CAPITOLO SECONDO - Giovanni Marchetti - Sito web personale
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<strong>CAPITOLO</strong> <strong>SECONDO</strong><br />
I frammenti di Timocle<br />
Dopo aver esaminato, nel primo capitolo, l’origine e l’evoluzione della questione<br />
timoclea ed aver descritto le caratteristiche fondamentali assunte dalla commedia<br />
e dal dramma satiresco nel corso del IV sec. a.C. al fine di chiarire le<br />
caratteristiche dell’ambiente letterario nel quale operò Timocle (o operarono i<br />
Timocle), in questo capitolo si analizzeranno i singoli frammenti di questo autore<br />
che la tradizione tramanda.<br />
Assumo come testo di riferimento l’edizione di Kassel-Austin, Poetae comici<br />
Graeci, vol. VII, Berlin-New York 1984 ss.<br />
Si tratta di quarantadue frammenti per circa duecento versi (196 vv.). Tutti i versi<br />
tramandati sono trimetri giambici, ad eccezione di quelli dei frammenti 18 e 19<br />
che presentano tetrametri trocaici catalettici, e del fr. 2, che è stato variamente<br />
interpretato dal punto di vista metrico.<br />
Dell’opera di Timocle ci sono noti sicuramente ventisei titoli di commedie 1 che<br />
interessano trentacinque frammenti. Sette frammenti sono tramandati senza<br />
titolo 2 .<br />
Ateneo costituisce la fonte più ricca. Egli, infatti, tramanda ventiquattro titoli e un<br />
frammento anepigrafo (fr. 39); complessivamente, Ateneo tramanda ventinove<br />
frammenti.<br />
Per il resto abbiamo già visto al capitolo I la suddivisione e la provenienza dei<br />
rimanenti frammenti di Timocle citati da altri autori.<br />
1 Il numero sale a ventotto se si considera, come suggerisce il Meineke, Gewrgój il titolo del<br />
frammento 38 e si distinguono due titoli per i frammenti relativi agli ƒIkárioi. C’è poi il caso del<br />
frammento Porfúra.<br />
2 Qualche studioso (vedi Bevilacqua, 1929) attribuisce il fr. 37 alla commedia Pontikój.<br />
26
L’articolato elenco di autori di varie epoche che riportano citazioni da opere di<br />
Timocle indica l’importanza, la diffusione e anche la proiezione temporale<br />
dell’interesse verso questo poeta.<br />
In particolare, le numerose citazioni di frammenti di Timocle riportate da Ateneo<br />
collocano questo autore nel novero degli autori più citati 3 nelle fonti<br />
lessicografiche e nei florilegi cui probabilmente Ateneo avrà fatto ricorso per le<br />
sue riprese. Lo stesso Ateneo, talvolta, ricorda la fonte delle citazioni 4 ; si può in<br />
generale affermare che le sue fonti fossero i grammatici alessandrini, le opere<br />
lessicografiche, esegetiche e di erudizione varia 5 .<br />
Deve essere preliminarmente notato che, allo stato delle nostre conoscenze, non<br />
sono state tramandate (neanche da Ateneo) citazioni riprese da tragedie<br />
eventualmente composte da Timocle se egli fu davvero, come alcuni sostengono,<br />
tragediografo e commediografo 6 .<br />
D’altra parte la fama di Timocle è confermata non solo dalla già ricordata<br />
citazione epigrafica del 341-340 a.C. con il dramma satiresco Licurgo, ma anche<br />
dal fatto che viene citato due volte dal commediografo Alessi che nella commedia<br />
ƒEpidaúrioj (fr. 77, 4) si riferisce con l’espressione ƒen Satúroij un’opera di<br />
Timocle e nella Parrucchiera (fr. 113, 3) dice:<br />
ñ mèn o%un æmòj uëój, o*ion ømeîj Þrtíwj<br />
e#idete, toioûtoj gegonen, Oênopíwn tij $h<br />
Márwn tij $h Káphloj 2 tij TimoklÖj<<br />
meJúei gár< o÷dèn 6teron 7 .<br />
3 Per un confronto si segnala che Ateneo riporta 107 titoli attribuiti ad Alessi, 4 titoli attribuiti ad<br />
Araro, 16 titoli attribuiti ad Anfide, 104 titoli attribuiti ad Antifane, 14 titoli attribuiti ad Anassila,<br />
12 titoli attribuiti ad Efippo, 49 titoli attribuiti ad Eubulo, 25 titoli attribuiti ad Anassandride, 4<br />
titoli attribuiti a Dionisio di Sinope.Si tratta di importanti autori comici contemporanei di Timocle.<br />
Riguardo alla néa Ateneo cita 49 titoli attribuiti a Menandro, 28 titoli attribuiti a Difilo, 19 titoli<br />
attribuiti a Filemone, 5 titoli attribuiti ad Anassippo.<br />
4 P.es. vedi Deipnosofisti IX. 375e, dove è indicato il Perì Aêscúlou di Cameleonte.<br />
5 Come è illustrato in Cipolla, 2003, pp. 20-21.<br />
6 Pure, Ateneo cita tragediografi del IV - III sec. a.C. Ad es. 3 titoli attribuiti ad Alessandro Etolo,<br />
2 titoli attribuiti ad Astidamante detto il Giovane, 2 titoli attribuiti a Carcino II, 8 titoli attribuiti a<br />
Cheremone, 2 titoli attribuiti a Dionisio II.<br />
7 Cfr. Arnott, 1996, pp. 304-307. Il passo era parte di un prologo posticipato, in cui un padre<br />
paragonava i due figli, l’uno bifolco e l’altro buono a nulla: quest’ultimo, probabilmente, già<br />
apparso nella scena precedente. “Dei miei figlioli uno, come voi proprio ora poteste vedere, è<br />
venuto su così, un Enopione o un Marone o un Vinaio o un Timocle, si ubriaca e nient’altro”.<br />
27
Anche se A. Meineke (Hist. Crit. 430) dubita che si tratti del commediografo e<br />
pensa piuttosto a un noto ubriacone del tempo, non può essere trascurato il fatto<br />
che il Timocle qui citato, segue due illustri personaggi mitici 8 e il riferimento al<br />
nostro commediografo, paragonato a famosi ubriaconi, si configurerebbe come un<br />
colpo critico assestato ad un noto concorrente. Non siamo così lontani, io credo,<br />
dal rimprovero che Aristofane rivolge a Cratino, nella parodia degli „Ippeîj, di<br />
essere un vecchio ubriacone (vv. 526 ss.) 9 .<br />
Dunque qui si potrebbe pensare ad un attacco di Alessi a Timocle, finalizzato non<br />
tanto a colpire un presunto vizio del nostro (nei frammenti non sembra emergere<br />
una particolare simpatia di Timocle per il vino) quanto, soprattutto, a colpire la<br />
sua concezione della commedia 10 facendone perciò un’occasione di critica<br />
letteraria.<br />
Ancora Alessi, nel fr. 77 K.-A., cita Timocle con le parole:<br />
o&uj kaì TimoklÖj êdÎn æpì tÏn i$ppwn dúo skómbrouj<br />
e!fh æn toîj Satúroij eônai.<br />
che interessa proprio per il riferimento ai Sáturoi o ¹Ikárioi sáturoi.<br />
Si tratta di un insieme di elementi, di richiami e di possibili riferimenti che<br />
permettono già di delineare il quadro di una figura letteraria non secondaria nel<br />
panorama degli autori della cosiddetta mésh.<br />
Per quanto riguarda i frammenti dobbiamo dire che allo stato non esistono studi<br />
tendenti a riaggregarli su basi tematiche 11 .Né è possibile classificare<br />
cronologicamente le varie commedie, in quanto soltanto in alcuni casi è<br />
ipotizzabile, in virtù di informazioni interne o esterne ai testi, determinarne la data<br />
di composizione. In generale l’opera di Timocle è collocata nella seconda metà<br />
del IV sec. a.C.<br />
Sul piano dei contenuti, lo studio dei frammenti risulta ancor più complesso<br />
perché appare difficile, e spesso impossibile, ricostruire una trama delle sue opere.<br />
8<br />
Enopione, cfr. Ateneo I, 26b-c, è il mitico figlio di Arianna e di Dioniso o Teseo. Marone era,<br />
secondo Esiodo (fr. 238 Merckelbach-West), nipote di Enopione che in Euripide è figlio di<br />
Dioniso (Cycl. v. 616). Non si hanno notizie sul Vinaio che tuttavia Arnott intende “vinaio”.<br />
9<br />
L’attacco di Aristofane suggerì la risposta allegorica di Cratino nella commedia Putính del 423<br />
a.C.<br />
10<br />
Riprenderò questo tema nel capitolo terzo.<br />
11<br />
Salvo il tentativo piuttosto sommario contenuto nello studio di Bevilacqua, 1929.<br />
28
Conviene perciò procedere secondo la successione numerica dei frammenti<br />
adottata da Kassel - Austin nella loro raccolta. Successione che risulta a sua volta<br />
di tipo sostanzialmente alfabetico, secondo la titolazione greca; ove poi risultasse<br />
opportuno, e documentalmente accertabile, si indicheranno, nel prosieguo,<br />
eventuali richiami e aspetti di raccordo tra i frammenti. Si prenderà soprattutto in<br />
considerazione la possibilità di esaminare di seguito quei frammenti, tratti anche<br />
da commedie diverse che, tuttavia, affrontano tematiche o situazioni omogenee.<br />
L’analisi di ogni singolo frammento seguirà il seguente schema:<br />
1. riassunto dell’occasione e dei contenuti che hanno suggerito al testimone<br />
l’utilizzo del frammento e struttura dello stesso;<br />
2. testo del frammento;<br />
3. traduzione e, ove possibile, considerazioni metriche e linguistiche;<br />
4. considerazioni storico-letterarie.<br />
Ritengo inoltre opportuno richiamare sinteticamente i contributi principali che, nel<br />
tempo, hanno impegnato alcuni studiosi sul tema dei frammenti di Timocle. Si<br />
procederà nel prossimo capitolo a delineare una valutazione specifica dell’opera<br />
del drammaturgo nell’ambito della mésh e del dramma satiresco del IV sec. a.C.<br />
29
Aêgúptioi<br />
fr. 1 K.-A.<br />
Il frammento è riportato da Ateneo, VII 300A 12 .<br />
Il VII libro tratta, nella prima parte, le feste conviviali cadute in disuso e il<br />
“catalogo dei pesci”. In particolare Ateneo inserisce due digressioni sui cuochi<br />
fanfaroni e sugli Egizi (de Aegyptiorum superstitione). Nel corso di quest’ultima<br />
digressione riporta passi di tre commedie attribuite rispettivamente ad Antifane<br />
(Licona), Anassandride (Città) e Timocle (Egizi), nei quali emergono aspetti<br />
critici e paradossali del mondo egiziano.<br />
Il passo timocleo coglie, parodicamente, un aspetto della religione egiziana 13 , la<br />
venerazione nei confronti di alcune tipologie di animali.<br />
pÏj aÄn me\n o%un sw¯seien %ibij hÄ ku/wn;<br />
oÀpou ga\r ei¹j tou\j o(mologoume/nouj qeou\j<br />
a)seboûntej ou) dido/asin eu)qe/wj di¿khn,<br />
ti¿n' ai¹elou/rou bwmo\j e)pitri¿yeien aÃn;<br />
Come, allora, un ibis o un cane potrebbero preservare dal pericolo? infatti se coloro che commettono atti<br />
di empietà contro gli dei riconosciuti non pagano subito il castigo, a chi potrebbe recare danno l’altare di<br />
un gatto?<br />
Per quanto riguarda il testo, Meineke 14 propone al v. 1 la correzione: me nûn. Essa<br />
permetterebbe di riferire la considerazione al soggetto parlante (evidentemente in<br />
una particolare situazione di pericolo), forse un ateniese soggetto a qualche rischio<br />
e sospinto a rivolgersi alle divinità egiziane per richiedere protezione. Le<br />
considerazioni che il presunto ateniese svolge ai versi 2-4 sembrano comunque<br />
configurare una diffidenza assoluta verso le divinità, sia straniere che patrie, la cui<br />
impotenza sarebbe confermata dalla mancanza di castigo per chi compia atto di<br />
a)sébeia.<br />
12 I versi 2-4 sono riportati anche in Filodemo, De pietate, XIII 29 - XIV 2 24 Henrichs.<br />
13 Relativamente a questo frammento vedi l’approfondimento di Chirico, 1995-96.<br />
14 Cfr. K.-A. , in apparato p. 755.<br />
30
Il frammento interessa diversi aspetti:<br />
1. una critica, verso le pratiche religiose e, in particolare, verso la religione<br />
egiziana. Ateneo, come si è detto, inserisce il frammento in una<br />
digressione parodica sul mondo e le usanze egiziane. Di certo nella<br />
commedia e nella tragedia sussisteva un filone antiegiziano 15 . In<br />
particolare nel IV sec. questo tipo di attacco diventa un Leitmotiv della<br />
mésh, configurandosi da una parte come critica al tentativo di<br />
idealizzazione del mondo egizio riproposto da autori come Isocrate<br />
(Busiride) e Platone (Rep. e Leggi), dall’altra come solleticamento<br />
dell’insofferenza dei cittadini ateniesi nei confronti degli egiziani presenti<br />
in Attica, spesso concorrenti nelle attività economiche più diffuse a livello<br />
popolare.<br />
2. il verso 4 va interpretato nel senso: “chi potrebbe essere rovinato<br />
dall’altare di un gatto?”. Vale a dire, chi potrà mai credere che il<br />
giuramento prestato dagli Egizi sugli altari di animali ha più valore dei<br />
giuramenti sugli dei riconosciuti? In questo senso emergerebbe una<br />
polemica di Timocle nei confronti del Busiride di Isocrate, testo in cui si<br />
afferma che i giuramenti egizi sono seri poiché quel popolo crede<br />
fermamente che ogni uomo è destinato a pagare subito il fio delle proprie<br />
colpe 16 .<br />
15 Frinico ed Eschilo furono autori di tragedie intitolate Aêgúptioi. A Cratino è attribuita un’opera<br />
Boúsirij in cui sono ridicolizzate le pratiche religiose degli egizi. Commedie dal titolo analogo<br />
sono attribuite a Epicarmo, Antifane, Efippo e Mnesimaco. Lo stesso Aristofane nelle * Wrai<br />
protesta contro la diffusione dei culti egiziani ad Atene. Ancora Aristofane, Cratino, Ferecrate<br />
svolgono attacchi contro il personaggio Licurgo per le sue tendenze filoegiziane. Aristofane negli<br />
Uccelli (v. 1296) definisce Licurgo come %ibij.<br />
16 Cfr. Busir. 25: la pietas degli Egizi è così grande, wÐste kaiì tou\j oÀrkouj pistote/rouj<br />
eônai ... kaiì tÏn a(marthma/twn eÀkaston oiãesJai paraxrÖma dw¯sein di¿khn,<br />
a)ll' ou) dialh/sein to\n paro/nta xro/non, ou)d' ei¹j tou\j paîdaj<br />
a)nablhqh/sesqai ta\j timwri¿aj.<br />
31
3. Si può leggere nell’ ei¹j tou\j ñmologoume/nouj qeou\j a)seboûntej anche<br />
un passaggio di parodia sociale. In particolare, dopo il celebre processo a<br />
Socrate all’inizio del IV sec., ne seguirono altri. Un processo per Þsébeia<br />
celebrato nel 347 a.C. contro la cortigiana Frine 17 difesa da Iperide si<br />
concluse con una sentenza di assoluzione che suscitò non poco scandalo e<br />
a cui Timocle sembra alludere ironicamente con quel riferimento al fatto<br />
che non si pagherebbe più il fio per colpe di Þsébeia. Del resto lo stesso<br />
Timocle dimostra interesse per le etere che subirono processi come si<br />
vedrà nei frammenti delle commedie DÖloj, Néaira e ; Orestautokleídhj.<br />
Cronologicamente la commedia potrebbe dunque collocarsi a ridosso del<br />
347 a.C. Secondo l’ipotesi di Edmonds, la commedia risalirebbe agli anni<br />
343-342 a.C., quando ad Atene i mercanti egiziani ottennero il permesso di<br />
innalzare un tempio ad Iside.<br />
4. Infine riprendendo Filodemo, nel De pietate (XIII 29 sgg. Henrichs) dice:<br />
dióper 1moige tò toû Timokléouj eêrhménon æn Aêgúptwi drámati perì tÏn æn tÖi<br />
cÍrai qeÏn æpì toútouj æpércetai metaférein o$pou gár, fhsín, eêj----\n; 18<br />
Qui il filosofo epicureo sembra voler confutare la falsa opinione dei<br />
teologi secondo i quali il timore degli dei può trattenere gli uomini dal<br />
compiere azioni malvage. Di qui l’utilizzo dei versi di Timocle, nei quali,<br />
dunque, Filodemo legge un riferimento alla concezione secondo la quale<br />
gli dei non si occupano direttamente delle cose degli uomini.<br />
Analogo concetto si ritrova in Menandro, che in Epitrep. 729-740 19<br />
mostra l’indifferenza degli dei verso le cose umane.<br />
Una eventuale influenza di ambienti edonistici tardoperipatetici su<br />
Timocle 20 comporterebbe, però, una datazione più bassa della commedia e<br />
17<br />
Sul processo a Frine cfr. Iperide, frr. 171-179, ed. Blass-Jensen, con Cavallini, 2001.<br />
18<br />
Perciò a me viene di trasferire a costoro ciò che Timocle dice nel dramma Egizi circa gli dei del<br />
luogo.<br />
19<br />
Cfr. in particolare i vv. 731-732:<br />
kaq 6na toútwn oë Jeoì<br />
6kaston æpitríbousin $h s{_zousi;<br />
Notare gli stessi verbi utilizzati da Timocle.<br />
32
della vita e dell’opera del poeta da estendersi fino alla fine del IV/inizio<br />
del III sec. a.C., come io credo possibile (cfr. Capitolo III).<br />
Questo frammento dunque sembra presentare una critica complessiva alla<br />
religione filtrata attraverso una visione che prescinde dalla presenza degli<br />
dei nella vita dell’uomo, assegnando all’uomo stesso la piena<br />
responsabilità dei suoi comportamenti.<br />
Letto in questo modo il frammento segnala, a mio avviso, il tentativo del<br />
poeta di esercitare la sua critica con argomentazioni serie, nel quadro di un<br />
contesto certamente comico, ma non per questo privo di una funzione<br />
riflessiva. Vedremo più avanti operazioni analoghe, sul terreno letterario,<br />
in relazione al fr. 6 dalle Dionusiázousai. Qui l’argomento è la concezione<br />
degli dei, lì sarà la funzione consolatoria della tragedia.<br />
L’interesse della mésh verso il mondo filosofico e letterario si può cogliere<br />
anche nei frammenti in cui si esercita un’azione critica e parodistica nei<br />
confronti dei pitagorici e delle teorie platoniche muovendo dalla<br />
descrizione di certi modelli di vita e comportamenti morali di personaggi<br />
caratteristici dell’Atene contemporanea. Anche su questi argomenti<br />
troveremo un riscontro nei prossimi frammenti di Timocle.<br />
20<br />
Nell’ ŒOnomastikòn di Polluce (X 154), Timocle è posto dopo Lisippo ed è associato ad<br />
Apollodoro di Caristo come neÍteroj.<br />
33
Balaneîon 21<br />
fr. 2 K.-A.<br />
Il frammento 22 , composto di un unico verso incompleto, è tramandato da Polluce<br />
X 154 e attiene all’evoluzione semantica del termine glwttokomeîon presso i<br />
neÍteroi.<br />
tò méntoi glwttokomeîon 23 e#irhke Lúsippoj æn Bákcaij<<br />
(fr. 5) . . . Ënómastai gàr Þpò tÏn glwttÏn. o÷ mÕn Þllà kaì æpì toû Þggeíou<br />
glwttókomon parà toîj newtéroij 1stin eøreîn, Ìj æn tÏi Timokléouj Balaneíwi<<br />
kaì - balaneúsate.<br />
kaì æn ; ApollodÍrou toû Karustíou Diabólwi 24 < méga ... glwttókomon ktl.<br />
Sappiamo che glwttókomon significa propriamente l’astuccio ove si conservano le<br />
linguette dei flauti 25 .<br />
∪ − ∪ kaì tò glwttókomon balaneúsate<br />
Questa lettura del verso si basa sul presupposto che siamo in presenza di un<br />
trimetro giambico 26 .<br />
J. Henderson 27 propone una lettura in senso osceno del frammento attribuendo al<br />
termine glwttokomeîon il significato di sesso femminile (Tongue-case, is a playful<br />
term for cunt) e al verbo balaneúw quello dell’atto sessuale (cfr. Eub. 140 K.-A.).<br />
21<br />
Il titolo della commedia non figura negli elenchi della Suda. Titolo analogo compare in Anfide e<br />
Difilo.<br />
22<br />
Cfr. sul frammento lo studio di Chirico, 1996.<br />
23<br />
Il testo presenta nella tradizione la duplice lezione glwttokomeîon / glwttókomon<br />
24<br />
“Lisippo, nelle Baccanti (fr. 5) ha utilizzato glwttokomeîon. Prende questo nome dalla<br />
linguetta, tuttavia è possibile trovare presso autori più recenti glwttókomon anche con<br />
riferimento all’astuccio come nel Bagno Pubblico di Timocle e nel Maldicente di Apollodoro di<br />
Caristo”.<br />
25<br />
Cfr. Bevilacqua, 1939 p. 33; questa è anche la traduzione di Edmonds (glwttokomeîon is the<br />
flute-case).<br />
26<br />
La tradizione manoscritta dei testi di Polluce oscilla tra balaneúsate (Meineke ed Edmonds) e<br />
balaneúetai (Kock).<br />
27 Henderson, 1975, p. 186.<br />
34
E’ interessante evidenziare che la lettura del frammento da parte di Kock (kaì tò<br />
glwttokomeîon balaneúetai) si presenta, metricamente, come asclepiadeo minore 28<br />
(− ∪ − ∪ ∪ − − ∪ ∪ − ∪ −) e, dunque, in contesto corale probabilmente parabatico.<br />
Ciò però si verificherebbe in controtendenza con il ridimensionamento del coro e<br />
della parabasi nella commedia postaristofanea 29 .<br />
Daktúlioj<br />
fr. 3 K.-A.<br />
I due versi del frammento sono citati due volte da Ateneo (VII 295b e IX 385a).<br />
Siamo in un contesto tendente a ironizzare sulla ben nota ittiofagia degli Ateniesi.<br />
Dei due trimetri giambici il primo è incompleto. Nella seconda citazione Timocle<br />
è definito da Ateneo ð kwmikój:<br />
⎯∪ − galeou\j kaiì bati¿daj oÀsa te tÏn genÏn<br />
e)n o)culipa/r% tri¿mmati skeua/zetai<br />
⎯∪ − squali e razze e quant’altre tipologie si servono in salsa di aceto e di olio.<br />
Qui, come al fr. 39 di Timocle che riguarda l’abilità culinaria dei Chii, compaiono<br />
gli unici accenni al tema della gastronomia: un tema che, insieme a quello del<br />
simposio, è molto frequente nella mésh forse anche per il fatto che Ateneo con i<br />
Deipnosofisti costituisce la fonte principale dei frammenti della mésh conservati.<br />
L’abbondanza alimentare è una delle componenti essenziali dell’ e÷daimonía<br />
ateniese 30 ; essa rappresenta un ideale nel quale lo spettatore comune, che di<br />
quell’abbondanza normalmente non gode, ha la possibilità di riconoscersi.<br />
In numerose occasioni i frammenti dei commediografi consistono in liste di<br />
condimenti, verdure, pesci e carni come nel fr. 66 di Anassandride o nel fr. 140 di<br />
28 Cfr. Pretagostini, 1987, p. 257.<br />
29 Tra gli altri cfr. Perusino, 1986, pp. 64-66.<br />
30 Cfr. Martino, 1999, pp. 67-81.<br />
35
Antifane o nei frr. 132 e 179 di Alessi. I poeti della mésh si burlano di quelli che<br />
soccombono al vizio della ghiottoneria.<br />
Ateneo, in particolare, (X 417b) sottolinea tra gli altri la voracità dei Beoti.<br />
Peraltro la figura del ghiottone è associata a quella del parassita. Questa<br />
associazione si ritrova anche in Timocle, come si evince dai frr. 10, 11, 16. Sulla<br />
ghiottoneria per il pesce Timocle attacca anche Iperide, come si vedrà più avanti<br />
al fr. 4.<br />
Non compare, invece, nei frammenti di Timocle a noi noti la figura del cuoco che,<br />
pure, presenta una forte caratterizzazione nella mésh a partire dal contributo<br />
offerto dai frammenti di Alessi 31 .<br />
fr. 39 (anepigrafo)<br />
Tra i frammenti senza titolo è l’unico tramandato da Ateneo I 25f. 32<br />
Xîoi polu\<br />
aÃrist' a)neurh/kasin o)yartutikh/n.<br />
gli abitanti di Chio hanno inventato la gastronomia di gran lunga migliore<br />
Si parla di arte culinaria e, in particolare, dell’abilità culinaria degli abitanti di<br />
Chio. Ateneo, tra l’altro, cita un illustre cuoco di Chio di nome Semonattide (XIV<br />
662c), di cui Polluce (IV, 71) tramandava anche l’attività di scrittore di culinaria.<br />
Di Semonattide parla anche Batone nel fr. 4 K.-A. Sulla cucina di Chio ci sono<br />
citazioni anche in Aristofane (fr. 216 K.-A.) ed Eufrone (fr. 1 K.-A.).<br />
