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CAPITOLO SECONDO - Giovanni Marchetti - Sito web personale

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<strong>CAPITOLO</strong> <strong>SECONDO</strong><br />

I frammenti di Timocle<br />

Dopo aver esaminato, nel primo capitolo, l’origine e l’evoluzione della questione<br />

timoclea ed aver descritto le caratteristiche fondamentali assunte dalla commedia<br />

e dal dramma satiresco nel corso del IV sec. a.C. al fine di chiarire le<br />

caratteristiche dell’ambiente letterario nel quale operò Timocle (o operarono i<br />

Timocle), in questo capitolo si analizzeranno i singoli frammenti di questo autore<br />

che la tradizione tramanda.<br />

Assumo come testo di riferimento l’edizione di Kassel-Austin, Poetae comici<br />

Graeci, vol. VII, Berlin-New York 1984 ss.<br />

Si tratta di quarantadue frammenti per circa duecento versi (196 vv.). Tutti i versi<br />

tramandati sono trimetri giambici, ad eccezione di quelli dei frammenti 18 e 19<br />

che presentano tetrametri trocaici catalettici, e del fr. 2, che è stato variamente<br />

interpretato dal punto di vista metrico.<br />

Dell’opera di Timocle ci sono noti sicuramente ventisei titoli di commedie 1 che<br />

interessano trentacinque frammenti. Sette frammenti sono tramandati senza<br />

titolo 2 .<br />

Ateneo costituisce la fonte più ricca. Egli, infatti, tramanda ventiquattro titoli e un<br />

frammento anepigrafo (fr. 39); complessivamente, Ateneo tramanda ventinove<br />

frammenti.<br />

Per il resto abbiamo già visto al capitolo I la suddivisione e la provenienza dei<br />

rimanenti frammenti di Timocle citati da altri autori.<br />

1 Il numero sale a ventotto se si considera, come suggerisce il Meineke, Gewrgój il titolo del<br />

frammento 38 e si distinguono due titoli per i frammenti relativi agli ƒIkárioi. C’è poi il caso del<br />

frammento Porfúra.<br />

2 Qualche studioso (vedi Bevilacqua, 1929) attribuisce il fr. 37 alla commedia Pontikój.<br />

26


L’articolato elenco di autori di varie epoche che riportano citazioni da opere di<br />

Timocle indica l’importanza, la diffusione e anche la proiezione temporale<br />

dell’interesse verso questo poeta.<br />

In particolare, le numerose citazioni di frammenti di Timocle riportate da Ateneo<br />

collocano questo autore nel novero degli autori più citati 3 nelle fonti<br />

lessicografiche e nei florilegi cui probabilmente Ateneo avrà fatto ricorso per le<br />

sue riprese. Lo stesso Ateneo, talvolta, ricorda la fonte delle citazioni 4 ; si può in<br />

generale affermare che le sue fonti fossero i grammatici alessandrini, le opere<br />

lessicografiche, esegetiche e di erudizione varia 5 .<br />

Deve essere preliminarmente notato che, allo stato delle nostre conoscenze, non<br />

sono state tramandate (neanche da Ateneo) citazioni riprese da tragedie<br />

eventualmente composte da Timocle se egli fu davvero, come alcuni sostengono,<br />

tragediografo e commediografo 6 .<br />

D’altra parte la fama di Timocle è confermata non solo dalla già ricordata<br />

citazione epigrafica del 341-340 a.C. con il dramma satiresco Licurgo, ma anche<br />

dal fatto che viene citato due volte dal commediografo Alessi che nella commedia<br />

ƒEpidaúrioj (fr. 77, 4) si riferisce con l’espressione ƒen Satúroij un’opera di<br />

Timocle e nella Parrucchiera (fr. 113, 3) dice:<br />

ñ mèn o%un æmòj uëój, o*ion ømeîj Þrtíwj<br />

e#idete, toioûtoj gegonen, Oênopíwn tij $h<br />

Márwn tij $h Káphloj 2 tij TimoklÖj<<br />

meJúei gár< o÷dèn 6teron 7 .<br />

3 Per un confronto si segnala che Ateneo riporta 107 titoli attribuiti ad Alessi, 4 titoli attribuiti ad<br />

Araro, 16 titoli attribuiti ad Anfide, 104 titoli attribuiti ad Antifane, 14 titoli attribuiti ad Anassila,<br />

12 titoli attribuiti ad Efippo, 49 titoli attribuiti ad Eubulo, 25 titoli attribuiti ad Anassandride, 4<br />

titoli attribuiti a Dionisio di Sinope.Si tratta di importanti autori comici contemporanei di Timocle.<br />

Riguardo alla néa Ateneo cita 49 titoli attribuiti a Menandro, 28 titoli attribuiti a Difilo, 19 titoli<br />

attribuiti a Filemone, 5 titoli attribuiti ad Anassippo.<br />

4 P.es. vedi Deipnosofisti IX. 375e, dove è indicato il Perì Aêscúlou di Cameleonte.<br />

5 Come è illustrato in Cipolla, 2003, pp. 20-21.<br />

6 Pure, Ateneo cita tragediografi del IV - III sec. a.C. Ad es. 3 titoli attribuiti ad Alessandro Etolo,<br />

2 titoli attribuiti ad Astidamante detto il Giovane, 2 titoli attribuiti a Carcino II, 8 titoli attribuiti a<br />

Cheremone, 2 titoli attribuiti a Dionisio II.<br />

7 Cfr. Arnott, 1996, pp. 304-307. Il passo era parte di un prologo posticipato, in cui un padre<br />

paragonava i due figli, l’uno bifolco e l’altro buono a nulla: quest’ultimo, probabilmente, già<br />

apparso nella scena precedente. “Dei miei figlioli uno, come voi proprio ora poteste vedere, è<br />

venuto su così, un Enopione o un Marone o un Vinaio o un Timocle, si ubriaca e nient’altro”.<br />

27


Anche se A. Meineke (Hist. Crit. 430) dubita che si tratti del commediografo e<br />

pensa piuttosto a un noto ubriacone del tempo, non può essere trascurato il fatto<br />

che il Timocle qui citato, segue due illustri personaggi mitici 8 e il riferimento al<br />

nostro commediografo, paragonato a famosi ubriaconi, si configurerebbe come un<br />

colpo critico assestato ad un noto concorrente. Non siamo così lontani, io credo,<br />

dal rimprovero che Aristofane rivolge a Cratino, nella parodia degli „Ippeîj, di<br />

essere un vecchio ubriacone (vv. 526 ss.) 9 .<br />

Dunque qui si potrebbe pensare ad un attacco di Alessi a Timocle, finalizzato non<br />

tanto a colpire un presunto vizio del nostro (nei frammenti non sembra emergere<br />

una particolare simpatia di Timocle per il vino) quanto, soprattutto, a colpire la<br />

sua concezione della commedia 10 facendone perciò un’occasione di critica<br />

letteraria.<br />

Ancora Alessi, nel fr. 77 K.-A., cita Timocle con le parole:<br />

o&uj kaì TimoklÖj êdÎn æpì tÏn i$ppwn dúo skómbrouj<br />

e!fh æn toîj Satúroij eônai.<br />

che interessa proprio per il riferimento ai Sáturoi o ¹Ikárioi sáturoi.<br />

Si tratta di un insieme di elementi, di richiami e di possibili riferimenti che<br />

permettono già di delineare il quadro di una figura letteraria non secondaria nel<br />

panorama degli autori della cosiddetta mésh.<br />

Per quanto riguarda i frammenti dobbiamo dire che allo stato non esistono studi<br />

tendenti a riaggregarli su basi tematiche 11 .Né è possibile classificare<br />

cronologicamente le varie commedie, in quanto soltanto in alcuni casi è<br />

ipotizzabile, in virtù di informazioni interne o esterne ai testi, determinarne la data<br />

di composizione. In generale l’opera di Timocle è collocata nella seconda metà<br />

del IV sec. a.C.<br />

Sul piano dei contenuti, lo studio dei frammenti risulta ancor più complesso<br />

perché appare difficile, e spesso impossibile, ricostruire una trama delle sue opere.<br />

8<br />

Enopione, cfr. Ateneo I, 26b-c, è il mitico figlio di Arianna e di Dioniso o Teseo. Marone era,<br />

secondo Esiodo (fr. 238 Merckelbach-West), nipote di Enopione che in Euripide è figlio di<br />

Dioniso (Cycl. v. 616). Non si hanno notizie sul Vinaio che tuttavia Arnott intende “vinaio”.<br />

9<br />

L’attacco di Aristofane suggerì la risposta allegorica di Cratino nella commedia Putính del 423<br />

a.C.<br />

10<br />

Riprenderò questo tema nel capitolo terzo.<br />

11<br />

Salvo il tentativo piuttosto sommario contenuto nello studio di Bevilacqua, 1929.<br />

28


Conviene perciò procedere secondo la successione numerica dei frammenti<br />

adottata da Kassel - Austin nella loro raccolta. Successione che risulta a sua volta<br />

di tipo sostanzialmente alfabetico, secondo la titolazione greca; ove poi risultasse<br />

opportuno, e documentalmente accertabile, si indicheranno, nel prosieguo,<br />

eventuali richiami e aspetti di raccordo tra i frammenti. Si prenderà soprattutto in<br />

considerazione la possibilità di esaminare di seguito quei frammenti, tratti anche<br />

da commedie diverse che, tuttavia, affrontano tematiche o situazioni omogenee.<br />

L’analisi di ogni singolo frammento seguirà il seguente schema:<br />

1. riassunto dell’occasione e dei contenuti che hanno suggerito al testimone<br />

l’utilizzo del frammento e struttura dello stesso;<br />

2. testo del frammento;<br />

3. traduzione e, ove possibile, considerazioni metriche e linguistiche;<br />

4. considerazioni storico-letterarie.<br />

Ritengo inoltre opportuno richiamare sinteticamente i contributi principali che, nel<br />

tempo, hanno impegnato alcuni studiosi sul tema dei frammenti di Timocle. Si<br />

procederà nel prossimo capitolo a delineare una valutazione specifica dell’opera<br />

del drammaturgo nell’ambito della mésh e del dramma satiresco del IV sec. a.C.<br />

29


Aêgúptioi<br />

fr. 1 K.-A.<br />

Il frammento è riportato da Ateneo, VII 300A 12 .<br />

Il VII libro tratta, nella prima parte, le feste conviviali cadute in disuso e il<br />

“catalogo dei pesci”. In particolare Ateneo inserisce due digressioni sui cuochi<br />

fanfaroni e sugli Egizi (de Aegyptiorum superstitione). Nel corso di quest’ultima<br />

digressione riporta passi di tre commedie attribuite rispettivamente ad Antifane<br />

(Licona), Anassandride (Città) e Timocle (Egizi), nei quali emergono aspetti<br />

critici e paradossali del mondo egiziano.<br />

Il passo timocleo coglie, parodicamente, un aspetto della religione egiziana 13 , la<br />

venerazione nei confronti di alcune tipologie di animali.<br />

pÏj aÄn me\n o%un sw¯seien %ibij hÄ ku/wn;<br />

oÀpou ga\r ei¹j tou\j o(mologoume/nouj qeou\j<br />

a)seboûntej ou) dido/asin eu)qe/wj di¿khn,<br />

ti¿n' ai¹elou/rou bwmo\j e)pitri¿yeien aÃn;<br />

Come, allora, un ibis o un cane potrebbero preservare dal pericolo? infatti se coloro che commettono atti<br />

di empietà contro gli dei riconosciuti non pagano subito il castigo, a chi potrebbe recare danno l’altare di<br />

un gatto?<br />

Per quanto riguarda il testo, Meineke 14 propone al v. 1 la correzione: me nûn. Essa<br />

permetterebbe di riferire la considerazione al soggetto parlante (evidentemente in<br />

una particolare situazione di pericolo), forse un ateniese soggetto a qualche rischio<br />

e sospinto a rivolgersi alle divinità egiziane per richiedere protezione. Le<br />

considerazioni che il presunto ateniese svolge ai versi 2-4 sembrano comunque<br />

configurare una diffidenza assoluta verso le divinità, sia straniere che patrie, la cui<br />

impotenza sarebbe confermata dalla mancanza di castigo per chi compia atto di<br />

a)sébeia.<br />

12 I versi 2-4 sono riportati anche in Filodemo, De pietate, XIII 29 - XIV 2 24 Henrichs.<br />

13 Relativamente a questo frammento vedi l’approfondimento di Chirico, 1995-96.<br />

14 Cfr. K.-A. , in apparato p. 755.<br />

30


Il frammento interessa diversi aspetti:<br />

1. una critica, verso le pratiche religiose e, in particolare, verso la religione<br />

egiziana. Ateneo, come si è detto, inserisce il frammento in una<br />

digressione parodica sul mondo e le usanze egiziane. Di certo nella<br />

commedia e nella tragedia sussisteva un filone antiegiziano 15 . In<br />

particolare nel IV sec. questo tipo di attacco diventa un Leitmotiv della<br />

mésh, configurandosi da una parte come critica al tentativo di<br />

idealizzazione del mondo egizio riproposto da autori come Isocrate<br />

(Busiride) e Platone (Rep. e Leggi), dall’altra come solleticamento<br />

dell’insofferenza dei cittadini ateniesi nei confronti degli egiziani presenti<br />

in Attica, spesso concorrenti nelle attività economiche più diffuse a livello<br />

popolare.<br />

2. il verso 4 va interpretato nel senso: “chi potrebbe essere rovinato<br />

dall’altare di un gatto?”. Vale a dire, chi potrà mai credere che il<br />

giuramento prestato dagli Egizi sugli altari di animali ha più valore dei<br />

giuramenti sugli dei riconosciuti? In questo senso emergerebbe una<br />

polemica di Timocle nei confronti del Busiride di Isocrate, testo in cui si<br />

afferma che i giuramenti egizi sono seri poiché quel popolo crede<br />

fermamente che ogni uomo è destinato a pagare subito il fio delle proprie<br />

colpe 16 .<br />

15 Frinico ed Eschilo furono autori di tragedie intitolate Aêgúptioi. A Cratino è attribuita un’opera<br />

Boúsirij in cui sono ridicolizzate le pratiche religiose degli egizi. Commedie dal titolo analogo<br />

sono attribuite a Epicarmo, Antifane, Efippo e Mnesimaco. Lo stesso Aristofane nelle * Wrai<br />

protesta contro la diffusione dei culti egiziani ad Atene. Ancora Aristofane, Cratino, Ferecrate<br />

svolgono attacchi contro il personaggio Licurgo per le sue tendenze filoegiziane. Aristofane negli<br />

Uccelli (v. 1296) definisce Licurgo come %ibij.<br />

16 Cfr. Busir. 25: la pietas degli Egizi è così grande, wÐste kaiì tou\j oÀrkouj pistote/rouj<br />

eônai ... kaiì tÏn a(marthma/twn eÀkaston oiãesJai paraxrÖma dw¯sein di¿khn,<br />

a)ll' ou) dialh/sein to\n paro/nta xro/non, ou)d' ei¹j tou\j paîdaj<br />

a)nablhqh/sesqai ta\j timwri¿aj.<br />

31


3. Si può leggere nell’ ei¹j tou\j ñmologoume/nouj qeou\j a)seboûntej anche<br />

un passaggio di parodia sociale. In particolare, dopo il celebre processo a<br />

Socrate all’inizio del IV sec., ne seguirono altri. Un processo per Þsébeia<br />

celebrato nel 347 a.C. contro la cortigiana Frine 17 difesa da Iperide si<br />

concluse con una sentenza di assoluzione che suscitò non poco scandalo e<br />

a cui Timocle sembra alludere ironicamente con quel riferimento al fatto<br />

che non si pagherebbe più il fio per colpe di Þsébeia. Del resto lo stesso<br />

Timocle dimostra interesse per le etere che subirono processi come si<br />

vedrà nei frammenti delle commedie DÖloj, Néaira e ; Orestautokleídhj.<br />

Cronologicamente la commedia potrebbe dunque collocarsi a ridosso del<br />

347 a.C. Secondo l’ipotesi di Edmonds, la commedia risalirebbe agli anni<br />

343-342 a.C., quando ad Atene i mercanti egiziani ottennero il permesso di<br />

innalzare un tempio ad Iside.<br />

4. Infine riprendendo Filodemo, nel De pietate (XIII 29 sgg. Henrichs) dice:<br />

dióper 1moige tò toû Timokléouj eêrhménon æn Aêgúptwi drámati perì tÏn æn tÖi<br />

cÍrai qeÏn æpì toútouj æpércetai metaférein o$pou gár, fhsín, eêj----\n; 18<br />

Qui il filosofo epicureo sembra voler confutare la falsa opinione dei<br />

teologi secondo i quali il timore degli dei può trattenere gli uomini dal<br />

compiere azioni malvage. Di qui l’utilizzo dei versi di Timocle, nei quali,<br />

dunque, Filodemo legge un riferimento alla concezione secondo la quale<br />

gli dei non si occupano direttamente delle cose degli uomini.<br />

Analogo concetto si ritrova in Menandro, che in Epitrep. 729-740 19<br />

mostra l’indifferenza degli dei verso le cose umane.<br />

Una eventuale influenza di ambienti edonistici tardoperipatetici su<br />

Timocle 20 comporterebbe, però, una datazione più bassa della commedia e<br />

17<br />

Sul processo a Frine cfr. Iperide, frr. 171-179, ed. Blass-Jensen, con Cavallini, 2001.<br />

18<br />

Perciò a me viene di trasferire a costoro ciò che Timocle dice nel dramma Egizi circa gli dei del<br />

luogo.<br />

19<br />

Cfr. in particolare i vv. 731-732:<br />

kaq 6na toútwn oë Jeoì<br />

6kaston æpitríbousin $h s{_zousi;<br />

Notare gli stessi verbi utilizzati da Timocle.<br />

32


della vita e dell’opera del poeta da estendersi fino alla fine del IV/inizio<br />

del III sec. a.C., come io credo possibile (cfr. Capitolo III).<br />

Questo frammento dunque sembra presentare una critica complessiva alla<br />

religione filtrata attraverso una visione che prescinde dalla presenza degli<br />

dei nella vita dell’uomo, assegnando all’uomo stesso la piena<br />

responsabilità dei suoi comportamenti.<br />

Letto in questo modo il frammento segnala, a mio avviso, il tentativo del<br />

poeta di esercitare la sua critica con argomentazioni serie, nel quadro di un<br />

contesto certamente comico, ma non per questo privo di una funzione<br />

riflessiva. Vedremo più avanti operazioni analoghe, sul terreno letterario,<br />

in relazione al fr. 6 dalle Dionusiázousai. Qui l’argomento è la concezione<br />

degli dei, lì sarà la funzione consolatoria della tragedia.<br />

L’interesse della mésh verso il mondo filosofico e letterario si può cogliere<br />

anche nei frammenti in cui si esercita un’azione critica e parodistica nei<br />

confronti dei pitagorici e delle teorie platoniche muovendo dalla<br />

descrizione di certi modelli di vita e comportamenti morali di personaggi<br />

caratteristici dell’Atene contemporanea. Anche su questi argomenti<br />

troveremo un riscontro nei prossimi frammenti di Timocle.<br />

20<br />

Nell’ ŒOnomastikòn di Polluce (X 154), Timocle è posto dopo Lisippo ed è associato ad<br />

Apollodoro di Caristo come neÍteroj.<br />

33


Balaneîon 21<br />

fr. 2 K.-A.<br />

Il frammento 22 , composto di un unico verso incompleto, è tramandato da Polluce<br />

X 154 e attiene all’evoluzione semantica del termine glwttokomeîon presso i<br />

neÍteroi.<br />

tò méntoi glwttokomeîon 23 e#irhke Lúsippoj æn Bákcaij<<br />

(fr. 5) . . . Ënómastai gàr Þpò tÏn glwttÏn. o÷ mÕn Þllà kaì æpì toû Þggeíou<br />

glwttókomon parà toîj newtéroij 1stin eøreîn, Ìj æn tÏi Timokléouj Balaneíwi<<br />

kaì - balaneúsate.<br />

kaì æn ; ApollodÍrou toû Karustíou Diabólwi 24 < méga ... glwttókomon ktl.<br />

Sappiamo che glwttókomon significa propriamente l’astuccio ove si conservano le<br />

linguette dei flauti 25 .<br />

∪ − ∪ kaì tò glwttókomon balaneúsate<br />

Questa lettura del verso si basa sul presupposto che siamo in presenza di un<br />

trimetro giambico 26 .<br />

J. Henderson 27 propone una lettura in senso osceno del frammento attribuendo al<br />

termine glwttokomeîon il significato di sesso femminile (Tongue-case, is a playful<br />

term for cunt) e al verbo balaneúw quello dell’atto sessuale (cfr. Eub. 140 K.-A.).<br />

21<br />

Il titolo della commedia non figura negli elenchi della Suda. Titolo analogo compare in Anfide e<br />

Difilo.<br />

22<br />

Cfr. sul frammento lo studio di Chirico, 1996.<br />

23<br />

Il testo presenta nella tradizione la duplice lezione glwttokomeîon / glwttókomon<br />

24<br />

“Lisippo, nelle Baccanti (fr. 5) ha utilizzato glwttokomeîon. Prende questo nome dalla<br />

linguetta, tuttavia è possibile trovare presso autori più recenti glwttókomon anche con<br />

riferimento all’astuccio come nel Bagno Pubblico di Timocle e nel Maldicente di Apollodoro di<br />

Caristo”.<br />

25<br />

Cfr. Bevilacqua, 1939 p. 33; questa è anche la traduzione di Edmonds (glwttokomeîon is the<br />

flute-case).<br />

26<br />

La tradizione manoscritta dei testi di Polluce oscilla tra balaneúsate (Meineke ed Edmonds) e<br />

balaneúetai (Kock).<br />

27 Henderson, 1975, p. 186.<br />

34


E’ interessante evidenziare che la lettura del frammento da parte di Kock (kaì tò<br />

glwttokomeîon balaneúetai) si presenta, metricamente, come asclepiadeo minore 28<br />

(− ∪ − ∪ ∪ − − ∪ ∪ − ∪ −) e, dunque, in contesto corale probabilmente parabatico.<br />

Ciò però si verificherebbe in controtendenza con il ridimensionamento del coro e<br />

della parabasi nella commedia postaristofanea 29 .<br />

Daktúlioj<br />

fr. 3 K.-A.<br />

I due versi del frammento sono citati due volte da Ateneo (VII 295b e IX 385a).<br />

Siamo in un contesto tendente a ironizzare sulla ben nota ittiofagia degli Ateniesi.<br />

Dei due trimetri giambici il primo è incompleto. Nella seconda citazione Timocle<br />

è definito da Ateneo ð kwmikój:<br />

⎯∪ − galeou\j kaiì bati¿daj oÀsa te tÏn genÏn<br />

e)n o)culipa/r% tri¿mmati skeua/zetai<br />

⎯∪ − squali e razze e quant’altre tipologie si servono in salsa di aceto e di olio.<br />

Qui, come al fr. 39 di Timocle che riguarda l’abilità culinaria dei Chii, compaiono<br />

gli unici accenni al tema della gastronomia: un tema che, insieme a quello del<br />

simposio, è molto frequente nella mésh forse anche per il fatto che Ateneo con i<br />

Deipnosofisti costituisce la fonte principale dei frammenti della mésh conservati.<br />

L’abbondanza alimentare è una delle componenti essenziali dell’ e÷daimonía<br />

ateniese 30 ; essa rappresenta un ideale nel quale lo spettatore comune, che di<br />

quell’abbondanza normalmente non gode, ha la possibilità di riconoscersi.<br />

In numerose occasioni i frammenti dei commediografi consistono in liste di<br />

condimenti, verdure, pesci e carni come nel fr. 66 di Anassandride o nel fr. 140 di<br />

28 Cfr. Pretagostini, 1987, p. 257.<br />

29 Tra gli altri cfr. Perusino, 1986, pp. 64-66.<br />

30 Cfr. Martino, 1999, pp. 67-81.<br />

35


Antifane o nei frr. 132 e 179 di Alessi. I poeti della mésh si burlano di quelli che<br />

soccombono al vizio della ghiottoneria.<br />

Ateneo, in particolare, (X 417b) sottolinea tra gli altri la voracità dei Beoti.<br />

Peraltro la figura del ghiottone è associata a quella del parassita. Questa<br />

associazione si ritrova anche in Timocle, come si evince dai frr. 10, 11, 16. Sulla<br />

ghiottoneria per il pesce Timocle attacca anche Iperide, come si vedrà più avanti<br />

al fr. 4.<br />

Non compare, invece, nei frammenti di Timocle a noi noti la figura del cuoco che,<br />

pure, presenta una forte caratterizzazione nella mésh a partire dal contributo<br />

offerto dai frammenti di Alessi 31 .<br />

fr. 39 (anepigrafo)<br />

Tra i frammenti senza titolo è l’unico tramandato da Ateneo I 25f. 32<br />

Xîoi polu\<br />

aÃrist' a)neurh/kasin o)yartutikh/n.<br />

gli abitanti di Chio hanno inventato la gastronomia di gran lunga migliore<br />

Si parla di arte culinaria e, in particolare, dell’abilità culinaria degli abitanti di<br />

Chio. Ateneo, tra l’altro, cita un illustre cuoco di Chio di nome Semonattide (XIV<br />

662c), di cui Polluce (IV, 71) tramandava anche l’attività di scrittore di culinaria.<br />

Di Semonattide parla anche Batone nel fr. 4 K.-A. Sulla cucina di Chio ci sono<br />

citazioni anche in Aristofane (fr. 216 K.-A.) ed Eufrone (fr. 1 K.-A.).<br />

31 Cfr. Argenio, 1965; Belardinelli, 2008, pp. 77-86.<br />

32 Colpisce il fatto che soltanto in questa occasione Ateneo trascuri di citare il titolo della<br />

commedia di riferimento. C’è da notare che anche la successiva citazione da Eubulo (fr. 122 K.-<br />

A.) è priva di titolazione. E’ forse dovuto al fatto che siamo nel paragrafo dei Deipnosofisti<br />

dedicato esclusivamente a citazioni da opere di Omero?<br />

36


DÖloj 33<br />

fr. 4 K.-A.<br />

Il frammento è tramandato da Ateneo VIII 341f nel paragrafo relativo alla<br />

descrizione di illustri opsofagi, in particolare l’oratore Iperide. La citazione,<br />

tendente a sottolineare la ghiottoneria dell’oratore per i pesci, offre un interessante<br />

quadro comico di natura storico-politica al cui centro è posto l’ “affaire Arpalo” 34 .<br />

