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70<br />

Il neoliberismo, vedi Bush e Berlusconi, protegge i monopoli,<br />

usa i disavanzi del b<strong>il</strong>ancio dello Stato e fa aumentare<br />

<strong>il</strong> debito pubblico senza problemi. È selvaggiamente liberista<br />

sul mercato del lavoro e contro lo stato assistenziale,<br />

questo sì. I social-liberisti, dal canto loro, si credono<br />

per più mercato e più stato perché vogliono liberalizzare<br />

per riregolamentare. In questo sono, per un verso, più liberisti,<br />

sul mercato dei beni e dei servizi. Ma sono anche,<br />

per l’altro verso, per un welfare universalista, per una<br />

qualche redistribuzione, per politiche industriali e del<br />

credito basate su incentivi e disincentivi. Cercano di<br />

riempire l’ampio spazio che si apre secondo loro tra liberismo<br />

e statalismo vecchio stampo. I primi si rifanno al<br />

monetarismo e alla nuova macroeconomia classica, ma<br />

più ancora agli austriaci Mises e Hayek. I secondi, partono<br />

da quell’«imperfezionismo» alla Stiglitz che nega<br />

l’ut<strong>il</strong>ità dell’equ<strong>il</strong>ibrio economico generale walrasiano<br />

come guida al come funzionano i mercati nella realtà.<br />

Siamo ben lontani dalla social-democrazia, ma anche da<br />

Keynes. Però, sia chiaro, tutti usano le politiche keynesiane<br />

quando ce n’è bisogno. Di nuovo, la sinistra ha su questo<br />

un’arretratezza culturale spaventosa, non sa cosa sia<br />

oggi <strong>il</strong> dibattito vero in economia o in politica economica.<br />

Lo dimostrano come meglio non si potrebbe la gran parte<br />

degli interventi degli economisti sulle pagine de «<strong>il</strong> manifesto»<br />

e di «Liberazione», un giorno sì e l’altro pure.<br />

EMILIANO BRANCACCIO<br />

Io non so se la critica del capitale ponga effettivamente un<br />

problema di «identità». È chiaro che la pianificazione socialista<br />

o anche la socializzazione degli investimenti possono<br />

rappresentare delle valide prospettive attorno alle<br />

quali riunirsi, soprattutto se si riuscirà nuovamente ad approfondire<br />

<strong>il</strong> nesso tra queste forme di organizzazione<br />

delle relazioni economiche e le forme di espressione <strong>della</strong><br />

democrazia. Contrariamente al mercato capitalistico, infatti,<br />

la pianificazione potrebbe costituire un vettore delle<br />

più grandi e disattese istanze di emancipazione sociale,<br />

dalla tutela dell’ambiente alla lotta al patriarcato. Ma al di<br />

là del discorso sugli obiettivi di riferimento, io credo che la<br />

critica del capitalismo, almeno da un punto di vista marxista,<br />

ponga in primo luogo un problema di metodo. Quel<br />

che oggi manca ai movimenti anticapitalisti è un metodo,<br />

vale a dire un criterio di analisi e di anticipazione degli avvenimenti<br />

concreti. La questione dell’efficacia del metodo<br />

di analisi è assolutamente cruciale dal punto di vista politico.<br />

Ad esempio, sempre riguardo alle vicende europee, io<br />

prima ho sostenuto che la duplice tendenza alla convergenza<br />

dei salari e alla divergenza delle produttività potrebbe<br />

rappresentare una contraddizione feconda sul piano<br />

politico. Tuttavia un buon metodo di analisi potrebbe farci<br />

scoprire che la divergenza delle produttività stia avanzando<br />

più speditamente <strong>della</strong> convergenza nelle retribuzioni e<br />

nelle condizioni di lavoro. Questo significherebbe che la<br />

crisi e la relativa normalizzazione dei sindacati possono<br />

sopraggiungere ben prima che si creino le condizioni per<br />

un ricompattamento del movimento dei lavoratori a livello<br />

europeo. La notizia non sarebbe delle migliori, ma mi<br />

pare sia meglio essere a conoscenza di sim<strong>il</strong>i evenienze<br />

piuttosto che continuare imperterriti a brancolare nel<br />

buio. Se non altro, saremmo ancor più consapevoli del<br />

fatto che l’ingranaggio dell’euro deve ancora dispiegare i<br />

suoi effetti più repressivi, e che forse, per sperare in un<br />

rafforzamento <strong>della</strong> sinistra europea, non ci si può limitare<br />

ad attendere che i movimenti dei lavoratori convergano<br />

spontaneamente, «dal basso», senza una guida politica<br />

capace di anticipare gli eventi.<br />

GIORGIO LUNGHINI<br />

Di questo esito è responsab<strong>il</strong>e la stessa sinistra, che ha<br />

rinunciato senza ragione ai suoi riferimenti teorici classici,<br />

Marx e Keynes, e ha aderito frettolosamente alla visione<br />

oggi imperante di un capitalismo del laissez faire<br />

capace di autoregolarsi: una visione priva di qualsiasi<br />

fondamento teorico robusto e foriera di gravi guasti economici,<br />

sociali e politici. È anche un segno di provincialismo,<br />

poiché in nessuna parte del mondo c’è oggi uno<br />

stato liberista.<br />

RICCARDO REALFONZO<br />

Continuo a pensare che Marx e Keynes siano vivi e quanto<br />

mai ut<strong>il</strong>i per capire e per agire. Ed è per questo che occorre<br />

tornare faticosamente a evidenziare i tanti fallimenti<br />

del mercato e la necessità dell’intervento pubblico,<br />

<strong>della</strong> programmazione economica, del piano.

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