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DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE ... - giovanniolmi

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ALMA MATER STUDIORUM<br />

UNIVERSITÀ DI BOLOGNA<br />

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA<br />

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE<br />

Matricola n. 0000289799<br />

<strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> E <strong>COLPA</strong> <strong>COSCIENTE</strong>:<br />

APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI<br />

Relatore<br />

Chiar.ma Prof.ssa<br />

Désirée Fondaroli<br />

Tesi di laurea in: DIRITTO PENALE<br />

Sessione III<br />

Anno accademico 2010/2011<br />

Candidato<br />

Giovanni Olmi


INDICE<br />

Introduzione: il dibattito su dolo eventuale e colpa cosciente, fra scelte di<br />

politica criminale, giurisprudenza, dottrina e dogmatica penale<br />

CAPITOLO I<br />

GENERALITÀ SULL’ELEMENTO SOGGETTIVO<br />

1. Definizione normativa, struttura e oggetto del dolo: questioni generali 5<br />

2. Teoria della rappresentazione e teoria della volontà: contenuti essenziali 11<br />

3. Definizione normativa e struttura della colpa: questioni generali<br />

4. Elementi comuni a dolo e colpa: la violazione di regole precauzionali di<br />

12<br />

condotta e il superamento del rischio consentito<br />

15<br />

5. La colpa cosciente e il trattamento aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 3, c.p. 22<br />

6. Il dibattito nei lavori preparatori al codice penale sul criterio di imputazione<br />

per la realizzazione di eventi non intenzionali<br />

CAPITOLO II<br />

TEORIE SUL CONFINE FRA <strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> E <strong>COLPA</strong> <strong>COSCIENTE</strong><br />

1. Teorie della possibilità e della probabilità 28<br />

2. Teorie dell’“operosa volontà di evitare” e del “rischio schermato”: la<br />

sostituzione dell’elemento psicologico volitivo con una valutazione<br />

oggettiva della condotta e del rischio 37<br />

3. La valorizzazione degli stati emozionali o affettivi 40<br />

4. Teoria dell’accettazione del rischio 46<br />

5. Teoria della previsione in concreto o in astratto della realizzazione del<br />

fatto tipico, valorizzazione del profilo intellettivo e rischi di configurazione<br />

di dolo in re ipsa 54<br />

6. La valorizzazione della conoscenza del rapporto causale fra condotta<br />

e risultato lesivo e teoria della “con-coscienza” 57<br />

7. Formule di Frank e teoria dell’”accettazione con approvazione in<br />

senso giuridico dell’evento”: la valorizzazione del profilo volitivo 65<br />

8. La concezione dell’”accettazione del rischio” come elemento comune<br />

a dolo eventuale e colpa cosciente. La distinzione basata sulle modalità<br />

psicologiche di accettazione del rischio 74<br />

9. La distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente sul piano oggettivo<br />

del rischio e la descrizione della responsabilità per dolo eventuale in<br />

base all’analisi di tre livelli: rischio peculiare doloso, elemento intellettivo<br />

ed elemento volitivo 81<br />

10. Dolo eventuale e colpa cosciente in relazione agli elementi del fatto<br />

tipico diversi dall’evento e nei reati di mera condotta 87<br />

11. Dolo eventuale e colpa cosciente nei reati di pericolo 91<br />

12. Dolo eventuale e colpa cosciente in relazione ai reati omissivi 95<br />

13. Questioni relative alla prova dell’elemento soggettivo 100<br />

14. Rilevanza o irrilevanza del versari in re illicita? 103<br />

1<br />

25


15. La tesi a sostegno della coincidenza sostanziale fra dolo eventuale<br />

e colpa cosciente, nonché dell’incostituzionalità dell’applicazione del<br />

dolo eventuale 106<br />

CAPITOLO III<br />

<strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> IN RAPPORTO AD ALTRI ISTITUTI<br />

1. Dolo eventuale e delitto tentato 112<br />

2. Dolo eventuale e fattispecie con dolo specifico 120<br />

3. Dolo eventuale e concorso di persone 123<br />

4. Dolo eventuale e preterintenzione 133<br />

5. Dolo eventuale e dolo alternativo 138<br />

CAPITOLO IV<br />

APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI DI <strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> E <strong>COLPA</strong><br />

<strong>COSCIENTE</strong> CON RIFERIMENTO A CASI SPECIFICI<br />

1. Sinistri stradali con gravi violazioni al Codice della strada 142<br />

2. Contagio da HIV e responsabilità dell’AIDS carrier 151<br />

3. Ricettazione<br />

3.1. Ricettazione e incauto acquisto. Configurabilità o non configurabilità<br />

161<br />

del dolo eventuale in caso di ricettazione?<br />

3.2. La decisione delle Sezioni Unite (Cass. Pen., Sez. Un., ud. 26<br />

162<br />

novembre 2009, dep. 30 marzo 2010, n. 12433)<br />

166<br />

4. Lancio di sassi da cavalcavia 171<br />

5. Responsabilità dell’ente e delle persone fisiche per incidenti sui luoghi di<br />

lavoro. La sentenza di primo grado sul caso Thyssenkrupp<br />

CAPITOLO V<br />

PROGETTI DI RIFORMA, SPUNTI DI DIRITTO PENALE COMPARATO ED<br />

AUSPICATA DEFINIZIONE DI UN TERTIUM GENUS NELL’AMBITO<br />

DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO<br />

1. Progetti di riforma del codice penale italiano 186<br />

2. La recklessness nell’ordinamento inglese 190<br />

3. La mise en danger francese 193<br />

4. Il cosciente desprecio por la vida de los demas<br />

5. Verso la definizione di un tertium genus nell’ambito dell’elemento<br />

197<br />

soggettivo?<br />

201<br />

6. Considerazioni conclusive 204<br />

Bibliografia 210<br />

Giurisprudenza di legittimità 214<br />

Giurisprudenza di merito 217<br />

175


Giurisprudenza costituzionale 218<br />

Sitografia 218


INTRODUZIONE: IL DIBATTITO SU <strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> E <strong>COLPA</strong><br />

<strong>COSCIENTE</strong>, FRA SCELTE DI POLITICA CRIMINALE, DOTTRINA E<br />

DOGMANTICA PENALE<br />

Il dibattito relativo all’individuazione del discrimen fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente si inserisce in un contesto che, lungi dall’essere limitato a questioni di<br />

carattere meramente teorico, assume una evidente rilevanza pratica ed applicativa.<br />

Non a caso, è stato definito come la questione “più difficile e […] più discussa del<br />

diritto penale” 1 . Più precisamente, trattandosi di categorie di confine, occorre studiare<br />

l’essenza dell’uno e dell’altro elemento soggettivo al fine di stabilire a quale titolo<br />

debba effettivamente essere imputato il reato nell’ambito delle fattispecie punibili a<br />

titolo di colpa (con ovvie conseguenze sul piano della determinazione della pena),<br />

nonché di individuare la soglia della punibilità, qualora si tratti di reati non punibili a<br />

titolo di colpa; tenuto conto, poi, del fatto che il codice penale italiano non contiene<br />

un univoco fondamento normativo del dolo eventuale, si evince chiaramente come<br />

l’assetto attuale si presti a pratiche che possano avere ripercussioni ed effetti in<br />

termini di politica criminale. In particolare si è evidenziata la tendenza<br />

giurisprudenziale consistente nel “plasmare” le categorie dogmatiche del diritto<br />

penale al fine di rispondere alle nuove esigenze di tutela: meccanismo, questo,<br />

attraverso il quale si è giunti a tollerare una erosione di garanzie, sia sul piano<br />

sostanziale che su quello processuale 2 . In quest’ottica, non si può non notare quella<br />

che è stata definita come “esplosione del dolo eventuale” nella storia giudiziaria<br />

dell’ultimo ventennio, in particolare (ma non solo) con riferimento ai reati contro la<br />

vita, e nonostante il quasi eccessivo numero di istituti astrattamente applicabili alle<br />

ipotesi di causazione dell’evento “morte” 3 : le ragioni di tale fenomeno sono<br />

individuabili non solo in esigenze di politica criminale, bensì anche in fondamenti di<br />

carattere teorico, in quanto non mancano impostazioni le quali considerano il dolo<br />

eventuale come caratterizzato essenzialmente dal “minimo comune denominatore”<br />

del dolo 4 .<br />

Concentrandosi, comunque, sul primo ordine di ragioni citato (cioè quello<br />

ricollegabile ad esigenze di politica criminale), si evidenzia una certa tendenza a<br />

considerare la scarsa efficacia generalpreventiva delle fattispecie penali colpose,<br />

1 Così riporta S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente. Ai confini tra dolo e colpa<br />

nella struttura delle tipologie delittuose, Milano, Giuffrè, 1999, 2, citando WELZEL, Das deutsche<br />

Strafrecht. Eine systematische Darstellung, XI ed., Berlin, 1969, 69.<br />

2 L. EUSEBI, Appunti sul confine fra dolo e colpa nella teoria del reato, in Riv. it. dir. e proc.<br />

pen., 2000, 3, 1100.<br />

3 M. DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le Sezioni Unite riscoprono<br />

l’elemento psicologico, in Cass. pen., 2010, 7/8, 2580. Si evidenzia quasi l’”imbarazzo della scelta” fra<br />

gli istituti penali astrattamente applicabili alle ipotesi in cui vi sia realizzazione dell’evento “morte”:<br />

“colpa, colpa aggravata dalla previsione dell’evento, o aggravata da violazioni di norme cautelari<br />

qualificate […]; morte come conseguenza di altro delitto doloso diverso da percosse o lesioni;<br />

percosse o lesioni con morte preterintenzionale, dolo eventuale, dolo diretto, dolo intenzionale. E poi<br />

tutti i vari specifici delitti aggravati dall’evento[…]” Si veda anche E. DI SALVO, Dolo eventuale e colpa<br />

cosciente, in Cass. pen. 2003, 6, 1932 – 1933, ove si afferma la maggior adeguatezza, ai fini<br />

dell’inquadramento della realizzazione di fattispecie caratterizzate dalla divergenza fra voluto e<br />

cagionato, di istituti che esulano dalla sfera del dolo, quali preterintenzione, colpa, aberratio, delitti<br />

aggravati dall’evento.<br />

4 Cit. M. DONINI, op. loc. cit.<br />

1


nonché degli illeciti extrapenali 5 ; sulla base di questo contesto, si è notato come la<br />

formula dell’ “accettazione del rischio” sia divenuta, in giurisprudenza, quasi una<br />

“clausola di stile” che identifica, a ben vedere, non l’essenza del dolo, bensì – quasi<br />

paradossalmente – la colpa con previsione 6 ; o, se non altro, una mera “formula<br />

retorica”, in quanto non consente un effettivo accertamento dal punto di vista<br />

processuale 7 . Altri aspetti della prassi i quali assumono rilevanza in questo contesto<br />

sono dati dalle ipotesi nelle quali venga identificato (quasi automaticamente) il dolo<br />

eventuale allorquando una determinata fattispecie penalmente rilevante sia stata<br />

realizzata come conseguenza accessoria nell’ambito di un contesto illecito di base<br />

(versari in re illicita), mentre venga inquadrata la sfera della colpa cosciente nel caso<br />

in cui il contesto di base fosse, di per sé, lecito 8 : il che lascia, peraltro, trasparire<br />

l’effettuazione di valutazioni basate sul “tipo d’autore”, le quali non dovrebbero<br />

essere ammesse nell’ambito di un diritto penale costituzionalmente orientato.<br />

È stato inoltre osservato che le origini storiche del dolo eventuale affondino,<br />

sostanzialmente, proprio in ambiti caratterizzati dal versari in re illicita, attraverso la<br />

configurazione di una sorta di forma di responsabilità oggettiva per la causazione di<br />

eventi nel quadro di un’attività di base illecita; successivamente, e progressivamente,<br />

si sarebbe passati alla concezione del dolo eventuale come forma di responsabilità<br />

per l’evento oggettivamente probabile: il che ha contribuito a focalizzare tale forma<br />

quantomeno su un minimo coefficiente di colpevolezza, ma non ha impedito utilizzi<br />

del dolo eventuale per esigenze connesse non già all’imputazione soggettiva del<br />

reato, bensì a ragioni di carattere repressivo o di politica giudiziaria 9 . A fronte di tali<br />

tendenze, la dottrina rimarca la necessità di salvaguardare i paradigmi dogmatici<br />

propri di un diritto penale che dovrebbe essere imperniato sui principi di<br />

colpevolezza, personalità della responsabilità penale, materialità, idoneità offensiva,<br />

inammissibilità di forme di responsabilità oggettiva: il che non significa rinunciare alla<br />

prospettiva di determinare soluzioni che si adattino al mutamento del contesto storico<br />

– sociale (caratterizzato, per l’argomento che qui interessa, da un proliferare di fattori<br />

di rischio i quali implicano la necessità di nuove forme di prevenzione e controllo di<br />

tali fattori) ed alle esigenze della società, bensì mirare alla determinazione di<br />

soluzioni in modo razionale, senza che la complessità dei problemi ai quali occorre<br />

far fronte possa condurre a cedere alla tentazione del ricorso ad un totale mutamento<br />

dei modelli teorici e dogmatici 10 . Il principio di colpevolezza, in particolare, non<br />

dovrebbe essere considerato un apparato meramente discorsivo, giacché costituisce<br />

uno dei pilastri sui quali si fonda la funzione di garanzia del diritto penale, ed in<br />

assenza del rispetto del quale risulterebbero pregiudicate anche le funzioni<br />

preventiva generale (la quale presuppone che siano previste come penalmente<br />

5 M. DONINI, op. cit., 2581.<br />

6 L. EUSEBI, Appunti, 1088. In questo senso, tra gli altri, anche G. FORTE, Dolo eventuale tra<br />

divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 2, 823, nota<br />

(8), ove si sostiene che la categoria del dolo eventuale inquadri, in effetti, un “doppione mascherato” di<br />

colpa con previsione.<br />

7 F. CURI, Tertium datur. Dal common law al civil law per una scomposizione tripartita<br />

dell’elemento soggettivo del reato, Milano, Giuffrè, 2003, 10.<br />

8 P. VENEZIANI, Dolo eventuale e colpa cosciente, in Studium iuris 2001, 70 ss. ID., Motivi e<br />

colpevolezza, Torino, Giappichelli, 2000, 122 ss. F. CURI., op. cit., 11.<br />

9 G. FORTE, op. cit., 822, nota (7)<br />

10 G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, colpa cosciente e colpa grave alla luce<br />

dei diversi modelli di incriminazione, in Cass. pen., 2009, 12, 5013 – 5015.<br />

2


ilevanti fattispecie sulle quali i soggetti possano esercitare potere di controllo) e<br />

preventiva speciale (la quale presuppone che al soggetto possa essere mosso un<br />

rimprovero per il fatto per cui si applica la pena; rimprovero, questo, che deve<br />

esulare da valutazioni di carattere meramente morale o attinenti alla personalità del<br />

soggetto stesso) 11 .<br />

La sfera di soluzioni proposte nel panorama che si è appena inquadrato è<br />

piuttosto ampia. Anzitutto, è stata evidenziata l’esigenza di abbandono di<br />

un’impostazione del diritto penale che tende all’intervento “a danno arrecato”, nonché<br />

imperniato sulla “minaccia” della pena detentiva, a favore di un modello<br />

maggiormente orientato alla prevenzione ed al controllo effettivamente efficiente<br />

delle condotte potenzialmente pericolose 12 .<br />

D’altra parte, è possibile richiamare i vari e più o meno recenti progetti di riforma<br />

del codice penale, i quali sono improntati verso una più precisa definizione del dolo,<br />

che a sua volta mirerebbe a costituire l’espresso riconoscimento o fondamento<br />

normativo del dolo eventuale; nonché, d’altra parte, l’auspicata definizione di un<br />

tertium genus di elemento soggettivo incentrato sulla “responsabilità da assunzione<br />

di rischio”, la quale dovrebbe conferire una maggiore aderenza fra assetto dogmatico<br />

– teorico e ambito applicativo concreto e, in aggiunta, valorizzare la funzione di<br />

sussidiarietà del diritto penale, concretando il dolo come forma principale di<br />

colpevolezza, delineando una figura intermedia ed autonoma di responsabilità da<br />

rischio e configurando, giocoforza, una significativa limitazione dei margini di<br />

applicazione della colpa incosciente 13 . Tuttavia, vi è anche chi ha sostenuto che<br />

l’introduzione di un tertium genus non agevolerebbe la soluzione dei problemi di cui<br />

trattasi, in quanto comporterebbe – contrariamente rispetto a quel che, invece, si<br />

persegue – una complicazione delle difficoltà di individuazione dei confini fra dolo e<br />

colpa 14 . Sono state avanzate osservazioni negative anche con riguardo all’alternativa<br />

consistente nella definizione legale del dolo eventuale, poiché – si sostiene – non si<br />

potrebbe delegare al legislatore tale scelta di stampo politico – criminale 15 .<br />

Ovviamente il dibattito teorico è aperto e, fermo restando le questioni<br />

concernenti le teorie “classiche”, parte della dottrina ha effettivamente tentato di<br />

delineare la distinzione fra dolo eventuale e colpa con previsione in modo più<br />

preciso, attraverso l’individuazione di un rischio peculiare doloso, nonché tramite<br />

l’identificazione di nuovi parametri i quali dovrebbero soddisfare le esigenze suscitate<br />

dal contesto attuale, in cui il proliferare di fattori di rischio che si sviluppano in<br />

contesti di base consentiti (non illeciti, e talvolta addirittura disciplinati<br />

dall’ordinamento giuridico) rende obsolete le impostazioni teoriche classiche circa il<br />

11 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale., V ed., Bologna, Zanichelli, 2007,<br />

318 ss.<br />

12 L. EUSEBI, op. ult. cit, 1100 – 1101.<br />

13 F. CURI, op. cit., 3-5 (nell’ambito dell’intera monografia ricorrono molti altri passi in cui si<br />

auspica tale prospettiva).<br />

14 S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo: il problema del dolus eventualis, in Riv. it. dir.<br />

e proc. pen., 2001, 3, 938 ss.<br />

15 S. CANESTRARI, op. ult. cit. 906, ove si riprende G. MARINUCCI, Politica criminale e<br />

codificazione del principio di colpevolezza, in AA. VV., Prospettive di riforma del codice penale e valori<br />

costituzionali, Milano, 1994, 144.<br />

3


confine fra la forma più tenue del dolo e quella più grave della colpa 16 . La<br />

giurisprudenza, peraltro – salvo una recente pronuncia dei giudici di legittimità, la<br />

quale configura l’elemento dell’accettazione del rischio come comune a dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, individuando invece la distinzione fra le due forme di<br />

elemento soggettivo nelle modalità psicologiche attraverso le quali si concretizza<br />

l’accettazione del rischio 17 ; impostazione, questa, che era già stata delineata in<br />

dottrina 18 -, nell’ultimo ventennio è rimasta ancorata principalmente alla teoria<br />

dell’accettazione del rischio. Il panorama qui descritto sinteticamente non si<br />

esaurisce in questi termini, dato che se si vanno ad enumerare nello specifico le<br />

varie teorie inerenti alla distinzione fra dolo eventuale e colpa con previsione, si<br />

giunge sicuramente ad un numero a doppia cifra.<br />

Lo scopo della presente tesi è, appunto, quello di analizzare – premesse le<br />

generalità teoriche sull’elemento soggettivo del reato – i dettagli delle varie teorie sul<br />

discrimen fra dolo eventuale e colpa cosciente, nonché studiarne gli aspetti positivi, i<br />

limiti e le applicazioni giurisprudenziali. Il tutto senza tralasciare considerazioni<br />

concernenti i progetti di riforma, nonché la già accennata ipotesi di introduzione di un<br />

tertium genus di elemento soggettivo, elaborato attraverso la valutazione di istituti<br />

analoghi rilevabili negli ordinamenti inglese, francese e spagnolo.<br />

16<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 152 – 170 (ma l’intera opera è<br />

principalmente orientata nella prospettiva di critica alle teorie tradizionali e di delineazione di nuovi<br />

parametri che possano soddisfare il contesto attuale).<br />

17<br />

Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (deposito 15 marzo 2011), n. 10411, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

18<br />

S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis. Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali,<br />

Milano, Giuffrè, 1993, 32 – 46.<br />

4


CAPITOLO I<br />

GENERALITÀ SULL’ELEMENTO SOGGETTIVO<br />

SOMMARIO: 1. Definizione normativa, struttura e oggetto del dolo: questioni generali. – 2. Teoria della<br />

rappresentazione e teoria della volontà: contenuti essenziali. – 3. Definizione normativa e struttura<br />

della colpa: questioni generali. – 4. Elementi comuni a dolo e colpa: la violazione di regole<br />

precauzionali di condotta e il superamento del rischio consentito. – 5. La colpa cosciente e il<br />

trattamento aggravato ai sensi dell’art 61, n. 3., c.p. – 6. Il dibattito nei lavori preparatori al codice<br />

penale sul criterio di imputazione per la realizzazione di eventi non intenzionali.<br />

1. Definizione normativa, struttura e oggetto del dolo: questioni generali<br />

L’art. 43, comma 1, alinea 1, c.p. fornisce una nozione di “delitto doloso” (“Il<br />

delitto: è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che<br />

è il risultato dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del<br />

delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od<br />

omissione”) che, se da un lato afferma, come presupposti strutturali del dolo,<br />

previsione e volontà, dall’altro non soddisfa pienamente il lettore il quale, in base ad<br />

essa soltanto, tenti di individuare in modo specifico ed univoco elementi dai quali<br />

poter trarre conclusioni circa i confini del dolo, l’oggetto del dolo e l’effettiva essenza<br />

di esso 19 . Nondimeno, non si può mancare di osservare il fatto che la definizione in<br />

questione non costituisca, di per sé, un solido fondamento normativo per quanto<br />

attiene al dolo eventuale.<br />

Anzitutto, la norma di cui trattasi prospetta, quale oggetto di previsione e<br />

volontà, l’evento dannoso o pericoloso. Occorre, quindi, stabilire cosa effettivamente<br />

debba intendersi mediante tale espressione onde identificare, di conseguenza,<br />

l’oggetto del dolo: in particolare, l’alternativa parrebbe essere fra l’identificare come<br />

oggetto del dolo l’evento in senso naturalistico – cioè l’effetto consistente in una<br />

modificazione del mondo esterno provocata dalla condotta del soggetto agente ed in<br />

rapporto eziologico con essa – o l’evento in senso giuridico – ossia la lesione<br />

dell’interesse tutelato dalla norma penale 20 . Qualora si volesse accogliere la prima<br />

impostazione – cioè considerare come oggetto del dolo l’evento in senso<br />

naturalistico –, tuttavia, si giungerebbe a limitare la portata della definizione di “delitto<br />

doloso” ai soli delitti di evento; d’altra parte, l’ordinamento penale configura<br />

certamente ipotesi di dolo non limitate ai soli reati di evento, bensì estesa ai reati di<br />

mera condotta, nonché a reati di pericolo, e l’“evento” di cui all’art. 43 comma 1. c.p.<br />

è considerato da autorevole dottrina 21 come componente la quale non possa<br />

mancare in alcuna fattispecie di reato: ragioni – queste – per le quali il concetto di<br />

“evento” inteso dall’art. 43 c.p. dovrebbe essere interpretato come significante<br />

l’evento in senso giuridico 22 . Tuttavia, l’impostazione che meglio consente di<br />

ricostruire l’oggetto del dolo tenendo conto, al contempo, di reati di mera condotta e<br />

reati di evento è quella in base alla quale l’oggetto del dolo si estenderebbe a tutti gli<br />

19 M. GALLO, voce Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., Vol. XIII, Milano, Giuffrè, 1964, 750 ss.<br />

20 M. GALLO, op. loc. cit.<br />

21 M. GALLO, op. loc. cit.<br />

22 M. GALLO, op. loc. cit.<br />

5


elementi del fatto tipico 23 : giungendo, pertanto, a riguardare tutti gli elementi<br />

essenziali della fattispecie penale 24 , compresi quindi condotta, evento naturalistico<br />