Questo riferimento permette di ipotizzare la datazione della commedia dopo il 324<br />

a.C. a ridosso del processo per corruzione intentato nei confronti di Demostene ed<br />

altri. Anche in questo caso Ateneo cita Timocle come ñ kwmikój.<br />

Il frammento è composto da nove trimetri giambici e si presenta sotto forma di<br />

sticomitia tra due interlocutori.<br />

{A.} Dhmosqe/nhj ta/lanta penth/kont' eÃxei.<br />

{B.} maka/rioj, eiãper metadi¿dwsi mhdeni¿.<br />

{A.} kaiì MoiroklÖj eiãlhfe xrusi¿on polu/.<br />

{B.} a)no/htoj o( didou/j, eu)tuxh\j d' o( lamba/nwn.<br />

{A.} eiãlhfe kaiì Dh/mwn ti kaiì Kallisqe/nhj.<br />

{B.} pe/nhtej ˜san, wÐste suggnw¯mhn eÃxw.<br />

{A.} oÀ t' e)n lo/goisi deino\j ¸Uperei¿dhj eÃxei.<br />

{B.} tou\j i¹xquopw¯laj o*utoj h(mÏn ploutieî<br />

o)yofa/goj † gàr wÐste tou\j la/rouj eiånai Su/rouj.<br />

(A) Demostene ha cinquanta talenti. (B) Beato lui se non deve dividerli con nessuno 35 . (A) Anche<br />

Merocle 36 ha preso molto denaro. (B) Pazzo chi paga, fortunato chi riceve. (A) Anche Demone e<br />

Callistene hanno preso qualcosa 37 .<br />

33 Meineke corregge DÔlioj, cioè “l’uomo di Delo”, come indicato in apparato K.-A. p. 756.<br />

34 Arpalo, nominato da Alessandro Magno governatore di Babilonia e amministratore del Tesoro<br />

Reale, fuggì nel 324 a.C. ad Atene con numerosi uomini e 5000 talenti che utilizzò per corrompere<br />

politici ateniesi e riparare in seguito a Creta dove fu assassinato. Cfr. Plut. Dem. 25.<br />

35 Il riferimento non può che essere alla condanna a pagare cinquanta talenti subita da Demostene<br />

in seguito al processo per i fatti di corruzione legati all’episodio di Arpalo. Demostene non pagò la<br />

pesante multa e fu costretto all’esilio. Cfr. Plut. Dem. 26.<br />

36 Merocle figlio di Eutidemo del demo di Eleusi, politico attivo del partito antimacedone già<br />

condannato in precedenza. Cfr. Demosth. de falsa leg. 293<br />

37 Demone del demo di Peania noto per aver proposto la mozione di richiamo del cugino<br />

Demostene dall’esilio, cfr. Plut. Dem. 27.<br />

37


(B) Erano poveri, sicché io li giustifico 38 . (A) Anche Iperide 39 , abile nei discorsi, ne ha. (B) Costui<br />

arricchirà i nostri pescivendoli: infatti è talmente ghiotto di pesci che i lari (gabbiani) dovranno<br />

comportarsi come i Siri 40 .<br />

Il frammento non ci permette di comprendere il senso del titolo della commedia. I<br />

due interlocutori dovrebbero essere due ateniesi ben informati sulla situazione dei<br />

personaggi coinvolti nell’affaire di Arpalo. C’è da notare che Timocle utilizza il<br />

verbo 1cw per Demostene e Iperide e il verbo lambánw per gli altri tre personaggi.<br />

Potrebbe costituire un segnale di incertezza sul ruolo svolto dai due personaggi<br />

più importanti. Merocle, Demone e Callistene furono tra i dieci personaggi di cui<br />

Alessandro Magno richiese la consegna dopo la rivolta successiva alla morte di<br />

Filippo (Plut. Dem. 23). Anche per costoro non c’è la certezza della corruzione; lo<br />

stesso Iperide, che pure contribuì alle accuse contro Demostene, è colpito da<br />

Timocle ai versi 7-9 attraverso un riferimento, tipicamente comico, ai difetti<br />

soggettivi del personaggio. Questo duplice attacco a Demostene e a Iperide fa<br />

sorgere qualche dubbio, a mio avviso, circa una presunta posizione<br />

pregiudizialmente antidemostenica di Timocle. Come vedremo anche in altri<br />

frammenti (vedi ad es. fr. 37 dal FilodikastÔj) sembra che Timocle tenda,<br />

soprattutto, a svolgere un ruolo critico verso le classi dirigenti di volta in volta al<br />

potere, ponendosi dalla parte degli interessi popolari piuttosto che assumere<br />

posizioni partitiche pregiudiziali. In questo senso non mi sembrano convincenti le<br />

considerazioni di Webster (1953, pp. 44-47) che, al fine di classificare Timocle<br />

come esponente della parte filomacedone, teorizza due diversi livelli di intensità<br />

di irrisione utilizzata dal poeta verso gli antimacedoni e verso i filomacedoni. Mi<br />

Callistene oratore ateniese citato da Antifane fr. 27 K.-A. come colui che “si divora tutto il<br />

patrimonio”. Per Merocle, Callistene e Demone ci fu da parte di Alessandro Magno la richiesta<br />

della consegna (cfr. Plut. Dem. 23).<br />

38 Al fr. 30 Timocle afferma che il povero può essere spinto ad azioni malvage.<br />

39 Iperide oratore ateniese noto per il processo a Frine, citato da Timocle anche al fr. 18, difensore<br />

delle tesi antimacedoniche, avrebbe sostenuto la tesi di accogliere Arpalo per alimentare lo scontro<br />

con Alessandro Magno. Di qui l’ipotesi, che Plutarco esclude, di un suo coinvolgimento nella<br />

corruzione. Cfr. Plut., Vita X orat. 16, 848f.<br />

40 Per la/roi dobbiamo intendere i gabbiani, grandi divoratori di pesci (Od. V 51-53). I Siri erano<br />

invece noti per non mangiare il pesce, come riporta Ateneo VIII 346c. Di qui il gioco ironico di<br />

Timocle tra Iperide e i gabbiani.<br />

38


sembra invero che in Timocle ci sia analogia tra gli attacchi contro Iperide e<br />

contro un esponente filomacedone come Telemaco.<br />

Dhmsáturoi 41<br />

fr. 5 K.-A.<br />

Fonte Ateneo IV 165f, la citazione si inserisce nell’ambito di una discussione<br />

sugli uomini #aswtoi (dissoluti). Ateneo cita di seguito tre frammenti<br />

rispettivamente di Difilo (fr. 37 K.-A.), Timocle (fr. 5 K.-A.) e Menandro (fr. 264<br />

K.-A.) sul personaggio Ctesippo 42 .<br />

Si tratta di due trimetri giambici.<br />

ou)d' o( Xabri¿ou Kth/sippoj eÃti triìj kei¿retai,<br />

e)n taîj gunaiciì lamprój, ou)k e)n a)ndra/sin.<br />

Neppure Ctesippo figlio di Cabria si fa radere 43 più tre volte al giorno, lui che è splendido tra le<br />

femmine, non tra i maschi.<br />

Il titolo può alludere a personaggi come Demostene o l’oratore Demade che, dopo<br />

Cheronea (338 a.C.), furono intermediari del trattato di pace tra Atene e Filippo.<br />

Forse il coro di questa commedia era costituito da satiri; tuttavia non c’è<br />

contrapposizione tra gli studiosi circa la natura di commedia di quest’opera.<br />

Sulle caratteristiche specifiche del titolo 44 e in generale dei titoli composti con<br />

sáturoi saranno effettuate considerazioni nel capitolo terzo in relazione alle<br />

questioni degli ƒIkárioi sáturoi.<br />

41 Il titolo, che Schweighäuser ipotizza composto di due parole, richiama i demagoghi arrendevoli<br />

verso le masse popolari come quelli che Aristofane, Rane 1085 definiva dhmopíJhkoi.<br />

42 Ctesippo, figlio di Cabria, il vincitore di Nasso 376 a.C., fu allevato dopo la morte del padre da<br />

Focione (Plut. Phoc. 7) che cercò di ricondurlo sulla retta via. Era talmente dissoluto da vendere le<br />

pietre del monumento funerario del padre. Per questa sua esagerata dissolutezza non fu mai citato<br />

per nome da Demostene nell’orazione Contro Leptine, ove l’oratore si limita al patronimico “figlio<br />

di Cabria”.<br />

43 Anche Teophr. Char. V 6 a proposito del dandy dice tra l’altro: kaì pleistákij dè<br />

ÞpokeírasJai.<br />

44 Cfr. in Aristoph. DhmopíJhkoi.<br />

39


Sulla datazione dell’opera si può osservare che Ctesippo ricoprì la carica di<br />

trierarco nel 334/333 a.C. Lo stesso Ctesippo è citato anche negli ƒEnagízontej di<br />

Difilo e nell’ ƒOrgÔ di Menandro. In particolare la commedia di Menandro è datata<br />

tra il 320-315 a.C. Analoga datazione può attribuirsi all’opera di Difilo (fr. 37 K.-<br />

A.) 45 . Dunque è probabile che anche l’opera di Timocle sia databile in un arco<br />

temporale tra il 333 e il 325 a.C. Infatti analizzando il fr. 264 K.-A. dall’ ƒOrgÔ di<br />

Menandro 46 si può notare una sorta di richiamo del fr. 5 di Timocle da cui, perciò,<br />

trae probabilmente ispirazione. E’ chiaro, comunque, che la figura di Ctesippo<br />

continuava ad avere una certa notorietà ancora negli anni venti del IV sec. a.C.<br />

Dionusiázousai<br />

fr. 6 K.-A.<br />

Il frammento è tramandato da Ateneo IV 223b nell’ambito di una discussione<br />

circa l’utilità della tragedia 47 e da Stobeo IV 56, 19 48 .<br />

Il monologo si configura come una consolatio: si elencano esempi tragici<br />

attraverso i quali lenire le proprie sofferenze.<br />

Qui Timocle è definito da Ateneo ñ kwm_diopoiój 49 .<br />

5<br />

ý tân, aÃkouson hÃn ti soi dokÏ le/gein.<br />

aÃnqrwpo/j e)sti zÏion e)pi¿ponon fu/sei,<br />

kaiì polla\ luph/r' o( bi¿oj e)n e(autÏi fe/rei.<br />

parayuxa\j o%un fronti¿dwn a)neu/reto<br />

tau/taj< o( ga\r noûj tÏn i¹di¿wn lh/qhn labwÜn<br />

pro\j a)llotríwi te yuxagwghqeiìj pa/qei,<br />

meq' ÓdonÖj a)pÖlqe paideuqeiìj aÀma.<br />

45 Difilo (fr. 37 K.-A.) ironizza sul fatto che Ctesippo avrebbe venduto le pietre del monumento<br />

funerario del padre per soddisfare le sue dissolutezze.<br />

46 Men. fr. 264 K.-A., vv. 5-6:<br />

... kaì genÔsomai<br />

KtÔsippoj, o÷k \nJrwpoj, æn ðlíg_ crón_.<br />

(e voglio diventare in breve Ctesippo, non un uomo).<br />

47 Ateneo VI 223b: TimoklÖj ñ kwmwidiopoiòj katà pollà crhsímhn eônai légwn tÏi bíwi<br />

tÕn trag_dían… (Timocle, il poeta comico affermando che la tragedia è utile per la vita in<br />

molte occasioni afferma…).<br />

48 Stobeo riporta il frammento sotto la voce parhgoriká (i lenitivi).<br />

49 Alcuni manoscritti riportano ñ kwmikój.<br />

40


15<br />

10<br />

tou\j ga\r tragwidou\j prÏton, ei¹ bou/lei, sko/pei,<br />

w¨j w©feloûsi pa/ntaj. o( me\n wÔn ga\r pe/nhj<br />

ptwxo/teron au(toû katamaqwÜn to\n Th/lefon<br />

geno/menon hÃdh th\n peni¿an r(âion fe/rei.<br />

o( nosÏn ti maniko\n ¹Alkme/wn' e)ske/yato.<br />

o)fqalmiâi tij< ei¹siì Fineîdai tufloi¿.<br />

te/qnhke/ twi paîj< h( Nio/bh kekou/fiken.<br />

xwlo/j ti¿j e)sti, to\n Filokth/thn o(râi.<br />

ge/rwn tij a)tuxeî< kate/maqen to\n Oi¹ne/a.<br />

aÀpanta ga\r ta\ mei¿zon' hÄ pe/ponqe/ tij<br />

a)tuxh/mat' aÃlloij gegono/t' e)nnoou/menoj<br />

ta\j au)to\j au(toû sumfora\j hÂtton ste/nei.<br />

Mio caro, ascoltami, se ti sembra 50 che io dica qualcosa (d’importante). L’uomo è per natura una<br />

creatura sofferente, e la vita di per sé comporta molte sofferenze. Così egli trovò questi conforti per i suoi<br />

affanni; infatti la mente dimenticando le proprie angosce ed attratta dalle altrui sofferenze, se ne<br />

allontana al contempo istruita e rallegrata. Prima di tutto osserva, se vuoi, come i tragici giovano a tutti.<br />

Infatti chi è povero quando apprende che Telefo 51 divenne più povero di lui, sopporta già meglio la (sua)<br />

povertà. Chi soffre di qualche mania, guarda ad Alcmeone 52 ; uno ha una malattia agli occhi? sono ciechi<br />

i figli di Fineo 53 . Un tale ha perduto il figlio? Può trovare sollievo in Niobe. Uno è zoppo? guarda a<br />

Filottete 54 . Un vecchio è sventurato? si riconosce in Eneo 55 . Infatti quando uno considera che le<br />

disgrazie capitate agli altri sono tutte più grandi di quelle che egli soffre, si lamenta meno delle proprie<br />

sciagure 56 .<br />

Quattro opere di Timocle sono correlate nei titoli a Dioniso o al suo corteggio<br />

(Dioniso, Demosatiri, Donne alle Dionisie e ; Ikárioi sáturoi).<br />

50 dokÏ è presente in Stobeo; méllw in Ateneo.<br />

51 Cfr. Alex. fr. 183 K.-A. Sulla presenza di Telefo nella perduta tragedia di Euripide vedi Arist.,<br />

Ach. 430-449; Nub. 922; Ran. 855-864. Nel IV sec. a.C. risultano tragedie con il titolo Telefo<br />

attribuite a Cleofonte e Moschione.<br />

52 Alcmeone che assalì con successo Tebe con Adrasto. Tornato in patria, uccise la madre Erifile<br />

per vendicare il padre Anfiarao. Fu perseguitato dalle Erinni. Cfr. Alex. fr. 157 K.-A..<br />

53 I figli di Fineo (Soph. Ant. 969-986) re di Tracia. Egli indotto dalla seconda moglie Idotea (che<br />

aveva accusato i figli di primo letto di averla molestata) si vendicò accecandoli.<br />

54 Cfr. Antiph. fr. 218 K.-A..<br />

55 Ateneo riporta katámaJe. Eneo, re di Calidonia, al quale in vecchiaia i nipoti sottrassero il<br />

regno, cfr. Paus. II 25 2. Euripide rappresentò una tragedia con questo titolo, ma cronologicamente<br />

più vicine all’opera di Timocle sono le tragedie di Filocle e Cheremone.<br />

56 Per una interpretazione del frammento cfr. Diano, 1968, pp. 216-269.<br />

41


In tutta la commedia di mezzo soltanto altri due titoli fanno riferimento a Dioniso<br />

(Diónusoj di Eubulo e Dionúsou gonaí di Anassandride 57 ) a fronte di sette titoli<br />

dell’ Þrcaía.<br />

Siamo certi che il frammento appartiene a una commedia, come fa intendere<br />

Ateneo nell’introduzione del frammento. Tuttavia il tono e l’impostazione del<br />

monologo, a partire dai primi tre versi, sembrano assumere un carattere di serietà<br />

e riflessività non propriamente comica anche nella finalità al contempo educativa<br />

e consolatoria. Si tratta, dunque, di un esempio di parodia letteraria tipica delle<br />

commedie della mésh.<br />

Certamente in quest’epoca si sviluppò una forte polemica sul valore dei generi tra<br />

tragici e comici come dimostra il fr. 189 K.-A. dalla Poesia di Antifane.<br />

Ma anche il fr.19 K.-A. dai Cuochi di Anassila ridicolizza i versi di Eschilo, i cui<br />

toni riecheggiano nella descrizione della pratica culinaria ittica. Ancora Antifane<br />

nel fr. 1 K.-A. fa la satira della lingua solenne di Sofocle. Anche Euripide nel IV<br />

sec. è oggetto di passaggi ironici 58 nei frammenti dei comici della mésh.<br />

Alcuni titoli di opere della mésh 59 possono indurre a ritenere che le corrispondenti<br />

commedie comprendessero giudizi di tipo letterario su singoli autori o su temi di<br />

carattere generale 60 .<br />

Il comico che presenta il maggior numero di riferimenti è Antifane.<br />

Il fr. 6 di Timocle offre una interessante versione volgarizzata del ruolo<br />

consolatorio della tragedia.<br />

Già le affermazioni ai vv. 2-3 appaiono come sentenze di alto valore gnomico.<br />

Come già segnalato 61 , la mésh rispetto all’ Þrcaía cambia l’oggetto dei propri<br />

attacchi, in particolare, verso i tragici. Antifane nel fr. 189 K.-A. contrappone lo<br />

sforzo dei commediografi alle soluzioni preconfezionate dei tragici. Molti<br />

frammenti comici tendono ad imitare il sermo tragicus, nonché a parodiare la<br />

struttura e i contenuti della tragedia. Quindi si può ritenere che in questo<br />

57<br />

Cfr. Costantinides, 1969, p. 57<br />

58<br />

Cfr. su questo p. es. Ant., fr. 111 e 205 K.-A.; Axion., fr. 3 K.-A.; Eub., fr. 26 K.-A.<br />

59<br />

Cfr. p. es. Amph. frr. 14 e 15; Antiph. fr. 194; Axion. frr. 3 e 4; Eub. fr. 25; Ephip. fr. 20. Inoltre<br />

i frr. 6, 7, 32 di Timocle.<br />

60<br />

Cfr. Oliva, 1968, pp. 25-92.<br />

61<br />

Cfr. anche Platon.,I 6-9<br />

42


frammento di Timocle sia contenuta una tirata comico-parodica sulla tragedia. Più<br />

in generale si può cogliere un aspetto parodico verso idee tipiche della teoria<br />

letteraria come ad esempio gli effetti psicagogici della poesia 62 , la funzione<br />

educativa della poesia tragica e la teoria della catarsi 63 , qui intesa volgarmente<br />

come effetto consolatorio.<br />

Colpisce inoltre l’elenco dei personaggi tragici citati da Timocle: Telefo,<br />

Alcmeone, Antigone, Filottete, Eneo.<br />

Aristofane negli Acarnesi (vv. 395-475) cita Eneo l’infelice, Fenice il cieco,<br />

Filottete il pezzente, Bellerofonte lo sciancato e Telefo; in sostanza un elenco di<br />

nomi che presenta una chiara corrispondenza con l’elenco di Timocle non soltanto<br />

per la coincidenza dei personaggi, ma, soprattutto, per il contesto: in Aristofane si<br />

trattava di un attacco satirico a Euripide e al suo modo di concepire la tragedia.<br />

Nel frammento di Timocle mi sembra che si possa leggere, nel clima di<br />

contrapposizione tra tragedia e commedia nel IV sec. a.C., una forte ironia nei<br />

confronti della funzione psicologica della drammaturgia tragica. Il titolo<br />

dell’opera richiama peraltro le Tesmoforiazuse.<br />

Quindi parodia critica verso un genere teatrale e una concezione filosofica. Non è<br />

di questo avviso V. Bevilacqua (1939 p. 32) che invece afferma: “…l’utilità<br />

pratica della tragedia ci appare frutto di una ferma persuasione”. Ma ha senso<br />

pensare ad affermazioni di questo tipo nel quadro di una commedia del IV sec.<br />

a.C. da parte di un autore come Timocle? C’è piuttosto da immaginare che la<br />

tirata del frammento timocleo fosse rivolta a un personaggio in difficoltà al quale<br />

un altro personaggio offre, comicamente e riduttivamente, la formula tragica come<br />

soluzione consolatoria a tutti i suoi mali. C’è una nota di concretezza e di<br />

materialità nell’ispirazione poetica di Timocle che tende a misurare sul piano<br />

della realtà la soluzione dei mali sociali e che prescinde, a mio avviso, dal<br />

proporre soluzioni consolatorie sul terreno dello spirito e della psicologia. Come<br />

abbiamo già detto e come vedremo nel prosieguo dell’analisi dei frammenti, la<br />

62 Cfr. Gorg., Hel. 8-9; Plat., Phil. 50 A-B e RP. X 605.<br />

63 Cfr. Aristot., Poet. 6, 1449b.<br />

43


sua verve ironico-comica conduce sempre a soluzioni che privilegino il<br />

miglioramento delle condizioni economiche e sociali degli ateniesi.<br />

Deve essere ancora notato che in particolare i versi 12-16 presentano, soprattutto<br />

nell’utilizzo delle forme verbali, una variazione dei tempi determinando qualche<br />

elemento di incertezza semantica 64 , pur nella regolarità morfologica dei versi<br />

suddivisi dalla cesura tra una prima parte di premessa ed una seconda di<br />

indicazione specifica.<br />

Diónusoj<br />

fr. 7 K.-A.<br />

Tramandato da Ateneo IX 407e (“lo stesso Timocle, in questi versi del Diónusoj ci<br />

dice che Telemaco era del demo di Acarne”) 65 . Il frammento è citato nell’ambito<br />

della spiegazione che Democrito offre ad Ulpiano circa il vero significato della<br />

cosiddetta “pentola di Telemaco”. La risposta di Democrito è interessante perché<br />

cita in successione tre frammenti di tre diverse opere di Timocle (Lete, Dioniso e<br />

ŒIkárioi sáturoi). Questo passo di Ateneo è importante perché contiene,<br />

nell’introduzione ai tre frammenti, sia la nota citazione (˜n dè kaì trag_díaj) sia la<br />

titolazione ƒIkárioi sáturoi in riferimento al fr. 18 K.-A.: cioè le due questioni che<br />

sono alla base della discussione intorno alla figura letteraria di Timocle 66 .<br />

Il frammento in esame è composto da quattro trimetri giambici in forma di<br />

dialogo tra due interlocutori non identificabili.<br />

Il quarto verso è insanabile.<br />

{A.} o( d' ¹Axarniko\j Thle/maxoj eÃti dhmhgoreî;<br />

{B.} o*utoj d' eÃoike toîj newnh/toij Su/roij.<br />

{A.} pÏj; hÄ ti¿ pra/ttwn; bou/lomai ga\r ei¹de/nai.<br />

{B.} qa/rghlon a)gka/lv xu/tran fe/rei.<br />

64<br />

Questo aspetto è presente anche in altri frammenti di Timocle, vedi ad es. il fr. 4.<br />

65<br />

Ateneo IX 407e: 8ti dé kaì tÏn dÔmwn ’Acarneùj ñ Thlémacoj ñ aútòj poihtÕj<br />

fhsin æn Dionús_.<br />

66<br />

Ateneo IX 407e: TimoklÖj ñ tÖj kwm_díaj poihtÖj (˜n dè kaì trag_díaj).<br />

44


(A) Telemaco del demo di Acarne 67 fa ancora chiacchiere in assemblea? (B) Egli somiglia ai Sirii<br />

comprati di recente. (A) Come? o per quali comportamenti? voglio proprio saperlo. (B) Porta in braccio<br />

una pentola di primizie.<br />

Al v. 4 il codice A dei Deipnosofisti presenta la lezione qanathgòn Þgkálhi.<br />

Commedie che prendono il nome del dio sono esistite anche per Cratete, Magnete,<br />

Alessandro Etolo, Anassandride, Eubulo ed altri; lo stesso Aristofane rappresentò<br />

un Dioniso naufrago; Cratino compose un Dionisalessandro.<br />

La datazione può essere immaginata in relazione al riferimento a Telemaco e<br />

dunque collocata dopo il 328-327 a.C., cioè a ridosso del decreto del 329 a.C. a<br />

favore di Eraclida di Cipro. Timocle rivolge un attacco pesante a Telemaco<br />

mediante l’utilizzo del verbo dhmhgoréw. Di certo il personaggio si caratterizza per<br />

la sua partecipazione alla fazione democratica 68 .<br />

E’ da notare, inoltre, il riferimento del v. 2 ai Sirii 69 , citati anche nel fr. 4, 9 (<br />

DÖloj).<br />

L’oratore Telemaco è citato anche nel fr. 21 della LÔJh timoclea in cui esorta gli<br />

ateniesi a ritornare alle cútrai o ai cumoí, cioè a una vita frugale, al fine di<br />

superare le difficoltà di approvvigionamento che avevano colpito Atene tra il 330-<br />

327 a.C. e ancora, nel fr. 18, nel quale Telemaco compare come detentore di una<br />

grande quantità di fave.<br />

Anche in questo frammento, a mio avviso, l’attacco da parte di Timocle ad un<br />

importante e influente personaggio filodemostenico non va al di là della caricatura<br />

della sua azione di governo.<br />

67 Telemaco di Acarne, politico e oratore, assicurò l’approvvigionamento alimentare di Atene<br />

durante la carestia del 330-327 a.C. Collaboratore di Demostene, si assunse tale incarico<br />

sviluppando tra il popolo una attiva campagna a favore delle fave, come antico e povero alimento<br />

degli antenati. Di qui divenne proverbiale l’espressione “pentola di Telemaco” che, secondo<br />

Eustazio (Commentarii all’Odissea I 24, 17), si applica ai poveri che si alimentano di legumi e cibi<br />

a buon mercato. Meineke, invece, rinvia alla consuetudine per cui gli schiavi che entravano per la<br />

prima volta in casa venivano colmati di doni di buon augurio tra cui una pentola di legumi: cfr.<br />

Aristoph., Plut. 768-769. Ancora Wilamowitz, 1962, pp. 690-691 cita Telemaco come proponente<br />

del decreto del 329/328 a.C. per la concessione di un premio a Eraclida di Cipro per aver venduto<br />

agli ateniesi il frumento del Ponto a prezzo modico (cfr. Dittenberger, Syll. inscr. Graec: I 3 n.<br />

