scarica il pdf della rivista - Essere Comunisti
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Il neoliberismo, vedi Bush e Berlusconi, protegge i monopoli,<br />
usa i disavanzi del b<strong>il</strong>ancio dello Stato e fa aumentare<br />
<strong>il</strong> debito pubblico senza problemi. È selvaggiamente liberista<br />
sul mercato del lavoro e contro lo stato assistenziale,<br />
questo sì. I social-liberisti, dal canto loro, si credono<br />
per più mercato e più stato perché vogliono liberalizzare<br />
per riregolamentare. In questo sono, per un verso, più liberisti,<br />
sul mercato dei beni e dei servizi. Ma sono anche,<br />
per l’altro verso, per un welfare universalista, per una<br />
qualche redistribuzione, per politiche industriali e del<br />
credito basate su incentivi e disincentivi. Cercano di<br />
riempire l’ampio spazio che si apre secondo loro tra liberismo<br />
e statalismo vecchio stampo. I primi si rifanno al<br />
monetarismo e alla nuova macroeconomia classica, ma<br />
più ancora agli austriaci Mises e Hayek. I secondi, partono<br />
da quell’«imperfezionismo» alla Stiglitz che nega<br />
l’ut<strong>il</strong>ità dell’equ<strong>il</strong>ibrio economico generale walrasiano<br />
come guida al come funzionano i mercati nella realtà.<br />
Siamo ben lontani dalla social-democrazia, ma anche da<br />
Keynes. Però, sia chiaro, tutti usano le politiche keynesiane<br />
quando ce n’è bisogno. Di nuovo, la sinistra ha su questo<br />
un’arretratezza culturale spaventosa, non sa cosa sia<br />
oggi <strong>il</strong> dibattito vero in economia o in politica economica.<br />
Lo dimostrano come meglio non si potrebbe la gran parte<br />
degli interventi degli economisti sulle pagine de «<strong>il</strong> manifesto»<br />
e di «Liberazione», un giorno sì e l’altro pure.<br />
EMILIANO BRANCACCIO<br />
Io non so se la critica del capitale ponga effettivamente un<br />
problema di «identità». È chiaro che la pianificazione socialista<br />
o anche la socializzazione degli investimenti possono<br />
rappresentare delle valide prospettive attorno alle<br />
quali riunirsi, soprattutto se si riuscirà nuovamente ad approfondire<br />
<strong>il</strong> nesso tra queste forme di organizzazione<br />
delle relazioni economiche e le forme di espressione <strong>della</strong><br />
democrazia. Contrariamente al mercato capitalistico, infatti,<br />
la pianificazione potrebbe costituire un vettore delle<br />
più grandi e disattese istanze di emancipazione sociale,<br />
dalla tutela dell’ambiente alla lotta al patriarcato. Ma al di<br />
là del discorso sugli obiettivi di riferimento, io credo che la<br />
critica del capitalismo, almeno da un punto di vista marxista,<br />
ponga in primo luogo un problema di metodo. Quel<br />
che oggi manca ai movimenti anticapitalisti è un metodo,<br />
vale a dire un criterio di analisi e di anticipazione degli avvenimenti<br />
concreti. La questione dell’efficacia del metodo<br />
di analisi è assolutamente cruciale dal punto di vista politico.<br />
Ad esempio, sempre riguardo alle vicende europee, io<br />
prima ho sostenuto che la duplice tendenza alla convergenza<br />
dei salari e alla divergenza delle produttività potrebbe<br />
rappresentare una contraddizione feconda sul piano<br />
politico. Tuttavia un buon metodo di analisi potrebbe farci<br />
scoprire che la divergenza delle produttività stia avanzando<br />
più speditamente <strong>della</strong> convergenza nelle retribuzioni e<br />
nelle condizioni di lavoro. Questo significherebbe che la<br />
crisi e la relativa normalizzazione dei sindacati possono<br />
sopraggiungere ben prima che si creino le condizioni per<br />
un ricompattamento del movimento dei lavoratori a livello<br />
europeo. La notizia non sarebbe delle migliori, ma mi<br />
pare sia meglio essere a conoscenza di sim<strong>il</strong>i evenienze<br />
piuttosto che continuare imperterriti a brancolare nel<br />
buio. Se non altro, saremmo ancor più consapevoli del<br />
fatto che l’ingranaggio dell’euro deve ancora dispiegare i<br />
suoi effetti più repressivi, e che forse, per sperare in un<br />
rafforzamento <strong>della</strong> sinistra europea, non ci si può limitare<br />
ad attendere che i movimenti dei lavoratori convergano<br />
spontaneamente, «dal basso», senza una guida politica<br />
capace di anticipare gli eventi.<br />
GIORGIO LUNGHINI<br />
Di questo esito è responsab<strong>il</strong>e la stessa sinistra, che ha<br />
rinunciato senza ragione ai suoi riferimenti teorici classici,<br />
Marx e Keynes, e ha aderito frettolosamente alla visione<br />
oggi imperante di un capitalismo del laissez faire<br />
capace di autoregolarsi: una visione priva di qualsiasi<br />
fondamento teorico robusto e foriera di gravi guasti economici,<br />
sociali e politici. È anche un segno di provincialismo,<br />
poiché in nessuna parte del mondo c’è oggi uno<br />
stato liberista.<br />
RICCARDO REALFONZO<br />
Continuo a pensare che Marx e Keynes siano vivi e quanto<br />
mai ut<strong>il</strong>i per capire e per agire. Ed è per questo che occorre<br />
tornare faticosamente a evidenziare i tanti fallimenti<br />
del mercato e la necessità dell’intervento pubblico,<br />
<strong>della</strong> programmazione economica, del piano.