nella lirica d’amore del Quattrocento riprendono i classici metri di Petrarca, e<br />

cioè sonetto, canzone, sestina, ballata, madrigale. In aggiunta abbiamo altre tipologie<br />

metriche, di varia origine, che fanno il loro ingresso nella poesia d’amore. Le principali sono<br />

le seguenti:<br />

1) La terza rima, o capitolo in terzine: formata da terzine di endecasillabi, chiusi da un<br />

verso isolato, rimato con il penultimo verso: ZYZ – Y; prende ispirazione dai Trionfi<br />

del Petrarca.<br />

2) L’ottava rima: composta da una strofa di otto endecasillabi, i primi sei a rima alternata,<br />

gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC. Viene usata da Lorenzo<br />

il Magnifico.<br />

3) Lo strambotto: è un breve componimento in endecasillabi; gli schemi più diffusi sono<br />

ABABAB, ABABCC, AABBCC (sei versi), oppure ABABABAB, ABABCCDD,<br />

AABBCCDD (otto versi). Viene usato dal Poliziano.<br />

4) La villotta e la villanella: componimenti in metro variabile, modellati sulle ballate<br />

5) La frottola barzelletta: non è un metro ben definito, presenta schemi vari, con versi<br />

lunghi e brevi, può essere modellata sulla ballata.<br />

6) I canti carnascialeschi: simili alle ballate, ma composti da ottonari. Sono usati da<br />

Lorenzo il Magnifico.<br />

In questo paragrafo analizzeremo i componimenti metrici di alcune liriche di Lorenzo il<br />

Magnifico, e di Angelo Poliziano.<br />

Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico analizziamo Il cor mio lasso in mezzo<br />

all’angoscioso petto e Tante vaghe bellezze ha in sé raccolto.<br />

Sono due sonetti, il primo di schema ABBA ABBA CDE CDE, il secondo ABBA ABBA<br />

CDE EDC. In entrambi sono numerosi gli enjambements, quindi il ritmo è abbastanza rapido<br />

e scorrevole.<br />

Per ciò che concerne Angelo Poliziano analizziamo I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino<br />

e Ben venga maggio.<br />

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35


Il primo componimento è una ballata, o “canzone a ballo”, di endecasillabi, con rime<br />

ABABBX per la strofa, XX per la ripresa. L’ultima parola del componimento, giardino,<br />

coincide con l’ultima della ripresa.<br />

Vi sono pochi enjambements ( vv.1-3-6-7-13-14-17-30 ); da notare alcuni versi spezzati (<br />

vv.1-4-5-9-11-16-17-21-23-25-28-30 ).Oltre che da questi elementi, il ritmo è determinato<br />

anche dalla serie anaforica quando … quando … quando ai versi 24 e 25.<br />

Il secondo componimento è, anch’esso, una ballata ( destinata ad essere cantata con<br />

accompagnamento musicale ) di tutti settenari, con otto strofe di schema ababbx ( x sempre in<br />

maggio ), ripresa xx formata da un quinario e da un settenario.<br />

Sono presenti alcuni enjambements ( vv.1-3-7-9-11-13-15-17-19-21-23-25-27-33-36-37-<br />

39-47-49 ), ma in misura minore rispetto ai versi spezzati. Possiamo affermare che il ritmo di<br />

entrambe le poesie è piuttosto lento.<br />

6.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Per comprendere che tipo di linguaggio usano i due poeti prenderemo spunto dall’ Epistola<br />

proemiale che fa capo a tutta una raccolta di testi poetici toscani che Lorenzo il Magnifico<br />

inviò a Federico di Aragona nel 1477. L’Epistola proemiale e probabilmente la stessa scelta<br />

dei testi della raccolta, si devono al Poliziano, che parla però in nome di Lorenzo.<br />

Questo testo è di grande importanza nell’ambito di quel processo di rivalutazione del<br />

volgare che caratterizza tutto il Quattrocento. Lorenzo Il Magnifico e Poliziano, assieme a<br />

tanti altri poeti loro contemporanei, operarono concretamente quella controtendenza che<br />

mirava a riconoscere dignità al volgare, a restituirgli campi d’uso non subalterni, a sostituirlo<br />

al Latino come lingua di cultura. Si possono apprezzare, grazie a loro, opere di qualità in<br />

volgare, sia in ambito poetico che prosastico. La ripresa del volgare, soprattutto, ma non solo,<br />

in ambito letterario, è guidata lungo le linee che avevano ispirato l’elaborazione linguistica e<br />

stilistica del Petrarca, anche se non con gli stessi risultati: il volgare degli umanisti cerca<br />

ispirazione nei classici latini, sia pur indirettamente, e cerca di competere con il Latino<br />

umanistico in dignità, eleganza e raffinatezza. Ecco perché vi è una forte frequenza di<br />

latinismi in ambito lessicale.<br />

Ritornando all’Epistola, Poliziano pone in rilievo i sommi Dante e Petrarca, ma anche tutti<br />

gli altri poeti che fanno parte dell’intera tradizione poetica.<br />

Possiamo asserire, quindi, che il linguaggio adoperato dagli umanisti, come Lorenzo il<br />

Magnifico e Poliziano, è assolutamente aderente a quello volgare della produzione del<br />

Petrarca.<br />

6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE<br />

Prendiamo in esame I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino. In questa lirica, che è fra le più<br />

belle e celebri del Poliziano e dell’intero Quattrocento, un giardino lussureggiante in<br />

primavera è metafora della giovinezza; il far ghirlande, il coglier la rosa mentre è più fiorita,<br />

significano goder la giovinezza; la sfioritura ( prima che sua bellezza sia fuggita v.27 ) evoca<br />

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36


il declino della giovinezza. Il messaggio che chiude il componimento ( sicché, fanciulle,<br />

mentre è più fiorita,/ coglian la bella rosa del giardino ) è poi un equivalente del celebre<br />

“carpe diem” oraziano. L’invito a godere la vita nella sua stagione migliore ha origine, in una<br />

lunga tradizione, dalla constatazione della labilità della vita e della giovinezza stessa. Emilio<br />

Bigi, sintetizzando i temi più tipici della lirica giovanile del Poliziano, ha parlato di 16<br />

L’invito edonistico a godere dei piaceri, espresso tramite la metafora del “cogliere la rosa”,<br />

torna più volte nella letteratura quattrocentesca, e si concretizza nel godere i piaceri<br />

dell’amore: ecco la vena sensuale, libera da ogni senso di peccato, che in qualche modo<br />

contrasta con il petrarchismo (ispirato al platonismo, tipicamente rinascimentale, che<br />

affermava la spiritualizzazione dell’amore). Da tutto ciò ricaviamo che la posizione di<br />

Poliziano è del tutto laica: se le cose belle sono effimere, bisogna goderle prima che esse si<br />

dileguino.<br />

Riassumendo quelli che sono i temi prediletti alla lirica d’amore quattrocentesca,<br />

possiamo evidenziare la rappresentazione di un mondo di serena ed equilibrata gioia vitale e<br />

la fiducia ottimistica nella vita, nella natura e nell’uomo.<br />

Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico vi è una disparata gamma di interpretazioni<br />

critiche. Ciò è dato dall’ eterogeneità della sua produzione, dalla presenza di temi spesso<br />

contraddittori. Alcuni critici hanno parlato di “dilettantismo”, altri di “intellettualismo”, c’è<br />

chi ha messo in discussione la sincerità d’ispirazione, chi ha individuato un impegno nella<br />

realtà, chi contrariamente ha messo in evidenza il desiderio di evasione, chi ha tentato di<br />

coniugare i due aspetti.<br />

Sicuramente vi è una forte componente di eclettismo, probabilmente causata dai suoi<br />

impegni politici, che non gli hanno permesso di aspirare ad una fama esclusivamente dovuta<br />

alle sue opere letterarie. Premesso questo, non si possono negare le sincere motivazioni<br />

all’esercizio e alla sperimentazione letteraria. 17<br />

Per quanto riguarda Poliziano, la critica tende a porre in rilievo la questione che riguarda<br />

l’idea che egli aveva di funzione dell’arte, cioè cosa fossero per lui poesia e filologia. Eugenio<br />

Garin, ad esempio, parla di :<br />

un culto della parola che si esplica in un interesse profondo, rigoroso ed analitico per tutti i<br />

documenti e le testimonianze del passato investigati e compresi con un acuto senso della loro<br />

storicità.<br />

Per ciò che concerne il suo stile, ne richiamiamo i concetti chiave tratti dall’epistola al<br />

Cortese: rifiuto della rigida imitazione di un unico modello, per quanto possa considerarsi<br />

“ottimo” ( nel caso specifico Cicerone ) , affermazione della necessità di imitare tutti gli<br />

autori che presentino qualche pregio, in un processo di assimilazione e interiorizzazione della<br />

parola degli antichi che costituisce il fondamento dell’originalità stilistica individuale. Questa<br />

concezione dell’imitazione giustifica l’applicazione della formula “docta varietas” per<br />

definire gusto, ideale estetico e pratica dello stile polizianei. La concreta analisi delle pagine<br />

16<br />

La citazione di E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana, UTET,<br />

Torino 1986, p.384<br />

17<br />

La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato.<br />

37<br />

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poetiche di Poliziano, in volgare e in Latino, dimostra l’incidenza di tale gusto: echi diversi,<br />

diverse reminiscenze, calchi e citazioni anche dissonanti per provenienza e qualità, ora attinti<br />

ai citati modelli letterari classici, ora viceversa a componimenti di andamento popolare, si<br />

intrecciano in complessi e originalissimi impasti. Siamo vicini a quel gusto e a quella pratica<br />

linguistica e stilistica, ispirati all’ibridismo tipicamente quattrocentesco 18 .<br />

Comunque, anche se non linearmente, la tendenza degli ultimi decenni del Quattrocento è<br />

di fare del petrarchismo un momento sempre più centrale dell’elaborazione lirica, sul piano<br />

tematico e su quello formale.<br />

6.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per ricercare le prime dieci parole adoperate dai lirici del Quattrocento abbiamo<br />

considerato i seguenti autori con relative opere:<br />

Lorenzo dei Medici<br />

• Canzoniere<br />

• Poemetti in terzine<br />

• Rime in forma di ballata: Laude 1 – 9; Ballate 1 – 29; Canti carnascialeschi 1 – 11<br />

• Poemetti in ottava rima: Ambra; Nencia; Selva 1; Selva 1, 142; Selva 2; Selva 2, 31<br />

Angelo Poliziano:<br />

• Rime<br />

Jacopo Sannazaro:<br />

• Arcadia<br />

• Sonetti<br />

• Canzoni<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:<br />

POETI DEL QUATTROCENTO % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 0,50 5,0<br />

2 Cor(e) 0,39 3,9<br />

3 Bellezza, bel, bella 0,38 3,8<br />

4 Dolce(zza) 0,29 2,9<br />

5 Sol(e) 0,29 2,9<br />

6 Occhi 0,27 2,7<br />

7 Tempo 0,20 2,0<br />

8 Ciel(o) 0,19 1,9<br />

9 Vita 0,17 1,7<br />

10 Morte 0,16 1,6<br />

Si nota chiaramente che le parole sono le stesse che usa Petrarca, con qualche leggero<br />

cambiamento che riguarda la posizione nella classifica. Anche le percentuali di frequenza<br />

18 La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato.<br />

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38


isultano abbastanza simili, oscillando tra l’1,5 e il 6 x 1000. Questo dimostra la forte<br />

dipendenza dei poeti del Quattrocento dal modello petrarchesco<br />

Grafico esplicativo:<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

5,0<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

FREQUENZE POETI DEL QUATTROCENTO<br />

3,9 3,8<br />

Cor(e)<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

2,9 2,9 2,7 2,0 1,9 1,7 1,6<br />

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Dolce(zza)<br />

Sol(e)<br />

Occhi<br />

Tempo<br />

Ciel(o)<br />

Vita<br />

Morte<br />

39


<strong>IL</strong> PETRARCHISMO<br />

La poesia del Cinquecento è caratterizzata dal Petrarchismo, esperienza poetica che<br />

consiste nell’imitazione di Petrarca, considerato il modello assoluto della lirica d’amore. È in<br />

questo momento che il linguaggio del petrarchismo diventa il codice letterario principe, base<br />

di ogni esperienza letteraria. Analizzeremo, in questo capitolo, varie esperienze poetiche:<br />

quella di Pietro Bembo, quella di Ludovico Ariosto, quella di Gaspara Stampa, quella di<br />

Mons. Della Casa, quella di Vittoria Colonna, per concludere con Torquato Tasso, il quale –<br />

pur nella sua originalità poetica – dal punto di vista della materia amorosa può essere<br />

considerato un petrarchista.<br />

7.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

Dal punto di vista metrico i Petrarchisti seguono, ovviamente, la lezione del Petrarca, che –<br />

come già era accaduto nel Quattrocento – rimane il modello fondamentale. Tuttavia è<br />

possibile individuare alcuni mutamenti di rilievo.<br />

Innanzitutto la ballata; essa subisce cambiamenti, con l’introduzione dei versi ottonari ed<br />

in seguito tenderà a sparire.<br />

Il madrigale cambia completamente struttura: diventa un componimento eterometrico, con<br />

l’alternanza di endecasillabi e settenari, disposti liberamente, con schemi a piacere; i versi<br />

restano meno di 14.<br />

La sestina perde praticamente ogni rilievo e non ha più alcuna importanza.<br />

La canzone resta quella codificata da Petrarca, ma inizia a subire qualche variazione. Ad<br />

esempio Annibal Caro in Manca il fior non divide più piedi e volte.<br />

Accanto ai metri tradizionali si fanno, tuttavia, strada nuove forme compositive. Le<br />

principali sono le seguenti:<br />

1) L’ode oraziana: ispirata al poeta latino Orazio; è formata da brevi strofe di 4 – 6 versi<br />

endecasillabi e settenari; gli schemi più usati sono: ABBA, aBbA, aBbACc, aBabB,<br />

AbBA, AbbA, Abba. Il primo ad introdurla è Pietro Bembo, con Io vissi pargoletta. In<br />

seguito l’ode diventerà la concorrente più forte della canzone.<br />

2) L’ode pindarica: è l’altra concorrente della canzone, ispirata al poeta Pindaro. È<br />

formata da tre parti: strofe-antistrofe-epodo, strutturati secondo la metrica petrarchesca.<br />

In Alamanni abbiamo lo schema seguente: abCabCcdddDfF (prime due strofe),<br />

ghIghIikllkmM (terza strofa)<br />

Prendendo in considerazione la produzione lirica dei vari poeti da noi analizzati, possiamo<br />

affermare che la maggior parte dei componimenti usati sono, comunque, sonetti. Per fare<br />

qualche esempio citiamo: Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura ( schema metrico: ABBA<br />

per le quartine; CDE e DEC per le terzine ) e Solingo augello, se piangendo vai ( schema<br />

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40


metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Pietro Bembo; Dal vivo fonte<br />

del mio pianto eterno ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE per le terzine ) e Occhi<br />

miei, oscurato è il nostro sole ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDD per le terzine )<br />

di Vittoria Colonna; Voi, ch’ascoltate in queste meste rime ( schema metrico: ABBA per le<br />

quartine; CDE per le terzine ) e Rimandatemi il cor, empio tiranno ( schema metrico: ABBA<br />

per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Gaspara Stampa; Chiuso era il sol da un<br />

tenebroso velo (schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e EDC per le terzine) e O<br />

sicuro, secreto e fidel porto ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le<br />

terzine ) di Ludovico Ariosto; D’un alto monte onde si scorge il mare ( schema metrico:<br />

ABAB per le quartine; CDE per le terzine ) e Scrissi con stile amaro, aspro e dolente (<br />

schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e CED per le terzine ) di Isabella De Mora.<br />

Abbiamo anche componimenti diversi dal sonetto, ma in minor numero. Citiamo, ad<br />

esempio, Voi mi poneste in foco di Bembo, canzonetta di settenari e endecasillabi, secondo lo<br />

schema aBABbbB, senza congedo; Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico<br />

Ariosto, madrigale con rime secondo lo schema ABCaBcDD.<br />

7.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Come possiamo intuire dal titolo del capitolo, il “Petrarchismo”, la produzione di questi<br />

poeti rimanda a quella di Francesco Petrarca ( 1304 Arezzo - 1374 Arquà ). Analizzando ogni<br />

singolo componimento lirico di Bembo, di Ariosto, della Stampa, Della Colonna, si notano<br />

forti influssi del Canzoniere petrarchesco, che a volte si traducono in veri e propri casi di<br />

imitazione ( come Voi, ch’ascoltate in queste meste rime e Mesta e pentita de’ miei gravi<br />

errori di Gaspara Stampa ).<br />

Il linguaggio e la sintassi della maggior parte dei componimenti sono fluidi, lineari, senza<br />

forti spezzature.<br />

Sarà utile aprire una parentesi sulla riflessione sulla lingua e sulla letteratura di Pietro<br />

Bembo, per capire meglio alcuni aspetti del linguaggio lirico che stiamo analizzando.<br />

In direzione critica e di poetica, egli determina e sancisce l’affermazione della teoria<br />

dell’ottimo modello ( e precisamente di un duplice modello prosastico e poetico: Cicerone e<br />

Virgilio per il Latino, Boccaccio e Petrarca per il Toscano ). Nell’ambito della discussione<br />

linguistica, egli propugna con successo la tesi del fiorentino letterario, espresso dai due grandi<br />

trecentisti in particolare. In direzione più strettamente poetica, poi, Bembo propone<br />

un’esperienza poetica vissuta tutta all’insegna di una sempre più profonda e consapevole<br />

appropriazione del mondo ideale e immaginario, della forma espressiva e dello stile del<br />

modello petrarchesco.<br />

Abbiamo, nel Cinquecento, un ritorno alla lettura diretta e approfondita del Petrarca e,<br />

contemporaneamente, il rifiuto consapevole e polemico dell’eclettismo-ibridismo<br />

quattrocentesco.<br />

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41


7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Il Petrarchismo cinquecentesco è permeato di neoplatonismo; si propone come<br />

un’esemplare vicenda d’anime che, attraverso l’esperienza d’amore, mirano ad elevarsi e a<br />

cogliere il senso della bellezza e della bontà divina; è, inoltre, una vicenda di ingentilimento e<br />

di perfezionamento spirituale.<br />

Questa corrente lirica fonde insieme due diverse letture del piano tematico: quella<br />

platonizzante e quella cristiana. La prima è la consueta vicenda d’amore che si nutre di<br />

sospiri, di ricordi, di immagini mentali, di languide contemplazioni, di idoleggiamenti della<br />

persona amata e degli oggetti e dei luoghi delle sue epifanie; la seconda è la vicenda di un<br />

amore terreno nutrito di ansie, sospiri, ardori, errori, che, col trascorrere del tempo, viene<br />

giudicato come traviamento e lascia il posto a un progressivo riaccostamento penitente a Dio.<br />

Queste due letture sono legate in un rapporto dialettico, e i poeti materializzano nei loro<br />

versi questa fusione.<br />

Il madrigale Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico Ariosto, ci propone<br />

l’analisi della tematica della morte come conseguenza della bellezza della donna amata: il<br />

poeta non sa condividere la dominante visione terribile della morte, perché per lui essa<br />

diviene la somma di tutta la felicità possibile.<br />

La canzonetta Voi mi poneste in foco, testimonianza della prima fase della ricerca lirica di<br />

Pietro Bembo, verte su . 19<br />

Secondo Luperini 20<br />

7.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per elencare le dieci parole più usate dai petrarchisti, abbiamo preso in esame i seguenti<br />

autori con i relativi testi:<br />

• Ludovico Ariosto: Rime<br />

• Pietro Bembo: Rime<br />

• Mons. Giovanni Della Casa: Rime<br />

19 La citazione è tratta da “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960.<br />

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42


• Gaspara Stampa: Canzoniere<br />

• Vittoria Colonna: Rime<br />

• Torquato Tasso: Rime<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:<br />

PETRARCHISTI % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 0,47 4,7<br />

2 Bellezza, bel, bella 0,44 4,4<br />

3 Ciel(o) 0,43 4,3<br />

4 Sol(e) 0,41 4,1<br />

5 Cor(e) 0,32 3,2<br />

6 Dolce(zza) 0,30 3,0<br />

7 Alma 0,19 1,9<br />

8 Occhi 0,17 1,7<br />

9 Luce 0,16 1,6<br />

10 Mondo 0,15 1,5<br />

Grafico delle frequenze:<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

4,7 4,4 4,3 4,1<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

FREQUENZE PETRARCHISTI<br />

Ciel(o)<br />

Sol(e)<br />

3,2 3<br />

Cor(e)<br />

1,9 1,7 1,6 1,5<br />

Si può notare che le parole usate sono sostanzialmente quelle di Petrarca con qualche<br />

leggero scostamento e con qualche eccezione: morte non è tra le prime dieci parole usate dai<br />

petrarchisti, ma si colloca all’ 11° posto con l’1,4 x 1000; alma e mondo non sono tra le prime<br />

dieci parole usate da Petrarca, ma hanno in Petrarca una frequenza, rispettivamente, dell’ 1,5<br />

x 1000 e dell’1,8 x 1000, che sono assai vicine ai valori dei petrarchisti.<br />

Anche in questo caso, dunque, come in quello dei poeti del Quattrocento, appare netta ed<br />

evidente la dipendenza degli autori esaminati dal modello petrarchesco.<br />

20 La citazione è tratta da”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani<br />

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Dolce(zza)<br />

Alma<br />

Occhi<br />

Luce<br />

Mondo<br />

43


<strong>IL</strong> MARINISMO<br />

In Italia, nel ‘600, Marino è il caposcuola di una nuova tendenza poetica, definita in<br />

seguito lirica barocca, dal nome adoperato dagli Illuministi, in senso dispregiativo, per<br />

caratterizzare tutto il secolo precedente ad essi.<br />

Assieme a Marino, analizzeremo anche altri esponenti di questa corrente, come ad esempio<br />