304).<br />

68 Cfr. Coppola, 1927, p. 456.<br />

69 Anche se qui risulta oscuro il paragone tra Telemaco e i Sirii da poco comprati. Forse il<br />

riferimento richiama una certa tendenza dei Sirii al pettegolezzo e al chiacchiericcio.<br />

45


Si può leggere anche un riferimento ai rapporti con gli ambienti economici che<br />

avevano lucrato sulle spalle delle masse cittadine attraverso l’approviggionamento<br />

del frumento pontico. Infine, come nei confronti di Demostene (fr. 12, 4) definito<br />

ñ Briárewj, l’attacco di Timocle si appunta sulle qualità oratorie di Telemaco, ma,<br />

come vedremo nei frr. 18 e 23, il poeta tornerà a ironizzare sul personaggio per la<br />

sua smisurata passione per le fave. Tuttavia il tono generale del frammento<br />

sembra richiamarsi alla tradizione dell’ ðnomastì kwm_deîn del V sec. a.C.<br />

Ma l’ ðnomastì kwm_deîn compie ora una funzione differente ed obbedisce al<br />

nuovo modello di commedia. Si legge l’ironia contro singoli personaggi (politici,<br />

letterati, filosofi, oratori etc.), ma questa non sembra al servizio della critica di<br />

idee o valori come era in Aristofane. Nella mésh troviamo una sequela di<br />

personaggi ben noti al grande pubblico sui quali si ironizza per le debolezze<br />

gastronomiche o sessuali o per il modo di vivere, da cui i poeti cercano di far<br />

emergere piuttosto un quadro contemporaneo che rifletta in modo paradigmatico<br />

certi usi e costumi della società. In Timocle però si aggiunge anche una<br />

dimensione politica. Ma egli, come si è già evidenziato, non sembra cedere al<br />

partito preso, ma piuttosto si schiera per la difesa degli interessi dei cittadini<br />

ateniesi.<br />

46


Drakóntion<br />

fr. 8 K.-A.<br />

Si tratta di un lungo frammento di diciannove trimetri giambici tramandati da<br />

Ateneo VI 237d nell’ambito di una discussione sull’origine e sulle tipologie dei<br />

parassiti. In particolare dice Ateneo: “nel Drakóntion Timocle fa questa garbata<br />

caratterizzazione del parassita” 70 .<br />

Il titolo non è di facile interpretazione: potrebbe trattarsi del soprannome di<br />

un’etera.<br />

5<br />

10<br />

15<br />

eÃpeit' e)gwÜ para/siton e)pitre/yw tiniì<br />

kakÏj le/gein; hÀkista/ g'< ou)de/n e)sti ga\r<br />

e)n toîj toiou/toij xrhsimw¯teron ge/noj.<br />

ei¹ d' eÃsti file/tairon eÀn ti tÏn kalÏn,<br />

a)nh\r para/sitoj toûto poieî dia\ te/louj.<br />

e)râij, sunerasth\j a)profa/sistoj gi¿netai,<br />

pra/tteij ti, pra/cei sumparwÜn oÀ ti aÄn de/hi,<br />

di¿kaia tau)ta\ tÏi tre/fonti nenomikw¯j,<br />

e)paine/thj qaumasto\j oõoj tÏn fi¿lwn.<br />

xai¿rousi dei¿pnwn h(donaîj a)sumbo/loij<<br />

ti¿j d' ou)xiì qnhtÏn; hÄ ti¿j hÀrwj hÄ qeo\j<br />

a)podokima/zei th\n toiau/thn diatribh/n;<br />

iàna mh\ de\ polla\ makrologÏ di' h(me/raj,<br />

tekmh/rio/n ti pamme/geqej oômai¿ g' e)reîn,<br />

o( tÏn parasi¿twn w¨j teti¿mhtai bi¿oj<<br />

ge/ra ga\r au)toîj tau)ta\ toîj tw©lu/mpia<br />

nikÏsi di¿dotai xrhsto/thtoj ouàneka,<br />

si¿thsij. o*u ga\r mh\ ti¿qentai sumbolai¿,<br />

prutaneîa taûta pa/nta prosagoreúetai.<br />

E poi io permetterò a qualcuno di parlare male del parassita? niente affatto. Non c’è infatti un genere più<br />

utile in tali frangenti. Se il cameratismo è una delle cose belle, il parassita lo è completamente. Tu ami e<br />

70<br />

Athen. VI 237d: carakthrízei dŒo÷k arrúJmwj tòn parásiton ñpoîój tij æstì<br />

TimoklÖj æn Drakontí_ o0twj.<br />

47


diventa un compagno d’amore premuroso. Tu tratti qualcosa e lui standoti vicino farà ciò che ti serve,<br />

considerando giuste quelle cose che lo sono per il suo patrono. Quanto mirabilmente è lodatore degli<br />

amici! Essi godono del piacere dei pasti senza costi; quale mortale non ne godrebbe? O quale eroe o<br />

divinità rifiuta una tale prebenda? Per non passare il giorno in lunghi discorsi credo di fornire una<br />

grandissima prova di quanto la vita dei parassiti sia stimabile. Sono assegnati ad essi, per i loro meriti, 71<br />

i medesimi onori che sono dati a chi vince ad Olimpia, il pranzo a spese pubblico. Infatti tutti questi luoghi<br />

dove non si pagano contributi per il pranzo sono detti pritanei 72 .<br />

Parassiti e cortigiane costituiscono due categorie spesso poste sotto i riflettori da<br />

parte dei commediografi della mésh.<br />

Nel frammento Timocle realizza una forte ironia attraverso l’utilizzo di un tono<br />

apparentemente apologetico.<br />

Da notare che ai vv. 6-12 il poeta utilizza lo stesso schema (protasi/apodosi) già<br />

adottato ai vv. 9-16 del fr. 6.<br />

La crescente ironia raggiunge la sua acme nel paragone con gli dei e i vincitori<br />

d’Olimpia. Ancora una ironica ridicolizzazione del ruolo degli dei che Timocle<br />

aveva già prefigurato nel fr. 1. Là gli dei erano impotenti verso chi compie<br />

a)sébeia, qui addirittura sono paragonati ai parassiti o costituiscono il massimo<br />

modello di parassita.<br />

Superato il V sec. a.C. e l’esperienza della commedia basata sulla critica alle idee<br />

dominanti, i “tipi” comici (l’etera, il parassita, il cuoco, lo schiavo, il giovane<br />

amante, il fanfarone, il vecchio, il medico etc.), alcuni dei quali erano già presenti<br />

nell’ Þrcaía, assunsero nella mésh una nuova centralità 73 . Su questo sviluppo<br />

ebbero influenza tre fattori:<br />

a. un’evoluzione tematica tesa ad un maggior realismo.<br />

b. la crescente importanza della figura dell’attore che favorì la<br />

caratterizzazione dei tipi comici.<br />

c. il contesto sociale e un marcato impoverimento che indussero forme di<br />

vita fortemente limitanti.<br />

71 La formula crhstóthtoj o0neka è la medesima formula utilizzata nei decreti.<br />

72 Il riferimento al premio assegnato ai vincitori di Olimpia di ospitalità gratuita nel pritaneo può<br />

qui configurarsi come una critica alle eccessive spese del pritaneo. Cfr. anche Alex. fr. 115 K.-A.<br />

73 Cfr. Nesselrath, 1985 pp. 280-330.<br />

48


Si spiega così perché ritroviamo in alcuni dei superstiti frammenti di Timocle<br />

prevalentemente le figure del parassita e dell’etera 74 .<br />

Il termine parassita 75 , utilizzato al fine di indicare un personaggio che otteneva da<br />

mangiare in cambio di certi servizi, fu introdotto per la prima volta da Araro nella<br />

commedia Imeneo (fr. 16 K.-A.) o da Alessi nella commedia Il parassita (frr. 183-<br />

185 K.-A.) probabilmente fra il 360 / 350 a.C., come sviluppo della figura del<br />

kólax o adulatore della commedia anteriore 76 . Le condizioni economiche del IV<br />

sec. a.C. favorirono lo scivolamento della figura del kólax verso quella del<br />

parásitoj. Ad esempio Alessi (frr. 180-184 K.-A.) rappresentò la figura del<br />

parassita collegandola in modo vincolante al contesto culinario. Tra i personaggi<br />

reali del IV sec. a.C. che la mésh identifica come parassiti emergono le figure di<br />

Titimallo e Cherefonte che saranno riprese da Timocle rispettivamente nei frr. 10,<br />

20 e 21 e nel fr. 9. Una delle caratteristiche del parassita è l’ Þlazoneía. Egli si<br />

compiace nel dimostrare la superiorità della propria técnh. Diodoro di Sinope nel<br />

fr. 2 K.-A. addirittura attribuisce a Zeus l’invenzione della funzione del parassita,<br />

riprendendo lo spunto dei vv. 11-12 di Timocle. Altre sue caratteristiche sono<br />

l’ingordigia, la presenza ai banchetti in qualità di ospite \klhtoj e il non pagare la<br />

quota di partecipazione al deîpnon.<br />

In questo fr. 8 Timocle sviluppa la figura del parassita sottolineando soprattutto<br />

due aspetti:<br />

a. il rapporto di forte vicinanza all’amico generoso in tutti gli eventi della<br />

vita (vv. 1-12);<br />

b. la caratterizzazione del beneficio per il parassita che consiste nel gratuito<br />

nutrimento (vv. 13-16).<br />

74<br />

Soltanto nei frr. 24 e 25 si ritrovano riferimenti alla figura dell’innamorato. Non sono trattate<br />

direttamente le figure del cuoco, del fanfarone, dello schiavo e del medico.<br />

75<br />

Cfr. Belardinelli, 1998, pp. 272-273 e pp. 278-279.<br />

76<br />

In origine parásitoj era il personaggio che in Atene veniva prescelto per i sacrifici in onore di<br />

Eracle.<br />

49


Il frammento di Timocle è attraversato da una sottile ironia. Infatti l’attaccamento<br />

del parassita al generoso amico in ogni frangente della vita più che un atto di<br />

amicizia sembra richiamare l’ossessione che suscita il petulante scocciatore che<br />

Orazio descriverà più tardi nella celebre Satura I, 9. Lo sforzo di assegnare una<br />

veste di nobiltà al gratuito consumo dei pasti giunge al paradossale paragone con<br />

le gratificazioni che il pritaneo riconosceva ai grandi benefattori della pólij.<br />

Sull’origine del mestiere del parassita è particolarmente importante il frammento<br />

2 K.-A. 77 , dall’Ereditiera di Diodoro di Sinope (III sec. a.C.), in cui il poeta<br />

riassume tutte le componenti fondamentali del personaggio del parassita.<br />

5<br />

10<br />

15<br />

20<br />

bou/lomai deiÍcai safw½j w¨j semno/n e)sti<br />

tou=to kaiì nenomisme/non kaiì tw½n qew½n<br />

euÀrhma, ta\j d' aÃllaj te/xnaj ou)deiìj qew½n<br />

kate/deicen, a)ll' aÃndrej sofoi¿. to\ ga\r<br />

parasiteiÍn euÂren o( Zeu\j o( fi¿lioj, o( tw½n<br />

qew½n me/gistoj o(mologoume/nwj. ouÂtoj ga\r<br />

ei¹j ta\j oi¹ki¿aj ei¹se/rxetai ou)xiì diakri¿naj<br />

th\n penixra\n hÄ plousi¿an, ou d' aÄn kalw½j<br />

e)strwme/nhn kli¿nhn iãdv parakeime/nhn te<br />

th\n tra/pezan pa/nq' aÁ deiÍ eÃxousan, hÃdh<br />

sugkatakliqeiìj kosmi¿wj a)risti¿saj e(auto/n,<br />

e)ntragw¯n, piw¯n, a)pe/rxet' oiãkad' ou)<br />

katabalwÜn sumbola/j. ka)gwÜ poiw½ nu=n tou=t'<<br />

e)pa\n kli¿naj iãdw e)strwme/naj kaiì ta\j<br />

trape/zaj eu)trepeiÍj kaiì th\n qu/ran<br />

a)ne%gme/nhn, ei¹se/rxomai e)nqa/de siwpv=, kaiì<br />

poih/saj eu)stalh=<br />

e)mauto/n, wÐste mh\ 'noxleiÍn to\n sumpo/thn,<br />

pa/ntwn a)polau/saj tw½n parateqe/ntwn,<br />

piw¯n, a)pe/rxom' oiãkad' wÐsper o( Zeu\j o(<br />

fi¿lioj. oÀti d' hÅn to\ pra=gm' eÃndocon a)eiì kaiì<br />

kalo/n, e)keiÍqen aÄn gnoi¿h tij eÃti<br />

safe/steron. to\n ¸Hrakle/a timw½sa<br />

lamprw½j h( po/lij e)n aÀpasi toiÍj dh/moij<br />

77 Un ampio commento al frammento si trova in Belardinelli, 1998, pp. 270-287.<br />

50


25<br />

30<br />

35<br />

40<br />

qusi¿aj poioume/nh, ei¹j ta\j qusi¿aj tau/taj<br />

parasi¿touj t%½ qe%½ ou) pw¯pot'<br />

a)peklh/rwsen, ou)de\ pare/laben ei¹j tau=ta<br />

tou\j tuxo/ntaj, a)lla\ kate/legen e)k tw½n<br />

politw½n dw¯dek' aÃndraj e)pimelw½j<br />

e)klecame/nh tou\j e)k du/' a)stw½n gegono/taj,<br />

eÃxontaj ou)si¿aj, kalw½j bebiwko/taj.<br />

eiåq' uÀsteron to\n ¸Hrakle/a mimou/menoi tw½n<br />

eu)po/rwn tine\j parasi¿touj e(lo/menoi tre/fein<br />

pareka/loun ou)xiì tou\j xariesta/touj<br />

e)klego/menoi, tou\j de\ kolakeu/ein<br />

duname/nouj kaiì pa/nt' e)paineiÍn: oiâj e)peida\n<br />

proseru/gv, r(afaniÍdaj hÄ sapro\n si¿louron<br />

katafagw¯n, iãa kaiì r(o/da fasiìn au)to\n<br />

h)risthke/nai. e)pa\n d' a)popa/rdv meta/ tinoj<br />

katakei¿menoj tou/twn, prosa/gwn th\n r(iÍna<br />

deiÍq' au(t%½ fra/sai, po/qen to\ qumi¿ama tou=to<br />

lamba/nei. dia\ tou\j toiou/touj tou\j a)selgw½j<br />

xrwme/nouj to\ ti¿mion kaiì to\ kalo\n ai¹sxro/n<br />

e)sti nu=n.<br />

“Voglio mostrarti chiaramente che fare il parassita è cosa venerabile e onorata, un’invenzione degli dei.<br />

Le altre arti non le insegnò alcun dio, ma uomini saggi. Fare il parassita fu invenzione di Zeus protettore<br />

dell’amicizia, da tutti riconosciuto il più potente degli dei. Infatti egli entra nelle case senza distinguere se<br />

povere o ricche. Dove vede un divano ben preparato e vicina una tavola con tutto ciò che serve, Zeus<br />

allora si sdraia con decoro. Si offre il pranzo, mangia e beve, poi fa ritorno a casa senza pagar. Anch’io<br />

ora faccio così. Quando vedo divani ben preparati e tavole pronte e l’uscio aperto, qui entro in silenzio e<br />

mi comporto in modo corretto si da non recar molestie al mio commensale. Godo di ogni portata, bevo,<br />

poi come Zeus protettore degli amici, me ne torno a casa. Che far così sia sempre stata cosa nobile e<br />

onesta, potresti capirlo ancor più chiaramente da questo fatto: quando onorava splendidamente Eracle<br />

offrendo sacrifici in ogni tempio, Atene per questi sacrifici non sorteggiò mai i parassiti del dio né prese<br />

mai a questo scopo cittadini qualunque, ma, fatto un elenco di quelli nati da padre e madre del luogo<br />

forniti di beni e decorosi nel vivere, eleggeva con cura dodici cittadini.<br />

In seguito poi, imitando Eracle, alcuni beni forniti di mezzi si scelsero dei parassitì da sostenere e li<br />

invitavano; non presero i più raffinati ma chi sapeva adulare e lodare ogni cosa. Se ad essi rutta in faccia<br />

un signore, che ha mangiato ravanelli e un putrido siluro “hai mangiato viole e rose” gli dicono.<br />

51


Se, sdraiato vicino a uno di loro, un signore scoreggia lo prega di dirgli: “dove ti procacci questo<br />

profumo?” e il naso protende. A causa di tali persone che si comportano in modo volgare, oggi è una<br />

78<br />

vergogna ciò che era onorevole e onesto.”<br />

In questo lungo frammento del III sec. a.C., si ritrovano temi che richiamano<br />

alcuni aspetti che abbiamo visto trattati nei frammenti di Timocle e che sembrano<br />

da essi ispirati a partire dall’attacco alla religione ufficiale (Zeus ridotto a<br />

parassita) e alla figura e al ruolo sociale del parassita (cfr. i richiami a Titimallo),<br />

di cui il frammento riassume le caratteristiche tipiche evidenziate nella commedia<br />

della mésh e, più avanti, della néa.<br />

Ma la figura del parassita è centrale, come si è detto, anche in altri frammenti di<br />

Timocle. In particolare il fr. 9 K.-A. tratta le figure del parassita Cherefonte e di<br />

un tale Demozione non altrimenti noto se non per questa citazione.<br />

; Epistolaí 79<br />

fr. 9 K.-A.<br />

Si tratta di un frammento tramandato da Ateneo VI 243b. Ci troviamo ancora<br />

nell’ambito della discussione sui parassiti e, ancora una volta, Ateneo cita in<br />

successione tre frammenti da diverse commedie di Timocle (Centauro, Cauni e<br />

Lettere) 80 .<br />

I versi 4-5 presentano corruttele.<br />

Il frammento 9 è riservato al parassita Cherefonte.<br />

Dice Ateneo: “nelle ƒEpistolaí Timocle lo (Cherefonte) ricorda anche come uno<br />

che visse a spese dello scialacquatore Demozione”. Di Demozione non abbiamo<br />

notizie.<br />

78<br />

Cfr. traduzione riportata in Ateneo VI p. 579 - 580 a cura di A. Rimedio con due leggere<br />

modifiche ai vv. 4 e 13.<br />

79<br />

Il fr. 10 delle ; Epistolaí sarà trattato all’interno del commento.<br />

80<br />

Cfr. anche Ath. IX 407f con tre frammenti in successione ripresi rispettivamente dall’Oblio,<br />

Dioniso e Satiri d’Icaro.<br />

52


Cherefonte è, invece, personaggio più volte citato da Ateneo 81 . Si tratta di un<br />

parassita ben noto ad Atene negli anni intorno al 325-310 a.C. 82 Di qui una<br />

possibile datazione della commedia intorno agli anni 315-310 a.C.<br />

5<br />

o( Dhmoti¿wn de\ parame/nein au(tÏi dokÏn<br />

ta)rgu/rion ou)k e)fei¿det', a)lla\ pare/trefe<br />

to\n boulo/menon. o( XairefÏn me\n pantelÏj<br />

oiãkade badi¿zein † 4ieto ý † tala/ntatoj.<br />

kaiì mh\n eÃti † toût' eÃstin † aÃcion mo/non,<br />

to\n paramash/thn lamba/nein di¿kroun cu/lon<<br />

ouÃt' euÃruqmoj ga/r e)stin ouÃt' a)xrh/matoj.<br />

Demozione credendo che il denaro gli durasse a lungo, non lo risparmiava ma anzi manteneva chiunque<br />

lo volesse. Cherefonte, povero sventurato, senza dubbio credeva di recarsi nella propria casa. E in verità<br />

poi questo è l’unico comportamento degno, prendersi per compagno di mensa un bastone biforcuto 83 ;<br />

egli 84 infatti non è né un tipo aggraziato né privo di mezzi propri.<br />

E’ interessante evidenziare che anche Menandro si è occupato di Cherefonte 85 in<br />

due frammenti citandolo come contemporaneo. Informazione che conforta sulla<br />

datazione bassa delle ; Epistolaí.<br />

Pur nell’incertezza del testo mi sembra che si possa interpretare così: Demozione<br />

è talmente sprovveduto e pronto ad ospitare chiunque che a lui ben si addice un<br />

poco di buono come Cherefonte.<br />

In generale Cherefonte emerge, soprattutto dai frammenti degli altri comici che lo<br />

citano, come personaggio pieno di iniziative al servizio del suo interesse e come<br />

quintessenza dell’ingordo. Su Demozione non abbiamo notizie specifiche salvo la<br />

definizione di Ateneo: #aswtoj.<br />

Un’altra figura di parassita trattata da Timocle è quella di Titimallo nei frr. 20-21<br />

K.-A.<br />

81 Cfr. Ath. IV 134e; 136e; 164f; 165a.<br />

82 Su Cherefonte cfr. anche Alex. fr. 213 K.-A.<br />

83 “Bastone biforcuto” era il collare dei criminali.<br />

84 E’ incerto se il soggetto sia Demozione o Cherefonte (cfr. Bevilacqua, 1939, p. 42). Tuttavia il<br />

riferimento ai “mezzi propri” sarebbe un’ ovvia ripetizione del v. 1 se applicato a Demozione.<br />

85 Cfr. Bevilacqua, 1939, pp. 42 e 43.<br />

53


Kaúnioi<br />

fr. 20 K.-A.<br />

Lo stesso titolo si ritrova in Alessi fr. 106 K.-A..<br />

Il frammento dei Kaúnioi è tramandato da Ateneo VI 240de. Si tratta di sei trimetri<br />

giambici.<br />

Il passo è citato con riferimento a quella categoria di parassiti riconoscibili dal<br />

loro stesso nome 86 . Titimallo è citato anche nel fr. 21 dalla commedia Kéntauroj $h<br />

Dexamenój 87 . Timocle dice : TiJúmallon a÷tòn kaì parásiton ÞpokalÏn<br />

(chiamandolo vero Titimallo e parassita). Si tratta, come si evince dal titolo, di<br />

una commedia che sviluppa temi mitici della tragedia in forma parodica e<br />

proiettati nell’Atene del IV sec. secondo uno schema proprio della mésh.<br />

Titimallo e Filippide erano di certo due noti parassiti nell’Atene degli ultimi<br />

decenni del IV sec., come si evince dal numero di citazioni nei frammenti della<br />

mésh. Ma torniamo al fr. 20 dei Kaúnioi:<br />

5<br />

hÃdh prosenh/nektai. ti¿ me/llei; speu/dete,<br />

ý tân. o( ga\r Tiqu/malloj ouÀtwj a)nebi¿w<br />

komidÖi teqnhkw¯j, tÏn a)n' o)ktwÜ tou)boloû<br />

qe/rmouj mala/caj. ou)k a)pekarte/rhse ga\r<br />

e)keînoj, a)ll' e)karte/rhs', ý fi¿ltate,<br />

peinÏn.<br />

E’ già pronto 88 . Cosa s’aspetta? affrettatevi cari miei. Così infatti tornò in vita Titimallo, che era morto<br />

completamente, ammorbidendo lupini da otto misure per un obolo. Quello infatti ebbe la forza di<br />

sopportare la fame ma, mio caro, non si lasciò morire di fame.<br />

86<br />

Titimallo era detto così a causa del colorito rosso.Cfr. Plin., XXVI 68 che parla del titimallo con<br />

rami rosseggianti.<br />

87<br />

Dessameno, re di Oleno, che aveva promesso la figlia Mnesimacle ad Eracle; ucciso poi<br />

dall’eroe quando questi ritrovò la ragazza fidanzata al centauro Eurizione. Cfr. Diod. Sic. IV 33, 1.<br />

88<br />

Kock propone il punto interrogativo dopo prosenh/nektai e Jacobs propone me/lleij al<br />

posto del tradito me/llei.<br />

54


Il titolo della commedia si riferisce agli abitanti di Cauno, città fondata da Cauno,<br />

che, innamoratosi della sorella gemella Bibli, fuggì in Caria. La sorella<br />

abbandonata, gettatasi da una rupe, fu trasformata in fonte grazie all’intervento<br />

delle Ninfe 89 .<br />

C’è da notare ai vv. 4-5 il gioco di parole a)pekarte/rhse/e)kartÔ/rese che richiama,<br />

ancora una volta, le antitesi care a Demostene (Halonn. 5-6, 342 a.C.) dove, in<br />

relazione alla eventuale cessione dell’isola da parte di Filippo, Demostene utilizza<br />

lábhte / Þpolábhte). Dunque un richiamo parodico alle antitesi dell’oratore (cfr.<br />

anche Alessi fr. 212 K.-A.).<br />

Per quanto riguarda il parassita Titimallo, egli è spesso citato dai comici come un<br />

parassita tanto miserabile da divenire sinonimo di “affamato”.<br />

Invero i due frammenti di Timocle su Titimallo presentano interessanti elementi<br />

di analisi. Abbiamo già detto che nell’ambito della mésh i due principali obiettivi<br />

filosofici oggetto di parodia furono i pitagorici e Platone. In particolare nei<br />

confronti dei pitagorici si realizzò una convergenza tra la parodia filosofica e la<br />

commedia dei caratteri 90 .<br />

Lo studio dei frammenti della mésh permette di osservare una sorta di confluenza<br />

comica tra il mondo pitagorico, il parassita e l’ ÞlazÍn. L’attacco ai pitagorici si<br />

rileva anche dai titoli di alcune commedie 91 ; in generale i poeti comici tendono a<br />

riferirsi a quelle figure di pitagorici provenienti dalla Magna Grecia che avevano<br />

conservato le tradizioni più antiche della setta, di fatto convergenti con gli aspetti<br />

delle teorie “ciniche” che predicavano le sobrietà volontariamente accettata.<br />

Nel fr. 9 del PuJagoristÔj di Aristofonte si parla appunto di pitagorici sobri nel<br />

mangiare, e nel fr. 10 si descrivono gli abiti dei pitagorici sudici e privi di lusso,<br />

citando in particolare i due noti parassiti Titimallo e Filippide 92 .<br />

Titimallo e Filippide erano appunto due parassiti ben noti nell’Atene del tardo IV<br />

sec. a.C.<br />

89<br />

Cfr. Ov., Metam. IX 451 e sgg. Secondo un'altra tradizione Bibli si sarebbe impiccata.<br />