31 Cfr. Argenio, 1965; Belardinelli, 2008, pp. 77-86.<br />
32 Colpisce il fatto che soltanto in questa occasione Ateneo trascuri di citare il titolo della<br />
commedia di riferimento. C’è da notare che anche la successiva citazione da Eubulo (fr. 122 K.-<br />
A.) è priva di titolazione. E’ forse dovuto al fatto che siamo nel paragrafo dei Deipnosofisti<br />
dedicato esclusivamente a citazioni da opere di Omero?<br />
36
DÖloj 33<br />
fr. 4 K.-A.<br />
Il frammento è tramandato da Ateneo VIII 341f nel paragrafo relativo alla<br />
descrizione di illustri opsofagi, in particolare l’oratore Iperide. La citazione,<br />
tendente a sottolineare la ghiottoneria dell’oratore per i pesci, offre un interessante<br />
quadro comico di natura storico-politica al cui centro è posto l’ “affaire Arpalo” 34 .<br />
Questo riferimento permette di ipotizzare la datazione della commedia dopo il 324<br />
a.C. a ridosso del processo per corruzione intentato nei confronti di Demostene ed<br />
altri. Anche in questo caso Ateneo cita Timocle come ñ kwmikój.<br />
Il frammento è composto da nove trimetri giambici e si presenta sotto forma di<br />
sticomitia tra due interlocutori.<br />
{A.} Dhmosqe/nhj ta/lanta penth/kont' eÃxei.<br />
{B.} maka/rioj, eiãper metadi¿dwsi mhdeni¿.<br />
{A.} kaiì MoiroklÖj eiãlhfe xrusi¿on polu/.<br />
{B.} a)no/htoj o( didou/j, eu)tuxh\j d' o( lamba/nwn.<br />
{A.} eiãlhfe kaiì Dh/mwn ti kaiì Kallisqe/nhj.<br />
{B.} pe/nhtej ˜san, wÐste suggnw¯mhn eÃxw.<br />
{A.} oÀ t' e)n lo/goisi deino\j ¸Uperei¿dhj eÃxei.<br />
{B.} tou\j i¹xquopw¯laj o*utoj h(mÏn ploutieî<br />
o)yofa/goj † gàr wÐste tou\j la/rouj eiånai Su/rouj.<br />
(A) Demostene ha cinquanta talenti. (B) Beato lui se non deve dividerli con nessuno 35 . (A) Anche<br />
Merocle 36 ha preso molto denaro. (B) Pazzo chi paga, fortunato chi riceve. (A) Anche Demone e<br />
Callistene hanno preso qualcosa 37 .<br />
33 Meineke corregge DÔlioj, cioè “l’uomo di Delo”, come indicato in apparato K.-A. p. 756.<br />
34 Arpalo, nominato da Alessandro Magno governatore di Babilonia e amministratore del Tesoro<br />
Reale, fuggì nel 324 a.C. ad Atene con numerosi uomini e 5000 talenti che utilizzò per corrompere<br />
politici ateniesi e riparare in seguito a Creta dove fu assassinato. Cfr. Plut. Dem. 25.<br />
35 Il riferimento non può che essere alla condanna a pagare cinquanta talenti subita da Demostene<br />
in seguito al processo per i fatti di corruzione legati all’episodio di Arpalo. Demostene non pagò la<br />
pesante multa e fu costretto all’esilio. Cfr. Plut. Dem. 26.<br />
36 Merocle figlio di Eutidemo del demo di Eleusi, politico attivo del partito antimacedone già<br />
condannato in precedenza. Cfr. Demosth. de falsa leg. 293<br />
37 Demone del demo di Peania noto per aver proposto la mozione di richiamo del cugino<br />
Demostene dall’esilio, cfr. Plut. Dem. 27.<br />
37
(B) Erano poveri, sicché io li giustifico 38 . (A) Anche Iperide 39 , abile nei discorsi, ne ha. (B) Costui<br />
arricchirà i nostri pescivendoli: infatti è talmente ghiotto di pesci che i lari (gabbiani) dovranno<br />
comportarsi come i Siri 40 .<br />
Il frammento non ci permette di comprendere il senso del titolo della commedia. I<br />
due interlocutori dovrebbero essere due ateniesi ben informati sulla situazione dei<br />
personaggi coinvolti nell’affaire di Arpalo. C’è da notare che Timocle utilizza il<br />
verbo 1cw per Demostene e Iperide e il verbo lambánw per gli altri tre personaggi.<br />
Potrebbe costituire un segnale di incertezza sul ruolo svolto dai due personaggi<br />
più importanti. Merocle, Demone e Callistene furono tra i dieci personaggi di cui<br />
Alessandro Magno richiese la consegna dopo la rivolta successiva alla morte di<br />
Filippo (Plut. Dem. 23). Anche per costoro non c’è la certezza della corruzione; lo<br />
stesso Iperide, che pure contribuì alle accuse contro Demostene, è colpito da<br />
Timocle ai versi 7-9 attraverso un riferimento, tipicamente comico, ai difetti<br />
soggettivi del personaggio. Questo duplice attacco a Demostene e a Iperide fa<br />
sorgere qualche dubbio, a mio avviso, circa una presunta posizione<br />
pregiudizialmente antidemostenica di Timocle. Come vedremo anche in altri<br />
frammenti (vedi ad es. fr. 37 dal FilodikastÔj) sembra che Timocle tenda,<br />
soprattutto, a svolgere un ruolo critico verso le classi dirigenti di volta in volta al<br />
potere, ponendosi dalla parte degli interessi popolari piuttosto che assumere<br />
posizioni partitiche pregiudiziali. In questo senso non mi sembrano convincenti le<br />
considerazioni di Webster (1953, pp. 44-47) che, al fine di classificare Timocle<br />
come esponente della parte filomacedone, teorizza due diversi livelli di intensità<br />
di irrisione utilizzata dal poeta verso gli antimacedoni e verso i filomacedoni. Mi<br />
Callistene oratore ateniese citato da Antifane fr. 27 K.-A. come colui che “si divora tutto il<br />
patrimonio”. Per Merocle, Callistene e Demone ci fu da parte di Alessandro Magno la richiesta<br />
della consegna (cfr. Plut. Dem. 23).<br />
38 Al fr. 30 Timocle afferma che il povero può essere spinto ad azioni malvage.<br />
39 Iperide oratore ateniese noto per il processo a Frine, citato da Timocle anche al fr. 18, difensore<br />
delle tesi antimacedoniche, avrebbe sostenuto la tesi di accogliere Arpalo per alimentare lo scontro<br />
con Alessandro Magno. Di qui l’ipotesi, che Plutarco esclude, di un suo coinvolgimento nella<br />
corruzione. Cfr. Plut., Vita X orat. 16, 848f.<br />
40 Per la/roi dobbiamo intendere i gabbiani, grandi divoratori di pesci (Od. V 51-53). I Siri erano<br />
invece noti per non mangiare il pesce, come riporta Ateneo VIII 346c. Di qui il gioco ironico di<br />
Timocle tra Iperide e i gabbiani.<br />
38
sembra invero che in Timocle ci sia analogia tra gli attacchi contro Iperide e<br />
contro un esponente filomacedone come Telemaco.<br />
Dhmsáturoi 41<br />
fr. 5 K.-A.<br />
Fonte Ateneo IV 165f, la citazione si inserisce nell’ambito di una discussione<br />
sugli uomini #aswtoi (dissoluti). Ateneo cita di seguito tre frammenti<br />
rispettivamente di Difilo (fr. 37 K.-A.), Timocle (fr. 5 K.-A.) e Menandro (fr. 264<br />
K.-A.) sul personaggio Ctesippo 42 .<br />
Si tratta di due trimetri giambici.<br />
ou)d' o( Xabri¿ou Kth/sippoj eÃti triìj kei¿retai,<br />
e)n taîj gunaiciì lamprój, ou)k e)n a)ndra/sin.<br />
Neppure Ctesippo figlio di Cabria si fa radere 43 più tre volte al giorno, lui che è splendido tra le<br />
femmine, non tra i maschi.<br />
Il titolo può alludere a personaggi come Demostene o l’oratore Demade che, dopo<br />
Cheronea (338 a.C.), furono intermediari del trattato di pace tra Atene e Filippo.<br />
Forse il coro di questa commedia era costituito da satiri; tuttavia non c’è<br />
contrapposizione tra gli studiosi circa la natura di commedia di quest’opera.<br />
Sulle caratteristiche specifiche del titolo 44 e in generale dei titoli composti con<br />
sáturoi saranno effettuate considerazioni nel capitolo terzo in relazione alle<br />
questioni degli ƒIkárioi sáturoi.<br />
41 Il titolo, che Schweighäuser ipotizza composto di due parole, richiama i demagoghi arrendevoli<br />
verso le masse popolari come quelli che Aristofane, Rane 1085 definiva dhmopíJhkoi.<br />
42 Ctesippo, figlio di Cabria, il vincitore di Nasso 376 a.C., fu allevato dopo la morte del padre da<br />
Focione (Plut. Phoc. 7) che cercò di ricondurlo sulla retta via. Era talmente dissoluto da vendere le<br />
pietre del monumento funerario del padre. Per questa sua esagerata dissolutezza non fu mai citato<br />
per nome da Demostene nell’orazione Contro Leptine, ove l’oratore si limita al patronimico “figlio<br />
di Cabria”.<br />
43 Anche Teophr. Char. V 6 a proposito del dandy dice tra l’altro: kaì pleistákij dè<br />
ÞpokeírasJai.<br />
44 Cfr. in Aristoph. DhmopíJhkoi.<br />
39
Sulla datazione dell’opera si può osservare che Ctesippo ricoprì la carica di<br />
trierarco nel 334/333 a.C. Lo stesso Ctesippo è citato anche negli ƒEnagízontej di<br />
Difilo e nell’ ƒOrgÔ di Menandro. In particolare la commedia di Menandro è datata<br />
tra il 320-315 a.C. Analoga datazione può attribuirsi all’opera di Difilo (fr. 37 K.-<br />
A.) 45 . Dunque è probabile che anche l’opera di Timocle sia databile in un arco<br />
temporale tra il 333 e il 325 a.C. Infatti analizzando il fr. 264 K.-A. dall’ ƒOrgÔ di<br />
Menandro 46 si può notare una sorta di richiamo del fr. 5 di Timocle da cui, perciò,<br />
trae probabilmente ispirazione. E’ chiaro, comunque, che la figura di Ctesippo<br />
continuava ad avere una certa notorietà ancora negli anni venti del IV sec. a.C.<br />
Dionusiázousai<br />
fr. 6 K.-A.<br />
Il frammento è tramandato da Ateneo IV 223b nell’ambito di una discussione<br />
circa l’utilità della tragedia 47 e da Stobeo IV 56, 19 48 .<br />
Il monologo si configura come una consolatio: si elencano esempi tragici<br />
attraverso i quali lenire le proprie sofferenze.<br />
Qui Timocle è definito da Ateneo ñ kwm_diopoiój 49 .<br />
5<br />
ý tân, aÃkouson hÃn ti soi dokÏ le/gein.<br />
aÃnqrwpo/j e)sti zÏion e)pi¿ponon fu/sei,<br />
kaiì polla\ luph/r' o( bi¿oj e)n e(autÏi fe/rei.<br />
parayuxa\j o%un fronti¿dwn a)neu/reto<br />
tau/taj< o( ga\r noûj tÏn i¹di¿wn lh/qhn labwÜn<br />
pro\j a)llotríwi te yuxagwghqeiìj pa/qei,<br />
meq' ÓdonÖj a)pÖlqe paideuqeiìj aÀma.<br />
45 Difilo (fr. 37 K.-A.) ironizza sul fatto che Ctesippo avrebbe venduto le pietre del monumento<br />
funerario del padre per soddisfare le sue dissolutezze.<br />
46 Men. fr. 264 K.-A., vv. 5-6:<br />
... kaì genÔsomai<br />
KtÔsippoj, o÷k \nJrwpoj, æn ðlíg_ crón_.<br />
(e voglio diventare in breve Ctesippo, non un uomo).<br />
47 Ateneo VI 223b: TimoklÖj ñ kwmwidiopoiòj katà pollà crhsímhn eônai légwn tÏi bíwi<br />
tÕn trag_dían… (Timocle, il poeta comico affermando che la tragedia è utile per la vita in<br />
molte occasioni afferma…).<br />
48 Stobeo riporta il frammento sotto la voce parhgoriká (i lenitivi).<br />
49 Alcuni manoscritti riportano ñ kwmikój.<br />
40
15<br />
10<br />
tou\j ga\r tragwidou\j prÏton, ei¹ bou/lei, sko/pei,<br />
w¨j w©feloûsi pa/ntaj. o( me\n wÔn ga\r pe/nhj<br />
ptwxo/teron au(toû katamaqwÜn to\n Th/lefon<br />
geno/menon hÃdh th\n peni¿an r(âion fe/rei.<br />
o( nosÏn ti maniko\n ¹Alkme/wn' e)ske/yato.<br />
o)fqalmiâi tij< ei¹siì Fineîdai tufloi¿.<br />
te/qnhke/ twi paîj< h( Nio/bh kekou/fiken.<br />
xwlo/j ti¿j e)sti, to\n Filokth/thn o(râi.<br />
ge/rwn tij a)tuxeî< kate/maqen to\n Oi¹ne/a.<br />
aÀpanta ga\r ta\ mei¿zon' hÄ pe/ponqe/ tij<br />
a)tuxh/mat' aÃlloij gegono/t' e)nnoou/menoj<br />
ta\j au)to\j au(toû sumfora\j hÂtton ste/nei.<br />
Mio caro, ascoltami, se ti sembra 50 che io dica qualcosa (d’importante). L’uomo è per natura una<br />
creatura sofferente, e la vita di per sé comporta molte sofferenze. Così egli trovò questi conforti per i suoi<br />
affanni; infatti la mente dimenticando le proprie angosce ed attratta dalle altrui sofferenze, se ne<br />
allontana al contempo istruita e rallegrata. Prima di tutto osserva, se vuoi, come i tragici giovano a tutti.<br />
Infatti chi è povero quando apprende che Telefo 51 divenne più povero di lui, sopporta già meglio la (sua)<br />
povertà. Chi soffre di qualche mania, guarda ad Alcmeone 52 ; uno ha una malattia agli occhi? sono ciechi<br />
i figli di Fineo 53 . Un tale ha perduto il figlio? Può trovare sollievo in Niobe. Uno è zoppo? guarda a<br />
Filottete 54 . Un vecchio è sventurato? si riconosce in Eneo 55 . Infatti quando uno considera che le<br />
disgrazie capitate agli altri sono tutte più grandi di quelle che egli soffre, si lamenta meno delle proprie<br />
sciagure 56 .<br />
Quattro opere di Timocle sono correlate nei titoli a Dioniso o al suo corteggio<br />
(Dioniso, Demosatiri, Donne alle Dionisie e ; Ikárioi sáturoi).<br />
50 dokÏ è presente in Stobeo; méllw in Ateneo.<br />
51 Cfr. Alex. fr. 183 K.-A. Sulla presenza di Telefo nella perduta tragedia di Euripide vedi Arist.,<br />
Ach. 430-449; Nub. 922; Ran. 855-864. Nel IV sec. a.C. risultano tragedie con il titolo Telefo<br />
attribuite a Cleofonte e Moschione.<br />
52 Alcmeone che assalì con successo Tebe con Adrasto. Tornato in patria, uccise la madre Erifile<br />
per vendicare il padre Anfiarao. Fu perseguitato dalle Erinni. Cfr. Alex. fr. 157 K.-A..<br />
53 I figli di Fineo (Soph. Ant. 969-986) re di Tracia. Egli indotto dalla seconda moglie Idotea (che<br />
aveva accusato i figli di primo letto di averla molestata) si vendicò accecandoli.<br />
54 Cfr. Antiph. fr. 218 K.-A..<br />
55 Ateneo riporta katámaJe. Eneo, re di Calidonia, al quale in vecchiaia i nipoti sottrassero il<br />
regno, cfr. Paus. II 25 2. Euripide rappresentò una tragedia con questo titolo, ma cronologicamente<br />
più vicine all’opera di Timocle sono le tragedie di Filocle e Cheremone.<br />
56 Per una interpretazione del frammento cfr. Diano, 1968, pp. 216-269.<br />
41
In tutta la commedia di mezzo soltanto altri due titoli fanno riferimento a Dioniso<br />
(Diónusoj di Eubulo e Dionúsou gonaí di Anassandride 57 ) a fronte di sette titoli<br />
dell’ Þrcaía.<br />
Siamo certi che il frammento appartiene a una commedia, come fa intendere<br />
Ateneo nell’introduzione del frammento. Tuttavia il tono e l’impostazione del<br />
monologo, a partire dai primi tre versi, sembrano assumere un carattere di serietà<br />
e riflessività non propriamente comica anche nella finalità al contempo educativa<br />
e consolatoria. Si tratta, dunque, di un esempio di parodia letteraria tipica delle<br />
commedie della mésh.<br />
Certamente in quest’epoca si sviluppò una forte polemica sul valore dei generi tra<br />
tragici e comici come dimostra il fr. 189 K.-A. dalla Poesia di Antifane.<br />
Ma anche il fr.19 K.-A. dai Cuochi di Anassila ridicolizza i versi di Eschilo, i cui<br />
toni riecheggiano nella descrizione della pratica culinaria ittica. Ancora Antifane<br />
nel fr. 1 K.-A. fa la satira della lingua solenne di Sofocle. Anche Euripide nel IV<br />
sec. è oggetto di passaggi ironici 58 nei frammenti dei comici della mésh.<br />
Alcuni titoli di opere della mésh 59 possono indurre a ritenere che le corrispondenti<br />
commedie comprendessero giudizi di tipo letterario su singoli autori o su temi di<br />
carattere generale 60 .<br />
Il comico che presenta il maggior numero di riferimenti è Antifane.<br />
Il fr. 6 di Timocle offre una interessante versione volgarizzata del ruolo<br />
consolatorio della tragedia.<br />
Già le affermazioni ai vv. 2-3 appaiono come sentenze di alto valore gnomico.<br />
Come già segnalato 61 , la mésh rispetto all’ Þrcaía cambia l’oggetto dei propri<br />
attacchi, in particolare, verso i tragici. Antifane nel fr. 189 K.-A. contrappone lo<br />
sforzo dei commediografi alle soluzioni preconfezionate dei tragici. Molti<br />
frammenti comici tendono ad imitare il sermo tragicus, nonché a parodiare la<br />
struttura e i contenuti della tragedia. Quindi si può ritenere che in questo<br />
57<br />
Cfr. Costantinides, 1969, p. 57<br />
58<br />
Cfr. su questo p. es. Ant., fr. 111 e 205 K.-A.; Axion., fr. 3 K.-A.; Eub., fr. 26 K.-A.<br />
59<br />
Cfr. p. es. Amph. frr. 14 e 15; Antiph. fr. 194; Axion. frr. 3 e 4; Eub. fr. 25; Ephip. fr. 20. Inoltre<br />
i frr. 6, 7, 32 di Timocle.<br />
60<br />
Cfr. Oliva, 1968, pp. 25-92.<br />
61<br />
Cfr. anche Platon.,I 6-9<br />
42
frammento di Timocle sia contenuta una tirata comico-parodica sulla tragedia. Più<br />
in generale si può cogliere un aspetto parodico verso idee tipiche della teoria<br />
letteraria come ad esempio gli effetti psicagogici della poesia 62 , la funzione<br />
educativa della poesia tragica e la teoria della catarsi 63 , qui intesa volgarmente<br />
come effetto consolatorio.<br />
Colpisce inoltre l’elenco dei personaggi tragici citati da Timocle: Telefo,<br />
Alcmeone, Antigone, Filottete, Eneo.<br />
Aristofane negli Acarnesi (vv. 395-475) cita Eneo l’infelice, Fenice il cieco,<br />
Filottete il pezzente, Bellerofonte lo sciancato e Telefo; in sostanza un elenco di<br />
nomi che presenta una chiara corrispondenza con l’elenco di Timocle non soltanto<br />
per la coincidenza dei personaggi, ma, soprattutto, per il contesto: in Aristofane si<br />
trattava di un attacco satirico a Euripide e al suo modo di concepire la tragedia.<br />
Nel frammento di Timocle mi sembra che si possa leggere, nel clima di<br />
contrapposizione tra tragedia e commedia nel IV sec. a.C., una forte ironia nei<br />
confronti della funzione psicologica della drammaturgia tragica. Il titolo<br />
dell’opera richiama peraltro le Tesmoforiazuse.<br />
Quindi parodia critica verso un genere teatrale e una concezione filosofica. Non è<br />
di questo avviso V. Bevilacqua (1939 p. 32) che invece afferma: “…l’utilità<br />
pratica della tragedia ci appare frutto di una ferma persuasione”. Ma ha senso<br />
pensare ad affermazioni di questo tipo nel quadro di una commedia del IV sec.<br />
a.C. da parte di un autore come Timocle? C’è piuttosto da immaginare che la<br />
tirata del frammento timocleo fosse rivolta a un personaggio in difficoltà al quale<br />
un altro personaggio offre, comicamente e riduttivamente, la formula tragica come<br />
soluzione consolatoria a tutti i suoi mali. C’è una nota di concretezza e di<br />
materialità nell’ispirazione poetica di Timocle che tende a misurare sul piano<br />
della realtà la soluzione dei mali sociali e che prescinde, a mio avviso, dal<br />
proporre soluzioni consolatorie sul terreno dello spirito e della psicologia. Come<br />
abbiamo già detto e come vedremo nel prosieguo dell’analisi dei frammenti, la<br />
62 Cfr. Gorg., Hel. 8-9; Plat., Phil. 50 A-B e RP. X 605.<br />
63 Cfr. Aristot., Poet. 6, 1449b.<br />
43
sua verve ironico-comica conduce sempre a soluzioni che privilegino il<br />
miglioramento delle condizioni economiche e sociali degli ateniesi.<br />
Deve essere ancora notato che in particolare i versi 12-16 presentano, soprattutto<br />
nell’utilizzo delle forme verbali, una variazione dei tempi determinando qualche<br />
elemento di incertezza semantica 64 , pur nella regolarità morfologica dei versi<br />
suddivisi dalla cesura tra una prima parte di premessa ed una seconda di<br />
indicazione specifica.<br />
Diónusoj<br />
fr. 7 K.-A.<br />
Tramandato da Ateneo IX 407e (“lo stesso Timocle, in questi versi del Diónusoj ci<br />
dice che Telemaco era del demo di Acarne”) 65 . Il frammento è citato nell’ambito<br />
della spiegazione che Democrito offre ad Ulpiano circa il vero significato della<br />
cosiddetta “pentola di Telemaco”. La risposta di Democrito è interessante perché<br />
cita in successione tre frammenti di tre diverse opere di Timocle (Lete, Dioniso e<br />
ŒIkárioi sáturoi). Questo passo di Ateneo è importante perché contiene,<br />
nell’introduzione ai tre frammenti, sia la nota citazione (˜n dè kaì trag_díaj) sia la<br />
titolazione ƒIkárioi sáturoi in riferimento al fr. 18 K.-A.: cioè le due questioni che<br />
sono alla base della discussione intorno alla figura letteraria di Timocle 66 .<br />
Il frammento in esame è composto da quattro trimetri giambici in forma di<br />
dialogo tra due interlocutori non identificabili.<br />
Il quarto verso è insanabile.<br />
{A.} o( d' ¹Axarniko\j Thle/maxoj eÃti dhmhgoreî;<br />
{B.} o*utoj d' eÃoike toîj newnh/toij Su/roij.<br />
{A.} pÏj; hÄ ti¿ pra/ttwn; bou/lomai ga\r ei¹de/nai.<br />
{B.} qa/rghlon a)gka/lv xu/tran fe/rei.<br />
64<br />
Questo aspetto è presente anche in altri frammenti di Timocle, vedi ad es. il fr. 4.<br />
65<br />
Ateneo IX 407e: 8ti dé kaì tÏn dÔmwn ’Acarneùj ñ Thlémacoj ñ aútòj poihtÕj<br />
fhsin æn Dionús_.<br />
66<br />
Ateneo IX 407e: TimoklÖj ñ tÖj kwm_díaj poihtÖj (˜n dè kaì trag_díaj).<br />
44
(A) Telemaco del demo di Acarne 67 fa ancora chiacchiere in assemblea? (B) Egli somiglia ai Sirii<br />
comprati di recente. (A) Come? o per quali comportamenti? voglio proprio saperlo. (B) Porta in braccio<br />
una pentola di primizie.<br />
Al v. 4 il codice A dei Deipnosofisti presenta la lezione qanathgòn Þgkálhi.<br />
Commedie che prendono il nome del dio sono esistite anche per Cratete, Magnete,<br />
Alessandro Etolo, Anassandride, Eubulo ed altri; lo stesso Aristofane rappresentò<br />
un Dioniso naufrago; Cratino compose un Dionisalessandro.<br />
La datazione può essere immaginata in relazione al riferimento a Telemaco e<br />
dunque collocata dopo il 328-327 a.C., cioè a ridosso del decreto del 329 a.C. a<br />
favore di Eraclida di Cipro. Timocle rivolge un attacco pesante a Telemaco<br />
mediante l’utilizzo del verbo dhmhgoréw. Di certo il personaggio si caratterizza per<br />
la sua partecipazione alla fazione democratica 68 .<br />
E’ da notare, inoltre, il riferimento del v. 2 ai Sirii 69 , citati anche nel fr. 4, 9 (<br />
DÖloj).<br />
L’oratore Telemaco è citato anche nel fr. 21 della LÔJh timoclea in cui esorta gli<br />
ateniesi a ritornare alle cútrai o ai cumoí, cioè a una vita frugale, al fine di<br />
superare le difficoltà di approvvigionamento che avevano colpito Atene tra il 330-<br />
327 a.C. e ancora, nel fr. 18, nel quale Telemaco compare come detentore di una<br />
grande quantità di fave.<br />
Anche in questo frammento, a mio avviso, l’attacco da parte di Timocle ad un<br />
importante e influente personaggio filodemostenico non va al di là della caricatura<br />
della sua azione di governo.<br />
67 Telemaco di Acarne, politico e oratore, assicurò l’approvvigionamento alimentare di Atene<br />
durante la carestia del 330-327 a.C. Collaboratore di Demostene, si assunse tale incarico<br />
sviluppando tra il popolo una attiva campagna a favore delle fave, come antico e povero alimento<br />
degli antenati. Di qui divenne proverbiale l’espressione “pentola di Telemaco” che, secondo<br />
Eustazio (Commentarii all’Odissea I 24, 17), si applica ai poveri che si alimentano di legumi e cibi<br />
a buon mercato. Meineke, invece, rinvia alla consuetudine per cui gli schiavi che entravano per la<br />