(in caso di reato di evento), nesso causale fra condotta ed evento naturalistico (in<br />

caso di reato di evento) 25 nonché, in linea generale, i presupposti della condotta,<br />

intendendosi in quest’ultimo caso tutti gli elementi del fatto diversi dalla condotta<br />

materiale e dall’evento naturalistico 26 ; sempre nell’ottica dell’inquadramento dei<br />

presupposti della condotta – intesi nell’ampia accezione che è appena stata indicata<br />

–, potrà ben trattarsi anche di elementi concomitanti alla condotta stessa: significa<br />

che il criterio da utilizzare al fine dell’identificazione di essi non è di carattere<br />

meramente cronologico, bensì di carattere logico 27 ; dovrà, in particolare, trattarsi di<br />

elementi, antecedenti o concomitanti alla condotta, i quali concorrano a descrivere e<br />

delineare il fatto tipico, a prescindere dal caso che si tratti di connotazioni di tipo<br />

meramente descrittivo o di tipo normativo 28 .<br />

Alcune precisazioni, del resto, possono rendersi necessarie se si considera,<br />

quale oggetto del dolo, nello specifico il nesso causale: si tratta di stabilire se, ai fini<br />

della sussistenza del dolo, sia necessario o meno che l’elemento soggettivo in<br />

questione riguardi tutti i particolari e specifici aspetti che caratterizzano il decorso<br />

causale effettivamente realizzato; in ordine a questo aspetto appare condivisibile<br />

l’ipostazione dottrinale 29 per la quale è sufficiente che il dolo riguardi gli elementi<br />

essenziali del decorso causale, a meno che non si tratti di elementi espressamente<br />

tipizzati e predeterminati dal legislatore: in quest’ultimo caso, l’elemento soggettivo<br />

dovrà necessariamente ricadere anche su di essi.<br />

È possibile concludere l’analisi inerente l’oggetto del dolo facendo riferimento<br />

all’art. 47 c.p., ai sensi del quale “l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la<br />

punibilità dell’agente” a titolo di dolo (la norma prosegue specificando che, “se si<br />

tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è<br />

preveduto dalla legge come delitto colposo”). Invero, è stato rilevato in dottrina 30 che<br />

gli artt. 43 e 47 c.p. dovrebbero essere considerati in modo coordinato e<br />

complementare ai fini dell’inquadramento dell’oggetto del dolo: l’art 47 c.p. in<br />

particolare, definendo l’errore (al quale è equiparata, a fortiori, l’ignoranza) sul fatto<br />

quale componente di esclusione del dolo, attiene al momento rappresentativo e,<br />

giocoforza, identifica il dolo come esatta rappresentazione del fatto; l’art 43, d’altra<br />

parte, è focalizzato sull’elemento volitivo, completando la descrizione del dolo come<br />

rappresentazione e volontà dell’intero fatto tipico. Occorre altresì considerare, sulla<br />

stessa linea, l’art. 59 comma 4 c.p., il quale postula l’esclusione del dolo in caso di<br />

erronea supposta esistenza di cause di esclusione della pena, fermo restando che<br />

non è esclusa l’imputazione a titolo di colpa se il fatto è previsto come reato<br />

colposo 31 . In sintesi, il coordinamento fra l’art. 43 comma 1 da un lato, e gli artt. 47 e<br />

23 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, V ed., Bologna, Zanichelli, 2007,<br />

355. 24 S. PROSDOCIMI, op. cit., 53.<br />

25 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 356.<br />

26 S. PROSDOCIMI, op. cit., 49, 50.<br />

27 S. PROSDOCIMI, op. loc. cit.<br />

28 S. PROSDOCIMI, op. loc. cit.<br />

29 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 356.<br />

30 S. PROSDOCIMI, op. cit., 54.<br />

31 M. GALLO, op. loc. cit.<br />

6


59 comma 4 dall’altro, contribuisce a fondare ulteriormente la tesi per cui l’oggetto<br />

del dolo sia il fatto tipico nella sua interezza. È bene, tuttavia, rilevare che comunque<br />

il dibattito dottrinale sull’oggetto del dolo non si è esaurito semplicemente in questi<br />

termini: è stato in effetti osservato 32 che i compilatori del codice Rocco vedevano<br />

radicata una prospettiva in base alla quale ogni reato dovesse essere<br />

indefettibilmente caratterizzato da un evento naturalistico distinguibile nella sfera<br />

esteriore e concreta rispetto alla mera condotta; e, se attualmente non è più così, il<br />

tutto non significa necessariamente che il termine “evento” di cui all’art. 43 debba<br />

essere interpretato nel senso di escludere che possa trattarsi dell’evento<br />

naturalistico. D’altra parte, è stato posto l’accento sul fatto che, qualora si concepisse<br />

l’art. 43 come riferito all’evento in senso naturalistico, sarebbe comunque<br />

individuabile un approccio tramite il quale garantire la configurabilità del dolo anche<br />

in relazione ai reati privi di evento naturalistico: molto semplicemente, con<br />

argomentazione a maiori ad minus, la definizione del dolo per l’ipotesi più ampia<br />

(reato con evento naturalistico) sarebbe riferibile ed adattabile anche all’ipotesi meno<br />

ampia (reato privo di evento naturalistico) 33 . Anche l’interpretazione appena delineata<br />

giunge comunque, sostanzialmente, ad essere coerente con la conclusione per cui<br />

l’oggetto del dolo non debba essere concepito come limitato all’evento in senso<br />

naturalistico, bensì debba essere inteso come riferito a tutti gli elementi del fatto<br />

tipico.<br />

Definito l’oggetto del dolo, è possibile delineare in maniera più precisa i concetti<br />

di rappresentazione e volontà. La rappresentazione indica la conoscenza e<br />

raffigurazione mentale di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie: qualora si tratti<br />

di elementi di carattere descrittivo, non si pongono particolari problemi, in quanto<br />

sarà senz’altro sufficiente la conoscenza di elementi di fatto o naturalistici; qualora si<br />

tratti, d’altra parte, di elementi normativi, si ritiene comunemente che non sia<br />

necessaria la conoscenza di tali elementi nella corrispondente sfera giuridica, bensì<br />

che sia sufficiente – ma necessaria – la rappresentazione di essi in una<br />

trasposizione nella corrispettiva sfera di carattere non giuridico (quella che viene<br />

definita “sfera laica”) 34 . Nondimeno, si tratta di stabilire quale sia il livello minimo di<br />

effettività del contenuto della rappresentazione, ai fini della configurazione del dolo:<br />

appare condivisibile la soluzione per cui, ai fini della rappresentazione rilevante per<br />

l’inquadramento del dolo, non è indispensabile che l’agente si sia effettivamente<br />

soffermato a riflettere su ogni specifico elemento della fattispecie penale, essendo<br />

sufficiente – ma necessario – che una determinata circostanza, sulla quale egli non<br />

si sia effettivamente soffermato con il pensiero, faccia parte di un complesso di<br />

circostanze che gli siano precedentemente note, e purché egli potrebbe richiamarle<br />

entro la propria sfera intellettiva attuale in un istante 35 .<br />

32<br />

T. PADOVANI, Dolo e coscienza dell’offesa al momento degli addii?, in Cass. pen., 1984, 524.<br />

33<br />

T. PADOVANI, op. loc. cit.<br />

34<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 351.<br />

35<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 352 - 353. Viene riportato l’esempio della corruzione di<br />

minorenne: ai fini della sussistenza del dolo non è necessario che l’agente abbia effettivamente<br />

soffermato il proprio pensiero nel riflettere sull’età della persona offesa al momento dell’attuazione<br />

della condotta, purché l’età della persona offesa fosse già in precedenza a sua conoscenza. D’altra<br />

parte, il dolo sarebbe da escludere nelle ipotesi in cui il passaggio alla rappresentazione attuale<br />

richiederebbe un processo complesso di deduzione logica.<br />

7


Per quanto concerne l’elemento volitivo, è opportuno richiamare la nozione di<br />

“volontà” prospettata dalla psicologia, in base alla quale si tratterebbe di un impulso<br />

fisico e cosciente attinente alla sfera del volere e ai fini della produzione di<br />

movimento corporeo 36 : accogliendo, in questo frangente, la teoria della volontà<br />

(senza entrare, per ora, nel dettaglio dell’analisi del dibattito fra teoria della<br />

rappresentazione e teoria della volontà), il concetto di “volontà” appena delineato può<br />

coordinarsi non solo con riferimento all’azione od omissione, bensì con riferimento ad<br />

ogni elemento costitutivo della fattispecie penale, posto che quest’ultima deve essere<br />

considerata in senso unitario 37 . Del resto, una ricostruzione di questo tipo appare<br />

coerente anche se si richiama la teoria finalistica dell’azione, in base alla quale ogni<br />

condotta umana non viene realizzata come fine a sé stessa, bensì come orientata al<br />

conseguimento di un fine 38 . Occorre poi precisare che il concetto di “volontà”<br />

rilevante ai fini del dolo esula da valutazioni inerenti aspetti di carattere meramente<br />

emotivo (desideri, speranze) o semplici tendenze, inclinazioni o componenti di<br />

carattere simile; né attiene alla sfera della volontà il semplice movente 39 .<br />

L’ulteriore questione che deve essere affrontata ai fini dell’inquadramento<br />

dell’essenza del dolo, anche essa suscitata dalla scarsa univocità del tenore letterale<br />

dell’art. 43 comma 1 alinea 1 c.p., è data dall’individuazione del significato e della<br />

portata che debbano essere attribuiti all’inciso “secondo l’intenzione”. Considerando,<br />

infatti, come doloso soltanto il comportamento “intenzionale” rispetto ad un<br />

determinato evento, cioè soltanto il comportamento di chi abbia provocato un evento<br />

con corrispondenza fra prospettiva psicologica assunta dall’agente ed evento<br />

concretamente realizzato (in altri termini, qualora la prospettiva psicologica dia causa<br />

alla condotta) 40 , si ricadrebbe con il limitare l’ambito della rilevanza del dolo al solo<br />

dolo intenzionale, con esclusione delle forme non intenzionali, ossia dolo diretto e<br />

dolo eventuale, nonché dolo indiretto, se si accoglie la ricostruzione che prospetta<br />

tale forma quale ulteriore rispetto a dolo diretto e dolo eventuale. Parte della dottrina<br />

si è sforzata di individuare un’impostazione la quale consenta di rendere coerente la<br />

concezione delle forme non intenzionali di dolo rispetto all’inciso “secondo<br />

l’intenzione” di cui all’art. 43, precisando che detta formula non debba indurre a<br />

ritenere che l’art. 43 limiti l’ambito del dolo al solo dolo intenzionale 41 . Occorre<br />

prendere le mosse, anzitutto, dalla teoria finalistica dell’azione, in base alla quale<br />

ogni condotta umana non è attuata come fine a sé stessa, ma è sempre orientata ad<br />

uno scopo 42 : in base a tale premessa, la classificazione delle tipologie di dolo<br />

andrebbe effettuata tenuto conto del grado di conformità (maggiore o minore) di<br />

quanto concretamente realizzato rispetto al fine intenzionalmente perseguito<br />

dall’agente: così, secondo la dottrina che concepisce la distinzione fra dolo “diretto”<br />

ed “indiretto”, il dolo diretto si avrà per la fattispecie non perseguita per sé stessa<br />

come fine, ma che sia mezzo necessario per la realizzazione di quanto<br />

36<br />

M. GALLO, Il dolo. Oggetto e accertamento, in Studi Urbinati, Anno XX, 1951 – 1952, 143.<br />

37<br />

M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I. Art. 1 – 84, II ed., Milano,<br />

Giuffrè, 1995. Nello stesso senso G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit. 353.<br />

38<br />

G. CERQUETTI, Il dolo, Torino, Giappichelli, 2010, 10, ove si richiamano citazioni da M.<br />

GALLO, op. ult. cit., 208 ss.<br />

39<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit.<br />

40<br />

L. EUSEBI, Il dolo come volontà, Brescia, Morcelliana, 1993, 175.<br />

41 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33 e 137.<br />

42 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33.<br />

8


intenzionalmente perseguito, e qualora l’“intenzionalmente perseguito” e la<br />

“fattispecie – mezzo” siano realizzabili con la medesima condotta materiale; mentre il<br />

dolo indiretto si avrà per la fattispecie realizzata, non intenzionalmente perseguita, la<br />

quale, tuttavia, sia considerata come necessaria conseguenza connessa e<br />

collaterale rispetto alla realizzazione del fine intenzionalmente perseguito, e sia<br />

prevista come certa o altamente probabile 43 ; la fattispecie sorretta da dolo eventuale<br />

(si riserva la trattazione specifica della definizione di “dolo eventuale” secondo le<br />

varie teorie al cap. II) si distinguerebbe quindi, rispetto a quella realizzata con dolo<br />

indiretto, in primis dal punto di vista quantitativo, in quanto nell’ipotesi del dolo<br />

indiretto la realizzazione della fattispecie è prevista come certa o “quasi certa”,<br />

mentre nell’ipotesi del dolo eventuale la realizzazione del fatto è ritenuta dall’agente<br />

come possibile o probabile (comunque non “certa”); tuttavia, tale aspetto di carattere<br />

quantitativo comporterebbe conseguenze anche sul piano qualitativo dato che,<br />

nell’ipotesi del dolo indiretto, l’accettazione del fatto sarà senz’altro piena, mentre<br />

nell’ipotesi del dolo eventuale si resterà nell’ambito di graduazioni inferiori del livello<br />

di accettazione, che resterà quindi nella sfera dell’ipotetico 44 ; in ogni caso (dolo<br />

diretto, dolo indiretto, dolo eventuale) si avranno fattispecie realizzate con condotta<br />

caratterizzata comunque da un fine intenzionale (che nelle ipotesi diverse dal dolo<br />

intenzionale, ovviamente, non coincide con la fattispecie realizzata e che si assume<br />

sorretta, a seconda dei casi e alternativamente, da dolo diretto, indiretto o<br />

eventuale): in questo senso sarebbe soddisfatto il tenore letterale dell’art. 43, comma<br />

1, c.p., laddove vede inserito l’inciso “secondo l’intenzione” 45 . L’impostazione<br />

dottrinale la quale considera, quale forma intermedia fra dolo intenzionale e dolo<br />

eventuale, il solo dolo diretto, identifica quest’ultimo nell’ipotesi in cui la fattispecie<br />

non intenzionalmente perseguita sia realizzata in quanto mezzo necessario per il<br />

conseguimento del fine intenzionale, ed alla luce della certezza o “quasi certezza” di<br />

realizzazione della fattispecie stessa, facendo tuttavia rientrare in quest’ambito<br />

anche le ipotesi che, come si è osservato, altra parte della dottrina classifica come<br />

“dolo indiretto” 46 : il che, ad ogni modo, non appare in contrasto con la tesi per cui il<br />

termine “intenzione” utilizzato dal legislatore all’interno dell’art. 43 sarebbe riferito<br />

all’intenzionalità della condotta umana; anche in quest’ultimo caso, in effetti, si tratta<br />

di identificare una fattispecie non intenzionalmente perseguita e realizzata tramite<br />

una condotta la quale perseguisse intenzionalmente un fine ulteriore. Sulla base di<br />

quanto si è esposto, è possibile individuare una ricostruzione in base alla quale le<br />

diverse forme di dolo (intenzionale, diretto, indiretto, eventuale) sono (e devono<br />

essere) tutte caratterizzate da elementi i quali concretizzano il requisito psichico della<br />

volontà, seppur con gradazioni diverse di tale requisito: in questo senso, il rapporto<br />

fra “intenzione” e “volontà” si inquadra nel paradigma plus – minus, nel senso che si<br />

tratta di elementi i quali esprimono diverse gradazioni di un medesimo concetto<br />

sostanziale (e non concetti sostanzialmente differenti) 47 ; ne deriva, chiaramente, la<br />

riconduzione al paradigma plus – minus del rapporto fra dolo intenzionale, dolo<br />

diretto, dolo indiretto e dolo eventuale.<br />

43 S. PROSDOCIMI, op. cit., 132 – 135.<br />

44 S. PROSDOCIMI, op. cit., 135.<br />

45 S. PROSDOCIMI, op. cit., 33 e 137.<br />

46 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 361.<br />

47 G. CERQUETTI, op. cit., 184. Si accoglie, in particolare, la ricostruzione effettuata da Mario<br />

Romano relativamente al requisito della volontà nelle varie forme di dolo.<br />

9


A conclusioni differenti rispetto a quelle appena esposte è giunta altra parte<br />

della dottrina 48 , la quale ritiene che la volontà coincida in senso stretto con la sola<br />

intenzione: con la conseguenza che l’unica forma descrittiva di dolo sarebbe data dal<br />

dolo intenzionale, mentre dolo diretto e dolo eventuale consisterebbero in dati<br />

normativi, non caratterizzati da “volontà – intenzione”, ma relativamente ai quali il<br />

legislatore avrebbe prospettato identità di trattamento rispetto al dolo intenzionale,<br />

alla luce della loro assimilabilità rispetto al dolo intenzionale stesso 49 ; in base a tale<br />

ricostruzione, il dolo intenzionale si configurerebbe come forma che identifica il<br />

nucleo sostanziale e descrittivo del dolo, mentre le forme non intenzionali di dolo<br />

sarebbero normativamente equiparate al dolo intenzionale, e il rapporto fra dolo<br />

intenzionale e forme non intenzionali di dolo (e quindi, in particolare, fra dolo<br />

eventuale e dolo intenzionale) si inquadrerebbe, così, nel paradigma aluid – aliud (il<br />

quale identifica concetti sostanzialmente differenti, e non gradazioni del medesimo<br />

concetto sostanziale) 50 . Del resto, la teoria di cui trattasi giunge ad affermare che il<br />

rapporto fra dolo eventuale e dolo diretto sia, invece, inquadrabile nello schema<br />

minus – maius, identificando quindi fra tali forme una distinzione di carattere<br />

quantitativo 51 .<br />

Per quanto attiene il versante giurisprudenziale, sono numerose le sentenze di<br />

legittimità le quali prospettano una distinzione fra dolo diretto e dolo eventuale basata<br />

principalmente su aspetti di tipo quantitativo: così, ad esempio, si è (anche<br />

recentemente) affermato che il dolo diretto sarebbe caratterizzato dalla accettazione<br />

dell’evento previsto come certo o altamente probabile, mentre il dolo eventuale si<br />

contraddistinguerebbe in quanto accettazione dell’evento previsto solamente come<br />

probabile (quindi non come “certo” o “altamente probabile”) 52 . Vero è che, in base a<br />

tale linea teorica, il confine fra dolo diretto e dolo eventuale può divenire molto labile<br />

in situazioni concrete. Per comprendere ciò, risulta interessante richiamare una<br />

ulteriore recente sentenza della Suprema corte, riferita ad un caso di provocata<br />

morte di circa 300 persone a causa di naufragio, a sua volta verificatosi di fatto a<br />

seguito di ripetuti scontri fra una imbarcazione di grosse dimensioni ed un battello<br />

fatiscente il quale avrebbe dovuto condurre a terra le persone che si trovavano a<br />

bordo nave: nello specifico, il trasbordo delle persone dalla nave al battello era stato<br />

organizzato da un soggetto, dedito al traffico illegale di clandestini, il quale – secondo<br />

la ricostruzione operata dai giudici di appello – aveva agito avendo ben presente<br />

l’elevata probabilità di verificazione dell’evento, essendo consapevole del carattere<br />

48 L. EUSEBI, Appunti, 1087 ss.<br />

49 L. EUSEBI, op. loc. cit., ove si sostiene, con particolare riferimento alle forme non intenzionali<br />

di dolo, che esse identificherebbero una situazione psichica soltanto normativamente assimilata alla<br />

volizione. Nello stesso senso ID., Il dolo, 43 ss.<br />

50 L. EUSEBI, op. ult. cit., 48.<br />

51 L. EUSEBI, op. ult. cit., 51 ss. Peraltro, è stata notata una certa contraddittorietà delle<br />

conclusioni tratte dall’Autore in questione, in particolare da parte di G. CERQUETTI, op. cit., 183.<br />

52 Cass. Pen., Sez. II, 24 giugno 2011 (deposito 1 settembre 2011), n. 32972, in dejure.giuffre.it;<br />

“Il dolo eventuale si distingue dalle altre forme di dolo per il fatto che mentre nel dolo intenzionale la<br />

volontà persegue l’evento come scopo finale della condotta […]e nel dolo diretto l’evento non<br />

costituisce l’obiettivo della condotta ma è accettato dall’agente come certo o altamente probabile, il<br />

dolo eventuale è caratterizzato, invece, dal rischio di verificazione e dall’accettazione dell’evento, che<br />

nella rappresentazione psichica appare soltanto probabile”. Viene poi effettuato richiamo a Cass. Sez.<br />

Un., 14 febbraio 1996, n. 3571, Cass. Sez. Un., 12 ottobre 1993, n. 748; Cass. Sez. Un., 6 dicembre<br />

1991, n. 3428).<br />

10


fatiscente dell’imbarcazione adibita al trasporto a terra, nonché delle condizioni<br />

proibitive del mare e del fatto che il battello avrebbe potuto trasportare in sicurezza al<br />

massimo 100 persone, laddove invece i soggetti fatti imbarcare su di esso furono<br />

300, tanto che egli stesso scelse di non partecipare di persona e direttamente alle<br />

operazioni, optando per la mera direzione di esse da terra, ed avendo anche tentato<br />

di dissuadere il proprio sostituto dall’effettuazione dell’intervento in via diretta; in base<br />

a tali premesse, i giudici di legittimità confermano l’imputazione per dolo,<br />

respingendo il motivo di ricorso addotto dalla difesa, la quale riteneva non provato<br />

l’elemento volitivo ai fini del dolo eventuale (i giudici d’appello avevano in effetti<br />

affermato la sussistenza di dolo eventuale nel caso di specie); la motivazione della<br />

sentenza precisa poi che, in casi di questo genere, il confine fra dolo eventuale e<br />

dolo diretto risulti particolarmente labile 53 ; viene quindi richiamata la giurisprudenza<br />

tradizionale la quale identifica dolo diretto laddove l’evento sia previsto ed accettato<br />

come altamente probabile o certo, nonché dolo eventuale laddove l’evento sia<br />

previsto ed accettato come meramente possibile 54 .<br />

2. Teoria della rappresentazione e teoria della volontà: contenuti essenziali<br />

L’analisi relativa alla teoria della rappresentazione ed alla teoria della volontà è<br />

indispensabile, in via preliminare, ai fini della trattazione delle teorie inerenti la<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, poiché queste ultime, da un punto di<br />

vista generale, sono classificabili perlopiù in base alla riconducibilità, rispettivamente,<br />

al paradigma intellettivo o al paradigma volitivo.<br />

La teoria della rappresentazione, in linea di massima, prospetta una<br />

impostazione la quale tende alla valorizzazione del profilo intellettivo, mentre la teoria<br />

della volontà valorizza il profilo volitivo, pur non trascurando l’elemento intellettivo il<br />

quale è presupposto della volontà stessa (nihil volitum quin praecognitum 55 ). Il<br />

dibattito fra teorici della rappresentazione e teorici della volontà è incentrato, nello<br />

specifico, sulla determinazione di ciò che possa essere effettivamente oggetto,<br />

appunto, rispettivamente di rappresentazione e volontà.<br />

Entrando nell’analisi di dettaglio, la teoria della rappresentazione prende le<br />

mosse dalla concezione di “volontà” derivata dalla psicologia analitica 56 , ed alla quale<br />

si è già fatto riferimento: essendo la “volontà” concepita come impulso cosciente<br />

della sfera del volere ai nervi motori, ed ai fini della produzione di movimento<br />

corporeo (nel qual caso si avrebbe condotta attiva, intesa come movimento corporeo<br />

percepibile a livello sensoriale) o mantenimento dello stato di quiete delle parti<br />

corporee adibite al movimento (nel qual caso si avrebbe condotta omissiva),<br />

giocoforza la volontà potrebbe avere ad oggetto la sola condotta, ma non l’evento o,<br />

