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74<br />
problemi del «declino» economico e sociale da cui è iniziata<br />
la nostra conversazione. Denunciare lei l’inaccettab<strong>il</strong>ità<br />
del come sono articolate spesa pubblica ed entrate<br />
statali, la qualità a rischio <strong>della</strong> nostra specializzazione<br />
produttiva, i limiti seri <strong>della</strong> nostra posizione verso<br />
l’estero, <strong>il</strong> pericolo del degrado strutturale che ne consegue.<br />
Dunque, presentarsi lei con una qualche proposta di<br />
dove e come intervenire, in un’ottica meno debole di<br />
quella <strong>della</strong> cosiddetta via alta alla produttività (ne ho<br />
scritto con Garibaldo su «<strong>il</strong> manifesto»). Se no i discorsi<br />
sulla programmazione, sulla lotta alla precarietà, la<br />
stessa battaglia contro la controriforma delle pensioni e<br />
lo scippo del Tfr, su un pieno impiego di qualità, sono<br />
tutti fiato sprecato.<br />
Muoversi in quest’altra direzione (che va preparata da un<br />
lavoro vero: e un lavoro vero prende tempo, sta lontano<br />
dai riflettori, non si esaurisce in articoli, convegni e presenza<br />
mediatici, che vengono dopo) comporta una politica<br />
di maggiore spesa per «investimenti» pubblici in<br />
senso lato. È chiaro che con questa struttura dell’imposizione<br />
fiscale, si determina un peggioramento, nell’immediato,<br />
del rapporto disavanzo/P<strong>il</strong>. A medio-lungo termine,<br />
però, se le politiche sono ben disegnate, <strong>il</strong> denominatore<br />
aumenta. Ovviamente ciò deve avvenire con<br />
una composizione <strong>della</strong> produzione che segnali l’impronta<br />
di sinistra, ed è qui che per esempio divengono<br />
essenziali l’ottica ambientalista e anche quella femminista:<br />
dovremmo smetterla di vedere queste questioni<br />
come separate, si tratta di far vivere la questione di genere<br />
e quella <strong>della</strong> natura dentro <strong>il</strong> proprio orizzonte di<br />
cambiamento dei modi dello sv<strong>il</strong>uppo economico. È <strong>il</strong><br />
cosiddetto «paradosso <strong>della</strong> produttività», che risale in<br />
fondo a Schumpeter. Per aumentare la produttività, per<br />
innovare, prima devi finanziare una politica di investimenti<br />
che avrà effetti, darà frutto, solo nel futuro.<br />
A questo punto, se ti contrappongono l’esigenza di evitare<br />
un aumento del disavanzo, beh, si può replicare che si<br />
vadano a cercare delle entrate altrove che nel mondo del<br />
lavoro, che una politica di spesa pubblica è produttiva eccome.<br />
Graziani ha spesso ricordato che gli stessi parametri<br />
di Maastricht non impediscono affatto una politica<br />
espansiva, visto che un aumento delle spese finanziato da<br />
entrate di pari ammontare accresce reddito e occupazione.<br />
Su questa linea si sarebbe evitata la situazione prevedib<strong>il</strong>e,<br />
e che si è poi effettivamente verificata, che la battaglia<br />
sul debito sarebbe stata etichettata come la solita da<br />
parte di una sinistra che difende l’esistente, insensib<strong>il</strong>e<br />
ai problemi strutturali. Ammettiamolo, non del tutto a<br />
torto. D’altronde quello che chiedono i partiti <strong>della</strong> sinistra<br />
e qualche sindacalista è un po’ di respiro: si può ca-<br />
pire, ma è cortoterminismo anche quello. Come ha detto<br />
con efficacia, qualche tempo fa, Giorgio Lunghini: nel<br />
breve periodo siamo tutti morti, anche e soprattutto a sinistra.<br />
La carica distruttiva del capitalismo odierno non è<br />
certo frenata dal piccolo cabotaggio.<br />
Non è un caso che a Salvati, che ha posto da destra questi<br />
problemi, gli economisti <strong>della</strong> Rive Gauche non hanno saputo<br />
replicare praticamente niente. Avevamo in realtà risposto<br />
in anticipo due anni fa Halevi e io, nel contributo<br />
al convegno e poi volume di Rive Gauche. E su «<strong>il</strong> manifesto»<br />
abbiamo controbattuto Garibaldo e io, in un articolo<br />
sui nodi strutturali che ho messo al centro delle risposte<br />
in questa intervista. <strong>Essere</strong> «rassegnati» significa<br />
prendere questi ragionamenti sottogamba, come un discorso<br />
di utopia. Mi è stato detto a ripetizione, nei vari<br />
dibattiti a cui ho partecipato dall’anno scorso: sei, come<br />
Halevi, un «esagerato». Gli investimenti pubblici, sì, va<br />
bene, ma in realtà non si sa cosa siano. E comunque non<br />
ci sono le condizioni politiche. Se la sinistra non sa come<br />
dare carne e sangue a un discorso sulle politiche strutturali,<br />
è chiaro che perde. Perde per molte ragioni, ma