prima volta in casa venivano colmati di doni di buon augurio tra cui una pentola di legumi: cfr.<br />
Aristoph., Plut. 768-769. Ancora Wilamowitz, 1962, pp. 690-691 cita Telemaco come proponente<br />
del decreto del 329/328 a.C. per la concessione di un premio a Eraclida di Cipro per aver venduto<br />
agli ateniesi il frumento del Ponto a prezzo modico (cfr. Dittenberger, Syll. inscr. Graec: I 3 n.<br />
304).<br />
68 Cfr. Coppola, 1927, p. 456.<br />
69 Anche se qui risulta oscuro il paragone tra Telemaco e i Sirii da poco comprati. Forse il<br />
riferimento richiama una certa tendenza dei Sirii al pettegolezzo e al chiacchiericcio.<br />
45
Si può leggere anche un riferimento ai rapporti con gli ambienti economici che<br />
avevano lucrato sulle spalle delle masse cittadine attraverso l’approviggionamento<br />
del frumento pontico. Infine, come nei confronti di Demostene (fr. 12, 4) definito<br />
ñ Briárewj, l’attacco di Timocle si appunta sulle qualità oratorie di Telemaco, ma,<br />
come vedremo nei frr. 18 e 23, il poeta tornerà a ironizzare sul personaggio per la<br />
sua smisurata passione per le fave. Tuttavia il tono generale del frammento<br />
sembra richiamarsi alla tradizione dell’ ðnomastì kwm_deîn del V sec. a.C.<br />
Ma l’ ðnomastì kwm_deîn compie ora una funzione differente ed obbedisce al<br />
nuovo modello di commedia. Si legge l’ironia contro singoli personaggi (politici,<br />
letterati, filosofi, oratori etc.), ma questa non sembra al servizio della critica di<br />
idee o valori come era in Aristofane. Nella mésh troviamo una sequela di<br />
personaggi ben noti al grande pubblico sui quali si ironizza per le debolezze<br />
gastronomiche o sessuali o per il modo di vivere, da cui i poeti cercano di far<br />
emergere piuttosto un quadro contemporaneo che rifletta in modo paradigmatico<br />
certi usi e costumi della società. In Timocle però si aggiunge anche una<br />
dimensione politica. Ma egli, come si è già evidenziato, non sembra cedere al<br />
partito preso, ma piuttosto si schiera per la difesa degli interessi dei cittadini<br />
ateniesi.<br />
46
Drakóntion<br />
fr. 8 K.-A.<br />
Si tratta di un lungo frammento di diciannove trimetri giambici tramandati da<br />
Ateneo VI 237d nell’ambito di una discussione sull’origine e sulle tipologie dei<br />
parassiti. In particolare dice Ateneo: “nel Drakóntion Timocle fa questa garbata<br />
caratterizzazione del parassita” 70 .<br />
Il titolo non è di facile interpretazione: potrebbe trattarsi del soprannome di<br />
un’etera.<br />
5<br />
10<br />
15<br />
eÃpeit' e)gwÜ para/siton e)pitre/yw tiniì<br />
kakÏj le/gein; hÀkista/ g'< ou)de/n e)sti ga\r<br />
e)n toîj toiou/toij xrhsimw¯teron ge/noj.<br />
ei¹ d' eÃsti file/tairon eÀn ti tÏn kalÏn,<br />
a)nh\r para/sitoj toûto poieî dia\ te/louj.<br />
e)râij, sunerasth\j a)profa/sistoj gi¿netai,<br />
pra/tteij ti, pra/cei sumparwÜn oÀ ti aÄn de/hi,<br />
di¿kaia tau)ta\ tÏi tre/fonti nenomikw¯j,<br />
e)paine/thj qaumasto\j oõoj tÏn fi¿lwn.<br />
xai¿rousi dei¿pnwn h(donaîj a)sumbo/loij<<br />
ti¿j d' ou)xiì qnhtÏn; hÄ ti¿j hÀrwj hÄ qeo\j<br />
a)podokima/zei th\n toiau/thn diatribh/n;<br />
iàna mh\ de\ polla\ makrologÏ di' h(me/raj,<br />
tekmh/rio/n ti pamme/geqej oômai¿ g' e)reîn,<br />
o( tÏn parasi¿twn w¨j teti¿mhtai bi¿oj<<br />
ge/ra ga\r au)toîj tau)ta\ toîj tw©lu/mpia<br />
nikÏsi di¿dotai xrhsto/thtoj ouàneka,<br />
si¿thsij. o*u ga\r mh\ ti¿qentai sumbolai¿,<br />
prutaneîa taûta pa/nta prosagoreúetai.<br />
E poi io permetterò a qualcuno di parlare male del parassita? niente affatto. Non c’è infatti un genere più<br />
utile in tali frangenti. Se il cameratismo è una delle cose belle, il parassita lo è completamente. Tu ami e<br />
70<br />
Athen. VI 237d: carakthrízei dŒo÷k arrúJmwj tòn parásiton ñpoîój tij æstì<br />
TimoklÖj æn Drakontí_ o0twj.<br />
47
diventa un compagno d’amore premuroso. Tu tratti qualcosa e lui standoti vicino farà ciò che ti serve,<br />
considerando giuste quelle cose che lo sono per il suo patrono. Quanto mirabilmente è lodatore degli<br />
amici! Essi godono del piacere dei pasti senza costi; quale mortale non ne godrebbe? O quale eroe o<br />
divinità rifiuta una tale prebenda? Per non passare il giorno in lunghi discorsi credo di fornire una<br />
grandissima prova di quanto la vita dei parassiti sia stimabile. Sono assegnati ad essi, per i loro meriti, 71<br />
i medesimi onori che sono dati a chi vince ad Olimpia, il pranzo a spese pubblico. Infatti tutti questi luoghi<br />
dove non si pagano contributi per il pranzo sono detti pritanei 72 .<br />
Parassiti e cortigiane costituiscono due categorie spesso poste sotto i riflettori da<br />
parte dei commediografi della mésh.<br />
Nel frammento Timocle realizza una forte ironia attraverso l’utilizzo di un tono<br />
apparentemente apologetico.<br />
Da notare che ai vv. 6-12 il poeta utilizza lo stesso schema (protasi/apodosi) già<br />
adottato ai vv. 9-16 del fr. 6.<br />
La crescente ironia raggiunge la sua acme nel paragone con gli dei e i vincitori<br />
d’Olimpia. Ancora una ironica ridicolizzazione del ruolo degli dei che Timocle<br />
aveva già prefigurato nel fr. 1. Là gli dei erano impotenti verso chi compie<br />
a)sébeia, qui addirittura sono paragonati ai parassiti o costituiscono il massimo<br />
modello di parassita.<br />
Superato il V sec. a.C. e l’esperienza della commedia basata sulla critica alle idee<br />
dominanti, i “tipi” comici (l’etera, il parassita, il cuoco, lo schiavo, il giovane<br />
amante, il fanfarone, il vecchio, il medico etc.), alcuni dei quali erano già presenti<br />
nell’ Þrcaía, assunsero nella mésh una nuova centralità 73 . Su questo sviluppo<br />
ebbero influenza tre fattori:<br />
a. un’evoluzione tematica tesa ad un maggior realismo.<br />
b. la crescente importanza della figura dell’attore che favorì la<br />
caratterizzazione dei tipi comici.<br />
c. il contesto sociale e un marcato impoverimento che indussero forme di<br />
vita fortemente limitanti.<br />
71 La formula crhstóthtoj o0neka è la medesima formula utilizzata nei decreti.<br />
72 Il riferimento al premio assegnato ai vincitori di Olimpia di ospitalità gratuita nel pritaneo può<br />
qui configurarsi come una critica alle eccessive spese del pritaneo. Cfr. anche Alex. fr. 115 K.-A.<br />
73 Cfr. Nesselrath, 1985 pp. 280-330.<br />
48
Si spiega così perché ritroviamo in alcuni dei superstiti frammenti di Timocle<br />
prevalentemente le figure del parassita e dell’etera 74 .<br />
Il termine parassita 75 , utilizzato al fine di indicare un personaggio che otteneva da<br />
mangiare in cambio di certi servizi, fu introdotto per la prima volta da Araro nella<br />
commedia Imeneo (fr. 16 K.-A.) o da Alessi nella commedia Il parassita (frr. 183-<br />
185 K.-A.) probabilmente fra il 360 / 350 a.C., come sviluppo della figura del<br />
kólax o adulatore della commedia anteriore 76 . Le condizioni economiche del IV<br />
sec. a.C. favorirono lo scivolamento della figura del kólax verso quella del<br />
parásitoj. Ad esempio Alessi (frr. 180-184 K.-A.) rappresentò la figura del<br />
parassita collegandola in modo vincolante al contesto culinario. Tra i personaggi<br />
reali del IV sec. a.C. che la mésh identifica come parassiti emergono le figure di<br />
Titimallo e Cherefonte che saranno riprese da Timocle rispettivamente nei frr. 10,<br />
20 e 21 e nel fr. 9. Una delle caratteristiche del parassita è l’ Þlazoneía. Egli si<br />
compiace nel dimostrare la superiorità della propria técnh. Diodoro di Sinope nel<br />
fr. 2 K.-A. addirittura attribuisce a Zeus l’invenzione della funzione del parassita,<br />
riprendendo lo spunto dei vv. 11-12 di Timocle. Altre sue caratteristiche sono<br />
l’ingordigia, la presenza ai banchetti in qualità di ospite \klhtoj e il non pagare la<br />
quota di partecipazione al deîpnon.<br />
In questo fr. 8 Timocle sviluppa la figura del parassita sottolineando soprattutto<br />
due aspetti:<br />
a. il rapporto di forte vicinanza all’amico generoso in tutti gli eventi della<br />
vita (vv. 1-12);<br />
b. la caratterizzazione del beneficio per il parassita che consiste nel gratuito<br />
nutrimento (vv. 13-16).<br />
74<br />
Soltanto nei frr. 24 e 25 si ritrovano riferimenti alla figura dell’innamorato. Non sono trattate<br />
direttamente le figure del cuoco, del fanfarone, dello schiavo e del medico.<br />
75<br />
Cfr. Belardinelli, 1998, pp. 272-273 e pp. 278-279.<br />
76<br />
In origine parásitoj era il personaggio che in Atene veniva prescelto per i sacrifici in onore di<br />
Eracle.<br />
49
Il frammento di Timocle è attraversato da una sottile ironia. Infatti l’attaccamento<br />
del parassita al generoso amico in ogni frangente della vita più che un atto di<br />
amicizia sembra richiamare l’ossessione che suscita il petulante scocciatore che<br />
Orazio descriverà più tardi nella celebre Satura I, 9. Lo sforzo di assegnare una<br />
veste di nobiltà al gratuito consumo dei pasti giunge al paradossale paragone con<br />
le gratificazioni che il pritaneo riconosceva ai grandi benefattori della pólij.<br />
Sull’origine del mestiere del parassita è particolarmente importante il frammento<br />
2 K.-A. 77 , dall’Ereditiera di Diodoro di Sinope (III sec. a.C.), in cui il poeta<br />
riassume tutte le componenti fondamentali del personaggio del parassita.<br />
5<br />
10<br />
15<br />
20<br />
bou/lomai deiÍcai safw½j w¨j semno/n e)sti<br />
tou=to kaiì nenomisme/non kaiì tw½n qew½n<br />
euÀrhma, ta\j d' aÃllaj te/xnaj ou)deiìj qew½n<br />
kate/deicen, a)ll' aÃndrej sofoi¿. to\ ga\r<br />
parasiteiÍn euÂren o( Zeu\j o( fi¿lioj, o( tw½n<br />
qew½n me/gistoj o(mologoume/nwj. ouÂtoj ga\r<br />
ei¹j ta\j oi¹ki¿aj ei¹se/rxetai ou)xiì diakri¿naj<br />
th\n penixra\n hÄ plousi¿an, ou d' aÄn kalw½j<br />
e)strwme/nhn kli¿nhn iãdv parakeime/nhn te<br />
th\n tra/pezan pa/nq' aÁ deiÍ eÃxousan, hÃdh<br />
sugkatakliqeiìj kosmi¿wj a)risti¿saj e(auto/n,<br />
e)ntragw¯n, piw¯n, a)pe/rxet' oiãkad' ou)<br />
katabalwÜn sumbola/j. ka)gwÜ poiw½ nu=n tou=t'<<br />
e)pa\n kli¿naj iãdw e)strwme/naj kaiì ta\j<br />
trape/zaj eu)trepeiÍj kaiì th\n qu/ran<br />
a)ne%gme/nhn, ei¹se/rxomai e)nqa/de siwpv=, kaiì<br />
poih/saj eu)stalh=<br />
e)mauto/n, wÐste mh\ 'noxleiÍn to\n sumpo/thn,<br />
pa/ntwn a)polau/saj tw½n parateqe/ntwn,<br />
piw¯n, a)pe/rxom' oiãkad' wÐsper o( Zeu\j o(<br />
fi¿lioj. oÀti d' hÅn to\ pra=gm' eÃndocon a)eiì kaiì<br />
kalo/n, e)keiÍqen aÄn gnoi¿h tij eÃti<br />
safe/steron. to\n ¸Hrakle/a timw½sa<br />
lamprw½j h( po/lij e)n aÀpasi toiÍj dh/moij<br />
77 Un ampio commento al frammento si trova in Belardinelli, 1998, pp. 270-287.<br />
50
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
qusi¿aj poioume/nh, ei¹j ta\j qusi¿aj tau/taj<br />
parasi¿touj t%½ qe%½ ou) pw¯pot'<br />
a)peklh/rwsen, ou)de\ pare/laben ei¹j tau=ta<br />
tou\j tuxo/ntaj, a)lla\ kate/legen e)k tw½n<br />
politw½n dw¯dek' aÃndraj e)pimelw½j<br />
e)klecame/nh tou\j e)k du/' a)stw½n gegono/taj,<br />
eÃxontaj ou)si¿aj, kalw½j bebiwko/taj.<br />
eiåq' uÀsteron to\n ¸Hrakle/a mimou/menoi tw½n<br />
eu)po/rwn tine\j parasi¿touj e(lo/menoi tre/fein<br />
pareka/loun ou)xiì tou\j xariesta/touj<br />
e)klego/menoi, tou\j de\ kolakeu/ein<br />
duname/nouj kaiì pa/nt' e)paineiÍn: oiâj e)peida\n<br />
proseru/gv, r(afaniÍdaj hÄ sapro\n si¿louron<br />
katafagw¯n, iãa kaiì r(o/da fasiìn au)to\n<br />
h)risthke/nai. e)pa\n d' a)popa/rdv meta/ tinoj<br />
katakei¿menoj tou/twn, prosa/gwn th\n r(iÍna<br />
deiÍq' au(t%½ fra/sai, po/qen to\ qumi¿ama tou=to<br />
lamba/nei. dia\ tou\j toiou/touj tou\j a)selgw½j<br />
xrwme/nouj to\ ti¿mion kaiì to\ kalo\n ai¹sxro/n<br />
e)sti nu=n.<br />
“Voglio mostrarti chiaramente che fare il parassita è cosa venerabile e onorata, un’invenzione degli dei.<br />
Le altre arti non le insegnò alcun dio, ma uomini saggi. Fare il parassita fu invenzione di Zeus protettore<br />
dell’amicizia, da tutti riconosciuto il più potente degli dei. Infatti egli entra nelle case senza distinguere se<br />
povere o ricche. Dove vede un divano ben preparato e vicina una tavola con tutto ciò che serve, Zeus<br />
allora si sdraia con decoro. Si offre il pranzo, mangia e beve, poi fa ritorno a casa senza pagar. Anch’io<br />
ora faccio così. Quando vedo divani ben preparati e tavole pronte e l’uscio aperto, qui entro in silenzio e<br />
mi comporto in modo corretto si da non recar molestie al mio commensale. Godo di ogni portata, bevo,<br />
poi come Zeus protettore degli amici, me ne torno a casa. Che far così sia sempre stata cosa nobile e<br />
onesta, potresti capirlo ancor più chiaramente da questo fatto: quando onorava splendidamente Eracle<br />
offrendo sacrifici in ogni tempio, Atene per questi sacrifici non sorteggiò mai i parassiti del dio né prese<br />
mai a questo scopo cittadini qualunque, ma, fatto un elenco di quelli nati da padre e madre del luogo<br />
forniti di beni e decorosi nel vivere, eleggeva con cura dodici cittadini.<br />
In seguito poi, imitando Eracle, alcuni beni forniti di mezzi si scelsero dei parassitì da sostenere e li<br />
invitavano; non presero i più raffinati ma chi sapeva adulare e lodare ogni cosa. Se ad essi rutta in faccia<br />
un signore, che ha mangiato ravanelli e un putrido siluro “hai mangiato viole e rose” gli dicono.<br />
51
Se, sdraiato vicino a uno di loro, un signore scoreggia lo prega di dirgli: “dove ti procacci questo<br />
profumo?” e il naso protende. A causa di tali persone che si comportano in modo volgare, oggi è una<br />
78<br />
vergogna ciò che era onorevole e onesto.”<br />
In questo lungo frammento del III sec. a.C., si ritrovano temi che richiamano<br />
alcuni aspetti che abbiamo visto trattati nei frammenti di Timocle e che sembrano<br />
da essi ispirati a partire dall’attacco alla religione ufficiale (Zeus ridotto a<br />
parassita) e alla figura e al ruolo sociale del parassita (cfr. i richiami a Titimallo),<br />
di cui il frammento riassume le caratteristiche tipiche evidenziate nella commedia<br />
della mésh e, più avanti, della néa.<br />
Ma la figura del parassita è centrale, come si è detto, anche in altri frammenti di<br />
Timocle. In particolare il fr. 9 K.-A. tratta le figure del parassita Cherefonte e di<br />
un tale Demozione non altrimenti noto se non per questa citazione.<br />
; Epistolaí 79<br />
fr. 9 K.-A.<br />
Si tratta di un frammento tramandato da Ateneo VI 243b. Ci troviamo ancora<br />
nell’ambito della discussione sui parassiti e, ancora una volta, Ateneo cita in<br />
successione tre frammenti da diverse commedie di Timocle (Centauro, Cauni e<br />
Lettere) 80 .<br />
I versi 4-5 presentano corruttele.<br />
Il frammento 9 è riservato al parassita Cherefonte.<br />
Dice Ateneo: “nelle ƒEpistolaí Timocle lo (Cherefonte) ricorda anche come uno<br />
che visse a spese dello scialacquatore Demozione”. Di Demozione non abbiamo<br />
notizie.<br />
78<br />
Cfr. traduzione riportata in Ateneo VI p. 579 - 580 a cura di A. Rimedio con due leggere<br />
modifiche ai vv. 4 e 13.<br />
79<br />
Il fr. 10 delle ; Epistolaí sarà trattato all’interno del commento.<br />
80<br />
Cfr. anche Ath. IX 407f con tre frammenti in successione ripresi rispettivamente dall’Oblio,<br />
Dioniso e Satiri d’Icaro.<br />
52
Cherefonte è, invece, personaggio più volte citato da Ateneo 81 . Si tratta di un<br />
parassita ben noto ad Atene negli anni intorno al 325-310 a.C. 82 Di qui una<br />
possibile datazione della commedia intorno agli anni 315-310 a.C.<br />
5<br />
o( Dhmoti¿wn de\ parame/nein au(tÏi dokÏn<br />
ta)rgu/rion ou)k e)fei¿det', a)lla\ pare/trefe<br />
to\n boulo/menon. o( XairefÏn me\n pantelÏj<br />
oiãkade badi¿zein † 4ieto ý † tala/ntatoj.<br />
kaiì mh\n eÃti † toût' eÃstin † aÃcion mo/non,<br />
to\n paramash/thn lamba/nein di¿kroun cu/lon<<br />
ouÃt' euÃruqmoj ga/r e)stin ouÃt' a)xrh/matoj.<br />
Demozione credendo che il denaro gli durasse a lungo, non lo risparmiava ma anzi manteneva chiunque<br />
lo volesse. Cherefonte, povero sventurato, senza dubbio credeva di recarsi nella propria casa. E in verità<br />
poi questo è l’unico comportamento degno, prendersi per compagno di mensa un bastone biforcuto 83 ;<br />
egli 84 infatti non è né un tipo aggraziato né privo di mezzi propri.<br />
E’ interessante evidenziare che anche Menandro si è occupato di Cherefonte 85 in<br />
due frammenti citandolo come contemporaneo. Informazione che conforta sulla<br />
datazione bassa delle ; Epistolaí.<br />
Pur nell’incertezza del testo mi sembra che si possa interpretare così: Demozione<br />
è talmente sprovveduto e pronto ad ospitare chiunque che a lui ben si addice un<br />
poco di buono come Cherefonte.<br />
In generale Cherefonte emerge, soprattutto dai frammenti degli altri comici che lo<br />
citano, come personaggio pieno di iniziative al servizio del suo interesse e come<br />
quintessenza dell’ingordo. Su Demozione non abbiamo notizie specifiche salvo la<br />
definizione di Ateneo: #aswtoj.<br />
Un’altra figura di parassita trattata da Timocle è quella di Titimallo nei frr. 20-21<br />
K.-A.<br />
81 Cfr. Ath. IV 134e; 136e; 164f; 165a.<br />
82 Su Cherefonte cfr. anche Alex. fr. 213 K.-A.<br />
83 “Bastone biforcuto” era il collare dei criminali.<br />
84 E’ incerto se il soggetto sia Demozione o Cherefonte (cfr. Bevilacqua, 1939, p. 42). Tuttavia il<br />
riferimento ai “mezzi propri” sarebbe un’ ovvia ripetizione del v. 1 se applicato a Demozione.<br />
85 Cfr. Bevilacqua, 1939, pp. 42 e 43.<br />
53
Kaúnioi<br />
fr. 20 K.-A.<br />
Lo stesso titolo si ritrova in Alessi fr. 106 K.-A..<br />
Il frammento dei Kaúnioi è tramandato da Ateneo VI 240de. Si tratta di sei trimetri<br />
giambici.<br />
Il passo è citato con riferimento a quella categoria di parassiti riconoscibili dal<br />
loro stesso nome 86 . Titimallo è citato anche nel fr. 21 dalla commedia Kéntauroj $h<br />
Dexamenój 87 . Timocle dice : TiJúmallon a÷tòn kaì parásiton ÞpokalÏn<br />
(chiamandolo vero Titimallo e parassita). Si tratta, come si evince dal titolo, di<br />
una commedia che sviluppa temi mitici della tragedia in forma parodica e<br />
proiettati nell’Atene del IV sec. secondo uno schema proprio della mésh.<br />
Titimallo e Filippide erano di certo due noti parassiti nell’Atene degli ultimi<br />
decenni del IV sec., come si evince dal numero di citazioni nei frammenti della<br />
mésh. Ma torniamo al fr. 20 dei Kaúnioi:<br />
5<br />
hÃdh prosenh/nektai. ti¿ me/llei; speu/dete,<br />
ý tân. o( ga\r Tiqu/malloj ouÀtwj a)nebi¿w<br />
komidÖi teqnhkw¯j, tÏn a)n' o)ktwÜ tou)boloû<br />
qe/rmouj mala/caj. ou)k a)pekarte/rhse ga\r<br />
e)keînoj, a)ll' e)karte/rhs', ý fi¿ltate,<br />
peinÏn.<br />
E’ già pronto 88 . Cosa s’aspetta? affrettatevi cari miei. Così infatti tornò in vita Titimallo, che era morto<br />
completamente, ammorbidendo lupini da otto misure per un obolo. Quello infatti ebbe la forza di<br />
sopportare la fame ma, mio caro, non si lasciò morire di fame.<br />
86<br />
Titimallo era detto così a causa del colorito rosso.Cfr. Plin., XXVI 68 che parla del titimallo con<br />
rami rosseggianti.<br />
87<br />
Dessameno, re di Oleno, che aveva promesso la figlia Mnesimacle ad Eracle; ucciso poi<br />
dall’eroe quando questi ritrovò la ragazza fidanzata al centauro Eurizione. Cfr. Diod. Sic. IV 33, 1.<br />
88<br />
Kock propone il punto interrogativo dopo prosenh/nektai e Jacobs propone me/lleij al<br />
posto del tradito me/llei.<br />
54
Il titolo della commedia si riferisce agli abitanti di Cauno, città fondata da Cauno,<br />
che, innamoratosi della sorella gemella Bibli, fuggì in Caria. La sorella<br />
abbandonata, gettatasi da una rupe, fu trasformata in fonte grazie all’intervento<br />
delle Ninfe 89 .<br />
C’è da notare ai vv. 4-5 il gioco di parole a)pekarte/rhse/e)kartÔ/rese che richiama,<br />
ancora una volta, le antitesi care a Demostene (Halonn. 5-6, 342 a.C.) dove, in<br />
relazione alla eventuale cessione dell’isola da parte di Filippo, Demostene utilizza<br />
lábhte / Þpolábhte). Dunque un richiamo parodico alle antitesi dell’oratore (cfr.<br />
anche Alessi fr. 212 K.-A.).<br />
Per quanto riguarda il parassita Titimallo, egli è spesso citato dai comici come un<br />
parassita tanto miserabile da divenire sinonimo di “affamato”.<br />
Invero i due frammenti di Timocle su Titimallo presentano interessanti elementi<br />
di analisi. Abbiamo già detto che nell’ambito della mésh i due principali obiettivi<br />
filosofici oggetto di parodia furono i pitagorici e Platone. In particolare nei<br />
confronti dei pitagorici si realizzò una convergenza tra la parodia filosofica e la<br />
commedia dei caratteri 90 .<br />
Lo studio dei frammenti della mésh permette di osservare una sorta di confluenza<br />
comica tra il mondo pitagorico, il parassita e l’ ÞlazÍn. L’attacco ai pitagorici si<br />
rileva anche dai titoli di alcune commedie 91 ; in generale i poeti comici tendono a<br />
riferirsi a quelle figure di pitagorici provenienti dalla Magna Grecia che avevano<br />
conservato le tradizioni più antiche della setta, di fatto convergenti con gli aspetti<br />
delle teorie “ciniche” che predicavano le sobrietà volontariamente accettata.<br />
Nel fr. 9 del PuJagoristÔj di Aristofonte si parla appunto di pitagorici sobri nel<br />
mangiare, e nel fr. 10 si descrivono gli abiti dei pitagorici sudici e privi di lusso,<br />
citando in particolare i due noti parassiti Titimallo e Filippide 92 .<br />
Titimallo e Filippide erano appunto due parassiti ben noti nell’Atene del tardo IV<br />
sec. a.C.<br />
89<br />
Cfr. Ov., Metam. IX 451 e sgg. Secondo un'altra tradizione Bibli si sarebbe impiccata.<br />
90<br />
Cfr. Sanchis LLopis, 1995, pp. 67-82.<br />
91<br />
Ad es. PuJagoristÔj di Aristofonte e PuJagorízousa di Cratino il giovane e Alessi; infine<br />
Tarantînoi di Alessi.<br />
92<br />
Sul tema del vegetarianismo dei pitagorici, emarginazione sociale e commedia del IV sec. a.C.<br />
cfr. Santese, 2001, pp. 1-13.<br />
55
Aristofonte nel PuJagoristÔj esplorò al massimo tutte le possibilità comiche nei<br />