53 Cass. Pen., Sez. I, 7 aprile 2010 (deposito 26 aprile 2010), n. 16193, in www.altalex.com<br />

54 Cit. da Cass. Pen., Sez. I, 7 aprile 2010 (deposito 26 aprile 2010), n. 16193: “Deve peraltro<br />

ricordarsi che la giurisprudenza di legittimità, nell’individuare gli elementi di distinzione tra dolo<br />

eventuale e dolo diretto, ha sempre ritenuto che esso fosse nella accettazione nel primo caso di un<br />

evento come possibile e nel secondo di un evento come probabile, confine veramente labile nel caso<br />

di specie in cui la capacità di previsione dell’imputato era arrivata al punto di rifiutare di imbarcarsi e di<br />

cercare di dissuadere anche il suo sostituto”<br />

55 S. PROSDOCIMI, Reato doloso, in Dig. disc. pen., vol. XI, Torino, UTET, 1996, 235.<br />

56 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 347.<br />

11


comunque, elementi del fatto tipico diversi dalla condotta; questi ultimi potrebbero<br />

essere oggetto di sola rappresentazione 57 .<br />

D’altra parte, la teoria della volontà postula che tanto rappresentazione quanto<br />

volontà possano – e, ai fini della sussistenza del dolo, debbano – riguardare tanto la<br />

condotta quanto l’evento, nonché ulteriori elementi del fatto tipico diversi dalla<br />

condotta: in questo senso, si prospetta una valorizzazione dell’elemento volitivo ai<br />

fini dell’inquadramento del dolo; d’altra parte, conformemente alla teoria della<br />

volontà, non può darsi volontà senza rappresentazione: non viene, quindi, tralasciata<br />

la componente rappresentativa, la quale è – anzi – presupposto necessario e<br />

indefettibile della volontà 58 .<br />

Le teorie in questione, al tempo dei lavori di redazione del codice penale,<br />

costituivano le due impostazioni che fondavano le principali questioni di dibattito: ciò<br />

è di particolare importanza per comprendere la già rilevata mancanza di univocità<br />

della definizione di “delitto doloso” di cui all’art. 43 comma 1 c.p., il quale avrebbe<br />

realizzato una sorta di soluzione di compromesso tra le teorie in questione, risultando<br />

privo di caratteri strettamente vincolanti e lasciando, quindi, all’interpretazione e<br />

prassi giurisprudenziale, nonché all’elaborazione dottrinale, lo sviluppo del concetto<br />

di “dolo” 59 .<br />

Ma ciò che maggiormente interessa, con riguardo all’argomento inerente la<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, sta nel rilievo del fatto che proprio<br />

su questo versante teoria della rappresentazione e teoria della volontà rivelino i<br />

rispettivi limiti: da un lato la teoria della rappresentazione, negando la stessa<br />

configurabilità di volontà dell’evento, manifesta il proprio limite nelle difficoltà di<br />

individuazione di ciò che costituisca l’elemento differenziante dolo eventuale e colpa<br />

cosciente, posto che anche quest’ultima è caratterizzata da previsione; dall’altro,<br />

l’adesione alla teoria della volontà comporta difficoltà nell’individuazione e<br />

nell’inquadramento della componente volitiva nell’ambito del dolo eventuale, spesso<br />

ricadendo nell’”errore” di ricondurre l’elemento volitivo a stati d’animo, stati emotivi o<br />

simili 60 . In base a tali considerazioni, emerge la necessità di superamento della rigida<br />

distinzione fra le teorie in questione, le quali dovrebbero invece coordinarsi: la<br />

soluzione più condivisibile appare, quindi, quella consistente nella concezione del<br />

dolo come avente ad oggetto il fatto tipico nella sua unitarietà, sicché la condotta<br />

voluta ai fini della determinazione di un evento comporta, necessariamente,<br />

l’estensione della volontà all’evento 61 .<br />

3. Definizione normativa e struttura della colpa: questioni generali<br />

Ai sensi dell’art. 43, comma 1, alinea 3, c.p., il delitto è colposo allorché<br />

ricorrano i seguenti requisiti: in primo luogo, deve trattarsi di realizzazione di evento<br />

non voluto, benché possa trattarsi di evento preveduto; in secondo luogo, la<br />

realizzazione dell’evento deve essere dovuta a negligenza, imprudenza, imperizia,<br />

ovvero a trasgressione di regolamenti, ordini o discipline. Si richiede,<br />

57 M. GALLO, op. ult. cit., 141 – 143, 164, 214 ss.<br />

58 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit.<br />

59 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 348.<br />

60 S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 7-8.<br />

61 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit.<br />

12


sostanzialmente, che l’evento sia stato realizzato con trasgressione di regole<br />

precauzionali di condotta, le quali sono classificabili in regole di fonte sociale<br />

(diligenza, prudenza, perizia) e regole di fonte giuridica (regolamenti, ordini e<br />

discipline). La trasgressione di regole cautelari di fonte sociale identifica,<br />

eventualmente (beninteso che non è sufficiente, di per sé, la sola trasgressione di<br />

regole precauzionali di condotta ai fini dell’inquadramento della responsabilità per<br />

colpa), la c.d. colpa generica, mentre in caso di trasgressione di regole di fonte<br />

giuridica si avrà la c.d. colpa specifica 62 .<br />

In dottrina è stata evidenziata la necessità di distinzione concettuale fra “ dovere<br />

di diligenza” e “regole cautelari di condotta”: il primo si identifica con la situazione<br />

giuridica soggettiva posta da norme penali, quindi sottostante ai principi di legalità,<br />

riserva di legge, irretroattività, tassatività; le seconde, del resto, costituiscono il<br />

contenuto del “dovere di diligenza”, non debbono necessariamente essere di fonte<br />

giuridica e sono valide ed efficaci in base al solo fatto che si tratti effettivamente di<br />

regole le quali abbiano come funzione quella di evitare la realizzazione di eventi<br />

lesivi di beni giuridici; altresì, qualora siano recepite o specificate da atti giuridici,<br />

sono valide ed efficaci a prescindere dalle vicende relative a validità ed efficacia<br />

dell’atto giudico che le recepisca, purché – come si è detto – si tratti effettivamente di<br />

regole con funzione precauzionale rispetto alla realizzazione di eventi lesivi 63 .<br />

Se l’individuazione di regole cautelari di fonte giuridica è generalmente agevole<br />

e diretta – trattandosi di regole codificate –, non può dirsi lo stesso per quanto attiene<br />

all’individuazione delle regole cautelari di fonte sociale, non scritte: a tali fini occorre<br />

anzitutto una valutazione di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, la quale deve<br />

essere effettuata in base alla considerazione di quanto avrebbe potuto prevedere ed<br />

evitare un “agente modello” (ovvero, l’homo eiusdem professionis et condicionis, il<br />

quale esprime il “punto di vista del diritto” 64 ), fermo restando la valutazione ulteriore<br />

delle eventuali conoscenze o capacità superiori possedute dall’agente concreto 65 ; in<br />

secondo luogo, secondo alcuni Autori, occorre anche graduare il contenuto della<br />

regola precauzionale di fonte sociale in base all’entità del pericolo che sia venuta di<br />

volta in volta in questione 66 . Sin qui, sul versante della valutazione del fatto tipico<br />

colposo, si tratta di analisi che debbono essere effettuate su base oggettiva.<br />

Il discorso può cambiare, tuttavia, allorché si tratti di valutare nello specifico<br />

l’elemento della colpevolezza: in particolare, il dibattito è fra “oggettivisti” e<br />

“soggettivisti”, e mira a stabilire se, ai fini del giudizio di colpevolezza, debbano<br />

essere effettuate solo valutazioni di carattere oggettivo, oppure possano (e debbano)<br />

essere effettuate anche valutazioni concernenti aspetti di carattere soggettivo e, in<br />

modo specifico, il livello di capacità ed attitudine dell’agente concreto ai fini del<br />

soddisfacimento della regola precauzionale 67 . È chiaro tuttavia che, qualora si<br />

accogliesse senza limitazioni la prospettiva favorevole alla valutazione di componenti<br />

soggettive, si giungerebbe con il giustificare praticamente ogni azione colposa 68 :<br />

sicché appare una soluzione condivisibile quella consistente nella considerazione, in<br />

62<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 537 – 542.<br />

63<br />

D. CASTRONUOVO, La colpa penale, Milano, Giuffrè, 2009, 284 – 287.<br />

64<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 83 – 84.<br />

65<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 546.<br />

66<br />

F. PALAZZO, Il fatto di reato, Torino, Giappichelli, 2004, 125.<br />

67<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 561.<br />

68<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit.<br />

13


sede di giudizio di colpevolezza, dei soli elementi soggettivi che attengono alla sfera<br />

delle caratteristiche fisiche ed intellettuali del soggetto, con esclusione, invece, della<br />

rilevanza di aspetti che riguardino la sfera emotiva 69 . Si suole, pertanto, indicare la<br />

colpa come violazione di una “doppia misura di diligenza”: in sede di valutazione del<br />

fatto tipico colposo, occorrerà verificare se l’agente concreto abbia trasgredito una<br />

regola precauzionale di condotta ed abbia, con ciò, provocato un evento il quale<br />

fosse oggettivamente prevedibile ed evitabile, con riferimento al modello dell’homo<br />

eiusdem conditionis et professionis, nonché con considerazione ulteriore delle<br />

eventuali conoscenze superiori possedute dall’agente concreto (in questo caso viene<br />

in gioco la c.d. “misura oggettiva” della colpa); in sede di valutazione della<br />

colpevolezza, del resto, occorrerà verificare se, nel caso concreto, l’evento fosse<br />

prevedibile ed evitabile secondo una misura individuale 70 . Sinteticamente, in sede di<br />

valutazione del fatto tipico si effettuerà un giudizio inerente il “dovere di riconoscere”<br />

in senso oggettivo; in sede di valutazione della colpevolezza si effettuerà, invece, un<br />

giudizio concernente la “possibilità” individuale di riconoscere 71 .<br />

La colpa, del resto, se da un lato presuppone l’assenza di volontà di<br />

realizzazione dell’evento, dall’altro non presuppone necessariamente l’assenza di<br />

previsione di quest’ultima: così potrà distinguersi fra colpa “con previsione”<br />

(comunemente definita, nella prassi, come “colpa cosciente”) e colpa generalmente<br />

indicata come “incosciente” 72 . Invero, il binomio “colpa cosciente”/”colpa incosciente”,<br />

a voler essere rigorosi dal punto di vista terminologico, dovrebbe indicare una<br />

distinzione fra le forme di colpa la quale riguarderebbe non già la sussistenza o<br />

assenza della componente della previsione, bensì la consapevolezza o meno del<br />

carattere colposo della condotta tenuta: così, si avrebbe “colpa cosciente” qualora il<br />

soggetto agente realizzasse la condotta essendo consapevole del fatto che la stessa<br />

fosse trasgressiva di regole precauzionali di condotta; al contrario, si avrebbe “colpa<br />

incosciente” nell’ipotesi in cui tale consapevolezza fosse mancante 73 . Nella prassi,<br />

tuttavia, è ormai ampiamente diffuso l’utilizzo della denominazione di “colpa<br />

cosciente” al fine di indicare la “colpa con previsione”, nonché dell’espressione “colpa<br />

incosciente” come significante la colpa caratterizzata da mancanza di previsione 74 . Si<br />

tratta, se mai, di effettuare alcune precisazioni circa i rapporti fra “colpa con<br />

previsione” e “colpa cosciente” intese nel senso di cui sopra; più precisamente,<br />

occorre stabilire se la prima sia configurabile o meno anche in assenza della<br />

consapevolezza del carattere antidoveroso della condotta e, parallelamente, se la<br />

seconda possa sussistere in assenza di previsione: quanto alla colpa cosciente, si<br />

ammette che essa possa sussistere anche in mancanza di previsione della<br />

69 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 562.<br />

70 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 83.<br />

71 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

72 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 559 – 560.<br />

73 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 40 – 41.<br />

74 Nella presente tesi si è utilizzata in linea generale (salvo che per quanto riguarda le<br />

considerazioni inerenti i rapporti fra “colpa con previsione” di cui all’art. 61 n. 3 e “colpa cosciente”<br />

intesa come colpa caratterizzata dalla consapevolezza del carattere antidoveroso della condotta) la<br />

terminologia diffusa nella prassi: quindi, “colpa cosciente” ai fini dell’indicazione della colpa con<br />

previsione; “colpa incosciente” ai fini dell’indicazione della colpa senza previsione. La maggior parte<br />

della bibliografia e della giurisprudenza utilizzata ricorre a tale approccio terminologico, con poche<br />

eccezioni.<br />

14


verificazione dell’evento 75 ; viceversa, è da escludersi che la colpa “con previsione”<br />

possa prescindere dalla coscienza del carattere antidoveroso della condotta 76 : in altri<br />

termini, la mancanza di previsione dell’evento può essere compatibile con la<br />

consapevolezza del carattere antidoveroso della propria condotta, mentre tale<br />

consapevolezza sarebbe, invece, necessaria nel caso della previsione dell’evento, ai<br />

fini dell’inquadramento della colpa con previsione.<br />

4. Elementi comuni a dolo e colpa: la violazione di regole precauzionali di<br />

condotta e il superamento del rischio consentito.<br />

Si intende fare riferimento, a questo punto, all’impostazione dottrinale in base<br />

alla quale, pur restando dolo e colpa rispettivamente elementi soggettivi autonomi, vi<br />

sarebbero componenti le quali caratterizzerebbero entrambi, e che sarebbero a<br />

fondamento della stessa rilevanza penale della condotta: sicché, in assenza di esse,<br />

non potrebbe configurarsi neppure reato 77 . È stato peraltro osservato che, da questo<br />

punto di vista, si riveli di particolare efficacia l’analisi con riferimento specifico a dolo<br />

eventuale e colpa cosciente: posto, infatti, che si tratta di categorie di confine,<br />

l’analisi incentrata con riferimento ad esse consente di porne in evidenza non solo le<br />

differenze, bensì anche gli elementi comuni 78 .<br />

Occorre prendere le mosse da una concezione di “evento” inteso in senso lato<br />

come lesione o messa in pericolo di beni giuridicamente protetti: in base a tale<br />

accezione, l’evento viene prospettato come elemento che non possa mancare in<br />

alcuna fattispecie penalmente rilevante 79 . Definito in tal modo l’“evento”, è necessario<br />

precisare un ulteriore concetto: ossia quello di “regola di diligenza” o “regola<br />

cautelare”, intesa in questo contesto come regola finalizzata ad evitare che si<br />

verifichi un evento consistente nella lesione o messa in pericolo di un bene<br />

giuridicamente protetto 80 .<br />

In base ai concetti appena esposti, è possibile individuare già un primo nucleo il<br />

quale dovrebbe costituire il fondamento comune a qualsiasi condotta penalmente<br />

rilevante: ossia la violazione di regole di diligenza, intese nell’accezione che si è<br />

esposta poc’anzi, e le quali siano finalizzate ad evitare la realizzazione dell’evento<br />

del tipo di quello realizzatosi nel caso concreto 81 . Beninteso, quindi, che la<br />

trasgressione di regole di diligenza non è di per sé sufficiente a fondare la rilevanza<br />

penale della condotta, essendo necessaria la sussistenza di ulteriori elementi: in<br />

primo luogo, la realizzazione di un evento lesivo o pericoloso per beni giuridicamente<br />

tutelati; in secondo luogo, la sussistenza di nesso causale fra condotta posta in<br />

essere ed evento realizzato, la quale acquista a sua volta rilevanza solo se l’evento è<br />

stato effettivamente provocato da una condotta non conforme a regole cautelari<br />

finalizzate ad evitarlo; tanto che – si sostiene – qualora l’evento sia stato<br />

75 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 41.<br />

76 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit. Nello stesso senso anche G. DE FRANCESCO, Dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 140 – 141, 154.<br />

77 Si fa riferimento in particolare a L. EUSEBI, Appunti, 1059 – 1066.<br />

78 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 94.<br />

79 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1056.<br />

80 L. EUSEBI, op. ult. cit.,1060 e, in particolare, nota (24)<br />

81 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1059 ss.<br />

15


materialmente provocato da una determinata condotta trasgressiva di una regola<br />

precauzionale, ma risulti l’irrilevanza del mancato rispetto della regola precauzionale<br />

stessa, in quanto l’evento si sarebbe prodotto anche nel caso in cui la regola<br />

precauzionale fosse stata ottemperata, non si configurerebbe reato 82 . Riformulando<br />

in sintesi tale ricostruzione, si muove dall’assunto per cui la selezione della condotta<br />

penalmente rilevante non possa in alcun caso prescindere, anzitutto, dal fatto che sia<br />

stato realizzato un evento lesivo o pericoloso per beni giuridici tutelati<br />

dall’ordinamento: in base a tale presupposto, assumerà rilevanza penale la condotta<br />

– e solo quella – che sia in rapporto eziologico con l’evento provocato, e che consista<br />

in una violazione di una regola precauzionale, quest’ultima intesa come regola che<br />

abbia come fine quello di evitare la realizzazione di eventi che ledano o pongano in<br />

pericolo beni giuridici; non è sufficiente, tuttavia, che si tratti di violazione di una<br />

qualsiasi regola precauzionale intesa nel senso suddetto: dovrà trattarsi di violazione<br />

della regola precauzionale che abbia come finalità quella di evitare proprio l’evento<br />

specifico realizzato. Del resto, qualora l’evento si sarebbe prodotto anche nel caso in<br />

cui fosse stata rispettata la regola precauzionale effettivamente trasgredita, si<br />

configura una situazione in cui la violazione della regola stessa non è risultata<br />

incisiva dal punto di vista causale: per cui sarà esclusa la rilevanza penale della<br />

condotta.<br />

Sulla base delle considerazioni svolte, è necessario effettuare alcune<br />

precisazioni relative al giudizio di evitabilità dell’evento, il quale è ritenuto elemento<br />

indefettibile nell’ambito del giudizio complessivo sul nesso causale fra condotta ed,<br />

appunto, evento 83 . Se si considerano casi nei quali vi è totale identificazione fra<br />

inosservanza della regola cautelare e condotta effettivamente posta in essere (cioè<br />

allorquando la condotta consista proprio e soltanto nella violazione della regola<br />

cautelare, e non si inserisca in una condotta più ampia), la dimostrazione del nesso<br />

causale comporta automaticamente la valutazione dell’evitabilità dell’evento: infatti,<br />

se la condotta coincide interamente con la violazione della regola cautelare, e si<br />

accerta il nesso causale fra condotta ed evento, è chiaro che la tenuta della condotta<br />

doverosa avrebbe automaticamente escluso la condotta causale 84 .<br />

Differente è il discorso se si considerano casi in cui la trasgressione della regola<br />

precauzionale non si identifica in tutto con la condotta, ma si inserisce nel contesto di<br />

una condotta più ampia e irrilevante dal punto di vista precauzionale (“precauzionale”<br />

con riferimento all’evento che venga in questione nel caso specifico): in ipotesi di<br />

questo genere, occorrerà un momento ulteriore ed autonomo nell’ambito del giudizio<br />

sulla causalità, consistente nel valutare se l’evento si sarebbe prodotto comunque o<br />

meno nell’ipotesi in cui fosse stata rispettata la regola precauzionale; qualora, poi,<br />

risulti che l’evento si sarebbe prodotto anche in quest’ultima ipotesi, sarà esclusa la<br />

rilevanza penale della fattispecie concreta, stante la non evitabilità dell’evento; e ciò<br />

anche qualora l’evento fosse effettivamente derivato, in senso naturalistico, hic et<br />

nunc dalla condotta concretamente posta in essere 85 .<br />

Viene frequentemente riportato l’esempio del medico il quale somministri al<br />

paziente, onde ottenere narcosi ai fini di un intervento chirurgico, cocaina anziché<br />

novocaina: qualora da ciò derivi la morte del paziente e, tuttavia, la morte sarebbe<br />

82 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1061.<br />

83 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1061 – 1066.<br />

84 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1061 – 1062.<br />

85 L. EUSEBI, op. ult. cit.,1062 – 1063.<br />

16


derivata anche dalla somministrazione di novocaina, si avrebbe irrilevanza penale<br />

della fattispecie concretamente realizzata, in quanto l’evento è sì derivato hic et nunc<br />

dalla condotta posta in essere, ma non è derivato dalla violazione della regola<br />

cautelare (cioè, in questo caso, “somministrare novocaina”, o “non somministrare<br />

cocaina”) ed era, pertanto, hic et nunc inevitabile 86 . Configurare la rilevanza penale di<br />

ipotesi di questo genere significherebbe, del resto, attribuire rilievo al solo disvalore<br />

della condotta caratterizzata dalla trasgressione della regola di diligenza 87 .<br />

Va, a questo punto, osservato il fatto che le regole precauzionali di condotta<br />

concorrano ad identificare, fondamentalmente, quello che è il “rischio consentito”,<br />

ossia il livello di rischio tollerato dall’ordinamento. Il superamento del rischio<br />

consentito giunge, quindi, ad essere considerato come elemento comune alla<br />

responsabilità per dolo e per colpa, e si tratta di un elemento di carattere normativo:<br />

ragion per cui l’accoglimento di una impostazione di questo tipo dovrebbe condurre a<br />

concepire il dolo non come elemento meramente psicologico, bensì come connotato<br />

anche esso, almeno in parte, da aspetti di carattere normativo 88 .<br />

Dal momento che si sta trattando di “superamento del rischio consentito”, è<br />

indispensabile specificare la sfera – appunto – del “rischio consentito”; invero, il<br />

rispetto delle regole precauzionali non è l’unico dato che contribuisca ad individuare<br />

l’ambito entro il quale, in base alla ricostruzione qui esposta, non potrebbe<br />

configurarsi responsabilità per dolo o per colpa. Il quadro si arricchisce di elementi se<br />

si considera, tra l’altro, che vi sono attività di per sé “rischiose” le quali, tuttavia, sono<br />

consentite, autorizzate, disciplinate e, talvolta, addirittura incoraggiate<br />

dall’ordinamento 89 ; ma la questione non si esaurisce in questi termini.<br />

Anzitutto, concorrono ad identificare la sfera del “rischio consentito” le cause di<br />

giustificazione o scriminanti: in questo senso, potrà trattarsi tanto delle scriminanti<br />

classiche, riferibili astrattamente e genericamente a qualsiasi condotta, quanto di<br />

situazioni scriminanti previste per comportamenti specifici o determinate attività 90 ; in<br />

effetti, posto che l’antigiuridicità è requisito strutturale del reato, e che la scriminante<br />

comporta il venire meno dell’antigiuridicità, non si pone neppure il problema inerente<br />

la configurazione di dolo o colpa, ovvero la distinzione fra dolo e colpa, dato che, in<br />

presenza di scriminanti, non sussiste neppure un fatto di reato 91 ; e ciò anche qualora<br />

l’agente, eventualmente, di fatto desideri – magari anche in modo intenso – la<br />

realizzazione dell’evento lesivo 92 .<br />

In secondo luogo, e dal punto di vista quantitativo, la sfera del “rischio<br />

consentito” è individuata dalle regole precauzionali di condotta (intese come regole il<br />

cui rispetto è volto ad evitare la realizzazione di eventi lesivi o pericolosi per beni<br />

giuridicamente protetti), siano esse di fonte sociale o di fonte giuridica: agire nel<br />

rispetto di regole precauzionali di condotta significa, quindi, agire nell’ambito del<br />

rischio consentito 93 ; ragione, questa, per cui la violazione di regole precauzionali di<br />

condotta debba essere requisito essenziale anche ai fini della configurabilità della<br />