90<br />

Cfr. Sanchis LLopis, 1995, pp. 67-82.<br />

91<br />

Ad es. PuJagoristÔj di Aristofonte e PuJagorízousa di Cratino il giovane e Alessi; infine<br />

Tarantînoi di Alessi.<br />

92<br />

Sul tema del vegetarianismo dei pitagorici, emarginazione sociale e commedia del IV sec. a.C.<br />

cfr. Santese, 2001, pp. 1-13.<br />

55


Aristofonte nel PuJagoristÔj esplorò al massimo tutte le possibilità comiche nei<br />

confronti dei pitagorici.<br />

Alessi nel fr. 164 K.- A. dice:<br />

ñ dè sòj pénhj 1st; , ý glukeîa< toûto dè<br />

dédoic; ñ Janatoj tò génoj, 9j fasin, mónon.<br />

ñ goûn TiJúmalloj ÞJánatoj periércetai 93<br />

dove si indica l’ “immortalità” di Titimallo riferita alla teoria pitagorica in base<br />

alla quale l’immortalità è collegata alla pratica vegetariana.<br />

Nel frammento di Timocle si noti il riferimento ai “lupini” comprati a basso<br />

prezzo che salvano Titimallo dalla morte con evidente riferimento comico alle<br />

proibizioni alimentari dei pitagorici. Tali proibizioni, peraltro, come ricorda<br />

Porfirio 94 , i pitagorici l’avevano presa dagli Egizi 95 . Nel frammento leggiamo<br />

anche l’allusione alla “fame” (cfr. vv. 4-6), che richiama il fr. 164 K.-A. di Alessi<br />

secondo il quale la morte teme soltanto gli uomini più affamati.<br />

In generale si può dunque dire che i frammenti conservati della mésh confermano<br />

una prassi parodica nei confronti dei pitagorici. E ciò costituisce una ulteriore<br />

conferma dello sviluppo della mésh in direzione della commedia dei “tipi” e<br />

dell’interesse per la parodia filosofica. Sul piano del rapporto tra pitagorici e<br />

parassiti, i commediografi sembrano determinarne un legame attraverso la<br />

categoria dell’ “imbroglio” che si basa sulla falsa fedeltà ai principi della setta<br />

filosofica e su una pratica di vita incongruente con le idee sostenute. L’aspetto<br />

comico si evidenzia nello smascheramento di un tale comportamento e nella<br />

rivelazione delle ragioni autentiche di una prassi che si pretende di giustificare<br />

attraverso un certo credo ideologico.<br />

Ma, come si è detto, nei commediografi della mésh non si ritrovano le pretese<br />

educative che caratterizzano, invece, la commedia di Aristofane. Perciò pitagorici,<br />

parassiti e cinici appaiono uniti nell’ironia dei poeti nei confronti di persone la cui<br />

93 “Tuo (marito), mia cara, è un poveraccio; a quanto dicono, la morte teme soltanto questo<br />

genere (d’uomo). Titimallo, ad esempio, va qua e là immortale.”<br />

94 Cfr. Porphyr. VP 43-45.<br />

95 Cfr. Tim. fr. 1 K.-A. attacco alla religione egiziana.<br />

56


autentica filosofia consiste soltanto nella lotta quotidiana per liberarsi dal rischio<br />

incombente della fame.<br />

Il Titimallo del fr. 20 di Timocle, che da moribondo torna in vita mangiando<br />

lupini comprati a basso costo, costituisce una rappresentazione significativa di<br />

questa tendenza della mésh.<br />

Il frammento 10 delle ;; Epistolaí è introdotto da Ateneo nel quadro di una<br />

riflessione sul rapporto tra la figura del parassita e il suo stesso nome.<br />

Dice infatti Ateneo VI 240d: para/sitoi d' e)p' o)no/matoj e)ge/nonto Tiqu/malloj<br />

me/n..., come abbiamo già riportato in precedenza.<br />

oiãmoi kakodai¿mwn, w¨j e)rÏ. ma\ tou\j qeou/j,<br />

Tiqu/malloj ou)depw¯pot' h)ra/sqh fageîn<br />

ouÀtw sfo/dr', ou)de\ Ko/rmoj i¸ma/tion labeîn,<br />

ou) Neîloj aÃlfit', ou) Ko/rudoj a)su/mboloj<br />

kineîn o)do/ntaj.<br />

Ohimè sventurato, come sono innamorato! Per gli dei mai Titimallo così fortemente desiderò mangiare né<br />

Cormo rubare un mantello né Nilo (bramò) le focacce d’orzo né Corido muovere i denti senza pagare il<br />

conto 96 .<br />

Nei due frammenti 9 e 10 Timocle cita complessivamente cinque famosi parassiti.<br />

In particolare il nome di Titimallo nel fr. 10 pone dei problemi di datazione della<br />

commedia. Come è stato segnalato nel commento al fr. 9 delle ;; Epistolaí, la<br />

citazione del parassita Cherefonte, citato a sua volta da Menandro in due<br />

frammenti, fa pensare ad una datazione bassa della commedia. Al fr. 10 abbiamo<br />

però la citazione di Titimallo che compare anche ai frr. 20 e 21. In particolare il<br />

Kock 97 associa il fr. 20 (Kaúnioi) all’orazione di Demostene Su Alonneso<br />

pronunciata nel 342 a.C., stabilendo intorno a quella data la rappresentazione dei<br />

Kaúnioi.<br />

96 Il frammento riporta i nomi di quattro parassiti. Di questi Corido è citato da Timocle anche nel<br />

fr. 11 K.-A.; sul tema dell’amore contraccambiato cfr. anche fr. 25 K.-A. relativo alla commedia<br />

Néaira.<br />

97 Su questi aspetti cfr. Bevilacqua, 1939, p. 40 e p. 43.<br />

57


Tuttavia, innanzitutto non abbiamo la certezza che i Kaúnioi siano databili intorno<br />

al 342 a.C. Infatti appare molto labile il riferimento all’orazione di Demostene.<br />

Comunque, la citazione del parassita Cherefonte da parte di Timocle e di<br />

Menandro non può che far presupporre una ravvicinata rappresentazione delle due<br />

commedie verso la fine del IV sec. a.C. In questo senso converge anche la<br />

citazione del parassita Corido ripreso anche nel fr. 11 di Timocle. Dunque è<br />

probabile che le due commedie appartengano all’ultimo ventennio del IV sec. a.C.<br />

Il fr. 10 costituisce, peraltro, anche uno dei rari riferimenti di Timocle al tema<br />

dell’amore (l’altro riferimento è nel fr. 25 K.-A.), un tema che trova una certa<br />

diffusione nei frammenti della mésh, ma che risulta molto marginale nei versi di<br />

Timocle che siamo in grado di leggere.<br />

Sotto questo aspetto il nostro poeta presenta una certa distanza rispetto<br />

all’evoluzione che la tematica avrà nella néa. Tuttavia ciò è coerente con gli<br />

interessi timoclei che, come mi sembra, sono fortemente e prioritariamente<br />

orientati alla realtà economica e sociale dell’Atene della seconda metà del IV sec.<br />

a.C. Peraltro più che trattare il tema dell’amore il frammento timocleo sembra,<br />

ancora una volta, una buona occasione per assestare un altro colpo alla figura del<br />

parassita di cui evidenzia tutti i difetti fondamentali.<br />

; Epicairékakoj<br />

fr. 11 K.-A.<br />

Tramandato da Ateneo VI 241a. Dice Ateneo: ˜n de\ kaiì o( Ko/rudoj tÏn di'<br />

o)no/matoj parasi¿twn 98 .<br />

In questo passo sui parassiti Ateneo cita Timocle senza associare al suo nome la<br />

qualifica di commediografo.<br />

Il nostro frammento è composto da nove trimetri giambici.<br />

a)gora\n i¹deîn euÃoyon eu)poroûnti me\n<br />

98 Corido già citato da Timocle nel fr. 10.<br />

58


5<br />

hÀdiston, aÄn d' a)porÖi tij a)qliw¯taton.<br />

o( goûn Ko/rudoj aÃklhtoj, w¨j e)moiì dokeî,<br />

geno/menoj w©yw¯nei par' au(to\n oiãkade.<br />

˜n de\ to\ pa/qoj geloîon, oiãmoi, te/ttaraj<br />

xalkoûj eÃxwn aÀnqrwpoj, e)gxe/leij o(rÏn,<br />

qu/nneia, na/rkaj, kara/bouj Óimwdi¿a.<br />

kaiì taûta pa/nta me\n perielqwÜn hÃreto<br />

o(po/sou, puqo/menoj d' a)pe/trex' ei¹j ta\j membra/daj.<br />

E’ grandissima gioia per chi è ricco vedere un mercato ben fornito di pesce, invece è assai triste per un<br />

povero. Dunque Corido non invitato da nessuno, come mi sembra, acquistava pesce da portare a casa<br />

sua. Ahimè l’evento doloroso era da ridere poiché il tipo aveva quattro monete di rame 99 (e) guardando<br />

anguille, fettine di tonno, torpedini e aragoste aveva l’acquolina in bocca 100 . Andando qua e là di tutti<br />

questi chiedeva il prezzo, ma una volta saputolo, ripiegava sulle sardine.<br />

Circa la datazione della commedia è utile riferirsi a un passo di Linceo di Samo<br />

che, in un frammento 101 , ci offre una descrizione della personalità di Corido da cui<br />

questi emerge come un tipo dalla forte verve ironica e pronto alla battuta mordace,<br />

ma anche molto tirchio e pronto a sfruttare la generosità dei commensali (cfr.<br />

Tim. fr. 10 K.-A.).<br />

Dal frammento di Linceo si evince anche che partecipò alla mensa di Tolomeo I<br />

Soter (305-283 a.C.) 102 e, più avanti, che ebbe scontri con il parassita Cherefonte.<br />

Da un tale riferimento storico possiamo ritenere che la commedia sia stata<br />

composta negli ultimi anni del IV decennio a.C.<br />

Emerge inoltre la ben nota ittiofagia degli Ateniesi, che qui sembra valorizzata ma<br />

sulla quale in altri frammenti 103 Timocle ironizza.<br />

A parlare dovrebbe essere il protagonista della commedia, un personaggio pronto<br />

a godere delle disgrazie altrui 104 .<br />

99 calkoûj designava in Atene l’ottava parte dell’obolo; quindi si tratta di una moneta di poco<br />

valore.<br />

100 Notare che qui Timocle utilizza il verbo aëmwdiáw anziché l’attico aëmwdéw.<br />

101 Si tratta del fr. 29 Dalby.<br />

102 Linceo di Samo fr. 29: …parà Ptolemaí_ dè mattúhj periferoménhj kaì kat; ækeînon<br />

Þeì leipoúshj…<br />

103 Cfr. ad es. frr. 16-17.<br />

104 Bevilacqua, 1939, p. 43: “’Epicaírw indica specialmente il godere di qualche sventura altrui:<br />

il suffisso kakój viene a rafforzare tale senso”.<br />

59


Il frammento si apre con una affermazione che suona, apparentemente, come una<br />

sentenza di carattere gnomico, ma che in realtà costituisce una “verità” che<br />

assume una dimensione comica per la sua ovvietà. La sottile ironia dei vv. 6-8 sul<br />

dolore di Corido esalta il contrasto tra la nobiltà dei sentimenti e la pochezza<br />

dell’oggetto che suscita tale dolore.<br />

E’ questo un aspetto ricorrente nelle commedie della mésh, nelle quali, così come i<br />

personaggi del mito tragico (dei ed eroi) tendono ad essere immersi nelle pratiche<br />

quotidiane realizzando per questa via un effetto comico da straniamento, così pure<br />

i sentimenti più nobili sono spesso messi in gioco in rapporto agli eventi più<br />

banali. Ricorrente è anche il tema della ghiottoneria che abbiamo esaminato nei<br />

riferimenti di Timocle al personaggio di Telemaco di Acarne e più in generale alla<br />

figura del parassita. Dobbiamo però sottolineare che in questo frammento il<br />

trattamento del parassita Corido da parte di Timocle risulta meno aggressivo<br />

rispetto ad altri frammenti. La descrizione e la conclusione della scenetta<br />

sollecitano un senso di simpatia e di compartecipazione alle ambasce del<br />

personaggio piuttosto che di condanna morale come in altre occasioni (cfr.<br />

Timocle frr. 9 e 10).<br />

…Hrwej<br />

frr. 12-13-14 K.-A.<br />

Si conservano tre frammenti della commedia gli Eroi, tramandati il fr. 12 da<br />

Athen. VI 224 a-b e il fr.13 da Athen. X 455f , mentre il fr. 14 è riportato da<br />

Didimo, Commento a Demostene 9, 70 in P. Ber. 8780.<br />

In Ateneo VI 224 a-b è in corso una discussione su tragedia e commedia e si<br />

legge: “…anche noi, o Timocrate, non ti diamo nulla di nuovo (dídomen) 105 , ma ti<br />

diamo a nostra volta (Þpodídomen) gli avanzi dei dotti a banchetto come afferma<br />

l’oratore di Cotoce 106 che attaccando con dileggio Demostene riferisce come<br />

105<br />

Qui Ateneo inizia un vivace gioco parodico sulle antitesi demosteniche.<br />

106<br />

Si tratta di Eschine originario del demo di Cotoce, nella Contro Ctesifonte, 83. Fu avversario di<br />

Demostene nel periodo 346-330 a.C..<br />

60


questo, quando Filippo offriva Alonneso agli Ateniesi, consigliò loro di accettarlo<br />

solo nel caso in cui volesse renderla (Þpodídosin) e non darla (dídosin)”. Seguono<br />

le citazioni di Alessi dal Soldato (fr. 7 K.-A.) e Anassila dal Valore (fr. 9 K.-A.) e<br />

infine Timocle.<br />

I tre frammenti di Timocle sono trimetri giambici.<br />

Il frammento 12 è uno scambio di battute tra due personaggi non meglio<br />

identificati.<br />

5<br />

{A.} ou)koûn keleu/eij nûn me pa/nta mâllon hÄ<br />

ta\ proso/nta fra/zein. {B.} pa/nu ge. {A.} dra/sw tou=to/ soi.<br />

kaiì prÏta me/n soi pau/setai Dhmosqe/nhj<br />

o)rgizo/menoj. {B.} o( poîoj; {A.} † o( Bria/rewj,<br />

o( tou\j katape/ltaj ta/j te lo/gxaj e)sqi¿wn,<br />

misÏn lo/gouj aÃnqrwpoj, ou)de\ pw¯pote<br />

a)nti¿qeton ei¹pwÜn ou)de/n, a)ll' ãArh ble/pwn.<br />

(A) Allora dunque tu mi ordini di dire qualunque altra cosa piuttosto che quelle che dico. (B) Certamente.<br />

(A) Lo farò per te. E prima di tutto si placherà Demostene che è adirato con te 107 . (B) Chi? (A)Il Briareo,<br />

quello che divora le catapulte e le lance, un tipo che odia i discorsi, che non ha mai pronunciato<br />

un’antitesi ma che ha Ares nello sguardo.<br />

Il riferimento di Ateneo al discorso di Demostene Su Alonneso induce a collocare<br />

la commedia a ridosso del 342 a.C.. Tutto il frammento tende a costruire un<br />

arguto attacco a Demostene chiaramente indicato al v. 3.<br />

Non riusciamo ad individuare i due dialoganti. Certamente B era un oppositore di<br />

Demostene. Questi è paragonato, nella sua eloquenza, a Briareo il Centimane 108 .<br />

Da sottolineare a partire dal v. 5 il riferimento ironico alle tecniche oratorie di<br />

Demostene e alle sue teorie bellicistiche. Più complessa appare la spiegazione<br />

dell’ o( poîoj al v. 4. Sembra quasi che B non riconosca l’oratore dal nome, ma<br />

piuttosto dalla descrizione ironico-parodica che segue. Credo che sia un<br />

107 Il riferimento specifico all’ira di Demostene non è comprensibile. E’ evidente però che siamo in<br />

presenza di un attacco a Demostene più avanti definito come Briareo (uno dei Giganti Centimani).<br />

108 Su Briareo cfr. Hes. Theog. v. 817.<br />

61


escamotage di Timocle per accentuare ancora di più l’attacco ironico descrivendo<br />

un Demostene la cui notorietà è resa più dai suoi difetti che dal suo nome.<br />

Ma il tema più interessante si ritrova, a mio avviso, nel fatto che, ancora una<br />

volta, Timocle riconferma in questo frammento la propria inclinazione culturale<br />

favorevole ai meno abbienti. Infatti tutto il testo sembra gravitare, al di là delle<br />

punture ironiche che tendono a colpire il Demostene oratore così come colpiranno<br />

altri personaggi come Iperide, su quel finale (a)ll' ãArh ble/pwn) che costituisce il<br />

vero obiettivo di critica politica di Timocle.<br />

Insomma l’accusa che a Timocle interessa rivolgere a Demostene è di puntare alla<br />

guerra. Ciò rappresenta una colpa grave non per la guerra in sé, quanto per gli<br />

effetti che il conflitto certamente può comportare nella già pesante situazione<br />

economica di Atene. La proposta di guerra è naturalmente nei confronti di Filippo<br />

II e si concretizzerà nella grave sconfitta ateniese a Cheronea (338 a.C.).<br />

Il riferimento di Timocle ( ãArh ble/pwn) conferma dunque che siamo negli anni<br />

che preparano lo scontro di Cheronea (343-340 a.C.). 109 Si può perciò collocare<br />

l’opera intorno al 340 a.C., cioè nel quadro delle commedie giovanili del poeta.<br />

Lo scontro tra Demostene e l’ala cosiddetta filo-macedone si sviluppava allora<br />

intorno al tema relativo all’accettazione delle proposte di Filippo II di legare<br />

Atene al suo carro politico e alla volontà del partito demostenico di realizzare,<br />

invece, una alleanza generale delle póleij contro il macedone 110 per giungere allo<br />

scontro. Il dato politico non era indifferente dal punto di vista delle masse<br />

cittadine che certamente avrebbero preferito ritrovare uno spazio di agibilità<br />

economica in una fase fortemente condizionata da gravi crisi sul terreno<br />

dell’approviggionamento dei prodotti agricoli anche a prezzo di una rinuncia alla<br />

ricostruzione di una egemonia ateniese. Del resto a questo stesso tema fa<br />

riferimento Demostene (Sulla Corona 89) cercando di rispondere all’accusa che la<br />

guerra avrebbe prodotto gravi conseguenze economiche:<br />

o( ga\r to/t' e)nsta\j po/lemoj aÃneu tou= kalh\n do/can e)negkeiÍn e)n pa=si toiÍj<br />

kata\ to\n bi¿on a)fqonwte/roij kaiì eu)wnote/roij dih=gen u(ma=j th=j nu=n ei¹rh/nhj,<br />

109 Per i fatti dal 343 al 340 a.C. cfr. Diod., XVI 74 sgg. e Dem. De cor., in particolare 61-72.<br />

110 Cfr. Musti, 1995, pp. 605 sgg.<br />

62


hÁn ouÂtoi kata\ th=j patri¿doj throu=sin oi¸ xrhstoi¿, e)piì taiÍj mellou/saij<br />

e)lpi¿sin, wÒn diama/rtoien, kaiì meta/sxoien wÒn u(meiÍj oi¸ ta\ be/ltista<br />

boulo/menoi tou\j qeou\j ai¹teiÍte, mh\ metadoiÍen u(miÍn wÒn au)toiì prov/rhntai. 111<br />

Timocle sembra appunto cogliere questo aspetto e, in questo senso, organizza la<br />

sua critica ad un tempo ironica e politica all’azione del politico Demostene.<br />

fr. 13<br />

Questo frammento dagli …Hrwej è tramandato da Ateneo X 454f. Siamo nel<br />

paragrafo dedicato agli indovinelli. Il frammento di Timocle è citato dopo<br />

Antifane fr. 51 K.-A. e Anassandride fr. 6 K.-A.<br />

Anche in questo caso compaiono due personaggi.<br />

w¨j d' %hn h)rme/nh<br />

bi¿ou tiqh/nh, polemi¿a limoû, fu/lac<br />

fili¿aj, i¹atro\j e)klu/tou boulimi¿aj,<br />

tra/peza. {B.} perie/rgwj nh\ to\n ou)rano/n,<br />

e)co\n fra/sai tra/peza sunto/mwj.<br />

Come fu tolta 112 la nutrice della vita, la nemica della fame, la custode dell’amicizia, il medico della<br />

bulimia divorante, insomma la tavola. (B) Cielo, che esagerazione! Bastava dire brevemente la tavola.<br />

Il primo interlocutore potrebbe essere un cuoco dotto che adotta uno stile elevato<br />

per riferirsi a componenti della sua arte, ma potrebbe anche trattarsi di un<br />

personaggio che sfoggia termini aulici e narra la conclusione di un banchetto. In<br />

effetti non c’è traccia in altri frammenti di Timocle della figura del cuoco che pure<br />

ebbe grande riscontro nelle commedie della mésh. L’utilizzo di uno stile elevato è<br />

111 “… la guerra scoppiata allora, oltre che avervi procurato buona fama, vi consentì di accedere<br />

ai beni necessari alla vita in quantità maggiore e a minor prezzo di quanto non accada nella<br />

condizione attuale di pace, che questi individui eccellenti custodiscono in favore della patria, in<br />

nome di speranze future: e auguriamoci che queste siano deluse e possano condividere ciò che<br />

voi, che desiderate quanto di meglio possa esistere, chiedete agli dei, e non debbano essi far parte<br />

a voi della situazione che si sono scelti.” (traduzione a cura di Antonietta Porro, 1996).<br />

112 L’utilizzo del verbo a#irw si trova anche in Menandro fr. 239 tàj trapézaj a#irete.<br />

63


prassi diffusa nella mésh: esempi analoghi si ritrovano in Antifane fr. 55 K.-A.,<br />

Alessi fr. 153 K.-A. e Menandro, Misantropo vv. 946-953 113 .<br />

Kock sostiene che al v. 4 alla parola trápeza bisogna sostituire una perifrasi. Di<br />

ciò dubita V. Bevilacqua 114 . E’ possibile invece che il primo trápeza del v. 4 sia<br />

pronunciato da B e dunque il testo si leggerebbe : “(B) La tavola! per il cielo che<br />

esagerazione. Bastava dire brevemente la tavola”. In questo modo peraltro si<br />

accentuerebbe la forma di “indovinello” dei primi tre versi. Indovinelli ed enigmi<br />

sono frequenti nella mésh.<br />

L’ impostazione offerta da Timocle richiama il fr. 1 dalle Gorgónej di Enioco:<br />

⎯∪ pieîn, pieîn tij ægxeítw labwÜn<br />

† purigenÖ kukloterÖ braxu/wton paxu/stomon<br />

kw¯Jwna paiÍda fa/rugoj.<br />

Del resto come sostiene Webster (1953, pp. 43-44) tra Timocle ed Enioco esisteva<br />

un collegamento dato dalla comune presunta simpatia filomacedone.<br />

Certamente la figura del cuoco rappresenta uno dei “tipi” meglio conosciuti nella<br />

mésh e, poi, nella néa 115 . Già presenti come figure di scena nell’ Þrcaía, soltanto<br />

nella mésh i cuochi recitano ampi monologhi nei quali offrono la descrizione di<br />

una ricca sfilza di alimenti e delle relative tecniche culinarie, esibendo la propria<br />

arte e spesso polemizzando 116 oppure dialogando con colleghi 117 o conversando<br />

con un loro cliente o con uno schiavo di questo e descrivendo con grande<br />

attenzione la propria arte o quella del maestro. 118 Dalla loro Þlazoneía deriva<br />

anche una forte forma di pedanteria e loquacità descrittiva delle proprie tecniche.<br />

Compare anche la figura del mágeiroj sofistÔj (cfr. Alessi fr. 140 K.-A.) che<br />

utilizza un linguaggio dal tono elevato ed esprime una tendenza alla sentenziosità.<br />

Come potrebbe essere nel caso del nostro interlocutore timocleo, se si tratta di un<br />

cuoco. In alcune commedie inoltre la figura del cuoco risulta centrale nella trama:<br />

113 Cfr. l’intervento del cuoco Sicone e la sua aulica descrizione.<br />

114 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 56.<br />

115 Cfr. Giannini, 1960, pp.135-217; Nesselrath, 1990, pp. 297-309; Belardinelli, 2008.<br />

116 Cfr. ad es. Alex. frr. 191-194 K.-A.; Sot. fr. 1 K.-A.; Axion. frr. 4 e 8 K.-A.<br />

117 Cfr. ad es. Alex. fr. 132 K.-A.; Anax. fr. 19 K.-A.; Efip. fr. 22 K.-A.<br />

118 Cfr. ad es. Alex. frr. 24 e 175 K.-A.; Dion. fr. 2 K.-A.<br />

64


ad esempio nel Cuoco di Nicostrato, nei Cuochi di Anassilao o nello<br />

Sfingocarione di Eubulo.<br />

Come si può notare il cuoco presenta caratteristiche comuni con il parassita. Esse<br />

derivano dalla comune origine dall’ambito dei sacrifici dei culti religiosi:<br />

dall’esaltazione delle rispettive técnai alla fanfaroneria nei discorsi e all’utilizzo<br />

di un linguaggio aulico.<br />

Colpisce però che, tranne forse questo riferimento del fr. 13 K.-A. o un accenno<br />

alla capacità dei cuochi di Chio (fr. 30), Timocle non abbia trattato la figura del<br />

cuoco, almeno per quanto attiene ai frammenti a noi noti. Invece, come si è detto<br />

in precedenza, è piuttosto diffusa l’attenzione del nostro poeta verso la figura del<br />

parassita. Questa preferenza può trovare una spiegazione nel fatto che la figura del<br />

parassita e l’individuazione di personaggi anche illustri ad essa associabile<br />

creavano le condizioni più funzionali a quel tipo di intervento che principalmente<br />

interessava Timocle e che era diretto a combinare ironia e comicità con una<br />

permanente critica degli usi e dei costumi delle classi più elevate come riflesso<br />

paradigmatico di alcune degenerazioni della realtà sociale dell’Atene del IV sec.<br />

a.C.<br />

fr. 14<br />

Tramandato da Didimo, Commentario a Demostene 10, 70 119 .<br />

Si tratta di quattro versi in trimetri giambici.<br />

„ErmÖj d’ ñ Maíaj taûta sundiaktoreî<br />

$an ˜i p[r]óqumoj< katabébhken #asmenoj<br />

carizómenój g’ ’AristomÔdhi tÏi kalÏi,<br />

i$na mhkét’ a÷tòn ñ Sáturoj klépthn léghi<br />

Ermes, il figlio di Maia, se vuole, queste cose le mette a posto 120 ; è disceso con gioia per favorire<br />

