Un pezzo di storia italiana che era stato inabissato - Edit

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Sabato, 7 febbraio 2009 SCHEGGE Tutti sanno che San Marino, il fondatore dell’omonima Repubblica, la più antica al mondo, era originario dell’isola di Arbe. Non tutti, invece, conoscono la storia di John Owen Dominis, l’ultimo principe reggente delle Isole Hawaii, discendente di un’antica e nobile famiglia di Arbe. L’avvincente storia di John Owen Dominis, di suo padre, il capitano Gerolamo (John) Dominis, e degli ultimi anni del regno Hawaiano sono narrate nel libro del dottor Vinko Ribarić, noto medico e docente universitario fi umano, nati- “L’arbesano De Dominis Sua altezza reale - Il principe consorte hawaiano” (Rabljanin De Dominis Njegova kraljevska visost - prince consort havaja) L’opera è stata presen tata nel dicembre scor so alla Comunità deg italiani di Fiume ed ha riscosso un notevole successo. Dottor Ribarić, che cosa l’ha ispirata a mettersi sulle orme di questo singolare personaggio e a narrarne l’odissea in un libro? “Sono originario di Arbe, dove la leggenda dei De Dominis emigrati in America è ancora molto viva tra gli abitanti dell’isola. Ora sono in pensione e visto che sono meno oberato dagli impegni professionali, ho iniziato a dedicarmi alla mia grande passione, la scrittura. L’argomento mi è parso perfetto per un libro. Ho iniziato a raccogliere tutte le informazioni disponibili e a studiarle, per fare una selezione e dividere i fatti realmente accaduti da quelli inventati. I miei studi mi hanno portato a Londra, dove mi sono avvalso dei documenti custoditi nella British library, negli Stati Uniti e in Germania. Sono persino entrato in contatto con alcuni discendenti dei De Dominis emigrati in Australia, che mi hanno fatto avere ’albero genealogico della loro famiglia”. Come ha fato il discendente i una famiglia di Arbe a diventare il rincipe consorte ella regina delle Hawaii? “Si tratta di una oria molto avvinente e intricata. Tutebbe inizio con ‘fuga’ dalla proria isola del capino Gerolamo De ominis, discendendi un’antica e faoltosa dinastia di Arbe. Probabilmente a causa del trattamento deludente ricevuto nella Marina imperiale austriaca, Gerolamo decise di fuggire all’estero. Con i soldi sottratti alla madre, che lui defi nì un prestito che avrebbe provveduto a risarcire, fuggì in un primo momento a Trieste e successivamente negli Stati Uniti. In America, dove sbarcò nel 1819, riuscì, grazie alle sue conoscenze nautiche, a fare carriera nel ramo commerciale e armatoriale. A Boston Gerolamo conobbe Mary Jones, sua futura moglie. Per potersi sposare Gerolamo necessitava dell’apposita licenza, ma conscio che agli occhi della legge era un disertore e per timore di essere estradato, dichiarò alle autorità di chiamarsi John Dominis e di essere triestino. Dall’unione tra Gerolamo, ormai diventato John, e Mary Jones, nacquero tre fi gli: due bambine (morte in tenera età) e John Owen Dominis. Nel 1836/37, Gerolamo si trasferì con la famiglia alle Hawaii, che all’epoca non facevano ancora parte degli USA, ma erano uno Stato indipendente. Diventato ormai un uomo d’affari molto facoltoso, Gerolamo fece costruire per la propria famiglia Villa Dominis, l’attuale Washington palace. Un edifi cio estremamente lussuoso, che oggi ospita nientemeno che l’Uffi cio del governatore dello Stato delle Hawaii. In realtà Gerolamo non si godette mai la sontuosa dimora, visto che morì lo stesso anno della sua ultimazione, il 1846, in circostanze ancora sconosciute. Il veliero sul quale stava solcando l’Oceano storia e ricerca 7 Vinko Ribarić ha ricostruito una vicenda molto avvincente e intricata L’arbesano De Dominis principe consorte alle Hawaii Un capitano in fuga dall’isola quarnerina perché deluso dal trattamento nella Marina imperiale austriaca di Krsto Babić Oftalmologo con il pallino della scrittura Il dottor Vinko Ribarć è nato a Bagnol (Banjol) sull’isola di Arbe il 21 agosto 1933. Dopo aver frequentato la scuola elementare in lingua italiana sulla sua isola natale, ha frequento il Ginnasio reale di Segna nel quale si diplomò nel 1953. Laureatosi in medicina nel 1959, diventò nel 1971 il primo dottore in scienze ad essere stato promosso dall’Università di Fiume. Specializzato in oftalmologia è considerato uno dei maggiori esperti delle patologie dell’occhio e per la cura dell’herpes, continua tutt’oggi a tenere lezioni sull’argomento in varie università in tutto il mondo. Membro della Società croata degli scrittori da circa due anni, il dottor Ribarić ha pubblicato fi no ad ora sette libri di poesie e racconti, nonché decine di libri scientifi