Claudio Achillini, Tommaso Stigliani, Ciro Di Pers, Giacomo Lubrano e Federico Meninni.<br />

8.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

La produzione lirica dei marinisti verte soprattutto sul sonetto, ma comprende anche le<br />

altre forme metriche tipiche della tradizione poetica italiana, come canzoni, odi, madrigali,<br />

che abbiamo visto precedentemente.<br />

Per quanto riguarda Marino, possiamo citare Onde dorate (sonetto secondo lo schema<br />

ABBA ABBA per le quartine, e CDC DDC per le terzine); Amorosa animazione (sonetto<br />

secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDE CDE per le terzine); Al sonno (sonetto<br />

secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le terzine); Invita la sua<br />

ninfa all’ombra (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le<br />

terzine).<br />

Per quanto riguarda gli altri marinisti possiamo ricordare La mina, sonetto secondo lo<br />

schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Claudio Achillini; Cedri fantastici variamente figurati<br />

negli orti reggitani, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Giacomo<br />

Lubrano; Orologio da rote, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Ciro Di<br />

Pers; Condizione della vita umana, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di<br />

Federico Meninni.<br />

Per quanto concerne i componimenti diversi dal sonetto, citiamo due madrigali di Marino<br />

(Or lieve ape foss’io e Vidi anch’io tutta ignuda) e il madrigale di settenari ed endecasillabi<br />

(schema: aaBbCcDD) Scherzo di immagini di Tommaso Stigliani.<br />

8.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

I tratti principali del linguaggio barocco sono: il sensualismo, il gusto per il dato fisico e<br />

concreto del reale, l’immissione nel tessuto poetico del brutto, del grottesco e del macabro; le<br />

tecniche della catalogazione e della variazione, quasi dell’inventariamento delle possibili<br />

situazioni tematiche e dei possibili oggetti poetabili; il gusto dello straniamento di situazioni<br />

comuni o della ricerca di situazioni insolite, paradossali; il gusto per i giochi prospettici e per<br />

le metamorfosi (illusionismo) e il concettismo.<br />

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44


Dato fondamentale, poi, è anche il riuso della tradizione, e cioè la “rifunzionalizzazione dei<br />

materiali poetici tradizionali”. I marinisti prendono spunto soprattutto dal Petrarca e creano un<br />

repertorio originale, che coniuga la pura classicità con la libertà e il gusto del poeta. Il Getto<br />

scrive: . 21<br />

8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Per quanto riguarda le tradizionali immagini della lirica d’amore, quali la rappresentazione<br />

della donna e della natura e il tema d’amore, i lirici barocchi convertono l’astrattezza, la<br />

spiritualità, l’atemporalità delle raffigurazioni in concretezza, fisicità, determinazione e, nel<br />

caso delle bellezze muliebri, in sensualità e lascivia.<br />

Accanto al tema della bellezza naturale o muliebre, volta dall’astratto al concreto, si<br />

insinuano temi e motivi impensabili nella precedente tradizione: il brutto, il grottesco, il<br />

deforme, l’eccentrico, il bizzarro, e persino il lugubre e il macabro. Tutto ciò è un<br />

ampiamento delle cose poetabili, che deve essere ricordato tra le più importanti e anticipatrici<br />

delle innovazioni barocche.<br />

Attraverso la tecnica della catalogazione e della variazione abbiamo l’immissione di nuovi<br />

temi. Così, ad esempio, alle donne bionde della tradizione si aggiungono le castane, le brune e<br />

le rosse, con molti nuovi attributi; così si introducono donne che leggono ( magari con gli<br />

occhiali ), che danzano, che corrono, che nuotano, e via dicendo. Quindi gli stessi schemi<br />

della classicità si applicano alla “bellissima natatrice”, alla “bellissima mendica”, alla<br />

“bellissima filatrice”, alla ”bella sartora”, alla “bella ballarina”, alla “bella donna frustata”, o<br />

ancora, mutando materia, a una grandissima varietà di oggetti, fiori, frutti, ortaggi, piante e<br />

animali ( perle, coralli, oro, argento, topazi, rubini, rose, gigli, girasoli, melograni, pomo,<br />

pere, cipolle, viti, cedri, usignoli, pavoni, lucciole, zanzare, farfalle … ).<br />

Le poesie barocche sono il terreno per un realismo fisico ed esteriore, alieno da ogni<br />

approfondimento affettivo e psicologico: raramente le figure si animano di una vita interiore,<br />

gli eventi acquistano echi sentimentali e i paesaggi si fanno specchio dei moti dell’animo.<br />

Già nel Seicento vi erano state forti polemiche nei confronti della , delle soluzioni bizzarre, ai limiti dell’assurdo, che caratterizzavano i<br />

componimenti del Marino e dei suoi seguaci.<br />

Nel Settecento questo giudizio negativo si consolidò, soprattutto quando, sotto la spinta<br />

dell’esperienza francese, anche i letterati italiani più avvertiti, iniziarono a proporre un nuovo<br />

modello di creatività letteraria, razionalmente ispirato ad un nuovo ideale di ,<br />

lontano da ogni estremismo.<br />

21 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/ Grosser, Principato.<br />

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45


Francesco De Sanctis, critico dell’Ottocento risorgimentale, accentua ancora<br />

maggiormente il giudizio negativo sulla lirica marinista, ritendendola espressione di un’età di<br />

servilismo, e contrapponendola (sul piano morale e politico) all’esperienza di Galilei, Sarpi,<br />

Campanella (fautori del ).<br />

Solo nel 1910 la critica italiana mostrò un nuovo interesse per il Seicento.<br />

Benedetto Croce propose, come primo volume della collana “Scrittori d’Italia” pubblicata<br />

da Laterza, la sua antologia dei “Lirici marinisti”. Pur non scagionando il Barocco dalle<br />

accuse tradizionali, egli offrì per la prima volta una serie di testi che fino a quel momento<br />

erano stati piuttosto giudicati che letti.<br />

Giovanni Getto, l’unico critico al quale va il merito di avere sottoposto la lettura del<br />

Barocco italiano ad una più profonda interpretazione della Civiltà barocca, colse nella<br />

metafora il segno di qualche ricerca, che rappresenta la tensione di una civiltà al<br />

rinnovamento dei suoi riferimento ormai da secoli consolidati. 22<br />

8.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per quanto concerne l’analisi delle parole più adoperate possiamo procedere, anche in<br />

questo caso, in modo analogo ai precedenti. Di Marino abbiamo analizzato La Galeria,<br />

mentre per quanto riguarda i lirici marinisti sono stati presi in considerazione alcuni poeti<br />

riportati nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4° con le relative opere. Essi sono: T. Stigliani, M.<br />

Macedonio, S. Caetano, G.B. Manso, F. Balducci, F. Della Valle, S. Enrico, G.B. Basile, B.<br />

Cusano, G. Palma, G.A. Rovetti, B. Tortoletti, M. Barberino, P.G. Orsino, G. D’Aquino, M.<br />

Romagnosi, G. Grosso, A. Galeani, G.B. Pucci, A.M. Narducci, T. Sbarra, F. Massini, C.<br />

Abbelli, L. Tingoli, F. Marcheselli, P. Abriani, F. Bracciolini, A. Barbazzo, A. Fortini, A.<br />

Augustini, M. Arlotto, F. Leonida, G. Saracini, P.P. Bissari, C. Trivulzio, G. F. Cormani, E.<br />

Stampa, A. Mancini, D’Incerto, M. Lunghi, A. De Rossi, G. Fontanella, G. Salomoni, B.<br />

Morando, Brignole Sale, P. Michiele, P. Zazzaroni, L. Quirini, A. Basso, V. Zito, A.<br />

Muscettola, Ciro Di Pers, G. Battista, G. Artale, G. Lubrano, G. Canale, F. Mennini, L.<br />

Casaburi, T. Gaudiosi, B. Dotti, A. Perrucci.<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:<br />

MARINISTI % X 1000<br />

1 Bellezza, bel, bella 0,58 5,8<br />

2 Amor(e), amoroso/a 0,47 4,7<br />

3 Sol(e) 0,34 3,4<br />

4 Ciel(o) 0,33 3,3<br />

5 Cor(e) 0,31 3,1<br />

6 Morte 0,25 2,5<br />

7 Occhi 0,18 1,8<br />

8 Seno 0,16 1,6<br />

9 Vita 0,14 1,4<br />

10 Dolce(zza) 0,13 1,3<br />

22 Da “Il giudizio sul Barocco” tratto da BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla<br />

Storia al testo” PARAVIA, Vol. C p.<br />

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46


X 1000<br />

Grafico delle frequenze:<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

5,8<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

4,7<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

FREQUENZE MARINISTI<br />

3,4 3,3 3,1 2,5 1,8 1,6 1,4 1,3<br />

Sol(e)<br />

Ciel(o)<br />

Cor(e)<br />

Rispetto ai poeti fin qui analizzati notiamo qualche novità interessante.<br />

Le prime dieci parole sono, in sostanza, le stesse degli altri lirici, e sono derivate dal<br />

lessico petrarchesco. Tuttavia, tra queste, si nota il termine seno (1,6 x 1000) che era<br />

pressochè assente nei poeti fin qui esaminati (0,4 x 1000 nei petrarchisti, al di sotto dello 0,1 x<br />

1000 in tutti gli altri). Il termine seno richiama alla sensualità, tipica del Barocco, e<br />

rappresenta un’innovazione rispetto alla tradizione. Andando oltre i primi dieci vocaboli,<br />

troviamo altri termini innovativi, scarsamente adoperati dai rimatori precedenti, come capelli,<br />

crine, amante (1,0 x 1000); bacio, baciare (0,97 x 1000); sangue (0,96 x 1000). Ciò denota la<br />

tendenza innovativa del linguaggio dei marinisti, anche se – riferendoci alle parole più<br />

adoperate – il lessico permane nel suo insieme tradizionale e conservativo e continua a<br />

seguire la lezione del maestro Petrarca.<br />

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Morte<br />

Occhi<br />

Seno<br />

Vita<br />

Dolce(zza)<br />

47


<strong>IL</strong> CLASSICISMO BAROCCO<br />

Sempre nel Cinquecento assistiamo alla nascita di una corrente molto diversa dal<br />

Marinismo, intenzionalmente antibarocca, in cui spiccano Gabriello Chiabrera (1552-1638),<br />

celebre per le sue odi pindariche e le canzonette anacreontiche, Alessandro Guidi, autore di<br />

varie opere di stampo classicista, tra cui Endimione, e Fulvio Testi (1593-1646), celebre per le<br />

odi che scrisse riprendendo i modelli di Orazio e Pindaro.<br />

9.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

I poeti del Classicismo barocco sono grandi innovatori per quanto riguarda la metrica; anzi<br />

li potremmo definire dei veri campioni dello sperimentalismo metrico. Chiabrera e Testi<br />

adoperano un modello di canzone, nella quale non vi è più separazione tra i piedi della fronte<br />

e le volte della sirma. Alessandro Guidi, addirittura, varia lo schema della canzone di strofa in<br />

strofa, sia per quanto riguarda la lunghezza, sia per quanto riguarda la struttura.<br />

Questi poeti sono poi creatori di nuove forme metriche. Tra le forme da loro introdotte,<br />

che si affiancano ovviamente a quelle della tradizione, ricordiamo le seguenti:<br />

1) la canzonetta anacreontica: ispirata al poeta Anacreonte, rimodellata da Chiabrera; è<br />

composta da versi in prevalenza corti (quadrisillabi, senari, quinari), tra cui alcuni sono<br />

sdruccioli; le strofe generalmente non hanno più di sei versi; vari sono gli schemi<br />

metrici, tra cui a8a4b8c8c4b8 ; è detta anche canzonetta melica<br />

2) la strofa alcaica: ad imitazione del poeta Alceo, introdotta da Chiabrera; è composta da<br />

quattro versi: i primi due ottenuti legando un quinario piano con un quinario<br />

sdrucciolo, il terzo verso è un novenario anapestico (accenti sulle sillabe 2°,5°,8°), il<br />

quarto verso è un decasillabo trocaico (accenti sulle sillabe 1°,3°,5°,7°,9°)<br />

3) la strofa asclepiadea: di imitazione oraziana, introdotta da Chiabrera; per rendere il<br />

ferecrazio Chiabrera usò il settenario piano, il gliconio lo rese con il settenario<br />

sdrucciolo, l’asclepiadeo fu reso in vari modi: endecasillabi sdruccioli o doppi quinari<br />

sdruccioli<br />

Per quanto riguarda Chiabrera, la sua produzione poetica si esprime in canzonette e metri<br />

per musica, “leggerissime cose”, tutte fondate sull’eleganza dei ritmi e l’esile fluidità dei<br />

metri 23 .<br />

Le raccolte a cui tale produzione è riferita sono le seguenti: ”Canzonette” (Genova 1591),<br />

“La maniera de’ versi toscani” (ivi 1599), “Scherzi e canzonette morali” (ivi 1599),<br />

“Vendemmie di Parnaso” (in “Rime”, Venezia 1605, parte I).<br />

Nelle “Canzonette” la varietà dei temi e dei metri si muove, tuttavia, ancor decisamente<br />

dentro il solco della tradizione toscana. A giudizio di Asor Rosa


sulla struttura del componimento, per tentare di trarne, attraverso l'accostamento audace dei<br />

versi di misura molto diversa fra loro e l’uso fortemente ritmico della rima, effetti di<br />

musicalità dolce ed allegra nello stesso tempo>> 24 .<br />

Lo schema metrico che ricorre più frequentemente in questa raccolta e che, forse,<br />

rappresenta il risultato più originale del Chiabrera, è la canzonetta formata di ottonari e<br />

quaternari, secondo lo schema AaBbCcB: ai primi due versi, legati da una rima baciata,<br />

corrispondono gli altri quattro versi stretti in forte unità fra loro (il primo rima col quarto, il<br />

secondo col terzo), spezzati proprio sul finire del quaternario rapido e sorridente (il quinto<br />

verso della strofa), che alleggerisce la voluta sentenziosità dell’immagine tematica.<br />

A tale genere di componimenti appartengono le due canzonette Belle guance e Belle rose<br />

porporine. Nella “Maniere de’ versi toscani” l’esperimento si spinge, invece, fino in fondo, e<br />

l’imitazione dei classici diviene preponderante. Chiabrera, infatti, tende a riprendere<br />

direttamente metri o modi stofici propri della poesia greco-latina (soprattutto versi giambici e<br />

trocaici). Il suo tentativo consiste, in sostanza, nel rileggere i versi italiani secondo le<br />

possibilità della metrica antica e nel realizzare su questa base nuove e inusitate combinazioni.<br />

Nella canzonetta Dolci miei sospiri, lo schema metrico è aabccb, e i versi sono trocaici<br />

dimetri ammezzati.<br />

Nella canzonetta La violetta lo schema metrico è aaBccB (dove B sono i versi giambici, e<br />

gli altri sono trocaici).<br />

Per quanto riguarda Fulvio Testi, dopo aver esordito nel 1617 con un volume di liriche di<br />

evidente influsso marinistico, divenne deciso campione dell’antimarinismo, accostandosi al<br />

Chiabrera. Anch’egli, nelle “Odi”, si rifà al modello pindarico attraverso l’esempio di Orazio.<br />

Prendiamo, ad esempio, l’ode A Cintia: la strofe esastica, che qui vediamo, deriva dalla<br />

precedente per l’abbreviazione del terzo verso (settenario) e l’aggiunta di un distico rimato<br />

(ABbACC). Tale struttura è una delle più usate dal Testi per le odi di carattere erotico.<br />

9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI<br />

Analizzando il lessico di Belle rose porporine, del Chiabrera, osserviamo l’uso ricorrente<br />

del diminutivo e del vezzeggiativo per rendere il senso dell’atmosfera rarefatta e irrealistica<br />

(v.25 auretta; v.26 erbetta; v.28 praticello; v.31 zeffiretto).<br />

Nella canzonetta Belle guance, l’immaginazione naturalistica e paesistica è mostrata<br />

attraverso espressioni iperboliche come nei primi tre versi : bella guancia che disdori/ gli almi<br />

amori,/ che sul viso ha l’alma Aurora.<br />

Per Testi, riferendoci sempre all’ode A Cintia, possiamo affermare che nel suo classicismo<br />

si insinuano elementi manieristici, soprattutto per il richiamo alla mitologia. Nonostante ciò<br />

rimane un grande esempio di classicità, sia per la fattura stilistica, sia per la grande sapienza e<br />

misura retorica.<br />

24 La citazione è tratta da “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori<br />

Laterza.<br />

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49


9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

In Belle rose porporine, del Chiabrera, possiamo trovare termini e definizioni stereotipate,<br />

di veri e propri “topoi” stilistici, tipici della lirica d’amore: V.1 belle rose porporine; v.7 rose<br />

preziose; v.12 bel sorriso; vv.37-38 fior vermigli / gigli, v.10 bel guardo.<br />

Così come in Dolci miei sospiri compaiono: vv.1-2 sospiri / martiri; vv.11-12 amor<br />

crudele / mio dolore; v.15 desio; v.20 lunga fede; v.23 gran beltate; v.37 fiamma ardente.<br />

In A Cintia del Testi, il motivo dominante è quello oraziano di godere e far godere delle<br />

proprie bellezze fin quando l’età giovanile lo permette. Questo è un luogo comune della<br />

poesia erotica classica, ma allo stesso tempo è anche estremamente frequente presso i poeti<br />

quattrocenteschi e in quelli barocchi contemporanei a Testi ( vedi Marino in Ninfa avara).<br />

Alberto Asor Rosa così si esprime a proposito di Chiabrera: 25 .<br />

9.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per quanto concerne le parole adoperate, abbiamo scelto di analizzare un’ intera opera,<br />

L’Endimione di Alessandro Guidi.<br />

Ecco la tabella con le frequenze delle dieci parole più usate ed il relativo grafico:<br />

25 Da “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco” Carlo Muscetta,<br />

Alberto Asor Rosa<br />

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50


CLASSICISTI % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 1,45 14,5<br />

2 Bellezza, bel, bella 0,77 7,7<br />

3 Cor(e) 0,39 3,9<br />

4 Morte 0,29 2,9<br />

5 Alma 0,23 2,3<br />

6 Sol(e) 0,22 2,2<br />

7 Luce, Mente, Selva 0,20 2,0<br />

8 Lume, Seno 0,19 1,9<br />

9 Occhi, Dolcezza, Ciel(o) 0,17 1,7<br />

10 Virtute, Pietà, Dea, Destino 0,16 1,6<br />

X 1000<br />

Grafico delle frequenze:<br />

20<br />

18<br />

16<br />

14<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

14,5<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

7,7<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

OCCORRENZE ALESSANDRO GUIDI<br />

3,9 2,9 2,3 2,2 2 1,9 1,7 1,6<br />

Cor(e)<br />

Morte<br />

Alma<br />

Si nota che il linguaggio continua a seguire la lezione di Petrarca, e infatti molti sono i<br />

termini comuni tra Guidi e il Maestro; ad esempio: Amor(e), Bello, Bellezza, Cor(e), Sol(e),<br />

Morte … Tuttavia alcuni termini introdotti dal Barocco sono presenti anche nel classicista<br />

Guidi; tra questi spicca il vocabolo seno (1,9 x 1000). Sostanzialmente dal punto di vista<br />

delle parole adoperate le novità, rispetto a quanto detto fin qui, non sono molte.<br />

Sol(e)<br />

Luce,<br />

Mente,<br />

Selva<br />

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Lume,<br />

Seno<br />

Occhi,<br />

Dolcezza,<br />

Ciel(o)<br />

Virtute,<br />

Pietà, Dea,<br />

Destino<br />

51


L’ARCADIA<br />

L’Accademia d’Arcadia nacque il 5 ottbre 1690 a Roma, in occasione dell’incontro di<br />

quattordici letterati uniti dalla comune appartenenza al circolo letterario della regina Cristina<br />

di Svezia, morta l’anno prima. Fu fondata dal letterato, filosofo e giurista Gian Vincenzo<br />

Gravina, e dall’abate maceratese Giovan Mario Crescimbeni. L’Arcadia ebbe come centro<br />

Roma, ma si diffuse poi in tutta Italia, dando vita a numerose sezioni o “colonie”.<br />

Il nome dell’accademia fu quello della mitica regione della Grecia antica, abitata dai poetipastori;<br />

“pastori” si dissero i soci, che adottarono pseudonimi della poesia pastorale,<br />

perpetuando così la finzione bucolica, il sogno di un ritorno alla natura, di un’evasione dalla<br />

realtà. L’Arcadia raccolse tutti i più significativi poeti del tempo, che erano accomunati<br />

dall’adesione ad un programma minimo: la restaurazione del “buon gusto”, la messa al bando<br />

del “disordine” secentista, dagli eccessi personali del “cattivo gusto” barocco.<br />

10.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

I metri adoperati dai poeti dell’Arcadia riprendono la lezione del Chiabrera e ne adottano<br />

forme e componimenti. Abbiamo, dunque, canzonette, odi asclepiadee, odi alcaiche … i<br />

componimenti più adoperati sono i seguenti:<br />

1) il sonetto con le sue varianti, ad esempio il sonetto audato, rinterzato …<br />

2) le odi pindariche, divise – come abbiamo già visto – in strofa, antistrofe,epodo<br />

3) le odi oraziane, che imitano la struttura dell’ode di Orazio, in genere con gli schemi<br />

ABBA o aBbA<br />

4) le odi anacreontiche, costituite da strofe con, al massimo, sei versi, in genere senari,<br />

settenari, ottonari. Tra queste la più interessante e fortunata è la quartina proposta da<br />

Ludovico Savioli – Fontana, con schema a7b7c7b7 (con a7, c7 sdruccioli)<br />

5) l’endecasillabo sciolto che avrà grandissima fortuna in seguito e che può dirsi<br />

un’anticipazione arcadica (vedi Rolli e Savioli)<br />

Per quanto riguarda Paolo Rolli possiamo affermare che fu colui che, anche prima del<br />