86 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

87 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

88 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 93.<br />

89 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 86.<br />

90 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 87.<br />

91 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

92 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

93 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 88.<br />

17


esponsabilità per dolo, e non solo con riguardo all’inquadramento della<br />

responsabilità per colpa 94 . Il tutto, peraltro, non significa che l’agire con inosservanza<br />

di regole cautelari coincida con l’assumere un qualsivoglia rischio: significa che tale<br />

inosservanza comporti l’assunzione di un rischio eccessivo, non tollerato<br />

dall’ordinamento 95 . Per quanto attiene, in particolare, ai profili inerenti il dolo<br />

eventuale, si ritiene che esso presupponga, tra l’altro, la consapevolezza (quindi la<br />

rappresentazione) della violazione della regola cautelare (seppur anche in modo<br />

atecnico o generico) 96 : non sarà sufficiente la rappresentazione di un rischio<br />

qualsiasi, ma sarà necessaria la rappresentazione di un rischio percepito come<br />

abnorme 97 .<br />

Del resto, si osserva il fatto che il parametro del “rischio consentito” non<br />

potrebbe atteggiarsi o essere concepito con differenziazioni a seconda che si faccia<br />

riferimento rispettivamente a dolo eventuale o colpa cosciente: in effetti, ciò sarebbe<br />

incompatibile con un diritto penale improntato alla tutela dei beni giuridici, che<br />

dovrebbe esulare valutazioni in chiave soggettiva inerenti le finalità dell’agente. In<br />

altri termini, l’individuazione del “rischio consentito” dovrebbe essere effettuata sulla<br />

base di valutazioni attinenti alla finalità oggettiva della condotta, nell’ottica della<br />

protezione di beni giuridici, e a prescindere da considerazioni inerenti le finalità<br />

soggettive 98 .<br />

In base alle considerazioni sin qui svolte, si potrebbe affermare che non c’è dolo<br />

senza colpa 99 .<br />

Tuttavia, l’individuazione di uno “zoccolo” normativo comune a dolo e colpa nei<br />

termini appena delineati non è esente da critiche da parte di posizioni le quali, al<br />

contrario, sostengono la configurabilità di ipotesi di responsabilità per dolo laddove<br />

non sarebbe possibile configurare responsabilità per colpa. In particolare si è<br />

obiettato, anzitutto, che i concetti di diligenza e prudenza, se da un lato avrebbero<br />

significato ermeneutico con riferimento ad offese arrecate non intenzionalmente a<br />

beni giuridici, dall’altro non sarebbero idonei a descrivere in modo adeguato la<br />

dimensione del rischio quando si tratti di realizzazione intenzionale di eventi lesivi 100 ;<br />

e ciò sia nelle ipotesi in cui la condotta intenzionale si inserisca in un contesto di<br />

base illecito, sia nelle ipotesi in cui essa si inserisca in un contesto di base lecito: nel<br />

primo caso, la valutazione della trasgressione della regola cautelare risulterebbe<br />

senz’altro totalmente priva di senso; nel secondo, al più, tale valutazione potrebbe<br />

contribuire alla prova del dolo, ma non potrebbe certo assurgere ad elemento<br />

decisivo e determinante ai fini dell’inquadramento della forma dolosa di<br />

responsabilità 101 .<br />

94 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 90.<br />

95 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 88.<br />

96 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 91.<br />

97 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

98 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 90.<br />

99 Cit. da G. MARINUCCI, Non c’è dolo senza colpa. Morte della “imputazione oggettiva<br />

dell’evento” e trasfigurazione nella colpevolezza?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 1, 3 ss.<br />

100 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 109 – 110, ove l’Autore, tra l’altro, al fine di rafforzare la propria<br />

argomentazione, si domanda – con chiaro intento provocatorio – quale senso abbia ricercare la<br />

violazione di regole cautelari nel comportamento di chi sfili intenzionalmente il portafoglio dalla<br />

borsetta aperta di una signora.<br />

101 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 110.<br />

18


L’impostazione critica di cui trattasi, in altri termini, sostiene che non si possa<br />

identificare il “rischio consentito” sempre e soltanto in base alle regole cautelari ed<br />

alla misura oggettiva della colpa. Occorrerebbe invece tenere conto anche delle<br />

eventuali conoscenze superiori acquisite dal soggetto nel caso concreto, alla luce<br />

delle quali potrebbe configurarsi effettivamente dolo in casi in cui non potrebbe<br />

essere mosso un rimprovero per colpa; fermo restando l’inutilità del riferimento alla<br />

violazione della misura oggettiva della colpa in ipotesi di eventi intenzionalmente<br />

provocati.<br />

A supporto della linea critica in questione viene riportato, tra l’altro, l’esempio<br />

del chirurgo il quale, dovendo operare un paziente che egli sa essere l’amante della<br />

moglie, ed essendo egli precedentemente venuto a conoscenza, al di fuori<br />

dell’esercizio della propria attività professionale di medico, di una anomalia fisica del<br />

paziente stesso la quale richiederebbe l’adozione di speciali misure per l’operazione,<br />

esegua comunque il protocollo standard per l’operazione stessa, con l’intenzione di<br />

provocare la morte del paziente, ma senza violare alcuna regola cautelare, dal<br />

momento che il soggetto modello di “medico chirurgo” non era tenuto, in quella<br />

circostanza, ad essere a conoscenza dell’anomalia del paziente. In questo caso – si<br />

sostiene – sarebbe configurabile la responsabilità per dolo, sia con riguardo al<br />

tentato omicidio che con riguardo all’omicidio consumato, non essendo invece<br />

configurabile il rimprovero per colpa 102 .<br />

D’altra parte, ad una ricostruzione di questo genere si potrebbe obiettare che<br />

l’inquadramento della responsabilità per colpa, in sede di identificazione delle regole<br />

cautelari e di giudizio di prevedibilità ed evitabilità, dovrebbe anche essa tenere<br />

conto non solo del parametro oggettivo dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis, ma anche delle eventuali superiori conoscenze del soggetto al quale si<br />

faccia riferimento nel caso concreto 103 : sicché, trasferendo tali considerazioni<br />

all’esempio di cui sopra, si potrebbe ipotizzare che, in quel caso, alla luce delle<br />

maggiori conoscenze possedute dal chirurgo (benché non si tratti di conoscenze che<br />

l’homo eiusdem conditionis et professionis fosse tenuto ad acquisire), la regola<br />

cautelare violata sia stata quella di “non adottare il protocollo standard”, o<br />

“prescrivere ulteriori accertamenti”, o simili.<br />

Considerazioni analoghe rispetto a quelle appena effettuate potrebbero<br />

delinearsi con riguardo alle esemplificazioni inerenti i casi di “violenza sportiva”, e<br />

con particolare riferimento agli sport “di lotta” regolamentati: nelle ipotesi in cui,<br />

durante un incontro fra atleti, l’uno provochi all’altro intenzionalmente lesioni essendo<br />

a conoscenza di un’anomalia fisica dell’avversario, e qualora l’incontro si sia svolto<br />

comunque conformemente alle regole sportive, in base al solo parametro oggettivo<br />

dell’homo eiusdem conditionis et professionis non risulterebbe trasgredita alcuna<br />

regola precauzionale, ma potrebbe configurarsi responsabilità per dolo (in assenza di<br />

configurabilità del rimprovero per colpa) alla luce del superamento del rischio<br />

consentito in considerazione delle maggiori conoscenze acquisite dal soggetto<br />

concreto (che l’homo eiusdem conditionis et professionis non era tenuto ad<br />

acquisire) 104 ; tuttavia se si considera, invece, che l’individuazione del contenuto delle<br />

regole cautelari, nonché il giudizio di prevedibilità ed evitabilità, debbano essere<br />

102 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 114.<br />

103 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 546. In senso conforme M. DONINI, Illecito e<br />

colpevolezza nell’imputazione del reato, Milano, Giuffrè, 1991, 408 ss.<br />

104 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 113 – 116.<br />

19


asati non solo sul parametro oggettivo dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis, bensì anche sulle eventuali superiori conoscenze possedute o acquisite<br />

dall’agente concreto, allora è identificabile comunque la violazione di una regola<br />

cautelare.<br />

Un discorso a sé stante deve essere svolto con riguardo alla teoria<br />

dell’imputazione oggettiva, conformemente alla quale, ai fini dell’inquadramento di<br />

qualsiasi forma di responsabilità colpevole, è necessario che la condotta posta in<br />

essere dall’agente abbia creato un rischio non tollerato dall’ordinamento, e che tale<br />

condotta abbia cagionato un evento il quale sia proprio la concretizzazione del<br />

rischio creato tramite la condotta 105 . L’obiettivo principale di tale ricostruzione<br />

(nonché uno dei meriti ad essa riconosciuti) è quello di evitare che possano essere<br />

imputati all’agente eventi i quali, in base alla sola considerazione della teoria<br />

condizionalistica e del criterio della conditio sine qua non in tema di causalità,<br />

risulterebbero ad esso ascrivibili e che, tuttavia, nel caso concreto siano<br />

effettivamente dovuti al mero caso, ovvero siano la “miracolosa” realizzazione di<br />

semplici speranze o auspici 106 . Un ulteriore merito riconosciuto alla teoria in<br />

questione è quello di evitare che all’agente doloso possano essere ascritti rischi di<br />

misura maggiore rispetto a quelli ascrivibili all’agente colposo, in considerazione e<br />

conseguenza del solo atteggiamento interiore del primo 107 . In questo contesto, ad<br />

ogni modo, non si tratta propriamente di un tentativo di individuare necessariamente<br />

la colpa all’interno del dolo (ovvero di una “caccia alla colpa nel dolo” 108 ), in quanto<br />

l’elemento comune alle forme di responsabilità colpevole non viene rintracciato nella<br />

violazione della misura oggettiva di diligenza, benché si giunga comunque alla<br />

conclusione che consiste nell’inclusione della colpa all’interno del dolo, con<br />

riferimento al livello del rischio giuridicamente non tollerato 109 .<br />

Muovendo da tali premesse sulla teoria dell’imputazione oggettiva, è necessario<br />

scendere nel dettaglio, specificando e descrivendo le varie fasi e modalità attraverso<br />

le quali debba, in base ad essa, essere sviluppato il giudizio complessivo sulla<br />

attribuzione del fatto tipico. Anzitutto, sarà necessario un giudizio ex ante relativo<br />

all’illiceità del rischio: il che presuppone, ovviamente, l’individuazione di un livello di<br />

rischio lecito, il quale sarebbe identico con riferimento, rispettivamente, alle ipotesi di<br />

fattispecie dolose e colpose 110 . Viene altresì valorizzata, quale premessa<br />

epistemologica essenziale ai fini delle valutazioni in questione, la possibilità oggettiva<br />

di rappresentazione 111 : ne consegue la configurazione come requisito comune ai fini<br />

dell’imputazione di fattispecie sorrette da dolo o da colpa di un momento<br />

rappresentativo attuale o potenziale, il quale deve riguardare tanto la condotta<br />

quanto la pericolosità della stessa in rapporto all’evento concreto 112 . Nei termini<br />

appena delineati, emerge un elemento attinente al livello della rappresentazione il<br />

quale sarebbe comune a tutte le ipotesi di responsabilità colpevole, sicché la<br />

105 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 92.<br />

106 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 97.<br />

107 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 97 – 98.<br />

108 Si riprende l’espressione utilizzata da S. CANESTRARI, op. ult. cit., 93 – 94, nell’ambito di<br />

una dettagliata analisi critica della teoria in questione.<br />

109 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

110 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 92 – 93.<br />

111 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 94.<br />

112 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 93 – 94.<br />

20


differenziazione fra dolo e colpa residuerebbe esclusivamente nell’elemento volitivo.<br />

Tutto ciò, come si è detto, è riferito alla fase del giudizio ex ante concernente<br />

l’illiceità del rischio creato tramite la condotta. Oltretutto, con riguardo al giudizio di<br />

prevedibilità, si è addirittura sostenuto che una lettura sistematica degli artt. 56 e 49<br />

cpv. c.p. dovrebbe costituire un fondamento a favore della teoria dell’imputazione<br />

oggettiva 113 : deporrebbe in questo senso il concetto di idoneità rilevabile all’interno<br />

dell’art. 49 cpv., concetto il quale dovrebbe essere considerato in modo unitario. In<br />

base a tale premessa, si approda alla conclusione per cui l’ “idoneità” dovrebbe<br />

essere caratteristica essenziale anche ai fini dell’inquadramento della responsabilità<br />

dolosa per reato consumato; considerando, poi, l’ulteriore assunto in base al quale i<br />

giudizi di “prevedibilità” ed “idoneità” sarebbero parificati, si giunge agevolmente a<br />

sostenere l’analogia strutturale fra responsabilità per dolo e responsabilità per colpa<br />

anche sul piano dell’idoneità 114 .<br />

Ex post occorrerà, poi, un ulteriore giudizio, questa volta consistente nella<br />

verifica che l’evento effettivamente prodotto si configuri come concreta realizzazione<br />

del rischio illecito determinato dall’agente 115 : non potrà assumere rilevanza, quindi,<br />

qualsivoglia evento per il quale la condotta posta in essere dall’agente sia stata<br />

conditio sine qua non, ma assumerà rilevanza solo l’evento il quale sia effettivamente<br />

la realizzazione concreta del rischio non tollerato e connesso alla condotta.<br />

Effettuando un’applicazione della teoria dell’imputazione oggettiva sul versante<br />

del dolo eventuale, è possibile concludere che anche ai fini dell’inquadramento di tale<br />

forma di dolo occorrerà una previa valutazione attinente alla prevedibilità oggettiva<br />

dell’esito della condotta 116 . È stata osservata, inoltre, la necessità di sussistenza, ai<br />

fini della responsabilità per dolo, di una “pericolosità statistica dell’azione compiuta”,<br />

la quale non potrà comunque essere inferiore a quella che, in mancanza di volizione,<br />

sarebbe stata necessaria per il fondamento della responsabilità colposa: non<br />

potrebbe darsi, quindi, responsabilità per dolo eventuale (o comunque indiretto)<br />

laddove, in assenza del requisito della volontà e fermo restando gli ulteriori requisiti<br />

ai fini dell’imputazione per colpa, essa non configurerebbe un rischio corrispondente<br />

a quello di una analoga realizzazione colposa del medesimo evento 117 .<br />

A prescindere dai meriti riconosciuti alla teoria dell’imputazione oggettiva (dei<br />

quali si è già trattato), anche essa non è esente da critiche da parte degli esponenti<br />

della dottrina i quali evidenziano, invece, che la distinzione fra responsabilità dolosa<br />

e responsabilità colposa dovrebbe emergere anche sul piano oggettivo. In<br />

particolare, si pone l’accento sul fatto che il giudizio di prevedibilità non possa,<br />

effettivamente, essere sviluppato con modalità e tramite parametri identici sia<br />

nell’ipotesi di giudizio relativo a fattispecie dolosa, sia nell’ipotesi concernente<br />

fattispecie colposa. Nel dettaglio, il giudizio di riconoscibilità relativo ad ipotesi di<br />

colpa dovrebbe essere svolto principalmente con riferimento al modello dell’homo<br />

eiusdem conditionis et professionis: il soggetto che agisca con colpa (quindi in<br />

assenza di volontà di realizzazione dell’esito lesivo) sarebbe gravato dal dovere di<br />

rappresentarsi il rischio in quanto questo avrebbe potuto essere oggetto di<br />

113 M. DONINI, op. ult. cit., 329 – 340.<br />

114 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 96.<br />

115 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 95.<br />

116 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 96.<br />

117 Conclusioni descritte da S. CANESTRARI, op. ult. cit., 96 – 97. L’Autore richiama a sua volta<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 350.<br />

21


appresentazione da parte dell’homo eiusdem conditionis et professionis 118 . Vero è<br />

che possano acquisire rilevanza anche le eventuali superiori conoscenze possedute<br />

dall’agente concreto: ma queste non compromettono il ruolo focale rivestito dal<br />

parametro dell’”agente modello” 119 . In effetti si osserva che, sul versante della colpa,<br />

il parametro dell’“agente modello” risponderebbe ad un’ottica di garanzia, per i<br />

consociati, di spazi di libertà di azione, in linea con il concetto di “rischio consentito”,<br />

nonché con il principio di affidamento 120 . D’altra parte, sei ci si muove sul versante<br />

del dolo, il giudizio di riconoscibilità dovrebbe essere effettuato, fondamentalmente,<br />

in base a parametri che si estendono fino a coincidere con la “miglior scienza ed<br />

esperienza del tempo”: si dovrebbe tenere conto sia della rappresentabilità da parte<br />

di un “osservatore esperto”, sia delle eventuali conoscenze ulteriori effettivamente<br />

possedute dall’agente concreto; il tutto con riferimento alle cognizioni empiriche<br />

generali del tempo 121 . Invero, non si comprenderebbero altrimenti le ragioni per il<br />

conferimento di rilevanza, sul piano della responsabilità dolosa, ad eventuali capacità<br />

o condizioni dell’agente le quali siano inferiori alla media 122 .<br />

5. La colpa cosciente e il trattamento aggravato ai sensi dell’art 61, n. 3., c.p.<br />

La categoria della colpa cosciente (che sarebbe più corretto definire “colpa con<br />

previsione”) suscita, in sé e per sé, meno problematiche rispetto al dolo eventuale:<br />

relativamente a quest’ultimo, infatti, mancano elementi normativi definitori e<br />

classificatori che ne costituiscano un fondamento univoco e certo; non così, invece,<br />

per la colpa cosciente 123 .<br />

Anzitutto, la definizione di “delitto colposo” di cui all’art. 43, comma 1 alinea 3,<br />

c.p., tramite l’inciso “anche se preveduto”, ammette la compatibilità della<br />

rappresentazione con la colpa: dal che risulta la configurabilità della colpa con<br />

rappresentazione 124 . In secondo luogo, l’art. 61, n. 3, c.p. prospetta, quale<br />

aggravante generica, “l’aver, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione<br />

dell’evento”: si tratta, chiaramente, di un ulteriore fondamento normativo della colpa<br />

con previsione 125 .<br />

Tralasciando, per il momento, il dettaglio delle questioni strettamente attinenti ai<br />

profili della distinzione fra dolo eventuale e colpa con previsione, è opportuno<br />

effettuare alcune precisazioni circa il trattamento aggravato prospettato dall’art. 61 n.<br />

3: si evidenzia, infatti, come parte della dottrina (anche d’oltralpe) abbia posto in<br />

dubbio la fondatezza, tanto nell’ottica di una prospettiva retributiva, quanto alla luce<br />

di una prospettiva preventiva, di un trattamento più gravoso – rispetto al trattamento<br />

accordato a chi agisca senza porsi alcun interrogativo – per il soggetto che, prima<br />

118 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 100.<br />

119 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 100 – 101.<br />

120 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 102.<br />

121 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 101.<br />

122 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 102.<br />

123 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 25.<br />

124 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

125 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

22


della realizzazione della condotta, si sia soffermato a riflettere sulle possibili<br />

conseguenze di essa 126 .<br />

Il dubbio appena esposto appare pienamente giustificato se si considera la<br />

prassi applicativa prevalente, in base alla quale la colpa con previsione si avrebbe<br />

qualora il soggetto, essendosi in un primo momento rappresentato la possibilità di<br />

realizzazione dell’evento, in una fase successiva sia giunto alla “sicura fiducia” che<br />

l’evento non si sarebbe verificato 127 . In questo senso, in giurisprudenza si afferma<br />

che “sussiste […] la colpa cosciente, aggravata dalla previsione dell’evento, quando<br />

l’agente, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta,<br />

agisca tuttavia nella previsione e prospettazione che esso non si verifichi” 128 ; o,<br />

ancora, che la colpa cosciente “consista nella astratta possibilità di realizzazione del<br />

fatto, accompagnata dalla sicura fiducia che in concreto esso non si realizzerà” 129 . In<br />

base a ricostruzioni di questo tipo, si giungerebbe a fondare il più gravoso<br />

trattamento sanzionatorio sul puro fatto della iniziale previsione dell’evento: il che<br />

potrebbe condurre a risultati inaccettabili, specie con riguardo a persone<br />

particolarmente ansiose e timorose, le quali verrebbero sottoposte ad un trattamento<br />

aggravato per il solo fatto di aver riflettuto sulla possibilità di realizzazione<br />

dell’evento 130 .<br />

Del resto, può davvero affermarsi univocamente che l’agire senza porsi<br />

interrogativi, senza alcuno scrupolo, con atteggiamento di totale noncuranza, sia<br />

meno grave rispetto all’agire avendo preveduto l’evento? Nel senso di una risposta<br />

negativa sembra essere, tra l’altro, una relativamente recente pronuncia di merito, in<br />

base alla quale “lo stato psicologico del conducente di un autoveicolo, che non si<br />

rappresenta il binomio pericolo/convinzione di evitare eventuali incidenti, ma più<br />

semplicemente si muove nella più completa, nonché concretamente più grave,<br />

noncuranza di quanto può avvenire agli altri utenti della strada, si può definire non<br />

tanto come colpa cosciente […], ma come colpa grave per difetto di percezione<br />

sociale di propri atti” e “non può che portare all’individuazione di una pena base […]<br />

per il reato di omicidio colposo prossima ai massimi edittali” 131 .<br />

In dottrina si ravvisa anche una particolare impostazione teorica in base alla<br />

quale la colpa cosciente si configurerebbe come errore di valutazione sulla<br />

prospettazione del decorso causale o sull’idoneità dei mezzi: mentre il dolo sarebbe<br />

126 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

127 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 26.<br />

128 Cass. Pen., Sez. I, 11 luglio 2011 (deposito 1 agosto 2011), n. 30472., in dejure.giuffre.it<br />

129 Cass. Pen., Sez. IV, 24 giugno 2009, n. 28231, in dejure.giuffre.it. In senso conforme, tra le<br />

altre, anche Cass. Pen., Sez. V, 10 febbraio 2009, n. 13083, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2009, 6,<br />

516, ove è stata ravvisata colpa cosciente in relazione alla condotta del soggetto che, conducendo in<br />

modo spericolato un’autovettura, ed in stato di ebbrezza alcolica, versasse “nel convincimento […] di<br />

essere in grado […] di padroneggiare il veicolo di cui era alla guida, evitando i pur prevedibili eventi<br />

dannosi”; Cass. Pen., Sez. I, 19 giugno 2002, n. 28647, in dejure.giuffre.it (ai sensi della quale<br />

sussiste colpa cosciente allorché il soggetto, nonostante la rappresentazione “esclude il verificarsi<br />

dell’evento”); Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it (ove si identifica la colpa<br />

cosciente nell’ipotesi del soggetto che “pur essendosi rappresentato l’evento come possibile, abbia<br />

agito nella convinzione, giusta o sbagliata che sia” che l’evento non si sarebbe prodotto. In senso<br />

contrario Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (deposito 15 marzo 2011), n. 10411, in dejure.giuffre.it,<br />

ove si pone in evidenza il fatto che il tenore letterale dell’art. 61 n. 3 postuli la persistenza, al momento<br />

della realizzazione della condotta, della rappresentazione in positivo dell’evento.<br />