ci. (kb) Pacifi co scomparve senza lasciare tracce. A Honolulu Gerloamo fece studiare John nelle migliori scuole. Proprio durante il periodo degli studi John incontrò la principessa Lydia Kamehameha Paki (Lydia de Dominis), con la quale si sposò nel 1862. Nel 1883 nacque John Dominis Aimoku, che John Owen Dominis, in accordo con la consorte, ebbe con un’altra donna, nel tentativo di assicurare un erede al trono delle Hawaii. Infatti né la principessa Lydia né suo fratello, l’allora sovrano delle Hawaii, erano in grado di avere discendenti. Nel 1891, alla morte del fratello Kalakaua I, Lydia de Dominis salì sul trono con il nome di Liliuokalani. John assunse così il titolo di principe consorte e governatore di Oahu e Maui. Dopo la morte del marito, sopraggiunta lo stesso anno della sua incoronazione, Lydia, continuò ad allevare amorevolmente il fi glio adottivo. Tuttavia rimasta priva dell’appoggio del marito, abile stratega, fu travolta dai complotti messi a punto dalle potenze straniere. Lydia fu detronizzata nel 1893. Dopo un breve periodo trascorso agli arresti domiciliari, la regina si dedicò alla letteratura e alla musica, scrivendo il libro ‘La storia hawaiana delle regina delle Hawaii’ e componendo la canzone ‘Aloha Ue’, diventata successivamente una sorta di inno hawaiano. Dismessi i panni di regina, Lydia de Dominis continuò a battersi per i diritti del fi glio adottivo. Contemporaneamente, la regina intensifi cò le ricerche sulla famiglia del marito. E proprio in quel periodo che nacque la corrispondenza tra Lydia e i suoi parenti di Arbe. Uno scambio epistolare andato avanti per diversi anni, ossia fi no alla scomparsa della regina, che morì nel 1917, alcuni mesi dopo il fi glio adottivo. Molte di queste lettere sono conservate nell’archivio storico delle Hawaii.” Come è stato accolto il libro? “Non mi posso lamentare. Il mio lavoro mi è valso un attestato di benemerenza dell’Uffi cio del governatore delle Hawaii e l’Ambasciata statunitense di Zagabria sembra interessata a veder tradotta quanto prima l’opera in lingua inglese. So inoltre che un numero considerevole di copie del libro sono state ordinate da persone residenti in Germania”. Progetti per il futuro? “Le autorità di Arbe e l’Ente per il turismo dell’isola sono intenzionati a sfruttare il libro per tentare un approdo sul mercato americano. Se il progetto andrà in porto ne sarò molto soddisfatto. Dal canto mio ho una mezza intenzione di continuare i miei studi, alla ricerca di nuove e ulteriori informazioni legate a questa storia, tanto avvincente quanto intricata”.
8 storia e ricerca Da pagina 6 Nei primi due sono state definite chiaramente due fasi temporali da vita di periferia dell’antica Colonia Iulia Pola. Il periodo più recente è proprio quello della costruzione dell’anfiteatro di Pola ed ha portato alla luce i resti degli interventi di rassetto dell’area circostante il monumento, ossia il basamento praticato per la collocazione del selciato romano e ciò davanti ad uno degli ingressi sotto il torrione sud-occidentale. Individuata la stratificazione della massicciata romana costituita da calce, ghiaia, pietrisco e argilla. La vista della superficie da basamento è resa interessante dalla presenza di cinque fori identici non certo casuali che a unirli si arriva a tracciare una figura a forma ellittica. A cosa erano serviti? Quesito archeologico ben presto risolto: due pietre conficcate in una delle cinque rupi stanno ad indicare l’operazione di fissaggio di un arnese edilizio. Ecco che si arriva a individuare un vero e proprio piano di collocazione di una gru romana impiegata per elevare i ciclopici massi di pietra fino in cima alla torre sud-occidentale dell’anfiteatro durante la sua costruzione. Una volta terminata l’impresa pubblica, ecco che si copre tutto e fa la strada. Nel terreno subito a ridosso delle strutture murarie dell’Arena si è tornati a scavare il canale antico (che va da un torrione all’altro) eseguito in lastre di pietra e ricoperto di piastrelle dallo spessore invidiabile (10 centimetri) e con fondo costituito da roccia viva scolpita all’uopo e resa liscia dal flusso continuo di acque di scolo. I famigerati interventi di modifica alle strutture edili all’interno dell’Arena, praticati nel 1984, (quelli che avevano condannato l’arena all’esportazione di metri e metri cubi di autentico materiale antico al fine di commercializzarla) avevano osato mettere le mani anche in questo punto, approfittando del canale per collocare la moderna infrastruttura. Dicono che in questo caso non c’è stato danneggiamento… Subito vicino al canale, davanti alla torre sud-occidentale, ci si imbatte nella