Metastasio, portò la poesia arcadica ad un livello di dignità ed impegno e frantumò gli schemi<br />

del petrarchismo pastorale e del pindarismo.<br />

Nella sua produzione poetica iniziale abbiamo odi, canzonette e sonetti. Ciò che lo rese<br />

celebre furono le “Elegie” in terzine dantesche (dodici dal 1711 al 1715) che, tranne le ultime<br />

quattro di argomento vario, cantano l’amore del poeta per una nobile che egli chiama<br />

“veziosa” Egeria, e rivelano, come egli stesso dirà in un “Preambulo” in versi, la volontà<br />

. Il<br />

rispetto dei modelli latini porta Rolli a prendere, come esempio di scrittura, Tibullo.<br />

Ricordiamo, tra i componimenti più significativi, l’elegia in terzine dantesche “O amica<br />

degli amanti, primavera”.<br />

L’opera più significativa della stagione centrale rolliana sono gli “Endecasillabi”<br />

(quattordici in tutto, successivamente portati a venti). Insieme ad essi, le “Rime”, in cui Rolli<br />

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52


si richiamava intenzionalmente a Catullo. Per gli “Endecasillabi” e le “Rime” ricordiamo:<br />

“Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” (Endecasillabi, VI) il cui metro consiste in endecasillabi<br />

faleci e catulliani (cioè composti di due quinari di cui uno, in genere il primo, sdrucciolo),<br />

organizzati in terzine nelle quali il primo verso e il terzo (quinari sdruccioli più piani) rimano,<br />

il secondo è libero e composto da un quinario piano più uno sdrucciolo;<br />

“Gentile, morbida, leggiadra mano” (Endecasillabi, XVII) composto di endecasillabi<br />

catulliani senza rima, formati da un quinario sdrucciolo più uno piano;<br />

“Solitario bosco ombroso”, canzonetta composta di quartine di ottonari a rima alternata,<br />

dei quali il primo e il terzo piani, il secondo e il quarto tronchi.<br />

Per quanto riguarda il conte Ludovico Savioli Fontana, possiamo riassumere la sua<br />

produzione poetica negli “Amori” (la prima parte scritta nel 1758, composta di dodici<br />

canzonette; la seconda nel 1765 composta da ventiquattro canzonette, che vengono a sostituire<br />

le prime dodici). Tra i due termini degli “Amori” si pone “Amore e psiche”, poi rielaborata, e<br />

la tragedia “Achille” in endecasillabi sciolti.<br />

Per quanto concerne gli “Amori” ricordiamo: “Il mattino”, terzo componimento della<br />

raccolta, il cui metro è composto di quartine di settenari, dei quali il primo e il terzo sdruccioli<br />

e senza rima, il secondo e il quarto piani e rimati. Questo schema metrico dà l’impressione<br />

che la quartina sia divisa in due versi lunghi a rima baciata, ognuno dei quali occupato da un<br />

periodetto generalmente compiuto;<br />

“La notte” (XV) con metro identico a quello del componimento precedente.<br />

10.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Analizziamo la canzonetta “La libertà” di Pietro Metastasio: alla sapientissima<br />

disposizione delle argomentazioni di tema affettivo, si accompagna una non minore abilità di<br />

costruzione stilistica.<br />

Prenderemo spunto, per l’analisi, da una minuziosissima relazione di Giorgio Cavallini (in<br />

“Sigma”, 27, pp.58-73)<br />

Se nelle strofette iniziali (vv.1-8) le rime, i troncamenti, le allitterazioni, le ripetizioni<br />

concorrono a creare la musica della canzonetta, in quelle successive (vv.9-16) il bisogno di<br />

rievocare il passato si esprime mediante la tecnica della negazione.<br />

La sapienza stilistica è riconfermata nei versi seguenti dalla presenza delle assonanze<br />

(vv.33-34), di ripetizioni (vv.35-36, 41-42, 57-59), dalla tecnica della “variatio” (vv.38-39),<br />

dai chiasmi (vv.43-44, 45-48) e dalle anafore (vv.43-44, 62-63).<br />

In “La notte” di Savioli, troviamo, nella seconda parte soprattutto, notazioni chiaramente<br />

classiche: vv.37-38-39-40 Forse a begli occhi insidia/ tese un sapor fallace,/ e sulle piume<br />

immemore/ a suo dispetto or giace.<br />

In generale, il linguaggio della lirica arcadica è semplice, armonioso, razionale.<br />

Abbiamo uno spiccato ritorno al classicismo, al petrarchismo, con la conseguente<br />

abolizione del concettismo e dell’illusionismo barocco.<br />

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53


10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Prendendo in considerazione “O amica degli amanti” di Paolo Rolli, la raffigurazione della<br />

bellezza della donna lievemente offuscata, resa con la delicata metafora delle impallide rose<br />

(v.43), e l’acceno al ritorno della beltà primiera (v.50), hanno una classica castità di disegno e<br />

di sentimento.<br />

In “Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” sempre di Rolli, la donna è osservata nel gesto di<br />

inanellarsi e imbiancarsi di cipria la lunga chioma (v.14) e adornarsi di gioielli. Questo è il<br />

centro di attenzione di una serie di metafore esplicite come: v.15 qual neve in albero; v.20<br />

com’astri; v.27 il seno argenteo delle conchiglie. E di aggettivi delicati e superlativi, o di<br />

intenso significato anche nel grado normale: v.9 dolcissimo e soave; v.13 terso; v.16 vaghi;<br />

v.17 ricchi e tremule; v.18 sottilissimi; v.20 purissimi; v.24 morbida e gentile; v.26 pure; v.28<br />

pomposa; v.35 ricco; v.36 superbi e lieti. E di insistenze semantiche sui toni chiari e<br />

luminose: v.2 pallido; v.5 lucidi; v.11 avorio; v.12 candido; v.14 bianca; v.15 neve; v.26<br />

latteo; v.27 argenteo; V.35 imbiancano.<br />

I poeti d’Arcadia contrapposero alle stravaganze e alle bizzarrie immaginose e verbali dei<br />

poeti barocchi, un ideale di poesia semplice, fondata su una ragionata naturalezza di<br />

sentimenti e di espressione, ritrovata attraverso l’adesione ai modelli classici e a quello<br />

petrarchesco. Il Petrarca fu, dapprima, il poeta più imitato, ma in seguito gli Arcadi si volsero<br />

soprattutto alle situazioni e ai modi dell’antica poesia idillica. Il paesaggio tipico della poesia<br />

arcadica, ripetuto fino alla monotonia, è quello così bene sintetizzato dal Momigliano: .<br />

Il limite più appariscente della poesia arcadica è proprio qui, nella sua ricerca di un<br />

rinnovamento non spirituale, ma soltanto formale e letterario. Alla retorica della “meraviglia”,<br />

del “grandioso”, gli Arcadi contrapposero la retorica del tenue, del delicato, di un manierismo<br />

lezioso e sdolcinato. Tuttavia, pur entro questi limiti, l’Arcadia, nei confronti del Barocco,<br />

rappresentò l’esigenza di una poesia che esprimesse sentimenti più intimi, che fosse di nuovo<br />

incentrata sull’uomo.<br />

L’Arcadia intese contemperare la nostra tradizione poetica con le nuove tendenze<br />

razionalistiche europee, col suo ideale di una poesia che fosse un sogno, come si disse, fatto in<br />

presenza della ragione, ma pur sempre un sogno, col suo col suo fascino di gentilezza e di<br />

grazia 26 .<br />

26 Il paragrafo è tratto da “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia.<br />

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54


10.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate nell’Arcadia, abbiamo scelto 140<br />

liriche di Pietro Metastasio, prendendole dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4°.<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />

ARCADIA % X 1000<br />

1 Amor(e), amoroso/a 0,48 4,8<br />

2 Cor(e) 0,36 3,6<br />

3 Sol(e) 0,31 3,1<br />

4 Bellezza, bel, bella 0,30 3,0<br />

5 Ciel(o) 0,24 2,4<br />

6 Seno 0,22 2,2<br />

7 Dolce(zza) 0,15 1,5<br />

8 Man(o)/i 0,14 1,4<br />

9 Pietà, pietate, pietoso 0,13 1,3<br />

10 Volto, Dio 0,12 1,2<br />

Grafico frequenze:<br />

X 1000<br />

10,0<br />

8,0<br />

6,0<br />

4,0<br />

2,0<br />

0,0<br />

4,8<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

FREQUENZE PIETRO METASTASIO<br />

3,6 3,1 3,0<br />

Cor(e)<br />

Sol(e)<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

2,4 2,2<br />

Ciel(o)<br />

1,5 1,4 1,3 1,2<br />

I termini restano, anche qui, sostanzialmente analoghi a quelli di Petrarca, del quale sono<br />

mantenute le parole più significative: Amor(e), Cor(e), Sol(e), Ciel(o), Bellezza.<br />

Analogamente al Barocco ed ai classicisti resta tra le prime dieci la parola Seno (2,2 x 1000).<br />

Il lessico è pertanto fedele alla lezione del Petrarca.<br />

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Seno<br />

Dolce(zza)<br />

Man(o)/i<br />

Pietà,<br />

pietate,<br />

pietoso<br />

Volto, Dio<br />

55


<strong>IL</strong> NEOCLASSICISMO<br />

La poetica e il gusto neoclassico furono alla base di molti scrittori della seconda metà del<br />

Settecento. Alcuni dei più significativi furono Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte e Ugo<br />

Foscolo, i quali rispecchiarono il loro tempo nella molteplice varietà, sia per quanto riguarda<br />

le tendenze letterarie, sia per quanto riguarda gli aspetti politici e ideologici.<br />

11.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

I componimenti metrici del Neoclassicismo recepiscono le forme già analizzate nelle<br />

epoche precedenti, soprattutto quelle arcadiche. L’uso dei metri, comunque, varia da autore<br />

ad autore. Possiamo considerare, a titolo di esempio, Monti e Foscolo.<br />

Caratteristica saliente del Monti fu il suo continuo mutare atteggiamenti e opinioni nei<br />

riguardi della storia coeva. Ciò si trasfigurò nella sua produzione, in cui ritroviamo la<br />

molteplicità delle poetiche e delle tendenze che confluirono in lui. Nei diciannove anni della<br />

sua dimora a Roma (1778-1797), il Monti, ricevuto subito in Arcadia, poetò e verseggiò<br />

appunto in modi arcadici, scrivendo canzonette sulle orme di Metastasio, sonetti descrittivi<br />

alla Minzoni, “visioni” a modo del Varano 27 . Accolse spunti neoclassici componendo l’ode<br />

“Prosopopea di Pericle” (1779) e l’altra ode famosa “Al signor Montgolfier” (1784); scrisse<br />

anche “La bellezza dell’universo”, in terzine, i sonetti “Sulla morte di Giuda”, il poemetto “Il<br />

pellegrino apostolico” e, poi, la “Bassvilliana”, accogliendo in queste opere le lezioni più<br />

varie, da Dante, a Milton, dal Marino al Frugoni; dal tedesco Klopstock al Varano.<br />

Invece, per quanto riguarda Foscolo, la sua produzione lirica contiene odi e sonetti. Le due<br />

odi sono: “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”.<br />

Quest’ultima è composta da sedici strofe di sei versi ciascuna, formata da cinque settenari,<br />

alternatamente piani e sdruccioli, a cui segue un endecasillabo, che rima col settenario<br />

precedente. Lo schema metrico è abacdD.<br />

I sonetti sono dodici, possiamo citare: “Alla sera” (con schema metrico: ABAB per le<br />

quartine, CDC e DCD nelle terzine); “In morte del fratello Giovanni” (con schema metrico:<br />

ABAB per le quartine, CDC e DCD nelle terzine); “Alla musa” (con schema metrico: ABBA,<br />

ABAB nelle quartine, CDE nelle terzine); “Che stai? già il secol l’orma ultima lascia” (con<br />

schema metrico: ABBA nelle quartine, CDC nelle terzine).<br />

27 La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio,<br />

PALUMBO.<br />

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56


11.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

“Al signor Montgolfier” di Vincenzo Monti, documento esemplare di poesia celebrativa e<br />

d’occasione settecentesca, è caratterizzata da un linguaggio aulico, altamente intonato. Tutto<br />

ciò ha una funzione analoga a quella delle figure metriche: rendere “poetici”, e quindi<br />

praticabili letterariamente, argomenti od oggetti che, di per sé, secondo il gusto classico,<br />

sarebbero prosastici ed impoetici, come fatti di cronaca, dottrine scientifiche, strumenti,<br />

composti chimici. Monti segue, in tal modo, la poesia illuministica di Parini.<br />

“Alla sera”, di Foscolo, è un sonetto caratterizzato dalla partizione sintattica: le due<br />

quartine, nucleo descrittivo e quasi statico, le terzine, nucleo dinamico. Ogni singola parola è<br />

legata alle altre per formare schemi sintattici particolari. Ne proponiamo un esempio: il “nulla<br />

eterno” del verso 10 è il nucleo centrale da cui si sprigiona tutto il movimento lirico. “Nulla<br />

eterno” contrapposto a “reo tempo” (v.11); “pace” (v.13) contrapposto a “spirto guerrier”<br />

(v.14).<br />

Il linguaggio dei sonetti e delle odi del Foscolo è una celebrazione alla classicità, che, per<br />

lui, rappresenta una bellezza scomparsa che, comunque, può trasfigurarsi nella poesia.<br />

11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Le metafore e le immagini adoperate dai poeti neoclassici sono sovente desunte dal<br />

patrimonio mitologico classico, che costituisce, per questi autori, un fondamentale bagaglio di<br />

topoi e di strumenti da adattare ad ogni possibile occasione. Il discorso vale per Vincenzo<br />

Monti, come per Ugo Foscolo.<br />

In “Al signor Montgolfier”, composta per la prima ascensione in pallone, i motivi sono<br />

ripresi dall’Illuminismo, e sono: l’esaltazione della scienza e la fiducia nelle forze dell’uomo<br />

e del progresso.<br />

In “Al principe Sigismondo Chigi”, componimento in endecasillabi sciolti che trae spunto<br />

da un amore infelice del poeta per Carlotta Stewart, si scorgono motivi “romantici” all’interno<br />

di una scenografia classicista. I motivi romantici (la solitudine, la chiusura nell’intimità<br />

dell’io, la comunione con la natura) sono orecchiamenti puramente esteriori. Infatti, possono<br />

trasformarsi agevolmente in una scenografia classicisticamente mitologica e decorativa<br />

(l’ampio squarcio sul sorgere del sole, personificato come un dio della mitologia antica).<br />

Il senso romantico della natura trapassa poi in un vagheggiamento della bella natura<br />

idillica, che è un tema tradizionale del classicismo italiano sin dal Petrarca.<br />

Nell’ode “All’amica risanata”, Foscolo si colloca a metà strada tra l’Arcadia e il<br />

Neoclassicismo. Gli elementi arcadici che possiamo notare sono, ad esempio, l’omaggio<br />

galante alla bella donna, con le scene dell’arpa e della danza, intrise di sottile ed elegante<br />

erotismo. Gli elementi neoclassici, invece, riguardano lo sforzo costante di nobilitare ogni<br />

aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato, attraverso il<br />

travestimento grecizzante (i monili sono opera di “scalpelli achei”, le scarpette da ballo sono<br />

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57


“candidi coturni”, le feste “cori notturni”, gli unguenti “ambrosia recente”, la stanza da letto<br />

“arcani lari”).<br />

In questa ode ritroviamo anche alcuni temi cari al Foscolo: l’efficacia rasserenatrice della<br />

bellezza (vv.9-12), la sua funzione eternatrice, la stessa funzione della poesia, quella sacrale<br />

del poeta (che si fa garante dell’eternità dei valori più alti).<br />

Per quanto concerne Ugo Foscolo, sono stati molteplici i tentativi interpretativi di tutta la<br />

sua produzione, a partire dall’amico Melchiorre Cesarotti, per poi continuare fino ai giorni<br />

nostri.<br />

Mario Fubini (1928), per quanto riguarda la stagione idealistica di inizio Novecento, vede<br />

il centro dell’ispirazione foscoliana non nella “passione irruente”, ma nella “lirica riflessione”,<br />

che si attua nella progressiva liberazione dalle passioni e nella conquista di una<br />

“contemplazione serenatrice”. Fubini coglie il distacco dalle passioni come momento<br />

essenziale dell’opera di Foscolo.<br />

Giuseppe De Robertis (1944), invece, compie una critica basata sull’attenta analisi<br />

stilistica dell’opera foscoliana. L’esperienza di Foscolo si trasfigura, si annulla nella parola.<br />

Nel campo della critica marxista, Marco Cerutti (1969, 1983, 1990) fonde interessi storicosociologici<br />

con strumenti di lettura strutturale dei testi. Particolarmente valida, nella lettura di<br />

Cerutti, è l’interpretazione del neoclassicismo foscoliano come reazione alla delusione storica<br />

patita dall’ideologia giacobina.<br />

In modo molto innovativo, Vincenzo Di Benedetto (1990), studia le modalità di riuso dei<br />

modelli letterari da parte di Foscolo, sfatando l’idea che il suo classicismo sia tutto orientato<br />

verso la Grecia: almeno sino ai “Sepolcri” sono i poeti latini a sostanziare la sua opera, per cui<br />

il suo classicismo non appare distinguibile da quello della cultura letteraria del secondo<br />

Settecento.<br />

11.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori,<br />

inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°:<br />

Vincenzo Monti:<br />

• Prosopopea di Pericle<br />

• La bellezza dell’Universo<br />

• A Sigismondo Chigi<br />

• Pensieri d’Amore<br />

• Al sig. di Montgolfier<br />

• Amor peregrino<br />

• La Fecondità<br />

• Sulla morte di Giuda<br />

• Alla Marchesa Malaspina<br />

• Bassvilliana<br />

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• Musogonia<br />

• Prometeo<br />

• Le piante che in Giudea<br />

• Il fanatismo<br />

• La superstizione<br />

• Il pericolo<br />

• Per il Congresso di Udine<br />

• Dopo la battaglia di Marengo<br />

• Mascheroniana<br />

• Nell’anniversario della morte di Luigi XVI<br />

• Il Bardo<br />

• Le api panacridi<br />

• Per un dipinto dell’Agricola<br />

• Sopra se stesso<br />

• Le nozze di Cadmio ed Ermione<br />

• Sulla Mitologia<br />

• Per l’onomastico della sua donna<br />

Ippolito Pindemonte:<br />

• Al cavaliere C. Vennelli<br />

• A G. Persons<br />

• Alla Luna<br />

• Alla salute<br />

• La melanconia<br />

• La giovinezza<br />

• Mattino<br />

• Mezzogiorno<br />

• Sera<br />

• Notte<br />

• Il lamento di Aristeo<br />

Ugo Foscolo:<br />

• Le Odi<br />

• I Sonetti<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />

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NEOCLASSICISMO % X 1000<br />

1 Cor(e) 0,28 2,8<br />

2 Bellezza, bel, bella 0,27 2,7<br />

3 Ciel(o) 0,25 2,5<br />

4 Morte 0,22 2,2<br />

5 Amor(e), amoroso/a 0,20 2,0<br />

6 Sol(e) 0,19 1,9<br />

7 Dolce(zza), Terra 0,16 1,6<br />

8 Occhi, Pietà 0,13 1,3<br />

9 Pianto 0,12 1,2<br />

10 Petto, Fronte, Vita, Dio 0,11 1,1<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

FREQUENZE NEOCLASSICISMO<br />

2,8 2,7 2,5 2,2 2,0 1,9 1,6 1,3 1,2 1,1<br />

Cor(e)<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

Ciel(o)<br />

Morte<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

Le parole sono quasi tutte quelle adoperate dal Petrarca, che rimane il modello di<br />

riferimento princiaple anche per i Neoclassici. È interessante notare che i termini del lessico<br />

amoroso, come core, bellezza, amore, occhi, dolcezza, restano nelle prime posizioni, anche se<br />

la produzione dei poeti neoclassici non può considerarsi monotematica come quella del<br />

Petrarca, che parlava prevalentemente degli , dato che contiene anche<br />

argomenti ben diversi dall’Amore, come la politica, i temi civili d’occasione, i motivi<br />

strettamente mitologici.<br />

Tuttavia, nonostante ciò, il lessico resta prevalentemente petrarchesco con una<br />

preponderanza dei termini amorosi, dei quali non diminuisce la presenza, ma solamente la<br />

percentuale relativa sul totale dei termini.<br />

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Sol(e)<br />

Dolce(zza),<br />

Terra<br />

Occhi,<br />

Pietà<br />

Pianto<br />

Petto,<br />

Fronte,<br />

Vita, Dio<br />

60


<strong>IL</strong> ROMANTICISMO<br />

Con Romanticismo intendiamo, nel nostro studio, il periodo che va dagli inizi<br />

dell’Ottocento alla seconda metà dello stesso secolo. Esso viene diviso – tradizionalmente –<br />

in due fasi. Poeti come Alessandro Manzoni e Giovanni Berchet si possono collocare in quel<br />

periodo storico chiamato “Risorgimento” o “Primo romanticismo” (all’incirca 1816 – 1850);<br />

Giovanni Prati ed Aleardo Aleardi, invece, nel “Secondo Romanticismo” o “Tardo<br />

Romanticismo” (all’incirca 1850 – 1870), nel quale le istanze ideali del Romanticismo e del<br />

Risorgimento si esauriscono progressivamente, fino a diventare stanche e convenzionalmente<br />

enfatiche.<br />

12.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

I metri del Romanticismo segnano una prima differenziazione dalla lirica d’amore<br />

tradizionale. Il sonetto continua ad essere adoperato, ma non è più il metro predominante. La<br />

canzone cade progressivamente in disuso, poiché il suo posto viene assunto dall’ode, che<br />

riprende lo schema della canzonetta settecentesca già adoperata dal Parini; principali schemi:<br />

a7b7a7b7 + c7d7c7d7 (a sdrucciola e d tronca), oppure a7b7a7b7c7d7b7d7b7c7 (b sdrucciolo, c<br />

tronco), oppure a7b7c7b7d7E (a,c,d sdruccioli). I romantici si servirono proprio di queste odi,<br />

che chiamarono inni. Altro metro adoperato è poi l’endecasillabo sciolto, già usato da Parini,<br />