Aristomede 121 il bello affinché Satiro (oppure il satiro) non lo chiami più ladro.<br />

119<br />

Si tratta del frammento 14 K.-A. riportato dal Papyrus Berolinensis 8780 che contiene “Didymi<br />

de Demosthene commenta”.<br />

65


La citazione di Aristomede “ladro” da parte di Demostene permette di fissare una<br />

datazione di massima della commedia intorno al 341 a.C., anno in cui Demostene<br />

avrebbe pronunciato quell’affermazione su Aristomede (cfr. Plut., Dem. 11, 6).<br />

Gli studiosi presentano al v. 4 una doppia lettura: ñ sáturoj oppure ñ Sáturoj.<br />

Nel primo caso si tratterebbe della presenza dei satiri nell’opera, il che farebbe<br />

pensare alla possibilità che si tratti di un dramma satiresco. Ateneo, per altro, nelle<br />

sue citazioni non classifica letterariamente né Timocle né gli Eroi. Ma Satiro era<br />

anche un nome diffuso in Atene; un famoso personaggio fu l’attore di nome Satiro<br />

di cui abbiamo numerose testimonianze tra cui quella dello stesso Demostene<br />

nell’orazione “Sulla corrotta ambasceria” (19, 193) che risale al 341 a.C.<br />

Non mi sembra tuttavia di escludere che “satiro”, in questo passaggio, possa<br />

costituire un riferimento ironico di Timocle alla persona di Demostene che aveva<br />

appunto definito “ladro” Aristomede.<br />

Timocle sembra particolarmente feroce nei confronti di Demostene in questi<br />

frammenti degli …Hrwej. Demostene è infatti definito Briareo e amante della<br />

guerra (fr. 12) e, probabilmente, Satiro in questo frammento. Il 341 a.C. è anche<br />

l’anno della Terza Filippica di Demostene e il nostro poeta non si nega né<br />

l’attacco <strong>personale</strong> all’oratore colpendolo nelle sue espressioni verbali né l’attacco<br />

politico, come si è cercato di indicare in sede di analisi del fr. 12 K.-A.<br />

Per quanto riguarda il riferimento ad Ermes, noto protettore dei ladri, la<br />

convinzione che il poeta trasmette al suo personaggio circa il fatto che l’intervento<br />

del dio possa convincere il Satiro a non offendere più Aristomede costituisce un<br />

quadretto ben costruito. Da questo quadretto emerge per un verso ancora una volta<br />

un’immagine non positiva della divinità (si rimanda su questo al fr. 1, Egizi), per<br />

l’altro un giudizio pesante anche su Aristomede che soltanto grazie all’intervento<br />

di un dio può salvarsi dall’essere etichettato come un ladro.<br />

120 Traduco secondo la correzione di Wilamowitz accolta da K.-A. Körte legge, invece,<br />

sundiakoneî come correzione del sundiaktoneî riportato dal papiro.<br />

121 Nel passaggio del papiro in cui è citato questo frammento sono citati due Aristomede: uno<br />

sarebbe il figlio del politico Aristofonte e trierarca nel 356-355 a.C. L’altro, soprannominato<br />

“Bronzeo”, è definito da Demostene “ladro” secondo Plut. (Dem. XI 6). Potrebbe tuttavia trattarsi<br />

della stessa persona, come ritiene Bevilacqua, 1939, p. 58.<br />

66


Quanto alla possibilità che si tratti di un dramma satiresco e non di una commedia<br />

in relazione al riferimento del v. 4 ñ sáturoj, appare evidente che si tratta di un<br />

elemento troppo labile per andare oltre il sospetto. Va tuttavia aggiunto che i<br />

sostenitori dell’unicità della figura di Timocle commediografo, tragediografo e<br />

satirografo potrebbero anche avvalersi della coincidenza cronologica con il<br />

dramma satiresco Licurgo rappresentato appunto nella stagione 341-340 a.C. e<br />

attribuito a Timocle per rafforzare la tesi di una sorta di fase “satiresca”<br />

dell’attività letteraria del poeta.<br />

E’ in questa commedia, più che altrove, che l’attacco <strong>personale</strong> di Timocle sembra<br />

assumere la forma più contigua all’ ðnomastì kwm_deîn, secondo un modello<br />

chiaramente ripreso dalla commedia del V secolo, come appare dalla graffiante<br />

ironia del fr. 12.<br />

; Ikárioi Sáturoi o ƒIkárioi 122<br />

frr. 15-16-17-18-19 K.-A.<br />

Si tratta dei cinque frammenti attribuiti a Timocle la cui interpretazione suscita<br />

diverse considerazioni intorno alla figura letteraria del poeta greco.<br />

Innanzi tutto deve precisarsi che i primi quattro frammenti sono tramandati da<br />

Ateneo, mentre il quinto (fr. 19) è citato da Didimo, Commentario a Demostene<br />

X, 70 col. 10, 3 restituitoci dal papiro Berolinensis 8780.<br />

Inoltre:<br />

i frammenti 16 e 17 sono in trimetri giambici;<br />

i frammenti 18 e 19 sono in tetrametri trocaici catalettici;<br />

nel frammento 15 non è chiaro il metro utilizzato dal poeta.<br />

fr. 15<br />

E’ riportato da Ateneo VIII 339d che parafrasa il testo timocleo. Ci sono stati vari<br />

tentativi di restituire i versi originali. In particolare:<br />

122 Due possibili titoli sono dedotti dalle intitolazioni di Ateneo e cioè Quelli di Icaria e I satiri di<br />

Icaria.Didimo titola l’opera come Quelli di Icaria.<br />

67


a) Hermann in un primo tentativo ha tentato di ricostruire il passo in anapesti,<br />

poi, di ricostruire, “strophicos versiculos ex anapaestis tetrametris<br />

aptatos” 123 .<br />

b) Wilamowitz 124 pensava a versi ionici.<br />

c) Kailbel ricostruisce dei trimetri giambici:<br />

kaleî gàr a÷tón, fasín, ñpótan toùj dúo<br />

skómbrouj xeníshi toùj Cairefílou ⎯∪ − ∪ −<br />

megáloisin 7detai gár.<br />

d) K.-A. riportano il frammento in prosa poiché non ritengono chiara la<br />

forma metrica.<br />

Tornando ad Ateneo il testo riporta:<br />

Puqioni¿khn de/ fhsi filhdeiÍn tari¿xwi, e)peiì e)rasta\j eiåxe tou\j Xairefi¿lou<br />

tou= tarixopw¯lou ui¸ou/j, w¨j Timoklh=j e)n ¹Ikari¿oij fhsi¿n< ãAnutoj o( paxu\j<br />

pro\j Puqioni¿khn oÀtan e)lqwÜn fa/ghi ti. kaleiÍ ga\r au)to/n, wÐj fasin, o(po/tan<br />

Xairefi¿lou tou\j du/o sko/mbrouj ceni¿shi mega/louj h(dome/nh.<br />

Antifane 125 dice che a Pitionice piaceva il pesce salato dal momento che aveva come amanti i figli di<br />

Cherefilo, il venditore di pesce salato come dice Timocle negli Icari: Anito il grasso quando va da Pitionice<br />

mangia qualcosa. Infatti lo invita, come dicono, quando ospita in casa con piacere quei due grossi sgombri<br />

dei figli di Cherefilo.<br />

Questo frammento è inquadrato da Ateneo nell’ambito di una discussione sugli<br />

;oyofágoi.<br />

Per quanto riguarda Anito, si tratta di un personaggio di incerta identificazione.<br />

Coppola 126 (p. 454) cita un #Anutoj Lakiádhj menzionato da Demosth. 49, 61 e un<br />

#Anutoj ateniese che compare in IGII 812b come stratego del 323 a.C.,<br />

identificando con il primo il personaggio di Timocle.<br />

123 Cfr. Hermann, 1827,I p. 51.<br />

124 Cfr. Wilamowitz, 1962, V p. 683 sgg..<br />

125 Cfr. frr. 26 e 22 K.-A.<br />

126 Cfr. Coppola, 1927, pp. 453-467.<br />

68


Kassel e Austin pensano a un suntriÔrarcoj del 323-322 citato in IGII/2 1632,<br />

224, 229, 237.<br />

Quanto a Cherefilo, venditore di pesce, proveniente dal demo di Peania (citato da<br />

Alessi fr. 77 K.-A. 127 ), è menzionato anche da Dinarco I, 43 e in due orazioni di<br />

Iperide (frr. 181-191 Blass). Il personaggio è noto per aver ottenuto la cittadinanza<br />

ateniese intorno al 323 a.C. per sé e per i tre figli Fedone, Panfilo e Filippo.<br />

La cittadinanza alla famiglia di Cherefilo fu concessa su sollecitazione di<br />

Demostene (cfr. Dinarco, Contro Demostene 43) per aver provveduto a rifornire<br />

di viveri la cittadinanza negli anni di carestia 330-326 a.C. Di qui l’ironia di<br />

Timocle contro gli ambienti economici (vedi anche il Telemaco del fr. 18) che<br />

sviluppano i propri affari sulle spalle dei cittadini ateniesi.<br />

Anche nel fr. 27 K.-A. di Antifane si allude ai figli di Cherefilo, in particolare<br />

quando il poeta dice che Pitionice æpì tò táricój æstin Ìrmhkuîa gár.<br />

Quanto “ai due sgombri” si tratta appunto di due figli di Cherefilo. Questa<br />

definizione si riferisce, probabilmente, al fatto che lo sgombro era ritenuto dagli<br />

ateniesi un pesce stupido per il fatto di cacciarsi facilmente nelle reti ed è, dunque,<br />

un modo ironico di Timocle per stigmatizzare la personalità dei due giovani. La<br />

figura dell’etera Pitionice di Atene ricorre in Timocle: a) come amante di Arpalo<br />

(fr. 16 K.-A.); b) nell’elenco di etere ateniesi (fr. 27 K.-A.). E’ citata anche da<br />

Alessi (fr. 14 K.-A.). Rappresenta una delle etere più note nel periodo 340-330<br />

a.C. 128<br />

Ateneo (XIII 594a / 595f) ci informa che fu la prima amante di Arpalo, che<br />

successivamente seguì a Babilonia intorno al 330 a.C. Vi morì nel 326 a.C., dopo<br />

aver dato una figlia ad Arpalo che egli condusse ad Atene e affidò a Focione (cfr.<br />

Plut. Phoc. 82). Quanto alla Pitionice citata da Timocle nel fr. 27 si tratta<br />

probabilmente di un caso di omonimia.<br />

127 Il fr. 77 K.-A. è citato da Ateneo in III 119f:<br />

toùj Cairefílou dŒ uëeîj AJhnaíouj, 3ti<br />

eêsÔgagen táricoj, o$uj kaì TimoklÖj<br />

êdÎn æpì tÏn …ippwn dúo skómbrouj 1fh<br />

æn toîj Satúroij eônai<br />

(I figli di Cherefilo divenuti cittadini ateniesi poiché egli importava pesce salato, anche<br />

Timocle avendoli visti a cavallo, li definì due sgombri nell’opera I Satiri).<br />

128 Cfr. su questo Diod. Sic. XVII, 108, 4-5.<br />

69


Infatti anche intorno alla figura di Pitionice è sorto un problema interpretativo in<br />

relazione al fatto che nel fr. 27 K.-A. di Timocle (Orestautoclide) Pitionice è<br />

citata in un elenco di etere definite grâej. Poiché la commedia è databile intorno al<br />

335-330 a.C., a quell’epoca la Pitionice di Timocle sarebbe già considerata<br />

“vecchia”. Di qui l’ipotesi di una seconda Pitionice, più giovane, che sarebbe stata<br />

l’effettiva amante di Arpalo a Babilonia 129 .<br />

C’è da notare che in questo frammento Timocle tratta, insieme alle figure del<br />

parassita e dell’etera (figure tipiche della mésh), anche quella del pescivendolo<br />

anch’esso personaggio tipico della mésh in relazione alla nota opsofagia degli<br />

ateniesi.<br />

Il punto di maggior ironia nei confronti dei pescivendoli è rappresentato dalla<br />

sottolineatura delle forme di commercio fraudolento che costoro praticavano. In<br />

questo senso è sintomatico il fr. 7 K.-A. di Senarco in cui il poeta (vv. 5-17)<br />

descrive ironicamente gli stratagemmi che essi adottavano per vendere come<br />

fresco il loro pesce avariato.<br />

Il personaggio dell’etera compare nella commedia greca alla fine del V sec. a.C.<br />

Sembra che la prima sperimentazione del “tipo” comico dell’etera appartenga a<br />

Ferecrate: 130 ma l’impulso maggiore si ebbe con la mésh. Sono infatti numerosi i<br />

titoli di commedie della mésh che si riferiscono a nomi di etere.<br />

Un buon numero di etere dell’epoca sono citate nei frammenti di Timocle (in<br />

particolare nel fr. 25 K.-A. egli cita nove nomi di etere in soli tre versi). La<br />

particolare attenzione che emerge dai frammenti di Timocle nei confronti dei<br />

parassiti e delle etere rispetto ad altre figure che hanno caratterizzato la<br />

commediografia della mésh (il cuoco, il soldato fanfarone, il vecchio, lo schiavo, il<br />

giovane innamorato etc.) trova riscontro nell’interesse che il nostro poeta rivolge<br />

prioritariamente, come abbiamo già segnalato, alle élites cittadine e alle classi<br />

dirigenti. E’ proprio in questi ambienti elevati che circolano parassiti ed etere, che<br />

offrono così al poeta la possibilità di ironizzare sui rapporti e sui vizi di<br />

personaggi ben noti al pubblico.<br />

129 Su questo tema cfr. le considerazioni ai frr. 27 e 28 K.-A. di Timocle. Peraltro Paus., (I 37,5) e<br />

Diod. Sic. Attribuiscono all’amante di Arpalo il nome PuJoníkh (Pitonica).<br />

130 Nesselrath, 1990, pp. 318-325.<br />

70


Ma la critica ironica che Timocle e la mésh esercitano verso le etere non ha nulla a<br />

che vedere con quanto si riprometteva Aristofane quando, ad esempio, ironizzava<br />

sulle donne. Timocle (cfr. fr. 25) sembrava puntare la sua critica contro la natura<br />

degenerata di questi personaggi (etere e parassiti) che nell’arricchimento<br />

<strong>personale</strong> e nella soddisfazione dei propri desideri senza particolari sacrifici<br />

simboleggiano una tipologia di figure socialmente negative nell’Atene del tardo<br />

IV sec. a.C. Soltanto più tardi, con la néa e con Menandro, si recupererà<br />

un’immagine e una funzione delle etere che giungeranno, in taluni casi, a<br />

diventare lo strumento positivo di intrighi amorosi e di vicende familiari come ad<br />

es. Abrotono nell’Arbitrato, che a sua volta costituirà un modello per la Taide<br />

dell’Eunuchus di Terenzio 131 .<br />

Un esempio di feroce invettiva si trova anche nella commedia Neotide di<br />

Anassilao (fr. 22 K.-A.) datata intorno al 350 a.C., in cui si paragonano alcune<br />

famigerate etere ai mostri mitologici. La Pitionice del fr. 16 di Timocle che fa<br />

man bassa dei doni ricevuti e si unisce ai figli del celebre pescivendolo<br />

Cherefonte per soddisfare le proprie ghiottonerie; l’estasiata descrizione<br />

dell’ignoto personaggio del fr. 24 di Timocle che esalta l’amore virginale a fronte<br />

di quello oneroso delle etere; l’avidità della Frine descritta nel fr. 25, che neppure<br />

ripaga l’amante con un atto di amore, costituiscono gli esempi del trattamento che<br />

Timocle fa di questo personaggio e rappresentano una sintesi dei difetti tipici<br />

attribuiti ad esso dai commediografi del IV sec. a.C.<br />

fr. 16<br />

Passando al frammento 16 K.-A. che in Ateneo segue immediatamente alla<br />

citazione del fr. 15 K.-A., esso è costituito da sette trimetri giambici.<br />

h( Puqioni¿kh d' a)sme/nwj se de/cetai,<br />

kai¿ sou kate/detai tuxo\n iãswj aÁ nûn eÃxeij<br />

labwÜn par' h(mÏn dÏr'< aÃplhsto/j e)sti ga/r.<br />

oÀmwj de\ doûnai¿ soi ke/leuson sarga/naj<br />

131<br />

Alcuni esempi anticipatori in tale senso si ritrovano in Eub. fr. 41 K.-A., Efip. fr. 6 K.-A. e<br />

Antiph. fr. 210 K.-A.<br />

71


5<br />

au)th/n< tari¿xouj eu)po/rwj ga\r tugxa/nei<br />

eÃxousa kaiì su/nesti sape/rdaij dusi¿n,<br />

kaiì taût' a)na/ltoij kaiì platurru/gxoij tisi¿n.<br />

Pitionice ti accoglierà amichevolmente e, magari, ti mangerà i doni che ora hai avuto da noi; infatti è<br />

insaziabile. Ma comunque dille di darti le ceste di vimini; infatti le capita facilmente di avere pesci salati<br />

e sta con due saperde e per di più stupide e con la bocca larga.<br />

Nel frammento compare ancora il nome di Pitionice.<br />

Si conferma il giudizio di Timocle sulla voracità dell’etera non meno che la<br />

pesante definizione dei figli di Cherefilo (gli amanti) qui definiti saperde (come al<br />

fr. 15 “sgombri”) stupidi e di bocca larga.<br />

Se in quest’opera compaiono i satiri, è probabile che a parlare sia Sileno che ad<br />

un tempo esprime giudizi e offre indicazioni ad un ignoto personaggio che si reca<br />

ad Atene. E’ del resto possibile che lo stesso Sileno dia anche indicazioni di<br />

viaggio come sembra suggerire il successivo fr. 17.<br />

Dice Ateneo (VIII 339d) che Pitionice era golosa di pesce salato tant’è che aveva<br />

per amanti i figli del pescivendolo Cherefonte. Tuttavia penso che il passo si<br />

possa anche interpretare come un tentativo di Timocle di giocare su due piani, da<br />

una parte ironizzando sui personaggi di Pitionice e dei due figli di Cherefilo,<br />

dall’altra sottolineando indirettamente l’attività sessuale della prima, non meno<br />

della primitiva voracità dei secondi.<br />

fr. 17<br />

Tramandato da Ateneo VIII 342a, consta di cinque trimetri giambici con una<br />

lacuna ai vv. 3 e 4 e svariati problemi testuali.<br />

Anche per questa citazione (come per le due precedenti) Ateneo indica l’opera<br />

con il titolo æn ; Ikaríoij e, alludendo a Timocle, lo definisce ñ a÷tòj poihtÔj<br />

richiamando la definizione, utilizzata poco sopra, in relazione alla citazione della<br />

commedia DÖloj (fr. 4 K.-A.) e cioè ñ kwmikój.<br />

Si tratterebbe dunque di un indizio che permetterebbe di associare all’opera<br />

designata con æn ; Ikaríoij la definizione di commediografo per Timocle.<br />

Il passo è citato da Ateneo per comprovare la nota opsofagia dell’oratore Iperide.<br />

72


5<br />

to/n t' i¹xquo/rroun potamo\n ¸Uperei¿dhn péra,<br />

oÁj h)pi¿aij fwnaîsin eÃmfronoj lo/gou<br />

ko/mpoij pafla/zwn † h)pi¿oij † puknw¯masin<br />

pro\j pan ∪ − ∪ − ∪ dusaj eÃxei,<br />

misqwto\j aÃrdei pedi¿a toû dedwko/toj.<br />

E attraversa il fiume Iperide, dalle correnti pescose, che con miti voci di un discorso assennato tumido<br />

gorgogliando † Con miti addensamenti …. ha irriga, ricevendo la paga, le pianure [di chi gli ha dato<br />

132<br />

(denaro?)<br />

La restituzione è molto incerta a causa delle lacune e delle corruzioni del testo; in<br />

particolare risultano insoddisfacenti i tentativi di ricostruzione del v. 4.<br />

Già al v. 1 péra risulta correzione di Jacobs 133 ; al v. 3 l’aggettivo h)pi¿oij richiama<br />

lo stesso aggettivo del v. 2 134 .<br />

Sulla figura di Iperide si è già detto trattando il fr. 4 K.-A. L’attacco di Timocle<br />

riguarda sia la vicenda di Arpalo sia la sua opsofagia. In questo frammento le<br />

incertezze di lettura del testo rendono pressoché impossibile comprendere fino in<br />

fondo la metafora e l’intenzione satirica del poeta. Gli elementi che si possono<br />

evidenziare sono:<br />

a) Iperide è scherzosamente paragonato ad un fiume ricco di pesci da<br />

attraversare. Qui si possono ravvisare sia un giudizio sulla natura<br />

dell’oratoria irruente del personaggio sia un riferimento all’opsofagia che<br />

richiama il fr. 4 K.-A.<br />

b) Seguono due concetti contrapposti: h)pi¿aij (miti v. 2) e Òpíoij (v. 3 se è<br />

giusta la correzione) 135 , ma subito dopo ko/mpoij pafla/zwn, dove si<br />

evidenzia lo stile “gonfio” dell’oratore e i puknw¯mata che indicano la<br />

“densità” dello stile. Forse il poeta vuole rimarcare una contrapposizione<br />

ironica tra il tono della voce di Iperide e la densità dello stile.<br />

132<br />

Per questo passo lacunoso ho adottato la traduzione di Cipolla, 2003, p. 319.<br />

133<br />

Pérason A, Peráson CE.<br />

134<br />

Kaibel invece legge øptíoij = piatti e inoltre al v. 4 Kaibel legge: pro\j pân [ÞpantÏn<br />

klÖiJr;;; 3tan] [l]úsaj eÃxhi (“ogni cosa travolge, quando ha rotto gli argini”).<br />

135<br />

Shpíaij in A.<br />

73


Infine credo che all’ultimo verso sia leggibile il riferimento all’attività oratoria di<br />

Iperide pronta a piegarsi agli interessi del cliente pagante piuttosto che uno<br />

specifico riferimento ai fatti di Arpalo 136 . Comunque Timocle ribadisce la forte<br />

venalità di Iperide (vedi misqwtój v. 5).<br />

fr. 18<br />

E’ riportato da Ateneo IX 407f. Si tratta di otto versi in tetrametri trocaici<br />

catalettici: unico caso tra i frammenti di Timocle (insieme al fr. 19 K.-A.<br />

tramandato da Didimo). Ci troviamo nel libro IX, in cui Ateneo tratta diverse<br />

tipologie di vivande. In particolare, all’altezza della citazione che ci interessa,<br />

Ateneo fa parlare Ulpiano: “menzionando la pentola, mio caro Democrito, mi hai<br />

fatto venire in mente che spesso ho desiderato sapere che cos’è la cosiddetta<br />

“pentola di Telemaco 137 ” e chi fosse Telemaco”. Seguono le citazioni di Timocle<br />

dall’Oblio e dal Dioniso. Infine il passo si chiude con la citazione dall’opera cui<br />

Ateneo allude con l’espressione ;en d; ; Ikaríoij satúroij 138 .<br />

Si affronterà più avanti (cap. III) la questione se si tratta della stessa opera<br />

precedentemente definita con æn ; Ikaríoij e se davvero si può considerare dramma<br />

satiresco o non sia piuttosto una commedia.<br />

5<br />

wÐst' eÃxein ou)de\n par' h(mîn. nuktereu/saj d' a)qli¿wj<br />

prÏta me\n sklhrÏj kaqeûdon, eôta Qou/dippoj bde/wn<br />

pantelÏj eÃpnicen 139 h(mâj, eôq' o( limo\j hÀpteto.<br />

† e)fe/reto 140 pro\j Di¿wna to\n dia/puron< a)lla\ ga\r<br />

ou)d' e)keînoj ou)de\n eôxe.<br />

pro\j de\ to\n xrhsto\n dramwÜn<br />

Thle/maxon ¹Axarne/a swro/n te kua/mwn katalabwÜn<br />

a(rpa/saj tou/twn e)ne/tragon. d' oÃnoj h(mâj w¨j o(râi,<br />

136<br />

I fatti di Arpalo risalgono al 324 a.C., epoca in cui Pitionice era già morta e l’amante di Arpalo<br />

era Glicera. Qui, invece, risulta ancora viva.<br />

137<br />

Eust., Commento all’Odissea,1394, 24 sgg. sostiene che l’espressione “pentola di Telemaco”<br />

indicava il cibo dei poveri costituito da legumi.<br />

138<br />

Naturalmente il significato della titolazione varia se si trascrive satúroij con il sigma<br />

maiuscolo. Cfr. su questo cap. III.<br />

139<br />

eÃpnicen Meineke: eÃphcen cod. A.<br />

140<br />

Meineke corregge eôtŒ æferómhn.<br />

74


ñ < > Khfiso/dwroj periì to\ bÖm', e)pe/rdeto.<br />

così da non avere nulla da noi. Avendo passato una nottataccia, prima di tutto dormivo sul duro, poi<br />

Tudippo 141 a forza di far peti 142 ci asfissiò completamente; poi mi prese un attacco di fame. † si recava<br />

(mi recai) da Dione 143 il focoso; ma neppure quello aveva nulla . Andato di corsa allora dal buon<br />

Telemaco di Acarne 144 e trovato un mucchio di fave, le presi sottraendogliele e cominciai a rosicchiarle.<br />

Quando l’asino ci vede, ……[come] Cefisodoro 145 intorno alla tribuna emetteva peti.<br />