130 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

131 Trib. Milano, 21 novembre 2008, n. 2118, in dejure.giuffre.it.<br />

23


caratterizzato da una decisione consapevole di attuazione di un processo causale in<br />

direzione della realizzazione dell’evento, la colpa cosciente sarebbe caratterizzata da<br />

un fenomeno psichico di erronea valutazione di quello che potrebbe essere il<br />

decorso causale 132 ; in altri termini, nell’ipotesi della colpa cosciente, l’agente si<br />

rappresenterebbe sì l’evento come possibile proiezione teleologica della propria<br />

condotta: tuttavia, incorrerebbe in un errore di valutazione del contesto complessivo<br />

attuale, il quale indurrebbe a sua volta ad una erronea percezione del possibile<br />

decorso causale; in casi di questo genere, mancando l’esatta rappresentazione del<br />

processo causale in direzione dell’offesa, la scelta di agire non potrebbe essere<br />

considerata come espressiva del requisito – ovviamente necessario ai fini del dolo –<br />

della volontà: l’agente non avrebbe deciso di operare in modo tale da provocare<br />

l’evento. Tuttavia – si osserva – anche tale ricostruzione non spiega comunque il<br />

trattamento aggravato di cui all’art 61 n. 3 133 , oltre al fatto che l’elemento dell’errore<br />

sul nesso causale, se da un lato può senz’altro essere catalogato come caratteristica<br />

descrittiva della colpa cosciente, dall’altro non può assurgere a criterio discretivo fra<br />

quest’ultima e il dolo eventuale 134 .<br />

A ben vedere, l’unica interpretazione la quale consente di individuare il<br />

fondamento del trattamento aggravato di cui all’art. 61 n. 3 consiste nella concezione<br />

della colpa con previsione come caratterizzata da una scelta di agire nonostante la<br />

consapevolezza del fine teleologico della norma cautelare che avrebbe dovuto<br />

essere, invece, rispettata nel caso specifico 135 : vale a dire che l’agente versa in colpa<br />

con previsione qualora si determini a porre in essere la condotta avendo<br />

effettivamente percepito la regola cautelare violata dalla condotta stessa, nonché il<br />

fine teleologico della regola cautelare; ciò che si rimprovera all’agente è, dunque, la<br />

scelta di agire in contrasto con il contenuto teleologico della regola cautelare<br />

trasgredita, del quale egli ha avuto effettiva percezione: dal che la giustificazione del<br />

trattamento aggravato rispetto alla colpa incosciente.<br />

D’altra parte, è stato anche evidenziato il fatto che la formula della “sicura<br />

fiducia che l’evento non si verificherà” o formule equivalenti siano in contrasto con il<br />

tenore letterale dell’art. 61 n. 3, il quale fa riferimento all’aver agito “nonostante la<br />

previsione dell’evento”: laddove il termine “nonostante”, indicando il permanere di un<br />

ostacolo che si dovrebbe imporre rispetto alla tenuta della condotta, implica la<br />

necessità della persistenza della previsione al momento della realizzazione della<br />

condotta stessa, ed esclude che tale previsione possa essere stata sostituita da una<br />

contro – previsione, o dalla previsione di un “non evento”; la norma fa riferimento,<br />

effettivamente, ad una rappresentazione positiva dell’evento, non ad una<br />

rappresentazione negativa, o del “non evento” 136 . Da tali considerazioni emerge la<br />

giustificazione del trattamento aggravato per la colpa con previsione: la previa<br />

rappresentazione dell’evento svela all’agente il rischio di produzione dell’evento<br />

stesso, e il fatto che egli agisca comunque rivela una più marcata adesione al fatto<br />

da parte del soggetto, legittimando una più gravosa risposta sanzionatoria 137 .<br />

132<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5017 - 5019. ID., Dolo eventuale e<br />

colpa cosciente, 139 ss.<br />

133<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 27.<br />

134<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 81.<br />

135<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 80, 86 – 87.<br />

136<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 28 – 29.<br />

137<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit. 38 – 39.<br />

24


6. Il dibattito nei lavori preparatori al codice penale sul criterio di imputazione<br />

per la realizzazione di eventi non intenzionali<br />

Un breve excursus relativo ai lavori preparatori del codice Rocco risulta di<br />

particolare interesse ai fini della comprensione della portata che i compilatori del<br />

codice abbiano inteso conferire alle definizioni rispettive di “delitto doloso” e “delitto<br />

colposo” di cui all’attuale art. 43 c.p. (art. 46 del Progetto preliminare).<br />

Due, nello specifico, i nodi emergenti: un primo di essi incentrato sul concetto di<br />

“intenzione”, nonché sui rapporti fra “intenzione” e “volontà” e, conseguentemente,<br />

sulla rilevanza, ai fini del dolo, della realizzazione di eventi non intenzionalmente<br />

presi di mira; un secondo incentrato principalmente sulla “colpa con previsione” e<br />

sulla distinzione di tale categoria rispetto al dolo.<br />

È possibile, anzitutto, fare riferimento all’intervento di Arturo Rocco nell’ambito<br />

della seduta della Commissione ministeriale per il Progetto preliminare dell’11 marzo<br />

1928 138 , dal quale si evince in primo luogo l’adesione, da parte sua, alla teoria della<br />

volontà: il dolo richiederebbe, quindi, tanto la previsione dell’evento, quanto la<br />

volontà di realizzazione dello stesso, e la volontà presupporrebbe a sua volta la<br />

rappresentazione; peraltro, l’ “intenzione” viene concepita come “volontà tendente ad<br />

uno scopo”; in base a tale impostazione, ciò che assume rilevanza ai fini della<br />

distinzione fra dolo, colpa e preterintenzione è il rapporto fra l’effetto realizzato e<br />

l’intento: si avrà dolo qualora l’effetto realizzato (cioè l’evento) sia conforme<br />

all’intento (secondo l’intenzione); colpa, qualora l’effetto realizzato sia contro l’intento<br />

(contro l’intenzione; non senza intenzione, dal momento che anche la condotta<br />

colposa è caratterizzata da una intenzione la quale, tuttavia, non coincide con<br />

l’evento dannoso); preterintenzione, qualora l’evento sia oltre (praeter) l’intenzione.<br />

Ad una prima analisi, una ricostruzione di questo genere potrebbe essere<br />

interpretata come negazione della configurabilità di responsabilità per dolo in<br />

relazione a condotte che abbiano provocato eventi non intenzionalmente perseguiti;<br />

tuttavia, se si considerano in modo logico – sistematico le argomentazioni effettuate<br />

da Arturo Rocco, in coordinazione, peraltro, anche con i rilievi dallo stesso effettuati<br />

quindici anni prima rispetto ai lavori preparatori del codice penale 139 , si può delineare<br />

una concezione la quale rende compatibile la formula “secondo l’intenzione” rispetto<br />

alla realizzazione di eventi non intenzionalmente perseguiti. All’interno dell’opera<br />

“L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale”, l’Autore concepisce il reato come<br />

consistente sempre in una azione umana (o inazione) la quale produca<br />

volontariamente una modificazione del mondo esterno; tale modificazione del mondo<br />

esterno consiste a sua volta in un risultato dannoso o pericoloso; del resto, la volontà<br />

non è mai sussistente di per sé stessa, ma è sempre caratterizzata da un oggetto, il<br />

quale costituisce il fine, scopo o movente della volontà 140 . In base a tali assunti, in<br />

sintesi, la realizzazione del reato si configura come azione (od omissione) umana la<br />

quale produca un effetto di modificazione del mondo esterno in modo volontario, cioè<br />

con condotta correlata ad uno scopo o fine ultimo: ciò che assume rilevanza,<br />

138<br />

Si fa riferimento, anche per i rilievi che seguono, ad estratti dell’intervento di Arturo Rocco<br />

nella seduta della Commissione ministeriale dell’11 marzo 1928, riportati testualmente anche da G.<br />

CERQUETTI, op. cit., 149 ss.<br />

139<br />

In Art. ROCCO, L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale, Torino, 1913, poi in Opere<br />

giuridiche, vol. I, Roma, 1932, 267 ss.<br />

140<br />

G. CERQUETTI, op. cit., 159 – 160, in analisi di Art. ROCCO, op. loc. cit.<br />

25


nell’ottica dell’inquadramento del dolo, è il fatto che la modificazione del mondo<br />

esterno sia “volontaria” nel senso che sia “orientata ad uno scopo/fine ultimo”; non è,<br />

invece, necessario che l’effetto dannoso coincida effettivamente con il fine ultimo<br />

perseguito (ma è necessario, ai fini del dolo, che l’effetto provocato sia conforme al<br />

fine ultimo, e non contrario) 141 . L’evento è quindi “voluto” anche qualora non coincida<br />

lo scopo remoto o fine ultimo intenzionalmente perseguito, purché sia orientato a tale<br />

scopo remoto o fine ultimo.<br />

Del resto è stato osservato che, qualora si interpretasse come oggetto della<br />

volontà il solo evento intenzionalmente perseguito, verrebbe a delinearsi un sistema<br />

ricavabile dall’art. 43 nell’ambito del quale, da un lato, gli eventi preveduti ed<br />

intenzionalmente perseguiti ricadrebbero nella sfera del dolo; dall’altro, gli eventi<br />

preveduti ma non intenzionalmente perseguiti ricadrebbero nella sfera della colpa;<br />

mentre, gli eventi preveduti ma non intenzionalmente perseguiti resterebbero non<br />

classificabili né come dolosi né come colposi 142 : conclusione che dovrebbe ritenersi<br />

non conforme ad un sistema concepito come completo 143 . La relazione del<br />

Guardasigilli Alfredo Rocco, peraltro, confermerà l’accezione di “intenzione” come<br />

“qualificazione” della volontà: sicché, in base ad essa, il reato è doloso allorché<br />

l’evento “si adegua all’intento” 144 .<br />

Per quanto attiene alla questione relativa alla categoria della colpa con<br />

previsione, i commissari Marciano e Ferri sostenevano che essa integrasse, in realtà,<br />

una forma di dolo eventuale; il primo, in particolare, proponeva come soluzioni<br />

alternative l’eliminazione dell’inciso “anche se preveduto” dalla formula che definiva il<br />

delitto colposo ovvero, qualora si fosse mantenuto l’inciso, la distinzione fra colpa<br />

con previsione e colpa senza previsione 145 . Questioni più o meno analoghe si<br />

riproponevano in sede di Commissione parlamentare, laddove il Presidente della<br />

stessa, Mariano D’Amelio, rilevava l’incompatibilità fra previsione dell’evento e<br />

colpa 146 , nel senso che la previsione avrebbe – a suo parere – escluso la colpa e<br />

configurato il dolo: ma ad obiezioni di questo genere replicava il Ministro<br />

Guardasigilli, il quale osservava che la previsione non potesse implicare<br />

automaticamente la volontà, ribadendo la necessità di distinzione fra dolo e colpa<br />

principalmente sull’elemento volitivo 147 .<br />

In conclusione, è opportuno fare riferimento alla teoria sul dolo elaborata da<br />

Alfredo De Marsico, la quale sostanzialmente giunge a negare il dolo eventuale. Il<br />

punto di partenza dello sviluppo argomentativo dell’Autore in questione è la<br />

considerazione della necessità di individuare i rapporti fra rappresentazione e volontà<br />

e, più precisamente, di stabilire il quantum di rappresentazione necessario a dare<br />

141 G. CERQUETTI, op. cit., 160 – 161.<br />

142 G. CERQUETTI, op. cit., 158.<br />

143 G. CERQUETTI, op. loc. cit.<br />

144 G. CERQUETTI, op. cit., 164.<br />

145 G. CERQUETTI, op. cit., 154 – 155. Viene riportato tra l’altro l’esempio, addotto da Marciano,<br />

relativo al cacciatore il quale, intendendo sparare ad un uccello poggiato su un ramo, constati che<br />

sulla stessa traiettoria vi sia un uomo, e non si astenga dallo sparare pur avendo previsto che, oltre<br />

all’uccello, avrebbe colpito anche l’uomo. L’esempio in questione tende ad evidenziare la differenza<br />

sostanziale fra l’ipotesi oggetto dell’esempio e il caso di chi, invece, adotti un comportamento<br />

imprudente in assenza di previsione: nel primo caso, vi sarebbe “direzione di volontà in rapporto<br />

all’evento”, essendo il reo “rimasto indifferente dinanzi alla conseguenza preveduta”.<br />

146 G. CERQUETTI, op. cit., 171.<br />

147 G. CERQUETTI, op. cit., 173.<br />

26


vita alla volontà e a divenirne il contenuto 148 . De Marsico identifica tale quantum nella<br />

rappresentazione che abbia in sé una intensità propulsiva tale da prevalere su<br />

impulsi contrari o diversi: e tale momento si identificherebbe, appunto, con<br />

l’“intenzione”. In questi termini, il dolo viene identificato esclusivamente come<br />

intenzione di realizzazione dell’evento 149 . Si giunge quindi alla negazione della<br />

categoria del dolo eventuale, in base alla considerazione del fatto che l’evento non<br />

direttamente voluto, quand’anche sia dovuto ad una azione voluta, non possa<br />

presumersi a sua volta voluto: in casi di questo genere si ricadrebbe, pertanto,<br />

nell’ambito della colpa con previsione 150 .<br />

De Marsico, tuttavia, giunge a sostenere la compatibilità della ricostruzione<br />

appena delineata con il dolo diretto: l’evento provocato con la propria azione e<br />

previsto come certo, sebbene non intenzionalmente preso di mira, sarebbe da<br />

considerarsi comunque come voluto nella sfera psicologica del soggetto agente,<br />

poiché “il fatto gli sta dinanzi come uno specchio in cui altro non si riflette che la<br />

volontà di produrlo” 151 .<br />

148 G. CERQUETTI, op. cit. 174 – 176, ove si analizza l’esposizione di A. DE MARSICO,<br />

Coscienza e volontà nella nozione di dolo, Napoli, Morano, 1930, 143 ss.<br />

149 G. CERQUETTI, op. loc. ult. cit., con citazioni di A. DE MARSICO, op. loc. cit.<br />

150 G. CERQUETTI, op. cit., 177, con citazioni di A. DE MARSICO, op. loc. cit.<br />

151 G. CERQUETTI, op. cit. 176, con citazioni di A. DE MARSICO, op. loc. cit.<br />

27


CAPITOLO II<br />

TEORIE SUL CONFINE FRA <strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> E <strong>COLPA</strong><br />

<strong>COSCIENTE</strong><br />

SOMMARIO: 1. Teorie della possibilità e della probabilità. – 2. Teorie dell’“operosa volontà di evitare” e<br />

del “rischio schermato”: la sostituzione dell’elemento psicologico volitivo con una valutazione oggettiva<br />

della condotta e del rischio. – 3. La valorizzazione degli stati emozionali o affettivi. – 4. Teoria<br />

dell’accettazione del rischio. – 5. Teoria della previsione in concreto o in astratto della realizzazione<br />

del fatto tipico, valorizzazione del profilo intellettivo e rischi di configurazione di dolo in re ipsa. – 6. La<br />

valorizzazione della conoscenza del rapporto causale fra condotta e risultato lesivo e teoria della “con<br />

– coscienza”. – 7. Formule di Frank e teoria dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico<br />

dell’evento”: la valorizzazione del profilo volitivo. – 8. La concezione dell’“accettazione del rischio”<br />

come elemento comune a dolo eventuale e colpa cosciente. La distinzione basata sulle modalità<br />

psicologiche di accettazione del rischio. – 9. La distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente sul<br />

piano oggettivo del rischio e la descrizione della responsabilità per dolo eventuale in base all’analisi di<br />

tre livelli: rischio peculiare doloso, elemento intellettivo ed elemento volitivo. – 10. Dolo eventuale e<br />

colpa cosciente in relazione agli elementi del fatto tipico diversi dall’evento e nei reati di mera<br />

condotta. – 11. Dolo eventuale e colpa cosciente nei reati di pericolo. – 12. Dolo eventuale e colpa<br />

cosciente in relazione ai reati omissivi. – 13. Questioni relative alla prova dell’elemento soggettivo –<br />

14. Rilevanza o irrilevanza del versari in re illicita? – 15. La tesi a sostegno della coincidenza<br />

sostanziale fra dolo eventuale e colpa cosciente, nonché dell’incostituzionalità dell’applicazione del<br />

dolo eventuale.<br />

1. Teorie della possibilità e della probabilità<br />

Le numerose teorie sull’individuazione del discrimen fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente sono perlopiù classificabili in base al grado di rilevanza che venga<br />

attribuito di volta in volta, e rispettivamente, all’elemento intellettivo, a quello volitivo<br />

o, nello specifico, all’esame inerente il livello psicologico del soggetto agente 152 : le<br />

teorie della possibilità e della probabilità sono riconducibili al paradigma della teoria<br />

della rappresentazione, conformemente alla quale soltanto l’azione potrebbe essere<br />

oggetto di rappresentazione e volontà, mentre l’evento, o comunque gli elementi del<br />

fatto tipico diversi dalla condotta materiale, potrebbero essere oggetto di sola<br />

rappresentazione, ma non di volontà – intendendosi per “volontà” un “impulso fisico<br />

ai nervi motori”, il quale necessariamente dovrebbe, quindi, avere ad oggetto solo il<br />

“movimento” umano o la “persistenza nello stato di quiete”, e non le conseguenze<br />

dell’azione 153 .<br />

Il modello prospettato dalla teoria della rappresentazione valorizza,<br />

evidentemente, il profilo intellettivo, a scapito dell’elemento volitivo: in effetti, le teorie<br />

della possibilità e della probabilità – riconducibili al paradigma della teoria della<br />

rappresentazione –, fondamentalmente, escludono la rilevanza di coefficienti volitivi.<br />

In linea di massima, è possibile fin da subito preannunciare che tali teorie non<br />

appaiano pienamente soddisfacenti ai fini della descrizione delle differenze fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente: la teoria della possibilità, in effetti, anche nella sue<br />

152 G. LATTANZI – E. LUPO, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Milano,<br />

Giuffrè, 2010, Vol. II, 324.<br />

153 M. GALLO, Il dolo, 164 ss. e 214 ss.<br />

28


formulazioni probabilmente più esaustive (ad esempio quella prospettata da Marcello<br />

Gallo), ricade in contrasto con la descrizione normativa della colpa con previsione<br />

ricavabile dall’art. 61 n. 3 c.p.; la teoria della probabilità, d’altra parte, giunge ad<br />

inquadrare una distinzione di carattere meramente quantitativo fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente, con la conseguenza che si dovrebbe ricorrere – volendo accogliere<br />

la teoria in questione – a valutazioni di tipo statistico ai fini della differenziazione fra<br />

le due categorie di elemento soggettivo di cui si sta trattando: conseguenza ritenuta<br />

inadeguata da gran parte della dottrina 154 . Il tutto tralasciando il fatto – per nulla di<br />

secondo piano – che in entrambi i casi verrebbe relegata, se non eliminata,<br />

l’importanza dell’elemento volitivo, dal legislatore invece espressamente richiesto ai<br />

fini del dolo, ed espressamente escluso ai fini della colpa.<br />

Per quanto concerne la teoria della possibilità, essa postula una distinzione fra<br />

dolo eventuale e colpa cosciente basata sull’assunto che il primo sarebbe integrato<br />

alla luce della sola sussistenza dell’elemento rappresentativo: la rappresentazione<br />

della possibilità di verificazione dell’evento risulterebbe, quindi, sufficiente ai fini della<br />

configurazione del dolo eventuale; il che, tuttavia, condurrebbe alla esclusione della<br />

categoria della colpa “con previsione” 155 : se si concepisce il dolo eventuale come<br />

integrato in base alla sola rappresentazione della possibilità di verificazione<br />

dell’evento, la colpa diviene incompatibile con la previsione (questa darebbe luogo,<br />

infatti, al dolo). Già in base a queste prime osservazioni, risulta una evidente<br />

discrepanza tra la concezione fatta propria dalla teoria della possibilità e il<br />

fondamento normativo della colpa cosciente: l’art 61, n. 3, c.p., prospettando quale<br />

circostanza aggravante comune per i delitti colposi il fatto di aver agito “nonostante la<br />

previsione dell’evento”, ammette la configurazione di una categoria di colpa che sia<br />

caratterizzata effettivamente dall’elemento della previsione 156 . Inoltre, appare<br />

quantomeno arbitrario trascurare il requisito della volontà, espressamente richiesto<br />

come elemento strutturale del dolo (art. 43, comma 1, alinea 1, c.p.) ed<br />

espressamente escluso ai fini della colpa (art. 43, comma 1, alinea 3, c.p.) 157 : la<br />

rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento, seppur concreta, non è<br />

di per sé sufficiente a fondare automaticamente la volizione, e non deve condurre<br />

all’utilizzo di disinvolte equazioni fra componente intellettiva e componente<br />

volitiva 158 .<br />

154<br />

Vari Autori concordano nel ritenere che, al più, il criterio basato sulla probabilità possa<br />

essere utilizzato al fine di trarre elementi indizianti per la qualificazione dell’elemento soggettivo. Fra<br />

questi, S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 35; S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 44.<br />

Coerentemente, del resto, si tende a sottolineare il fatto che dolo e colpa siano, in effetti, elementi<br />

qualitativamente diversi: dal che l’inadeguatezza di una distinzione di carattere puramente quantitativo<br />

fra essi (e, quindi, dell’attribuzione di carattere decisivo, e non limitato alla sola valenza indiziante, ad<br />

aspetti di carattere quantitativo). In quest’ultimo senso, tra gli altri, G. LICCI, Dolo eventuale, in Riv. it.<br />

dir. e proc. pen., 1990, 4, 1505.<br />

155<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 36.<br />

156<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 38.<br />

157<br />

Cfr. G. FORTE, Dolo eventuale tra divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità,<br />

in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 2, 829 – 830, ove si evidenzia che l’attuale art. 43 c.p. incentri la<br />

nozione di dolo proprio sul requisito della volontà; il che si ricaverebbe anche, in negativo,<br />

considerando la definizione di “delitto colposo”.<br />

158<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 34, ove l’Autore esprime le proprie osservazioni con riferimento<br />

specifico alla teoria della probabilità: tuttavia, si tratta di osservazioni chiaramente valide anche con<br />

riferimento alla teoria della possibilità, in quanto in entrambi i casi viene in rilievo una eccessiva<br />

29


In sostanza, prevedere (ed agire nonostante la previsione) non equivale, di per<br />

sé, a volere; si tratta di requisiti (previsione e volontà) strutturali distinti del dolo,<br />

entrambi necessari ai fini dell’integrazione del dolo stesso. Del resto, possono<br />

senz’altro darsi situazioni in cui sussiste rappresentazione in assenza dell’elemento<br />

volitivo, nell’ambito delle quali l’agente si determina all’azione per negligenza,<br />

leggerezza, imprudenza, temerarietà: quindi con connotati propriamente colposi 159 .<br />

Si può notare, inoltre, che la teoria della possibilità non richieda la<br />

rappresentazione di una “elevata probabilità” di verificazione dell’evento: per cui,<br />

potrebbero darsi situazioni in cui non vi siano neppure elementi indizianti a favore<br />

della sussistenza del requisito volitivo che, tuttavia, verrebbero automaticamente<br />

ricondotte alla sfera del dolo (eventuale).<br />

Si è osservato, peraltro, che le impostazioni le quali, nell’ottica<br />

dell’inquadramento del dolo, prescindono dal requisito della volontà, espressamente<br />

indicato dall’art. 43 c.p. ai fini dell’integrazione del “delitto doloso”, costituirebbero<br />

palese violazione dei connotati tipici della fattispecie e, conseguentemente, dell’art.<br />

25 Cost., essendo quest’ultimo riferito non solo alle norme di parte speciale del<br />

codice penale, bensì anche alle norme di parte generale 160 .<br />

Risulta particolarmente interessante, ad ogni modo, lo sviluppo argomentativo<br />

attraverso il quale Marcello Gallo ha tentato di prospettare una configurazione della<br />

teoria della possibilità che possa risultare compatibile con la categoria della colpa<br />

cosciente 161 : l’Autore in questione prende le mosse dalla distinzione fra eventi<br />

intenzionalmente perseguiti, eventi previsti come certi, eventi non previsti, ed eventi<br />

non intenzionalmente perseguiti e previsti come solamente possibili. Quanto agli<br />

eventi intenzionalmente perseguiti, per essi si avrebbe l’imputazione a titolo di dolo<br />

(intenzionale, in questo caso) fossero essi stati previsti, rispettivamente, come certi o<br />

come solamente possibili; quanto agli eventi previsti come certi, relativamente ad<br />

essi si avrebbe l’imputazione a titolo di dolo (diretto, in questo caso) a prescindere<br />

dal carattere intenzionale o meno della realizzazione. Per quel che riguarda gli eventi<br />

non previsti, l’unica ipotesi configurabile sarebbe quella della colpa incosciente. La<br />

questione più complessa si pone quindi, in via residuale rispetto alle considerazioni<br />

fin qui sviluppate, in maniera circoscritta agli eventi previsti come possibili (quindi,<br />

non come certi) e non intenzionalmente perseguiti, in relazione ai quali si<br />

configurerebbe colpa cosciente nell’ipotesi in cui l’agente passi da una “previsione<br />

della possibilità” di realizzazione dell’evento ad una “previsione negativa” o<br />

“controprevisione”: si avrà, cioè, colpa cosciente nel caso in cui l’agente,<br />

rappresentatosi originariamente la possibilità di realizzazione di un evento, giunga<br />

successivamente ad escludere tale possibilità, rimuovendola dalla sfera della propria<br />

valorizzazione del profilo intellettivo a scapito del profilo volitivo. Nello stesso senso G. FORNASARI, I<br />

criteri di imputazione soggettiva del delitto di bancarotta semplice, in Giur. comm., 1988, 682.<br />