confronti dei pitagorici.<br />
Alessi nel fr. 164 K.- A. dice:<br />
ñ dè sòj pénhj 1st; , ý glukeîa< toûto dè<br />
dédoic; ñ Janatoj tò génoj, 9j fasin, mónon.<br />
ñ goûn TiJúmalloj ÞJánatoj periércetai 93<br />
dove si indica l’ “immortalità” di Titimallo riferita alla teoria pitagorica in base<br />
alla quale l’immortalità è collegata alla pratica vegetariana.<br />
Nel frammento di Timocle si noti il riferimento ai “lupini” comprati a basso<br />
prezzo che salvano Titimallo dalla morte con evidente riferimento comico alle<br />
proibizioni alimentari dei pitagorici. Tali proibizioni, peraltro, come ricorda<br />
Porfirio 94 , i pitagorici l’avevano presa dagli Egizi 95 . Nel frammento leggiamo<br />
anche l’allusione alla “fame” (cfr. vv. 4-6), che richiama il fr. 164 K.-A. di Alessi<br />
secondo il quale la morte teme soltanto gli uomini più affamati.<br />
In generale si può dunque dire che i frammenti conservati della mésh confermano<br />
una prassi parodica nei confronti dei pitagorici. E ciò costituisce una ulteriore<br />
conferma dello sviluppo della mésh in direzione della commedia dei “tipi” e<br />
dell’interesse per la parodia filosofica. Sul piano del rapporto tra pitagorici e<br />
parassiti, i commediografi sembrano determinarne un legame attraverso la<br />
categoria dell’ “imbroglio” che si basa sulla falsa fedeltà ai principi della setta<br />
filosofica e su una pratica di vita incongruente con le idee sostenute. L’aspetto<br />
comico si evidenzia nello smascheramento di un tale comportamento e nella<br />
rivelazione delle ragioni autentiche di una prassi che si pretende di giustificare<br />
attraverso un certo credo ideologico.<br />
Ma, come si è detto, nei commediografi della mésh non si ritrovano le pretese<br />
educative che caratterizzano, invece, la commedia di Aristofane. Perciò pitagorici,<br />
parassiti e cinici appaiono uniti nell’ironia dei poeti nei confronti di persone la cui<br />
93 “Tuo (marito), mia cara, è un poveraccio; a quanto dicono, la morte teme soltanto questo<br />
genere (d’uomo). Titimallo, ad esempio, va qua e là immortale.”<br />
94 Cfr. Porphyr. VP 43-45.<br />
95 Cfr. Tim. fr. 1 K.-A. attacco alla religione egiziana.<br />
56
autentica filosofia consiste soltanto nella lotta quotidiana per liberarsi dal rischio<br />
incombente della fame.<br />
Il Titimallo del fr. 20 di Timocle, che da moribondo torna in vita mangiando<br />
lupini comprati a basso costo, costituisce una rappresentazione significativa di<br />
questa tendenza della mésh.<br />
Il frammento 10 delle ;; Epistolaí è introdotto da Ateneo nel quadro di una<br />
riflessione sul rapporto tra la figura del parassita e il suo stesso nome.<br />
Dice infatti Ateneo VI 240d: para/sitoi d' e)p' o)no/matoj e)ge/nonto Tiqu/malloj<br />
me/n..., come abbiamo già riportato in precedenza.<br />
oiãmoi kakodai¿mwn, w¨j e)rÏ. ma\ tou\j qeou/j,<br />
Tiqu/malloj ou)depw¯pot' h)ra/sqh fageîn<br />
ouÀtw sfo/dr', ou)de\ Ko/rmoj i¸ma/tion labeîn,<br />
ou) Neîloj aÃlfit', ou) Ko/rudoj a)su/mboloj<br />
kineîn o)do/ntaj.<br />
Ohimè sventurato, come sono innamorato! Per gli dei mai Titimallo così fortemente desiderò mangiare né<br />
Cormo rubare un mantello né Nilo (bramò) le focacce d’orzo né Corido muovere i denti senza pagare il<br />
conto 96 .<br />
Nei due frammenti 9 e 10 Timocle cita complessivamente cinque famosi parassiti.<br />
In particolare il nome di Titimallo nel fr. 10 pone dei problemi di datazione della<br />
commedia. Come è stato segnalato nel commento al fr. 9 delle ;; Epistolaí, la<br />
citazione del parassita Cherefonte, citato a sua volta da Menandro in due<br />
frammenti, fa pensare ad una datazione bassa della commedia. Al fr. 10 abbiamo<br />
però la citazione di Titimallo che compare anche ai frr. 20 e 21. In particolare il<br />
Kock 97 associa il fr. 20 (Kaúnioi) all’orazione di Demostene Su Alonneso<br />
pronunciata nel 342 a.C., stabilendo intorno a quella data la rappresentazione dei<br />
Kaúnioi.<br />
96 Il frammento riporta i nomi di quattro parassiti. Di questi Corido è citato da Timocle anche nel<br />
fr. 11 K.-A.; sul tema dell’amore contraccambiato cfr. anche fr. 25 K.-A. relativo alla commedia<br />
Néaira.<br />
97 Su questi aspetti cfr. Bevilacqua, 1939, p. 40 e p. 43.<br />
57
Tuttavia, innanzitutto non abbiamo la certezza che i Kaúnioi siano databili intorno<br />
al 342 a.C. Infatti appare molto labile il riferimento all’orazione di Demostene.<br />
Comunque, la citazione del parassita Cherefonte da parte di Timocle e di<br />
Menandro non può che far presupporre una ravvicinata rappresentazione delle due<br />
commedie verso la fine del IV sec. a.C. In questo senso converge anche la<br />
citazione del parassita Corido ripreso anche nel fr. 11 di Timocle. Dunque è<br />
probabile che le due commedie appartengano all’ultimo ventennio del IV sec. a.C.<br />
Il fr. 10 costituisce, peraltro, anche uno dei rari riferimenti di Timocle al tema<br />
dell’amore (l’altro riferimento è nel fr. 25 K.-A.), un tema che trova una certa<br />
diffusione nei frammenti della mésh, ma che risulta molto marginale nei versi di<br />
Timocle che siamo in grado di leggere.<br />
Sotto questo aspetto il nostro poeta presenta una certa distanza rispetto<br />
all’evoluzione che la tematica avrà nella néa. Tuttavia ciò è coerente con gli<br />
interessi timoclei che, come mi sembra, sono fortemente e prioritariamente<br />
orientati alla realtà economica e sociale dell’Atene della seconda metà del IV sec.<br />
a.C. Peraltro più che trattare il tema dell’amore il frammento timocleo sembra,<br />
ancora una volta, una buona occasione per assestare un altro colpo alla figura del<br />
parassita di cui evidenzia tutti i difetti fondamentali.<br />
; Epicairékakoj<br />
fr. 11 K.-A.<br />
Tramandato da Ateneo VI 241a. Dice Ateneo: ˜n de\ kaiì o( Ko/rudoj tÏn di'<br />
o)no/matoj parasi¿twn 98 .<br />
In questo passo sui parassiti Ateneo cita Timocle senza associare al suo nome la<br />
qualifica di commediografo.<br />
Il nostro frammento è composto da nove trimetri giambici.<br />
a)gora\n i¹deîn euÃoyon eu)poroûnti me\n<br />
98 Corido già citato da Timocle nel fr. 10.<br />
58
5<br />
hÀdiston, aÄn d' a)porÖi tij a)qliw¯taton.<br />
o( goûn Ko/rudoj aÃklhtoj, w¨j e)moiì dokeî,<br />
geno/menoj w©yw¯nei par' au(to\n oiãkade.<br />
˜n de\ to\ pa/qoj geloîon, oiãmoi, te/ttaraj<br />
xalkoûj eÃxwn aÀnqrwpoj, e)gxe/leij o(rÏn,<br />
qu/nneia, na/rkaj, kara/bouj Óimwdi¿a.<br />
kaiì taûta pa/nta me\n perielqwÜn hÃreto<br />
o(po/sou, puqo/menoj d' a)pe/trex' ei¹j ta\j membra/daj.<br />
E’ grandissima gioia per chi è ricco vedere un mercato ben fornito di pesce, invece è assai triste per un<br />
povero. Dunque Corido non invitato da nessuno, come mi sembra, acquistava pesce da portare a casa<br />
sua. Ahimè l’evento doloroso era da ridere poiché il tipo aveva quattro monete di rame 99 (e) guardando<br />
anguille, fettine di tonno, torpedini e aragoste aveva l’acquolina in bocca 100 . Andando qua e là di tutti<br />
questi chiedeva il prezzo, ma una volta saputolo, ripiegava sulle sardine.<br />
Circa la datazione della commedia è utile riferirsi a un passo di Linceo di Samo<br />
che, in un frammento 101 , ci offre una descrizione della personalità di Corido da cui<br />
questi emerge come un tipo dalla forte verve ironica e pronto alla battuta mordace,<br />
ma anche molto tirchio e pronto a sfruttare la generosità dei commensali (cfr.<br />
Tim. fr. 10 K.-A.).<br />
Dal frammento di Linceo si evince anche che partecipò alla mensa di Tolomeo I<br />
Soter (305-283 a.C.) 102 e, più avanti, che ebbe scontri con il parassita Cherefonte.<br />
Da un tale riferimento storico possiamo ritenere che la commedia sia stata<br />
composta negli ultimi anni del IV decennio a.C.<br />
Emerge inoltre la ben nota ittiofagia degli Ateniesi, che qui sembra valorizzata ma<br />
sulla quale in altri frammenti 103 Timocle ironizza.<br />
A parlare dovrebbe essere il protagonista della commedia, un personaggio pronto<br />
a godere delle disgrazie altrui 104 .<br />
99 calkoûj designava in Atene l’ottava parte dell’obolo; quindi si tratta di una moneta di poco<br />
valore.<br />
100 Notare che qui Timocle utilizza il verbo aëmwdiáw anziché l’attico aëmwdéw.<br />
101 Si tratta del fr. 29 Dalby.<br />
102 Linceo di Samo fr. 29: …parà Ptolemaí_ dè mattúhj periferoménhj kaì kat; ækeînon<br />
Þeì leipoúshj…<br />
103 Cfr. ad es. frr. 16-17.<br />
104 Bevilacqua, 1939, p. 43: “’Epicaírw indica specialmente il godere di qualche sventura altrui:<br />
il suffisso kakój viene a rafforzare tale senso”.<br />
59
Il frammento si apre con una affermazione che suona, apparentemente, come una<br />
sentenza di carattere gnomico, ma che in realtà costituisce una “verità” che<br />
assume una dimensione comica per la sua ovvietà. La sottile ironia dei vv. 6-8 sul<br />
dolore di Corido esalta il contrasto tra la nobiltà dei sentimenti e la pochezza<br />
dell’oggetto che suscita tale dolore.<br />
E’ questo un aspetto ricorrente nelle commedie della mésh, nelle quali, così come i<br />
personaggi del mito tragico (dei ed eroi) tendono ad essere immersi nelle pratiche<br />
quotidiane realizzando per questa via un effetto comico da straniamento, così pure<br />
i sentimenti più nobili sono spesso messi in gioco in rapporto agli eventi più<br />
banali. Ricorrente è anche il tema della ghiottoneria che abbiamo esaminato nei<br />
riferimenti di Timocle al personaggio di Telemaco di Acarne e più in generale alla<br />
figura del parassita. Dobbiamo però sottolineare che in questo frammento il<br />
trattamento del parassita Corido da parte di Timocle risulta meno aggressivo<br />
rispetto ad altri frammenti. La descrizione e la conclusione della scenetta<br />
sollecitano un senso di simpatia e di compartecipazione alle ambasce del<br />
personaggio piuttosto che di condanna morale come in altre occasioni (cfr.<br />
Timocle frr. 9 e 10).<br />
…Hrwej<br />
frr. 12-13-14 K.-A.<br />
Si conservano tre frammenti della commedia gli Eroi, tramandati il fr. 12 da<br />
Athen. VI 224 a-b e il fr.13 da Athen. X 455f , mentre il fr. 14 è riportato da<br />
Didimo, Commento a Demostene 9, 70 in P. Ber. 8780.<br />
In Ateneo VI 224 a-b è in corso una discussione su tragedia e commedia e si<br />
legge: “…anche noi, o Timocrate, non ti diamo nulla di nuovo (dídomen) 105 , ma ti<br />
diamo a nostra volta (Þpodídomen) gli avanzi dei dotti a banchetto come afferma<br />
l’oratore di Cotoce 106 che attaccando con dileggio Demostene riferisce come<br />
105<br />
Qui Ateneo inizia un vivace gioco parodico sulle antitesi demosteniche.<br />
106<br />
Si tratta di Eschine originario del demo di Cotoce, nella Contro Ctesifonte, 83. Fu avversario di<br />
Demostene nel periodo 346-330 a.C..<br />
60
questo, quando Filippo offriva Alonneso agli Ateniesi, consigliò loro di accettarlo<br />
solo nel caso in cui volesse renderla (Þpodídosin) e non darla (dídosin)”. Seguono<br />
le citazioni di Alessi dal Soldato (fr. 7 K.-A.) e Anassila dal Valore (fr. 9 K.-A.) e<br />
infine Timocle.<br />
I tre frammenti di Timocle sono trimetri giambici.<br />
Il frammento 12 è uno scambio di battute tra due personaggi non meglio<br />
identificati.<br />
5<br />
{A.} ou)koûn keleu/eij nûn me pa/nta mâllon hÄ<br />
ta\ proso/nta fra/zein. {B.} pa/nu ge. {A.} dra/sw tou=to/ soi.<br />
kaiì prÏta me/n soi pau/setai Dhmosqe/nhj<br />
o)rgizo/menoj. {B.} o( poîoj; {A.} † o( Bria/rewj,<br />
o( tou\j katape/ltaj ta/j te lo/gxaj e)sqi¿wn,<br />
misÏn lo/gouj aÃnqrwpoj, ou)de\ pw¯pote<br />
a)nti¿qeton ei¹pwÜn ou)de/n, a)ll' ãArh ble/pwn.<br />
(A) Allora dunque tu mi ordini di dire qualunque altra cosa piuttosto che quelle che dico. (B) Certamente.<br />
(A) Lo farò per te. E prima di tutto si placherà Demostene che è adirato con te 107 . (B) Chi? (A)Il Briareo,<br />
quello che divora le catapulte e le lance, un tipo che odia i discorsi, che non ha mai pronunciato<br />
un’antitesi ma che ha Ares nello sguardo.<br />
Il riferimento di Ateneo al discorso di Demostene Su Alonneso induce a collocare<br />
la commedia a ridosso del 342 a.C.. Tutto il frammento tende a costruire un<br />
arguto attacco a Demostene chiaramente indicato al v. 3.<br />
Non riusciamo ad individuare i due dialoganti. Certamente B era un oppositore di<br />
Demostene. Questi è paragonato, nella sua eloquenza, a Briareo il Centimane 108 .<br />
Da sottolineare a partire dal v. 5 il riferimento ironico alle tecniche oratorie di<br />
Demostene e alle sue teorie bellicistiche. Più complessa appare la spiegazione<br />
dell’ o( poîoj al v. 4. Sembra quasi che B non riconosca l’oratore dal nome, ma<br />
piuttosto dalla descrizione ironico-parodica che segue. Credo che sia un<br />
107 Il riferimento specifico all’ira di Demostene non è comprensibile. E’ evidente però che siamo in<br />
presenza di un attacco a Demostene più avanti definito come Briareo (uno dei Giganti Centimani).<br />
108 Su Briareo cfr. Hes. Theog. v. 817.<br />
61
escamotage di Timocle per accentuare ancora di più l’attacco ironico descrivendo<br />
un Demostene la cui notorietà è resa più dai suoi difetti che dal suo nome.<br />
Ma il tema più interessante si ritrova, a mio avviso, nel fatto che, ancora una<br />
volta, Timocle riconferma in questo frammento la propria inclinazione culturale<br />
favorevole ai meno abbienti. Infatti tutto il testo sembra gravitare, al di là delle<br />
punture ironiche che tendono a colpire il Demostene oratore così come colpiranno<br />
altri personaggi come Iperide, su quel finale (a)ll' ãArh ble/pwn) che costituisce il<br />
vero obiettivo di critica politica di Timocle.<br />
Insomma l’accusa che a Timocle interessa rivolgere a Demostene è di puntare alla<br />
guerra. Ciò rappresenta una colpa grave non per la guerra in sé, quanto per gli<br />
effetti che il conflitto certamente può comportare nella già pesante situazione<br />
economica di Atene. La proposta di guerra è naturalmente nei confronti di Filippo<br />
II e si concretizzerà nella grave sconfitta ateniese a Cheronea (338 a.C.).<br />
Il riferimento di Timocle ( ãArh ble/pwn) conferma dunque che siamo negli anni<br />
che preparano lo scontro di Cheronea (343-340 a.C.). 109 Si può perciò collocare<br />
l’opera intorno al 340 a.C., cioè nel quadro delle commedie giovanili del poeta.<br />
Lo scontro tra Demostene e l’ala cosiddetta filo-macedone si sviluppava allora<br />
intorno al tema relativo all’accettazione delle proposte di Filippo II di legare<br />
Atene al suo carro politico e alla volontà del partito demostenico di realizzare,<br />
invece, una alleanza generale delle póleij contro il macedone 110 per giungere allo<br />
scontro. Il dato politico non era indifferente dal punto di vista delle masse<br />
cittadine che certamente avrebbero preferito ritrovare uno spazio di agibilità<br />
economica in una fase fortemente condizionata da gravi crisi sul terreno<br />
dell’approviggionamento dei prodotti agricoli anche a prezzo di una rinuncia alla<br />
ricostruzione di una egemonia ateniese. Del resto a questo stesso tema fa<br />
riferimento Demostene (Sulla Corona 89) cercando di rispondere all’accusa che la<br />
guerra avrebbe prodotto gravi conseguenze economiche:<br />
o( ga\r to/t' e)nsta\j po/lemoj aÃneu tou= kalh\n do/can e)negkeiÍn e)n pa=si toiÍj<br />
kata\ to\n bi¿on a)fqonwte/roij kaiì eu)wnote/roij dih=gen u(ma=j th=j nu=n ei¹rh/nhj,<br />
109 Per i fatti dal 343 al 340 a.C. cfr. Diod., XVI 74 sgg. e Dem. De cor., in particolare 61-72.<br />
110 Cfr. Musti, 1995, pp. 605 sgg.<br />
62
hÁn ouÂtoi kata\ th=j patri¿doj throu=sin oi¸ xrhstoi¿, e)piì taiÍj mellou/saij<br />
e)lpi¿sin, wÒn diama/rtoien, kaiì meta/sxoien wÒn u(meiÍj oi¸ ta\ be/ltista<br />
boulo/menoi tou\j qeou\j ai¹teiÍte, mh\ metadoiÍen u(miÍn wÒn au)toiì prov/rhntai. 111<br />
Timocle sembra appunto cogliere questo aspetto e, in questo senso, organizza la<br />
sua critica ad un tempo ironica e politica all’azione del politico Demostene.<br />
fr. 13<br />
Questo frammento dagli …Hrwej è tramandato da Ateneo X 454f. Siamo nel<br />
paragrafo dedicato agli indovinelli. Il frammento di Timocle è citato dopo<br />
Antifane fr. 51 K.-A. e Anassandride fr. 6 K.-A.<br />
Anche in questo caso compaiono due personaggi.<br />
w¨j d' %hn h)rme/nh<br />
bi¿ou tiqh/nh, polemi¿a limoû, fu/lac<br />
fili¿aj, i¹atro\j e)klu/tou boulimi¿aj,<br />
tra/peza. {B.} perie/rgwj nh\ to\n ou)rano/n,<br />
e)co\n fra/sai tra/peza sunto/mwj.<br />
Come fu tolta 112 la nutrice della vita, la nemica della fame, la custode dell’amicizia, il medico della<br />
bulimia divorante, insomma la tavola. (B) Cielo, che esagerazione! Bastava dire brevemente la tavola.<br />
Il primo interlocutore potrebbe essere un cuoco dotto che adotta uno stile elevato<br />
per riferirsi a componenti della sua arte, ma potrebbe anche trattarsi di un<br />
personaggio che sfoggia termini aulici e narra la conclusione di un banchetto. In<br />
effetti non c’è traccia in altri frammenti di Timocle della figura del cuoco che pure<br />
ebbe grande riscontro nelle commedie della mésh. L’utilizzo di uno stile elevato è<br />
111 “… la guerra scoppiata allora, oltre che avervi procurato buona fama, vi consentì di accedere<br />
ai beni necessari alla vita in quantità maggiore e a minor prezzo di quanto non accada nella<br />
condizione attuale di pace, che questi individui eccellenti custodiscono in favore della patria, in<br />
nome di speranze future: e auguriamoci che queste siano deluse e possano condividere ciò che<br />
voi, che desiderate quanto di meglio possa esistere, chiedete agli dei, e non debbano essi far parte<br />
a voi della situazione che si sono scelti.” (traduzione a cura di Antonietta Porro, 1996).<br />
112 L’utilizzo del verbo a#irw si trova anche in Menandro fr. 239 tàj trapézaj a#irete.<br />
63
prassi diffusa nella mésh: esempi analoghi si ritrovano in Antifane fr. 55 K.-A.,<br />
Alessi fr. 153 K.-A. e Menandro, Misantropo vv. 946-953 113 .<br />
Kock sostiene che al v. 4 alla parola trápeza bisogna sostituire una perifrasi. Di<br />
ciò dubita V. Bevilacqua 114 . E’ possibile invece che il primo trápeza del v. 4 sia<br />
pronunciato da B e dunque il testo si leggerebbe : “(B) La tavola! per il cielo che<br />
esagerazione. Bastava dire brevemente la tavola”. In questo modo peraltro si<br />
accentuerebbe la forma di “indovinello” dei primi tre versi. Indovinelli ed enigmi<br />
sono frequenti nella mésh.<br />
L’ impostazione offerta da Timocle richiama il fr. 1 dalle Gorgónej di Enioco:<br />
⎯∪ pieîn, pieîn tij ægxeítw labwÜn<br />
† purigenÖ kukloterÖ braxu/wton paxu/stomon<br />
kw¯Jwna paiÍda fa/rugoj.<br />
Del resto come sostiene Webster (1953, pp. 43-44) tra Timocle ed Enioco esisteva<br />
un collegamento dato dalla comune presunta simpatia filomacedone.<br />
Certamente la figura del cuoco rappresenta uno dei “tipi” meglio conosciuti nella<br />
mésh e, poi, nella néa 115 . Già presenti come figure di scena nell’ Þrcaía, soltanto<br />
nella mésh i cuochi recitano ampi monologhi nei quali offrono la descrizione di<br />
una ricca sfilza di alimenti e delle relative tecniche culinarie, esibendo la propria<br />
arte e spesso polemizzando 116 oppure dialogando con colleghi 117 o conversando<br />
con un loro cliente o con uno schiavo di questo e descrivendo con grande<br />
attenzione la propria arte o quella del maestro. 118 Dalla loro Þlazoneía deriva<br />
anche una forte forma di pedanteria e loquacità descrittiva delle proprie tecniche.<br />
Compare anche la figura del mágeiroj sofistÔj (cfr. Alessi fr. 140 K.-A.) che<br />
utilizza un linguaggio dal tono elevato ed esprime una tendenza alla sentenziosità.<br />
Come potrebbe essere nel caso del nostro interlocutore timocleo, se si tratta di un<br />
cuoco. In alcune commedie inoltre la figura del cuoco risulta centrale nella trama:<br />
113 Cfr. l’intervento del cuoco Sicone e la sua aulica descrizione.<br />
114 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 56.<br />
115 Cfr. Giannini, 1960, pp.135-217; Nesselrath, 1990, pp. 297-309; Belardinelli, 2008.<br />
116 Cfr. ad es. Alex. frr. 191-194 K.-A.; Sot. fr. 1 K.-A.; Axion. frr. 4 e 8 K.-A.<br />
117 Cfr. ad es. Alex. fr. 132 K.-A.; Anax. fr. 19 K.-A.; Efip. fr. 22 K.-A.<br />
118 Cfr. ad es. Alex. frr. 24 e 175 K.-A.; Dion. fr. 2 K.-A.<br />
64
ad esempio nel Cuoco di Nicostrato, nei Cuochi di Anassilao o nello<br />
Sfingocarione di Eubulo.<br />
Come si può notare il cuoco presenta caratteristiche comuni con il parassita. Esse<br />
derivano dalla comune origine dall’ambito dei sacrifici dei culti religiosi:<br />
dall’esaltazione delle rispettive técnai alla fanfaroneria nei discorsi e all’utilizzo<br />
di un linguaggio aulico.<br />
Colpisce però che, tranne forse questo riferimento del fr. 13 K.-A. o un accenno<br />
alla capacità dei cuochi di Chio (fr. 30), Timocle non abbia trattato la figura del<br />
cuoco, almeno per quanto attiene ai frammenti a noi noti. Invece, come si è detto<br />
in precedenza, è piuttosto diffusa l’attenzione del nostro poeta verso la figura del<br />
parassita. Questa preferenza può trovare una spiegazione nel fatto che la figura del<br />
parassita e l’individuazione di personaggi anche illustri ad essa associabile<br />
creavano le condizioni più funzionali a quel tipo di intervento che principalmente<br />
interessava Timocle e che era diretto a combinare ironia e comicità con una<br />
permanente critica degli usi e dei costumi delle classi più elevate come riflesso<br />
paradigmatico di alcune degenerazioni della realtà sociale dell’Atene del IV sec.<br />
a.C.<br />
fr. 14<br />
Tramandato da Didimo, Commentario a Demostene 10, 70 119 .<br />
Si tratta di quattro versi in trimetri giambici.<br />
„ErmÖj d’ ñ Maíaj taûta sundiaktoreî<br />
$an ˜i p[r]óqumoj< katabébhken #asmenoj<br />
carizómenój g’ ’AristomÔdhi tÏi kalÏi,<br />
i$na mhkét’ a÷tòn ñ Sáturoj klépthn léghi<br />
