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PDF, 987 KB - La Privata Repubblica

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Così sostenendo la tesi che l’atto compiuto era conforme ai doveri d’ufficio e quindi si<br />

sarebbe trattato di violazione dell’art. 318 e non 319 c.p: tesi ricorrente e cavallo di<br />

battaglia, ancor oggi, della dottrina per contrastare interpretazioni non strettamente<br />

letterali della norma dell’art. 319 c.p.<br />

Argomentazioni cui si sarebbe potuto replicare che se la Lockeed aveva pagato tangenti,<br />

ciò non poteva che significare che sarebbe stata disponibile a vendere quegli aerei al<br />

prezzo decurtato dell’importo delle tangenti medesime.<br />

Invece la Corte Costituzionale ha privilegiato un argomento che, anziché fare perno<br />

sull’atto ha ricondotto la contrarietà ai doveri di ufficio al comportamento del pubblico<br />

ufficiale: ovvero -si può dire- al contenuto della promessa illecita, stabilendo che ogni<br />

qual volta il potere del p.u. viene sottoposto ad interessi diversi da quelli della P.A e dai<br />

doveri di imparzialità (che sono il parametro costituzionale dell’attività della stessa P.A)<br />

per il fatto di avere accettato la promessa o di essere remunerato da parte del privato, si<br />

devono considerare viziati tutti gli atti dallo stesso compiuti, anche se i singoli atti<br />

fossero identici a quelli che sarebbero stati compiuti in assenza di una remunerazione.<br />

Questa interpretazione è stata recepita dalla Corte Suprema già in tempi risalenti . Si è<br />

affermato infatti in giurisprudenza che il reato di cui all’art. 319 è integrato ogni qual<br />

volta non siano rispettate le regole inerenti l’uso del potere discrezionale, sicchè “si ha<br />

contrarietà ai doveri di ufficio ogni volta che un pubblico ufficiale accetti una<br />

retribuzione per fare uso distorto del potere discrezionale che gli compete o perché<br />

rinunci ad una valutazione comparativa degli interessi, indipendentemente dalla<br />

circostanza che l’atto poi emanato coincida con quello che sarebbe stato emesso in<br />

condizioni di normalità” (Cfr. ad esempio Cass. 3 giugno 1<strong>987</strong>)<br />

Ed ancora la Suprema Corte ha statuito che il bene tutelato dall’art. 319 c.p. è costituito<br />

dai principi di buon andamento ed imparzialità della buona amministrazione indicata<br />

dall’art. 97 comma primo della Costituzione, sicchè la contrarietà ai doveri di ufficio<br />

può riguardare la condotta complessiva del funzionario che, anche tramite l’emanazione<br />

di atti formalmente regolari, può venir meno ai suoi compiti istituzionali, inserendo tali<br />

atti in un contesto avente finalità diverse da quelle di pubblica utilità.<br />

L’attenzione dell’interprete per valutare la contrarietà o meno della condotta del P.U. ai<br />

suoi doveri deve incentrarsi non sui singoli atti ma sull’insieme del servizio reso al<br />

privato, per cui anche se ogni atto separatamente considerato corrisponde ai requisiti di<br />

legge, l’asservimento costante della funzione, per denaro, agli interessi privati,<br />

integra il reato in questione” (cfr. Cass. Sez. 6^ 12/1/90)<br />

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