Monti, Foscolo. La grande novità è, però, costituita dalla ballata romantica o romanza. Essa<br />

consiste in un componimento formato da versi lunghi molto ritmici, come il decasillabo ed il<br />

doppio senario (dodecasillabo) o l’ottonario. Le strofe sono, in genere, di 6,7,8 versi talora<br />

divisi da rime tronche. Gli anticipatori furono Manzoni (Marzo 1821, La Passione) e Berchet<br />

(Il Rimorso, Sorgi Italia)<br />

12.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Il linguaggio e la sintassi dei poeti romantici, pur rimanendo in larga parte nel solco della<br />

Tradizione, assumono aspetti particolari. Ad esempio predominano le espressioni enfatiche, il<br />

tono passionale, i caratteri forti. Le costruzioni restano, comunque, piuttosto elaborate. Nel<br />

Coro di Ermengarda di Manzoni, troviamo un profondo rinnovamento della lirica italiana,<br />

che si allontana ora dalle costruzioni mitologiche e dalle nostalgie per l’antico<br />

(Neoclassicismo). A differenza della tradizione precedente, che tendeva ad analizzare l’io del<br />

poeta, la poesia manzoniana è invece epica e drammatica: ha un taglio eminentemente<br />

narrativo, si fonda sulla costruzione di personaggi, sull’analisi di moti interiori non soggettivi,<br />

ma di individualità oggettive, e mette in scena conflitti drammatici.<br />

Per quanto riguarda Giovanni Berchet, in “Matilde”, lo stile è tipicamente romantico,<br />

passionale e diretto, quasi violento in alcuni punti. Gli aggettivi usati sono forti: v.1 riarsa,<br />

v.2 stravolti, v.6 atterrita, v.16 aspro, v.23 oppresso, v.28 perfidi, v.36 trepide, v.35 serrate.<br />

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61


12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Per quello che riguarda le metafore e le immagini adoperate dai poeti del Romanticismo,<br />

l’aspetto più importante è il progressivo abbandono della Mitologia classica, che viene<br />

sostituita da altre immagini, come quelle della Storia Sacra o di quella contemporanea. Anche<br />

le consuete immagini della donna tradizionale (bionda, viso chiaro, oggetto di lodi e di<br />

omaggi), ancora in uso nel Neoclassicismo, sono abbandonate per lasciare il posto a<br />

descrizioni più realistiche e vive della figura femminile. Ad esempio, nel Coro di<br />

Ermengarda, le metafore tipiche della lirica amorosa precedente non sono molte. Infatti<br />

l’amore di Ermengarda sarà causa della sua morte, quindi comprendiamo che le immagini<br />

sono molto più violente e reali.<br />

Ermengarda è pura ed elevata, è estranea ad una realtà retta dalla legge della forza e<br />

dell’interesse, e si scontra inevitabilmente con la brutalità del mondo. Ermengarda esprime il<br />

ripudio della realtà esclusivamente nel campo privato dei rapporti amorosi. Anch’ella<br />

riproduce la figura romantica: raffigura la tipica donna angelo, che, nella sua eterea purezza,<br />

non è fatta per reggere l’urto delle passioni terrene, e soprattutto della passione amorosa. Il<br />

suo è un amore coniugale, quindi lecito e castissimo, eppure la potenza dell’amore (un “amor<br />

tremendo”) è ugualmente “empia” per lei, nel senso che ha pietà della sua fragilità, e con i<br />

suoi “terrestri ardori” la sconvolge e la devasta (si notino le forti metafore insistentemente<br />

ripetute: ardori, arsi, infocata, vampa assidua, incende, riarde). Nella memoria di<br />

Ermengarda, chiusa nel monastero, le immagini del marito sono sempre collegate a immagini<br />

di violenza e di sangue: la caccia, il cinghiale trafitto dalla freccia del chiomato sir, che riga la<br />

polvere con il suo sangue, mentre la sposa torce il volto pallida d’amabile terror, a l’orrida<br />

maglia di ferro che Carlo depone al ritorno dal campo di battaglia. Ermengarda è fatta per i<br />

placidi gaudi di un altro amore, quello celeste. Per questo rifugge dal contatto col mondo e si<br />

protende verso la sua vera patria che è il cielo.<br />

La morte diviene per lei l’unica soluzione al suo conflitto irriducibile con la realtà. Nella<br />

morte, oltre alla pace, trova anche quella ideale verginità interiore, che l’urto con la passione<br />

terrena aveva contaminato.<br />

12.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori,<br />

inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°:<br />

Giovanni Berchet:<br />

• Profughi di Parga<br />

• Clarina<br />

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• Il romito Cenisio<br />

• Il rimorso<br />

• Matilde<br />

• Il trovatore<br />

• Giulia<br />

• La fantasia<br />

• All’armi, all’armi<br />

• Saluto a Milano<br />

Niccolò Tommaseo:<br />

• Poesie<br />

Giovanni Prati:<br />

• Edmenegarda<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />

ROMANTICISMO % X 1000<br />

1 Cor(e) 0,41 4,1<br />

2 Amor(e), amoroso/a 0,39 3,9<br />

3 Dolor(e) 0,25 2,5<br />

4 Ciel(o), Pensier(o) 0,24 2,4<br />

5 Bellezza, bel, bella - Dio 0,23 2,3<br />

6 Morte 0,21 2,1<br />

7 Donna/e, Vita, Terra 0,19 1,9<br />

8 Fiore 0,18 1,8<br />

9 Pianto 0,15 1,5<br />

10 Occhi, Madre 0,14 1,4<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

4,1 3,9<br />

Cor(e)<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

FREQUENZE ROMANTICISMO<br />

2,5 2,4 2,3 2,1 1,9 1,8 1,5 1,4<br />

Dolor(e)<br />

Ciel(o),<br />

Pensier(o)<br />

Bellezza,<br />

bel, bella -<br />

Dio<br />

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Morte<br />

Donna/e,<br />

Vita, Terra<br />

Fiore<br />

Pianto<br />

Occhi,<br />

Madre<br />

63


È possibile estendere – a livello di lessico adoperato – le considerazioni già fatte a<br />

proposito del Neoclassicismo. In sostanza, la poesia romantica non è più monotematica, come<br />

quella della Tradizione e quindi l’Amore non ha più una preponderanza assoluta. Infatti la<br />

poesia romantica si concentra su opere di stampo religioso (“Inni sacri”); di stampo tragico; di<br />

stampo patriottico e civile. Questo si nota dall’abbassamento delle percentuali relative ai<br />

termini amorosi calcolate sul totale della produzione degli autori. Tuttavia, nonostante ciò, le<br />

parole adoperate non si discostano molto dal linguaggio di Petrarca, che continua ad essere un<br />

solido punto di riferimento per tutti i poeti italiani che vogliono parlare d’Amore.<br />

Termini come amore, donna, morte, core, occhi sono ben presenti nelle poesie dei<br />

romantici e si riallacciano, ancora una volta, al maestro Petrarca.<br />

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64


L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA<br />

Giacomo Leopardi, da molti considerato un esponente del Romanticismo soggettivo<br />

italiano, fu in realtà un poeta classicista, ancorato, da un punto di vista formale, linguistico e<br />

stilistico, alla Tradizione. Egli stesso si autodefinì e polemizzò con<br />

i Romantici. Quello che lo fa essere moderno è la forza del suo pensiero e il contenuto delle<br />

sue riflessioni esistenziali, le quali – per certi aspetti – anticipano tematiche addirittura<br />

novecentesche. Eppure quest’uomo geniale visse appartato, in un <br />

lontano dalla Civiltà e dall’evoluzione e trovò nel canto lirico il mezzo più idoneo ad<br />

esprimere le sue sofferenze interiori ed il suo stato d’animo. Così dice Petronio: 28<br />

13.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

La produzione lirica di Giacomo Leopardi è molto ampia: del 1816 le “Rimenbranze” e<br />

l’”Appressamento alla morte”. Del 1817 le “Elegie”, una delle quali entrò con il titolo “Il<br />

primo amore” nella raccolta definitiva dei “Canti”.<br />

Nel ’19 scrisse due canzoni: ”Per una donna inferma di malattia lunga e mortale” e “Nella<br />

morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano di un chirurgo”.<br />

Del ’18 “All’Italia” alla quale seguirono, fino al ’23, un’altra decina di “Canzoni”. Il<br />

genere le ricollega, almeno dal punto di vista tecnico-formale, alla tradizione lirica italiana:<br />

sono Canzoni di schema petrarchesco, spesso di ampio respiro, su temi attinti ora dalla cultura<br />

classica (“Bruto minore”, “Ultimo canto di Saffo”), ora da fatti moderni rivissuti con spiriti<br />

classici (“A un vincitore nel gioco del pallone”), ora dalla tradizione letteraria (“All’Italia”),<br />

ora da “occasioni”, sia pubbliche (“Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone<br />

della Repubblica”) sia private. In questi testi le strofe sono di uguale lunghezza, anche se di<br />

strofa in strofa rime e versi (solo settenari ed endecasillabi) non corrispondono perfettamente.<br />

Negli stessi anni compose, intrecciandola con le Canzoni, una serie di sei liriche -<br />

“L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “Alla luna”, “Il sogno”, “Lo spavento notturno”, “La<br />

vita solitaria” - pubblicate nel 1826 con il titolo di “Idilli”.<br />

Con gli idilli cadono le costruzioni macchinose della Canzone, con le sue strofe tutte<br />

uguali e le sue rime ripetute, e subentrano gli endecasillabi sciolti, trattati con la tecnica<br />

dell’enjambement, che permette di rompere la misura uguale, in un intrecciarsi di misure e di<br />

ritmi ogni volta diversi.<br />

Nel 1825 ebbe inizio in Leopardi un risorgimento sentimentale, che diede luogo ad una<br />

seconda grande stagione della poesia leopardiana, nella quale egli compose una serie di<br />

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65


liriche, che battezzò, come tutte le altre, col termine generico di “Canti”, ma che i critici di<br />

stampo tradizionale e crociano hanno chiamato i “grandi idilli”, a indicare il loro riallacciarsi,<br />

per l’ispirazione e la poetica, al tono degli “idilli” giovanili: “A Silvia”, “Le ricordanze”, “Il<br />

sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il passero solitario”, “Canto notturno di<br />

un pastore errante dell’Asia”.<br />

In queste poesie Leopardi adotta lo schema della Canzone libera, detta anche leopardiana.<br />

In essa le strofe sono di diversa lunghezza, si mescolano versi rimati con versi sciolti, la rima<br />

è conservata solo per alcuni versi.<br />

L’ultima delle liriche di Leopardi è “La ginestra”, nata dall’incontro tra la stoica<br />

accettazione del nostro destino e il senso di fraternità che è nelle parole di Plotino.<br />

Per quanto riguarda le liriche d’amore dedicate a Fanny Targioni Tozzetti, ricordiamo: “Il<br />

pensiero dominante”, “Amore e morte”, “Aspasia” e “A se stesso”, “Consalvo”. Anche questi<br />

ultimi componimenti seguono l’impostazione della Canzone libera.<br />

13.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Il linguaggio di Leopardi è scelto ed aulico, con uso di termini arcaici e dotti (es. veroni<br />

per balconi, ostello per casa, famiglia per servitù …). La sintassi è complessa, con periodi<br />

ricchi di subordinate e costruzioni latineggianti e in certi casi difficili da risolversi in<br />

parafrasi. Analizziamo – a titolo di esempio – “L’infinito”, uno degli idilli in endecasillabi<br />

sciolti. La poesia si articola in due momenti, corrispondenti a due distinte sensazioni di<br />

partenza.<br />

Nel primo momento (vv.1-8) l’avvio è dato da una sensazione visiva, o, per dir meglio,<br />

dall’impossibilità della visione. L’impedimento della vista, che esclude il “reale”, fa<br />

subentrare il “fantastico”.<br />

Quindi, nel secondo momento (vv.8-15), l’immaginazione prende l’avvio da una<br />

sensazione uditiva. Da ciò possiamo desumere una lunga serie di simmetrie (a livello fonico,<br />

letterario, filosofico, formale e strutturale), ma quella che qui ci interessa studiare è la<br />

simmetria sintattica e lessicale. I due periodi in cui sono rese rispettivamente le esperienze<br />

dell’infinito spaziale e temporale sono costruiti su due serie analoghe in forma di<br />

polisindeto 29 : interminati spazi (…) e sovrumani silenzi, e profondissima quiete, (…) l’eterno,<br />

e le morte stagioni, e la presente, e il suon di lei. La simmetria si rompe sul piano lessicale:<br />

nel membro in cui si è resa l’esperienza dell’infinito spaziale si ha la prevalenza di parole<br />

molto lunghe: interminati (v.4), sovrumani (v.5), profondissima (v.6); nel membro dedicato<br />

all’infinito temporale vi sono invece parole più brevi, al massimo trisillabe (eterno, stagioni,<br />

presente): gli arditi polisillabi danno il senso di un’esperienza vertiginosa, che “spaura”,<br />

mentre le parole più brevi e consuete corrispondono al distendersi dell’esperienza verso la<br />

pace del naufragio dell’io.<br />

28<br />

La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia” di Giuseppe Petronio, PALUMBO<br />

29<br />

Polisindeto (dal greco polys = molto, e syndéo = lego insieme): coordinazione tra più membri sintattici o<br />

proposizioni mediante ripetute congiunzioni. Esempio: E mi sovvien l’eterno / e le morte stagioni, e la presente /<br />

e viva e il suon di lei. (Leopardi, “L’infinito”, vv11-13). E’ l’opposto di asindeto 8coordinazione dei membri<br />

della proposizione o del periodo senza l’uso di congiunzioni).<br />

66<br />

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Nel componimento vi è un continuum metrico-sintattico: nessun verso tranne il primo e<br />

l’ultimo, è isolabile sintatticamente: il discorso sintattico continua sempre nel verso seguente;<br />

di conseguenza, su 15 versi vi sono ben dieci enjambements. La continuità è ribadita, sul<br />

piano sintattico, dall’alta presenza di particelle congiuntive, che allacciano i singoli periodi:<br />

ma sedendo, ove per poco, e come il vento, e mi sovvien, così tra questa, e il naufragar. La<br />

congiunzione e è poi frequentissima anche all’interno dei periodi. L’impressione complessiva<br />

che si ricava da queste strutture è di un processo unitario, continuo, che però si articola in<br />

momenti ben individuati al loro interno. La poesia è perciò un esempio di perfetta<br />

compenetrazione di significante e significato: a una continuità narrativo-psicologica<br />

corrisponde la continuità della struttura stilistica.<br />

13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Metafore ed immagini della poesia leopardiana sono tratte in genere o dalla Storia, che si<br />

ricollega ai temi civili; o dalla Natura, che fa da cornice ai grandi temi esistenziali. Nelle<br />

prime canzoni (scritte dal 1818 al 1823) è presente il patriottismo che, se pur generico, ha una<br />

sua intimità, in quanto il lamento sulla decadenza della patria è tutt’uno con il lamento sulla<br />

propria giovinezza inoperosa. Questo disagio si alimenta del rimpianto per le grandi età<br />

passate, del tormento di stare a Recanati.<br />

Negli stessi anni delle Canzoni, Leopardi scrive gli “Idilli”, quelle sei liriche pubblicate nel<br />

1826, in cui sono presenti le stesse ideologie che sorreggono le Canzoni. Ne “L’Infinito” lo<br />

stormire delle fronde al vento, nel silenzio della campagna interminata, richiama alla mente<br />

; ne “La sera del dì di festa” il morire del giorno festivo ridesta , con un moto sentimentale che Leopardi<br />

poteva aver appreso da Ortis meditante sulle Alpi la grandezza passata d’Italia, ma che era<br />

comunque legato a tutta la sua concezione della storia.<br />

Notiamo una differenza di atteggiamento, da parte di Leopardi, nei confronti delle<br />

ideologie, nelle Canzoni e negli Idilli. Nelle prime, il poeta è proteso verso l’esterno, verso gli<br />

altri, avendo lo scopo quasi di educare; nei secondi è raccolto in se stesso, nella propria<br />

interiorità, a captare, nella comunione con la Natura e con le creature innocenti, il palpito del<br />

suo cuore ancora vivo.<br />

Negli Idilli, infatti, cadono i temi tratti dalla storia o da vicende esterne, e subentrano temi<br />

interiori, derivanti da avvenimenti quotidiani: trovarsi su un colle e avere l’orizzonte limitato<br />

da una siepe; ritornare un anno dopo sul medesimo colle; ascoltare nella sera festiva un<br />

artigiano che rientra a casa di notte; un sogno; i piaceri della vita solitaria in campagna.<br />

Per quanto riguarda ciò che i critici hanno definito i “grandi idilli”, possiamo dire che alla<br />

loro base è sempre ossessiva una coscienza amara del nulla che, nel “Canto notturno di un<br />

pastore errante dell’Asia”, si espande nella rappresentazione angosciosa dell’uomo che corre<br />

verso il nulla e vi precipita e annega.<br />

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67


Queste verità dolorose sono dette con pudore e pacatezza, proprio come ne “Il sabato nel<br />

villaggio”, in cui si trova la serenità di un’ora in cui l’uomo guarda alla gioia altrui con la<br />

tristezza grave e quasi religiosa di chi sa che tanta festa è illusione.<br />

Da parte dei contemporanei, Leopardi riscosse ben poco successo: i classicisti<br />

analizzavano l’opera formalmente censurando l’uso dei vocaboli e dei costrutti; i romantici,<br />

che non vi trovavano gli ideali patriottici, morali e religiosi a cui si ispiravano nella loro<br />

battaglia culturale e politica, non lo apprezzarono.<br />

Vincenzo Gioberti fu il primo a sottolineare un conflitto tra “cuore” e “intelletto”, su cui<br />

insisteranno tanti interpreti sino a pieno Novecento.<br />

Una prima interpretazione critica è di Francesco De Sanctis (1883), che vede il contrasto<br />

tra il pensiero pessimistico e gli impulsi generosi del cuore, tesi vero l’ideale.<br />

La critica idealistica si concentra soprattutto sul rapporto tra pensiero e poesia. Benedetto<br />

Croce (1923), che relega nel “non poetico” tutto ciò che riguarda il pensiero individua la<br />

poesia solo nei momenti in cui Leopardi è “congiunto col mondo”, in cui sogna, spera, ama,<br />

gioisce. Il resto della sua opera, secondo il critico, è solo effetto di un ingorgo sentimentale,<br />

della “vita strozzata del poeta”, che gli impedisce sia l’azione, sia il pensiero, sia la poesia<br />

autentica.<br />

Karl Vossler (1923), esponente della critica fra le due guerre (che verte sul carattere<br />

intimamente religioso della poesia e della visione leopardiane), vede la base della poesia<br />

leopardiana in un “occulto fondo religioso”, in cui concordano cuore e intelletto. Questo<br />

fondo religioso è una tensione verso l’infinito, ma inteso come il nulla, che, in quanto tale,<br />

diventa per Leopardi come una divinità. Il nuovo clima culturale del secondo dopoguerra<br />

italiano, segna una svolta netta. E 1947, Water Binni e Cesare Luporini, sostengono: il primo,<br />

il carattere anti-idillico della poesia leopardiana; il secondo, sul piano filosofico delinea<br />

l’immagine di un Leopardi “progressivo”, di un orientamento democratico e repubblicano,<br />

che patisce la “delusione storica” della rivoluzione.<br />

Umberto Bosco (1957) si concentra sul motivo non idillico del titanismo.<br />

Giovanni Getto (1966) ripropone un’interpretazione di Leopardi in chiave religiosa,<br />

insistendo sulla presenza di un “linguaggio dell’assoluto”.<br />

Franco Brioschi (1980) studia Leopardi in rapporto alle grandi coordinate culturali del suo<br />

tempo, sensismo e Illuminismo, il tramonto del classicismo, la nuova problematicità<br />

romantica.<br />

Dal punto di vista stilistico, abbiamo molte indagini negli ultimi decenni. Tra le più<br />

persuasive si possono citare: Cesare Galimberti (1959), che ha studiato il “linguaggio del<br />

vero”; Emilio Bigi (1950 e 1954) che coglie nei “grandi idilli” un atteggiamento di “lucida<br />

compassione”, lontana dai fervori e dagli slanci passionali dei primi idilli.<br />

Per quanto riguarda la critica psicanalitica citiamo Giovanni Amoretti (1979), il cui studio<br />

appare persuasivo nella misura in cui non utilizza il testo come semplice “sintomo” per una<br />

diagnosi della psicologia dell’autore, ma si avvale degli strumenti psicanalitici per far<br />

emergere un tessuto simbolico, collegandolo con le strutture espressive.<br />

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68


13.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Esaminiamo tutto il blocco dei “Canti” di Leopardi, per individuare, in essi, le parole che<br />

ricorrono con maggiore frequenza.<br />

Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:<br />

LEOPARDI % X 1000<br />

1 Morte 0,53 5,3<br />

2 Cor(e) 0,35 3,5<br />

3 Amor(e), amoroso/a - Vita 0,32 3,2<br />

4 Ciel(o) 0,26 2,6<br />

5 Terra 0,25 2,5<br />

6 Giorno/i 0,24 2,4<br />

7 Natura 0,23 2,3<br />

8 Bellezza, bel, bella - Tempo 0,22 2,2<br />

9 Petto, Mondo, Età 0,17 1,7<br />

10 Dolce(zza) 0,15 1,5<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

5,3<br />

Morte<br />

FREQUENZE LEOPARDI<br />

3,5 3,2 2,6 2,5 2,4 2,3 2,2 1,7 1,5<br />

Cor(e)<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

- Vita<br />

Ciel(o)<br />

Notiamo che anche il linguaggio di Leopardi non si discosta molto, nell’uso delle parole,<br />

da quello di Petrarca, che è sempre il modello di riferimento.<br />

Vale la pena, tuttavia, di segnalare qualche importante particolarità. Per la prima volta – a<br />

partire dai Siciliani – la parola amore (o in alternativa bellezza o core) non occupa il 1° posto<br />

che è detenuto dal termine morte (5,3 x 1000). Significativa appare la presenza della parola<br />

natura (2,3 x 1000), che rappresenta la grande inerlocutrice del poeta e in un certo senso<br />

prende il posto della donna (solo lo 0,6 x 1000 di frequenza).<br />

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Terra<br />

Giorno/i<br />

Natura<br />

Bellezza,<br />

bel, bella -<br />

Tempo<br />

Petto,<br />

Mondo,<br />

Età<br />

Dolce(zza)<br />

69


L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA<br />

La produzione lirica del secondo Ottocento, in Italia, fu alquanto mediocre; inferiore, si<br />

potrebbe osare dire, alla prosa narrativa e al teatro. Fortunatamente, Carducci non fece parte<br />

di questo quadro assai statico e infelice; la sua figura e la storia della sua opera sono quanto<br />

mai importanti a comprendere ancor meglio l’evoluzione culturale ed artistica di quel periodo.<br />