Ermes, il figlio di Maia, se vuole, queste cose le mette a posto 120 ; è disceso con gioia per favorire<br />
Aristomede 121 il bello affinché Satiro (oppure il satiro) non lo chiami più ladro.<br />
119<br />
Si tratta del frammento 14 K.-A. riportato dal Papyrus Berolinensis 8780 che contiene “Didymi<br />
de Demosthene commenta”.<br />
65
La citazione di Aristomede “ladro” da parte di Demostene permette di fissare una<br />
datazione di massima della commedia intorno al 341 a.C., anno in cui Demostene<br />
avrebbe pronunciato quell’affermazione su Aristomede (cfr. Plut., Dem. 11, 6).<br />
Gli studiosi presentano al v. 4 una doppia lettura: ñ sáturoj oppure ñ Sáturoj.<br />
Nel primo caso si tratterebbe della presenza dei satiri nell’opera, il che farebbe<br />
pensare alla possibilità che si tratti di un dramma satiresco. Ateneo, per altro, nelle<br />
sue citazioni non classifica letterariamente né Timocle né gli Eroi. Ma Satiro era<br />
anche un nome diffuso in Atene; un famoso personaggio fu l’attore di nome Satiro<br />
di cui abbiamo numerose testimonianze tra cui quella dello stesso Demostene<br />
nell’orazione “Sulla corrotta ambasceria” (19, 193) che risale al 341 a.C.<br />
Non mi sembra tuttavia di escludere che “satiro”, in questo passaggio, possa<br />
costituire un riferimento ironico di Timocle alla persona di Demostene che aveva<br />
appunto definito “ladro” Aristomede.<br />
Timocle sembra particolarmente feroce nei confronti di Demostene in questi<br />
frammenti degli …Hrwej. Demostene è infatti definito Briareo e amante della<br />
guerra (fr. 12) e, probabilmente, Satiro in questo frammento. Il 341 a.C. è anche<br />
l’anno della Terza Filippica di Demostene e il nostro poeta non si nega né<br />
l’attacco <strong>personale</strong> all’oratore colpendolo nelle sue espressioni verbali né l’attacco<br />
politico, come si è cercato di indicare in sede di analisi del fr. 12 K.-A.<br />
Per quanto riguarda il riferimento ad Ermes, noto protettore dei ladri, la<br />
convinzione che il poeta trasmette al suo personaggio circa il fatto che l’intervento<br />
del dio possa convincere il Satiro a non offendere più Aristomede costituisce un<br />
quadretto ben costruito. Da questo quadretto emerge per un verso ancora una volta<br />
un’immagine non positiva della divinità (si rimanda su questo al fr. 1, Egizi), per<br />
l’altro un giudizio pesante anche su Aristomede che soltanto grazie all’intervento<br />
di un dio può salvarsi dall’essere etichettato come un ladro.<br />
120 Traduco secondo la correzione di Wilamowitz accolta da K.-A. Körte legge, invece,<br />
sundiakoneî come correzione del sundiaktoneî riportato dal papiro.<br />
121 Nel passaggio del papiro in cui è citato questo frammento sono citati due Aristomede: uno<br />
sarebbe il figlio del politico Aristofonte e trierarca nel 356-355 a.C. L’altro, soprannominato<br />
“Bronzeo”, è definito da Demostene “ladro” secondo Plut. (Dem. XI 6). Potrebbe tuttavia trattarsi<br />
della stessa persona, come ritiene Bevilacqua, 1939, p. 58.<br />
66
Quanto alla possibilità che si tratti di un dramma satiresco e non di una commedia<br />
in relazione al riferimento del v. 4 ñ sáturoj, appare evidente che si tratta di un<br />
elemento troppo labile per andare oltre il sospetto. Va tuttavia aggiunto che i<br />
sostenitori dell’unicità della figura di Timocle commediografo, tragediografo e<br />
satirografo potrebbero anche avvalersi della coincidenza cronologica con il<br />
dramma satiresco Licurgo rappresentato appunto nella stagione 341-340 a.C. e<br />
attribuito a Timocle per rafforzare la tesi di una sorta di fase “satiresca”<br />
dell’attività letteraria del poeta.<br />
E’ in questa commedia, più che altrove, che l’attacco <strong>personale</strong> di Timocle sembra<br />
assumere la forma più contigua all’ ðnomastì kwm_deîn, secondo un modello<br />
chiaramente ripreso dalla commedia del V secolo, come appare dalla graffiante<br />
ironia del fr. 12.<br />
; Ikárioi Sáturoi o ƒIkárioi 122<br />
frr. 15-16-17-18-19 K.-A.<br />
Si tratta dei cinque frammenti attribuiti a Timocle la cui interpretazione suscita<br />
diverse considerazioni intorno alla figura letteraria del poeta greco.<br />
Innanzi tutto deve precisarsi che i primi quattro frammenti sono tramandati da<br />
Ateneo, mentre il quinto (fr. 19) è citato da Didimo, Commentario a Demostene<br />
X, 70 col. 10, 3 restituitoci dal papiro Berolinensis 8780.<br />
Inoltre:<br />
i frammenti 16 e 17 sono in trimetri giambici;<br />
i frammenti 18 e 19 sono in tetrametri trocaici catalettici;<br />
nel frammento 15 non è chiaro il metro utilizzato dal poeta.<br />
fr. 15<br />
E’ riportato da Ateneo VIII 339d che parafrasa il testo timocleo. Ci sono stati vari<br />
tentativi di restituire i versi originali. In particolare:<br />
122 Due possibili titoli sono dedotti dalle intitolazioni di Ateneo e cioè Quelli di Icaria e I satiri di<br />
Icaria.Didimo titola l’opera come Quelli di Icaria.<br />
67
a) Hermann in un primo tentativo ha tentato di ricostruire il passo in anapesti,<br />
poi, di ricostruire, “strophicos versiculos ex anapaestis tetrametris<br />
aptatos” 123 .<br />
b) Wilamowitz 124 pensava a versi ionici.<br />
c) Kailbel ricostruisce dei trimetri giambici:<br />
kaleî gàr a÷tón, fasín, ñpótan toùj dúo<br />
skómbrouj xeníshi toùj Cairefílou ⎯∪ − ∪ −<br />
megáloisin 7detai gár.<br />
d) K.-A. riportano il frammento in prosa poiché non ritengono chiara la<br />
forma metrica.<br />
Tornando ad Ateneo il testo riporta:<br />
Puqioni¿khn de/ fhsi filhdeiÍn tari¿xwi, e)peiì e)rasta\j eiåxe tou\j Xairefi¿lou<br />
tou= tarixopw¯lou ui¸ou/j, w¨j Timoklh=j e)n ¹Ikari¿oij fhsi¿n< ãAnutoj o( paxu\j<br />
pro\j Puqioni¿khn oÀtan e)lqwÜn fa/ghi ti. kaleiÍ ga\r au)to/n, wÐj fasin, o(po/tan<br />
Xairefi¿lou tou\j du/o sko/mbrouj ceni¿shi mega/louj h(dome/nh.<br />
Antifane 125 dice che a Pitionice piaceva il pesce salato dal momento che aveva come amanti i figli di<br />
Cherefilo, il venditore di pesce salato come dice Timocle negli Icari: Anito il grasso quando va da Pitionice<br />
mangia qualcosa. Infatti lo invita, come dicono, quando ospita in casa con piacere quei due grossi sgombri<br />
dei figli di Cherefilo.<br />
Questo frammento è inquadrato da Ateneo nell’ambito di una discussione sugli<br />
;oyofágoi.<br />
Per quanto riguarda Anito, si tratta di un personaggio di incerta identificazione.<br />
Coppola 126 (p. 454) cita un #Anutoj Lakiádhj menzionato da Demosth. 49, 61 e un<br />
#Anutoj ateniese che compare in IGII 812b come stratego del 323 a.C.,<br />
identificando con il primo il personaggio di Timocle.<br />
123 Cfr. Hermann, 1827,I p. 51.<br />
124 Cfr. Wilamowitz, 1962, V p. 683 sgg..<br />
125 Cfr. frr. 26 e 22 K.-A.<br />
126 Cfr. Coppola, 1927, pp. 453-467.<br />
68
Kassel e Austin pensano a un suntriÔrarcoj del 323-322 citato in IGII/2 1632,<br />
224, 229, 237.<br />
Quanto a Cherefilo, venditore di pesce, proveniente dal demo di Peania (citato da<br />
Alessi fr. 77 K.-A. 127 ), è menzionato anche da Dinarco I, 43 e in due orazioni di<br />
Iperide (frr. 181-191 Blass). Il personaggio è noto per aver ottenuto la cittadinanza<br />
ateniese intorno al 323 a.C. per sé e per i tre figli Fedone, Panfilo e Filippo.<br />
La cittadinanza alla famiglia di Cherefilo fu concessa su sollecitazione di<br />
Demostene (cfr. Dinarco, Contro Demostene 43) per aver provveduto a rifornire<br />
di viveri la cittadinanza negli anni di carestia 330-326 a.C. Di qui l’ironia di<br />
Timocle contro gli ambienti economici (vedi anche il Telemaco del fr. 18) che<br />
sviluppano i propri affari sulle spalle dei cittadini ateniesi.<br />
Anche nel fr. 27 K.-A. di Antifane si allude ai figli di Cherefilo, in particolare<br />
quando il poeta dice che Pitionice æpì tò táricój æstin Ìrmhkuîa gár.<br />
Quanto “ai due sgombri” si tratta appunto di due figli di Cherefilo. Questa<br />
definizione si riferisce, probabilmente, al fatto che lo sgombro era ritenuto dagli<br />
ateniesi un pesce stupido per il fatto di cacciarsi facilmente nelle reti ed è, dunque,<br />
un modo ironico di Timocle per stigmatizzare la personalità dei due giovani. La<br />
figura dell’etera Pitionice di Atene ricorre in Timocle: a) come amante di Arpalo<br />
(fr. 16 K.-A.); b) nell’elenco di etere ateniesi (fr. 27 K.-A.). E’ citata anche da<br />
Alessi (fr. 14 K.-A.). Rappresenta una delle etere più note nel periodo 340-330<br />
a.C. 128<br />
Ateneo (XIII 594a / 595f) ci informa che fu la prima amante di Arpalo, che<br />
successivamente seguì a Babilonia intorno al 330 a.C. Vi morì nel 326 a.C., dopo<br />
aver dato una figlia ad Arpalo che egli condusse ad Atene e affidò a Focione (cfr.<br />
Plut. Phoc. 82). Quanto alla Pitionice citata da Timocle nel fr. 27 si tratta<br />
probabilmente di un caso di omonimia.<br />
127 Il fr. 77 K.-A. è citato da Ateneo in III 119f:<br />
toùj Cairefílou dŒ uëeîj AJhnaíouj, 3ti<br />
eêsÔgagen táricoj, o$uj kaì TimoklÖj<br />
êdÎn æpì tÏn …ippwn dúo skómbrouj 1fh<br />
æn toîj Satúroij eônai<br />
(I figli di Cherefilo divenuti cittadini ateniesi poiché egli importava pesce salato, anche<br />
Timocle avendoli visti a cavallo, li definì due sgombri nell’opera I Satiri).<br />
128 Cfr. su questo Diod. Sic. XVII, 108, 4-5.<br />
69
Infatti anche intorno alla figura di Pitionice è sorto un problema interpretativo in<br />
relazione al fatto che nel fr. 27 K.-A. di Timocle (Orestautoclide) Pitionice è<br />
citata in un elenco di etere definite grâej. Poiché la commedia è databile intorno al<br />
335-330 a.C., a quell’epoca la Pitionice di Timocle sarebbe già considerata<br />
“vecchia”. Di qui l’ipotesi di una seconda Pitionice, più giovane, che sarebbe stata<br />
l’effettiva amante di Arpalo a Babilonia 129 .<br />
C’è da notare che in questo frammento Timocle tratta, insieme alle figure del<br />
parassita e dell’etera (figure tipiche della mésh), anche quella del pescivendolo<br />
anch’esso personaggio tipico della mésh in relazione alla nota opsofagia degli<br />
ateniesi.<br />
Il punto di maggior ironia nei confronti dei pescivendoli è rappresentato dalla<br />
sottolineatura delle forme di commercio fraudolento che costoro praticavano. In<br />
questo senso è sintomatico il fr. 7 K.-A. di Senarco in cui il poeta (vv. 5-17)<br />
descrive ironicamente gli stratagemmi che essi adottavano per vendere come<br />
fresco il loro pesce avariato.<br />
Il personaggio dell’etera compare nella commedia greca alla fine del V sec. a.C.<br />
Sembra che la prima sperimentazione del “tipo” comico dell’etera appartenga a<br />
Ferecrate: 130 ma l’impulso maggiore si ebbe con la mésh. Sono infatti numerosi i<br />
titoli di commedie della mésh che si riferiscono a nomi di etere.<br />
Un buon numero di etere dell’epoca sono citate nei frammenti di Timocle (in<br />
particolare nel fr. 25 K.-A. egli cita nove nomi di etere in soli tre versi). La<br />
particolare attenzione che emerge dai frammenti di Timocle nei confronti dei<br />
parassiti e delle etere rispetto ad altre figure che hanno caratterizzato la<br />
commediografia della mésh (il cuoco, il soldato fanfarone, il vecchio, lo schiavo, il<br />
giovane innamorato etc.) trova riscontro nell’interesse che il nostro poeta rivolge<br />
prioritariamente, come abbiamo già segnalato, alle élites cittadine e alle classi<br />
dirigenti. E’ proprio in questi ambienti elevati che circolano parassiti ed etere, che<br />
offrono così al poeta la possibilità di ironizzare sui rapporti e sui vizi di<br />
personaggi ben noti al pubblico.<br />
129 Su questo tema cfr. le considerazioni ai frr. 27 e 28 K.-A. di Timocle. Peraltro Paus., (I 37,5) e<br />
Diod. Sic. Attribuiscono all’amante di Arpalo il nome PuJoníkh (Pitonica).<br />
130 Nesselrath, 1990, pp. 318-325.<br />
70
Ma la critica ironica che Timocle e la mésh esercitano verso le etere non ha nulla a<br />
che vedere con quanto si riprometteva Aristofane quando, ad esempio, ironizzava<br />
sulle donne. Timocle (cfr. fr. 25) sembrava puntare la sua critica contro la natura<br />
degenerata di questi personaggi (etere e parassiti) che nell’arricchimento<br />
<strong>personale</strong> e nella soddisfazione dei propri desideri senza particolari sacrifici<br />
simboleggiano una tipologia di figure socialmente negative nell’Atene del tardo<br />
IV sec. a.C. Soltanto più tardi, con la néa e con Menandro, si recupererà<br />
un’immagine e una funzione delle etere che giungeranno, in taluni casi, a<br />
diventare lo strumento positivo di intrighi amorosi e di vicende familiari come ad<br />
es. Abrotono nell’Arbitrato, che a sua volta costituirà un modello per la Taide<br />
dell’Eunuchus di Terenzio 131 .<br />
Un esempio di feroce invettiva si trova anche nella commedia Neotide di<br />
Anassilao (fr. 22 K.-A.) datata intorno al 350 a.C., in cui si paragonano alcune<br />
famigerate etere ai mostri mitologici. La Pitionice del fr. 16 di Timocle che fa<br />
man bassa dei doni ricevuti e si unisce ai figli del celebre pescivendolo<br />
Cherefonte per soddisfare le proprie ghiottonerie; l’estasiata descrizione<br />
dell’ignoto personaggio del fr. 24 di Timocle che esalta l’amore virginale a fronte<br />
di quello oneroso delle etere; l’avidità della Frine descritta nel fr. 25, che neppure<br />
ripaga l’amante con un atto di amore, costituiscono gli esempi del trattamento che<br />
Timocle fa di questo personaggio e rappresentano una sintesi dei difetti tipici<br />
attribuiti ad esso dai commediografi del IV sec. a.C.<br />
fr. 16<br />
Passando al frammento 16 K.-A. che in Ateneo segue immediatamente alla<br />
citazione del fr. 15 K.-A., esso è costituito da sette trimetri giambici.<br />
h( Puqioni¿kh d' a)sme/nwj se de/cetai,<br />
kai¿ sou kate/detai tuxo\n iãswj aÁ nûn eÃxeij<br />
labwÜn par' h(mÏn dÏr'< aÃplhsto/j e)sti ga/r.<br />
oÀmwj de\ doûnai¿ soi ke/leuson sarga/naj<br />
131<br />
Alcuni esempi anticipatori in tale senso si ritrovano in Eub. fr. 41 K.-A., Efip. fr. 6 K.-A. e<br />
Antiph. fr. 210 K.-A.<br />
71
5<br />
au)th/n< tari¿xouj eu)po/rwj ga\r tugxa/nei<br />
eÃxousa kaiì su/nesti sape/rdaij dusi¿n,<br />
kaiì taût' a)na/ltoij kaiì platurru/gxoij tisi¿n.<br />
Pitionice ti accoglierà amichevolmente e, magari, ti mangerà i doni che ora hai avuto da noi; infatti è<br />
insaziabile. Ma comunque dille di darti le ceste di vimini; infatti le capita facilmente di avere pesci salati<br />
e sta con due saperde e per di più stupide e con la bocca larga.<br />
Nel frammento compare ancora il nome di Pitionice.<br />
Si conferma il giudizio di Timocle sulla voracità dell’etera non meno che la<br />
pesante definizione dei figli di Cherefilo (gli amanti) qui definiti saperde (come al<br />
fr. 15 “sgombri”) stupidi e di bocca larga.<br />
Se in quest’opera compaiono i satiri, è probabile che a parlare sia Sileno che ad<br />
un tempo esprime giudizi e offre indicazioni ad un ignoto personaggio che si reca<br />
ad Atene. E’ del resto possibile che lo stesso Sileno dia anche indicazioni di<br />
viaggio come sembra suggerire il successivo fr. 17.<br />
Dice Ateneo (VIII 339d) che Pitionice era golosa di pesce salato tant’è che aveva<br />
per amanti i figli del pescivendolo Cherefonte. Tuttavia penso che il passo si<br />
possa anche interpretare come un tentativo di Timocle di giocare su due piani, da<br />
una parte ironizzando sui personaggi di Pitionice e dei due figli di Cherefilo,<br />
dall’altra sottolineando indirettamente l’attività sessuale della prima, non meno<br />
della primitiva voracità dei secondi.<br />
fr. 17<br />
Tramandato da Ateneo VIII 342a, consta di cinque trimetri giambici con una<br />
lacuna ai vv. 3 e 4 e svariati problemi testuali.<br />
Anche per questa citazione (come per le due precedenti) Ateneo indica l’opera<br />
con il titolo æn ; Ikaríoij e, alludendo a Timocle, lo definisce ñ a÷tòj poihtÔj<br />
richiamando la definizione, utilizzata poco sopra, in relazione alla citazione della<br />
commedia DÖloj (fr. 4 K.-A.) e cioè ñ kwmikój.<br />
Si tratterebbe dunque di un indizio che permetterebbe di associare all’opera<br />
designata con æn ; Ikaríoij la definizione di commediografo per Timocle.<br />
Il passo è citato da Ateneo per comprovare la nota opsofagia dell’oratore Iperide.<br />
72
5<br />
to/n t' i¹xquo/rroun potamo\n ¸Uperei¿dhn péra,<br />
oÁj h)pi¿aij fwnaîsin eÃmfronoj lo/gou<br />
ko/mpoij pafla/zwn † h)pi¿oij † puknw¯masin<br />
pro\j pan ∪ − ∪ − ∪ dusaj eÃxei,<br />
misqwto\j aÃrdei pedi¿a toû dedwko/toj.<br />
E attraversa il fiume Iperide, dalle correnti pescose, che con miti voci di un discorso assennato tumido<br />
gorgogliando † Con miti addensamenti …. ha irriga, ricevendo la paga, le pianure [di chi gli ha dato<br />
132<br />
(denaro?)<br />
La restituzione è molto incerta a causa delle lacune e delle corruzioni del testo; in<br />
particolare risultano insoddisfacenti i tentativi di ricostruzione del v. 4.<br />
Già al v. 1 péra risulta correzione di Jacobs 133 ; al v. 3 l’aggettivo h)pi¿oij richiama<br />
lo stesso aggettivo del v. 2 134 .<br />
Sulla figura di Iperide si è già detto trattando il fr. 4 K.-A. L’attacco di Timocle<br />
riguarda sia la vicenda di Arpalo sia la sua opsofagia. In questo frammento le<br />
incertezze di lettura del testo rendono pressoché impossibile comprendere fino in<br />
fondo la metafora e l’intenzione satirica del poeta. Gli elementi che si possono<br />
evidenziare sono:<br />
a) Iperide è scherzosamente paragonato ad un fiume ricco di pesci da<br />
attraversare. Qui si possono ravvisare sia un giudizio sulla natura<br />
dell’oratoria irruente del personaggio sia un riferimento all’opsofagia che<br />
richiama il fr. 4 K.-A.<br />
b) Seguono due concetti contrapposti: h)pi¿aij (miti v. 2) e Òpíoij (v. 3 se è<br />
giusta la correzione) 135 , ma subito dopo ko/mpoij pafla/zwn, dove si<br />
evidenzia lo stile “gonfio” dell’oratore e i puknw¯mata che indicano la<br />
“densità” dello stile. Forse il poeta vuole rimarcare una contrapposizione<br />
ironica tra il tono della voce di Iperide e la densità dello stile.<br />
132<br />
Per questo passo lacunoso ho adottato la traduzione di Cipolla, 2003, p. 319.<br />
133<br />
Pérason A, Peráson CE.<br />
134<br />
Kaibel invece legge øptíoij = piatti e inoltre al v. 4 Kaibel legge: pro\j pân [ÞpantÏn<br />
klÖiJr;;; 3tan] [l]úsaj eÃxhi (“ogni cosa travolge, quando ha rotto gli argini”).<br />
135<br />
Shpíaij in A.<br />
73
Infine credo che all’ultimo verso sia leggibile il riferimento all’attività oratoria di<br />
Iperide pronta a piegarsi agli interessi del cliente pagante piuttosto che uno<br />
specifico riferimento ai fatti di Arpalo 136 . Comunque Timocle ribadisce la forte<br />
venalità di Iperide (vedi misqwtój v. 5).<br />
fr. 18<br />
E’ riportato da Ateneo IX 407f. Si tratta di otto versi in tetrametri trocaici<br />
catalettici: unico caso tra i frammenti di Timocle (insieme al fr. 19 K.-A.<br />
tramandato da Didimo). Ci troviamo nel libro IX, in cui Ateneo tratta diverse<br />
tipologie di vivande. In particolare, all’altezza della citazione che ci interessa,<br />
Ateneo fa parlare Ulpiano: “menzionando la pentola, mio caro Democrito, mi hai<br />
fatto venire in mente che spesso ho desiderato sapere che cos’è la cosiddetta<br />
“pentola di Telemaco 137 ” e chi fosse Telemaco”. Seguono le citazioni di Timocle<br />
dall’Oblio e dal Dioniso. Infine il passo si chiude con la citazione dall’opera cui<br />
Ateneo allude con l’espressione ;en d; ; Ikaríoij satúroij 138 .<br />
Si affronterà più avanti (cap. III) la questione se si tratta della stessa opera<br />
precedentemente definita con æn ; Ikaríoij e se davvero si può considerare dramma<br />
satiresco o non sia piuttosto una commedia.<br />
5<br />
wÐst' eÃxein ou)de\n par' h(mîn. nuktereu/saj d' a)qli¿wj<br />
prÏta me\n sklhrÏj kaqeûdon, eôta Qou/dippoj bde/wn<br />
pantelÏj eÃpnicen 139 h(mâj, eôq' o( limo\j hÀpteto.<br />
† e)fe/reto 140 pro\j Di¿wna to\n dia/puron< a)lla\ ga\r<br />
ou)d' e)keînoj ou)de\n eôxe.<br />
pro\j de\ to\n xrhsto\n dramwÜn<br />
Thle/maxon ¹Axarne/a swro/n te kua/mwn katalabwÜn<br />
a(rpa/saj tou/twn e)ne/tragon. d' oÃnoj h(mâj w¨j o(râi,<br />
136<br />
I fatti di Arpalo risalgono al 324 a.C., epoca in cui Pitionice era già morta e l’amante di Arpalo<br />
era Glicera. Qui, invece, risulta ancora viva.<br />
137<br />
Eust., Commento all’Odissea,1394, 24 sgg. sostiene che l’espressione “pentola di Telemaco”<br />
indicava il cibo dei poveri costituito da legumi.<br />
138<br />
Naturalmente il significato della titolazione varia se si trascrive satúroij con il sigma<br />
maiuscolo. Cfr. su questo cap. III.<br />
139<br />
eÃpnicen Meineke: eÃphcen cod. A.<br />
140<br />
Meineke corregge eôtŒ æferómhn.<br />
74
ñ < > Khfiso/dwroj periì to\ bÖm', e)pe/rdeto.<br />
così da non avere nulla da noi. Avendo passato una nottataccia, prima di tutto dormivo sul duro, poi<br />
Tudippo 141 a forza di far peti 142 ci asfissiò completamente; poi mi prese un attacco di fame. † si recava<br />
(mi recai) da Dione 143 il focoso; ma neppure quello aveva nulla . Andato di corsa allora dal buon<br />
Telemaco di Acarne 144 e trovato un mucchio di fave, le presi sottraendogliele e cominciai a rosicchiarle.<br />
Quando l’asino ci vede, ……[come] Cefisodoro 145 intorno alla tribuna emetteva peti.<br />
A conclusione della citazione Ateneo (IX 408a) aggiunge: “da ciò appare chiaro<br />
che Telemaco festeggiava i Puanéyia 146 come festa del peto (pordÕn çortÕn),<br />
mangiando sempre intere pentole di fave”.<br />
Il testo presenta una lacuna all’ultimo verso (manca un trocheo e mezzo) 147<br />
intorno alla quale si sono esercitate diverse ipotesi.<br />
Il punto è di capire se il personaggio di Cefisodoro 148 compare direttamente in<br />
scena come personaggio o è citato indirettamente come termine di paragone. Nel<br />
primo caso dobbiamo leggere: “quell’asino di Cefisodoro, come ci vede, stando<br />
sulla tribuna, [subito] emetteva peti”. Di qui l’ipotesi di Vontterwerden che<br />
suggerisce di integrare con un e÷Jéwj (subito).<br />
