vita aprile 2004 - Giuseppini del Murialdo
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Q ualche<br />
L’ATTUALITÀ<br />
di Giovanni Boggio<br />
gboggio@murialdo.org<br />
QUESTA STRANA<br />
SOCIETÀ<br />
lettore mi ha chiesto quale rapporto<br />
ci sia tra gli argomenti vari e diversi affrontati<br />
in questa mia rubrica e le finalità educative<br />
che Vita Giuseppina si propone. La domanda<br />
mi ha un po’ sorpreso. Essa presuppone<br />
una visione abbastanza ristretta <strong>del</strong> fatto educativo,<br />
quasi che l’educazione non debba riguardare<br />
le relazioni che il giovane deve intessere<br />
con l’ambiente in cui vive e con la società di cui<br />
fa parte. Da questa riceve continuamente impulsi<br />
e stimoli a comportarsi in un certo modo<br />
piuttosto che in un altro, in essa vede mo<strong>del</strong>li di<br />
<strong>vita</strong> suggestivi e in<strong>vita</strong>nti. Nella stessa società<br />
il giovane è destinato ad inserirsi, per diventarne,<br />
almeno nelle sue aspirazioni, un protagonista.<br />
Sarebbe per lo meno strano che un educatore<br />
non si preoccupasse di fornire al giovane elementi<br />
di valutazione <strong>del</strong>la società in cui si trova<br />
e <strong>del</strong>la <strong>vita</strong> alla quale deve prepararsi. Di<br />
fronte al bombardamento continuo di messaggi<br />
di ogni tipo ai quali il giovane (e tutti noi) è sottoposto,<br />
l’educatore ha l’obbligo morale e professionale<br />
di proporre mo<strong>del</strong>li e stili di <strong>vita</strong> alternativi<br />
a quelli diffusi così largamente dai<br />
mass media.<br />
Oggi si parla spesso e volentieri di libertà di<br />
impostare la propria esistenza. Ma in pratica si<br />
impongono comportamenti e atteggiamenti<br />
che condizionano una scelta veramente libera<br />
Osservatorio<br />
perché non accettano alternative. La cultura<br />
massmediale non impone certo leggi scritte fatte<br />
osservare dalla polizia o sanzionate da misure<br />
coercitive. Però ha un codice di leggi ferreo,<br />
capace di distruggere chi non vi si adegua fino<br />
in fondo. La pena più grave con la quale la società<br />
punisce chi non segue le indicazioni che<br />
offre, si chiama emarginazione.<br />
È una logica diabolica che costruisce un ingranaggio<br />
dal quale si deve stare lontani il più<br />
possibile per non rimanerne vittime. L’immagine<br />
<strong>del</strong> film Tempi moderni, con l’omino incastrato<br />
tra gli ingranaggi di una macchina mostruosa,<br />
è diventata l’icona <strong>del</strong>la nostra società<br />
che crea i suoi miti, le sue divinità e poi stritola<br />
chi se ne serve, illudendosi di aver raggiunto la<br />
felicità. E dopo piange le proprie vittime, e le<br />
trasforma in eroi che diventano a loro volta<br />
esche per catturare nuovi ingenui, destinati a<br />
fare la stessa fine.<br />
La vicenda dolorosa e drammatica <strong>del</strong> “Pirata”<br />
ha rivelato la perversione di questa società.<br />
Prima si esalta il campione quando giunge vittorioso<br />
ai traguardi, senza chiedersi a quale<br />
prezzo li abbia raggiunti. O meglio, sapendo<br />
quanto sono costati, ma fingendo di non sapere<br />
nulla. Poi, quando si vede che “il re è nudo”,<br />
quando non ci si può aspettare più nulla da lui,<br />
lo si abbandona al suo destino. I pianti e gli elogi<br />
postumi trasudano ipocrisia, sono le classi-<br />
126 Vita Giuseppina 4 - <strong>2004</strong><br />
che “lacrime di coccodrillo”, e ne abbiamo avuto<br />
abbondante dimostrazione dopo la morte di<br />
un campione che non riusciremo mai a sapere<br />
quanto fosse genuino o invece “taroccato”.<br />
Ma l’esaltazione <strong>del</strong> campione è stata tale da<br />
far passare in secondo piano tutto il sottobosco<br />
che lo aveva prodotto. Il messaggio che probabilmente<br />