14.1 COMPONIMENTI METRICI<br />

“Juvenilia”, “Levia gravia” e “Giambi ed Epodi”, sono le prime tre raccolte poetiche di<br />

Giosuè Carducci. Le poesie contenute nelle prime due raccolte furono scritte tra il 1850 e il<br />

1871, e non sono altro che esercizi di apprendistato poetico; si possono quasi definire “lirica<br />

di scuola” 30 ; “Giambi ed Epodi” comprende liriche composte tra il 1867 e il 1879.<br />

Tutte queste raccolte sono caratterizzate da un classicismo intransigente: le prime due<br />

ripropongono metri degli autori della grande tradizione italiana, da Dante a Petrarca sino a<br />

Monti e Foscolo; la terza si riferisce alle forme metriche utilizzate dai poeti antichi<br />

(Archiloco, Orazio).<br />

Nel 1877, Carducci raccolse nelle “Rime nuove” un gruppo di poesie scritte tra il 1861 sino<br />

a quella data. Sono poesie in parte nate nello stesso arco di tempo di “Giambi ed Epodi” e<br />

delle “Odi barbare”, ma il poeta amava costruire raccolte organiche di liriche sulla base<br />

dell’argomento e delle forme metrico-linguistiche.<br />

Le “Rime nuove” si rifanno alle forme tradizionali della lirica italiana, usate nel Medioevo,<br />

e caratterizzate dall’istituto della rima, ignoto alla poesia classica (con un omaggio “Alla<br />

rima” si apre appunto la raccolta).<br />

Nel 1877 fu pubblicato un primo libro di “Odi barbare”, in cui Carducci abbandonava i<br />

metri tradizionali italiani, cercando di riprodurre quelli classici. Ad esso seguì un secondo<br />

libro nel 1882 e un terzo nel 1889. L’esperimento metrico provocò scalpore, ma, a poco a<br />

poco, la novità fu accettata, e la metrica “barbara” entrò nel gusto corrente del pubblico.<br />

La metrica antica, greca e latina era accentuativa, cioè si basava sulla quantità delle sillabe,<br />

lunghe e brevi; era l’alternanza tra brevi e lunghe che creava il ritmo. La Lingua italiana,<br />

invece, non fa distinzione fra sillabe lunghe e sillabe brevi, perciò diventa importante la<br />

distinzione tra sillabe toniche (accentate) e sillabe atone (non accentate). Tentativi di<br />

imitazione dei metri antichi erano stati fatti dagli umanisti fiorentini (Alberti, Dati) ed anche<br />

in epoche successive. Essi si basavano sull’attribuzione arbitraria di quantità alle sillabe<br />

italiane, per cui i versi composti suonavano strani e deformati (es. un distico di Alberti: quèsta<br />

per èstremà, miseràbile pìstola màndo / à te chè sprezzì, mìseramènte noì). Questi esempi<br />

non ebbero successo e non furono seguiti. Si cercò allora di sostituire i versi antichi con versi<br />

italiani, mettendo arsi e tesi al posto di lunghe e brevi. L’esametro venne reso con<br />

30 La citazione è tratta da “l’attività letteraria in Italia - Storia della letteratura” di Giuseppe Petronio.<br />

PALUMBO<br />

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70


l’endecasillabo sciolto, il senario giambico venne reso con l’endecasillabo sdrucciolo …<br />

Chiabrera iniziò ad imitare parecchi sistemi strofici antichi (strofe saffica, strofe asclepiadea,<br />

strofe alcaica) usando versi italiani; a lui guardarono tutti coloro che volevano imitare i metri<br />

classici, come Rolli, Fantoni, Monti. Quando Carducci uscì nel 1877 con le “Odi barbare”<br />

non presentava niente di nuovo rispetto a quanto era già stato fatto dal Settecento in poi. La<br />

grande innovazione di Carducci fu il tentativo di imitazione dell’esametro e del distico<br />

elegiaco, cercando di riprodurre, con composizione di versi italiani e con l’alternanza arsi –<br />

tesi, il ritmo antico accentuativo. Per l’esametro adoperò diverse soluzioni, tra cui un<br />

settenario piano + un novenario piano, un senario sdrucciolo + un novenario piano, un<br />

ottonario piano + un settenario piano. Per il pentametro usò due settenari piani accoppiati,<br />

oppure un quinario piano + un settenario piano. I versi furono definiti , perché ad<br />

un latino sarebbero apparsi approssimativi e poco corretti, quindi scritti da un barbaro.<br />

14.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Il linguaggio di Carducci presenta alcune interessanti particolarità. Da un lato esso è un<br />

linguaggio classicheggiante e petrarchesco, che si richiama fortemente alla tradizione<br />

letteraria ed accademica. Accanto a questo tipo di linguaggio, che presenta ovviamente una<br />

sintassi aulica, fatta di iperbati, subordinate, costrutti latineggiante, coesiste un altro tipo di<br />

linguaggio più aderente al quotidiano, nel quale vengono inseriti termini tecnici, tipici della<br />

nuova età della II Rivoluzione industriale e dell’evoluzionismo positivista.<br />

Per comprendere meglio ciò, possiamo analizzare alcuni componimenti significativi dal<br />

punto di vista linguistico.<br />

Prendiamo in esame “Fantasia”, componimento che fa parte delle “Odi barbare”:<br />

quest’ode, modellata dall’esotismo tipico di Carducci, è pervasa da un gusto fortemente<br />

classicheggiante. Infatti il linguaggio è aulico, prezioso, fitto di latinismi (v.1 aura; v.5<br />

occiduo; v.6 cerulee; v.7 augelli; v.9 ardui; v.10 occaso; v.14 nauti) e perfettamente<br />

funzionale alla nostalgia esotizzante. Carducci, nelle sue liriche, si esprime in modo solenne; i<br />

contenuti sono ricchi di riferimenti storici e culturali; la lingua è quella propria della poesia,<br />

senza concessioni a quella del parlato.<br />

Prendiamo, ora, in esame “Alla stazione in una mattina d’autunno”, componimento<br />

appartenente alle “Odi barbare”. Nonostante il poeta solitamente prediliga un linguaggio<br />

aulico e sublime, in questa poesia troviamo un lessico grave, cupo, e in alcuni punti,<br />

fortemente aspro. Tutto ciò, ovviamente, ha una corrispondenza nel contenuto, in quanto il<br />

poeta accompagna alla stazione la donna amata (Lina Cristofori Piva, nella poesia Lidia), che<br />

si allontana da lui. Quasi tutto il componimento verte quindi sulla descrizione del paesaggio<br />

urbano, contrassegnato tra l’altro da pioggia, fango e oscurità; conseguentemente le parole<br />

adoperate hanno caratteri foschi: v.2 accidiosi; v.4 fango; v.6 plumbeo; vv.8,52 fantasma;<br />

v.10 foschi; v.11 ignoti dolori; v.12 tormenti; v.18 incappucciati di nero; vv.19,58 ombre;<br />

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71


v.21 lugubre; vv.23,60 tedio; vv.29,33 mostro; v.30 metallica anima; v.31 fiammei occhi;<br />

v.31 buio; v.36 tenebra; vv.49,58 caligine.<br />

Solo dal verso 37 al verso 48 e nella quarta strofa, dove abbiamo il riferimento a Lidia, il<br />

linguaggio cambia, diviene più dolce e malinconico: v.15 begli anni; v.16 istanti gioiti; v.37<br />

viso dolce; v.37 pallor roseo; v.38 occhi di pace; v.38 candida; v.39 floridi; v.40 pura; v.40<br />

soave; v.44 luminoso; v.46 aureola; v.47 belli; vv.43,47 sole; v.48 gentile. In questi versi<br />

luminosi, come anche in quelli più cupi e lugubri, si nota senza esitazione il gusto classico che<br />

caratterizza la poetica carducciana; ma nei versi dedicati a Lidia, ancor di più, si ritrova la<br />

tradizione classica della lirica d’amore italiana. È inoltre evidente l’uso di termini mediati dal<br />

linguaggio tecnico, che richiamano la cultura progressiva del Positivismo; ad esempio: fanali<br />

(v. 1), vaporiera (v.6), lanterna (v. 19), mazze di ferro (v. 20), sportelli (v. 25). Tutto ciò<br />

porta ad una sletterarizzazione e ad una smitizzazione del lessico poetico, come ha ben notato<br />

il Ceserani. È tuttavia parimenti vero che coesistono anche termini classici al posto di oggetti<br />

moderni, come, ad esempio, tessera (v. 13) per biglietto, caligine (vv. 49,58) per nebbia,<br />

mostro (vv. 29, 32) per treno; il che mantiene alto il tono del componimento e lo colloca in<br />

un’aura di classicismo letterario.<br />

14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Le metafore e le immagini della poesia di Carducci sono di diverse tipologie. Possiamo<br />

individure le principali:<br />

1) Immagini classiche. Carducci è senz’altro un classicista e nelle sue poesie compaiono<br />

inevitabilmente riferimenti alla mitologia e al Mondo antico, greco e latino.<br />

2) Immagini storiche. In molte sue liriche il poeta descrive memorie storiche. Il periodo<br />

preferito è il Medioevo dei Comuni, considerato un’epoca positiva, poiché segna<br />

l’inizio del processo di formazione degli Stati nazionali. Altre immagini sono tratte<br />

dalla Storia del Risorgimento e della Rivoluzione francese.<br />

3) Immagini paesaggistiche. Il paesaggio in Carducci assume una valenza fondamentale;<br />

soprattutto nelle “Rime nuove” compaiono ricordi autobiografici e sono molte le<br />

descrizioni della Natura. Si tratta di un paesaggio che è stato definito , per<br />

la presenza di colori come il rosso, il giallo, il verde. Accanto ad essi vi è però la<br />

presenza di toni cupi, rappresentati dal buio, dall’ombra, dal nero, che fanno da<br />

contrasto ai precedenti motivi cromatici.<br />

Analizziamo “Idillio maremmano”, componimento contenuto nelle “Rime nuove” formato<br />

da terzine di endecasillabi. Esso è un tipico esempio della tematica autobiografica della poesia<br />

carducciana, in modo particolare per il ricordo della giovinezza. Il discorso poetico è giocato<br />

su un motivo leopardiano: l’immagine di una donna amata in gioventù che riaffiora alla mente<br />

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72


attraverso la memoria (si ricordino Silvia e Nerina per Leopardi). Si possono trovare dei<br />

riferimenti ben chiari ai testi di Leopardi:<br />

v.7, Ove sei?: “Le ricordanze”, Ove sei, che più non odo / la tua voce sonar… (vv.144-<br />

145);<br />

v.8, Non passasti: “Le ricordanze”, Passasti, (v.149);<br />

v.8-9, Natio borgo: “Le ricordanze”, Natio borgo selvaggio (v.30);<br />

v.50, E verdi quindi i colli e quindi il mare: “A Silvia”, E quinci il mar da lungi, e quindi il<br />

monte (vv.25);<br />

vv.17-21, le rime in -ivi, uscivi … aprivi: “A Silvia”, fuggitivi … salivi (vv.4-6).<br />

Ma il motivo è espresso con un tono totalmente diverso da quello di Leopardi, si potrebbe<br />

pensare ad un voluto rovesciamento. Prima di tutto si noti la fisicità e sensualità delle<br />

immagini, ben diversa dal “vago” e “indefinito” di Leopardi: il raggio d’aprile “roseo”,<br />

l’occhio “azzurro”, il “biondeggiante or” delle spighe, la chioma “flava”, l’estate che<br />

“fiammeggia”, i “verdi” rami, il melograno che scintilla “rosso”, i colli “verdi”.<br />

Anche il simbolo femminile ha un significato antitetico a quello leopardiano: in Leopardi è<br />

la fanciulla morta giovane che, senza giungere a vedere il “fior degli anni suoi” e senza poter<br />

godere delle gioie dell’amore (la cui sorte testimonia il destino delle creature vittime della<br />

crudeltà della natura), nega ogni felicità; in Carducci è, invece, un’immagine di femminilità<br />

matronale, florida e opulenta (il fianco “baldanzoso”, il seno “restio” ai “freni del vel”, su cui<br />

l’occhio del poeta indugia con scoperto compiacimento), che allude ad un’esistenza sana e<br />

forte, ricca di gioie anche fisiche (“troppa gioia d’amplessi al marital desio”), a cui si<br />

collegano i valori della famiglia (i “forti figli” che pendevano dalla sua “poppa”, ed ora<br />

balzano arditi in groppa ai cavalli): la vita semplice della campagna e la famiglia sono i valori<br />

che qui Carducci intende celebrare.. 31<br />

La storia della critica carducciana inizia con un volume di Enrico Thovez, “Il pastore, il<br />

gregge e la zampogna” (1909); il giudizio che ne emerge è limitativo: rispetto all’apice<br />

letterario a cui era arrivato Leopardi, Carducci segna un passo indietro verso forme letterarie<br />

ormai superate.<br />

Benedetto Croce (1910), invece, rivalutò molto la poetica carducciana: anche se ammette<br />

certi momenti di “non-poesia” (per il prevalere di motivi praticistici, polemici e pedagogici),<br />

il critico indica la più alta realizzazione della poesia del Carducci in quella storica, nutrita di<br />

passione etica e civile, che diviene poesia epica. Croce individua nella poesia carducciana<br />

“l’ultima e classica grande poesia italiana”.<br />

Da un punto di vista più moderno, Domenico Petrini (1927) vede nello svolgimento della<br />

lirica carducciana una dissoluzione del mondo romantico e una ricerca di pure forme musicali<br />

e coloristiche.<br />

Mario Praz (1940), dall’alto della sua inarrivabile conoscenza delle letterature romantiche<br />

europee, vede nel “classicismo” carducciano un’espressione di “nostalgia” tutta romantica per<br />

l’antico, sentito come paradiso di bellezza definitivamente perduto nel presente squallido<br />

dominato dalla società industriale.<br />

31<br />

L’analisi del testo è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo- Dalla Scapigliatura al Verismo” di G.<br />

Baldi, S. Giusso, M, Razetti, G. Zaccaria, PARAVIA<br />

73<br />

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Natalino Sapegno (1949) dà un giudizio severo di Carducci, vedendo il momento poetico<br />

più felice nei “Giambi ed Epodi”, nell’impeto polemico della passione politica e sociale, e nel<br />

movimento nostalgico verso un’infanzia selvaggia e ribelle. Alla decadenza ideologica<br />

corrispose anche quella poetica: assumendo posizioni conservatrici, si ripiegò sull’eleganza<br />

formale.<br />

Luigi Russo (1955 e 1957), insiste su un Carducci “funebre”, cantore nostalgico di eroici<br />

mondi perduti.<br />

Nel trentennio successivo, sino ai giorni nostri, Carducci non ha più suscitato vivi interessi<br />

critici; è questo un segno di come Carducci non sia più sentito un poeta attuale, forse si vede<br />

in lui l’ultimo rappresentante della classicità.<br />

14.4 PAROLE ADOPERATE<br />

Per individuare le parole maggiormente adoperate dal Carducci abbiamo analizzato le<br />

raccolte “Rime nuove”, “Odi barbare”, “Rime e ritmi”. Ecco la tabella ed il grafico delle<br />

frequenze:<br />

CARDUCCI % X 1000<br />

1 Sol(e) 0,48 4,8<br />

2 Bellezza, bel, bella 0,36 3,6<br />

3 Amor(e), amoroso/a 0,33 3,3<br />

4 Ciel(o) 0,28 2,8<br />

5 Cor(e) 0,27 2,7<br />

6 Morte 0,26 2,6<br />

7 Bianca/o 0,23 2,3<br />

8 Fiore 0,21 2,1<br />

9 Occhi, Canto, Verde/i 0,18 1,8<br />

10 Mar(e), Ombra/e 0,17 1,7<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

4,8<br />

Sol(e)<br />

FREQUENZE CARDUCCI<br />

3,6 3,3 2,8 2,7 2,6 2,3 2,1 1,8 1,7<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

Amor(e),<br />

amoroso/a<br />

Ciel(o)<br />

Cor(e)<br />

Rispetto agli altri poeti analizzati fin qui troviamo alcune interessanti novità.<br />

Sicuramente anche per Carducci vale il discorso della corrispondenza con il lessico<br />

petrarchesco. In effetti la base del suo linguaggio è ancora quella mutuata dal Petrarca. Parole<br />

come core, amore, bellezza, morte, cielo compaiono in larga misura nei due poeti. Tuttavia<br />

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Morte<br />

Bianca/o<br />

Fiore<br />

Occhi,<br />

Canto,<br />

Verde/i<br />

Mar(e),<br />

Ombra/e<br />

74


sono ravvisabili alcuni fattori di interesse. Primo fra tutti la presenza di termini che indicano<br />

la solarità, cioè parole riferite a colori accesi e luminosi. Troviamo, infatti, sole (4,8 x 1000),<br />

bianco (2,3 x 1000), verde (1,8 x 1000) tra le prime dieci parole, e rosso (1,0 x 1000) al 14°<br />

posto. Accanto a queste parole vi sono poi termini che evocano la cupezza e la tristezza, come<br />

morte (2,6 x 1000), ombra (1,7 x 1000), tra le prime dieci parole, e nero (1,6 x 1000) all’11°<br />

posto.<br />

È comunque azzardato affermare che il lessico carducciano sia innovativo. Esso continua a<br />

seguire la Tradizione e si colloca nel Classicismo, che contraddistingue gran parte della lirica<br />

italiana e le sue basi linguistiche e lessicali.<br />

A conclusione dell’analisi della lirica d’Amore del periodo che va dal Quattrocento<br />

all’Ottocento, che ha costituito la base della seconda parte del mio lavoro, ritengo utile<br />

fornire, per tutti i principali termini adoperati dai vari poeti, il coefficiente di correlazione r<br />

rispetto a Petrarca. Esso è un valore statistico, che indica quanto un insieme di valori sia<br />

dipendente – e cioè correlato – con un altro insieme, ed è calcolato con la formula<br />

matematica: r = S(xy) / S(x) . S(y) , dove S(xy) rappresenta la così detta covarianza tra i due<br />

insiemi di dati, e S(x) . S(y) rappresentano le deviazioni standard dei due insiemi.<br />

Il coefficiente di correlazione così calcolato assume un valore tra – 1 e + 1; nel caso di<br />

valore 0 significa che non esiste correlazione, mentre un valore vicino a + 1 significa che la<br />

correlazione è molto alta.<br />

Eseguendo i calcoli rispetto a Petrarca i coefficienti di correlazione risultano i seguenti, che<br />

raccogliamo in un grafico:<br />

0,9<br />

0,8<br />

0,7<br />

0,6<br />

0,5<br />

0,4<br />

0,3<br />

0,2<br />

0,1<br />

0<br />

1<br />

COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA<br />

Poeti del<br />

Quattrocento<br />

Petrarchisti<br />

L’aspetto che più ci colpisce è la forte correlazione delle varie correnti poetiche con la<br />

poesia di Petrarca. Nonostante il periodo interessato sia di oltre cinquecento anni, il<br />

coefficiente di correlazione resta abbastanza stabile e non scende mai sotto il livello dello<br />

0,70. Dobbiamo, inoltre, tenere presente il fatto che da Petrarca ai secoli successivi la<br />

tematica della lirica – precedentemente incentrata quasi esclusivamente sull’Amore – si<br />

allarga ad altri argomenti, come la politica, l’analisi introspettiva, la Natura, la Storia, le<br />

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Marinisti<br />

Antimarinisti<br />

Arcadia<br />

Neoclassici<br />

Romantici<br />

Leopardi<br />

Carducci<br />

75


tematiche civili … Questo fattore fa abbassare le percentuali di frequenza dei termini del<br />

lessico amoroso, dato che il calcolo – come si è più volte specificato – è stato fatto sul<br />

complesso della produzione poetica degli autori. Conseguentemente, anche il coefficiente di<br />

correlazione tende ad abbassarsi progressivamente, man mano che viene meno il monopolio<br />

monotematico dell’Amore.<br />

Per rendere la nostra analisi più completa, possiamo riprendere anche le correnti poetiche<br />

che precedono Petrarca, e calcolare il coefficiente di correlazione di queste rispetto a Petrarca,<br />

che avrà ovviamente coefficiente uguale ad 1,0. Il grafico che emerge è il seguente:<br />

0,9<br />

0,8<br />

0,7<br />

0,6<br />

0,5<br />

0,4<br />

0,3<br />

0,2<br />

0,1<br />

0<br />

1<br />

Siciliani<br />

COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA<br />

Toscani<br />

Stilnovisti<br />

Dante<br />

È molto interessante notare che il cambiamento più radicale nel linguaggio della lirica<br />

d’Amore avviene con il Dolce Stil Nuovo (r = 0,74 rispetto a Petrarca). Il linguaggio<br />

stilnovista è sostanzialmente recepito da Dante e da Petrarca, che provvede ad integrarlo,<br />

facendone il linguaggio ufficiale della lirica d’Amore italiana fino a tutto l’Ottocento.<br />