Nell’ ambito della seconda ipotesi si muove l’integrazione di Meineke Ìspereí 149<br />
in base alla quale bisogna immaginare che Cefisodoro non è sulla scena e,<br />
dunque, leggere il testo nel senso che “quell’asino appena ci vide, come se fosse<br />
141 Si tratta del personaggio citato da Plut. Phoc. 36 e con questo condannato a morte nel 318 a.C.<br />
142 bde/wn è correzione di Meineke rispetto a ñ léwn del cod. A.<br />
143 Si tratta forse del Dione politico e trierarca nel 334-333 a.C. (Dem. 18, 129) come sostiene<br />
Coppola, 1927, p. 456.<br />
144 Si tratta del personaggio già citato da Timocle al fr. 7 K.-A.. Assicurò gli approvvigionamenti<br />
ad Atene durante la carestia del 330-327 a.C. e sviluppò tra il popolo una campagna a favore<br />
dell’alimentazione a base di fave (cfr. Coppola, 1927, p. 456).<br />
145 Schweighaüser ritiene che si tratti di Cefisodoro di Acarne citaredo citato in Athen. IV, 131b.<br />
Kock ritiene che si tratti del Cefisodoro ridicolizzato da Licurgo nel Contro Menesecmo. Per altri<br />
era discepolo e difensore di Isocrate (Kephisodoros 6, RE XI, 1921, pp. 227-229). C’è però anche<br />
l’arconte ateniese del 323-322 cfr. Kephisodoros 2, RE 1921, p. 226.<br />
146 Si tratta di feste agricole celebrate a fine ottobre. Dedicate ad Apollo, si cucinava un piatto di<br />
legumi (cfr. Plut. Thes., 22).<br />
147 Cfr. Chirico, 2010, p. 6.<br />
148 Questa ipotesi interpretativa è corroborata da Arpocrazione che su Cefisodoro dice: “egli è<br />
irriso nella commedia come simile ad un asino” (cfr. commento di Dind. ad Ath., 1827 II p. 117).<br />
149 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 61.<br />
75
Cefisodoro sulla tribuna, emetteva peti” dove “quell’asino” sarebbe Telemaco.<br />
Riferimento che appare più logico se si tiene conto dello specifico richiamo di<br />
Ateneo a Telemaco e alle feste Puanéyia. Così peraltro interpreta la traduzione di<br />
Andrea Rimadio (Deipn., 2001, p. 1012).<br />
Secondo Schiassi 150 il frammento “sembra derivare dal racconto di un parassita,<br />
che tra i banchetti ricorda in maniera faceta la serie infinita dei suoi mali”.<br />
Al fine di dare un senso agli otto versi, riassumiamo le tre fondamentali<br />
correzioni:<br />
a) bdéwn al v. 2 proposto da Meineke al posto di ñ léwn riportato dal codice<br />
A;<br />
b) 1pnixen al v. 3 proposto da Meineke al posto di 1phxen del codice A;<br />
c) e)fe/rómhn al v. 4 proposto da Meineke al posto di e)fe/reto del codice A.<br />
In questo frammento sembra configurarsi un quadretto tipico con gli ingredienti<br />
propri della commedia: le flatulenze, la fame, il furto, la sottolineatura ironica nei<br />
confronti di una serie di personaggi.<br />
G. Coppola 151 sostiene che “la parte più sconcia del frammento (bdéwn...e)fe/reto)<br />
si può confrontarla con la parabasi dei DÖmoi di Eupoli dove un personaggio di<br />
nome Paúswn ruba il cibo a Teogene il quale tÕn núcJ; 8lhn pepordÍj. Aggiunge<br />
ancora Coppola che “lo scherzo sulla pordÔ è una sconcezza per destare il riso<br />
degli spettatori” e ancora dice che “volgarissimo e di pessimo gusto è lo spirito di<br />
questi otto versi, che però sono pieni di allusioni a uomini e fatti del tempo di<br />
Demostene”.<br />
M. L. Chirico 152 , analizzando la proposta di Meineke di cui al punto a), riconosce<br />
il riferimento ad un passo di Aristofane, la veglia del Pluto e aggiunge: “che<br />
Timocle conoscesse Aristofane emerge con chiarezza dai testi che ci sono<br />
pervenuti: echi delle commedie aristofanee si colgono frequentemente nei<br />
frammenti del poeta e, del resto, Aristofane, ma anche Cratino ed Eupoli, erano i<br />
naturali riferimenti e modelli per un autore che, unico tra i poeti della sua<br />
generazione, oltre a parodiare storie raccontate da altri poeti, ridicolizza gli<br />
150 Schiassi, 1951, pp. 217-245.<br />
151 Cfr. Coppola, 1927, p. 455 nota 1.<br />
152 Chirico, 2010, pp. 8-9.<br />
76
strateghi e coloro che ammassavano ricchezze ottenute con mezzi illeciti o che<br />
conducevano una vita indegna”.<br />
La lunga scena della guarigione di Pluto (vv. 653-770) si svolge all’interno del<br />
témenoj del dio Asclepio e il servo Carione narra che tutti i personaggi presenti<br />
erano sdraiati e dormivano mentre lui si lancia verso una pentola di polenta<br />
(ÞJárhj cútra tij v. 673) sottraendola a una vecchia, che per la paura emette peti<br />
(bdéousa drimúteron galÖj v. 693) e alla fine lui stesso méga pánu Þpépardon (vv.<br />
698-699). Da questi elementi M. L. Chirico trae la convinzione che<br />
l’emendamento di Meineke sia stato suggerito da questo passo del Pluto<br />
aristofaneo.<br />
Per quanto riguarda l’ultimo verso si è già accennato alle due possibili<br />
integrazioni. Qualche ulteriore riflessione richiede l’utilizzo del sostantivo bÖma<br />
tradotto “tribuna” con riferimento all’attività di dhmhgóroj attribuita a Telemaco<br />
d’Acarne. Ma, come si evince dall’analisi di M. L. Chirico 153 , il sostantivo bÖma<br />
può appartenere anche al lessico dell’architettura sacra quando si tratta di edifici<br />
teatrali 154 con il significato di “altare”.<br />
Questa lettura confermerebbe la correlazione con il Pluto di Aristofane,<br />
commedia in cui la guarigione del dio avviene appunto nel recinto di Asclepio.<br />
Infine merita una considerazione l’utilizzo in questo frammento (come nel<br />
successivo fr. 19 K.-A.) da parte di Timocle del tetrametro trocaico catalettico.<br />
Qui sembra parlare un personaggio che narra un episodio delle sue disavventure.<br />
Si può pensare ad un passo recitativo, un lungo racconto trattato con l’aggressività<br />
e la velocità che può conferire all’espressione verbale il ritmo di un verso come il<br />
tetrametro trocaico.<br />
fr. 19<br />
Tramandato da Didimo nel Commentario a Demostene X, 70 con il riferimento<br />
kaì æn ƒIkaríoj....<br />
Dunque non compare il termine sáturoi come per il fr. 18 citato da Ateneo.<br />
153 Chirico, 2010, p. 11.<br />
154 Cfr. Polluce 4, 123.<br />
77
Si tratta ancora di sette tetrametri trocaici catalettici. Siamo in presenza di un<br />
dialogo tra due personaggi.<br />
5<br />
M[a]rºu/an de\ to\n f[i¿]laulon Au)tokle/a dedarme/n[o]n<br />
gumno\n e(sta/nai kamínwi prospepattaleume/non<br />
Thre/a t' ¹Ariºtomh/dhn. {B.} dia\ ti¿ Thre/a le/geiº;<br />
{A} dio/ti thr[e]în deî paro/ntoº toûde ta\ ºkeu/h ºfo/dra<<br />
ei¹ de mh/, Pro/knh genh/ºhi, knw¯menoº to\ krani¿on,<br />
aÄn a)pole/ºhiº. {B.} yuxro/n. {A.} a)lla\ pro\º qeÏn ) æpi¿[s]xete<br />
mhde\ ºuri¿chte.<br />
(A) Che Marsia-Autocle 155 amante del flauto, scorticato, stia ignudo, inchiodato ad una fornace e Tereo-<br />
Aristomede 156 pure (B)Perchè citi Tereo? (A)Perché quando c’è lui, devi stare ben attento 157 alla roba,<br />
altrimenti diventerai una Procne grattandoti la testa 158 se (la) perdi (B)Che battutaccia! (A) Per gli dei,<br />
tacete e non fischiate.<br />
Autocle era un noto pederasta; il paragone con Marsia si può forse spiegare<br />
perché come Marsia fu privato della pelle così Autocle amava denudarsi (cfr.<br />
Coppola, 1927, p. 462). Timocle ironizza su di lui anche nell’ ŒOrestautokleídhj.<br />
Per quanto riguarda Aristomede, Timocle lo cita anche nel fr. 14 (…Hrwej), dove lo<br />
definisce un ladro.<br />
Particolarmente interessante in questo frammento è l’interpretazione dei vv. 6-7.<br />
Secondo Coppola 159 non si tratterebbe di un appello agli spettatori; infatti ritiene<br />
che il dialogo si svolga tra Sileno (A) e i Satiri (B) e, dunque, ci sarebbe un invito<br />
di Sileno ai Satiri a non sghignazzare a seguito della battuta su Tereo e Procne.<br />
Sostiene Coppola che “irrequietezza dei satirelli e l’ordine di Sileno<br />
corrispondono benissimo a situazioni del genere nei drammi satirali”. Ma tutta<br />
l’analisi di Coppola spinge a dimostrare l’attività di satirografo di Timocle.<br />
155 Marsia è il Satiro, mitico inventore del flauto a doppia canna, che sfidò Apollo. Autocle, citato<br />
da Timocle anche al fr. 27, era un noto pederasta (Aeschin. 1, 52).<br />
156 Aristomede il bello, già citato da Timocle al fr. 14 K.-A. secondo Didimo che cita Demostene,<br />
fu trierarca nel 356 a.C. (cfr. Coppola, 1927, p. 463). Tereo re di Tracia e figlio di Ares è l’eroe<br />
della leggenda di Filomela e Procne (cfr. Ov. Metam., VI, 426 sgg.).<br />
157 Qui bisogna notare il gioco di parole tra il nome Tereo e il verbo thréw.<br />
158 Notare anche qui il gioco di parole tra Próknh e knÍmenoj.<br />
159 Cfr. Coppola, 1927, p. 461.<br />
78
Diversa è l’interpretazione se l’invito a tacere si considera davvero rivolto al<br />
pubblico. Saremmo, infatti, in presenza di uno schema tipico della commedia che<br />
non trova riscontro nei frammenti, a noi noti, di drammi satireschi 160 .<br />
160 Per una riflessione complessiva sui frr. 15-19 cfr. capitolo III<br />
79
Konísaloj<br />
fr. 22 K.-A.<br />
Tramandato da Ateneo, X 430f. Si tratta del libro in cui Ateneo descrive esempi di<br />
ghiottoneria, gli effetti perniciosi dell’eccesso di cibi e, in particolare, gli effetti<br />
dell’ubriachezza e la mescolanza di vino e acqua 161 .<br />
Si tratta di due trimetri giambici.<br />
pata/cw t' iãson iãswi pothri¿oij<br />
mega/loij aÀpasan th\n a)lh/qeian fra/sai.<br />
(Ti) colpirò con grandi coppe riempite mezzo e mezzo per farti dire tutta la verità 162 .<br />
Il titolo della commedia (Conisalo) si riferisce al nome di una divinità gallica<br />
simile a Priapo, citata anche da Aristoph. Lys. 982. Può però indicare anche una<br />
danza oscena associata alla divinità fallica. Esichio (K 3522) associa al termine il<br />
significato di “polvere” (kónij), da cui, per il titolo, si può assumere il valore di<br />
“nembo di polvere” attribuito alla divinità. Sul tema della combinazione<br />
acqua/vino ricordiamo che Alceo nel fr. 346 Voigt indica una parte d’acqua e due<br />
di vino e Anacreonte fr. 33 Gentili di due parti d’acqua e una di vino. Ath. 10,<br />
426b indica come proporzione abituale per un simposio equilibrato quella in cui il<br />
rapporto di acqua e vino è di cinque parti a due oppure tre a uno. Plut. (Quaest.<br />
conv. 657d sgg.) dice che la formula iãson iãswi produce ebbrezza nociva. Sembra<br />
dunque che il personaggio di Timocle voglia inebriare il suo interlocutore per<br />
costringerlo a dire tutta la verità. Il testo sembra richiamarsi al principio “in vino<br />
veritas”.<br />
161 Dice Ateneo: (perì tÏn Þrcaíwn krásewn), #ison #iswi dè TimoklÖj æn Konisálwi.<br />
162 Kock suggerisce maláxw. Bevilacqua, 1939, p. 33 suggerisce di collegare il maláxw proposto<br />
da Kock con iãson iãswi: “tempererò vino con vino a parti uguali in grandi bicchieri”.<br />
80
LÔqh 163<br />
fr. 23 K.-A.<br />
Tramandato da Ateneo, IX 407d, il frammento è riportato nella parte del libro IX<br />
in cui Ulpiano chiede a Democrito sia il significato della frase “pentola di<br />
Telemaco” sia informazioni su Telemaco stesso 164 .<br />
Questo passo dei Deipnosofisti è molto importante soprattutto per l’inizio della<br />
risposta di Democrito: TimoklÖj ñ tÖj kwm_díaj poihtÕj (˜n dè kaì trag_díaj) æn mèn<br />
drámati LÔJ+ fhsí.<br />
In successione, dopo il fr. 23 K.-A., seguono altre due citazioni sull’argomento da<br />
opere di Timocle e cioè il fr. 7 K.-A. e il fr. 18 K.-A., quest’ultimo con il<br />
riferimento specifico all’opera ŒIkárioi Sáturoi (oppure ŒIkárioi sáturoi). Siamo<br />
dunque in presenza di quel passaggio dell’opera di Ateneo che ha aperto un ampio<br />
dibattito sulla personalità di Timocle e la natura letteraria della sua opera.<br />
Il frammento è composto da sette trimetri giambici.<br />
meta\ toûton au)tÏ Thle/maxoj sunetu/gxane.<br />
kaiì toûton a)spasa/menoj h(de/wj pa/nu<br />
eÃpeita "xrÖso/n moi su/, fhsi¿, ta\j xu/traj<br />
e)n aõsin 6yeij tou\j kua/mouj." kaiì taûta/ te<br />
eiãrhto kaiì pario/nta Fei¿dippon pa/nu<br />
to\n Xairefi¿lou po/rrwqen a)pidwÜn to\n paxu\n<br />
e)po/ppus', eôt' e)ke/leuse pe/mpein sarga/naj.<br />
Dopo di lui, Telemaco 165 si incontrava con costui e dopo averlo salutato molto cordialmente disse:<br />
“dammi le pentole nelle quali fai cuocere le fave”. Aveva appena detto queste parole e avendo visto da<br />
163 LÔqh personificazione dell’oblio in Hes. (Theog. 227); può indicare anche un nome proprio.<br />
164 Athen. IX 407d: tíj Ó Thlemácou kalouménh cútra kaì tíj ñ Thlémacoj.<br />
165 Telemaco acarnense è citato soltanto da Timocle fra i comici nei frr. 7, 18 e 23. Wilamowitz<br />
(1962, pp. 690-691) ritiene che si tratti di un oratore, autore del decreto del 329/328 a.C. con il<br />
quale si proponeva di onorare Eraclida di Cipro perché, in occasione della carestia del 330-327<br />
a.C., aveva trasportato dal Ponto e venduto a prezzo contenuto il frumento (cfr. in precedenza fr.<br />
7).<br />
81
lontano Fidippo 166 il grasso, figlio di Cherefilo, che passava per di lì 167 , gli fischiò e gli ordinò di<br />
mandare i cesti 168 .<br />
Circa la datazione dell’opera può risultare importante la citazione di Telemaco e<br />
in particolare la notizia intorno alla sua proposta di decreto del 329/328 a.C.<br />
Dunque l’opera dovrebbe riferirsi a quel periodo. Eustazio citando la Thlemácou<br />
cútra nel Commento all’Odissea (1394, 26) sostiene che la “pentola di Telemaco”<br />
indicava il cibo modesto dei poveri costituito prevalentemente da legumi.<br />
Secondo Wilamowitz (1962, pp. 690 sgg.) sembra che in questo passo si ironizzi<br />
su Telemaco che era solito esortare a fronteggiare le carestie ritornando<br />
all’utilizzo dei legumi come nutrimento.<br />
Telemaco è citato anche nel fr. 19 di Timocle come accumulatore di riserve di<br />
fave. Peraltro le fave costituivano un alimento rifiutato dai pitagorici e sappiamo<br />
che Timocle esercita una forte critica verso il pitagorismo (cfr. fr. 20 K.-A.)<br />
Il passo è tuttavia interessante per la collocazione assegnata da Ateneo alla<br />
citazione. Mi limito per ora a constatare tre aspetti 169 :<br />
1. Ateneo inserisce il famoso inciso (˜n dè kaì trag_díaj) a proposito<br />
dell’opera LÔqh e non alcune righe più in basso quando cita l’altra opera<br />
ŒIkárioi sáturoi, come sarebbe più logico in relazione al fatto che si<br />
tratterebbe di un dramma satiresco.<br />
2. a livello del fr. 23, Ateneo si riferisce a Timocle, attraverso le parole di<br />
Democrito, in prima istanza come kwm_díaj poihtÔj.<br />
3. in riferimento alla LÔJh Ateneo utilizza la dizione æn mèn drámati LhJ+. In<br />
particolare non ho trovato riscontri, in altri passaggi simili, della formula<br />
Œen mèn drámati senza l’esplicazione di un correlativo dé. Quanto all’uso del<br />
166<br />
Fidippo, uno dei due figli del pescivendolo Cherefilo già citati al fr. 15. Anche Alessi lo cita nel<br />
fr. 7.<br />
167<br />
Pariónta ... pánu ... pórrwJen ... pacùn ... ŒepóppuseŒ. notare il gioco di assonanze<br />
costruito da Timocle.<br />
168<br />
L’inciso richiama il v. 4 del fr. 16 K.-A. …doûnai¿ soi ke/leuson sarga/naj; ambedue i<br />
frammenti si riferiscono ai figli di Cherefilo.<br />
169<br />
Come riferito, l’analisi complessiva sarà condotta nel capitolo III.<br />
82
termine drâma si ritrova in Ateneo sia in riferimento a tragedie, sia a<br />
commedie, sia a drammi satireschi.<br />
Subito dopo Ateneo adotta le dizioni:<br />
a.) ñ a÷tòj poihtÔj fhsin<br />
æn Dionús_<br />
b.) e infine æn dŒ ƒIkaríoij satúroij fhsín.<br />
Su queste formulazioni adottate da Ateneo è possibile un riscontro in relazione ad<br />
altre citazioni.<br />
Segnato in questa sede alcuni casi peculiari:<br />
a.) Ateneo XV 690a cita un frammento dal dramma satiresco Etone di Acheo<br />
ed utilizza la dizione ŒAcaiòj dƒ æn A#iJwni saturikÐ dove saturikój funge<br />
da aggettivo qualificativo dell’appartenenza di genere dell’opera.<br />
b.) Ateneo XV 687b per citare il dramma satiresco Giudizio di Sofocle adotta<br />
la formula SofoklÖj d' o( poihth\j e)n Kri¿sei tÐ dra/mati; dal che si deduce<br />
che il termine drâma può indicare anche dramma satiresco.<br />
c.) Ateneo XV 678e nel citare un frammento dalla commedia Agonide di<br />
Alessi adotta la formula ãAlecij d' e)n mèn ¹Agwni¿di hÄ ¸Ippi¿sk% dove<br />
compare la dizione e)n mèn, come nella citazione della LÔJh, ma qui<br />
giustificata dalla successiva citazione sempre di un passo di Alessi con la<br />
dizione æn dè tÐ Skírwni.<br />
d.) Infine Ateneo XIII 608a-c cita un passo dalla tragedia Eneo di Cheremone<br />
adottando la dizione<br />
o( goûn toû tragikoû Xairh/monoj Oi¹neu\j . . .<br />
e)n tÐ o(mwnu/m% dra/mati<br />
da cui si evince che il termine drâma è utilizzato da Ateneo anche per<br />
indicare tragedie.<br />
Si tratta dunque di questioni che pongono elementi di riflessione a cui appare<br />
necessario dare una risposta convincente se si vuole sciogliere il nodo connesso ai<br />
due temi relativi alla tipologia dell’attività drammaturgica di Timocle e al genere<br />
83
letterario degli ; Ikárioi sáturoi. Riprenderemo, come detto, queste questioni con<br />
le necessarie considerazioni in sede di conclusioni (cap. III).<br />
MaraqÍnioi 170<br />
fr. 24 K.-A.<br />
Tramandato da Ateneo, XIII 570f. Il libro XIII di Ateneo svolge il tema delle<br />
donne e dell’amore. In particolare la citazione della commedia di Timocle si<br />
colloca nel quadro di un paragrafo che tratta delle etere: vero significato del<br />
termine; culti di Afrodite Etera; meriti delle etere.<br />
Nello specifico il frammento tratta di un confronto tra l’amore offerto dalle etere e<br />
una korískh a tutto vantaggio di quest’ultima.<br />
Inoltre Ateneo introduce il frammento affermando: (ærwtikà) Ìj æn Maraqwníoij<br />
fhsì TimoklÖj. Qui non abbiamo né uno specifico inquadramento letterario<br />
dell’opera, né una definizione specifica di Timocle come autore.<br />
Il frammento è composto da sette trimetri giambici.<br />
5<br />
oÀson to\ metacu\ meta\ kori¿skhj hÄ meta\<br />
xamaitu/phj th\n nu/kta koimâsqai. Babaí,<br />
h( stifro/thj, to\ xrÏma, pneûma, dai¿monej.<br />
to\ mh\ sfo/dr' eônai pa/nq' eÀtoima, deîn de/ ti<br />
a)gwniâsai kaiì r(apisqÖnai¿ te kaiì<br />
plhga\j labeîn a(palaîsi xersi¿n< h(du/ ge<br />
nh\ to\n Di¿a to\n me/giston.<br />
Che grande differenza il passare la notte con una fanciulletta 171 o con una prostituta di infimo rango 172 .<br />
Caspita, per gli dei com’è soda, che carnagione, che alito 173 . Il fatto poi che non è quasi tutto predisposto<br />
170 Licofrone scrisse una tragedia con lo stesso titolo (I Maratonesi).<br />
171 kori¿skh si configura come vezzeggiativo di kórh.<br />
172 Traduco “infimo rango” cercando di esprimere xamaitu/phj, termine raro (ma cfr. Men. fr.<br />
472 K.-A. e Sam. 348). La valenza particolarmente dispregiativa del termine si ritrova<br />
nell’indicazione dell’atto sessuale consumato “a terra”.<br />
173 C’è chi interpreta pneûma come “spirito” (cfr. Bevilacqua, 1939). Mi sembra, però, che<br />
Timocle stia enumerando le caratteristiche fisiche della kori¿skh.<br />
84
e che, invece, bisogna un po’ combattere e farsi schiaffeggiare e ricevere percosse da mani delicate 174 ;<br />
questo per Zeus Onnipotente 175 è davvero piacevole.<br />
Come afferma V. Bevilacqua, (1939, p. 37) questo frammento “rileva un<br />
particolare studio nella scelta di parole che rendano anche nel suono la morbida<br />
sensualità dell’immagine evocata” 176 e , dunque, una vivida costruzione delle<br />
baruffe amorose che accrescono l’appagamento per la conquista dell’amata.<br />
Insomma il frammento sembra esprimere un senso di dolcezza e di scambi<br />
amorosi ma non c’è nulla di spirituale. Tutto appare umano, carnale e reale come<br />
dev’essere nella commedia. L’esaltazione dell’amore si riallaccia anche ad<br />
un’altra commedia (fr. 25 K.-A. Néaira), dove l’amore frustrato di uno spasimante<br />
per l’etera Frine diventa lo strumento per l’arricchimento della cortigiana.<br />
Non manca sul tema dell’amore anche un richiamo alla commedia ; Epistolaí (fr.<br />
10 K.-A.), in cui il lamento amoroso del parlante deluso trova, comicamente, una<br />
metafora nei bisogni materiali di tre parassiti. Si può dire che in generale, sulla<br />
base dei frammenti di cui disponiamo, il tema amoroso risulta marginale tra gli<br />
interessi di Timocle. Quando ne cogliamo un riferimento, esso rappresenta una<br />
nuova occasione per ridicolizzare e colpire il personaggio dell’etera: esso e quello<br />
del parassita, come abbiamo detto, costituiscono due “tipi” molto intriganti per le<br />
finalità letterarie del nostro poeta.<br />
Néaira 177<br />
frr. 25-26 K.-A.<br />
Di questa commedia Ateneo tramanda il primo frammento. Il secondo, costituito<br />
da un unico verso, è riportato da una citazione della Suda (a 2048).<br />
174 Analoghe espressioni si ritrovano in Ov. Ars Amat. II, 233-236.<br />
175 nh\ to\n Di¿a to\n me/giston si ritrova in Men. Dysc. 835.<br />
176 In particolare si nota l’abbondanza di liquide e di mute ai vv. 3-5-6, ad es. stifro/thj,<br />
xrÏma, pneûma, plhga\j.<br />
177 Filemone rappresentò una commedia con lo stesso titolo.<br />
85
Il fr. 25 è citato da Ateneo XIII 567de. Siamo ancora nel libro dedicato al tema<br />
delle etere. Il titolo si riferisce chiaramente alla cortigiana di nome Neera, nota<br />
grazie all’orazione Contro Neera attribuita a Demostene e datata tra il 343 e il 340<br />
a.C. 178<br />
Di qui la possibile datazione della commedia a ridosso di questo periodo.<br />
Ma Webster fa scendere la datazione fino al 330 a.C. Del resto G. Schiassi (1958,<br />
p. 238) data la commedia fra il 335 e il 330 a.C. riallacciandosi alla Neera di<br />
Filemone datata 324-323 a.C.: “Timoclis autem fabula quin aliquot ante annos<br />
extiterit vix dubitari potest atque, cum Phrynae curriculum non ultra 330<br />
protrahere liceat, annis fere 335-330 est collocanda”. Apprendiamo da Ps.<br />
Demosth. (Contro Neera 18 e 22) che Neera, avviata giovanissima alla<br />