159 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 36 – 37. L’Autore, tra l’altro, riporta l’esempio del cacciatore<br />

che, agendo con leggerezza o temerarietà, non prenda sul serio la possibilità di presenza di un<br />

guardacaccia dietro un cespuglio, nella direzione del quale egli spari un colpo.<br />

160 G. FORTE, op. ult. cit., 831.<br />

161 Per l’intera esposizione della teoria di Marcello Gallo, cfr. M. GALLO, voce Dolo, 790 ss. Da<br />

notare, peraltro, il fatto che l’Autore in questione giunga anche a coordinare le proprie considerazioni<br />

con riferimenti relativi all’accettazione del rischio: “Se una persona si determina ad una certa condotta,<br />

malgrado la previsione che essa possa sboccare in un fatto di reato, ciò significa che accetta il rischio<br />

implicito nel verificarsi dell'evento; qualora avesse voluto sottrarsi a tale rischio, qualora non avesse<br />

acconsentito all'evento, evidentemente non avrebbe agito.” (ivi, 792.)<br />

30


coscienza, e sostituendo l’iniziale rappresentazione della possibilità di verificazione<br />

dell’evento con la convinzione che “l’evento non si verificherà”. Qualora, dunque,<br />

venga realizzato un evento penalmente rilevante, originariamente previsto come<br />

possibile, sussisterebbe colpa cosciente allorquando l’atteggiamento psicologico<br />

dell’agente fosse stato interessato dal passaggio da una rappresentazione generica<br />

relativa alla possibilità di realizzazione del reato, ad una previsione concreta e<br />

negativa in merito alla realizzazione del reato stesso, comportando la convinzione<br />

che il fatto (originariamente previsto come possibile) non si sarebbe verificato 162 .<br />

Ritornando, quindi, sul versante del dolo, sarà possibile l’imputazione per dolo<br />

eventuale nel caso in cui l’agente si fosse determinato a realizzare la condotta in<br />

presenza della rappresentazione della mera possibilità di verificazione dell’evento –<br />

quand’anche si tratti di evento non intenzionalmente perseguito – ed allorché tale<br />

rappresentazione non fosse stata sostituita da una “rappresentazione negativa” nei<br />

termini suddetti: in questo caso, la rimproverabilità del comportamento del soggetto<br />

non risiede nella leggerezza della condotta, bensì sul fatto che il soggetto stesso<br />

abbia agito nonostante la previsione della possibilità di realizzazione di un illecito<br />

penale 163 .<br />

In giurisprudenza, peraltro, sono rilevabili numerose sentenze che, pur<br />

contemplando il criterio dell’ “accettazione del rischio” (e non la teoria della possibilità<br />

intesa in senso stretto), riecheggiano la ricostruzione prospettata da Gallo per quanto<br />

concerne la descrizione della colpa cosciente, la quale si avrebbe qualora l’agente<br />

abbia posto in essere la condotta trovandosi in una situazione psichica caratterizzata<br />

dalla rimozione della previsione positiva dell’evento, o dalla sicura fiducia che esso<br />

non si sarebbe verificato. In questo senso, ad esempio, si è affermata in un caso<br />

specifico la colpa cosciente in capo ad un soggetto sieropositivo, il quale aveva<br />

contagiato la moglie tramite rapporti sessuali non protetti, nonostante egli fosse<br />

consapevole del proprio stato di sieropositività, nonché delle modalità di contagio:<br />

secondo i giudici di legittimità, l’imputato, a causa del suo modesto livello culturale,<br />

ed in considerazione del fatto che lui stesso avesse per anni goduto di condizioni di<br />

salute sommariamente buone, avrebbe rimosso psicologicamente l’eventualità del<br />

contagio e della conseguente possibilità di decesso della moglie (il contagio aveva in<br />

effetti, nel caso specifico, condotto al decesso della vittima); il tutto avrebbe, quindi,<br />

escluso l’elemento volitivo necessario ai fini della sussistenza del dolo, inquadrando<br />

invece la colpa aggravata dalla previsione dell’evento 164 . Ancora, si potrebbe fare<br />

riferimento all’esempio dell’automobilista, il quale conduca in modo imprudente e<br />

spericolato un’autovettura agendo, tuttavia, nella convinzione che non si<br />

verificheranno eventi lesivi a causa di tale tipo di condotta, confidando sulle proprie<br />

abilità di guidatore: anche in casi di questo genere è stata configurata la colpa<br />

162 Fornisce un’ottima spiegazione della teoria in questione, pur non condividendola, E. DI<br />

SALVO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 1935, ove si adduce, tra l’altro, l’esempio del soggetto il<br />

quale lanci una pietra contro un gruppo di persone che lo abbiano provocato, prevedendo la possibilità<br />

di causare effetti lesivi e colpendo effettivamente una di esse: si avrebbe dolo eventuale nell’ipotesi in<br />

cui l’agente non fosse giunto ad escludere la possibilità di ferimento, mentre si configurerebbe colpa<br />

cosciente qualora l’agente avesse posto in essere la condotta nella convinzione di non ferire nessuno,<br />

confidando nella propria abilità.<br />

163 M. GALLO, op. loc. ult. cit.<br />

164 Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it. Relativamente ad essa si<br />

veda anche E. DI SALVO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 1933 – 1934.<br />

31


cosciente 165 . In altre occasioni, la Cassazione ha addirittura evidenziato, su questa<br />

stessa linea, che il limite del dolo eventuale (e, quindi, l’inquadramento della colpa<br />

cosciente) sia dato dalla certezza che gli eventi, i quali siano oggetto di<br />

rappresentazione da parte dell’agente, non si verificheranno 166 ; non pare una<br />

forzatura eccessiva ritenere che, se si accogliesse una impostazione di questo<br />

genere, per cui ai fini della realizzazione di fattispecie con colpa cosciente sarebbe<br />

necessaria la certezza di non verificazione dell’evento, ne conseguirebbe che la<br />

semplice rappresentazione della possibilità di realizzazione dello stesso dovrebbe<br />

edificare il dolo eventuale: tale assetto risulterebbe del tutto conforme alla teoria della<br />

possibilità. Per quanto si tenti di inquadrare comunque, in una ricostruzione di questo<br />

tipo, un profilo volitivo, il rischio di configurazione di un dolus in re ipsa, per il solo<br />

fatto che il soggetto abbia agito nonostante la previsione dell’evento, permane.<br />

Ritornando al “correttivo” apportato da Marcello Gallo alla teoria della possibilità,<br />

relativamente ad esso sono state mosse varie critiche. In primo luogo, ancora una<br />

volta, si osserva il fatto che il tenore letterale dell’art. 61 n. 3 c.p. (“nonostante la<br />

previsione”) dovrebbe implicare la persistenza della previsione dell’evento al<br />

momento in cui si concretizzi la condotta, con esclusione – giocoforza – della<br />

rilevanza della “rappresentazione negativa” alla quale fa riferimento Gallo 167 : il<br />

passaggio dal giudizio sulla possibilità della verificazione dell’evento a quello sulla<br />

esclusione di tale possibilità comporta il venir meno della rappresentazione positiva<br />

dell’evento stesso, richiesta dall’art. 61 n. 3 c.p., e configura una concezione della<br />

colpa cosciente che risulta non compatibile con il tenore letterale della relativa norma<br />

di riferimento del codice penale 168 . Si è puntualmente osservato che la “previsione<br />

negativa”, se da un lato è incompatibile con il dolo, dall’altro non si armonizza<br />

neppure con la colpa cosciente: è sufficiente ad escludere il primo, ma non è<br />

sufficiente ad affermare la seconda (è – anzi – incompatibile con la stessa) 169 . In<br />

secondo luogo, un’applicazione della teoria della possibilità elaborata nei termini<br />

suddetti condurrebbe ad un eccessivo ampliamento della sfera di attribuzione della<br />

responsabilità per dolo, a scapito delle sfere della responsabilità colposa e<br />

preterintenzionale: si giungerebbe, infatti, a sussumere nell’ambito del dolo qualsiasi<br />

evento previsto dall’agente ed eziologicamente connesso alla sua condotta, anche in<br />

ipotesi di previsione di probabilità medio – bassa, o di mera possibilità; il che risulta<br />

165<br />

Cass. Pen., Sez. V, 10 febbraio 2009, n. 13083, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2009, 6, 516.<br />

166<br />

Cass. Pen., Sez. I, 17 marzo 1980, in C.E.D. Cass., n. 145219, a sua volta richiamata da E.<br />

DI SALVO, op. ult. cit., 1935, nota (8).<br />

167<br />

S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 28. In senso concorde anche E. DI SALVO, op. ult. cit.,<br />

1944.; G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 136.<br />

168<br />

Osservazioni di questo genere, peraltro, erano già state effettuate da Giacomo Delitalia. Si fa<br />

riferimento, in particolare, a G. DELITALIA, Dolo eventuale e colpa cosciente, in Annuario<br />

dell’Università Cattolica del S. Cuore, Milano, 1932, ora in Diritto penale. Raccolta degli scritti, vol. I,<br />

Milano, Giuffrè, 1976, 433 ss. Ai fini che qui interessano risulta particolarmente significativo il<br />

seguente estratto: “Quando […] l’agente, pur essendo consapevole della pericolosità astratta<br />

dell’azione, ritiene in conseguenza di un giudizio alogico, e perciò appunto colpevole, che nel singolo<br />

caso il risultato non si avrà a verificare, non è possibile parlare di dolo. Ma non è forse neppure il caso<br />

di parlare di colpa cosciente, perché, in questi casi, la coscienza della pericolosità dell’azione è stata<br />

sopraffatta dal convincimento che, in quella singola ipotesi, il risultato non avesse a verificarsi, e tanto<br />

vale non prevedere un effetto quanto prevedere che l’effetto non si verifichi.”<br />

169<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 137.<br />

32


inconcepibile nell’ottica di un diritto penale costituzionalmente orientato e basato sul<br />

principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.) 170 .<br />

Un ulteriore tentativo di correzione della teoria della possibilità è stato effettuato<br />

nell’ambito della dottrina d’oltralpe, in particolare da parte di Shmidhauser:<br />

l’impostazione da questi sostenuta prevede che debba configurarsi dolo eventuale<br />

qualora l’agente abbia consapevolezza della concreta pericolosità di lesione di un<br />

bene giuridico, mentre si avrebbe colpa cosciente nel caso in cui la consapevolezza<br />

dell’agente riguardi una astratta pericolosità insita nella condotta tenuta 171 .<br />

Sennonché, neppure tale sviluppo teorico risulta convincente, in quanto non si<br />

comprenderebbe in base a quale fondamento la colpa cosciente non debba<br />

richiedere la piena conoscenza della concreta pericolosità della condotta 172 ; peraltro<br />

è stato osservato che, qualora si richiedesse per la colpa cosciente soltanto la<br />

consapevolezza della mera pericolosità astratta della condotta, si giungerebbe a<br />

configurare colpa cosciente in ogni ipotesi in cui sia realizzato un reato colposo<br />

nell’abito di attività astrattamente pericolose 173 . Non risulta convincente neppure<br />

l’interpretazione della teoria in questione in base alla quale i caratteri di concretezza<br />

o astrattezza andrebbero riferiti non già al contesto in cui il soggetto realizzi la<br />

condotta, bensì all’evento lesivo derivante dalla condotta stessa: tale impostazione<br />

non risulterebbe decisiva, in particolare, ai fini dell’inquadramento della colpa con<br />

previsione, dato che nella maggior parte dei casi sussiste un legame inscindibile fra<br />

previsione astratta dell’evento e consapevolezza della pericolosità astratta della<br />

condotta; inoltre, una ricostruzione di questo genere risulterebbe in contraddizione<br />

con le principali e moderne teorie inerenti la colpa, le quali valorizzano in misura<br />

sempre maggiore il nesso fra violazione di regole cautelari ed evento lesivo<br />

concretamente realizzato 174 .<br />

170 Considerazioni conformi sono sviluppate da E. DI SALVO, op. ult. cit., 1939 - 1940:<br />

“[…]l’imputazione alla volontà del reo dell’intero ventaglio di accadimenti riconducibili eziologicamente<br />

al suo operato e da lui previsti – quale che sia il grado di probabilità con cui, nel suo orizzonte<br />

previsionale, essi si siano profilati – non sembra potersi effettuare se non a prezzo di una<br />

degradazione del dolo a mera fictio juris”. Emblematici sono, inoltre, gli esempi addotti dall’Autore al<br />

fine di porre in evidenza quella che sarebbe l’eccessiva dilatazione della sfera della responsabilità per<br />

dolo a scapito della sfera della preterintenzione: “Si pensi ancora al caso di chi, trovandosi su un<br />

sentiero accidentato e disseminato di pietre, dia, nel contesto di un alterco, una spinta ad altra<br />

persona. L’eventualità che il soggetto passivo, a seguito della spinta, perda l’equilibrio e cada su una<br />

pietra, procurandosi lesioni al cranio che ne provochino la morte, non è certamente tale da poter<br />

essere prevista dal reo in termini di certezza o di elevata probabilità. Tuttavia essa, appartenendo<br />

comunque all’ambito del concretamente accadibile – e non certo del remoto –, non può non essersi<br />

affacciata nella mente del reo. […] dovrebbe pervenirsi alla conclusione, evidentemente incongrua,<br />

che, essendosi l’evento-morte prospettato come possibile, nell’ottica dell’agente, questi dovrebbe<br />

rispondere di omicidio volontario a titolo di dolo eventuale, e non di omicidio preterintenzionale.”<br />

171 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 37.<br />

172 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit. Rilievi analoghi sono esposti da G. DE FRANCESCO, Dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, 122; l’Autore cita a sua volta C. ROXIN, Zur Abgrenzung von bedingtem<br />

Vorsatz und bewusster Fahrlassigkeit, in JuS, 1964, 53 ss, ripubblicato su Strafrechtliche<br />

Grundlagenprobleme, 1973, 230; viene addotto, in particolare, l’esempio del guidatore che effettui una<br />

pericolosissima manovra di sorpasso: egli potrà certamente rappresentarsi il rischio concreto<br />

connesso alla sua azione e ritenere, del resto, di poterlo evitare, seppur “per superficialità, per<br />

avventatezza, per spavalda fiducia nelle proprie doti di guidatore”.<br />

173 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 38.<br />

174 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

33


Un’ultima fase di analisi relativa alla teoria della possibilità deve riguardare la<br />

questione inerente l’elemento del dubbio: più precisamente, qualora si accolga lo<br />

sviluppo teorico per cui la colpa cosciente presupporrebbe la rimozione della<br />

rappresentazione positiva dell’evento, o la sostituzione di essa con una<br />

rappresentazione negativa, ovvero la sicura fiducia o “certezza” della non<br />

realizzazione dell’evento, necessariamente si dovrebbe concludere che la colpa<br />

cosciente esiga un superamento dello stato di dubbio 175 ; e, di conseguenza, che lo<br />

stato di dubbio (sulla realizzazione dell’evento) sarebbe sufficiente ad indicare il dolo<br />

eventuale 176 . Sennonché, torna nuovamente in questione l’osservazione del tenore<br />

letterale dell’art. 61, n.3, c.p., il quale postula la persistenza della rappresentazione<br />

positiva dell’evento al momento di realizzazione della condotta: in base a tale rilievo,<br />

il dubbio appare compatibile anche con la colpa cosciente, e non è certo elemento<br />

decisivo ai fini dell’identificazione del dolo; è compatibile sia con il dolo eventuale che<br />

con la colpa cosciente, per cui non può essere, di per sé, sufficiente ad integrare il<br />

primo 177 ; del resto, solo l’errore o l’ignoranza escludono radicalmente il dolo 178 .<br />

Peraltro, proprio richiamando la correlazione fra art. 43 ed art. 47 c.p., nonché la<br />

concezione dell’oggetto del dolo come inquadrabile nel fatto tipico unitariamente<br />

inteso, si giunge a sostenere che tali considerazioni siano riconducibili anche al<br />

livello del dubbio concernente i presupposti della condotta 179 .<br />

Passando all’analisi della teoria della probabilità, essa prospetta quale criterio<br />

distintivo fra colpa cosciente e dolo eventuale il binomio possibilità – probabilità:<br />

l’agente verserebbe in dolo eventuale allorquando avesse posto in essere la<br />

condotta essendosi rappresentato la verificazione dell’evento come probabile,<br />

mentre si resterebbe nell’ambito della colpa cosciente nel caso in cui l’agente avesse<br />

realizzato la condotta essendosi rappresentato una mera possibilità di verificazione<br />

dell’evento 180 . Il termine “possibilità” indica evidentemente una “bassa probabilità”,<br />

dal momento che la probabilità presuppone a sua volta la possibilità, ed ogni evento<br />

probabile deve necessariamente essere anche possibile. È chiaro il fatto che un<br />

assetto di questo tipo trova il proprio fondamento su analisi di carattere meramente<br />

quantitativo e, addirittura, statistico, risultando quindi inadeguato ai fini della<br />

valutazione del discrimen fra le categorie di elemento soggettivo in esame: anzitutto,<br />

qualora si accogliesse tale impostazione, si resterebbe senz’altro in un ambito di<br />

carattere piuttosto indefinito 181 , non essendo di individuazione certa la soglia di<br />

probabilità statistica al di sopra della quale la mera possibilità divenga probabilità; il<br />

limite appena accennato potrebbe essere risolto solamente determinando in modo<br />

arbitrario la percentuale statistica di probabilità al di sopra della quale si acceda alla<br />

sfera del dolo eventuale e al di sotto della quale si resti nella sfera della colpa<br />

cosciente; ma una soluzione di questo genere è sicuramente inconcepibile, in quanto<br />

verrebbe a rendere necessario, ai fini della configurabilità dell’uno o dell’altro<br />

elemento soggettivo, che il soggetto avesse riflettuto mentalmente (a livello di<br />

175 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1935.<br />

176 M. GALLO, voce Dolo, 792.<br />

177 S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 29.<br />

178 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 54, il quale cita a sua volta M. GALLO, voce Dolo, 759.<br />

179 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 54.<br />

180 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 33.<br />

181 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

34


appresentazione) sulle diverse soglie di percentuale di probabilità: il che è<br />

assolutamente infrequente 182 .<br />

Un’ulteriore critica alla teoria della probabilità è data, ancora una volta<br />

(analogamente a quanto rilevato con riferimento alla teoria della possibilità), dal<br />

mancato riferimento al requisito volitivo che, nell’ordinamento italiano, è<br />

espressamente prescritto dal legislatore ai fini della configurazione del dolo, ed<br />

espressamente escluso ai fini della colpa 183 .<br />

Parte della dottrina tedesca ha, peraltro, tentato di introdurre correttivi alla teoria<br />

della probabilità, sostenendo che si avrebbe dolo eventuale nel caso in cui il soggetto<br />

agente si fosse rappresentato la produzione, tramite la propria condotta, di un<br />

pericolo concreto per un bene giuridico, nonché un quantum di fattori causali tale da<br />

generare un rischio da prendere sul serio 184 : tale ricostruzione non appare<br />

soddisfacente sul piano sostanziale 185 , oltre ad esporsi a critiche simili a quelle<br />

mosse relativamente ai correttivi tentati con riguardo alla teoria della possibilità (non<br />

si comprenderebbe per quale ragione la colpa cosciente dovrebbe escludere la<br />

rappresentazione concreta del pericolo).<br />

È il caso di rilevare che anche Marcello Gallo, pur aderendo in linea di massima<br />

alla teoria della rappresentazione, critica negativamente la teoria della probabilità,<br />

ponendo l’accento sull’inadeguatezza del tentativo di identificare una distinzione di<br />

carattere meramente quantitativo fra elementi che, in effetti, sono qualitativamente<br />

diversi, oltre che sulla difficoltà nella quale incorrerebbe l’organo giudicante<br />

nell’individuare la soglia che debba fungere da spartiacque tra possibilità e<br />

probabilità 186 .<br />

Nondimeno, vanno evidenziati i rischi connessi all’accoglimento di impostazioni<br />

di questo genere (cioè basate su una distinzione di carattere meramente quantitativo<br />

fra dolo eventuale e colpa cosciente, ed in considerazione del solo profilo intellettivo,<br />

con attribuzione di rilevanza marginale o nulla al profilo volitivo), con particolare<br />

riferimento al versante processuale ed alla prova dell’elemento soggettivo: poiché<br />

tale prova si basa necessariamente su regole d’esperienza – stante l’impossibilità di<br />

svolgimento di un’indagine diretta sui processi psichici del soggetto –, l’adesione alla<br />

teoria della probabilità amplifica il pericolo di ricorso a presunzioni di dolo, ovvero di<br />

configurazione di dolus in re ipsa, in ipotesi in cui il soggetto avesse agito in<br />

presenza di oggettive probabilità medio – elevate di verificazione dell’evento<br />

lesivo 187 . Il ricorso a schemi presuntivi, invero, è ritenuto inammissibile da autorevole<br />

dottrina, la quale sottolinea che il dolo debba essere inteso come “coscienza” e<br />

“volontà” effettive e reali: ragion per cui tali componenti strutturali del dolo stesso<br />

debbano essere oggetto di effettivo accertamento; se, quindi, da un lato è ammesso<br />

il ricorso a regole d’esperienza (dato che, altrimenti, la prova del dolo diverrebbe una<br />

probatio diabolica), dall’altro è da escludere l’ammissibilità del ricorso a presunzioni<br />

di dolo 188 . Ulteriore rischio connesso a quanto appena esposto è quello di una<br />

182 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 34.<br />

183 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 34 – 35.<br />

184 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 34.<br />

185 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

186 M. GALLO, Il dolo, 216 – 217.<br />

187 Cfr. G. LATTANZI – E. LUPO, op. cit., 328.<br />

188 In questo senso, chiaramente, G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 367 – 368. Gli Autori, tra<br />

l’altro, rigettano espressamente l’orientamento giurisprudenziale il quale tende a presumere il dolo,<br />

35


eccessiva dilatazione delle ipotesi di responsabilità per dolo nonché, se si tratta di<br />

reati non punibili a titolo di colpa, dell’ambito della punibilità.<br />

In effetti, in giurisprudenza, si può notare una tendenza che, pur basata<br />

principalmente sul ricorso al criterio dell’“accettazione del rischio”, concepisce una<br />

certa correlazione fra quest’ultimo elemento e la sussistenza della previsione in<br />

concreto della possibilità, o previsione della probabilità medio – alta, di verificazione<br />

dell’evento penalmente rilevante 189 : in altri termini, la giurisprudenza in questione<br />

ritiene configurabile (o provata) l’accettazione del rischio da parte dell’agente solo<br />

quando si sia in presenza di una rappresentazione, da parte dell’agente stesso, di un<br />

grado di probabilità medio – alto di verificazione dell’evento.<br />

Sulla stessa linea, ma con alcuni contenuti aggiuntivi nell’ottica di una<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente che non risulti meramente<br />

quantitativa, si è espressa anche parte della dottrina, la quale ha evidenziato il fatto<br />

che l’elemento volitivo sarebbe, ai fini dell’inquadramento del dolo eventuale,<br />

integrato soltanto qualora l’agente si fosse determinato a porre in essere la condotta<br />

avendo previsto un livello elevato di probabilità di verificazione dell’evento: si<br />

sostiene che le ipotesi di realizzazione di un evento previsto come meramente<br />

possibile o scarsamente probabile debbano essere ascritte alla sfera della colpa<br />

cosciente, e debbano quindi esulare dalla sfera del dolo; quest’ultimo si<br />

configurerebbe, invece, solamente in caso di realizzazione di eventi previsti come<br />

altamente probabili o certi 190 . Si evidenzia, insomma, che la nozione di “delitto<br />

doloso” di cui all’art. 43, comma 1, alinea 1, c.p., richieda pur sempre il requisito della<br />

volontà, il quale sarebbe soddisfatto soltanto qualora l’agente si fosse determinato a<br />

porre in essere la condotta essendosi rappresentato una elevata probabilità di<br />

realizzazione, tramite essa, di un evento lesivo: in questo caso non verrebbero in<br />

questione soltanto elementi discretivi di carattere quantitativo, poiché la scelta di<br />

agire a fronte della rappresentazione dell’elevata probabilità di verificazione<br />

dell’evento configurerebbe un quadro psicologico qualitativamente diverso rispetto a<br />

quello caratteristico di chi si determini ad agire di fronte alla previsione di una scarsa<br />

probabilità di verificazione dell’evento stesso 191 . La conclusione di tali considerazioni<br />

sarebbe, giocoforza, quella di ascrivere questa seconda ipotesi alla sfera della colpa<br />

cosciente 192 .<br />

È possibile, a questo punto, trarre alcune considerazioni in merito all’analisi<br />

svolta relativamente alle teorie della possibilità e della probabilità, prospettando<br />

l’inquadramento di tali teorie nell’ambito di un polo tendente ad una concezione<br />

salvo prova contraria, in ipotesi in cui la prova del dolo risulti particolarmente difficile, ovvero nei casi<br />

di fattispecie “pregnante”; viene addotto, a supporto di tale critica, l’esempio del reato di falso: la<br />

volontà di falsificare non potrà essere considerata implicita nella falsificazione, dal momento che il<br />

soggetto potrebbe aver falsificato per leggerezza o superficialità (quindi alla luce di connotati<br />

propriamente colposi).<br />

189 Anticipando brevemente l’argomento relativo alla teoria dell’accettazione del rischio, nonché<br />

alla teoria della distinzione basata sulla previsione in concreto o in astratto della possibilità o<br />

probabilità di verificazione dell’evento, si può fare riferimento a Cass. Pen., Sez. V, 17 settembre 2008<br />