A conclusione della citazione Ateneo (IX 408a) aggiunge: “da ciò appare chiaro<br />

che Telemaco festeggiava i Puanéyia 146 come festa del peto (pordÕn çortÕn),<br />

mangiando sempre intere pentole di fave”.<br />

Il testo presenta una lacuna all’ultimo verso (manca un trocheo e mezzo) 147<br />

intorno alla quale si sono esercitate diverse ipotesi.<br />

Il punto è di capire se il personaggio di Cefisodoro 148 compare direttamente in<br />

scena come personaggio o è citato indirettamente come termine di paragone. Nel<br />

primo caso dobbiamo leggere: “quell’asino di Cefisodoro, come ci vede, stando<br />

sulla tribuna, [subito] emetteva peti”. Di qui l’ipotesi di Vontterwerden che<br />

suggerisce di integrare con un e÷Jéwj (subito).<br />

Nell’ ambito della seconda ipotesi si muove l’integrazione di Meineke Ìspereí 149<br />

in base alla quale bisogna immaginare che Cefisodoro non è sulla scena e,<br />

dunque, leggere il testo nel senso che “quell’asino appena ci vide, come se fosse<br />

141 Si tratta del personaggio citato da Plut. Phoc. 36 e con questo condannato a morte nel 318 a.C.<br />

142 bde/wn è correzione di Meineke rispetto a ñ léwn del cod. A.<br />

143 Si tratta forse del Dione politico e trierarca nel 334-333 a.C. (Dem. 18, 129) come sostiene<br />

Coppola, 1927, p. 456.<br />

144 Si tratta del personaggio già citato da Timocle al fr. 7 K.-A.. Assicurò gli approvvigionamenti<br />

ad Atene durante la carestia del 330-327 a.C. e sviluppò tra il popolo una campagna a favore<br />

dell’alimentazione a base di fave (cfr. Coppola, 1927, p. 456).<br />

145 Schweighaüser ritiene che si tratti di Cefisodoro di Acarne citaredo citato in Athen. IV, 131b.<br />

Kock ritiene che si tratti del Cefisodoro ridicolizzato da Licurgo nel Contro Menesecmo. Per altri<br />

era discepolo e difensore di Isocrate (Kephisodoros 6, RE XI, 1921, pp. 227-229). C’è però anche<br />

l’arconte ateniese del 323-322 cfr. Kephisodoros 2, RE 1921, p. 226.<br />

146 Si tratta di feste agricole celebrate a fine ottobre. Dedicate ad Apollo, si cucinava un piatto di<br />

legumi (cfr. Plut. Thes., 22).<br />

147 Cfr. Chirico, 2010, p. 6.<br />

148 Questa ipotesi interpretativa è corroborata da Arpocrazione che su Cefisodoro dice: “egli è<br />

irriso nella commedia come simile ad un asino” (cfr. commento di Dind. ad Ath., 1827 II p. 117).<br />

149 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 61.<br />

75


Cefisodoro sulla tribuna, emetteva peti” dove “quell’asino” sarebbe Telemaco.<br />

Riferimento che appare più logico se si tiene conto dello specifico richiamo di<br />

Ateneo a Telemaco e alle feste Puanéyia. Così peraltro interpreta la traduzione di<br />

Andrea Rimadio (Deipn., 2001, p. 1012).<br />

Secondo Schiassi 150 il frammento “sembra derivare dal racconto di un parassita,<br />

che tra i banchetti ricorda in maniera faceta la serie infinita dei suoi mali”.<br />

Al fine di dare un senso agli otto versi, riassumiamo le tre fondamentali<br />

correzioni:<br />

a) bdéwn al v. 2 proposto da Meineke al posto di ñ léwn riportato dal codice<br />

A;<br />

b) 1pnixen al v. 3 proposto da Meineke al posto di 1phxen del codice A;<br />

c) e)fe/rómhn al v. 4 proposto da Meineke al posto di e)fe/reto del codice A.<br />

In questo frammento sembra configurarsi un quadretto tipico con gli ingredienti<br />

propri della commedia: le flatulenze, la fame, il furto, la sottolineatura ironica nei<br />

confronti di una serie di personaggi.<br />

G. Coppola 151 sostiene che “la parte più sconcia del frammento (bdéwn...e)fe/reto)<br />

si può confrontarla con la parabasi dei DÖmoi di Eupoli dove un personaggio di<br />

nome Paúswn ruba il cibo a Teogene il quale tÕn núcJ; 8lhn pepordÍj. Aggiunge<br />

ancora Coppola che “lo scherzo sulla pordÔ è una sconcezza per destare il riso<br />

degli spettatori” e ancora dice che “volgarissimo e di pessimo gusto è lo spirito di<br />

questi otto versi, che però sono pieni di allusioni a uomini e fatti del tempo di<br />

Demostene”.<br />

M. L. Chirico 152 , analizzando la proposta di Meineke di cui al punto a), riconosce<br />

il riferimento ad un passo di Aristofane, la veglia del Pluto e aggiunge: “che<br />

Timocle conoscesse Aristofane emerge con chiarezza dai testi che ci sono<br />

pervenuti: echi delle commedie aristofanee si colgono frequentemente nei<br />

frammenti del poeta e, del resto, Aristofane, ma anche Cratino ed Eupoli, erano i<br />

naturali riferimenti e modelli per un autore che, unico tra i poeti della sua<br />

generazione, oltre a parodiare storie raccontate da altri poeti, ridicolizza gli<br />

150 Schiassi, 1951, pp. 217-245.<br />

151 Cfr. Coppola, 1927, p. 455 nota 1.<br />

152 Chirico, 2010, pp. 8-9.<br />

76


strateghi e coloro che ammassavano ricchezze ottenute con mezzi illeciti o che<br />

conducevano una vita indegna”.<br />

La lunga scena della guarigione di Pluto (vv. 653-770) si svolge all’interno del<br />

témenoj del dio Asclepio e il servo Carione narra che tutti i personaggi presenti<br />

erano sdraiati e dormivano mentre lui si lancia verso una pentola di polenta<br />

(ÞJárhj cútra tij v. 673) sottraendola a una vecchia, che per la paura emette peti<br />

(bdéousa drimúteron galÖj v. 693) e alla fine lui stesso méga pánu Þpépardon (vv.<br />

698-699). Da questi elementi M. L. Chirico trae la convinzione che<br />

l’emendamento di Meineke sia stato suggerito da questo passo del Pluto<br />

aristofaneo.<br />

Per quanto riguarda l’ultimo verso si è già accennato alle due possibili<br />

integrazioni. Qualche ulteriore riflessione richiede l’utilizzo del sostantivo bÖma<br />

tradotto “tribuna” con riferimento all’attività di dhmhgóroj attribuita a Telemaco<br />

d’Acarne. Ma, come si evince dall’analisi di M. L. Chirico 153 , il sostantivo bÖma<br />

può appartenere anche al lessico dell’architettura sacra quando si tratta di edifici<br />

teatrali 154 con il significato di “altare”.<br />

Questa lettura confermerebbe la correlazione con il Pluto di Aristofane,<br />

commedia in cui la guarigione del dio avviene appunto nel recinto di Asclepio.<br />

Infine merita una considerazione l’utilizzo in questo frammento (come nel<br />

successivo fr. 19 K.-A.) da parte di Timocle del tetrametro trocaico catalettico.<br />

Qui sembra parlare un personaggio che narra un episodio delle sue disavventure.<br />

Si può pensare ad un passo recitativo, un lungo racconto trattato con l’aggressività<br />

e la velocità che può conferire all’espressione verbale il ritmo di un verso come il<br />

tetrametro trocaico.<br />

fr. 19<br />

Tramandato da Didimo nel Commentario a Demostene X, 70 con il riferimento<br />

kaì æn ƒIkaríoj....<br />

Dunque non compare il termine sáturoi come per il fr. 18 citato da Ateneo.<br />

153 Chirico, 2010, p. 11.<br />

154 Cfr. Polluce 4, 123.<br />

77


Si tratta ancora di sette tetrametri trocaici catalettici. Siamo in presenza di un<br />

dialogo tra due personaggi.<br />

5<br />

M[a]rºu/an de\ to\n f[i¿]laulon Au)tokle/a dedarme/n[o]n<br />

gumno\n e(sta/nai kamínwi prospepattaleume/non<br />

Thre/a t' ¹Ariºtomh/dhn. {B.} dia\ ti¿ Thre/a le/geiº;<br />

{A} dio/ti thr[e]în deî paro/ntoº toûde ta\ ºkeu/h ºfo/dra<<br />

ei¹ de mh/, Pro/knh genh/ºhi, knw¯menoº to\ krani¿on,<br />

aÄn a)pole/ºhiº. {B.} yuxro/n. {A.} a)lla\ pro\º qeÏn ) æpi¿[s]xete<br />

mhde\ ºuri¿chte.<br />

(A) Che Marsia-Autocle 155 amante del flauto, scorticato, stia ignudo, inchiodato ad una fornace e Tereo-<br />

Aristomede 156 pure (B)Perchè citi Tereo? (A)Perché quando c’è lui, devi stare ben attento 157 alla roba,<br />

altrimenti diventerai una Procne grattandoti la testa 158 se (la) perdi (B)Che battutaccia! (A) Per gli dei,<br />

tacete e non fischiate.<br />

Autocle era un noto pederasta; il paragone con Marsia si può forse spiegare<br />

perché come Marsia fu privato della pelle così Autocle amava denudarsi (cfr.<br />

Coppola, 1927, p. 462). Timocle ironizza su di lui anche nell’ ŒOrestautokleídhj.<br />

Per quanto riguarda Aristomede, Timocle lo cita anche nel fr. 14 (…Hrwej), dove lo<br />

definisce un ladro.<br />

Particolarmente interessante in questo frammento è l’interpretazione dei vv. 6-7.<br />

Secondo Coppola 159 non si tratterebbe di un appello agli spettatori; infatti ritiene<br />

che il dialogo si svolga tra Sileno (A) e i Satiri (B) e, dunque, ci sarebbe un invito<br />

di Sileno ai Satiri a non sghignazzare a seguito della battuta su Tereo e Procne.<br />

Sostiene Coppola che “irrequietezza dei satirelli e l’ordine di Sileno<br />

corrispondono benissimo a situazioni del genere nei drammi satirali”. Ma tutta<br />

l’analisi di Coppola spinge a dimostrare l’attività di satirografo di Timocle.<br />

155 Marsia è il Satiro, mitico inventore del flauto a doppia canna, che sfidò Apollo. Autocle, citato<br />

da Timocle anche al fr. 27, era un noto pederasta (Aeschin. 1, 52).<br />

156 Aristomede il bello, già citato da Timocle al fr. 14 K.-A. secondo Didimo che cita Demostene,<br />

fu trierarca nel 356 a.C. (cfr. Coppola, 1927, p. 463). Tereo re di Tracia e figlio di Ares è l’eroe<br />

della leggenda di Filomela e Procne (cfr. Ov. Metam., VI, 426 sgg.).<br />

157 Qui bisogna notare il gioco di parole tra il nome Tereo e il verbo thréw.<br />

158 Notare anche qui il gioco di parole tra Próknh e knÍmenoj.<br />

159 Cfr. Coppola, 1927, p. 461.<br />

78


Diversa è l’interpretazione se l’invito a tacere si considera davvero rivolto al<br />

pubblico. Saremmo, infatti, in presenza di uno schema tipico della commedia che<br />

non trova riscontro nei frammenti, a noi noti, di drammi satireschi 160 .<br />

160 Per una riflessione complessiva sui frr. 15-19 cfr. capitolo III<br />

79


Konísaloj<br />

fr. 22 K.-A.<br />

Tramandato da Ateneo, X 430f. Si tratta del libro in cui Ateneo descrive esempi di<br />

ghiottoneria, gli effetti perniciosi dell’eccesso di cibi e, in particolare, gli effetti<br />

dell’ubriachezza e la mescolanza di vino e acqua 161 .<br />

Si tratta di due trimetri giambici.<br />

pata/cw t' iãson iãswi pothri¿oij<br />

mega/loij aÀpasan th\n a)lh/qeian fra/sai.<br />

(Ti) colpirò con grandi coppe riempite mezzo e mezzo per farti dire tutta la verità 162 .<br />

Il titolo della commedia (Conisalo) si riferisce al nome di una divinità gallica<br />

simile a Priapo, citata anche da Aristoph. Lys. 982. Può però indicare anche una<br />

danza oscena associata alla divinità fallica. Esichio (K 3522) associa al termine il<br />

significato di “polvere” (kónij), da cui, per il titolo, si può assumere il valore di<br />

“nembo di polvere” attribuito alla divinità. Sul tema della combinazione<br />

acqua/vino ricordiamo che Alceo nel fr. 346 Voigt indica una parte d’acqua e due<br />

di vino e Anacreonte fr. 33 Gentili di due parti d’acqua e una di vino. Ath. 10,<br />

426b indica come proporzione abituale per un simposio equilibrato quella in cui il<br />

rapporto di acqua e vino è di cinque parti a due oppure tre a uno. Plut. (Quaest.<br />

conv. 657d sgg.) dice che la formula iãson iãswi produce ebbrezza nociva. Sembra<br />

dunque che il personaggio di Timocle voglia inebriare il suo interlocutore per<br />

costringerlo a dire tutta la verità. Il testo sembra richiamarsi al principio “in vino<br />

veritas”.<br />

161 Dice Ateneo: (perì tÏn Þrcaíwn krásewn), #ison #iswi dè TimoklÖj æn Konisálwi.<br />

162 Kock suggerisce maláxw. Bevilacqua, 1939, p. 33 suggerisce di collegare il maláxw proposto<br />

da Kock con iãson iãswi: “tempererò vino con vino a parti uguali in grandi bicchieri”.<br />

80


LÔqh 163<br />

fr. 23 K.-A.<br />

Tramandato da Ateneo, IX 407d, il frammento è riportato nella parte del libro IX<br />

in cui Ulpiano chiede a Democrito sia il significato della frase “pentola di<br />

Telemaco” sia informazioni su Telemaco stesso 164 .<br />

Questo passo dei Deipnosofisti è molto importante soprattutto per l’inizio della<br />

risposta di Democrito: TimoklÖj ñ tÖj kwm_díaj poihtÕj (˜n dè kaì trag_díaj) æn mèn<br />

drámati LÔJ+ fhsí.<br />

In successione, dopo il fr. 23 K.-A., seguono altre due citazioni sull’argomento da<br />

opere di Timocle e cioè il fr. 7 K.-A. e il fr. 18 K.-A., quest’ultimo con il<br />

riferimento specifico all’opera ŒIkárioi Sáturoi (oppure ŒIkárioi sáturoi). Siamo<br />

dunque in presenza di quel passaggio dell’opera di Ateneo che ha aperto un ampio<br />

dibattito sulla personalità di Timocle e la natura letteraria della sua opera.<br />

Il frammento è composto da sette trimetri giambici.<br />

meta\ toûton au)tÏ Thle/maxoj sunetu/gxane.<br />

kaiì toûton a)spasa/menoj h(de/wj pa/nu<br />

eÃpeita "xrÖso/n moi su/, fhsi¿, ta\j xu/traj<br />

e)n aõsin 6yeij tou\j kua/mouj." kaiì taûta/ te<br />

eiãrhto kaiì pario/nta Fei¿dippon pa/nu<br />

to\n Xairefi¿lou po/rrwqen a)pidwÜn to\n paxu\n<br />

e)po/ppus', eôt' e)ke/leuse pe/mpein sarga/naj.<br />

Dopo di lui, Telemaco 165 si incontrava con costui e dopo averlo salutato molto cordialmente disse:<br />

“dammi le pentole nelle quali fai cuocere le fave”. Aveva appena detto queste parole e avendo visto da<br />

163 LÔqh personificazione dell’oblio in Hes. (Theog. 227); può indicare anche un nome proprio.<br />

164 Athen. IX 407d: tíj Ó Thlemácou kalouménh cútra kaì tíj ñ Thlémacoj.<br />

165 Telemaco acarnense è citato soltanto da Timocle fra i comici nei frr. 7, 18 e 23. Wilamowitz<br />

(1962, pp. 690-691) ritiene che si tratti di un oratore, autore del decreto del 329/328 a.C. con il<br />

quale si proponeva di onorare Eraclida di Cipro perché, in occasione della carestia del 330-327<br />

a.C., aveva trasportato dal Ponto e venduto a prezzo contenuto il frumento (cfr. in precedenza fr.<br />

7).<br />

81


lontano Fidippo 166 il grasso, figlio di Cherefilo, che passava per di lì 167 , gli fischiò e gli ordinò di<br />

mandare i cesti 168 .<br />

Circa la datazione dell’opera può risultare importante la citazione di Telemaco e<br />

in particolare la notizia intorno alla sua proposta di decreto del 329/328 a.C.<br />

Dunque l’opera dovrebbe riferirsi a quel periodo. Eustazio citando la Thlemácou<br />

cútra nel Commento all’Odissea (1394, 26) sostiene che la “pentola di Telemaco”<br />

indicava il cibo modesto dei poveri costituito prevalentemente da legumi.<br />

Secondo Wilamowitz (1962, pp. 690 sgg.) sembra che in questo passo si ironizzi<br />

su Telemaco che era solito esortare a fronteggiare le carestie ritornando<br />

all’utilizzo dei legumi come nutrimento.<br />

Telemaco è citato anche nel fr. 19 di Timocle come accumulatore di riserve di<br />

fave. Peraltro le fave costituivano un alimento rifiutato dai pitagorici e sappiamo<br />

che Timocle esercita una forte critica verso il pitagorismo (cfr. fr. 20 K.-A.)<br />

Il passo è tuttavia interessante per la collocazione assegnata da Ateneo alla<br />

citazione. Mi limito per ora a constatare tre aspetti 169 :<br />

1. Ateneo inserisce il famoso inciso (˜n dè kaì trag_díaj) a proposito<br />

dell’opera LÔqh e non alcune righe più in basso quando cita l’altra opera<br />

ŒIkárioi sáturoi, come sarebbe più logico in relazione al fatto che si<br />

tratterebbe di un dramma satiresco.<br />

2. a livello del fr. 23, Ateneo si riferisce a Timocle, attraverso le parole di<br />

Democrito, in prima istanza come kwm_díaj poihtÔj.<br />

3. in riferimento alla LÔJh Ateneo utilizza la dizione æn mèn drámati LhJ+. In<br />

particolare non ho trovato riscontri, in altri passaggi simili, della formula<br />

Œen mèn drámati senza l’esplicazione di un correlativo dé. Quanto all’uso del<br />

166<br />

Fidippo, uno dei due figli del pescivendolo Cherefilo già citati al fr. 15. Anche Alessi lo cita nel<br />

fr. 7.<br />

167<br />

Pariónta ... pánu ... pórrwJen ... pacùn ... ŒepóppuseŒ. notare il gioco di assonanze<br />

costruito da Timocle.<br />

168<br />

L’inciso richiama il v. 4 del fr. 16 K.-A. …doûnai¿ soi ke/leuson sarga/naj; ambedue i<br />

frammenti si riferiscono ai figli di Cherefilo.<br />

169<br />

Come riferito, l’analisi complessiva sarà condotta nel capitolo III.<br />

82


termine drâma si ritrova in Ateneo sia in riferimento a tragedie, sia a<br />

commedie, sia a drammi satireschi.<br />

Subito dopo Ateneo adotta le dizioni:<br />

a.) ñ a÷tòj poihtÔj fhsin<br />

æn Dionús_<br />

b.) e infine æn dŒ ƒIkaríoij satúroij fhsín.<br />

Su queste formulazioni adottate da Ateneo è possibile un riscontro in relazione ad<br />

altre citazioni.<br />

Segnato in questa sede alcuni casi peculiari:<br />

a.) Ateneo XV 690a cita un frammento dal dramma satiresco Etone di Acheo<br />

ed utilizza la dizione ŒAcaiòj dƒ æn A#iJwni saturikÐ dove saturikój funge<br />

da aggettivo qualificativo dell’appartenenza di genere dell’opera.<br />

b.) Ateneo XV 687b per citare il dramma satiresco Giudizio di Sofocle adotta<br />

la formula SofoklÖj d' o( poihth\j e)n Kri¿sei tÐ dra/mati; dal che si deduce<br />

che il termine drâma può indicare anche dramma satiresco.<br />

c.) Ateneo XV 678e nel citare un frammento dalla commedia Agonide di<br />

Alessi adotta la formula ãAlecij d' e)n mèn ¹Agwni¿di hÄ ¸Ippi¿sk% dove<br />

compare la dizione e)n mèn, come nella citazione della LÔJh, ma qui<br />

giustificata dalla successiva citazione sempre di un passo di Alessi con la<br />

dizione æn dè tÐ Skírwni.<br />

d.) Infine Ateneo XIII 608a-c cita un passo dalla tragedia Eneo di Cheremone<br />

adottando la dizione<br />

o( goûn toû tragikoû Xairh/monoj Oi¹neu\j . . .<br />

e)n tÐ o(mwnu/m% dra/mati<br />

da cui si evince che il termine drâma è utilizzato da Ateneo anche per<br />

indicare tragedie.<br />

Si tratta dunque di questioni che pongono elementi di riflessione a cui appare<br />

necessario dare una risposta convincente se si vuole sciogliere il nodo connesso ai<br />

due temi relativi alla tipologia dell’attività drammaturgica di Timocle e al genere<br />

83


letterario degli ; Ikárioi sáturoi. Riprenderemo, come detto, queste questioni con<br />

le necessarie considerazioni in sede di conclusioni (cap. III).<br />

MaraqÍnioi 170<br />

fr. 24 K.-A.<br />

Tramandato da Ateneo, XIII 570f. Il libro XIII di Ateneo svolge il tema delle<br />

donne e dell’amore. In particolare la citazione della commedia di Timocle si<br />

colloca nel quadro di un paragrafo che tratta delle etere: vero significato del<br />

termine; culti di Afrodite Etera; meriti delle etere.<br />

Nello specifico il frammento tratta di un confronto tra l’amore offerto dalle etere e<br />

una korískh a tutto vantaggio di quest’ultima.<br />

Inoltre Ateneo introduce il frammento affermando: (ærwtikà) Ìj æn Maraqwníoij<br />

fhsì TimoklÖj. Qui non abbiamo né uno specifico inquadramento letterario<br />

dell’opera, né una definizione specifica di Timocle come autore.<br />

Il frammento è composto da sette trimetri giambici.<br />

5<br />

oÀson to\ metacu\ meta\ kori¿skhj hÄ meta\<br />

xamaitu/phj th\n nu/kta koimâsqai. Babaí,<br />

h( stifro/thj, to\ xrÏma, pneûma, dai¿monej.<br />

to\ mh\ sfo/dr' eônai pa/nq' eÀtoima, deîn de/ ti<br />

a)gwniâsai kaiì r(apisqÖnai¿ te kaiì<br />

plhga\j labeîn a(palaîsi xersi¿n< h(du/ ge<br />

nh\ to\n Di¿a to\n me/giston.<br />

Che grande differenza il passare la notte con una fanciulletta 171 o con una prostituta di infimo rango 172 .<br />

Caspita, per gli dei com’è soda, che carnagione, che alito 173 . Il fatto poi che non è quasi tutto predisposto<br />

170 Licofrone scrisse una tragedia con lo stesso titolo (I Maratonesi).<br />

171 kori¿skh si configura come vezzeggiativo di kórh.<br />

172 Traduco “infimo rango” cercando di esprimere xamaitu/phj, termine raro (ma cfr. Men. fr.<br />

472 K.-A. e Sam. 348). La valenza particolarmente dispregiativa del termine si ritrova<br />

nell’indicazione dell’atto sessuale consumato “a terra”.<br />

173 C’è chi interpreta pneûma come “spirito” (cfr. Bevilacqua, 1939). Mi sembra, però, che<br />

Timocle stia enumerando le caratteristiche fisiche della kori¿skh.<br />

84


e che, invece, bisogna un po’ combattere e farsi schiaffeggiare e ricevere percosse da mani delicate 174 ;<br />

questo per Zeus Onnipotente 175 è davvero piacevole.<br />

Come afferma V. Bevilacqua, (1939, p. 37) questo frammento “rileva un<br />

particolare studio nella scelta di parole che rendano anche nel suono la morbida<br />

sensualità dell’immagine evocata” 176 e , dunque, una vivida costruzione delle<br />

baruffe amorose che accrescono l’appagamento per la conquista dell’amata.<br />

Insomma il frammento sembra esprimere un senso di dolcezza e di scambi<br />

amorosi ma non c’è nulla di spirituale. Tutto appare umano, carnale e reale come<br />

dev’essere nella commedia. L’esaltazione dell’amore si riallaccia anche ad<br />

un’altra commedia (fr. 25 K.-A. Néaira), dove l’amore frustrato di uno spasimante<br />

per l’etera Frine diventa lo strumento per l’arricchimento della cortigiana.<br />

Non manca sul tema dell’amore anche un richiamo alla commedia ; Epistolaí (fr.<br />

10 K.-A.), in cui il lamento amoroso del parlante deluso trova, comicamente, una<br />

metafora nei bisogni materiali di tre parassiti. Si può dire che in generale, sulla<br />

base dei frammenti di cui disponiamo, il tema amoroso risulta marginale tra gli<br />

interessi di Timocle. Quando ne cogliamo un riferimento, esso rappresenta una<br />

nuova occasione per ridicolizzare e colpire il personaggio dell’etera: esso e quello<br />

del parassita, come abbiamo detto, costituiscono due “tipi” molto intriganti per le<br />

finalità letterarie del nostro poeta.<br />

Néaira 177<br />

frr. 25-26 K.-A.<br />

Di questa commedia Ateneo tramanda il primo frammento. Il secondo, costituito<br />

da un unico verso, è riportato da una citazione della Suda (a 2048).<br />

174 Analoghe espressioni si ritrovano in Ov. Ars Amat. II, 233-236.<br />

175 nh\ to\n Di¿a to\n me/giston si ritrova in Men. Dysc. 835.<br />

176 In particolare si nota l’abbondanza di liquide e di mute ai vv. 3-5-6, ad es. stifro/thj,<br />

xrÏma, pneûma, plhga\j.<br />

177 Filemone rappresentò una commedia con lo stesso titolo.<br />

85


Il fr. 25 è citato da Ateneo XIII 567de. Siamo ancora nel libro dedicato al tema<br />

delle etere. Il titolo si riferisce chiaramente alla cortigiana di nome Neera, nota<br />

grazie all’orazione Contro Neera attribuita a Demostene e datata tra il 343 e il 340<br />

a.C. 178<br />

Di qui la possibile datazione della commedia a ridosso di questo periodo.<br />

Ma Webster fa scendere la datazione fino al 330 a.C. Del resto G. Schiassi (1958,<br />

p. 238) data la commedia fra il 335 e il 330 a.C. riallacciandosi alla Neera di<br />