prostituzione da Nicarete, vendeva il suo corpo ancora sessualmente immaturo.<br />
Si tratta di cinque trimetri giambici.<br />
5<br />
a)ll' eÃgwg' o( dustuxh\j<br />
Fru/nhj e)rasqei¿j, h(ni¿k' eÃti th\n ka/pparin<br />
sune/legen ouÃpw t' eôxen oÀsaper nûn eÃxei,<br />
pa/mpoll' a)nali¿skwn e)f' e(ka/stwi tÖj qu/raj<br />
a)pekleio/mhn.<br />
Ahi, me infelice innamorato di Frine quando ella ancora raccoglieva i capperi e non aveva ancora quanto<br />
ha ora e pur costandomi moltissimo, ogni volta venivo chiuso fuori dalla porta 179 .<br />
Il frammento è introdotto da Ateneo con la seguente frase: dióper kaì qrhnÏn tij<br />
aøtòn parágetai 180 .<br />
Il fatto che risulta indefinito (tij) il personaggio che, secondo Ateneo, nel<br />
frammento si lamenta di Frine ha indotto ad escludere la figura dell’oratore<br />
178<br />
L’orazione (LIX del corpus demostenico) è il discorso d’accusa nella causa intentata tra il 343<br />
e 340 a.C. da Teonnesto, cittadino ateniese, che accusava la cortigiana di aver ursupato il diritto di<br />
dare in sposa la figlia ad un cittadino ateniese, diritto riservato soltanto a cittadini ateniesi.<br />
179<br />
Nella traduzione ritengo più corretto legare e)f' e(ka/stwi a tÖj qu/raj a)pekleio/mhn<br />
piuttosto che a a)nali¿skwn.<br />
180<br />
Anche in questo passaggio Ateneo cita Timocle e il titolo dell’opera senza indicare però il<br />
genere.<br />
86
Iperide, difensore e amante di Frine 181 . Ma analoga considerazione si può<br />
avanzare nei confronti di Eutias, l’accusatore, ex amante di Frine.<br />
Quanto a Frine 182 lo stesso Ateneo (XIII 591d) riprende il tema dell’arricchimento<br />
di Frine grazie alla sua attività di etera. Ma qui la lamentazione sembra suscitata<br />
dal fatto che, nonostante gli sperperi, comunque Frine avrebbe respinto le avances<br />
del pretendente.<br />
Quanto a Neera (se il titolo si riferisce alla nota etera) pochi anni prima del<br />
processo, da cortigiana corinzia ed ex schiava, si era fatta sposare illegalmente da<br />
un cittadino ateniese di modeste condizioni e aveva fatto sposare, con un inganno,<br />
la propria figlia Fanò ad un altro cittadino ateniese. Di qui il processo per grafÕ<br />
xeníaj, in cui l’accusa era rappresentata da un uomo della cerchia di Demostene.<br />
Neera ne emerge come un personaggio più modesto di Frine ma, tuttavia,<br />
emblematico di una fase di profonda crisi sociale e istituzionale della città del IV<br />
sec.<br />
Anche con questo frammento mi sembra che si confermi l’azione di Timocle tesa<br />
ad attaccare un certo establishment piuttosto che a schierarsi a favore di un unico<br />
partito politico.<br />
Il secondo frammento 26, composto da un unico trimetro giambico, è tramandato<br />
da Suda a 2048.<br />
eÃpeita dia/ te taût' a)nari¿sthtoj wÓn<br />
poi a causa di ciò essendo digiuno della colazione<br />
181 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 46<br />
182 Personaggio che assume notorietà dal processo per empietà intentato da un certo Eutias (cfr.<br />
Harp., s.v. E÷Jíaj) tra il 350 e 340 a.C. Fu difesa da Iperide (cfr. Athen. 13, 590e). E’ probabile<br />
che il processo fosse stato intentato soprattutto per creare difficoltà politiche ad Iperide (cfr. fr. 178<br />
Jensen). L’accusa di empietà a Frine ricorda peraltro la precedente accusa rivolta ad Aspasia. Del<br />
resto la stessa ostentazione di ricchezza da parte di Frine la indusse a promettere la ricostruzione di<br />
Tebe distrutta da Alessandro Magno (cfr. Callistr. FGr Hist 348F1). Frine sollecitava sia<br />
l’opposizione del partito filomacedone, sia degli ambienti più conservatori per i quali era<br />
inconcepibile che un’etera potesse assumere una pubblica iniziativa. Una diversa versione su Frine<br />
è offerta da Posidippo comico fr. 13 K.-A. e da Alciph., IV, 3.<br />
87
Suda rileva che la forma a)náristoj sarebbe preferibile alla forma a)nari¿sthtoj<br />
utilizzata da Timocle.<br />
Ricordiamo che i pasti principali erano così classificabili: Þkrátisma, \riston,<br />
deîpnon. ŒAkrátisma e \riston indicavano la colazione, mentre a essere<br />
consumato a metà giornata era il deîpnon.<br />
In generale si può dire che il frammento riecheggia un tema tipico della commedia<br />
mésh, quello del mangiare e del digiuno, che interessa Timocle sia per i risvolti<br />
antipitagorici, sia per le difficoltà alimentari della popolazione ateniese a causa<br />
delle incombenti carestie.<br />
88
ŒOrestautokleídhj 183<br />
frr. 27-28 K.-A.<br />
Il frammento 27 è tramandato da Ateneo XIII 567e. Esso segue la citazione del<br />
frammento dalla Neera, quindi ci troviamo nello stesso ambito di discussione.<br />
Afferma Ateneo: kaì æn tÏi æpigrafoménwi 184 d’ ’Orestautokleídhj “ ñ ” a÷tòj<br />
TimoklÖj fhsi (nell’opera intitolata Orestautoclide lo stesso Timocle dice).<br />
C’è da notare tuttavia che un titolo frutto della combinazione di due nomi non<br />
rappresenta una novità, come attesta, ad esempio, il Dionisalessandro di Cratino.<br />
Colpisce che Suda (t 624) citi l’opera con il titolo Oreste, assegnando l’opera al<br />
secondo Timocle comico citato in t 623.<br />
Si tratta di quattro trimetri giambici.<br />
periì de\ to\n pana/qlion<br />
euÀdousi grâej, Na/nnion, Plaggw¯n, Lu/ka,<br />
Gna/qaina, Fru/nh, Puqioni¿kh, Murri¿nh,<br />
Xrusi¿j, † Konalli¿j †, ¸Iero/kleia, Lopa/dion.<br />
intorno all’infelicissimo dormono le vecchie: Nannio, Plangone, Lica, Gnatena, Frine, Pitionice, Mirrina,<br />
Criside, Conalide, Ieroclea, Lopadio. 185<br />
183<br />
Il titolo è la combinazione del nome ŒOrésthj (nome dell’eroe tragico) e A÷tokleídhj (cfr.<br />
Tim. fr. 19 K.-A.) probabilmente il nome dell’amante di Timarco, come sostiene Eschine., Contro<br />
Tim. I, 52, orazione del 346 a.C. intorno alla prostituzione maschile. Timarco, partigiano di<br />
Demostene, era stato a sua volta in gioventù l’amante di diversi personaggi tra cui un certo<br />
Misgola citato da Timocle nel fr. 32 K.-A. Ad Atene la prostituzione maschile e femminile era<br />
legale soltanto se praticata da stranieri e schiavi e soggetta a tassazione. Coppola (1927, p. 462)<br />
ritiene però che il riferimento di Timocle non fu l’Oreste di Eschilo ma piuttosto l’Alcmeone di<br />
Euripide.<br />
184<br />
Notare che qui Ateneo utilizza il termine æpigrafómenoj nel senso di dramma e/o<br />
intitolazione.<br />
185<br />
Molti di questi nomi sono assegnati a prostitute in altre commedie coeve. Ad esempio:<br />
Na/nnion Eub. fr. 67 K.-A.; Plaggw¯n Eub. fr. 86 K.-A.; Lu/ka Amph. fr. 23 K.-A.,<br />
Xrusi¿j Antiph. fr. 223 K.-A.. Inoltre Frine e Pitionice sono già citate da Timocle (frr. 25, 15 e<br />
16).<br />
89
Il frammento, che forse appartiene al prologo 186 della commedia, si può porre in<br />
analogia con la scena delle Eumenidi di Eschilo, in cui le Erinni, assopite nel<br />
tempio, circondano Oreste. Ma, nell’opera di Timocle, le donne sono prostitute e<br />
il ruolo di Oreste è assunto dal personaggio di Autoclide, noto pederasta<br />
dell’epoca.<br />
Le prostitute dormienti citate nel frammento sono undici.<br />
Undici sono anche i membri del tribunale giudicante al quale sembra riferirsi il fr.<br />
28 K.-A. costituito di una sola parola, parábuston, e tramandato da Arpocrazione<br />
(p. 237, 1 Dind.) che alla voce in esame riporta: o0twj ækaleîtó ti tÏn par’<br />
’Aqhnaíoij dikasthríwn, æn þi ædíkazon oë 6ndeka. 187 Dunque il Parábuston era un<br />
tribunale composto da undici magistrati incaricati di istruire le cause che<br />
prevedevano la pena capitale e i delitti contro la morale pubblica.<br />
Un tale riferimento fa ipotizzare la possibilità che nell’opera di Timocle si<br />
parlasse di un processo subito da Autoclide in analogia al processo di Oreste.<br />
E’ interessante l’analisi del termine grâej utilizzato da Timocle nel fr. 27 per<br />
indicare le undici etere. Il Wagner 188 sostiene che “vertendum non est anus sed<br />
mulierculae” al fine di evitare incongruenze temporali. Ateneo (XIII 587a) ricorda<br />
che Nannio è citata da Iperide nell’orazione Contro Patroclo; si tratta dunque di<br />
un’etera in auge nella seconda metà del IV sec. a.C. e menzionata in diverse<br />
commedie databili negli anni 340-320 a.C. Lo stesso Ateneo citando il fr. 225 K.-<br />
A. di Alessi ricorda una Nannio ubriaca fradicia; riportando poi il fr. 414 K.-A. di<br />
Menandro si riferisce ancora ad una Nannio sedotta. Il testo di Menandro è<br />
databile dopo il 320 a.C. Ancora Ateneo (XIII 587c), citando Antifane, ricorda<br />
che “Nannio era chiamata Proscenio perché aveva un volto grazioso e indossava<br />
gioielli e abiti di lusso, ma quando se li toglieva era orribile. Era figlia di<br />
Cornacchia, la figlia di Nannio, e riprese il nome della nonna per via della<br />
prostituzione estesa a tre generazioni”.<br />
186 Cfr. Olson, 2007, p. 175. Del resto cfr. anche Eum. 46-47: prósqen dè tÞndròj toûde<br />
qaumastòj lócoj / e0dei gunaikÏn æn Jrónoisin h$menoj (dinanzi a quest’uomo dorme una<br />
strana schiera di donne adagiate sui seggi)<br />
187 “Così si denominava uno dei tribunali ateniesi nel quale giudicavano gli Undici”.<br />
188 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 47.<br />
90
Chi era dunque la Nannio citata come “vecchia” da Timocle nella sua commedia?<br />
Deve essere esclusa, per evidenti ragioni di età, la Nannio di Menandro<br />
probabilmente identificabile con “Proscenio”. Sembra perciò più logico pensare<br />
alla nonna citata da Ateneo e considerata “vecchia” da Timocle.<br />
Il termine grâej, però, potrebbe far pensare anche alle famose Graie note per la<br />
funzione che esse svolgono nel mito di Perseo.<br />
Come può essere datata allora l’opera di Timocle?<br />
G. Schiassi (1951, p. 230) ritiene che “… haud multum valet, nisi aliis<br />
confirmatur argumentis” l’ipotesi di Coppola che data la commedia al 345 a.C.<br />
D’altra parte nell’elenco delle etere considerate “vecchie” è anche Pitionice che ,<br />
pure, lo stesso Timocle considerava amante dei figli di Cherefilo nei frr. 15 e 16<br />
K.-A. appartenenti agli ’Ikárioi sáturoi e attribuibili a una data non posteriore al<br />
momento in cui Arpalo si diede ad una vita lussuosa a Babilonia e chiamò<br />
Pitionice da Atene (331 a.C.). Come poteva dunque già essere “vecchia” Pitionice<br />
nel 345 a.C.?<br />
Alla luce di tali contraddizioni temporali bisogna pensare o ad una diversa<br />
interpretazione del termine grâej (come ha proposto Wagner) oppure a personaggi<br />
diversi coincidenti nel nome. Ritengo tuttavia probabile che alle etere dormienti<br />
Timocle abbia attribuito nomi di personaggi noti come personificazione delle<br />
fantasie e delle paure del pederasta Autoclide, così come per Oreste le Erinni<br />
costituivano la personificazione delle sue angosce. E allora anche grâej può<br />
assumere un senso accettabile, che non è quello riferibile a una classificazione di<br />
tipo temporale, bensì quello di un’offesa violenta e tagliente contro le etere, furie<br />
perseguitatrici, concorrenti di Autoclide e perciò qualificate come “vecchie”.<br />
Nulla è più offensivo che chiamare “vecchia” un’etera. In questo senso penso che<br />
l’analisi della datazione ricostruita sulla base dell’età delle etere non possa<br />
costituire un elemento dirimente per la cronologia della commedia, anche se<br />
l’accenno a Pitionice sembra collocarla probabilmente nel periodo 340-335 a.C.<br />
Questo frammento dell’ ŒOrestautokleídhj rappresenta peraltro un esempio tipico<br />
del trattamento parodico da parte della commediografia della mésh di uno<br />
specifico tema tragico proiettato su figure e personaggi contemporanei.<br />
91
Poluprágmwn 189<br />
fr. 29 K.-A.<br />
Tramandato da Ateneo VIII 339e,f. E’ il libro che tratta, tra gli altri, il tema<br />
dell’opsofagia e le storie e leggende sui più celebri opsofagi. Tra di essi<br />
Callimedonte soprannominato l’Aragosta, ghiotto di pesce e strabico.<br />
Si tratta di sei trimetri giambici.<br />
5<br />
eôq' o( Kallime/dwn aÃfnw<br />
o( Ka/raboj prosÖlqen. e)mble/pwn d' e)moi¿,<br />
w¨j goûn e)do/kei, pro\j eÀteron aÃnqrwpo/n tina<br />
e)la/lei< sunieiìj d' ou)de\n ei¹ko/twj ægÎ<br />
þn eÃlegen e)pe/neuon diakenÖj. tÏi d' aÃra<br />
ble/pousi xwriìj kaiì dokoûsin ai¸ ko/rai.<br />
Poi Callimedonte l’Aragosta si fece avanti subitamente. Mentre mi fissava, almeno così mi sembrava,<br />
chiacchierava con qualcun altro. Io, naturalmente, non capendo nulla di quanto diceva, annuivo senza<br />
senso; e le sue pupille 190 guardano da una parte e danno l’impressione di guardare da un’altra parte.<br />
Callimedonte 191 fu spesso oggetto di ironia tra gli autori della mésh. Alessi (fr. 57<br />
K.-A.) arriva a descrivere una sua statua di bronzo con un’aragosta nella mano<br />
destra. Politico impegnato, dopo la morte di Alessandro Magno si sarebbe<br />
rifugiato presso Antipatro. Tornato in patria dopo la sconfitta dei Greci a<br />
Crannone (322 a.C.), fuggì di nuovo dopo la morte di Antipatro, per evitare la<br />
condanna a morte inflittagli dal nuovo partito antimacedone. Ateneo (XIV, 614d)<br />
lo segnala come presidente di una società di sessanta allegri compagni amanti<br />
della buona tavola.<br />
Colpisce, in questo frammento, l’attacco ironico ad un personaggio che pure è<br />
politicamente qualificato come ostile al partito di Demostene. Ciò conferma, a<br />
189 Cfr. la commedia di Enioco con lo stesso titolo, Il Trafficone.<br />
190 Sul significato di ko/rai (pupille) cfr. anche Alessi nel “Farmacista” fr. 117 K.-A.<br />
191 Callimedonte, figlio di Callicrate, del demo di Collito, fu oratore e uomo politico della seconda<br />
metà del IV sec. a.C., di indirizzo filomacedone, avversario di Demostene (cfr. Prosop. Att. 8032).<br />
92
mio avviso, la radice anti-establishment degli strali che Timocle sembra lanciare<br />
indifferentemente al mondo filomacedone e antimacedone. In questo senso mi<br />
sembra che Webster (1953, p. 38) effettui una forzatura sostenendo che Timocle<br />
(a cui attribuisce insieme ad Enioco l’adesione al partito filomacedone), pur<br />
criticando Callimedonte suo compagno di partito, utilizzi argomentazioni più miti.<br />
Come se la ridicolizzazione del suo essere strabico risultasse più mite di quella di<br />
altri commediografi che ironizzano su Callimedonte considerandolo un ghiottone<br />
di aragoste.<br />
Bisogna invece riconoscere (come io credo che emerga dai frammenti) che<br />
Timocle, in linea con la tradizione dell’Þrcaía, è animato da un interesse<br />
all’attacco del mondo politico e, in particolare, delle classi dirigenti, piuttosto che<br />
all’utilizzazione della satira ai fini di un’azione derisoria e distruttrice di una<br />
specifica parte politica.<br />
Pontikój<br />
fr. 30 K.-A.<br />
Tramandato da Stobeo, Florilegio VI, 32 (peníaj yógoj), il frammento riporta due<br />
trimetri giambici della commedia di Timocle sul tema del biasimo della povertà.<br />
In realtà Stobeo specifica Timokléouj Pontikoû. Dapprima il riferimento Pontikoû<br />
fu interpretato come richiamo alla patria di Timocle. Meineke invece pensò al<br />
titolo di una commedia ricordando che gli abitanti del Ponto, che si recavano ad<br />
Atene per studio e lavoro, erano spesso oggetto di scherno come dimostrano titoli<br />
analoghi di commedie di Antifane, Alessi ed Epigene.<br />
pollou\j ga\r e)ni¿oq' h( peni¿a bia/zetai<br />
a)na/ci' au(tÏn eÃrga para\ fu/sin poieîn.<br />
Talvolta 192 , infatti, la povertà costringe molti a commettere azioni contro natura indegne di loro.<br />
192 Kock legge e*u #isq' (“ben sappi” infatti).<br />
93
Alcuni studiosi 193 collegano questo frammento ad altri frammenti di tradizione<br />
stobeana definendoli di tipo gnomico o parodie di sentenze. V. Bevilacqua collega<br />
il frammento 30 al 37 (‡Epainoj ploútou) anch’esso tramandato da Stobeo (IV, 31)<br />
costituito da tre versi di una commedia di cui non è segnalato il titolo.<br />
fr. 37 (anepigrafo)<br />
ta)rgu/rio/n e)stin aõma kaiì yuxh\ brotoîj.<br />
oÀstij de\ mh\ eÃxei toûto mhd' e)kth/sato,<br />
ou^toj meta\ zw¯ntwn teqnhkwÜj peripateî.<br />
Il denaro è sangue e vita per i mortali. Chi non lo ha né l’ha mai acquisito 194 , costui gira tra i viventi<br />
come un morto.<br />
V. Bevilacqua, proponendo un collegamento tra i due frammenti, sostiene che essi<br />
apparterrebbero alla stessa commedia.<br />
Propone infatti di leggere in successione i due frammenti anticipando il 37 rispetto<br />
al 30 che, contenendo un gár al v. 1, risulterebbe conclusivo di un ragionamento.<br />
Sul significato dei frr. 30 e 37 in questa sede possiamo dire che l’impronta<br />
moralizzatrice presente in alcune commedie e nella trattazione di alcune tematiche<br />
fa riferimento non soltanto allo sviluppo del pensiero filosofico morale a partire<br />
da Aristotele e dalle altre distinte scuole del IV sec. a.C., ma anche al momento<br />
storico vissuto soprattutto sul piano economico dall’Atene dell’epoca. In modo<br />
tuttavia contraddittorio: se da una parte emerge dalle commedie una sorta di<br />
sovrapposizione tra pitagorici e cinici e la identificazione di questi con le figure<br />
dei parassiti, dall’altra certi frammenti segnalano concezioni di vita edonistica<br />
così come la valorizzazione morale ad un tempo della ricchezza e della povertà o<br />
spinte di tipo esistenziale e pessimistiche accanto a suggestioni tese al godimento<br />
della vita.<br />
Nei due frammenti di Timocle abbiamo un esempio di siffatta alternanza di<br />
sensibilità. Infatti al contempo sembra di leggere nel fr. 37 una sorta di elogio del<br />
193 Cfr. Bevilacqua, 1939, p. 30.<br />
194 Meineke legge al v. 2 mhd' 1cwn e)crh/sato.<br />
94
denaro e della ricchezza e nel fr. 30 la denuncia delle indegnità morali a cui può<br />
spingere uno stato di povertà. Ma in altre occasioni (cfr. fr. 34 K.-A.) appare più<br />
cogente l’attenzione di Timocle alle classi più disagiate.<br />
Riprenderemo comunque il senso più generale di questi frammenti nel quadro<br />
dell’opera di Timocle nell’ambito del capitolo III.<br />
Porfúra 195<br />
Riguardo alla commedia intitolata Porfúra Ateneo presenta tre citazioni:<br />
VI, 225c; VII, 319a; X, 431a.<br />
In particolare egli dice:<br />
1. VI, 225c : … Senarco nella Porpora dice…; segue fr. 7 K.-A. di Senarco<br />
2. VII, 319a: … Paguri sono menzionati da Timocle o Senarco nella<br />
Porpora…; segue fr. 8 K.-A. di Senarco<br />
3. X, 431a: Senarco o Timocle nella Porpora …; segue fr. 9 K.-A. di<br />
Senarco<br />
L’incertezza nell’attribuzione di tale commedia è registrata anche da Suda (x 22 e<br />
t 624), che pure attribuisce l’opera al secondo Timocle.<br />
Secondo Meineke, per il quale il titolo potrebbe fare riferimento al nome di una<br />
prostituta (ma potrebbe indicare anche una coperta o un tappeto), la commedia<br />
sarebbe opera di Senarco. L’azione forse si svolgeva tra pescatori e mercanti di<br />
pesci.<br />
Interessante il testo del fr. 7 K.-A. 196 perché ai primi tre versi afferma che:<br />
oë mèn poihtaì (fhsì) lÖrój eêsin< o÷dè &en<br />
kainòn gàr eørískousin, Þllà metaférei<br />
195<br />
Questo frammento non è numerato da K.-A. in quanto attribuito a Senarco.<br />
196<br />
L’incertezza di Ateneo può nascere anche dal fatto che doveva esistere una commedia di<br />
Timocle con lo stesso titolo.<br />
95
6kastoj a÷tÏn ta#utŒ ##anw te kaì kátw 197<br />
Si tratta con tutta evidenza di una sferzata in particolare contro i poeti tragici che,<br />
invero, poco si raccorda con il prosieguo del frammento che tratta storie di frodi<br />
commerciali attuate dai pescivendoli ateniesi.<br />
Tuttavia si evidenzia un certo collegamento nel contenuto tra questi versi e quelli<br />
del fr. 6 K.-A. attribuito a Timocle dove pure, come detto, compare una pesante<br />
parodia nei confronti della poesia tragica.<br />
La critica al genere della tragedia è comunque una caratteristica della<br />
commediografia della mésh, come è ampiamente evidenziato dai versi tratti dalla<br />
Poesia di Antifane (fr. 189 K.-A.).<br />
Púkthj 198<br />
fr. 31 K.-A.<br />
Il frammento è tramandato da Ateneo, VI 246f. La citazione rientra nel libro che<br />
tratta il tema dei parassiti. Afferma Ateneo:<br />
koinÖi dè perì parasítwn eêrÔkasi TimoklÖj mèn æn Púkthi, æpisitíouj kalÏn<br />
a÷toùj…. 199<br />
Il termine æpisítioj in greco assume il senso di “colui che lavora solo per il vitto”.<br />
Insomma si tratta del parassita che riceve il cibo in cambio di qualche favore<br />
come evidenzia Esichio, e 5184.<br />
Anche Platone (Rep. IV, 420a) parlando dei guerrieri afferma:<br />
Naí, ˜n dŒ ægÍ, kaì taûtá ge æpisítioi kaì o÷dè misJòn pròj toîj sitíoij<br />
lambánontej w$sper oë \lloi ... 200<br />
e ancora Ebulo fr. 20 K.-A.:<br />
197<br />
“I poeti sono solo una chiacchiera: non inventano nulla di nuovo, ma ognuno di loro porta su e<br />
giù sempre le stesse cose”.<br />
198<br />
Timoteo scrisse una commedia con lo stesso titolo.<br />
199<br />
Ateneo VI, 246f “Hanno parlato nello stesso modo dei parassiti, Timocle nel “Pugile”<br />
chiamandoli col termine æpisítioi….<br />
200<br />
“Sì, ammisi, e inoltre lavorare solo per il cibo e, a parte gli alimenti, non guadagnare una paga<br />
come gli altri…”.<br />
96
æJélei dƒ \neu<br />
misJoû parƒ a÷toîj kataménein æpisítioj. 201<br />
Il frammento è costituito da quattro trimetri giambici.<br />
eu(rh/seij de\ tÏn e)pisiti¿wn<br />
tou/twn tin', o&i deipnoûsin e)sfudwme/noi<br />
ta)llo/tri', e(autou\j a)ntiì kwru/kwn le/pein<br />
pare/xontej a)qlhtaîsi.<br />
Troverai qualcuno di questi episitioi, che mangiano gli alimenti altrui fino a scoppiare offrendosi agli<br />
atleti per farsi scorticare come sacchi d’allenamento 202 .<br />
Timocle offre con questo frammento una gustosa descrizione di un tipo<br />
particolare di parassita che si fa pagare con il vitto. L’eccesso di “abboffamento”<br />
tipico di questa categoria è ironicamente descritto con la metafora del puncingball:<br />