Bisognerà attendere l’epoca successiva, e cioè il Novecento, per assistere al declino del<br />

Magistero petrarchesco ed alla nascita di un nuovo linguaggio della lirica d’Amore.<br />

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PETRARCA<br />

Poeti del<br />

Quattrocento<br />

Petrarchisti<br />

Marinisti<br />

Antimarinisti<br />

Arcadia<br />

Neoclassici<br />

Romantici<br />

Leopardi<br />

Carducci<br />

76


PARTE TERZA (Il Novecento)<br />

Con il Novecento si inaugura una nuovissima stagione letteraria. Per ciò che concerne la<br />

lirica, possiamo dire che tenta sempre più di allontanarsi dai condizionamenti della metrica e<br />

della rima.<br />

Dapprima le forme metriche vengono formalmente mantenute, ma il poeta tende a<br />

scardinarle dall’interno, come nel caso di Pascoli, apportando anche alcune innovazioni.<br />

Da questo punto di vista Pascoli può definirsi un grande innovatore, in quanto utilizza versi<br />

classici, ma scarsamente presenti ed inconsueti nella poesia italiana, quali il quinario, il<br />

ternario, il novenario.<br />

L’adozione del verso libero, che caratterizzerà tutto il Novecento, rappresenta la rottura più<br />

significativa con tutta la tradizione lirica precedente. Con il verso libero, introdotto da<br />

D’Annunzio, il poeta dà voce ad un suo ritmo interiore; la lirica di questo periodo, quindi, va<br />

incontro alle esigenze di libertà e di individualismo che erano sorte.<br />

In questo senso D’Annunzio può essere definito un <br />

Nel periodo tra le due guerre giungono ad una piena maturazione queste tendenze liriche:<br />

Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), con le due prime raccolte poetiche Il porto sepolto (1916)<br />

e Allegria di naufragi, porta alle estreme conseguenze l’innovazione del verso libero,<br />

sperimentandone le più ampie possibilità, fino a ridurlo all’unicità della singola parola.<br />

Distrugge la metrica tradizionale e si concentra sull’aspetto interiore, arrivando alle soglie di<br />

una poesia metafisica. Introduce il procedimento sempre più rarefatto ed essenziale<br />

dell’analogia, che si propone di cogliere l’essenza delle cose attraverso folgorazioni o<br />

illuminazioni improvvise.<br />

L’esperienza ungarettiana si può definire d’avanguardia, diversamente da quelle di<br />

Montale e Saba, che tentano soluzioni di compromesso, tra le avanguardie e la tradizione.<br />

Per quanto concerne Gozzano, invece, abbiamo sostanzialmente alcuni aspetti innovativi,<br />

anche dal punto di vista linguistico, ma molti aspetti restano legati alla Tradizione.<br />

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77


15.1 FORME METRICHE<br />

GIOVANNI PASCOLI<br />

I componimenti poetici di Pascoli fanno parte di alcune raccolte redatte da lui stesso.<br />

Sarebbe fuorviante tentare di riprodurre un’evoluzione interna della sua poesia tenendo in<br />

considerazione l’ordine cronologico di queste raccolte, in quanto il loro ordine di uscita non<br />

coincide con quello della composizione dei singoli testi. Tra il 1891 e il 1911, quando il poeta<br />

redige queste raccolte, lavora contemporaneamente a vari generi poetici, con tematiche e stili<br />

compositivi anche molto lontani fra loro. Quindi, possiamo asserire che la distribuzione nelle<br />

varie raccolte non obbedisce all’ordine cronologico di composizione, quanto a ragioni<br />

formali, stilistiche e metriche.<br />

La poesia di Pascoli è sostanzialmente sincronica: sono ovviamente riconoscibili<br />

arricchimenti e approfondimenti di temi, mutamenti di soluzioni stilistiche nel corso del<br />

tempo, ma svolte veramente radicali, che possono legittimamente far parlare di fasi diverse e<br />

distinte, non possono essere individuate. 32<br />

Le raccolte sono: Myricae (1892), Primi poemetti (1897), Odi e inni (1896), Poemi del<br />

risorgimento (1910-12), Poemi conviviali (1904), Nuovi poemetti (1909), Canti di<br />

Castelvechio (1903), oltre a Poesie varie che raccolgono liriche giovanili o disperse.<br />

Nella prima raccolta, Myricae, sono presenti prevalentemente componimenti molto brevi,<br />

che all’apparenza si presentano come piccole descrizioni di vita campestre con uno stile molto<br />

vicino al gusto impressionistico. Compaiono qui quelle soluzioni formali che costituiscono la<br />

profonda originalità della poesia pascoliana: l’insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico<br />

dei suoni, l’uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. Pascoli sperimenta<br />

anche una varietà di combinazioni metriche inedite, utilizzando in genere versi brevi, in<br />

particolare il novenario, un verso poco frequente nella tradizione italiana.<br />

Diversi sono i Poemetti, divisi nelle due raccolte Primi poemetti e Nuovi poemetti: sono<br />

componimenti più lunghi di quelli di Myricae, che spesso sembrano veri e propri racconti in<br />

versi. Anche la struttura metrica cambia: ai versi brevi subentrano, di regola, le terzine<br />

dantesche, raggruppate in sezioni più o meno ampie.<br />

I Canti di Castelvecchio sono definiti dal poeta stesso, nella prefazione, “myricae”, quindi<br />

si propongono intenzionalmente di continuare la linea della prima raccolta. I componimenti<br />

ritornano ad essere più brevi.<br />

I Poemi conviviali assumono un carattere estetizzante e quindi il linguaggio e il metro<br />

aderiscono alla tradizione classicista. A questa raccolta possiamo accostare i Carmina latini :<br />

trenta poemetti e settantuno componimenti più brevi scritti da Pascoli per il concorso di<br />

poesia latina di Amsterdam, per i quali, dal 1892, egli ottenne molte volte la medaglia d’oro.<br />

32 Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” vol. F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G.<br />

Zaccaria. PARAVIA<br />

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78


Per Pascoli il Latino non è una lingua morta e un puro esercizio erudito di riproduzione dei<br />

moduli espressivi fissati dagli esercizi antichi, ma è una lingua intimamente rivissuta, che<br />

rivela profonde affinità col linguaggio delle poesie italiane, soprattutto nel suo ritmo spezzato,<br />

che appare lontano dall’armonia del latino classico.<br />

Nelle forme metriche, come nei ritmi e nella lingua che vedremo in seguito, Pascoli attua<br />

uno scardinamento: metri come la terzina dantesca, versi ormai obsoleti come il novenario e<br />

il decasillabo, vengono adoperati da lui in modo del tutto personale, con slittamenti di accenti<br />

e innovazioni di ritmi che li rendono irriconoscibili. Per quanto riguarda le rime sono presenti<br />

rime ipermetre (per es. far rimare invito con gomitoli, non calcolando quindi l’ultima sillaba<br />

che resta fuori del conto); rime spezzate (dove la parola-rima è spezzata alla fine del verso e<br />

una sua parte è rigettata in quello seguente: ciondo/ loni fatto rimare con biondo; rime<br />

rigettate da un verso all’altro: piana/ mente gemendo.<br />

15.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Come abbiamo già detto, le soluzioni formali di Pascoli sono fortemente innovative.<br />

La sintassi è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui<br />

classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principali, coordinate e<br />

subordinate (tale era ancora la sintassi carducciana, e continuava ad essere quella del<br />

D’Annunzio più aulico): nei suoi testi poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione,<br />

di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza<br />

rapporti gerarchici fra di loro, spesso collegate non da congiunzioni ma per asindeto. Di<br />

frequente, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la<br />

forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi e aggettivi). La frantumazione<br />

pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, il prevalere della<br />

sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano<br />

una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. E’ una sintassi che traduce<br />

perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione “fanciullesca”, alogica, che mira a<br />

rendere il mistero, l’alone indefinito che circonda le cose, a scendere intuitivamente nel<br />

profondo della loro essenza, e quindi svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali, grande<br />

e piccolo, importante e meno importante, centrale e periferico. 33<br />

La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambements,<br />

che spezzano sintagmi strettamente uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo.<br />

Per comprendere meglio tutto ciò, analizziamo Digitale purpurea, componimento raccolto<br />

nei Nuovi poemetti (metro: terzine dantesche a rime incatenate - ABA, BCB, ecc.). Sin da una<br />

prima lettura si può notare la frantumazione dell’asse sintagmatico del racconto, che non<br />

segue un ordine cronologico di successione degli eventi, ma è continuamente interrotto da<br />

anacronie 34 : comincia al presente, fa rivivere il passato come un flash-back, torna al presente<br />

del colloquio fra le due amiche, per risalire infine al passato con la rievocazione<br />

33<br />

Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” Vol.F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G.<br />

Zaccaria, PARAVIA<br />

34<br />

“anacronia” (dal greco anà, indietro, di nuovo, e chrònos, tempo). Nel racconto, la rottura della successione<br />

cronologica dei fatti, per cui vengono raccontati dopo fatti avvenuti prima di altri, o viceversa.<br />

79<br />

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dell’esperienza trasgressiva del fiore velenoso. Anche la struttura sintattica è fortemente<br />

frantumata, discontinua. Le frasi sono brevi e interrompono continuamente il discorso in unità<br />

a sé stanti. I puntini di sospensione contribuiscono ulteriormente a questa frantumazione (v.10<br />

così dolci al cuore …; v.15 con quel fiore, fior di …; v.9 da tastiere appena tocche… ; v.15<br />

(perché mai) piangete?… ), così come la lunga parentesi di quasi tre versi, che in chiusura<br />

allontana con una forte sospensione la confessione suprema, si muore!. I versi sono<br />

continuamente interrotti al loro interno da forti pause; a ciò si uniscono i numerosissimi<br />

enjambements.<br />

Per quanto riguarda il linguaggio, fu ancora più innovativo: accanto all’uso della lingua<br />

attinta dai classici, vi è l’uso di dialettismi e di parole tratte dal gergo (riferentisi alla realtà<br />

campestre), di onomatopee, di una terminologia botanica ed ornitologica (ad indicare le<br />

infinite varietà di alberi, fiori, uccelli che popolano i suoi versi). Il lessico adoperato da<br />

Pascoli è formato da numerosi codici linguistici, e si contrappone quindi a tutta la tradizione<br />

monolinguistica della precedente tradizione poetica italiana.<br />

15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE<br />

Pascoli fa molto uso del linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora, e cioè<br />

la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha col primo un rapporto di<br />

somiglianza. Ma l’analogia pascoliana, come quella dei simbolisti, accosta in modo<br />

sorprendente due realtà fra loro remote, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi<br />

e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso<br />

dell’immaginazione. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia, che fonde insieme<br />

diversi ordini di sensazioni (per esempio si possono trovare sensazioni visive e cromatiche,<br />

fuse con una sensazione fonica).<br />

Analizziamo Il gelsomino notturno, componimento con metro di quartine di novenari a<br />

rime alternate (abab). Per quanto riguarda il repertorio di immagini, possiamo esaminare<br />

quelle legate alla morte, quelle legate al “nido” e quelle legate all’amore. La tragedia<br />

familiare del poeta, che ha distrutto il suo “nido”, lo ha bloccato alla condizione psicologica<br />

infantile, impedendogli di uscirne. I morti continuano a rivivere nel suo personale nido di<br />

bambino, che Pascoli sembra voler proteggere da qualsiasi ingerenza esterna quale l’amore.<br />

Ecco allora l’alternanza tra le immagini mortuarie e quelle del fiore che invita all’amore<br />

(vv.1-2 E s’aprono i fiori notturni, / nell’ora che penso a’ miei cari; vv.9-10 Dai calici aperti<br />

si esala / l’odore di fragole rosse / … Nasce l’erba sopra le fosse). Uscire, legarsi alla donna,<br />

riprodursi, sarebbe un tradimento ad un legame sacro ed inviolabile con il “nido”. Quel nido<br />

rappresentato dalle seguenti espressioni: v.7 sotto l’ali dormono i nidi; v.14 le api chiuse nelle<br />

loro celle; vv.15-16 la Chiccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle.<br />

15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE<br />

Benedetto Croce, che dedicò al Pascoli un saggio nel 1907, diede un giudizio negativo. Infatti,<br />

secondo il filosofo, l’opera pascoliana era priva di unità, la poesia si presentava solo in brevi<br />

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frammenti ed era di ispirazione sostanzialmente idillica, quindi ristretta e limitata. Oltre al<br />

giudizio estetico - formale, Croce diede anche un giudizio morale, condannando quella che<br />

riteneva la "malattia" romantico – decadente; quindi la morbosità, il vago misticismo, il<br />

vagheggiamento del mistero e della morte del Pascoli furono categoricamente ripudiati.<br />

Ricerche più recenti, nel secondo dopoguerra, hanno sottolineato il valore anticipatore della<br />

poesia di Pascoli. Pier Paolo Pasolini (1955), ad esempio, afferma che .<br />

Il grande filologo e critico Gianfranco Contini (1955) analizza da un punto di vista linguistico<br />

le opere di Pascoli, sostenendo che accanto alle forme normali (grammaticalmente<br />

strutturate), compare un linguaggio “pregrammaticale” (onomatopee) e un linguaggio<br />

“postgrammaticale” (le lingue speciali e dialettali), e conclude che, se il linguaggio normale<br />

implica l’avere chiara e precisa l’idea del mondo, un linguaggio eccezionale come quello di<br />

Pascoli implica un rapporto io - mondo molto critico.<br />

Per quanto riguarda la metrica, Emilio Bigi (1962) ha messo in luce come versi e strofe di<br />

impianto tradizionale siano solo un primo piano, superficiale, al di sotto del quale se ne<br />

colloca uno più segreto, attraverso il quale si esprime la voce del “fanciullino”, che spezza le<br />

strutture in echi musicali, pause, enjambements.<br />

Per ciò che concerne la lettura psicanalitica, Giorgio Barberi Squarotti (1956) individua il<br />

nucleo fondamentale di tale poesia nell’immagine del “nido”, chiuso al mondo esterno, geloso<br />

e protettivo, che sottintende il ripudio di qualsiasi rapporto sociale e una riduzione ai puri<br />

legami del sangue, oscuri e viscerali.<br />

15.5 PAROLE ADOPERATE<br />

Riguardo alle parole adoperate nelle sue poesie, il Pascoli rappresenta una grandissima<br />

novità rispetto alla tradizione. Con lui viene meno il predominio del lessico petrarchesco, che<br />

aveva dominato pressochè incontrastato il linguaggio della lirica italiana dal Trecento<br />

all’Ottocento. Per renderci conto della grande innovazione pascoliana, possiamo – come già<br />

fatto per tutti gli altri autori e/o periodi – individuare le dieci parole maggiormente adoperate.<br />

Per questo scopo abbiamo analizzato le raccolte “Myricae”, “Canti di Castelvecchio”.<br />

Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze:<br />

PASCOLI % X 1000<br />

1 Ciel(o) 0,35 3,5<br />

2 Morte 0,28 2,8<br />

3 Cor(e) 0,27 2,7<br />

4 Ombra/e 0,26 2,6<br />

5 Nero 0,25 2,5<br />

6 Bianca/o 0,22 2,2<br />

7 Notte 0,19 1,9<br />

8 Occhi, Giorno/i 0,184 1,8<br />

9 Madre 0,177 1,8<br />

10 Mano/i, Voce 0,174 1,7<br />

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X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

FREQUENZE PASCOLI<br />

3,5 2,8 2,7 2,6 2,5 2,2 1,9 1,84 1,77 1,74<br />

Ciel(o)<br />

Morte<br />

Cor(e)<br />

Ombra/e<br />

Nero<br />

È chiaramente evidente un forte scostamento dalla Tradizione classicista e petrarchista.<br />

Alcune delle parole chiave di Petrarca, come amore, bellezza, dolcezza, donna, sole non<br />

compaiono in Pascoli nei primi dieci termini fondamentali, ed anzi hanno basse frequenze<br />

nelle sue Opere. Ad esempio amore ha una frequenza dello 0,5 x 1000; bellezza dell’1,5 x<br />

1000; dolcezza dell’1,7 x 1000; donna dello 0,2 x 1000 e sole dell’1,6 x 1000.<br />

Significativo il fatto che le prime parole che compaiono nella lista delle preferenze siano<br />

cielo (3,5 x 1000) e morte (2,8 x 1000), quasi a sottolineare la personalità fortemente turbata<br />

del poeta, che pone al centro del suo la morte ed il cielo, che è un simbolo della vita<br />

ultraterrena e del contatto con l’aldilà. Certamente per Pascoli – a differenza del Carducci – i<br />

morti costituivano un’inquietante presenza, con la quale la persona viva doveva comunque<br />

relazionarsi e fare i conti; basti vedere le numerose poesie pascoliane, che parlano della<br />

morte, o hanno richiami ai defunti; per fare solo qualche esempio: Il Gelsomino notturno (v. 2<br />

nell’ora che penso ai miei cari); L’assiuolo (v. 21 e c’era quel pianto di morte); Novembre<br />

(v. 11-12 … È l’estate, / fredda, dei morti).<br />

Possiamo ora calcolare l’indice di correlazione r tra Pascoli e Petrarca; esso ci fornisce il<br />

seguente dato: r = 0,56: un risultato che, pur confermando ancora una certa analogia con il<br />

lessico petrarchesco, segna indubbiamente una rottura rispetto al passato, dal momento che,<br />

secondo i nostri calcoli, da Petrarca in poi il valore di r rispetto a Petrarca non era mai sceso<br />

sotto lo 0,70.<br />

Bianca/o<br />

Notte<br />

Occhi,<br />

Giorno/i<br />

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Madre<br />

Mano/i,<br />

Voce<br />

82


16.1 FORME METRICHE<br />

GABRIELE D’ANNUNZIO<br />

La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio è formata da una serie di numerosi scritti, sia<br />

lirici, sia narrativi, sia teatrali, sia ancora autobiografici e della memoria. Ma ciò che più ci<br />

interessa, in questo lavoro, è la sua produzione lirica: Primo vere, 1879; Canto novo.<br />

Intermezzo di rime, 1884; L’Isotteo, 1886; Elegie romane, 1887; Poema paradisiaco, 1891;<br />

Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi (I Maia, 1903); II Elettra, 1903; III Alcyone,<br />

1904; IV Le canzoni delle gesta d’oltremare, 1912). Nelle prime raccolte D’Annunzio adotta<br />

diverse soluzioni metriche, rifacendosi alla tradizione ed anche ai metri barbari di Carducci.<br />

Le Laudi facevano capo ad un progetto che prevedeva sette libri, ognuno intitolato con il<br />

nome di una stella della costellazione delle Pleiadi. Il primo libro, Maia, non è una raccolta di<br />

liriche, bensì un lungo poema unitario di oltre ottomila versi, in cui D’Annunzio adopera<br />

subito una novità formale, cioè il verso libero, distaccandosi completamente dagli schemi<br />

tradizionali. Nel secondo libro, Elettra, buona parte del volume è costituito da liriche sulle<br />

Città del silenzio (le città italiane, ora lasciate ai margini del progresso e della vita moderna).<br />

Il terzo libro, Alcyone, quello che analizzeremo più approfonditamente, è apparentemente<br />

molto lontano dai due precedenti. Al discorso politico e celebrativo, si sostituisce il tema del<br />

panismo, ossia la fusione uomo - natura, natura - uomo. Le ottantotto liriche seguono un<br />

disegno organico, ma diverso è l’ordine cronologico di composizione. Analizziamo le forme<br />

metriche di alcune di esse. La pioggia nel pineto, è una poesia strutturata in quattro strofe di<br />

trentadue versi liberi (quinari, senari, settenari, ottonari, novenari …) con un irregolare<br />

ricorrere di rime ed assonanze. Spesso, per effetto del libero gioco delle rime e delle<br />

assonanze, la misura massima del novenario tende a frangersi nelle misure minori di un<br />

senario e un ternario, o anche di tre ternari. Talvolta, invece, “la lettura continua, anche senza<br />

praticare sinalefe al confine, di due versi di seguito, restituisce (…) l’endecasillabo”. Ne<br />

consegue 35 . Ma osserviamo la struttura delle rime (spesso ricche), e delle assonanze (ora<br />

fitte ora rade all’interno delle varie strofe). (G. Contini) 36 . In questa poesia è stato scorto il parallelismo con il concerto di una<br />

sinfonia. “La partitura musicale della poesia è costruita con strumenti sofisticatissimi. (…) Si<br />

35 “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982<br />

36 “Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Rocoroni. I edizione Oscar Mondadori del 1982<br />

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succedono versi brevi, senari, settenari, ottonari, novenari, ma persino versi trisillabi,<br />

composti da una sola parola (lontane, divini, silvani, leggeri, ..). Questa estrema<br />

frammentazione dei versi ha una valore iconico, cioè tende a riprodurre la pluralità<br />

innumerevole di presenze e di voci che si affollano nella pineta sotto le fitte gocce di pioggia.<br />

(… ) Il ritmo del discorso permette però di ricostruire speso un’altra trama metrica sotterranea<br />

e dissimulata sotto la prima. (…). Altro strumento per eccellenza del virtuosismo musicale di<br />

D’Annunzio è la rima, che ricorre anch’essa molto liberamente, senza alcuno schema fisso.<br />

Particolarmente musicali risultano le coppie di versi a rima baciata (vv.21-22 silvani / mani;<br />

vv.25-26 leggeri / pensieri; vv.28-29 novella / bella, vv.35-36 verdura / dura; vv.45-46<br />

cinerino / pino; vv.61-62 ginestre / terrestre; vv 91-92 lontana / rana). (…) Alla qualità<br />

musicale del discorso poetico dà un contributo fondamentale anche la modulazione fonica.<br />

Basti osservare la variazione tra i toni chiari della a e i toni cupi delle o toniche in questi<br />

versi: vv.37-38-39 e varia nell’aria / secondo le fronde / più rade men rade, che pare quasi<br />

avere un’intenzione mimetica della varietà dei suoni delle gocce sulle foglie>> 37 .<br />

