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P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J. LA VOLONTÀ DI DIO O STRADA ...

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sì di Dio. E il pensiero, che, quando Dio mi avesse disfatto e annientato tutto il mio essere,<br />

resterebbe esso glorificato nell'adempimento di questa sua volontà, e che finalmente si sarebbe fatto<br />

quello che avesse voluto, mi dà tanto gusto, che mi pare che non se ne trovi altro, con cui<br />

cambiarlo. E però, ancorché io voglia che me se ne offra o me se ne rappresenti alcuno per<br />

l'avvenire, subito Si sopisce tutto col rivolgermi a Nostro Signore e dirgli: In quello che voi volete,<br />

che cosa v'ha più da domandare o desiderare? Giungendo una cosa ad essere di vostro gusto, qual<br />

maggior gusto di questo ci può essere per me? E in tutti i travagli mi è un rifugio notabile e un'aura<br />

temperata, che viene da quel Regno pacifico e tranquillo; e con questa si ricrea e ristora l'anima, si<br />

mitiga la sete di vari desideri, che sorgano in essa, e finalmente s'invigorisce a passare innanzi, fino<br />

ad entrare nella perfetta possessione di quella virtù, per quanto le è possibile, mediante la grazia<br />

divina». Ed è tanto questo gusto che anche gli stessi tormenti rende saporiti: come parimente<br />

confessa la medesima serva di Dio e sposa di Cristo, la quale dice così: «Che in questo stato (che<br />

senza esperienza mi si discopre per via del lume dell'intelletto) possa esservi cosa della terra, che si<br />

possa chiamare travaglio, con difficoltà lo capisco; perché, restituita l'anima a questo terreno o<br />

celeste paradiso, appena giungono ad essa siffatti travagli e tribolazioni, che restano in vestiti da<br />

questo divino sole; e sono tanto luminosi, risplendenti e soavi, che apportano gusto nell'anima; e<br />

ancorché si sentano (avendo essi tale qualità in sé che si fanno in estremo sentire), senza levar via<br />

alle volte quella certa sorte di sentimento, Nostro Signore li mescola delicatissimamente insieme<br />

con un contento e sollievo meraviglioso: e l'amore in questo stato si ritrova tanto superiore di forze<br />

a tutto e tanto sitibondo, che se vedesse spargere quanto sangue è nel corpo, per causa di quel<br />

sommo bene che ama, non si potrebbe mai mitigare.» Così quella serva di Dio.<br />

Ma oltre i favori, consolazioni e regali, coi quali Dio ricrea sopranaturalmente quelli che solo<br />

attendono ad adempire la sua divina volontà, ne segue che questi vivono naturalmente senza pena<br />

alcuna e con gran pace dell'anime loro e allegrezza de' loro cuori; perché la causa di tutte le pene e<br />

affanni della vita è la nostra propria volontà, non le cose avverse che succedono. Quale altra è la<br />

causa dei disgusti, se non perché le cose succedono al contrario di ciò, che uno desidera, o perché fa<br />

qualche errore, che non vorrebbe? Di tutto questo resta libero chi non ha volontà propria, né fa, né<br />

vuole se non quello che vuole Dio; perché non avendo egli volere se non quello di Dio, e non<br />

potendo questi fallire, non gli succede cosa contraria al suo desiderio; per cui giuoca al sicuro, non<br />

desiderando se non quello che fa Dio; anzi se la passa con un perpetuo godimento, perché vede<br />

sempre adempire la sua volontà, anche nelle maggiori avversità; e quello che Dio vuole non è<br />

diverso da quello che egli vuole. Dall'altra parte nelle opere che farà, seguendo la volontà di Dio,<br />

non può errare, e neppure rattristarsi in esse: né avrà a pentirsi di quello che farà in questa maniera,<br />

ma sì bene rallegrarsi di servire a Dio e di fare il suo gusto, con quella soddisfazione, che gli dà la<br />

coscienza: e così vive ripieno di gusto e di contento. Il contrario è di chi tiene la propria volontà;<br />

ché, vedendo a ogni punto defraudati i suoi desiderii e le sue traccie, si rattrista da una parte; e<br />

dall'altra, considerando i suoi falli, imprudenze e errori, vive pieno di pentimenti e di disgusti. Molti<br />

filosofi, senza far riflessione alle cose divine, ma solamente per passar la vita quaggiù senza<br />

travaglio, consigliarono di lasciare tutti i desiderii e operare seguendo il parere altrui o il consiglio,<br />

che darebbe un savio e perfetto uomo. Quanto più lo dobbiamo far noi e mutare i desideri nostri che<br />

ci avvelenano, per avere solamente i divini, che sono ripieni di salute e sono indirizzati al nostro<br />

bene? Quanto meglio dobbiamo prendere per maestro delle nostre azioni il medesimo Dio, facendo<br />

quello, che egli ci consiglia e comanda per sé stesso e per mezzo de' suoi vicari, nostri superiori, o<br />

che richiede la legge della ragione?<br />

Da ciò ne segue che non solo è gustoso fare la volontà divina, ma che nel fare altra cosa non v'ha<br />

contento vero e sicuro. Primo, perché, se la nostra affezione si accosta a qualche creatura, essendo<br />

per sé stessa caduca, nel mancarci, si converte tutto il nostro gusto, in maggior dispiacere e pena;<br />

perché le cose di questa vita sono di tale condizione, che sono più potenti a recarci dolore con la<br />

loro mancanza, che gusto col loro possesso. E però i mali e disgusti loro sono più e maggiori che<br />

non sono i loro contenti. Solo chi s'avvicina a Dio, ha gusto sicuro; e perciò dice S. Agostino: Se tu<br />

vuoi avere il tuo godimento, che sia eterno, avvicinati a quello che è eterno». L'ago della bussola

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