Filemone datata 324-323 a.C.: “Timoclis autem fabula quin aliquot ante annos<br />

extiterit vix dubitari potest atque, cum Phrynae curriculum non ultra 330<br />

protrahere liceat, annis fere 335-330 est collocanda”. Apprendiamo da Ps.<br />

Demosth. (Contro Neera 18 e 22) che Neera, avviata giovanissima alla<br />

prostituzione da Nicarete, vendeva il suo corpo ancora sessualmente immaturo.<br />

Si tratta di cinque trimetri giambici.<br />

5<br />

a)ll' eÃgwg' o( dustuxh\j<br />

Fru/nhj e)rasqei¿j, h(ni¿k' eÃti th\n ka/pparin<br />

sune/legen ouÃpw t' eôxen oÀsaper nûn eÃxei,<br />

pa/mpoll' a)nali¿skwn e)f' e(ka/stwi tÖj qu/raj<br />

a)pekleio/mhn.<br />

Ahi, me infelice innamorato di Frine quando ella ancora raccoglieva i capperi e non aveva ancora quanto<br />

ha ora e pur costandomi moltissimo, ogni volta venivo chiuso fuori dalla porta 179 .<br />

Il frammento è introdotto da Ateneo con la seguente frase: dióper kaì qrhnÏn tij<br />

aøtòn parágetai 180 .<br />

Il fatto che risulta indefinito (tij) il personaggio che, secondo Ateneo, nel<br />

frammento si lamenta di Frine ha indotto ad escludere la figura dell’oratore<br />

178<br />

L’orazione (LIX del corpus demostenico) è il discorso d’accusa nella causa intentata tra il 343<br />

e 340 a.C. da Teonnesto, cittadino ateniese, che accusava la cortigiana di aver ursupato il diritto di<br />

dare in sposa la figlia ad un cittadino ateniese, diritto riservato soltanto a cittadini ateniesi.<br />

179<br />

Nella traduzione ritengo più corretto legare e)f' e(ka/stwi a tÖj qu/raj a)pekleio/mhn<br />

piuttosto che a a)nali¿skwn.<br />

180<br />

Anche in questo passaggio Ateneo cita Timocle e il titolo dell’opera senza indicare però il<br />

genere.<br />

86


Iperide, difensore e amante di Frine 181 . Ma analoga considerazione si può<br />

avanzare nei confronti di Eutias, l’accusatore, ex amante di Frine.<br />

Quanto a Frine 182 lo stesso Ateneo (XIII 591d) riprende il tema dell’arricchimento<br />

di Frine grazie alla sua attività di etera. Ma qui la lamentazione sembra suscitata<br />

dal fatto che, nonostante gli sperperi, comunque Frine avrebbe respinto le avances<br />

del pretendente.<br />

Quanto a Neera (se il titolo si riferisce alla nota etera) pochi anni prima del<br />

processo, da cortigiana corinzia ed ex schiava, si era fatta sposare illegalmente da<br />

un cittadino ateniese di modeste condizioni e aveva fatto sposare, con un inganno,<br />

la propria figlia Fanò ad un altro cittadino ateniese. Di qui il processo per grafÕ<br />

xeníaj, in cui l’accusa era rappresentata da un uomo della cerchia di Demostene.<br />

Neera ne emerge come un personaggio più modesto di Frine ma, tuttavia,<br />

emblematico di una fase di profonda crisi sociale e istituzionale della città del IV<br />

sec.<br />

Anche con questo frammento mi sembra che si confermi l’azione di Timocle tesa<br />

ad attaccare un certo establishment piuttosto che a schierarsi a favore di un unico<br />

partito politico.<br />

Il secondo frammento 26, composto da un unico trimetro giambico, è tramandato<br />

da Suda a 2048.<br />

eÃpeita dia/ te taût' a)nari¿sthtoj wÓn<br />

poi a causa di ciò essendo digiuno della colazione<br />

181 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 46<br />

182 Personaggio che assume notorietà dal processo per empietà intentato da un certo Eutias (cfr.<br />

Harp., s.v. E÷Jíaj) tra il 350 e 340 a.C. Fu difesa da Iperide (cfr. Athen. 13, 590e). E’ probabile<br />

che il processo fosse stato intentato soprattutto per creare difficoltà politiche ad Iperide (cfr. fr. 178<br />

Jensen). L’accusa di empietà a Frine ricorda peraltro la precedente accusa rivolta ad Aspasia. Del<br />

resto la stessa ostentazione di ricchezza da parte di Frine la indusse a promettere la ricostruzione di<br />

Tebe distrutta da Alessandro Magno (cfr. Callistr. FGr Hist 348F1). Frine sollecitava sia<br />

l’opposizione del partito filomacedone, sia degli ambienti più conservatori per i quali era<br />

inconcepibile che un’etera potesse assumere una pubblica iniziativa. Una diversa versione su Frine<br />

è offerta da Posidippo comico fr. 13 K.-A. e da Alciph., IV, 3.<br />

87


Suda rileva che la forma a)náristoj sarebbe preferibile alla forma a)nari¿sthtoj<br />

utilizzata da Timocle.<br />

Ricordiamo che i pasti principali erano così classificabili: Þkrátisma, \riston,<br />

deîpnon. ŒAkrátisma e \riston indicavano la colazione, mentre a essere<br />

consumato a metà giornata era il deîpnon.<br />

In generale si può dire che il frammento riecheggia un tema tipico della commedia<br />

mésh, quello del mangiare e del digiuno, che interessa Timocle sia per i risvolti<br />

antipitagorici, sia per le difficoltà alimentari della popolazione ateniese a causa<br />

delle incombenti carestie.<br />

88


ŒOrestautokleídhj 183<br />

frr. 27-28 K.-A.<br />

Il frammento 27 è tramandato da Ateneo XIII 567e. Esso segue la citazione del<br />

frammento dalla Neera, quindi ci troviamo nello stesso ambito di discussione.<br />

Afferma Ateneo: kaì æn tÏi æpigrafoménwi 184 d’ ’Orestautokleídhj “ ñ ” a÷tòj<br />

TimoklÖj fhsi (nell’opera intitolata Orestautoclide lo stesso Timocle dice).<br />

C’è da notare tuttavia che un titolo frutto della combinazione di due nomi non<br />

rappresenta una novità, come attesta, ad esempio, il Dionisalessandro di Cratino.<br />

Colpisce che Suda (t 624) citi l’opera con il titolo Oreste, assegnando l’opera al<br />

secondo Timocle comico citato in t 623.<br />

Si tratta di quattro trimetri giambici.<br />

periì de\ to\n pana/qlion<br />

euÀdousi grâej, Na/nnion, Plaggw¯n, Lu/ka,<br />

Gna/qaina, Fru/nh, Puqioni¿kh, Murri¿nh,<br />

Xrusi¿j, † Konalli¿j †, ¸Iero/kleia, Lopa/dion.<br />

intorno all’infelicissimo dormono le vecchie: Nannio, Plangone, Lica, Gnatena, Frine, Pitionice, Mirrina,<br />

Criside, Conalide, Ieroclea, Lopadio. 185<br />

183<br />

Il titolo è la combinazione del nome ŒOrésthj (nome dell’eroe tragico) e A÷tokleídhj (cfr.<br />

Tim. fr. 19 K.-A.) probabilmente il nome dell’amante di Timarco, come sostiene Eschine., Contro<br />

Tim. I, 52, orazione del 346 a.C. intorno alla prostituzione maschile. Timarco, partigiano di<br />

Demostene, era stato a sua volta in gioventù l’amante di diversi personaggi tra cui un certo<br />

Misgola citato da Timocle nel fr. 32 K.-A. Ad Atene la prostituzione maschile e femminile era<br />

legale soltanto se praticata da stranieri e schiavi e soggetta a tassazione. Coppola (1927, p. 462)<br />

ritiene però che il riferimento di Timocle non fu l’Oreste di Eschilo ma piuttosto l’Alcmeone di<br />

Euripide.<br />

184<br />

Notare che qui Ateneo utilizza il termine æpigrafómenoj nel senso di dramma e/o<br />

intitolazione.<br />

185<br />

Molti di questi nomi sono assegnati a prostitute in altre commedie coeve. Ad esempio:<br />

Na/nnion Eub. fr. 67 K.-A.; Plaggw¯n Eub. fr. 86 K.-A.; Lu/ka Amph. fr. 23 K.-A.,<br />

Xrusi¿j Antiph. fr. 223 K.-A.. Inoltre Frine e Pitionice sono già citate da Timocle (frr. 25, 15 e<br />

16).<br />

89


Il frammento, che forse appartiene al prologo 186 della commedia, si può porre in<br />

analogia con la scena delle Eumenidi di Eschilo, in cui le Erinni, assopite nel<br />

tempio, circondano Oreste. Ma, nell’opera di Timocle, le donne sono prostitute e<br />

il ruolo di Oreste è assunto dal personaggio di Autoclide, noto pederasta<br />

dell’epoca.<br />

Le prostitute dormienti citate nel frammento sono undici.<br />

Undici sono anche i membri del tribunale giudicante al quale sembra riferirsi il fr.<br />

28 K.-A. costituito di una sola parola, parábuston, e tramandato da Arpocrazione<br />

(p. 237, 1 Dind.) che alla voce in esame riporta: o0twj ækaleîtó ti tÏn par’<br />

’Aqhnaíoij dikasthríwn, æn þi ædíkazon oë 6ndeka. 187 Dunque il Parábuston era un<br />

tribunale composto da undici magistrati incaricati di istruire le cause che<br />

prevedevano la pena capitale e i delitti contro la morale pubblica.<br />

Un tale riferimento fa ipotizzare la possibilità che nell’opera di Timocle si<br />

parlasse di un processo subito da Autoclide in analogia al processo di Oreste.<br />

E’ interessante l’analisi del termine grâej utilizzato da Timocle nel fr. 27 per<br />

indicare le undici etere. Il Wagner 188 sostiene che “vertendum non est anus sed<br />

mulierculae” al fine di evitare incongruenze temporali. Ateneo (XIII 587a) ricorda<br />

che Nannio è citata da Iperide nell’orazione Contro Patroclo; si tratta dunque di<br />

un’etera in auge nella seconda metà del IV sec. a.C. e menzionata in diverse<br />

commedie databili negli anni 340-320 a.C. Lo stesso Ateneo citando il fr. 225 K.-<br />

A. di Alessi ricorda una Nannio ubriaca fradicia; riportando poi il fr. 414 K.-A. di<br />

Menandro si riferisce ancora ad una Nannio sedotta. Il testo di Menandro è<br />

databile dopo il 320 a.C. Ancora Ateneo (XIII 587c), citando Antifane, ricorda<br />

che “Nannio era chiamata Proscenio perché aveva un volto grazioso e indossava<br />

gioielli e abiti di lusso, ma quando se li toglieva era orribile. Era figlia di<br />

Cornacchia, la figlia di Nannio, e riprese il nome della nonna per via della<br />

prostituzione estesa a tre generazioni”.<br />

186 Cfr. Olson, 2007, p. 175. Del resto cfr. anche Eum. 46-47: prósqen dè tÞndròj toûde<br />

qaumastòj lócoj / e0dei gunaikÏn æn Jrónoisin h$menoj (dinanzi a quest’uomo dorme una<br />

strana schiera di donne adagiate sui seggi)<br />

187 “Così si denominava uno dei tribunali ateniesi nel quale giudicavano gli Undici”.<br />

188 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 47.<br />

90


Chi era dunque la Nannio citata come “vecchia” da Timocle nella sua commedia?<br />

Deve essere esclusa, per evidenti ragioni di età, la Nannio di Menandro<br />

probabilmente identificabile con “Proscenio”. Sembra perciò più logico pensare<br />

alla nonna citata da Ateneo e considerata “vecchia” da Timocle.<br />

Il termine grâej, però, potrebbe far pensare anche alle famose Graie note per la<br />

funzione che esse svolgono nel mito di Perseo.<br />

Come può essere datata allora l’opera di Timocle?<br />

G. Schiassi (1951, p. 230) ritiene che “… haud multum valet, nisi aliis<br />

confirmatur argumentis” l’ipotesi di Coppola che data la commedia al 345 a.C.<br />

D’altra parte nell’elenco delle etere considerate “vecchie” è anche Pitionice che ,<br />

pure, lo stesso Timocle considerava amante dei figli di Cherefilo nei frr. 15 e 16<br />

K.-A. appartenenti agli ’Ikárioi sáturoi e attribuibili a una data non posteriore al<br />

momento in cui Arpalo si diede ad una vita lussuosa a Babilonia e chiamò<br />

Pitionice da Atene (331 a.C.). Come poteva dunque già essere “vecchia” Pitionice<br />

nel 345 a.C.?<br />

Alla luce di tali contraddizioni temporali bisogna pensare o ad una diversa<br />

interpretazione del termine grâej (come ha proposto Wagner) oppure a personaggi<br />

diversi coincidenti nel nome. Ritengo tuttavia probabile che alle etere dormienti<br />

Timocle abbia attribuito nomi di personaggi noti come personificazione delle<br />

fantasie e delle paure del pederasta Autoclide, così come per Oreste le Erinni<br />

costituivano la personificazione delle sue angosce. E allora anche grâej può<br />

assumere un senso accettabile, che non è quello riferibile a una classificazione di<br />

tipo temporale, bensì quello di un’offesa violenta e tagliente contro le etere, furie<br />

perseguitatrici, concorrenti di Autoclide e perciò qualificate come “vecchie”.<br />

Nulla è più offensivo che chiamare “vecchia” un’etera. In questo senso penso che<br />

l’analisi della datazione ricostruita sulla base dell’età delle etere non possa<br />

costituire un elemento dirimente per la cronologia della commedia, anche se<br />

l’accenno a Pitionice sembra collocarla probabilmente nel periodo 340-335 a.C.<br />

Questo frammento dell’ ŒOrestautokleídhj rappresenta peraltro un esempio tipico<br />

del trattamento parodico da parte della commediografia della mésh di uno<br />

specifico tema tragico proiettato su figure e personaggi contemporanei.<br />

91


Poluprágmwn 189<br />

fr. 29 K.-A.<br />

Tramandato da Ateneo VIII 339e,f. E’ il libro che tratta, tra gli altri, il tema<br />

dell’opsofagia e le storie e leggende sui più celebri opsofagi. Tra di essi<br />

Callimedonte soprannominato l’Aragosta, ghiotto di pesce e strabico.<br />

Si tratta di sei trimetri giambici.<br />

5<br />

eôq' o( Kallime/dwn aÃfnw<br />

o( Ka/raboj prosÖlqen. e)mble/pwn d' e)moi¿,<br />

w¨j goûn e)do/kei, pro\j eÀteron aÃnqrwpo/n tina<br />

e)la/lei< sunieiìj d' ou)de\n ei¹ko/twj ægÎ<br />

þn eÃlegen e)pe/neuon diakenÖj. tÏi d' aÃra<br />

ble/pousi xwriìj kaiì dokoûsin ai¸ ko/rai.<br />

Poi Callimedonte l’Aragosta si fece avanti subitamente. Mentre mi fissava, almeno così mi sembrava,<br />

chiacchierava con qualcun altro. Io, naturalmente, non capendo nulla di quanto diceva, annuivo senza<br />

senso; e le sue pupille 190 guardano da una parte e danno l’impressione di guardare da un’altra parte.<br />

Callimedonte 191 fu spesso oggetto di ironia tra gli autori della mésh. Alessi (fr. 57<br />

K.-A.) arriva a descrivere una sua statua di bronzo con un’aragosta nella mano<br />

destra. Politico impegnato, dopo la morte di Alessandro Magno si sarebbe<br />

rifugiato presso Antipatro. Tornato in patria dopo la sconfitta dei Greci a<br />

Crannone (322 a.C.), fuggì di nuovo dopo la morte di Antipatro, per evitare la<br />

condanna a morte inflittagli dal nuovo partito antimacedone. Ateneo (XIV, 614d)<br />

lo segnala come presidente di una società di sessanta allegri compagni amanti<br />

della buona tavola.<br />

Colpisce, in questo frammento, l’attacco ironico ad un personaggio che pure è<br />

politicamente qualificato come ostile al partito di Demostene. Ciò conferma, a<br />

189 Cfr. la commedia di Enioco con lo stesso titolo, Il Trafficone.<br />

190 Sul significato di ko/rai (pupille) cfr. anche Alessi nel “Farmacista” fr. 117 K.-A.<br />

191 Callimedonte, figlio di Callicrate, del demo di Collito, fu oratore e uomo politico della seconda<br />

metà del IV sec. a.C., di indirizzo filomacedone, avversario di Demostene (cfr. Prosop. Att. 8032).<br />

92


mio avviso, la radice anti-establishment degli strali che Timocle sembra lanciare<br />

indifferentemente al mondo filomacedone e antimacedone. In questo senso mi<br />

sembra che Webster (1953, p. 38) effettui una forzatura sostenendo che Timocle<br />

(a cui attribuisce insieme ad Enioco l’adesione al partito filomacedone), pur<br />

criticando Callimedonte suo compagno di partito, utilizzi argomentazioni più miti.<br />

Come se la ridicolizzazione del suo essere strabico risultasse più mite di quella di<br />

altri commediografi che ironizzano su Callimedonte considerandolo un ghiottone<br />

di aragoste.<br />

Bisogna invece riconoscere (come io credo che emerga dai frammenti) che<br />

Timocle, in linea con la tradizione dell’Þrcaía, è animato da un interesse<br />

all’attacco del mondo politico e, in particolare, delle classi dirigenti, piuttosto che<br />

all’utilizzazione della satira ai fini di un’azione derisoria e distruttrice di una<br />

specifica parte politica.<br />

Pontikój<br />

fr. 30 K.-A.<br />

Tramandato da Stobeo, Florilegio VI, 32 (peníaj yógoj), il frammento riporta due<br />

trimetri giambici della commedia di Timocle sul tema del biasimo della povertà.<br />

In realtà Stobeo specifica Timokléouj Pontikoû. Dapprima il riferimento Pontikoû<br />

fu interpretato come richiamo alla patria di Timocle. Meineke invece pensò al<br />

titolo di una commedia ricordando che gli abitanti del Ponto, che si recavano ad<br />

Atene per studio e lavoro, erano spesso oggetto di scherno come dimostrano titoli<br />

analoghi di commedie di Antifane, Alessi ed Epigene.<br />

pollou\j ga\r e)ni¿oq' h( peni¿a bia/zetai<br />

a)na/ci' au(tÏn eÃrga para\ fu/sin poieîn.<br />

Talvolta 192 , infatti, la povertà costringe molti a commettere azioni contro natura indegne di loro.<br />

192 Kock legge e*u #isq' (“ben sappi” infatti).<br />

93


Alcuni studiosi 193 collegano questo frammento ad altri frammenti di tradizione<br />

stobeana definendoli di tipo gnomico o parodie di sentenze. V. Bevilacqua collega<br />

il frammento 30 al 37 (‡Epainoj ploútou) anch’esso tramandato da Stobeo (IV, 31)<br />

costituito da tre versi di una commedia di cui non è segnalato il titolo.<br />

fr. 37 (anepigrafo)<br />

ta)rgu/rio/n e)stin aõma kaiì yuxh\ brotoîj.<br />

oÀstij de\ mh\ eÃxei toûto mhd' e)kth/sato,<br />

ou^toj meta\ zw¯ntwn teqnhkwÜj peripateî.<br />

Il denaro è sangue e vita per i mortali. Chi non lo ha né l’ha mai acquisito 194 , costui gira tra i viventi<br />

come un morto.<br />

V. Bevilacqua, proponendo un collegamento tra i due frammenti, sostiene che essi<br />

apparterrebbero alla stessa commedia.<br />

Propone infatti di leggere in successione i due frammenti anticipando il 37 rispetto<br />

al 30 che, contenendo un gár al v. 1, risulterebbe conclusivo di un ragionamento.<br />

Sul significato dei frr. 30 e 37 in questa sede possiamo dire che l’impronta<br />

moralizzatrice presente in alcune commedie e nella trattazione di alcune tematiche<br />

fa riferimento non soltanto allo sviluppo del pensiero filosofico morale a partire<br />

da Aristotele e dalle altre distinte scuole del IV sec. a.C., ma anche al momento<br />

storico vissuto soprattutto sul piano economico dall’Atene dell’epoca. In modo<br />

tuttavia contraddittorio: se da una parte emerge dalle commedie una sorta di<br />

sovrapposizione tra pitagorici e cinici e la identificazione di questi con le figure<br />

dei parassiti, dall’altra certi frammenti segnalano concezioni di vita edonistica<br />

così come la valorizzazione morale ad un tempo della ricchezza e della povertà o<br />

spinte di tipo esistenziale e pessimistiche accanto a suggestioni tese al godimento<br />

della vita.<br />

Nei due frammenti di Timocle abbiamo un esempio di siffatta alternanza di<br />

sensibilità. Infatti al contempo sembra di leggere nel fr. 37 una sorta di elogio del<br />

193 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 30.<br />

194 Meineke legge al v. 2 mhd' 1cwn e)crh/sato.<br />

94


denaro e della ricchezza e nel fr. 30 la denuncia delle indegnità morali a cui può<br />

spingere uno stato di povertà. Ma in altre occasioni (cfr. fr. 34 K.-A.) appare più<br />

cogente l’attenzione di Timocle alle classi più disagiate.<br />

Riprenderemo comunque il senso più generale di questi frammenti nel quadro<br />

dell’opera di Timocle nell’ambito del capitolo III.<br />

Porfúra 195<br />

Riguardo alla commedia intitolata Porfúra Ateneo presenta tre citazioni:<br />

VI, 225c; VII, 319a; X, 431a.<br />

In particolare egli dice:<br />

1. VI, 225c : … Senarco nella Porpora dice…; segue fr. 7 K.-A. di Senarco<br />

2. VII, 319a: … Paguri sono menzionati da Timocle o Senarco nella<br />

Porpora…; segue fr. 8 K.-A. di Senarco<br />

3. X, 431a: Senarco o Timocle nella Porpora …; segue fr. 9 K.-A. di<br />

Senarco<br />

L’incertezza nell’attribuzione di tale commedia è registrata anche da Suda (x 22 e<br />

t 624), che pure attribuisce l’opera al secondo Timocle.<br />

Secondo Meineke, per il quale il titolo potrebbe fare riferimento al nome di una<br />

prostituta (ma potrebbe indicare anche una coperta o un tappeto), la commedia<br />

sarebbe opera di Senarco. L’azione forse si svolgeva tra pescatori e mercanti di<br />

pesci.<br />

Interessante il testo del fr. 7 K.-A. 196 perché ai primi tre versi afferma che:<br />

oë mèn poihtaì (fhsì) lÖrój eêsin< o÷dè &en<br />

kainòn gàr eørískousin, Þllà metaférei<br />

195<br />

Questo frammento non è numerato da K.-A. in quanto attribuito a Senarco.<br />

196<br />

L’incertezza di Ateneo può nascere anche dal fatto che doveva esistere una commedia di<br />

Timocle con lo stesso titolo.<br />

95


6kastoj a÷tÏn ta#utŒ ##anw te kaì kátw 197<br />

Si tratta con tutta evidenza di una sferzata in particolare contro i poeti tragici che,<br />

invero, poco si raccorda con il prosieguo del frammento che tratta storie di frodi<br />

commerciali attuate dai pescivendoli ateniesi.<br />

Tuttavia si evidenzia un certo collegamento nel contenuto tra questi versi e quelli<br />

del fr. 6 K.-A. attribuito a Timocle dove pure, come detto, compare una pesante<br />

parodia nei confronti della poesia tragica.<br />

La critica al genere della tragedia è comunque una caratteristica della<br />

commediografia della mésh, come è ampiamente evidenziato dai versi tratti dalla<br />

Poesia di Antifane (fr. 189 K.-A.).<br />

Púkthj 198<br />

fr. 31 K.-A.<br />

Il frammento è tramandato da Ateneo, VI 246f. La citazione rientra nel libro che<br />

tratta il tema dei parassiti. Afferma Ateneo:<br />

koinÖi dè perì parasítwn eêrÔkasi TimoklÖj mèn æn Púkthi, æpisitíouj kalÏn<br />

a÷toùj…. 199<br />

Il termine æpisítioj in greco assume il senso di “colui che lavora solo per il vitto”.<br />

Insomma si tratta del parassita che riceve il cibo in cambio di qualche favore<br />

come evidenzia Esichio, e 5184.<br />

Anche Platone (Rep. IV, 420a) parlando dei guerrieri afferma:<br />

Naí, ˜n dŒ ægÍ, kaì taûtá ge æpisítioi kaì o÷dè misJòn pròj toîj sitíoij<br />

lambánontej w$sper oë \lloi ... 200<br />

e ancora Ebulo fr. 20 K.-A.:<br />

197<br />

“I poeti sono solo una chiacchiera: non inventano nulla di nuovo, ma ognuno di loro porta su e<br />

giù sempre le stesse cose”.<br />

198<br />

Timoteo scrisse una commedia con lo stesso titolo.<br />

199<br />

Ateneo VI, 246f “Hanno parlato nello stesso modo dei parassiti, Timocle nel “Pugile”<br />

chiamandoli col termine æpisítioi….<br />

200<br />

“Sì, ammisi, e inoltre lavorare solo per il cibo e, a parte gli alimenti, non guadagnare una paga<br />

come gli altri…”.<br />

96


æJélei dƒ \neu<br />

misJoû parƒ a÷toîj kataménein æpisítioj. 201<br />

Il frammento è costituito da quattro trimetri giambici.<br />

eu(rh/seij de\ tÏn e)pisiti¿wn<br />

tou/twn tin', o&i deipnoûsin e)sfudwme/noi<br />

ta)llo/tri', e(autou\j a)ntiì kwru/kwn le/pein<br />

pare/xontej a)qlhtaîsi.<br />

Troverai qualcuno di questi episitioi, che mangiano gli alimenti altrui fino a scoppiare offrendosi agli<br />

atleti per farsi scorticare come sacchi d’allenamento 202 .<br />

Timocle offre con questo frammento una gustosa descrizione di un tipo<br />

particolare di parassita che si fa pagare con il vitto. L’eccesso di “abboffamento”<br />

tipico di questa categoria è ironicamente descritto con la metafora del puncingball:<br />

si gonfiano fino a diventare soggetti utili a fungere da sacchi per<br />

l’allenamento dei pugili come richiama il titolo (Il Pugile). Una metafora,<br />

insomma, pienamente funzionale nell’ambito di una commedia che s’intitola<br />

Púkthj.<br />

Notare al v. 2 l’utilizzo del verbo sfudów che richiama sfúzw (oscillo) come<br />

l’oscillare dell’uomo ben rimpinzato e ubriaco e quello del kÍrukoj.<br />

Del resto abbiamo già visto come il tema della “fame” costituisca un argomento<br />

importante e particolarmente avvertito nel IV sec.a.C. in relazione alle persistenti<br />

condizioni di carestia e di crisi economica.<br />

Timocle affronta in questo frammento il tema dal punto di vista del parassita<br />

disponibile a tutto pur di scroccare un pasto, così come lo affronterà dal punto di<br />

vista sociale stigmatizzando le leggi suntuarie del Falereo nel fr. 34 K.-A.<br />