16.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI<br />

Come abbiamo già detto, il nucleo fondamentale del libro Alcyone rappresenta la fusione<br />

panica con la natura, che si esprime attraverso un atteggiamento di evasione e<br />

contemplazione. Il libro è il diario di un’ideale e vagheggiata vacanza estiva, dai colli<br />

fiesolani alle coste tirreniche tra Marina di Pisa e la Versilia. L’io del poeta si identifica con<br />

le varie forme della natura, animali, vegetali, minerali. C’è una ricerca sottile della musicalità,<br />

che tenta di dissolvere la parola in sostanza fonica e melodica, con l’impiego di un linguaggio<br />

analogico, che si fonda su un continuo gioco di immagini tra loro rispondentisi. Solo la parola<br />

magica del poeta - superuomo, creatura d’eccezione, quasi un vate, può capire ed esprimere<br />

l’armonia intrinseca e segreta della natura, e così rivelare l’essenza vera delle cose..<br />

D’Annunzio trasfigura musicalmente le parole, generando poesie che fondono in modo<br />

irripetibile realtà e sogno. Prendiamo per esempio Bocca d’Arno, una poesia formata da<br />

cinque strofe di undici versi ciascuna (endecasillabi con qualche settenario e quinario). Bocca<br />

d’Arno è la foce dell’Arno sul lido di Pisa; il poeta, con un pretesto meramente verbale,<br />

trasforma la la foce dell’Arno nella bocca della donna amata, le onde del fiume teorie di<br />

angeli danzanti, le reti pensili dei pescatori calici di immensi fiori favolosi; ed egli si perde<br />

insieme alla donna amata, in un’adorante contemplazione creatrice di prodigi.<br />

Il linguaggio di D’Annunzio è ricercato, classicheggiante, raffinato, aderente in toto ad una<br />

tradizione tipicamente italiana, ma innovativo per quanto riguarda il modo con cui descrive il<br />

paesaggio naturale e le figure femminili, il primo assumendo le sembianze di un mondo<br />

trasognato e splendente, le seconde incarnando figure divine. In effetti D’Annunzio è famoso<br />

per l’uso di una vasta gamma di vocaboli, ed anche per avere introdotto alcuni neologismi nel<br />

linguaggio della lirica italiana. Prendiamo, ad esempio, la lirica L’onda, tratta da Alcyone; si<br />

37 “Dal testo alla storia dalla storia al testo, Il decadentismo” Vol. F di G. Baldi, S. Giusso, M. razetti, G.<br />

Zaccaria. PARAVIA<br />

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tratta di una di cento versi, nella quale il poeta adopera moltissime parole,<br />

alcune delle quali strettamente tecniche, riferite al linguaggio marino o a quello militare:<br />

cala (v. 1), lorica (v.5), catafratto (v.6), dismaglia (v.11), ridonda (v.25), scavezza (v.39),<br />

cuora (v.45), ulva (v.46), crisopazi (v.58), berilli (v.60), melode (v.94), fura (v. 97).<br />

16.3 METAFORE E IMAGINI USATE<br />

Esaminiamo Stabat nuda Aestas, una poesia costituita da tre stanze di otto endecasillabi<br />

ciascuna. Il poeta ha “visto” l’estate. L’ha vista sotto le sembianze di una creatura divina dal<br />

piè stretto (v.1), dalla schiena falcata (v.11) e dai capei fulvi (v.11), correre leggera sugli aghi<br />

arsi dei pini, in mezzo al riverbero della luce, mentre intorno, a causa del gran caldo, tutte le<br />

cose assumono un’immobile fissità. Il poeta l’ha intravista, la riconosce, la raggiunge e<br />

quando la chiama riecheggiando il canto di un’allodola, la vede voltarsi e poi scomparire tra<br />

le erbe palustri e quindi incespicare nella paglia marina e cadere sulla spiaggia, tra la sabbia e<br />

l’acqua, nuda di un’immensa nudità, mentre il vento creava mille giochi di spume, facendo<br />

schiumare tra i suoi capelli l’onda del mare.<br />

Per tutta la lirica, la mitica figura, più che descritta, è evocata. Anzi, nel momento in cui tale<br />

evocazione assume le sembianze di una personificazione, immediatamente scompare in un<br />

dilagare di fenomeni della natura, di cieli, di ulivi, di oleandri, di aghi di pino, di canti di<br />

allodole, di odori aspri, di silenzi improvvisi, di gemiti di resine, di calure incandescenti, di<br />

luci intense, di onde spumeggianti.<br />

Il poeta, che di questa apparizione è testimone e artefice, si sente rapire dalla visione e la<br />

contempla avidamente, in uno dei suoi momenti più alti di comunione mistico - sensuale con<br />

la natura e in una ascensione totale di sensi, che ha il suo apice nella magnifica visione finale<br />

della nudità della donna – Estate, con cui egli già vagheggia di unirsi in una sorta di amplesso<br />

cosmico 38 .<br />

16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE<br />

Fino al secondo dopoguerra gli studi sull’opera dannunziana erano stati dominati dalla critica<br />

idealistica, di cui il maggior rappresentante era Benedetto Croce, che scrisse un saggio su<br />

d’Annunzio nel 1904. La critica idealistica pone l’accento sul D’Annunzio (B. Croce), sul poeta intensamente visivo, il paesista (Alfredo Gargiulo), sul<br />

poeta che sa trasfigurare la parola in musica (Attilio Momigliano), sul poeta che disincarna la<br />

sensualità, portandola fuori dai sensi (Francesco Flora).<br />

Dal secondo dopoguerra in poi la critica ha privilegiato altri campi di studio.<br />

Giacomo Devoto, Alfredo Schiaffini, Pier Vincenzo Mengaldo hanno studiato la lingua;<br />

Giorgio Barberi Squarotti, Marziano Guglielminetti, Gian Luigi Beccaria hanno analizzato lo<br />

stile, mettendo in luci i meccanismi più segreti della scrittura dannunziana; Aldo Rossi e<br />

Stefano Agosti, per la critica strutturalista, hanno esaminato le strutture profonde dei testi di<br />

38 Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni. I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982<br />

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D’Annunzio; Emerico Giachery e Giovanni Getto hanno portato alla luce le trame dei simboli<br />

sottese alle sue opere.<br />

Più recentemente, Carlo Salinari, Roberto Tessari, Alberto Asor Rosa, Arcangelo Leone De<br />

Castris, Romano Luperini, Giorgio Barberi Squarotti e Angelo Jacomuzzi hanno analizzato<br />

D’Annunzio in relazione alle ideologie del periodo storico in cui ha vissuto, quindi il suo<br />

atteggiamento nei confronti della realtà industriale; il suo rapporto contraddittorio con<br />

l’editoria, fatto da un lato di ripudio in nome di un aristocratico ideale di bellezza, dall’altro di<br />

attenta considerazione del successo commerciale.<br />

16.5 PAROLE ADOPERATE<br />

Per individuare la frequenza delle parole usate da D’Annunzio abbiamo analizzato la<br />

raccolta “Alcyone”, che contiene alcune delle poesie più note e più significative dell’autore.<br />

Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze:<br />

D'ANNUNZIO % X 1000<br />

1 Acqua 0,3 3,0<br />

2 Mar(e) - Ombra/e 0,29 2,9<br />

3 Occhi 0,27 2,7<br />

4 Terra 0,26 2,6<br />

5 Bianca/o 0,22 2,2<br />

6 Fiore 0,21 2,1<br />

7 Bellezza, bel, bella 0,2 2,0<br />

8 Nero 0,19 1,9<br />

9 Ciel(o) 0,18 1,8<br />

10 Luce/i 0,17 1,7<br />

X 1000<br />

10<br />

9<br />

8<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

FREQUENZE D'ANNUNZIO<br />

3,0 2,9 2,7 2,6 2,2 2,1 2,0 1,9 1,8 1,7<br />

Acqua<br />

Mar(e) -<br />

Ombra/e<br />

Occhi<br />

Terra<br />

Bianca/o<br />

Si nota che il processo di scostamento dal lessico della Tradizione – già visto per Pascoli –<br />

subisce un’ulteriore accelerazione. Delle prime dieci parole usate da Petrarca solo tre<br />

compaiono tra le prime dieci parole adoperate da D’Annunzio, e precisamente occhi (2,7 x<br />

1000), bello/a, bellezza (2,0 x 1000) e ciel(o) (1,8 x 1000).<br />

Fiore<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

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Nero<br />

Ciel(o)<br />

Luce/i<br />

86


Non troviamo, invece, parole molto importanti per Petrarca, quali amore (0,9 x 1000),<br />

cor/core (1,6 x 1000), tempo (0,3 x 1000), sol/sole (1,6 x 1000).<br />

È assai significativo il fatto che le prime dieci parole usate da D’Annunzio richiamino<br />

immagini vitalistiche e terrene, evocanti la gioia sensuale e l’amore per la vita; nell’ordine<br />

abbiamo, infatti, acqua (3,0 x 1000), mare (2,9 x 1000), occhi (2,7 x 1000), terra (2,6 x<br />

1000), bianco/a (2,2 x 1000), fiore (2,1 x 1000) …<br />

Il distacco dal lessico petrarchista è evidente dal calcolo dell’indice di correlazione r tra<br />

D’Annunzio e Petrarca. Esso è pari a r = 0,42 cioè il valore più basso fin qui trovato, il che<br />

dimostra come, ormai, si sia entrati, a pieno titolo, nel lessico della poesia contemporanea. Pur<br />

non essendo stato abbandonato, l’Amore non è più esperienza dominante e centrale nella<br />

lirica e non assume più valenza monotematica. Parimenti il linguaggio, nonostante permanga<br />

ancora colto ed elevato, diviene sempre di più linguaggio delle specifiche tematiche del poeta<br />

ed è sempre meno linguaggio propriamente amoroso.<br />

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GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)<br />

Le raccolte poetiche che consacrano la sua fama poetica sono: La via del rifugio (1907) e<br />

Colloqui (1911). Queste due raccolte rappresentano una poesia di “rifugio” dalle passioni,<br />

dall’alienazione mondana e dalla storia, quasi il ritorno ad un passato tetro. L’accettazione di<br />

un’esistenza priva di eventi molto importanti e di ambizioni intellettuali o sentimentali è<br />

accompagnata dall’ironia, con cui il “dannunzianesimo rientrato” (Sanginetti) di Gozzano si<br />

scopre e proclama, oltre al desiderio di felicità e amore, la presenza della malattia, della<br />

malinconia, della nostalgia e del contatto illusorio con l’universo femminile.<br />

I Colloqui presentano una struttura omogenea e compatta; il titolo è lo stesso dei<br />

componimenti con cui si apre e si chiude la raccolta.<br />

La signorina Felicita ovvero la felicità e L’amica di nonna speranza, i due poemetti più<br />

famosi di Gozzano, parlano dell’attrazione per una provinciale “quasi brutta, priva di<br />

lusinga”, e la fuga al passato risorgimentale (“rinasco, rinasco del mille ottocento<br />

cinquanta!”), con la conseguente consapevolezza dell’impossibilità di sfuggire alla negatività<br />

del presente. Totò Merumeni, invece, è un componimento in cui si osserva il senso di<br />

estraneità posto in una situazione atemporale, in cui la degradazione dell’eroe rappresenta la<br />

figura del poeta.<br />

La signorina Felicita ovvero la felicità è un componimento di sestine di endecasillabi<br />

(schema metrico: ABBAAB). Dal punto di vista formale si osserva che gli endecasillabi<br />

seguono un andamento narrativo, quindi tendono alla discorsività di un racconto, anche grazie<br />

al legame di continuità determinato dagli enjambements. La cadenza prosastica giunge sino<br />

all’inserimento del discorso diretto, anche se esso vuole soltanto sottolineare la<br />

caratterizzazione in senso borghese dei personaggi, con lo scopo ironico di evidenziare i<br />

contrasti nei confronti del poeta. La funzione di questi inserti è anche quella di determinare<br />

una rottura con il continuum del verso tradizionale, rompendone la facile musicalità e ogni<br />

tipo di affettazione.<br />

I termini adoperati dal poeta sono quelli del linguaggio comune; preferibilmente sono<br />

vocaboli concreti (v.8 tosti il caffè; v.10 cuci i lini).<br />

In tutta la poesia coesistono in contrasto realtà e ambiti opposti, così come il linguaggio,<br />

che si alterna tra semplice e quotidiano, ed elevato e arcaicizzante (che appare però un po’<br />

irrigidito e manierato). Tutto ciò rientra nell’ambito della poesia dello choc, che consiste<br />

nell’accostamento e nella fusione di elementi striduli e contrastanti. Di qui ha origine il<br />

carattere ironico e straniante della poesia gozzaniana, che giunge sino all’artificio della<br />

finzione e allo sdoppiamento del soggetto, alterando profondamente i rapporti con la realtà.<br />

Totò Merumeni è un componimento di quartine di doppi settenari (schema metrico: ABAB<br />

CDCD, ecc.). La derivazione del nome del protagonista dell’Heauntontimoroùmenos di<br />

Terenzio, attraverso la meditazione baudelaireiana, conferma la caratteristica culturale<br />

dell’operazione qui svolta da Gozzano, che vuole evidenziare una peculiare concezione<br />

dell’arte; che vuole fornire una specie di “ritratto dell’artista”. Il componimento è quasi una<br />

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88


parodia antidannunziana, i cui vi è la contraffazione ironica e parodica, nei confronti del<br />

superuomo dannunziano. Il protagonista, Totò Merumeni, è presentato come uno scrittore<br />

della ricca cultura, ma è posto in un ambiente irrigidito e ai confini del reale. L’amore<br />

proposto è quello per una , quasi per voler sottolineare, prima di tutto<br />

lo stacco dagli amori per le donne fatali di D’Annunizio, ma anche per mettere in luce<br />

l’esperienza naturale e immediata che rifiuta ogni complicazione sentimentale e mentale.<br />

Per quanto riguarda le parole adoperate Guido Gozzano è, più o meno, sulla stessa linea<br />

del Pascoli, al quale si rifà in molte sue poesie. Abbiamo, a questo proposito, analizzato le<br />

raccolte I colloqui, La via del rifugio e alcune Poesie sparse, presenti nella LIZ 3.0. L’indice<br />

di correlazione rispetto a Petrarca è pari a r = 0,58, un valore simile a quello del Pascoli. Ecco<br />

la tebella delle frequenze ed il relativo grafico:<br />

GOZZANO % X 1000<br />

1 Bellezza, bel, bella 0,48 4,8<br />

2 Sogno 0,29 2,9<br />

3 Tempo, Vita 0,22 2,2<br />

4 Mano/i 0,19 1,9<br />

5 Cor(e) 0,18 1,8<br />

6 Amor(e), Giorno/i 0,17 1,7<br />

7 Anima/e, Dolcezza 0,165 1,7<br />

8 Ciel(o) 0,16 1,6<br />

9 Morte 0,13 1,3<br />

10 Bacio, baciare 0,12 1,2<br />

X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

4,8<br />

Bellezza,<br />

bel, bella<br />

FREQUENZE GOZZANO<br />

2,9 2,2 1,9 1,8 1,7 1,65 1,6 1,3 1,2<br />

Sogno<br />

Tempo,<br />

Vita<br />

Mano/i<br />

Cor(e)<br />

Amor(e),<br />

Giorno/i<br />

Anima/e,<br />

Dolcezza<br />

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Ciel(o)<br />

Morte<br />

Bacio,<br />

baciare<br />

89


GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)<br />

La produzione poetica ungarettiana comincia dall’esperienza bellica che il poeta compì sul<br />

Carso durante il primo conflitto mondiale; infatti a Udine pubblicò, nel 1916, Il porto sepolto.<br />

Del 1919 è la raccolta Allegria di naufragi: le due raccolte confluiranno poi, con qualche<br />

aggiunta, nel volume L’allegria (1931). Quindi possiamo definire L’allegria la raccolta dei<br />

versi che costituiscono la prima fase poetica di Ungaretti, che va dal 1915 al 1919.<br />

La seconda fase, riferentesi al periodo compreso tra il 1919 e il 1933, fa capo alla raccolta<br />

intitolata Sentimento del tempo.<br />

Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale influiscono fortemente sul formarsi di una<br />

nuova e più dolorosa consapevolezza, tra l’altro preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la<br />

morte del fratello Costantino, nel 1937, e la perdita del figlio Antonietto, due anni dopo. Ecco<br />

che con la raccolta Il dolore (1947), alla quale seguiranno La terra promessa (1950 e 1954),<br />

Un grido e paesaggi (1952) e Il taccuino del vecchio (1961), si ha la terza fase poetica<br />

ungarettiana, che va dal 1933 al 1969.<br />

Tutte le poesie di Ungaretti hanno una forte componente autobiografica e ci sono proposte<br />

come una sorta di recherche sotto forma di versi (il riferimento al capolavoro di Marcel<br />

Proust non è casuale, in quanto Ungaretti fu il primo autore a parlare delle opere di Proust in<br />

Italia, nel 1919). Egli stesso, infatti, affermò: 39 .<br />

La prima fase poetica del poeta è caratterizzata dall’estremizzazione del procedimento<br />

analogico (essendo stato influenzato dal Simbolismo); dall’abolizione della metrica<br />

tradizionale; dall’esaltazione della parola, che assume il valore di un’improvvisa e fulminante<br />

“illuminazione”. La parola viene cantata nella sua autonomia e purezza, inserita in versi brevi<br />

o magari isolata, fino al punto di farla coincidere con un verso, quasi per porla nel vuoto e nel<br />

silenzio, al di là di ogni contingenza con la realtà. Questa prima ricerca di Ungaretti si può<br />

definire “poetica dell’attimo”, in quanto a causa della guerra (tema fondamentale della prima<br />

fase) costringe a vivere in una condizione precaria, in cui da un momento all’altro può<br />

sopraggiungere la morte.<br />

Nella seconda fase poetica, quella de Sentimento del tempo, alla “poetica dell’attimo” si<br />

sostituisce una diversa percezione del tempo, che ora viene concepito come continuità e<br />

durata, che coincide con una visione problematica e complessa dell’esistenza. Dal punto di<br />

vista tecnico, la novità essenziale sta nella rivisitazione delle strutture metriche e sintattiche<br />

tradizionali (reintroduzione dell’endecasillabo e di un linguaggio più elaborato). Questa scelta<br />

deriva dalla rilettura di Petrarca e Leopardi.<br />

La terza ed ultima fase è rappresentata dai versi contenuti nella raccolta Il dolore, raccolta<br />

che dà voce al tormento personale (per la morte del fratello e poi del figlio) e collettivo (a<br />

causa della guerra). I testi non sono accompagnati da nessuna nota, il poeta si limita ad<br />

39<br />

La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”; Vol. G Il primo Novecento e il periodo tra le<br />

due guerre, di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />

90<br />

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osservare. A proposito di questo Ungaretti disse: 40 .<br />

Per comprendere meglio la rivoluzione poetica di Ungaretti, analizziamo Il porto sepolto,<br />

componimento appartenente alla prima fase. Il porto sepolto è un componimento in versi<br />

liberi. Ci colpisce la brevità di questo testo e le parole chiave che contiene: V.3 disperde, V. 6<br />

nulla, V. 7 inesauribile segreto. “Il porto sepolto” rappresenta l’essenza della poesia, il suo<br />

mistero nascosto.<br />

Oppure possiamo vedere Mattino, sempre appartenente alla prima fase. Componimento<br />

composto da soli due versi “M’illumino / d’immenso”, rappresenta il momento in cui è<br />

avvenuto il contatto con l’infinito e ci comunica una sensazione di beatitudine, di pienezza di<br />

vita.<br />

Questo componimento si può considerare l’estremizzazione della sperimentazione poetica<br />

di Ungaretti, nella sua ansia di portare al limite qualsiasi semplificazione, con lo scopo di<br />

raggiungere l’assoluto distaccandosi totalmente dalla realtà.<br />

Per il computo delle parole in Ungaretti abbiamo utilizzato il Vocabolario delle<br />

concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca 41 . In particolare abbiamo<br />

considerato le raccolte Allegria, Sentimento del tempo, Il Dolore, La Terra promessa, Un<br />

grido e Paesaggi, Il Taccuino del Vecchio e altri testi a cui fa riferimento il Dizionario.<br />

La tabella delle frequenze ed il grafico sono i seguenti:<br />

UNGARETTI % X 1000<br />

1 Notte 0,402 4,02<br />

2 Occhi 0,332 3,32<br />

3 Cuore, core 0,318 3,18<br />

4 Ombra 0,278 2,78<br />

5 Amore, Luce/i 0,238 2,38<br />

6 Cielo 0,233 2,33<br />

7 Terra 0,223 2,23<br />

8 Mare 0,198 1,98<br />

9 Tempo 0,193 1,93<br />

10 Sogno 0,188 1,88<br />

40<br />

La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il periodo tra le<br />

due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA.<br />

41<br />

G. SAVOCA, Vocabolario della Poesia italiana del Novecento – Le concordanze, Zanichelli, Bologna, 1995<br />

91<br />

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X 1000<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

FREQUENZE UNGARETTI<br />

4,02 3,32 3,18 2,78 2,38 2,33 2,23 1,98 1,93 1,88<br />

Notte<br />

Occhi<br />

Cuore,<br />

core<br />

Ombra<br />

Amore,<br />

Luce/i<br />

Alcune parole sono ancora quelle della Tradizione, ma in ordine differente rispetto alla<br />

norma; Amore, per esempio, ricorre al 5° posto con una frequenza del 2,3 x 1000 ed è<br />

superato da Notte e da Ombra. Il termine Bello/a, bellezza non compare tra i primi dieci ed ha<br />

una frequenza dell’1,7 x 1000.<br />

Il processo di scostamento dal lessico petrarchesco – iniziato con Pascoli – procede<br />

ulteriormente. L’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un insieme di 22 lemmi, è<br />

pari a 0,27 il che conferma la nostra tesi.<br />

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Cielo<br />

Terra<br />

Mare<br />

Tempo<br />

Sogno<br />

92


EUGENIO MONTALE (1896 - 1981)<br />

Rifiutate le soluzioni d’avanguardia, Montale resta fedele ai valori della civiltà letteraria,<br />

allontanandosi dalla disgregazione del suo presente. Non rifiuta l’impiego del verso libero,<br />

ma concede molto spazio e attenzione al metro tradizionale, con la reintroduzione<br />

dell’endecasillabo sciolto. Anche le strofe spesso tendono a disporsi secondo corrispondenze<br />

regolari (per esempio, è frequente l’uso delle quartine). Montale utilizza spesso la rima<br />