si gonfiano fino a diventare soggetti utili a fungere da sacchi per<br />
l’allenamento dei pugili come richiama il titolo (Il Pugile). Una metafora,<br />
insomma, pienamente funzionale nell’ambito di una commedia che s’intitola<br />
Púkthj.<br />
Notare al v. 2 l’utilizzo del verbo sfudów che richiama sfúzw (oscillo) come<br />
l’oscillare dell’uomo ben rimpinzato e ubriaco e quello del kÍrukoj.<br />
Del resto abbiamo già visto come il tema della “fame” costituisca un argomento<br />
importante e particolarmente avvertito nel IV sec.a.C. in relazione alle persistenti<br />
condizioni di carestia e di crisi economica.<br />
Timocle affronta in questo frammento il tema dal punto di vista del parassita<br />
disponibile a tutto pur di scroccare un pasto, così come lo affronterà dal punto di<br />
vista sociale stigmatizzando le leggi suntuarie del Falereo nel fr. 34 K.-A.<br />
201 “vuole restare presso di loro senza paga, come uno che si guadagna il vitto”.<br />
202 kÍrukoj è il sacco ripieno per l’allenamento dei pugili.<br />
97
SapfÍ 203<br />
fr. 32 K.-A.<br />
Il frammento è tramandato da Ateneo, VIII 339c, nel libro che tratta, tra storia e<br />
leggenda, la materia dei mangiatori di pesci celebri. Il frammento di Timocle è<br />
anticipato in Ateneo da una lunga citazione di Antifane (fr. 27 K.-A. da<br />
„Alieuoménh) in cui il personaggio di Misgola, figlio di Naucrate, del demo di<br />
Collito 204 , nato nel 390 a.C., è ridicolizzato per la sua passione per i bei citaredi<br />
(kiJar_dój) e citaristi (kíJaroj), cioè un tipo di pesce particolare simile alla<br />
sogliola, ma con evidente doppio senso sessuale.<br />
Di Misgola ci informa Eschine nell’orazione Contro Timarco, 49 afferma:<br />
Misgólaj æstìn Naukrátouj, Kolluteúj, ÞnÕr tà mèn \lla kalòj kaì ÞgaJój,<br />
kaì o÷damØ \ntij a÷tòn mémyaito, perì dè tò prâgma toûto daimoníwj<br />
ƒespoudakÎj kaì Þeí tinaj eêwJÎj 1cein perì aøtòn kiJar_doùj $h<br />
kiJaristáj. 205<br />
Anche Alessi nella commedia Agonide (fr. 3 K.-A.) cita un fanciullo che si<br />
raccomanda alla madre di non mandarlo presso Misgola perché egli non è un<br />
citaredo.<br />
Questi molteplici riferimenti a Misgola permettono di ipotizzare una contestualità<br />
con il frammento 32 di Timocle che cita appunto Misgola e che, dunque, può<br />
essere attribuito ad una commedia databile intorno al 345 a.C. come l’orazione di<br />
Eschine e la commedia di Alessi. Siamo dunque tra le prime esperienze del poeta.<br />
Il frammento è composto da due trimetri giambici.<br />
o( Misgo/laj ou) prosie/nai soi fai¿netai,<br />
a)nqoûsi toîj ne/oisin h)reqisme/noj.<br />
203<br />
Commedie dello stesso titolo sono attribuite ad Antifane e Anfide per la mésh, Difilo per la<br />
néa.<br />
204<br />
Ma altri lo considerano figlio di Nicia, del demo di Pireo. Tutti gli attribuiscono un ruolo di<br />
incorreggibile libertino.<br />
205<br />
“Misgola, figlio di Naucrate, del demo Collito, è un uomo virtuoso in tutto e non biasimabile in<br />
nulla se non fosse per quel vizio che coltiva con grande fervore e per l’abitudine di avere intorno<br />
a sé sempre citaredi e citaristi.”<br />
98
Misgola è ben noto che non si avvicina a te perché va pazzo per i giovinetti in fiore.<br />
Con tutta evidenza il frammento doveva far parte di un dialogo nel corso del quale<br />
un personaggio si rivolge a una donna (o a un vecchio) trascurati da Misgola a<br />
causa delle sue preferenze sessuali; forse si tratta della stessa Saffo del titolo.<br />
Timocle ha già trattato una situazione analoga nel fr. 5 (I Demosatiri) con il<br />
riferimento a Ctesippo figlio di Cabria, noto per i suoi atteggiamenti effeminati e<br />
per i suoi costumi depravati.<br />
Però mentre la presunta data della commedia SapfÍ di Timocle (345 a.C.) può<br />
essere compatibile con la data di nascita di Misgola (~ 390 a.C.), deve<br />
sicuramente essere abbassata la datazione dei Demosatiri, in quanto la figura di<br />
Ctesippo ( di cui si occupa anche Menandro fr. 264 K.-A.) non può che riferirsi ad<br />
un periodo di fine IV sec. a.C.<br />
Il nome di Saffo, trattata come personaggio comico, dà il titolo a quattro opere di<br />
commediografi della mésh (Anfide, Antifane, Efippo e Timocle). In questo<br />
frammento essa sembra apparire come innamorata delusa dall’effemminato<br />
Misgola con evidente parodia e ironia nei confronti delle liriche d’amore della<br />
poetessa di Lesbo, ma anche delle sue tendenze sessuali.<br />
Sunergiká 206<br />
fr. 33 K.-A.<br />
Il frammento è tramandato da Stobeo, IV 57,8: 8ti o÷ crÕ paroineîn eêj toùj<br />
teteleuthkótaj Timokléouj Sunergiká 207 .<br />
Si tratta di due trimetri giambici, ma il secondo verso presenta una corruttela.<br />
toîj me\n teqneÏsin eÃleoj e)pieikh\j qeo/j,<br />
toîj zÏsi d' † eÀteron a)nosiw¯taton fqo/noj.<br />
206<br />
Il titolo è incerto ed è stato ripreso da Sunergiká citato da Stobeo. Meineke propone<br />
SunériJoi.<br />
207<br />
“che non bisogna mancare di rispetto ai morti…”<br />
99
La compassione per i morti è un dio benevolo, invece l’invidia per i vivi è un gravissimo sacrilegio 208 .<br />
Non si comprende il senso del titolo (Collaborazioni) in riferimento al contenuto<br />
dei due versi. Il frammento si presenta sotto la forma di una sentenza gnomica,<br />
come è caratteristica di tutti i frammenti di Timocle tramandati da Stobeo.<br />
L’affermazione sembra del tutto consona all’eloquio di un personaggio tragico.<br />
Dunque in questo caso ci troviamo in presenza di un passo di parodia linguistica<br />
della tragedia che costituisce uno dei motivi caratterizzanti la commedia del IV<br />
sec. a.C.<br />
Non si comprende bene il senso della contrapposizione tra le due affermazioni<br />
che, tuttavia, nella loro “ovvietà” appaiono più come il richiamo di un sentire<br />
popolare che non il frutto di una riflessione filosofica. Ma forse proprio in ciò si<br />
può riconoscere il segno di una ricercata parodia filosofica da parte del nostro<br />
poeta.<br />
FilodikastÔj 209<br />
fr. 34 K.-A.<br />
Il frammento è tramandato da Ateneo VI 245a. La citazione rientra nell’ambito<br />
della discussione sui parassiti e il tema dei “gineconomi”. La citazione del<br />
frammento di Timocle è preceduta da un frammento delle Massime di Linceo di<br />
Samo (fr. 27 Dalby): CairefÏn dè - fhsín - ñ parásitoj eêj gámon \klhtoj eêselqÎn<br />
kaì katakliqeìj 1scatoj kaì tÏn gunaikonómwn Þriqmoúntwn toùj keklhménouj kaì<br />
keleuóntwn a÷tòn Þpotrécein Ìj parà tòn nómon æpì toîj triákonta eêpóntoj<br />
“Þriqmeîte dÔ,” 1fh, “pálin Þp’ æmoû Þrxámenoi 210 .<br />
208<br />
Per quanto riguarda la corruttela, Bevilacqua, 1939, p. 31 legge al v. 2: toîj zÏsi d' eÀteroj<br />
a)nosiw¯taton fqo/non. E traduce: “ai vivi, invece, malevolo (il dio concede) la più empia<br />
ostilità” assegnando a 6teroj il senso di “malvagio”.<br />
209<br />
Il titolo (L’amante dei processi) richiama inevitabilmente la figura di Filocleone nelle Vespe di<br />
Aristofane.<br />
210<br />
“ Il parassita Cherefonte - dice (Linceo) - un giorno andò non invitato a una festa di nozze. Si<br />
accomodò per ultimo su un divano e quando i gineconomi contavano gli ospiti e gli intimarono di<br />
andarsene poiché con lui si superava il numero di trenta che la legge consentiva, replicò:<br />
“Contate di nuovo a partire da me”.<br />
100
Questo riferimento è importante perché permette di inquadrare temporalmente la<br />
commedia di Timocle. Siamo negli anni delle leggi suntuarie in Atene che<br />
riguardarono vari aspetti della vita sociale ed economica al fine di contenere le<br />
spese esagerate. Nel frammento di Linceo (come si vedrà anche in quello di<br />
Timocle) si cita una particolare categoria di magistrati che in Atene e in altre città<br />
greche erano addetti a sorvegliare la moralità e l’abbigliamento delle donne, ma<br />
anche il numero dei convitati ai banchetti che non poteva superare il limite di<br />
trenta unità. Il riferimento alla legge ci fa risalire all’epoca di Demetrio Falereo<br />
(317-307 a.C.).<br />
Aggiunge Ateneo (VI 245b): “Anche Timocle nell’Amante dei processi dice che<br />
era consuetudine che i gineconomi 211 sorvegliassero i simposi per sincerarsi che<br />
il numero degli invitati fosse quello previsto dalla legge”.<br />
Dunque la commedia di Timocle non può che essere correlata all’epoca<br />
dell’istituzione della nuova legge come esplicitamente indicato dall’autore al v. 4.<br />
Il frammento è composto da sei trimetri giambici che presentano lacune al v. 3.<br />
5<br />
a)noi¿get' hÃdh ta\j qu/raj, iàna pro\j to\ fÏj<br />
ýmen katafaneîj mâllon, e)fodeu/wn e)a\n<br />
bou/lhq' o( gunaikono/moj † labeîn a)riqmo\n †,<br />
kata\ to\n no/mon to\n kaino\n oÀper eiãwqe drân,<br />
tÏn e(stiwme/nwn. eÃdei de\ touÃmpalin<br />
ta\j tÏn a)dei¿pnwn e)ceta/zein oi¹ki¿aj.<br />
Aprite subito le porte perchè siamo più visibili, semmai nel giro di ronda il gineconomo volesse contare,<br />
com’è solito fare, il numero dei convitati secondo la nuova legge. Piuttosto dovrebbe invece visitare le<br />
case di quelli che non hanno da mangiare.<br />
Meineke ritiene di cancellare come interpolato il v. 4 del frammento timocleo.<br />
Come riporta Ateneo (VI, 245c), anche Menandro si occupò dei gineconomi.<br />
Ne riporta, infatti, sul tema un passo dalla Cuffia (fr. 208 K.-A.) di Menandro:<br />
parà toîj gunaikonómoij dè toùj æn toîj gámoij<br />
211 Sul tema dei gineconomi cfr. Cantarella e Gagliardi, 2003.<br />
101
diakonoûntaj ÞpogegráfJai puJómenoj<br />
pántaj mageírouj katà nómon kainón tina ... 212<br />
Dunque anche Menandro considera “nuova” la legge istituita dal Falereo; in<br />
alternativa si può pensare che faccia riferimento all’istituzione di un albo dei<br />
cuochi previsto da un più recente aggiornamento della legge.<br />
Resta il fatto che la citazione della legge permette di collocare la commedia di<br />
Timocle in un periodo temporale successivo al 317 a.C.<br />
E’ importante il giudizio sulla legge che Timocle fa esprimere al personaggio<br />
della sua commedia. Si tratta, con tutta probabilità, di un aristocratico o di un<br />
benestante che organizza banchetti presso la sua residenza. Timocle effettua un<br />
capovolgimento trasferendo l’attenzione dalle restrizioni ai comportamenti delle<br />
classi benestanti alla focalizzazione sui bisogni dei ceti più deboli in una fase<br />
della vita economica ateniese in cui si accentuava il gap tra le classi.<br />
Dei gineconomi, peraltro, parla anche Aristotele nella Politica 213 , bollandoli come<br />
magistrati antidemocratici soprattutto per gli aspetti di controllo sulle donne.<br />
Filocoro (FGr Hist 328 F, 650) indica specificatamente la funzione dei gineconomi<br />
atta anche a vigilare sulle riunioni nelle case private.<br />
Gli ateniesi pur non avendo ancora conquistata la moderna concezione della<br />
privacy, di certo respingevano misure invasive della vita privata.<br />
La critica, che il frammento sembra esprimere, dei ceti aristocratici verso la<br />
politica del Falereo (che pure contava o aveva contato sul sostegno delle classi più<br />
elevate) mi sembra che, come è stato notato per altri frammenti, dimostri la<br />
indipendenza di Timocle rivolta alla contestazione del potere politico dominante e<br />
alla difesa degli interessi più deboli (cfr. vv. 5-6).<br />
212 “Saputo che tutti i cuochi che rendono servizio nei matrimoni dovevano secondo una nuova<br />
legge iscriversi nelle liste dei gineconomi”.<br />
213 Cfr. Arist. Polit. 1300a; 1322b; 1323a.<br />
102
Yeudolhistaí<br />
fr. 35 K.-A.<br />
Il frammento dai Falsi predoni è tramandato da Ateneo III 109c. Il terzo libro<br />
sviluppa un’ampia disamina di varie tipologie di cibi e di metodologie e strumenti<br />
culinari.<br />
La citazione del passo di Timocle è inserita nel quadro della discussione sul tema<br />
del pane (\rtoj) e delle sue svariate tipologie. Dice Ateneo (109b):<br />
Trúfwn æn toîj futikoîj æpigrafoménoij \rtwn æktíJetai génh... 214<br />
e più avanti (109c):<br />
parà dè tàj ðptÔseij ðnomázesqai êpníthn, mnhmoneúein Timokléa æn<br />
Yeudolhistaîj... 215<br />
Il frammento è composto da due trimetri giambici di cui il primo presenta una<br />
lacuna iniziale.<br />
⎯∪ − ∪ katamaqwÜn de\ keime/nhn {qermh\n} ska/fhn<br />
qermÏn i¹pnitÏn hÃsqion.<br />
⎯∪ − ∪ essendomi accorto che c’era una teglia {calda} 216 di ipnites caldi, presi a mangiarne.<br />
A parlare è forse, uno dei Yeudolhistaí. Siamo ancora alla trattazione del tema<br />
della “fame”. I versi del frammento ricordano il contenuto del fr. 18 K.-A. di<br />
Timocle (vv. 7-8) in cui il soggetto parlante faceva man bassa delle fave di<br />
Telemaco.<br />
Si conclude con il fr. 35 l’analisi dei frammenti che sono inquadrati nell’ambito di<br />
opere di Timocle di cui sono stati tramandati titoli e generi letterari.<br />
214<br />
“Trifone (fr. 117 von Velsen) nell’opera di botanica elenca i tipi di pane”<br />
215<br />
“In rapporto alla diversa cottura viene chiamato êpníthn come dice Timocle nel Falsi<br />
predoni”.<br />
216<br />
Appare dubbia la ripetizione qermh\n ... qermÏn anche se per Bevilacqua, 1939, p. 33<br />
potrebbe essere valida.<br />
103
Ci sono inoltre sette frammenti che Kassel e Austin inquadrano tra gli<br />
“Incertarum fabularum fragmenta” tutti tramandati da autori diversi da Ateneo,<br />
salvo il fr. 39.<br />
fr. 36<br />
Incertarum fabularum fragmenta<br />
Riportato da Stobeo IV 25, 17: 8ti crÕ toùj goneîj tÖj kaqhkoúshj timÖj<br />
kataxioûsqai parà tÏn téknwn... 217 .<br />
Si tratta di tre trimetri giambici.<br />
oÀstij fobeîtai to\n pate/ra k#)sxu/netai,<br />
ouÀtoj poli¿thj a)gaqo\j eÃstai kata\ lo/gon,<br />
kaiì tou\j polemi¿ouj duna/menoj kakÏj poieîn.<br />
Chi teme suo padre ed è riservato, costui sarà, di conseguenza, un buon cittadino e sarà capace di<br />
causare danno ai nemici<br />
Anche in questo frammento di tradizione stobeana, come negli altri riportati dallo<br />
stesso autore, ritroviamo affermazioni di carattere gnomico. Sembra<br />
l’indottrinamento di un saggio anziano rivolto a giovani a cui si impartiscono<br />
insegnamenti di morale e di comportamento civile.<br />
Il tono alto dei versi sembra configurare un tipo di parodia linguistica della<br />
tragedia, tipico della commedia del IV sec. a.C. Sul senso più generale del<br />
frammento, che può permettere di comprendere alcune importanti posizioni di<br />
Timocle, saranno effettuate alcune considerazioni nel capitolo III<br />
217 “Sul fatto che i genitori devono ricevere dai figli il rispetto che meritano”<br />
104
fr. 37<br />
‡Epainoj ploútou (Elogio della ricchezza) è stato già esaminato in relazione al fr.<br />
30 Pontikój.<br />
fr. 38<br />
Riportato da Clemente Alessandrino, Stromata IV 7,1:<br />
a÷tíka oë Strwmateîj ÓmÏn, katà tòn gewrgòn Timokléouj toû kwmikoû, sûka ---<br />
- méli prosodeúousi, kaqáper æk pamfórou cwríou. di’ &hn e÷karpían æpiférei<<br />
sù ---- légeij 218<br />
Si tratta di due trimetri giambici. Si configura come un colloquio tra due<br />
personaggi.<br />
{A.} ......... sûk', eÃlaion, i¹sxa/daj, me/li.<br />
{B.} su\ me\n ei¹resiw¯nhn, ou) gewrgi¿an le/geij.<br />
…fichi, olio, fichi secchi, miele. (B.) Tu parli di una ghirlanda, non di agricoltura<br />
Meineke avanza l’ipotesi che si tratti di una commedia intitolata Gewrgój<br />
interpretando il passaggio di Clemente Alessandrino katà tòn gewrgòn.<br />
E’ inoltre interessante la citazione al v. 2 dell’ei¹resiw¯nh, cioè di un ramo d’ulivo o<br />
lauro cinto con bende di lauro e guarnito di frutta, miele ed altro che nel corso<br />
delle feste Pianepsie 219 in Atene si appendeva al tempio di Apollo e Artemide e<br />
nelle case private.<br />
Si noti che Clemente Alessandrino definisce Timocle come commediografo.<br />
218<br />
“I nostri Stromata secondo il contadino del poeta comico Timocle producono (segue v. 1),<br />
come prodotti da una terra fertile. A causa di questa fertilità aggiunge che….v. 2”.<br />
219<br />
Le Pianepsie, celebrate verso la fine di ottobre, si basavano sull’offerta di fave e legumi (cfr.<br />
anche fr. 18 di Tim.).<br />
105
fr. 39<br />
Il fr. 39 è stato già trattato in precedenza.<br />
fr. 40<br />
Tramandato da Fozio (b, z) a 70:<br />
ÞgaqÕ túch< toûto prografómenon o#iontaí tinej . . . 1nioi dé prostiqéasi tò kaì<br />
qeój Ìj Plátwn æn trítwi Nómwn . . . kaì TimoklÖj< 220<br />
ÞgaqÕ túch t’ 1nestin<br />
Jeòj mèn dhladÕ<br />
una divinità senza dubbio e buona fortuna si incontrano in….<br />
fr. 41<br />
Il frammento è tramandato da Plutarco, Sulla vita dei dieci oratori, 845b.<br />
Citando Demostene dice: proelqÎn dè pálin eêj tàj ækklhsíaj, newterikÏj tina<br />
légwn diesúreto, Ìj kwmwidhqÖnai a÷tòn øp’ ’Antifánouj (fr. 288 K.-A.) kaì<br />
Timokléouj 221 :<br />
ma\ gÖn, ma\ krh/naj, ma\ potamou/j, ma\ na/mata.<br />
Per la terra, per le fonti, per i fiumi, per le correnti! 222<br />
220 “buona fortuna: alcuni credono che questa espressione …altri invece aggiungono anche “dio”<br />
come Platone nel libro III delle Leggi e Timocle…” In realtà la citazione esatta di Plat. Leg. VI,<br />
757e: dio\ t%½ tou= klh/rou iãs% a)na/gkh prosxrh/sasqai duskoli¿aj tw½n<br />
pollw½n eÀneka, qeo\n kaiì a)gaqh\n tu/xhn kaiì to/te e)n eu)xaiÍj e)pikaloume/nouj<br />
a)porqou=n au)tou\j to\n. (perciò è necessario servirsi dell’uguaglianza della sorte a causa del<br />
malumore della folla invocando nelle preghiere il dio e la buona sorte…)<br />
221 “Presentatosi di nuovo in Assemblea, (Demostene) era oggetto di satira perchè parlava in stile<br />
moderno, tanto da essere ridicolizzato da Antifane (fr. 288 K.-A.) e da Timocle…”<br />
222 Cfr. Aristoph. Av. 196: mà gÖn, mà pagídaj, mà nefélaj, mà díktua. Lo scolio al verso<br />
dice: “…così giuravano sulle cose a caso”.<br />
106
Continua Plutarco: ðmósaj dè toûton tòn trópon æn tÏi dÔmwi qórubon ækínhsen. 223<br />
Sempre Plutarco in Dem. 9,4 dice:<br />
’Eratosqénhj mén fhsin a÷tòn æn toîj lógoij pollacoû gegonénai parábakcon,<br />
ñ dè Falhreùj tòn 1mmetron ækeînon 8rkon ðmósai potè pròj tòn dÖmon 9sper<br />
ænqousiÏnta… 224<br />
In questo passaggio il riferimento è alle prime prove di Demostene come oratore,<br />
e, dunque, in un periodo temporale che può oscillare tra il 350 e il 345 a.C., tenuto<br />
conto che, secondo Plutarco (Dem. 12,1), Demostene iniziò la vita politica al<br />
tempo della guerra focese. Pertanto la commedia di Timocle potrebbe datarsi a<br />
ridosso dell’avvio della carriera dell’oratore 225 . Di certo la citazione di Plutarco e<br />
il riferimento ad Antifane suggeriscono che l’esclamazione demostenica<br />
costituisse una formula di pubblico dominio tale da suscitare una immediata ilarità<br />
tra gli ascoltatori.<br />
Peraltro questo verso per il suo carattere di pomposità ben si riallaccia alla<br />
descrizione di Demostene oratore che il nostro poeta traccia nel frammento 12<br />
quando lo definisce o( Bria/rewj.<br />
Plutarco (Dem. 9,3), ci informa circa l’attenzione che commediografi di varia<br />
formazione nutrivano verso la persona di Demostene: e)peiì to/lman ge kaiì qa/rsoj<br />
oi¸ lexqe/ntej u(p' au)toû lo/goi tÏn grafe/ntwn mâllon e%ixon, e#i ti deî pisteu/ein<br />
¹Eratosqe/nei kaiì Dhmhtri¿% t%½ Falhreî kaiì toîj kwmikoîj. 226 Dunque anche per<br />
questo aspetto non si può con certezza affermare (come pure taluni hanno<br />
sostenuto e in particolare Webster, 1953), la tesi di una preconcetta posizione<br />
politica di Timocle in senso antidemostenico. Più avanti (Dem. 9,5) Plutarco<br />
afferma tÏn de\ kwmikÏn o( me/n tij au)to\n a)pokaleî r(wpoperperh/qran 227 . Questo<br />
223<br />
“Giurando in questo modo provocò un mormorio tra il popolo”.<br />
224<br />
“Eratostene afferma che spesso, quando parlava, sembrava invaso da furore bacchico e il<br />
Falereo da parte sua dice che una volta davanti all’assemblea pronunciò, come colpito da<br />
ispirazione divina, quel famoso giuramento in versi…”<br />
225<br />
Ricordo che i riferimenti di Timocle a Demostene si ritrovano anche nel fr. 12 (…Hrwej) e nel<br />
fr. 4 (DÖloj) databile 324 a.C.<br />
226<br />
“Certamente i discorsi da lui pronunciati contenevano più veemenza e coraggio di quelli scritti<br />
se bisogna dare fiducia a Eratostene e Demetrio del Falereo e ai comici.”<br />
227<br />
“uno dei comici lo chiama futile chiacchierone”<br />
107
comico non è stato ben identificato, ma io credo che, anche sulla base dello<br />
specifico riferimento, possa trattarsi proprio di Timocle.<br />
fr. 42<br />
Il Lessico di Esichio (a 6889) cita † Þpuxînoj † 228 < e annota Þpò neurâj 229 ;<br />
TimoklÖj Þpexínou.<br />
H. Stephanus (Thes. LG) corregge Þpeneúrou. Polluce (IV, 179) dice:<br />
tò dè kenÏsai dià kaqársewj kaì æxinÏsai légousin, kaì æxinwménon Ó<br />
kwmwidía tòn kekaqarménon fhsín, Ìj æk tÏn ênÏn feroménhj tÖj colÖj.<br />
Dunque attesta che il participio perfetto di æxinów era usato dai commediografi<br />
come equivalente di kekaqarménoj, “come se la bile fosse portata via dai nervi”.<br />
Come sostiene V. Bevilacqua (1939, p. 34) “…pur nella sua comicità, questo<br />
accenno di Esichio a Timocle conferma … come il nostro si distingue per una sua<br />
nota <strong>personale</strong> fra i molti comici suoi contemporanei”.<br />
Si conclude così l’esame dell’insieme dei frammenti di Timocle a noi noti a<br />
tutt’oggi.<br />
Si tratta ora di analizzare in che modo gli elementi emersi da questo esame ci<br />
possano permettere di inquadrare la figura di Timocle nell’ambito della<br />
drammaturgia del IV sec. a.C. e, se possibile, di evidenziare alcune sue<br />
caratteristiche specifiche. Ma anche di trarre alcune utili indicazioni intorno alla<br />
formazione culturale e alla sensibilità politico-sociale che ispirava la<br />
drammaturgia del nostro commediografo.<br />
228 La parola inter cruces non ha alcun significato conosciuto.<br />
229 Neurá, cioè nervo o corda dell’arco.<br />
108