201 “vuole restare presso di loro senza paga, come uno che si guadagna il vitto”.<br />

202 kÍrukoj è il sacco ripieno per l’allenamento dei pugili.<br />

97


SapfÍ 203<br />

fr. 32 K.-A.<br />

Il frammento è tramandato da Ateneo, VIII 339c, nel libro che tratta, tra storia e<br />

leggenda, la materia dei mangiatori di pesci celebri. Il frammento di Timocle è<br />

anticipato in Ateneo da una lunga citazione di Antifane (fr. 27 K.-A. da<br />

„Alieuoménh) in cui il personaggio di Misgola, figlio di Naucrate, del demo di<br />

Collito 204 , nato nel 390 a.C., è ridicolizzato per la sua passione per i bei citaredi<br />

(kiJar_dój) e citaristi (kíJaroj), cioè un tipo di pesce particolare simile alla<br />

sogliola, ma con evidente doppio senso sessuale.<br />

Di Misgola ci informa Eschine nell’orazione Contro Timarco, 49 afferma:<br />

Misgólaj æstìn Naukrátouj, Kolluteúj, ÞnÕr tà mèn \lla kalòj kaì ÞgaJój,<br />

kaì o÷damØ \ntij a÷tòn mémyaito, perì dè tò prâgma toûto daimoníwj<br />

ƒespoudakÎj kaì Þeí tinaj eêwJÎj 1cein perì aøtòn kiJar_doùj $h<br />

kiJaristáj. 205<br />

Anche Alessi nella commedia Agonide (fr. 3 K.-A.) cita un fanciullo che si<br />

raccomanda alla madre di non mandarlo presso Misgola perché egli non è un<br />

citaredo.<br />

Questi molteplici riferimenti a Misgola permettono di ipotizzare una contestualità<br />

con il frammento 32 di Timocle che cita appunto Misgola e che, dunque, può<br />

essere attribuito ad una commedia databile intorno al 345 a.C. come l’orazione di<br />

Eschine e la commedia di Alessi. Siamo dunque tra le prime esperienze del poeta.<br />

Il frammento è composto da due trimetri giambici.<br />

o( Misgo/laj ou) prosie/nai soi fai¿netai,<br />

a)nqoûsi toîj ne/oisin h)reqisme/noj.<br />

203<br />

Commedie dello stesso titolo sono attribuite ad Antifane e Anfide per la mésh, Difilo per la<br />

néa.<br />

204<br />

Ma altri lo considerano figlio di Nicia, del demo di Pireo. Tutti gli attribuiscono un ruolo di<br />

incorreggibile libertino.<br />

205<br />

“Misgola, figlio di Naucrate, del demo Collito, è un uomo virtuoso in tutto e non biasimabile in<br />

nulla se non fosse per quel vizio che coltiva con grande fervore e per l’abitudine di avere intorno<br />

a sé sempre citaredi e citaristi.”<br />

98


Misgola è ben noto che non si avvicina a te perché va pazzo per i giovinetti in fiore.<br />

Con tutta evidenza il frammento doveva far parte di un dialogo nel corso del quale<br />

un personaggio si rivolge a una donna (o a un vecchio) trascurati da Misgola a<br />

causa delle sue preferenze sessuali; forse si tratta della stessa Saffo del titolo.<br />

Timocle ha già trattato una situazione analoga nel fr. 5 (I Demosatiri) con il<br />

riferimento a Ctesippo figlio di Cabria, noto per i suoi atteggiamenti effeminati e<br />

per i suoi costumi depravati.<br />

Però mentre la presunta data della commedia SapfÍ di Timocle (345 a.C.) può<br />

essere compatibile con la data di nascita di Misgola (~ 390 a.C.), deve<br />

sicuramente essere abbassata la datazione dei Demosatiri, in quanto la figura di<br />

Ctesippo ( di cui si occupa anche Menandro fr. 264 K.-A.) non può che riferirsi ad<br />

un periodo di fine IV sec. a.C.<br />

Il nome di Saffo, trattata come personaggio comico, dà il titolo a quattro opere di<br />

commediografi della mésh (Anfide, Antifane, Efippo e Timocle). In questo<br />

frammento essa sembra apparire come innamorata delusa dall’effemminato<br />

Misgola con evidente parodia e ironia nei confronti delle liriche d’amore della<br />

poetessa di Lesbo, ma anche delle sue tendenze sessuali.<br />

Sunergiká 206<br />

fr. 33 K.-A.<br />

Il frammento è tramandato da Stobeo, IV 57,8: 8ti o÷ crÕ paroineîn eêj toùj<br />

teteleuthkótaj Timokléouj Sunergiká 207 .<br />

Si tratta di due trimetri giambici, ma il secondo verso presenta una corruttela.<br />

toîj me\n teqneÏsin eÃleoj e)pieikh\j qeo/j,<br />

toîj zÏsi d' † eÀteron a)nosiw¯taton fqo/noj.<br />

206<br />

Il titolo è incerto ed è stato ripreso da Sunergiká citato da Stobeo. Meineke propone<br />

SunériJoi.<br />

207<br />

“che non bisogna mancare di rispetto ai morti…”<br />

99


La compassione per i morti è un dio benevolo, invece l’invidia per i vivi è un gravissimo sacrilegio 208 .<br />

Non si comprende il senso del titolo (Collaborazioni) in riferimento al contenuto<br />

dei due versi. Il frammento si presenta sotto la forma di una sentenza gnomica,<br />

come è caratteristica di tutti i frammenti di Timocle tramandati da Stobeo.<br />

L’affermazione sembra del tutto consona all’eloquio di un personaggio tragico.<br />

Dunque in questo caso ci troviamo in presenza di un passo di parodia linguistica<br />

della tragedia che costituisce uno dei motivi caratterizzanti la commedia del IV<br />

sec. a.C.<br />

Non si comprende bene il senso della contrapposizione tra le due affermazioni<br />

che, tuttavia, nella loro “ovvietà” appaiono più come il richiamo di un sentire<br />

popolare che non il frutto di una riflessione filosofica. Ma forse proprio in ciò si<br />

può riconoscere il segno di una ricercata parodia filosofica da parte del nostro<br />

poeta.<br />

FilodikastÔj 209<br />

fr. 34 K.-A.<br />

Il frammento è tramandato da Ateneo VI 245a. La citazione rientra nell’ambito<br />

della discussione sui parassiti e il tema dei “gineconomi”. La citazione del<br />

frammento di Timocle è preceduta da un frammento delle Massime di Linceo di<br />

Samo (fr. 27 Dalby): CairefÏn dè - fhsín - ñ parásitoj eêj gámon \klhtoj eêselqÎn<br />

kaì katakliqeìj 1scatoj kaì tÏn gunaikonómwn Þriqmoúntwn toùj keklhménouj kaì<br />

keleuóntwn a÷tòn Þpotrécein Ìj parà tòn nómon æpì toîj triákonta eêpóntoj<br />

“Þriqmeîte dÔ,” 1fh, “pálin Þp’ æmoû Þrxámenoi 210 .<br />

208<br />

Per quanto riguarda la corruttela, Bevilacqua, 1939, p. 31 legge al v. 2: toîj zÏsi d' eÀteroj<br />

a)nosiw¯taton fqo/non. E traduce: “ai vivi, invece, malevolo (il dio concede) la più empia<br />

ostilità” assegnando a 6teroj il senso di “malvagio”.<br />

209<br />

Il titolo (L’amante dei processi) richiama inevitabilmente la figura di Filocleone nelle Vespe di<br />

Aristofane.<br />

210<br />

“ Il parassita Cherefonte - dice (Linceo) - un giorno andò non invitato a una festa di nozze. Si<br />

accomodò per ultimo su un divano e quando i gineconomi contavano gli ospiti e gli intimarono di<br />

andarsene poiché con lui si superava il numero di trenta che la legge consentiva, replicò:<br />

“Contate di nuovo a partire da me”.<br />

100


Questo riferimento è importante perché permette di inquadrare temporalmente la<br />

commedia di Timocle. Siamo negli anni delle leggi suntuarie in Atene che<br />

riguardarono vari aspetti della vita sociale ed economica al fine di contenere le<br />

spese esagerate. Nel frammento di Linceo (come si vedrà anche in quello di<br />

Timocle) si cita una particolare categoria di magistrati che in Atene e in altre città<br />

greche erano addetti a sorvegliare la moralità e l’abbigliamento delle donne, ma<br />

anche il numero dei convitati ai banchetti che non poteva superare il limite di<br />

trenta unità. Il riferimento alla legge ci fa risalire all’epoca di Demetrio Falereo<br />

(317-307 a.C.).<br />

Aggiunge Ateneo (VI 245b): “Anche Timocle nell’Amante dei processi dice che<br />

era consuetudine che i gineconomi 211 sorvegliassero i simposi per sincerarsi che<br />

il numero degli invitati fosse quello previsto dalla legge”.<br />

Dunque la commedia di Timocle non può che essere correlata all’epoca<br />

dell’istituzione della nuova legge come esplicitamente indicato dall’autore al v. 4.<br />

Il frammento è composto da sei trimetri giambici che presentano lacune al v. 3.<br />

5<br />

a)noi¿get' hÃdh ta\j qu/raj, iàna pro\j to\ fÏj<br />

ýmen katafaneîj mâllon, e)fodeu/wn e)a\n<br />

bou/lhq' o( gunaikono/moj † labeîn a)riqmo\n †,<br />

kata\ to\n no/mon to\n kaino\n oÀper eiãwqe drân,<br />

tÏn e(stiwme/nwn. eÃdei de\ touÃmpalin<br />

ta\j tÏn a)dei¿pnwn e)ceta/zein oi¹ki¿aj.<br />

Aprite subito le porte perchè siamo più visibili, semmai nel giro di ronda il gineconomo volesse contare,<br />

com’è solito fare, il numero dei convitati secondo la nuova legge. Piuttosto dovrebbe invece visitare le<br />

case di quelli che non hanno da mangiare.<br />

Meineke ritiene di cancellare come interpolato il v. 4 del frammento timocleo.<br />

Come riporta Ateneo (VI, 245c), anche Menandro si occupò dei gineconomi.<br />

Ne riporta, infatti, sul tema un passo dalla Cuffia (fr. 208 K.-A.) di Menandro:<br />

parà toîj gunaikonómoij dè toùj æn toîj gámoij<br />

211 Sul tema dei gineconomi cfr. Cantarella e Gagliardi, 2003.<br />

101


diakonoûntaj ÞpogegráfJai puJómenoj<br />

pántaj mageírouj katà nómon kainón tina ... 212<br />

Dunque anche Menandro considera “nuova” la legge istituita dal Falereo; in<br />

alternativa si può pensare che faccia riferimento all’istituzione di un albo dei<br />

cuochi previsto da un più recente aggiornamento della legge.<br />

Resta il fatto che la citazione della legge permette di collocare la commedia di<br />

Timocle in un periodo temporale successivo al 317 a.C.<br />

E’ importante il giudizio sulla legge che Timocle fa esprimere al personaggio<br />

della sua commedia. Si tratta, con tutta probabilità, di un aristocratico o di un<br />

benestante che organizza banchetti presso la sua residenza. Timocle effettua un<br />

capovolgimento trasferendo l’attenzione dalle restrizioni ai comportamenti delle<br />

classi benestanti alla focalizzazione sui bisogni dei ceti più deboli in una fase<br />

della vita economica ateniese in cui si accentuava il gap tra le classi.<br />

Dei gineconomi, peraltro, parla anche Aristotele nella Politica 213 , bollandoli come<br />

magistrati antidemocratici soprattutto per gli aspetti di controllo sulle donne.<br />

Filocoro (FGr Hist 328 F, 650) indica specificatamente la funzione dei gineconomi<br />

atta anche a vigilare sulle riunioni nelle case private.<br />

Gli ateniesi pur non avendo ancora conquistata la moderna concezione della<br />

privacy, di certo respingevano misure invasive della vita privata.<br />

La critica, che il frammento sembra esprimere, dei ceti aristocratici verso la<br />

politica del Falereo (che pure contava o aveva contato sul sostegno delle classi più<br />

elevate) mi sembra che, come è stato notato per altri frammenti, dimostri la<br />

indipendenza di Timocle rivolta alla contestazione del potere politico dominante e<br />

alla difesa degli interessi più deboli (cfr. vv. 5-6).<br />

212 “Saputo che tutti i cuochi che rendono servizio nei matrimoni dovevano secondo una nuova<br />

legge iscriversi nelle liste dei gineconomi”.<br />

213 Cfr. Arist. Polit. 1300a; 1322b; 1323a.<br />

102


Yeudolhistaí<br />

fr. 35 K.-A.<br />

Il frammento dai Falsi predoni è tramandato da Ateneo III 109c. Il terzo libro<br />

sviluppa un’ampia disamina di varie tipologie di cibi e di metodologie e strumenti<br />

culinari.<br />

La citazione del passo di Timocle è inserita nel quadro della discussione sul tema<br />

del pane (\rtoj) e delle sue svariate tipologie. Dice Ateneo (109b):<br />

Trúfwn æn toîj futikoîj æpigrafoménoij \rtwn æktíJetai génh... 214<br />

e più avanti (109c):<br />

parà dè tàj ðptÔseij ðnomázesqai êpníthn, mnhmoneúein Timokléa æn<br />

Yeudolhistaîj... 215<br />

Il frammento è composto da due trimetri giambici di cui il primo presenta una<br />

lacuna iniziale.<br />

⎯∪ − ∪ katamaqwÜn de\ keime/nhn {qermh\n} ska/fhn<br />

qermÏn i¹pnitÏn hÃsqion.<br />

⎯∪ − ∪ essendomi accorto che c’era una teglia {calda} 216 di ipnites caldi, presi a mangiarne.<br />

A parlare è forse, uno dei Yeudolhistaí. Siamo ancora alla trattazione del tema<br />

della “fame”. I versi del frammento ricordano il contenuto del fr. 18 K.-A. di<br />

Timocle (vv. 7-8) in cui il soggetto parlante faceva man bassa delle fave di<br />

Telemaco.<br />

Si conclude con il fr. 35 l’analisi dei frammenti che sono inquadrati nell’ambito di<br />

opere di Timocle di cui sono stati tramandati titoli e generi letterari.<br />

214<br />

“Trifone (fr. 117 von Velsen) nell’opera di botanica elenca i tipi di pane”<br />

215<br />

“In rapporto alla diversa cottura viene chiamato êpníthn come dice Timocle nel Falsi<br />

predoni”.<br />

216<br />

Appare dubbia la ripetizione qermh\n ... qermÏn anche se per Bevilacqua, 1939, p. 33<br />

potrebbe essere valida.<br />

103


Ci sono inoltre sette frammenti che Kassel e Austin inquadrano tra gli<br />

“Incertarum fabularum fragmenta” tutti tramandati da autori diversi da Ateneo,<br />

salvo il fr. 39.<br />

fr. 36<br />

Incertarum fabularum fragmenta<br />

Riportato da Stobeo IV 25, 17: 8ti crÕ toùj goneîj tÖj kaqhkoúshj timÖj<br />

kataxioûsqai parà tÏn téknwn... 217 .<br />

Si tratta di tre trimetri giambici.<br />

oÀstij fobeîtai to\n pate/ra k#)sxu/netai,<br />

ouÀtoj poli¿thj a)gaqo\j eÃstai kata\ lo/gon,<br />

kaiì tou\j polemi¿ouj duna/menoj kakÏj poieîn.<br />

Chi teme suo padre ed è riservato, costui sarà, di conseguenza, un buon cittadino e sarà capace di<br />

causare danno ai nemici<br />

Anche in questo frammento di tradizione stobeana, come negli altri riportati dallo<br />

stesso autore, ritroviamo affermazioni di carattere gnomico. Sembra<br />

l’indottrinamento di un saggio anziano rivolto a giovani a cui si impartiscono<br />

insegnamenti di morale e di comportamento civile.<br />

Il tono alto dei versi sembra configurare un tipo di parodia linguistica della<br />

tragedia, tipico della commedia del IV sec. a.C. Sul senso più generale del<br />

frammento, che può permettere di comprendere alcune importanti posizioni di<br />

Timocle, saranno effettuate alcune considerazioni nel capitolo III<br />

217 “Sul fatto che i genitori devono ricevere dai figli il rispetto che meritano”<br />

104


fr. 37<br />

‡Epainoj ploútou (Elogio della ricchezza) è stato già esaminato in relazione al fr.<br />

30 Pontikój.<br />

fr. 38<br />

Riportato da Clemente Alessandrino, Stromata IV 7,1:<br />

a÷tíka oë Strwmateîj ÓmÏn, katà tòn gewrgòn Timokléouj toû kwmikoû, sûka ---<br />

- méli prosodeúousi, kaqáper æk pamfórou cwríou. di’ &hn e÷karpían æpiférei<<br />

sù ---- légeij 218<br />

Si tratta di due trimetri giambici. Si configura come un colloquio tra due<br />

personaggi.<br />

{A.} ......... sûk', eÃlaion, i¹sxa/daj, me/li.<br />

{B.} su\ me\n ei¹resiw¯nhn, ou) gewrgi¿an le/geij.<br />

…fichi, olio, fichi secchi, miele. (B.) Tu parli di una ghirlanda, non di agricoltura<br />

Meineke avanza l’ipotesi che si tratti di una commedia intitolata Gewrgój<br />

interpretando il passaggio di Clemente Alessandrino katà tòn gewrgòn.<br />

E’ inoltre interessante la citazione al v. 2 dell’ei¹resiw¯nh, cioè di un ramo d’ulivo o<br />

lauro cinto con bende di lauro e guarnito di frutta, miele ed altro che nel corso<br />

delle feste Pianepsie 219 in Atene si appendeva al tempio di Apollo e Artemide e<br />

nelle case private.<br />

Si noti che Clemente Alessandrino definisce Timocle come commediografo.<br />

218<br />

“I nostri Stromata secondo il contadino del poeta comico Timocle producono (segue v. 1),<br />

come prodotti da una terra fertile. A causa di questa fertilità aggiunge che….v. 2”.<br />

219<br />

Le Pianepsie, celebrate verso la fine di ottobre, si basavano sull’offerta di fave e legumi (cfr.<br />

anche fr. 18 di Tim.).<br />

105


fr. 39<br />

Il fr. 39 è stato già trattato in precedenza.<br />

fr. 40<br />

Tramandato da Fozio (b, z) a 70:<br />

ÞgaqÕ túch< toûto prografómenon o#iontaí tinej . . . 1nioi dé prostiqéasi tò kaì<br />

qeój Ìj Plátwn æn trítwi Nómwn . . . kaì TimoklÖj< 220<br />

ÞgaqÕ túch t’ 1nestin<br />

Jeòj mèn dhladÕ<br />

una divinità senza dubbio e buona fortuna si incontrano in….<br />

fr. 41<br />

Il frammento è tramandato da Plutarco, Sulla vita dei dieci oratori, 845b.<br />

Citando Demostene dice: proelqÎn dè pálin eêj tàj ækklhsíaj, newterikÏj tina<br />

légwn diesúreto, Ìj kwmwidhqÖnai a÷tòn øp’ ’Antifánouj (fr. 288 K.-A.) kaì<br />

Timokléouj 221 :<br />

ma\ gÖn, ma\ krh/naj, ma\ potamou/j, ma\ na/mata.<br />

Per la terra, per le fonti, per i fiumi, per le correnti! 222<br />

220 “buona fortuna: alcuni credono che questa espressione …altri invece aggiungono anche “dio”<br />

come Platone nel libro III delle Leggi e Timocle…” In realtà la citazione esatta di Plat. Leg. VI,<br />

757e: dio\ t%½ tou= klh/rou iãs% a)na/gkh prosxrh/sasqai duskoli¿aj tw½n<br />

pollw½n eÀneka, qeo\n kaiì a)gaqh\n tu/xhn kaiì to/te e)n eu)xaiÍj e)pikaloume/nouj<br />

a)porqou=n au)tou\j to\n. (perciò è necessario servirsi dell’uguaglianza della sorte a causa del<br />

malumore della folla invocando nelle preghiere il dio e la buona sorte…)<br />

221 “Presentatosi di nuovo in Assemblea, (Demostene) era oggetto di satira perchè parlava in stile<br />

moderno, tanto da essere ridicolizzato da Antifane (fr. 288 K.-A.) e da Timocle…”<br />

222 Cfr. Aristoph. Av. 196: mà gÖn, mà pagídaj, mà nefélaj, mà díktua. Lo scolio al verso<br />

dice: “…così giuravano sulle cose a caso”.<br />

106


Continua Plutarco: ðmósaj dè toûton tòn trópon æn tÏi dÔmwi qórubon ækínhsen. 223<br />

Sempre Plutarco in Dem. 9,4 dice:<br />

’Eratosqénhj mén fhsin a÷tòn æn toîj lógoij pollacoû gegonénai parábakcon,<br />

ñ dè Falhreùj tòn 1mmetron ækeînon 8rkon ðmósai potè pròj tòn dÖmon 9sper<br />

ænqousiÏnta… 224<br />

In questo passaggio il riferimento è alle prime prove di Demostene come oratore,<br />

e, dunque, in un periodo temporale che può oscillare tra il 350 e il 345 a.C., tenuto<br />

conto che, secondo Plutarco (Dem. 12,1), Demostene iniziò la vita politica al<br />

tempo della guerra focese. Pertanto la commedia di Timocle potrebbe datarsi a<br />

ridosso dell’avvio della carriera dell’oratore 225 . Di certo la citazione di Plutarco e<br />

il riferimento ad Antifane suggeriscono che l’esclamazione demostenica<br />

costituisse una formula di pubblico dominio tale da suscitare una immediata ilarità<br />

tra gli ascoltatori.<br />

Peraltro questo verso per il suo carattere di pomposità ben si riallaccia alla<br />

descrizione di Demostene oratore che il nostro poeta traccia nel frammento 12<br />

quando lo definisce o( Bria/rewj.<br />

Plutarco (Dem. 9,3), ci informa circa l’attenzione che commediografi di varia<br />

formazione nutrivano verso la persona di Demostene: e)peiì to/lman ge kaiì qa/rsoj<br />

oi¸ lexqe/ntej u(p' au)toû lo/goi tÏn grafe/ntwn mâllon e%ixon, e#i ti deî pisteu/ein<br />

¹Eratosqe/nei kaiì Dhmhtri¿% t%½ Falhreî kaiì toîj kwmikoîj. 226 Dunque anche per<br />

questo aspetto non si può con certezza affermare (come pure taluni hanno<br />

sostenuto e in particolare Webster, 1953), la tesi di una preconcetta posizione<br />

politica di Timocle in senso antidemostenico. Più avanti (Dem. 9,5) Plutarco<br />

afferma tÏn de\ kwmikÏn o( me/n tij au)to\n a)pokaleî r(wpoperperh/qran 227 . Questo<br />

223<br />

“Giurando in questo modo provocò un mormorio tra il popolo”.<br />

224<br />

“Eratostene afferma che spesso, quando parlava, sembrava invaso da furore bacchico e il<br />

Falereo da parte sua dice che una volta davanti all’assemblea pronunciò, come colpito da<br />

ispirazione divina, quel famoso giuramento in versi…”<br />

225<br />

Ricordo che i riferimenti di Timocle a Demostene si ritrovano anche nel fr. 12 (…Hrwej) e nel<br />

fr. 4 (DÖloj) databile 324 a.C.<br />

226<br />

“Certamente i discorsi da lui pronunciati contenevano più veemenza e coraggio di quelli scritti<br />

se bisogna dare fiducia a Eratostene e Demetrio del Falereo e ai comici.”<br />

227<br />

“uno dei comici lo chiama futile chiacchierone”<br />

107


comico non è stato ben identificato, ma io credo che, anche sulla base dello<br />

specifico riferimento, possa trattarsi proprio di Timocle.<br />

fr. 42<br />

Il Lessico di Esichio (a 6889) cita † Þpuxînoj † 228 < e annota Þpò neurâj 229 ;<br />

TimoklÖj Þpexínou.<br />

H. Stephanus (Thes. LG) corregge Þpeneúrou. Polluce (IV, 179) dice:<br />

tò dè kenÏsai dià kaqársewj kaì æxinÏsai légousin, kaì æxinwménon Ó<br />

kwmwidía tòn kekaqarménon fhsín, Ìj æk tÏn ênÏn feroménhj tÖj colÖj.<br />

Dunque attesta che il participio perfetto di æxinów era usato dai commediografi<br />

come equivalente di kekaqarménoj, “come se la bile fosse portata via dai nervi”.<br />

Come sostiene V. Bevilacqua (1939, p. 34) “…pur nella sua comicità, questo<br />

accenno di Esichio a Timocle conferma … come il nostro si distingue per una sua<br />

nota <strong>personale</strong> fra i molti comici suoi contemporanei”.<br />

Si conclude così l’esame dell’insieme dei frammenti di Timocle a noi noti a<br />

tutt’oggi.<br />

Si tratta ora di analizzare in che modo gli elementi emersi da questo esame ci<br />

possano permettere di inquadrare la figura di Timocle nell’ambito della<br />

drammaturgia del IV sec. a.C. e, se possibile, di evidenziare alcune sue<br />

caratteristiche specifiche. Ma anche di trarre alcune utili indicazioni intorno alla<br />

formazione culturale e alla sensibilità politico-sociale che ispirava la<br />

drammaturgia del nostro commediografo.<br />

228 La parola inter cruces non ha alcun significato conosciuto.<br />

229 Neurá, cioè nervo o corda dell’arco.<br />

108

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