molta gente ha colto, temo sia stato<br />
che “è morto un grande campione amato e pianto<br />
da tutti. Vale la pena diventare campioni<br />
quando si diventa così popolari”. E il dramma<br />
di una <strong>vita</strong> stroncata dalla droga? <strong>del</strong>la solitudine<br />
spaventosa di chi era abituato all’applauso e<br />
al successo? <strong>del</strong> denaro che non basta mai? Tutto<br />
questo scompare annegato nei fiumi di lacrime<br />
che, conclusi i riti funebri, hanno smesso di<br />
scorrere. E la corsa continua sulle stesse strade<br />
di prima, come se niente fosse accaduto.<br />
Ma prima e dopo la vicenda Pantani quanti altri<br />
giovani hanno percorso e stanno percorrendo<br />
la stessa strada? chi si interessa di loro? o lo<br />
si fa solo quando scoppia anche per loro la tragedia?<br />
In questi ultimi tempi sono riemersi gli stessi<br />
problemi anche negli ambienti di un altro sport<br />
popolare, il calcio. Tutti sapevano, tutti sanno<br />
come si vincono certe partite, come si fanno<br />
certi gol, come i campioni di un giorno passano<br />
poi lunghi periodi grigi e anonimi. Tutti sanno<br />
(ed ora si incomincia anche a scriverlo) come<br />
vengono sostenuti fisicamente gli atleti “per<br />
migliorare le loro prestazioni”, si continua però<br />
a ripetere con sfacciata ipocrisia. E intanto i<br />
giovani, attratti dal miraggio di diventare anch’essi<br />
campioni strapagati, si “taroccano” per<br />
apparire quello che non sono con la speranza<br />
che si aprano anche per loro le porte <strong>del</strong> successo.<br />
Ma a quale prezzo?<br />
E i soldi che si promettono, sono veri o anche<br />
quelli sono “taroccati”? Le indagini <strong>del</strong>le varie<br />
Procure sulle società calcistiche, stanno portando<br />
alla luce imbrogli a non finire per creare<br />
un mondo artificiale, con successi inventati,<br />
stipendi da favola, valutazione dei giocatori alle<br />
stelle per riempire i buchi di bilanci fallimentari.<br />
Fino ad arrivare a vendere una squadra<br />
prestigiosa ad una finanziaria straniera<br />
spuntata dalle ceneri dorate <strong>del</strong>la patria <strong>del</strong><br />
proletariato.<br />
Ma i ragazzi continuano a sognare il pallone<br />
d’oro e sono disposti a tutto pur di vivere la loro<br />
adolescenza e giovinezza all’inseguimento<br />
di un traguardo che nessuno raggiungerà mai.<br />
Sognare è una cosa bellissima, aiuta a superare<br />
momenti difficili e dà comunque sempre una<br />
spinta nella <strong>vita</strong>. Ma quando il sogno è ottenuto<br />
a certi prezzi abbiamo il diritto e il dovere di<br />
chiederci: ne vale la pena?<br />
Anche al di fuori degli ambienti sportivi si<br />
propone un modo di vivere esasperato, dove<br />
tutti devono rendere al massimo, dove il successo<br />
ad ogni costo è il traguardo massimo da<br />
raggiungere. Questa aspirazione sarebbe positiva<br />
se si avesse di mira il raggiungimento di<br />
una professionalità seria, di una riuscita nello<br />
studio, di una affermazione nella propria attività<br />
lavorativa, di una <strong>vita</strong> familiare senza il fallimento<br />
<strong>del</strong> divorzio. Ma tutto questo è irriso<br />
dalla società artificiale che costituisce l’ideale<br />
proposto dai media e vissuto da gran parte dei<br />
nostri contemporanei, non solo giovani.<br />
Credo che interessarsi di questi problemi e<br />
farne oggetto di riflessione non sia tempo perso<br />
e rientri in una finalità educativa ben precisa.<br />
Forse anche un articolo stampato può aiutare<br />
qualcuno dei lettori, anche giovani, a confrontare<br />
un altro stile di <strong>vita</strong> con quelli proposti<br />
dai grandi media. Forse è un’illusione. Ma io ci<br />
provo, con serenità e convinzione, senza ricorrere<br />
a “tarocchi” di nessun genere.<br />
Vita Giuseppina 4 - <strong>2004</strong> 127