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DINO GRECO*<br />

L’impegno elettorale<br />

assunto nei confronti dei<br />

tanti giovani (e non solo)<br />

che sono costretti ad<br />

attraversare le forche<br />

caudine del lavoro senza<br />

senso umoristico definito<br />

«atipico», si è così<br />

convertito in una sorta di<br />

manutenzione ordinaria<br />

<strong>della</strong> legislazione<br />

esistente. Abbiamo presto<br />

capito che nulla di<br />

sostanziale sarebbe mutato<br />

e che avremmo ancora<br />

dovuto fare i conti, in<br />

Italia, con quel monstrum<br />

giuridico che è <strong>il</strong><br />

lavoratore<br />

«parasubordinato», una<br />

figura né carne né pesce,<br />

sconosciuta nel resto<br />

d’Europa<br />

* GGIL-DIRETTIVO NAZIONALE<br />

POLITICA ED ECONOMIA<br />

pensioni e welfare<br />

implosione sociale e sinistra «in cerca d’autore»<br />

1Quando, sino a poco meno di due anni fa, governava <strong>il</strong> centrodestra, la<br />

sinistra moderata spiegava che una cosa era <strong>il</strong> «pacchetto Treu» (la<br />

flessib<strong>il</strong>ità «buona») e un’altra la legge«30», foriera di precarietà nel lavoro<br />

e, specularmente, nella vita. Il programma dell’Unione tentò in seguito<br />

di andare oltre l’una e l’altra, cogliendo la necessità di una più profonda revisione<br />

<strong>della</strong> legislazione in materia di mercato del lavoro, tale da porre<br />

qualche argine a un rapporto fra lavoro e capitale platealmente sb<strong>il</strong>anciato a<br />

favore di quest’ultimo. Poi, una volta al governo, l’intento riformatore è andato<br />

progressivamente sfocandosi sotto i colpi di freno <strong>della</strong> Confindustria e<br />

di quella parte del sindacato che avendo condiviso <strong>il</strong> «patto per l’Italia» non<br />

se ne era mai pentita. L’impegno elettorale assunto nei confronti dei tanti<br />

giovani (e non solo) che sono costretti ad attraversare le forche caudine del<br />

lavoro senza senso umoristico definito «atipico», si è così convertito in una<br />

sorta di manutenzione ordinaria <strong>della</strong> legislazione esistente. Abbiamo presto<br />

capito che nulla di sostanziale sarebbe mutato e che avremmo ancora dovuto<br />

fare i conti, in Italia, con quel monstrum giuridico che è <strong>il</strong> lavoratore «parasubordinato»,<br />

una figura né carne né pesce, sconosciuta nel resto d’Europa,<br />

un «ircocervo», come ebbe a definirlo, ricorrendo a un’immagine mitologica,<br />

<strong>il</strong> compianto Giorgio Ghezzi. Di più. Si è cominciato a spiegare che<br />

non è <strong>della</strong> flessib<strong>il</strong>ità, in quanto organica e funzionale a un buon funzionamento<br />

dell’impresa moderna, che bisogna preoccuparsi, quanto piuttosto del<br />

sistema degli ammortizzatori sociali, da noi alquanto povero per qualità ed<br />

estensione. E pazienza se, al dunque, come abbiamo visto, anche su questo<br />

terreno si è investito ben poco, diciamo una somma pari a quella che <strong>il</strong> solo<br />

finanziere bresciano Chicco Gnutti ha frodato al fisco dimenticando di pagare<br />

le tasse sulla vendita di Telecom a Tronchetti Provera. Il cuore del ragionamento<br />

sta infatti in questo: lo Stato, la legislazione non debbono irrigidire<br />

i rapporti di lavoro, perché ciò che è razionale per l’impresa lo è anche per<br />

l’economia e per <strong>il</strong> paese. Al punto che persino istituti scarsamente o per<br />

nulla ut<strong>il</strong>izzati dai datori di lavoro, come <strong>il</strong> lavoro a chiamata (job on call), o<br />

<strong>il</strong> lavoro somministrato a tempo indeterminato (staff leasing), dei quali <strong>il</strong> governo<br />

aveva data per certa l’abolizione, continuano a sopravvivere, insieme<br />

alla vergognosa reiterab<strong>il</strong>ità ad libitum dei rapporti di lavoro a termine, condanna<br />

inestinguib<strong>il</strong>e dei forzati <strong>della</strong> precarietà. Insomma, la nuova linea<br />

<strong>della</strong> politica governativa in materia di mercato del lavoro è che quel che si<br />

può fare lo si fa – se lo si fa – a valle del processo produttivo, mai e poi mai<br />

con un intervento disturbante dei rapporti di produzione, di potere di cui<br />

l’impresa è e deve rimanere <strong>il</strong> solo soggetto regolatore. Non dovrà sorprendere<br />

se, su questa scia, prima o poi tornerà in auge l’attacco allo statuto dei<br />

lavoratori e a quell’articolo 18 che solo qualche anno fa la Cg<strong>il</strong> e i lavoratori<br />

hanno difeso con le unghie e con i denti. In conclusione, appare chiaro<br />

come la legge del 2003 si muova lungo una linea di sostanziale continuità<br />

19

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