(insieme con le rime al mezzo e le assonanze). Il linguaggio aderisce alla scelta<br />

plurilinguistica del poeta, che adotta termini comuni, non disprezzando però l’uso di termini<br />

più elevati.<br />

Le raccolte poetiche che lo resero più famoso, sono: Ossi di seppia, in cui è espressa<br />

l’aridità dell’universo montaliano attraverso una concezione essenziale e scabra di tutto<br />

(paesaggio, momenti esistenziali); Le occasioni, in cui si allude all’accadere di eventi a cui è<br />

attribuita particolare importanza, in quanto potrebbero cambiare il corso uniforme e monotono<br />

dell’esistenza; La bufera e altro, che si riferisce allo sconvolgimento della guerra, che apporta<br />

un accento ancora più tragico e pessimistico nei confronti della storia; Satura, il cui titolo<br />

allude alla della Letteratura latina (etimologicamente lanx satura = piatto misto di<br />

primizie), in cui sono presenti sempre gli stessi temi delle precedenti raccolte (come il “male<br />

di vivere”), con in più una dura critica al mondo politico coevo.<br />

Dalla prima all’ultima raccolta, Montale è andato complicandosi sempre più, creando alla<br />

fine della sua esperienza poetica, linguaggi, periodi, sintassi e nessi indecifrabili.<br />

Se per Ungaretti si parlava di , per Montale si può parlare di , un’operazione di matrice simbolista in cui la condizione del soggetto è<br />

, rimanda ad un oggetto. Se per Ungaretti si parlava di ,<br />

ecco che per Montale si parla di .<br />

Sono presenti in molte poesie di Montale alcune figure femminili (Annetta, Arletta, Clizia,<br />

Mosca, quest’ultimo nome si riferisce alla moglie Drusilla Tanzi); esse sono figure spesso<br />

enigmatiche e rappresentano la sua esile speranza di approdare una qualche sicurezza.<br />

La casa dei doganieri, un componimento composto da quattro strofe (rispettivamente di<br />

cinque, sei, cinque e sei versi) di versi talora endecasillabi (ma più spesso superano tale<br />

misura, risultando composti dall’unione di due versi più brevi) appartenente alla raccolta Ossi<br />

di seppia. Come hanno interpretato Giorgio Barberi Squarotti e Stefano Jacomuzzi, l’angoscia<br />

della memoria che a poco a poco cede, col trascorrere del tempo, le sue immagini, e si<br />

annebbia, si perde, è qui vista nel contrasto doloroso fra il poeta che ancora coltiva in sé il<br />

ricordo della persona amata, dei luoghi degli incontri di un tempo, e la dimenticanza che,<br />

invece, ha oramai cancellato in lei ogni traccia del passato. Solo il poeta è legato all’ambiente,<br />

al luogo - la casa dei doganieri - dove furono trascorse le ore felici ( il tuo riso): ora che le<br />

cose sono cambiate, il paesaggio è squallido, triste, le vecchie mura sono sferzate dal vento,<br />

non c’è più sicurezza (la bussola va impazzita all’avventura), fiducia nel futuro (il calcolo dei<br />

dadi più non torna), la persona amata è lontana, è inutile tentare di richiamarla alla memoria<br />

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93


del passato lieto, il tempo è trascorso, nuove esperienze (altro tempo) hanno distrutto in lei<br />

ogni ricordo. Eppure forse quel legame d’amore poteva essere la salvezza per entrambi dalla<br />

rovina, dal male del mondo: ancora lo avverte il poeta, mentre con arida disperazione constata<br />

la dimenticanza della donna e la propria incertezza di fronte agli eventi. 42<br />

Per la nostra ricerca abbiamo analizzato le raccolte Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera<br />

e altro, Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altre poesie, servendoci<br />

del Vocabolario delle concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca 43 .<br />

Linguisticamente, come si è detto, Montale adotta una soluzione di , in<br />

quanto non rompe definitivamente con la Tradizione e non accetta del tutto il nuovo<br />

linguaggio della lirica. Le parole da lui usate sono comunque molto lontane da quelle<br />

“canoniche” della Letteratura tradizionale. In Montale si possono notare, infatti, bassissime<br />

frequenze in tutti i lemmi, sia elevati che popolari. È un fatto decisamente degno di nota che<br />

due tra le tipiche parole del lessico amoroso: amore, bello/a non compaiano tra le prime dieci;<br />

inoltre anche le altre presenti hanno frequenze bassissime, talora inferiori all1 x 1000; ad<br />

esempio, cuore ha una frequenza dello 0,97 x 1000, mare dello 0,88 x 1000, occhi dell’1,07 x<br />

1000; amore e bello/a addirittura sono fermi allo 0,4 x 1000!<br />

Ecco la tabella delle frequenze ed il relativo grafico<br />

MONTALE % X 1000<br />

1 Vita 0,24 2,40<br />

2 Tempo 0,22 2,21<br />

3 Occhi 0,11 1,07<br />

4 Ombra 0,11 1,06<br />

5 Luce/i 0,10 1,05<br />

6 Cielo 0,10 1,03<br />

7 Cuore, core 0,10 0,97<br />

8 Acqua 0,09 0,94<br />

9 Mare 0,09 0,88<br />

10 Terra 0,07 0,72<br />

X 1000<br />

10,0<br />

8,0<br />

6,0<br />

4,0<br />

2,0<br />

0,0<br />

FREQUENZE MONTALE<br />

2,40 2,21 1,07 1,06 1,05 1,03 0,97 0,94 0,88 0,72<br />

Vita<br />

Tempo<br />

Occhi<br />

Ombra<br />

Luce/i<br />

Cielo<br />

È interessante notare l’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un totale di 22<br />

termini; esso è pari a 0,097 e cioè il valore più basso fin qui trovato! Siamo ormai<br />

42<br />

La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G., Il primo Novecento e il periodo tra<br />

le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />

43<br />

G. SAVOCA, Op. cit.<br />

94<br />

Cuore,<br />

core<br />

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Acqua<br />

Mare<br />

Terra


definitivamente fuori dalla Tradizione arcaizzante e siamo, a tutti gli effetti, entrati nel grande<br />

Mondo del Novecento.<br />

Un esame comparato dei vari grafici ci mostra che la mutazione del linguaggio della lirica<br />

d’amore, iniziata dopo Carducci, ha proseguito con gli altri poeti ed ha riguardato, da una<br />

parte, la progressiva diminuzione dell’indice di correlazione del lessico usato con quello di<br />

Petrarca, da sempre modello insostituibile della lirica d’amore italiana; dall’altra parte<br />

l’incremento del numero delle parole usate in poesia, l’ampiamento del registro linguistico,<br />

del lessico poetico e il conseguente abbassamento delle percentuali di frequenza dei termini.<br />

Riguardo il primo aspetto possiamo prendere l’indice di correlazione r del lessico di Pascoli,<br />

D’Annunzio, Gozzano, Ungaretti, Montale, rispetto a quello di Petrarca e costruire un grafico<br />

che parte da Petrarca per arrivare a Montale. Si può notare un progressivo decremento del<br />

coefficiente di correlazione, che arriva a valori minimi con Montale. Il grafico risulta essere il<br />

seguente:<br />

1,0<br />

0,9<br />

0,8<br />

0,7<br />

0,6<br />

0,5<br />

0,4<br />

0,3<br />

0,2<br />

0,1<br />

0,0<br />

PETRARCA<br />

COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA<br />

Poeti del 1400<br />

Petrarchisti<br />

Marinisti<br />

Sull’abbassamento della frequenza dei termini, pur non essendoci una tendenza<br />

particolarmente lineare, possiamo, in linea di massima, notare un progressivo calo della<br />

frequenza massima attribuita ai termini.<br />

Ad esempio, nei Siciliani il termine più frequente (amore) ha una frequenza del 14,4 x<br />

1000, mentre in D’Annunzio la frequenza più alta che concerne il termine acqua è pari al 3,0<br />

x 1000. Possiamo, anche in questo caso, costruire un grafico sulle frequenze massime, almeno<br />

per gli autori e le correnti più importanti:<br />

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Antimarinisti<br />

Arcadia<br />

Neoclassici<br />

Romantici<br />

Leopardi<br />

Carducci<br />

Pascoli<br />

Gozzano<br />

D'Annunzio<br />

Ungaretti<br />

Montale<br />

95


Massimo valore riscontrato in un<br />

termine (x 1000)<br />

16<br />

14<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

14,4<br />

Siciliani<br />

FREQUENZE MASSIME DEI TERMINI USATI<br />

7,1<br />

Toscani<br />

11,8 8,8 6,1 5,8 4,8 4,1 4,8 3,5 4,8 3,0 4,0 2,4<br />

Stilnovisti<br />

Dante<br />

Petrarca<br />

Marinisti<br />

È possibile notare il progressivo – anche se non sempre lineare – abbassamento della<br />

frequenza massima misurata, il che fa desumere che il numero di parole usate e la loro gamma<br />

si è notevolmente ampliato.<br />

Ciò ha portato ovviamente ad un tipo di linguaggio che si è progressivamente sganciato dai<br />

modelli della Tradizione e si è progressivamente arricchito di nuovi termini, ivi compresi<br />

quelli del lessico quotidiano.<br />

La Poesia, nata con un proprio codice e caratterizzata, anche in senso linguistico, da un<br />

proprio linguaggio, si è sempre più omologata alla Prosa, dalla quale non si distingue neanche<br />

linguisticamente, poiché della Prosa ha assunto espressioni, termini e immagini, che ne fanno<br />

un genere non più a se stante e non più settoriale e specifico.<br />

Anche questa – nel bene o nel male – è una caratteristica del Novecento!<br />

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Arcadia<br />

Romanticismo<br />

Carducci<br />

Pascoli<br />

Gozzano<br />

D'Annunzio<br />

Ungaretti<br />

Montale<br />

96


APPENDICE<br />

UMBERTO SABA (La linea antinovecentesca)<br />

Nel panorama del Novecento Umberto Saba (1883 – 1957) occupa un posto tutto<br />

particolare. La sua lirica, infatti, non segue le caratteristiche della poesia novecentesca, fin qui<br />

esaminata, e si sviluppa secondo una linea, che sembra richiamarsi ai Classici, da Petrarca a<br />

Leopardi; per questo i critici l’hanno chiamata antinovecentesca.<br />

L’antinovecentismo di Saba riguarda sia le tematiche, sia il linguaggio, che si rifanno a<br />

quelli tradizionali.<br />

L’opera organica che raccoglie tutte le poesie di Saba è il Canzoniere (prima edizione del<br />

1921; seconda edizione, molto accresciuta, nel 1945; edizione definitiva che accoglie l’intera<br />

produzione poetica di Montale è quella postuma del 1961). La critica rivolse una misera<br />

accoglienza a quest’opera; per questo motivo Saba si fece interprete di se stesso, scrivendo<br />

Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), ricca di interessanti osservazioni umane e<br />

poetiche.<br />

La crisi della parola, che coinvolge la poesia novecentesca, è estranea a Saba, in quanto il<br />

linguaggio che utilizza nelle sue poesie è familiare, casalingo. Insieme a questo registro<br />

linguistico, il poeta riporta anche quello della tradizione letteraria, ma non con lo scopo di<br />

elevare a toni alti ed aulici la sua poesia.<br />

Per Saba la parola è “parola che nomina”, non che evoca: la struttura sintattica è infatti ben<br />

definita e articolata.<br />

La metrica e l’uso delle rime aderiscono alla tradizione, per questo sono abbastanza lineari<br />

e semplici, al contrario di alcuni costrutti “avanguardistici” di difficile comprensione. Pur<br />

pulsando nel cuore del Novecento, la sua poesia è stata definita come espressione di una linea<br />

antinovecentista, in quanto rifiuta le più vistose e spericolate innovazioni della ricerca poetica<br />

del proprio tempo.<br />

Nel suo modo di fare poesia Saba, dopo aver indugiato sulle cose, le eleva a simbolo più<br />

generale di una condizione dell’uomo e della vita. Come ha scritto Mengaldo, Saba coglie<br />

44 .<br />

In Amai Saba ha affermato: . Il suo <br />

poetico non si ferma mai alle apparenze superficiali, ma cerca i sensi profondi delle cose. E’<br />

una ricerca che non si arresta di fronte al dell’esperienza, anche a costo di<br />

metterne a nudo gli aspetti più scomodi e sgradevoli.<br />

44 - 3 : le citazioni sono tratte da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il<br />

periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />

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97


Per quanto riguarda il Canzoniere, leggiamo qualche parola di Saba: 45 . Saba riconosce una certa interdipendenza fra le singole parti della sua opera; una<br />

continuità che non può essere spezzata senza danno dell’insieme; che tutto insomma nel<br />

Canzoniere, il bene e il male, si tiene, e che spesse volte quel bene è condizionato - magari<br />

illuminato - da quel male (…). Il Canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a<br />

dire il “romanzo”, e ad aggiungere, se si vuole, “psicologico”) di una vita, povera<br />

(relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze<br />

interne.<br />

A mia moglie, componimento il cui verso prevalente è il settenario, cui si aggiungono<br />

alcuni endecasillabi e due quinari, fa parte della sezione Casa e campagna, che comprende sei<br />

poesie scritte nel 1909 - 1910.<br />

L’immagine femminile riprodotta in questo componimento è del tutto rivoluzionaria<br />

nell’ambito della tradizione della lirica italiana, dove la donna, persino in Montale, è vista<br />

come un elemento salvifico, che ha subito un processo di idealizzazione e cristallizzazione.. Il<br />

poeta paragona la moglie alle femmine di numerosi animali. Mario Lavagetto ha così<br />

collegato la struttura del componimento al suo significato: 46 .<br />

Di Saba abbiamo analizzato, sempre con il Dizionario del Savoca 47 , il Canzoniere. Dal<br />

punto di vista del linguaggio Saba appare più tradizionale degli altri poeti del Novecento,<br />

poiché non elimina del tutto le parole del lessico amoroso, tenendo fede a quella che è stata<br />

definita . Per questo ricompaiono ai primi posti, anche se con<br />

frequenze decisamente basse, le parole cuore (4 x 1000), bello/a (3,7 x 1000), occhi (2,6 x<br />

1000) e amore (2,4 x 1000).<br />

Ecco la tebella delle frequenze ed il grafico:<br />

46<br />

La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G; Il primo Novecento e il periodo tra le<br />

due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA<br />

47<br />

G. SAVOCA, Op. cit.<br />

98<br />

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SABA % X 1000<br />

1 Cuore, core 0,3987 4,0<br />

2 Bello/a, bellezza 0,3707 3,7<br />

3 Vita 0,3073 3,1<br />

4 Occhi 0,2616 2,6<br />

5 Amore 0,2438 2,4<br />

6 Dolce(zza) 0,2209 2,2<br />

7 Mare 0,1981 2,0<br />

8 Sogno 0,1651 1,7<br />

9 Cielo 0,1422 1,4<br />

10 Notte 0,132 1,3<br />

X 1000<br />

10,0<br />

8,0<br />

6,0<br />

4,0<br />

2,0<br />

0,0<br />

FREQUENZE SABA<br />

4,0 3,7 3,1 2,6 2,4 2,2 2,0 1,7 1,4 1,3<br />

Cuore,<br />

core<br />

Bello/a,<br />

bellezza<br />

Vita<br />

Occhi<br />

Amore<br />

Se calcoliamo l’indice di correlazione r rispetto a Petrarca, scopriamo che esso è uguale a<br />

0,72 un valore che si riscontra nei poeti della Tradizione, che precedono addirittura Carducci!<br />

Tutto ciò conferma quanto detto, e cioè la singolarità dell’esperienza del poeta triestino,<br />

che si colloca in una sua personale ed atipica linea nel variegato e multiforme panorama della<br />

lirica italiana contemporanea.<br />

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Dolce(zza)<br />

Mare<br />

Sogno<br />

Cielo<br />

Notte<br />

99


BIBLIOGRAFIA<br />

1. A.E.Quaglio “Le origini e la Scuola siciliana”<br />

A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani”<br />

2. “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli<br />

3. “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato<br />

4. Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973<br />

5. G. Contini “Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970.<br />

6. G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970<br />

7. U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977<br />

8. E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana,<br />

UTET, Torino 1986, p.384<br />

9. “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960.<br />

10. ”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani<br />

11. BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla Storia al testo”<br />

PARAVIA<br />

12. “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori<br />

Laterza.<br />

13. “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco”<br />

Carlo Muscetta, Alberto Asor Rosa<br />

14. “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia.<br />

15. “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio,<br />

PALUMBO.<br />

16. “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar<br />

Mondadori gennaio 1982<br />

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100


INDICE<br />

INTRODUZIONE............................................................................................................................................2<br />

PARTE PRIMA (DAI SIC<strong>IL</strong>IANI A PETRARCA).....................................................................................3<br />

LE POESIE DEI SIC<strong>IL</strong>IANI..........................................................................................................................3<br />

1.1 COMPONIMENTI METRICI.....................................................................................................................3<br />

1.2 TIPO DI SINTASSI.....................................................................................................................................5<br />

1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE..........................................................................................................6<br />

1.4 PAROLE ADOPERATE.............................................................................................................................7<br />

LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI TRANSIZIONE.................................................................11<br />

2.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................11<br />

2.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................12<br />

2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................13<br />

2.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................14<br />

LE POESIE DEL DOLCE ST<strong>IL</strong> NOVO.....................................................................................................16<br />

3.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................16<br />

3.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................17<br />

3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................19<br />

3.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................20<br />

LA POESIA DI DANTE (LE RIME)...........................................................................................................25<br />

4.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................25<br />

4.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................26<br />

4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................27<br />

4.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................28<br />

LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (CANZONIERE)...............................................................29<br />

5.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................29<br />

5.2 TIPO DI SINTASSI...................................................................................................................................29<br />

5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE.....................................................................................................30<br />

5.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................32<br />

CONCLUSIONI..............................................................................................................................................33<br />

PARTE SECONDA .......................................................................................................................................35<br />

LA <strong>LIRICA</strong> D’AMORE DEL 1400..............................................................................................................35<br />

6.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................35<br />

6.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI................................................................................................36<br />

6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE.....................................................................................................36<br />

6.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................38<br />

<strong>IL</strong> PETRARCHISMO...................................................................................................................................40<br />

7.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................40<br />

7.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI................................................................................................41<br />

7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................42<br />

7.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................42<br />

<strong>IL</strong> MARINISMO............................................................................................................................................44<br />

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101


8.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................44<br />

8.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI................................................................................................44<br />

8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................45<br />

8.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................46<br />

<strong>IL</strong> CLASSICISMO BAROCCO...................................................................................................................48<br />

9.1 COMPONIMENTI METRICI...................................................................................................................48<br />

9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI...................................................................................................49<br />

9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE........................................................................................................50<br />

9.4 PAROLE ADOPERATE...........................................................................................................................50<br />

L’ARCADIA...................................................................................................................................................52<br />

10.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................52<br />

10.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................53<br />

10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................54<br />

10.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................55<br />

<strong>IL</strong> NEOCLASSICISMO................................................................................................................................56<br />

11.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................56<br />

11.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................57<br />

11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................57<br />

11.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................58<br />

<strong>IL</strong> ROMANTICISMO...................................................................................................................................61<br />

12.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................61<br />

12.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................61<br />

12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................62<br />

12.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................62<br />

L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA..................................................................................65<br />

13.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................65<br />

13.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................66<br />

13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................67<br />

13.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................69<br />

L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA.................................................................................70<br />

14.1 COMPONIMENTI METRICI.................................................................................................................70<br />

14.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................71<br />

14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................72<br />

14.4 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................74<br />

PARTE TERZA (<strong>IL</strong> NOVECENTO)...........................................................................................................77<br />

GIOVANNI PASCOLI..................................................................................................................................78<br />

15.1 FORME METRICHE..............................................................................................................................78<br />

15.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................79<br />

15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE......................................................................................................80<br />

15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE...........................................................................................................80<br />

15.5 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................81<br />

GABRIELE D’ANNUNZIO..........................................................................................................................83<br />

16.1 FORME METRICHE..............................................................................................................................83<br />

16.2 TIPO DI <strong>LINGUAGGIO</strong> E DI SINTASSI..............................................................................................84<br />

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102


16.3 METAFORE E IMAGINI USATE..........................................................................................................85<br />

16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE...........................................................................................................85<br />

16.5 PAROLE ADOPERATE.........................................................................................................................86<br />

GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)................................................................................................................88<br />

GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)......................................................................................................90<br />

EUGENIO MONTALE (1896 - 1981)..........................................................................................................93<br />

APPENDICE..................................................................................................................................................97<br />

UMBERTO SABA (LA LINEA ANTINOVECENTESCA).......................................................................97<br />

BIBLIOGRAFIA..........................................................................................................................................100<br />

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103


Questa ricerca é stata svolta dall’alunna Chiara Tondani ed é il risultato degli studi sul<br />

Linguaggio della lirica d’amore italiana, da lei compiuti nel corso del Triennio 1999/00,<br />

2000/01, 2001/02 sotto la mia guida.<br />

Pontremoli, 25/5/2002<br />

L’alunna<br />

____________________<br />

Visto: l’insegnante<br />

(Prof. Davide Grassi)<br />

_____________________________<br />

STAMPATO IN PONTREMOLI<br />

PRESSO <strong>IL</strong> LICEO LINGUISTICO – MAGGIO 2002<br />

PRO MANUSCRIPTO<br />

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104

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