(dep. 1 dicembre 2008), n. 44712, in www.altalex.com ; Cass. Pen., Sez. I, 8 novembre 1995, n. 832,<br />

in Cass. pen., 1997, 4, 991; Cass. Pen., Sez. I, 21 aprile 1994, n. 4583, in Cass. pen., 1995, 7/8,<br />

1837. 190 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1943.<br />

191 E. DI SALVO, op. loc. ult. cit.<br />

192 E. DI SALVO, op. loc. ult. cit.<br />

36


oggettiva del requisito volitivo, la quale implica una considerazione della struttura del<br />

dolo come imperniata fondamentalmente sull’elemento intellettivo, nonché una<br />

valutazione del dato volitivo in base all’interpretazione normativa della condotta posta<br />

in essere dall’agente (in questo senso si parla di “oggettivizzazione” del dolo, o<br />

dell’elemento volitivo) 193 : sostanzialmente, significa che l’elemento – base nell’ambito<br />

della struttura del dolo viene individuato solamente nella componente della<br />

rappresentazione, mentre la volizione non viene concepita come dato di carattere<br />

psicologico, bensì inquadrata attraverso l’analisi oggettiva del comportamento tenuto<br />

dall’agente.<br />

Riconducibili al paradigma dell’oggettivizzazione dell’elemento volitivo sono<br />

anche ulteriori teorie elaborate, principalmente, da parte della dottrina tedesca: si fa<br />

riferimento, in particolare, alle teorie della “operosa volontà di evitare” e del “rischio<br />

schermato”.<br />

2. Teorie dell’ “operosa volontà di evitare” e del “rischio schermato”: la<br />

sostituzione dell’elemento psicologico volitivo con una valutazione oggettiva<br />

della condotta e del rischio<br />

La teoria dell’“operosa volontà di evitare”, elaborata principalmente da Armin<br />

Kaufmann, ritiene che escluda il dolo eventuale il manifestarsi di una volontà di<br />

attivazione operosa per l’impedimento della realizzazione di un fatto lesivo, previsto<br />

come potenziale conseguenza accessoria di una condotta; tale volontà<br />

acquisterebbe rilevanza ai fini dell’esclusione del dolo (fermo restando la<br />

configurabilità della colpa cosciente) soltanto qualora l’autore si fosse effettivamente<br />

attivato nell’adozione di contromisure volte ad evitare la realizzazione dell’evento<br />

lesivo (o ridurne le possibilità/probabilità di realizzazione) 194 : in altri termini,<br />

l’adozione di misure volte ad evitare l’evento esternerebbe una volontà di evitare lo<br />

stesso che sarebbe incompatibile con la volontà caratteristica dell’illecito doloso; e la<br />

rilevanza della volontà di evitare si configurerebbe solo qualora la volontà stessa<br />

emergesse alla luce delle modalità tramite le quali fosse posta in essere la condotta.<br />

D’altra parte, si configurerebbe il dolo nel caso in cui l’agente, avendo previsto anche<br />

solo la mera possibilità di realizzazione dell’evento, non si fosse attivato<br />

nell’adozione di contromisure volte ad evitarlo, o a ridurne il rischio 195 . Il tutto a<br />

prescindere dal grado di probabilità della realizzazione dell’evento che sia oggetto di<br />

previsione.<br />

Autorevole dottrina italiana ha puntualmente osservato che tale teoria manifesta<br />

un primo limite nella concezione del comportamento adottato dall’agente al fine di<br />

evitare l’evento come oggettivizzazione del dolo, e non come mero indicatore dei<br />

processi psichici sottotesi al comportamento stesso 196 : l’adozione di contromisure<br />

volte ad evitare l’evento, in effetti, potrà certamente essere un indizio a favore della<br />

193 In questo senso G. CERQUETTI, Il dolo, 181, 182.<br />

194 La teoria in questione è riportata da S. CANESTRARI, op. ult. cit., 41-42. In particolare viene<br />

analizzata la teoria esposta da A. KAUFFMANN, Der dolus eventualis in Deliktsaufbau. Die<br />

Auswirkungen der Handlungs- und der Schuldlehre auf die Vorsatzgrense, in ZStW, 1958, 64 ss. Sullo<br />

stesso argomento anche G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 117.<br />

195 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

196 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 42-43.<br />

37


assenza dei requisiti psichici propri del dolo, ma non potrà di per sé stessa fondare<br />

l’insussistenza della volontà; l’applicazione della teoria in questione, tra l’altro,<br />

condurrebbe all’esclusione dalla sfera del dolo eventuale di determinate fattispecie<br />

concrete che invece, di per sé, non dovrebbero essere inconciliabili con la<br />

responsabilità dolosa: l’adozione di contromisure, ad esempio, potrebbe essere<br />

addirittura il frutto di un calcolo di strategia criminale, ed in casi di questo genere<br />

sarebbe, quindi, inopportuna l’attribuzione del titolo di imputazione per colpa anziché<br />

per dolo, alla luce del solo fatto che il soggetto abbia adottato contromisure.<br />

Parallelamente, possono verificarsi ipotesi nelle quali l’adozione di contromisure<br />

risulti concretamente inattuabile: in casi di questo genere, sarebbe inadeguata<br />

l’esclusione della configurabilità della colpa (e, quindi, l’attribuzione della<br />

responsabilità per dolo) in base al solo fatto che il soggetto agente non abbia<br />

adottato contromisure 197 . Inoltre, l’applicazione concreta della teoria dell’“operosa<br />

volontà di evitare” potrebbe condurre a risultati non condivisibili, andando a<br />

prospettare trattamenti diversificati da un lato per il soggetto il quale, a fronte della<br />

rappresentazione di una scarsa probabilità di verificazione dell’evento, non adotti<br />

contromisure volte ad evitarlo; dall’altro per il soggetto che, a fronte della<br />

rappresentazione di una elevata probabilità di causazione dell’evento, si attivi<br />

nell’adozione di contromisure le quali, tuttavia, riducano la suddetta probabilità in<br />

maniera esigua: nel primo caso, conformemente alla teoria dell’“operosa volontà di<br />

evitare”, si avrebbe senz’altro imputazione per dolo; nel secondo caso, per colpa<br />

cosciente 198 . È evidente che conclusioni di questo genere non sono accettabili, e ciò<br />

emerge con chiarezza ancor più lampante se si considera che la maggior parte dei<br />

rei colposi non si attivi nell’adozione di contromisure, proprio per il fatto di confidare<br />

nella non realizzazione dell’evento 199 .<br />

Altro ordine di critiche negative alla teoria dell’“operosa volontà di evitare” è<br />

stato sviluppato da Claus Roxin: l’Autore prende le mosse dalla considerazione<br />

dell’inadeguatezza di una distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata<br />

sulla struttura finalistica dell’azione, posto che la finalità dell’azione stessa<br />

investirebbe non solo le condotte dolose (e non solo quelle sorrette da dolo<br />

intenzionale), ma anche quelle sorrette da colpa cosciente 200 . Si osserva, in altri<br />

termini, che la teoria esposta da Kaufmann, postulando che la distinzione fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente debba essere sviluppata mediante la verifica se l’agente<br />

abbia o meno adottato contromisure, pretenderebbe di rilevare il discrimen fra i due<br />

197<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 42-43, ove si osserva, tra l’altro – e a titolo esemplificativo –<br />

che l’applicazione della teoria in questione condurrebbe all’esclusione dalla sfera del dolo delle ipotesi<br />

di contagio da HIV tramite rapporto sessuale non protetto in caso di coitus interruptus. Lo stesso<br />

Autore precisa, poi, il fatto che le elaborazioni teoriche intellettualistiche siano state sostanzialmente<br />

abbandonate nell’ambito delle fattispecie di contagio da HIV da rapporto sessuale non protetto (e non<br />

violento), da parte di soggetto sieropositivo consapevole del proprio status, senza informazione del<br />

partner; del resto – prosegue l’Autore – non è mai stata avanzata l’argomentazione circa<br />

l’incompatibilità fra l’adozione di contromisure e la configurabilità del dolus eventualis, sicché si ricade<br />

comunque in una concezione del comportamento effettivamente tenuto dall’agente come indicatore o<br />

prova dell’atteggiamento interiore (cioè della fiducia nella non verificazione dell’evento lesivo). Si<br />

veda, a riguardo, anche S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo, 906 ss.<br />

198<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 42-43.<br />

199<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 43.<br />

200<br />

Lo sviluppo argomentativo di Roxin è descritto da G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 115 –<br />

117.<br />

38


stati psichici in questione in considerazione del finalismo dell’azione: qualora l’agente<br />

abbia predisposto contromisure volte ad evitare l’evento, dovrebbe escludersi la<br />

componente volitiva propria del dolo, essendo illogico che l’agente stesso persegua<br />

la realizzazione dell’evento e, al contempo, adotti tali contromisure 201 ; tuttavia, una<br />

ricostruzione del genere assume a fondamento del dolo eventuale una concezione di<br />

“finalità” che, invece, effettivamente non lo caratterizza: chi agisce con dolo<br />

eventuale, infatti, non persegue direttamente il fine di provocare l’evento – pur<br />

essendosi rappresentato la possibilità di provocarlo –, e tale situazione investe anche<br />

la colpa cosciente 202 .<br />

La teoria del “rischio schermato”, in secondo luogo, considera sussistente il dolo<br />

eventuale nel caso in cui il soggetto abbia agito essendosi rappresentato un pericolo<br />

di realizzazione di una fattispecie penale, che sia non consentito e “non schermato”:<br />

e il pericolo può dirsi “non schermato” qualora l’agente, alla luce di una valutazione<br />

razionale, non possa confidare che, successivamente alla realizzazione concreta<br />

della condotta la quale crei il pericolo, siano attuabili misure di controllo del pericolo<br />

stesso, da parte sua o da parte di terzi 203 . In base ad una elaborazione di questo tipo<br />

assume rilevanza, ai fini della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente,<br />

esclusivamente un elemento di carattere oggettivo, che è dato dalla “qualità” del<br />

rischio assunto dall’agente; restano invece relegati ad una sfera che esula<br />

dall’indagine funzionale alla individuazione dell’elemento soggettivo l’atteggiamento<br />

psicologico dell’agente e la componente di carattere statistico inerente la probabilità<br />

di verificazione dell’evento lesivo 204 . Ciò che assumerebbe rilevanza ai fini del dolo<br />

eventuale non sarebbe l’effettiva “presa sul serio” del pericolo da parte del soggetto<br />

agente, bensì il fatto che egli abbia riconosciuto un pericolo “da prendere sul serio”<br />

(quindi, “che avrebbe dovuto essere preso sul serio”): in questo senso, la teoria in<br />

questione è stata denominata anche “teoria della presa sul serio oggettivizzata” 205 .<br />

Invero, si giunge sostanzialmente alla sostituzione del requisito psichico della volontà<br />

(necessario ai fini della configurazione del dolo) con un requisito di carattere<br />

oggettivo, il quale è dato dalla qualità del pericolo “non schermato” 206 ; viceversa, ai<br />

fini della valutazione della sussistenza della colpa, sarebbe sufficiente la<br />

considerazione della qualità del rischio “schermato”. La teoria del “rischio schermato”<br />

è stata anche considerata, da parte di autorevole dottrina, come “criterio di<br />

semplificazione probatoria” della distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente 207 .<br />

Sulla base di questo assetto, appaiono evidenti le conclusioni non condivisibili<br />

alle quali potrebbe condurre l’applicazione della teoria in esame: in effetti, tenuto<br />

conto della sola considerazione del carattere “schermato” o “non schermato” del<br />

pericolo, non si dovrebbe inquadrare il dolo laddove il soggetto avesse agito a fronte<br />

201<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 117.<br />

202<br />

G. DE FRANCESCO, op. loc. ult. cit.<br />

203<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 62-65, ove si analizza l’elaborazione della teoria del “rischio<br />

schermato” ad opera di R.D. HERZBERG, Die Abgrenzung von Vorsat und bewusster Fahrlassigkeit –<br />

ein Problem des objektiven Tatbestandes, in JuS, 1986, 249 ss. Analisi effettuata anche da G.<br />

CERQUETTI, op. cit., 223-224, nonché da G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 131 – 132.<br />

204<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 62.<br />

205<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 63.<br />

206<br />

G.P. DEMURO, Il dolo. Vol. II, Milano, Giuffrè, 2010, 43. Sostanzialmente nello stesso<br />

senso, seppur con terminologia differente, G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 133 – 134.<br />

207<br />

In questo senso G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 132.<br />

39


di un pericolo “schermato”, nonostante la rappresentazione, da parte sua, di un<br />

“rimanente” rischio di elevata entità; mentre sarebbe configurabile il dolo allorquando<br />

l’agente avesse realizzato la condotta di fronte ad un pericolo “non schermato”,<br />

essendosi egli rappresentato una scarsa entità del rischio 208 . Inoltre, se si considera<br />

il parallelismo “pericolo non schermato – dolo eventuale”, ed il fatto che il “pericolo<br />

non schermato” – inteso come non controllabile o non riducibile, da parte dell’agente<br />

o da parte di altri – possa giungere ad inquadrare pressoché ogni situazione di<br />

rischio non adeguatamente fronteggiabile (se non tramite l’astensione dall’agire),<br />

risulta evidente che l’applicazione del criterio in questione possa condurre a<br />

sussumere nell’ambito del dolo eventuale fattispecie concrete le quali, invece,<br />

configurerebbero sostanzialmente ipotesi di colpa con previsione 209 .<br />

Una teoria di questo genere, focalizzando la distinzione fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente nella sola dicotomia “pericolo schermato” – “pericolo non<br />

schermato”, è senz’alto troppo riduttiva e semplicistica 210 , ed appare incompatibile<br />

con il nostro ordinamento, improntato ad una distinzione fra dolo e colpa basata su<br />

elementi di carattere psicologico e, in particolare, sull’elemento volitivo 211 .<br />

3. La valorizzazione degli stati emozionali o affettivi<br />

Alcune impostazioni teoriche relative al discrimen fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente valorizzano, in particolar modo, l’atteggiamento interiore o emozionale del<br />

soggetto rispetto alla previsione della possibilità di realizzazione del risultato lesivo:<br />

in tale modo si tenta la valutazione della sussistenza o meno del requisito della<br />

volontà (necessario ai fini dell’inquadramento del dolo) attraverso l’analisi di stati<br />

emozionali o affettivi.<br />

Anzitutto, è possibile fare riferimento alla teoria dell’“indifferenza”, la quale è<br />

stata sviluppata principalmente da Engisch, ed individua il dolo eventuale nell’ipotesi<br />

in cui il soggetto, a fronte della previsione della possibilità di realizzazione del<br />

risultato lesivo, abbia agito alla luce di un atteggiamento di indifferenza nei confronti<br />

di tale possibilità; qualora, invece, il soggetto abbia agito con il “desiderio” o la<br />

“speranza” di non verificazione dell’evento, allora sussisterebbe colpa cosciente 212 . Il<br />

fondamento del dolo eventuale verrebbe, quindi, individuato nella particolare<br />

relazione emozionale del soggetto agente rispetto alla realizzazione della fattispecie<br />

da lui prevista: qualora l’agente si rappresenti la possibilità di realizzazione di un<br />

risultato penalmente rilevante e, con atteggiamento di estrema indifferenza, egli non<br />

desista dal tenere la propria condotta, e non si determini ad un comportamento<br />

conforme al diritto, dovrebbe configurarsi responsabilità per dolo; un atteggiamento<br />

di questo genere, peraltro, rivelerebbe anche una significativa mancanza di<br />

“sentimento sociale” 213 . Viceversa, ai fini dell’inquadramento della colpa cosciente,<br />

assumerebbero rilevanza stati emozionali quali la “speranza” o il “desiderio” relativi<br />

208 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 62.<br />

209 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 201.<br />

210 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

211 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 64. Nello stesso senso G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 133 –<br />

134. 212 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 44.<br />

213 G. CERQUETTI, op. cit., 253.<br />

40


alla non verificazione dell’evento (o relativi alla non integrazione della fattispecie<br />

penalmente rilevante, se si prescinde dai reati di evento).<br />

Recentemente, peraltro, nell’ambito della dottrina d’oltralpe si è tentata una<br />

riformulazione della teoria dell’indifferenza in base alla quale, ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo eventuale, non si tratterebbe di indagare relativamente<br />

ad un atteggiamento emotivo dell’agente nei confronti del bene giuridico, bensì di<br />

individuare una “accettazione con indifferenza” relativamente alla lesione del bene<br />

giuridico prevista come possibile: il che dovrebbe identificare l’elemento volitivo,<br />

consistente nella determinazione contro il bene giuridico 214 ; in sintesi, in base<br />

all’impostazione alla quale si sta facendo riferimento, sussisterebbe dolo eventuale<br />

nell’ipotesi in cui l’agente, avendo previsto come possibile la realizzazione della<br />

lesione del bene giuridico, accetti con indifferenza tale realizzazione: il fatto che egli<br />

agisca in tal modo, non lasciandosi influenzare dalla rappresentazione, rivelerebbe la<br />

sua determinazione contro il bene giuridico 215 .<br />

Sennonché, tanto la teoria dell’ “indifferenza” nella sua originaria formulazione,<br />

quanto la modulazione di essa della quale si è appena trattato, non si sottraggono a<br />

critiche negative, le quali pongono in evidenza l’inidoneità del ricorso a valutazioni di<br />

aspetti relativi alla sfera emotiva al fine di identificare il discrimen fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente. Anzitutto si è sostenuto che, nonostante la valutazione di uno stato<br />

d’animo di indifferenza, insensibilità o “assenza di scrupoli” possa costituire un indice<br />

a favore dell’inquadramento dell’elemento volitivo e, quindi, ai fini dell’identificazione<br />

del dolo, tuttavia essa non potrà assurgere a decisivo elemento discretivo fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente 216 ; analogamente, la mera “speranza” relativa alla non<br />

verificazione dell’evento non parrebbe elemento sufficiente ai fini della<br />

configurazione della colpa cosciente: sarebbe, in effetti, ingiustificato il trattamento<br />

più mite in capo al soggetto il quale, pur avendo “messo in conto” consapevolmente il<br />

risultato lesivo di beni giuridici, abbia agito con la speranza – magari anche priva di<br />

ragionevoli fondamenti – che esso non si sarebbe verificato 217 . In secondo luogo, è<br />

stato rilevato che gli atteggiamenti di “indifferenza” o “mancanza di riguardo”<br />

parrebbero, in effetti, essere confacenti non già al dolo, bensì alla colpa 218 .<br />

Nondimeno, si osserva il fatto che la valorizzazione di aspetti di carattere<br />

emozionale, alla luce dei contorni non sufficientemente definiti dei concetti di<br />

“sentimento” o simili, rischierebbe di dare luogo a valutazioni dell’autore, anziché del<br />

fatto 219 : il che sarebbe evidentemente incompatibile con un diritto penale che<br />

dovrebbe mirare alla tutela oggettiva di beni giuridici 220 .<br />

Peraltro, non si può omettere di considerare le incongrue conseguenze alle<br />

quali potrebbe giungersi con applicazione di criteri emozionali o “intimistici”: in effetti,<br />

214 G. CERQUETTI, op. cit., 254.<br />

215 G. CERQUETTI, op. cit., 255.<br />

216 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 44 – 45.<br />

217 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 45.<br />

218 G. CERQUETTI, op. cit., 254, ove si richiama E. MORSELLI, Il ruolo dell’atteggiamento<br />

interiore nella struttura del reato, Padova, Cedam, 1989, 69 ss.<br />

219 E. MORSELLI, op. loc. cit.<br />

220 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 120, il quale fa riferimento, a sua volta, all’analisi di C.<br />

ROXIN, Zur Abgrenzung, 209 ss. Si osserva, in particolare, che l’obiettivo del diritto penale deve<br />

essere orientato alla tutela di beni giuridici, e “non può essere pertanto quello d’impedire che si<br />

manifestino determinati atteggiamenti interiori in coloro che realizzano la lesione di tali beni”.<br />

41


in base ad essi, si potrebbe arrivare ad escludere il dolo in casi in cui l’agente abbia<br />

realizzato la condotta nutrendo una speranza del tutto irrazionale circa la non<br />

verificazione dell’evento, seppur dinanzi alla rappresentazione di tale verificazione in<br />

termini di certezza 221 .<br />

Infine, è stato notato che la valorizzazione di componenti emotive risulterebbe<br />

in contrasto con espressi dati normativi rinvenibili all’interno del codice penale: da un<br />

lato, l’art. 43, il quale fa riferimento a “previsione” e “volontà”, e non a stati emotivi o<br />

affettivi; dall’altro l’art. 90 c.p., il quale esclude la rilevanza di stati emotivi o<br />

passionali ai fini dell’imputabilità 222 . Del resto, sulla stessa linea, si osserva che<br />

elementi psichici, quali “desiderio”, “speranza”, “indifferenza”, “auspicio” o affini, non<br />

abbiano nulla a che fare, effettivamente, con la volontà 223 . Sostanzialmente in senso<br />

analogo, si è rilevato in dottrina che, qualora l’evento sia previsto come conseguenza<br />

certa o probabile della condotta, il suo significato finalistico corrisponde alla volontà<br />

del soggetto: la quale, quindi, non è esclusa da stati emozionali o affettivi 224<br />

Fermo restando quanto esposto sin’ora – dal quale dovrebbe emergere<br />

chiaramente il carattere non soddisfacente della valorizzazione dei profili emozionali<br />

ai fini della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, se non altro se si<br />

pretende di conferire ad essa un ruolo decisivo – non mancano in giurisprudenza<br />

alcune sentenze che concludono per l’esclusione del dolo in considerazione<br />

dell’atteggiamento interiore dell’agente.<br />

In particolare, il criterio della “speranza” è rinvenibile all’interno di una pronuncia<br />

dei giudici di legittimità 225 relativa ad un caso che, seppur ormai non più recente,<br />

viene ancora citato con molta frequenza in materia penale (e non solo con<br />

riferimento alle questioni inerenti l’elemento soggettivo): si tratta dei genitori di una<br />

bambina malata di “betatalassemia maior” i quali, essendo Testimoni di Geova, per<br />

esigenze di rispetto dei dettami postulati da tale confessione religiosa, fecero<br />

interrompere i trattamenti emotrasfusionali ai quali la figlia era sottoposta, pur<br />

sapendo che la pratica emotrasfusionale sarebbe stata il rimedio più efficace e<br />

diretto ai fini del miglioramento del quadro clinico della bambina; l’evento il quale<br />

concretizza la responsabilità dei genitori è il decesso della bambina, a causa di un<br />

grave stato di anemia sopravvenuto a seguito dell’interruzione del trattamento,<br />

laddove invece la sottoposizione ad esso avrebbe impedito, se non la morte,<br />

quantomeno una così rapida degenerazione delle condizioni di salute della vittima 226 .<br />