roccia viva, su cui sono adagiati i piloni dell’anfiteatro. Un’altra faccenda interessante all’archeologia è spuntata, a disposizione dei ricercatori: tutta una struttura muraria, estesa in direzione nord-sud, lunga 41 metri (senza interruzioni) appartenuta al periodo della città prima dell’Arena, costruita su roccia viva con uso di blocchi in pietra di varie grandezze. Struttura delle fondamenta particolarmente irregolare. Contrariamente alle fondamenta, il muro si eleva presentando cinque aperture rettangolari ed esibendo una bella stratificazione di pietre scolpite e unite da intonaco in calce. Segno che l’abilità romana nelle tecniche della costruzione aveva già attecchito. La stratigrafia archeologica si presenta particolarmente ricca dal lato occidentale del muro di cui sopra lastricato nella tecnica dell’opus scutulatum. Ma tutto questo, ed anche un altro considerevole tratto murario prodotto dall’architettura romana, divenne oggetto di sacrificio compiuto in antichità senza rimpianti di sorta per lasciare spazio al circo degli spettacoli gladiatori. Che cosa hanno offerto ancora il settore 3, ossia 176 metri quadri di terra, sottoposti ad indagine? Un bel pezzo di via Flavia, si diceva, ed i resti di un allargamento a mo’ di piazza che si estende fino al torrione nord-occidentale dell’Arena (quello con la targa in ricordo di Gabriele Emo). I blocchi della piazza risultano essere di forme irregolari quadrangolari, trapezoidali, esagonali, monolitici e di uno spessore da 38 centimetri e dimensioni che variano da 30 x 50 oppure da 110 x 180 centimetri che nessuna edilizia moderna è più in grado di permettersi di cesellare. Tale è il loro stato di conservazione da poter costituire ancora oggi un perfetto passeggio pedonale. A livello di agganci dei blocchi in pietra sono ben visibili le cosiddette “spurilie”, scanalature rimaste quale traccia di passaggio delle ruote dei carri da traino. Metà piazza poggia su roccia viva e l’altra metà su di uno strato compatto di pietrisco e intonaco di calce. Da detto prolungamento a piazzale di via Flavia partiva la via in direzione dell’ingresso all’urbe romana, nota in epoca medioevale con il nome di Porta San Giovanni e che secondo ricerche di Pietro Kandler era primariamente dedicata alla dea Giunone. Tutto sommato quanto ricavato dall’archeologia in zona è un’ulteriore lezione in materia di tecniche edili ed esempio di modalità di organizzazione dello spazio urbano alla periferia dell’Impero. Un accenno all’inventario minuto. Si è dissotterrato un po’ di tutto: piccoli elementi di materiale edile, anelli in ceramica per reti da pesca, oggetti in metallo (fibule- aucisse, monetine argentante – quinarius in bronzo, perla cilindrica in bronzo decorata con motivo a scacchiera, campanello, chiodi ecc.) ceramica di fine fattura (lampada ad olio a due sporgenze, recipienti, moltissima terra sigillata con marchi di fabbricazione, recipienti di tipo sarius, frammenti di brocche), utensili da cucina (pezzi di ceramica grezza, di pitos, colini, bottiglie), cocci di recipienti e bicchieri in vetro, di anfore di vario tipo (Dressel, Lamboglia e altro) di coperchi per anfora. Piccola collezione a parte dell’inventario asportabile è, infi ne, quella rappresentata dai frammenti di affreschi murari. Il materiale raccolto non presenta decorazioni fi gurative. Quello più abbondante è costituito da pezzi di affreschi monocolore e privi di motivo nonché da quelli a strisce verticali e orizzontali. Di vario tipo l’intonaco (calce mista a pietrisco, calcite, e persino paglia). Si è appurato che la tecnica semplice di decorazione delle superfi ci murarie è caratteristica dello stile pompeiano mentre vi sono pure colorazioni (rossonere e quindi viola e verde chiaro) caratteristiche di stili appartenenti a periodi successivi. Arletta Fonio Grubiša Anno V / n. 36 del 7 febbraio 2009 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: STORIA E RICERCA Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi / Impaginazione: Vanja Dubravčić Collaboratori: Krsto Babić, Arletta Fonio Grubiša, Kristjan Knez e Carla Rotta Foto: Arletta Fonio Grubiša, Kristjan Knez, Carla Rotta, Graziella Tatalović e archivio La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004 Sabato, 7 febbraio 2009 ARCHEOLOGIA In una mostra i risultati della campagna di scavi 2007-2008 Pola prima dell’Arena… di Pola L’opus scutulatum Un anello antico (da fi danzamento?) Vetro romano: vale anche rotto I segni lasciati dalla gru che fu impiegata per costruire l’Arena Via Flavia alla luce del sole Finestre rettangolari della struttura
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