scarica il pdf della rivista - Essere Comunisti
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Con <strong>il</strong> mutamento epocale del 1989, la crisi dei modelli<br />
social-democratici ha accompagnato l’eclissi del<br />
cosiddetto «socialismo reale». Anche a sinistra <strong>il</strong><br />
«piano» è caduto in disgrazia, a tutto vantaggio dell’idea<br />
di «mercato», seppure regolato. Per chi oggi –<br />
nel mondo occidentale – fa riferimento a un impianto<br />
analitico marxiano, ciò è nella sostanza espressione<br />
di una sconfitta «di classe». Analogamente, quanti<br />
non ritengono Keynes una sorta di residuo archeologico<br />
sopravvissuto alla globalizzazione capitalistica<br />
vedono in tali sv<strong>il</strong>uppi <strong>il</strong> presupposto di una verticale<br />
regressione sociale. È qui in gioco un pezzo essenziale<br />
dell’identità di una critica del modo di produzione<br />
capitalistico.<br />
RIVE GAUCHE<br />
RICCARDO BELLOFIORE<br />
Credo, a questa domanda, di avere già risposto. Keynes è<br />
autore di grande ut<strong>il</strong>ità per capire gli aspetti monetari e<br />
finanziari, l’inadeguatezza <strong>della</strong> domanda effettiva, <strong>il</strong><br />
ruolo di aspettative e incertezza, l’insufficienza di domanda<br />
effettiva nel capitalismo «puro», la disoccupazione<br />
di massa come stato permanente, la povertà in<br />
mezzo all’abbondanza, <strong>il</strong> costitutivo disequ<strong>il</strong>ibrio che caratterizza<br />
<strong>il</strong> capitalismo. Ma lui, come le politiche economiche<br />
costruite e costruib<strong>il</strong>i dentro <strong>il</strong> suo quadro, resta<br />
in un ambito borghese. Solo una ridefinizione strutturale<br />
<strong>della</strong> domanda, ma anche dell’offerta, può superarne i<br />
limiti intrinseci. Lo sapevano molto bene Joan Robinson<br />
e Hyman Minsky negli anni Sessanta e Settanta, critici<br />
interni del keynesismo realizzato, che non scambiavano<br />
certo per l’anticamera del comunismo. Per quel che riguarda<br />
Marx, poi, in Italia davvero nessuno se ne preoccupa<br />
più, se non come f<strong>il</strong>osofo: e, veramente, a quel<br />
punto Marx è ridotto a un classico o a oggetto di studio f<strong>il</strong>ologico<br />
che non mi interessa. Riprendere la critica dell’economia<br />
politica significa peraltro stare dentro la teoria<br />
del valore, dentro l’essenzialità del denaro come capitale.<br />
Queste cose, per alcuni economisti <strong>della</strong> Rive<br />
Gauche, sono un «pantano» e nulla più.<br />
La domanda fa riferimento a un primato del «mercato»,<br />
pur regolato, nella cultura prevalente nella sinistra cosiddetta<br />
moderata (ma è poi ancora sinistra?). È un buon<br />
punto di partenza, se si sv<strong>il</strong>uppa sino a criticare <strong>il</strong> tic tipico<br />
di tutti, non ultimi <strong>il</strong> vecchio «Ernesto» e ora «<strong>Essere</strong><br />
comunisti» (vedi i contributi di Burgio), che parlano<br />
sempre di liberismo o di neoliberismo come se fosse<br />
la riedizione del laissez faire. Quel liberismo non è mai<br />
esistito davvero. Oggi la retorica liberista d<strong>il</strong>aga nel centro-sinistra,<br />
anche in conseguenza del risultato elettorale<br />
risicato, sicché economisti di quell’impronta hanno<br />
larga eco. Ma <strong>il</strong> liberismo non è però più da tempo un’opzione<br />
reale, se mai lo è stato davvero.<br />
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