221<br />

A. NAPPI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, Giuffrè, 2010, 400 – 401.<br />

222<br />

G. CERQUETTI, op. cit., 257.<br />

223<br />

G. FORTE, Ai confini tra dolo e colpa: dolo eventuale o colpa cosciente?, in Riv. it. dir. e<br />

proc. pen., 1999, 1, 249. L’Autore richiama a sua volta, in nota (119), A. DI LORENZO, I limiti tra dolo<br />

e colpa, Napoli, Jovene, 1955, 85.<br />

224<br />

T. PADOVANI, Diritto penale, Milano, Giuffrè, 2008, 250.<br />

225<br />

Cass. Pen., Sez. I, 13 dicembre 1983, (imp. Oneda), in Cass. pen., 1984, 12, 2400 ss.<br />

226<br />

Riassunto del fatto rinvenibile, ex plurimis, in G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 595; F.<br />

AGNINO, La sottile linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, in Giur. merito, 2009, 6, 1502;<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 255 - 256. Da notare il fatto che Canestrari, se da un lato evidenzia<br />

l’inadeguatezza del criterio della “speranza”, dall’altro applica al caso di specie la propria teoria<br />

inerente la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, basata principalmente – come meglio si<br />

vedrà in maniera dettagliata infra – sull’individuazione di un rischio peculiare del dolo eventuale,<br />

conformemente alla quale egli giunge ad inquadrare comunque, nella fattispecie concreta di cui<br />

trattasi, la colpa con previsione: emergerebbe infatti, in questo caso, un rischio che avrebbe potuto<br />

essere almeno preso in considerazione dall’homo eiusdem conditionis et professionis dell’agente<br />

42


I giudici di appello ravvisarono responsabilità a titolo di dolo, sostenendo l’irrilevanza<br />

della componente di carattere emotivo ai fini dell’esclusione della volontà, ma la<br />

Cassazione annullò con rinvio la sentenza di secondo grado delineando, in<br />

motivazione, un’argomentazione la quale tende a valorizzare il profilo volitivo ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo eventuale: in particolare, viene ritenuta insufficiente la<br />

sola previsione/rappresentazione dell’evento, poiché il dolo risulterebbe integrato<br />

soltanto qualora, in aggiunta rispetto all’elemento intellettivo, sussista anche<br />

l’elemento volitivo, inteso come volontà rivolta alla consumazione del reato 227 ;<br />

tuttavia, ciò che maggiormente assume rilievo è dato dal fatto che, nel caso di<br />

specie, i giudici di legittimità abbiano evidentemente escluso la sussistenza<br />

dell’elemento volitivo in base alla valutazione dell’affetto nutrito dai genitori nei<br />

confronti della figlia, nonché della speranza da essi coltivata con riguardo alla non<br />

verificazione dell’evento “morte” 228 : sicché, a fondamento di tale sentenza, è<br />

possibile inquadrare proprio il “criterio della speranza” 229 .<br />

È stato posto in rilievo come l’utilizzo di tali criteri di natura sentimentale o<br />

emotiva, in effetti, non produca altro risultato se non rendere evidente proprio la loro<br />

labilità sul piano dell’inquadramento dell’elemento soggettivo 230 ; del resto, la<br />

sentenza di secondo grado sul caso in questione 231 afferma che l’ambito di<br />

operatività del dolo eventuale non sia escluso dalla speranza, da parte dell’agente,<br />

che l’evento non si verifichi, richiamando peraltro in motivazione un consistente<br />

elenco di pronunce di legittimità le quali depongono in senso concorde. A dire il vero,<br />

l’argomentazione adottata in motivazione da parte dei giudici di appello 232 appare<br />

molto più lineare, logica e convincente rispetto alla motivazione sviluppata da parte<br />

dei giudici di legittimità: si sostiene, in particolare, che i genitori della bambina si<br />

fossero certamente rappresentati la possibilità di morte precoce della figlia come<br />

conseguenza dell’interruzione della terapia emotrasfusionale, essendo stati informati<br />

in modo senz’altro esaustivo da parte del personale medico che si era occupato del<br />

caso, nonché da parte di assistenti sociali e da parte dei giudici del Tribunale per i<br />

minorenni; il livello di informazione del quale i genitori godevano comprendeva,<br />

altresì, la consapevolezza che l’unica modalità la quale avrebbe potuto<br />

efficacemente evitare la morte precoce della figlia fosse la sottoposizione della<br />

stessa alla terapia emotrasfusionale: alla luce di ciò, non appare una soluzione<br />

adeguata la prospettazione di un mero rimprovero per colpa, il quale si<br />

configurerebbe come rimprovero per aver “agito con leggerezza”; né sarebbe<br />

ragionevolmente configurabile l’ipotesi che i genitori avessero confidato nella non<br />

verificazione dell’evento “morte”, per il convincimento che, alla luce di particolari<br />

circostanze, questa avrebbe potuto essere comunque evitata nonostante la non<br />

concreto, dotato anche delle conoscenze superiori eventualmente possedute dall’agente concreto<br />

stesso (mentre il rischio peculiare doloso, secondo l’Autore, sarebbe quello che non avrebbe potuto<br />

neppure essere preso in considerazione dall’homo eiusdem conditionis et professionis dell’agente<br />

concreto, anche in questo caso dotato delle conoscenze superiori eventualmente possedute<br />

dall’agente concreto).<br />

227<br />

F. AGNINO, op. loc. cit.<br />

228<br />

F. AGNINO, op. loc. cit.<br />

229<br />

E. DI SALVO, Colpa cosciente e dolo eventuale, diretto e alternativo, in Giur. merito, 2009,<br />

2, 439.<br />

230<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 256; F. AGNINO, op. ult. cit., 1503.<br />

231<br />

Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4-5, 961.<br />

232<br />

Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4-5, 970.<br />

43


sottoposizione della figlia alla terapia emotrasfusionale: si conclude, pertanto, per la<br />

sussistenza del dolo eventuale, in base al fatto che i genitori avessero agito con la<br />

piena consapevolezza di ledere, tramite la sospensione delle emotrasfusioni,<br />

l’interesse della figlia. Invero – proseguono i giudici di appello – non sono<br />

identificabili elementi di fatto che avrebbero potuto impedire ai genitori di rendersi<br />

conto di ledere tale interesse. La mera speranza, nutrita da essi e relativa alla non<br />

verificazione dell’evento, peraltro resa vana dalle informazioni ricevute da parte del<br />

personale sanitario, non varrebbe, quindi, ad escludere la certezza circa la violazione<br />

dell’obbligo giuridico, incombente su di essi, di garanzia di assistenza sanitaria alla<br />

figlia, nonché circa il pregiudizio per le condizioni fisiche della bambina 233 . A nulla,<br />

secondo i giudici di secondo grado, rileva il fatto che i genitori avessero tentato di<br />

porsi in contatto con medici che stessero sperimentando metodi alternativi, dato che<br />

l’interruzione della terapia emotrasfusionale era stata effettuata proprio in una fase in<br />

cui i genitori constatavano l’insuccesso di tali tentativi: da ciò si dovrebbe evincere<br />

ulteriormente il carattere vano della speranza da essi nutrita relativamente alla non<br />

verificazione della morte della figlia; speranza, questa, che non può, quindi,<br />

escludere l’accettazione del rischio di tale evento 234 . La difesa degli imputati aveva<br />

addotto anche, quale elemento che avrebbe potuto escludere il dolo, la speranza<br />

nutrita dai genitori circa l’intervento pubblico coattivo, il quale avrebbe disposto<br />

l’esecuzione delle emotrasfusioni: anche tale aspetto non varrebbe ad escludere il<br />

dolo, in quanto la mera speranza in tale senso non esclude l’accettazione del rischio<br />

ad essa contrapposto 235 . In base alle considerazioni esposte, la Corte d’Assise<br />

d’Appello concludeva per la sussistenza del dolo eventuale, prospettando<br />

palesemente l’irrilevanza della “speranza” nella non verificazione dell’evento ai fini<br />

dell’esclusione del dolo.<br />

Da notare il fatto che i giudici di legittimità, nell’argomentare relativamente<br />

all’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado, affermino che i giudici di<br />

merito avessero preso le mosse dal dato incontestabile che “i genitori non volevano<br />

la morte della piccola loro figlia”, intendendo chiaramente motivare in ordine<br />

all’assenza del requisito volitivo nel caso di specie; sennonché, giusto poche righe<br />

prima di tale affermazione, gli stessi giudici definiscono il dolo eventuale con una<br />

formula la quale sembra adattarsi – quasi alla perfezione – proprio al caso di specie:<br />

in base ad essa, il dolo eventuale presupporrebbe “che l’azione sia diretta al<br />

conseguimento volontario di un determinato risultato con la prospettiva di<br />

conseguirne un altro diverso e di perseguire nella condotta nonostante il rischio di<br />

provocare tale evento diverso che, conseguentemente, dal campo della previsione<br />

entra nella sfera della volontà” 236 ; non dovrebbe essere eccessivamente forzata<br />

l’interpretazione in base alla quale, nel caso di specie, il determinato risultato, al cui<br />

conseguimento volontario è diretta l’azione, si potrebbe identificare nel rispetto dei<br />

precetti della confessione religiosa, mentre il risultato diverso, con la prospettiva del<br />

conseguimento del quale si agisce, persistendo nella condotta nonostante il rischio di<br />

provocarlo, è dato dall’evento “morte della figlia”. In altri termini, i genitori avrebbero<br />

agito con il fine intenzionale di rispettare i precetti del proprio credo religioso,<br />

prospettandosi tuttavia il rischio di provocare, in tal modo, il decesso della figlia e,<br />

233 Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4-5, 971.<br />

234 Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4-5, 979.<br />

235 Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4-5, 983.<br />

236 Cass. Pen., Sez. I, 13 dicembre 1983, in Cass. pen., 1984, 12, 2408.<br />

44


ciononostante, persistendo nella tenuta della condotta finalizzata al rispetto del credo<br />

religioso.<br />

Nel caso che si è appena analizzato, la “speranza” nutrita dai genitori della<br />

bambina deceduta si configurava evidentemente come “vana speranza” o “infondata<br />

speranza”. È possibile fare riferimento, del resto, ad alcuni casi in cui i giudici di<br />

legittimità hanno fatto applicazione di un criterio di “ragionevole speranza”, ai fini<br />

dell’esclusione del dolo e, parallelamente, ai fini della configurazione della colpa<br />

cosciente 237 : verserebbe, quindi, in colpa cosciente il soggetto che, pur essendosi<br />

rappresentato la possibilità di realizzazione dell’evento, agisca con la “ragionevole<br />

speranza” che esso non si concretizzi, la quale escluderebbe il dolo eventuale.<br />

Resta, tuttavia, un criterio inquadrabile pur sempre fra i criteri emozionali, o<br />

“intimistici”, i quali sono da disconoscere per la serie di ragioni già esposte; il<br />

riferimento alla “ragionevole speranza”, se mai, elimina solo il motivo di critica<br />

inerente al fatto che criteri emozionali possano condurre all’esclusione del dolo in<br />

casi in cui l’agente abbia realizzato la condotta nutrendo una speranza irrazionale;<br />

ma, per il resto, l’assetto critico relativo alla categoria di principi in questione<br />

permane.<br />

Vale la pena di porre attenzione ad un’ulteriore sentenza di legittimità 238 , la<br />

quale ha richiamato un concetto di “indifferenza”, utilizzandolo però non ai fini della<br />

configurazione del dolo eventuale, bensì ai fini dell’esclusione di esso, e<br />

dell’inquadramento della colpa cosciente: nel caso di specie, si è ritenuto sorretto da<br />

colpa – aggravata da previsione dell’evento – il reato di omicidio ascritto ad un<br />

soggetto che, al fine di procurarsi eccitamento sessuale maneggiando un’arma da<br />

fuoco sul capo della propria partner, nell’atto di armare e disarmare il cane dell’arma<br />

aveva fatto involontariamente partire un colpo che aveva provocato la morte della<br />

donna. La sentenza in esame ritiene configurabile la colpa cosciente (con<br />

esclusione, quindi, del dolo eventuale) allorché il soggetto agente si ponga in una<br />

concreta condizione di indifferenza rispetto all’evento, nutrendo la speranza che esso<br />

non si realizzi e confidando nel fatto che le proprie abilità, o altri fattori, possano<br />

contribuire ad evitarlo: oltre che il concetto di “indifferenza”, viene in questo frangente<br />

richiamato, ancora una volta, il criterio della “speranza”, accompagnato però dal<br />

requisito aggiuntivo della fiducia nella non verificazione dell’evento, in considerazione<br />

di proprie abilità o di altri fattori esterni.<br />

L’argomento inerente le impostazioni teoriche che tendono alla valorizzazione<br />

di elementi emozionali o affettivi può completarsi mediante un breve riferimento ad<br />

una particolare elaborazione riconducibile, sostanzialmente, alla teoria del<br />

“sentimento” (Gesinnung); il relativo contributo, nell’ambito della dottrina italiana, è<br />

attribuibile ad Elio Morselli, il quale prende le mosse da una visione prettamente<br />

psicoanalitica che concepisce il fenomeno criminoso come caratterizzato, a livello<br />

soggettivo, da una carenza di controllo su pulsioni antisociali provenienti<br />

dall’inconscio: in questo senso, l’attribuzione soggettiva del reato non sarebbe mai<br />

riferibile interamente alla “volontà” quanto, piuttosto, ad una assenza di controllo da<br />

parte dell’“Io cosciente” sull’inconscio; ciò che contraddistinguerebbe dolo e colpa<br />

sarebbe rinvenibile, invece, nell’atteggiamento assunto da parte dell’“Io cosciente”<br />

rispetto a tale prevalere di pulsioni sul controllo dell’ “Io cosciente” stesso: qualora<br />

l’“Io cosciente” subisca suo malgrado il prevalere di pulsioni antisociali, senza<br />

237 Ad esempio, Cass. Pen., Sez. I, 12 gennaio 1989, n. 4912, in Giust. pen., 1990, 2, 69 ss.<br />

238 Cass. Pen., Sez. IV, 5 ottobre 1987, n. 27, in Cass. pen., 1989, 3, 380 ss.<br />

45


aderirvi e venendo, anzi, “aggirato” da esse, si avrà colpa; il dolo andrebbe invece<br />

inquadrato nell’ipotesi in cui l’“Io cosciente” aderisca e consenta al prevalere di<br />

pulsioni antisociali, tramite una presa di posizione che costituisce la differenziazione<br />

essenziale fra dolo e colpa 239 .<br />

4. Teoria dell’accettazione del rischio<br />

La teoria dell’“accettazione del rischio” è senza dubbio quella che, fino ad ora,<br />

ha avuto maggior applicazione giurisprudenziale e maggior accredito in dottrina (sia<br />

italiana che d’oltralpe) 240 , tanto che si potrebbe parlare quasi di ricorso ormai<br />

tradizionale a tale teoria nella prassi 241 . Essa focalizza la distinzione fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente sulla dicotomia “accettazione del rischio”/ “sicura fiducia<br />

che l’evento non si verificherà”; a dire il vero, sono rilevabili anche terminologie<br />

differenti le quali, tuttavia, non mutano l’assetto sostanziale principale della teoria in<br />

questione: così, ad esempio, in luogo di “accettazione del rischio” si utilizzano<br />

sovente espressioni quali “presa sul serio del rischio”, “agire a costo di (provocare<br />

l’evento)”, “mettere in conto la realizzazione della fattispecie”, “calcolare la<br />

realizzazione della fattispecie” 242 .<br />

L’elemento dell’“accettazione del rischio” dovrebbe configurare la componente<br />

volitiva necessaria ai fini dell’inquadramento del dolo 243 , nonché il quid pluris del dolo<br />

eventuale rispetto alla colpa cosciente; in questo senso, la teoria in questione tenta<br />

di valorizzare l’elemento volitivo: prendendo le mosse dal fatto che il dolo si<br />

caratterizzi più per l’elemento volitivo che non per quello rappresentativo<br />

(quest’ultimo, peraltro, comune a dolo eventuale e colpa cosciente), ai fini della<br />

sussistenza del dolo occorrerebbe un quid pluris rispetto alla mera rappresentazione<br />

della possibilità o probabilità di verificazione dell’evento; e tale quid pluris dovrebbe<br />

essere identificato in un atteggiamento interiore del soggetto, il quale si avvicini il più<br />

possibile alla vera e propria volizione del fatto 244 . L’“accettazione del rischio” è,<br />

239<br />

E. MORSELLI, op. cit., 42 – 46, 52 ss. Una sintesi del pensiero di Morselli è effettuata anche<br />

da parte di G. CERQUETTI, op. cit., 124 – 126.<br />

240<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 66.<br />

241<br />

In questo senso, ex plurimis, S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo, 919; L.<br />

EUSEBI, Appunti, 1088; P. VENEZIANI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 72; G. FORTE, Ai confini fra<br />

dolo e colpa, 255 ss; A. PAGLIARO, Discrasie tra dottrina e giurisprudenza? (in tema di dolo<br />

eventuale, dolus in re ipsa ed errore su legge extrapenale), in Cass. pen., 1991, 2, 322; G. LATTANZI<br />

– E. LUPO, op. cit., 325: qui si parla, tuttavia, di tendenziale adesione alla teoria dell’accettazione del<br />

rischio; in effetti, viene altresì richiamata l’osservazione di S. PROSDOCIMI, Considerazioni su dolo<br />

eventuale e colpa con previsione, in Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali,<br />

Milano, Giuffrè, 1996, 171: secondo quest’ultimo Autore, la teoria dell’accettazione del rischio<br />

costituisce uno schermo “comodo e pericoloso”, dietro il quale “si avverte l’eco di teorie diverse, cui il<br />

giudice sembra affidarsi sulla scorta di criteri di carattere intuitivo o di inconfessate ed incontrollate<br />

istanze di carattere politico criminale”. Sostanzialmente nello stesso senso, ID., Dolus eventualis, 19.<br />

242<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 70.<br />

243<br />

Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it. “In tal modo, si dice<br />

generalmente, accettare il rischio di produrre l’evento equivale a volerlo, e in tal modo si rispettano ed<br />

applicano le norme vigenti in tema di elemento psicologico (artt. 42 e 43 c.p.), che, ai fini della<br />

sussistenza del dolo, richiedono comunque come indefettibile l’esistenza dell’elemento volitivo sotto<br />

l’aspetto della consapevole volontarietà dell’evento.<br />

244<br />

G. LATTANZI – E. LUPO, op. cit., 328.<br />

46


quindi, concepita come “presa sul serio” della possibilità prevista, accompagnata<br />

dalla “consapevole scelta” di “agire al costo di provocare l’evento”: in questi termini,<br />

dovrebbe concretizzarsi un elemento prossimo alla vera e propria presa di posizione<br />

di volontà 245 .<br />

Così, ad esempio, nel panorama giurisprudenziale italiano, si è affermato che la<br />

distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente “è, in dottrina e giurisprudenza,<br />

individuata nel diverso atteggiamento psicologico dell’agente che, nel primo caso,<br />

dirigendo la propria azione ad uno scopo specifico, accetta il rischio che si realizzi un<br />

evento diverso non direttamente voluto mentre, nel secondo caso, nonostante<br />

l’identità di prospettazione, egli respinge il rischio, confidando nella propria capacità<br />

di controllare l’azione” 246 : in questi termini, viene chiaramente evidenziato, peraltro, il<br />

fatto che entrambe le forme di elemento soggettivo siano caratterizzate da identico<br />

elemento rappresentativo (“nonostante l’identità di prospettazione”), dal che si evince<br />

la necessità di individuare il discrimen nell’elemento volitivo. Inoltre, il caso di specie<br />

al quale si riferisce la massima appena citata risulta di particolare interesse alla luce<br />

di un ulteriore aspetto sul quale i giudici di legittimità hanno posto l’accento: in<br />

particolare, si tratta della valutazione dell’alternatività o accessorietà dell’evento<br />

realizzato rispetto all’evento perseguito; solo in quest’ultimo caso sarebbe<br />

configurabile dolo eventuale, sicché viene concepita una struttura della fattispecie<br />

realizzata, appunto, con dolo eventuale, come caratterizzata da un comportamento<br />

tendente ad un determinato scopo, tramite il quale venga realizzato un evento<br />

diverso dallo scopo perseguito, ed in rapporto di accessorietà (non di alternatività o<br />

contrarietà) rispetto a questo. Dunque, l’accettazione del rischio di verificazione<br />

dell’evento potrebbe darsi (o, meglio, potrebbe essere dimostrata) soltanto nel caso<br />

in cui l’evento effettivamente realizzato non fosse in rapporto di alternatività o<br />

contrarietà rispetto allo scopo perseguito 247 .<br />

Sulla stessa linea sostanziale, anche se con terminologia differente, si è<br />

affermato che “il fondamento dell’imputazione dolosa, nel dolo eventuale, in cui<br />

l’attributo eventuale non concerne il dolo che deve sussistere, ma il risultato<br />

possibile, per l’appunto eventuale, cui il dolo si riferisce, va ravvisato<br />

nell’accettazione da parte dell’agente della possibilità dell’evento, sia pure come<br />

risultato accessorio rispetto allo scopo della sua condotta”; mentre la colpa cosciente<br />

“se è caratterizzata dalla previsione dell’evento, postula che questo non sia stato<br />

voluto né accettato nell’ipotesi che si verifichi” 248 .<br />

245 G. LATTANZI – E. LUPO, op. loc. cit.<br />

246 Cass. Pen., Sez. IV, 10 ottobre 1996, n. 11024, in dejure.giuffre.it.<br />

247 Nel caso di specie, si trattava di un soggetto il quale, inseguendo due uomini che avevano<br />

tentato di introdursi nella sua abitazione forzando una finestra, esplodendo vari colpi di revolver al fine<br />

di spaventare i fuggitivi ed indurli a fermarsi, aveva involontariamente colpito uno di essi alla nuca,<br />

provocandone la morte. Mentre i giudici di primo grado avevano ravvisato il dolo eventuale,<br />

considerando il fatto che l’imputato non poteva non aver previsto la possibilità di attingere il bersaglio<br />

e, di conseguenza, non averne accettato il rischio, i giudici di appello e, successivamente, la Corte di<br />

Cassazione, ravvisano la sussistenza di colpa cosciente. La Cassazione, in particolare, pone l’accento<br />

sul fatto che lo scopo dell’agente fosse unicamente quello di indurre i fuggitivi ad arrestarsi, per cui<br />

l’uccisione di uno di essi avrebbe rappresentato un risultato non accessorio, bensì contrario rispetto<br />

allo scopo da lui perseguito: ragion per cui non poteva ritenersi provata l’accettazione del rischio. Del<br />

resto, i giudici di legittimità evidenziano che l’agente fosse un abile tiratore, ed il fatto che egli non<br />

avesse precedentemente colpito i fuggitivi, neanche da distanza ravvicinata, indicherebbe<br />

chiaramente l’assenza di volontà di produzione dell’evento “morte”.<br />

248 Cass. Pen., Sez. I, 3 giugno 1993, n. 7382, in Cass. pen., 1994, 12, 2992.<br />

47


Altre massime richiamano la terminologia incentrata sul “comportamento a<br />

costo di provocare/determinare” l’evento: così, risponderebbe a titolo di dolo<br />

eventuale “l’agente che, pur non volendo l’evento, accetta il rischio che esso si<br />

verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di<br />

determinarlo” 249 .<br />

Nondimeno, alcune sentenze prospettano una distinzione basata anche<br />

sull’elemento rappresentativo, in considerazione della dicotomia “previsione<br />

concreta”/ “previsione astratta” dell’evento: in questo senso, non viene comunque<br />

esclusa la rilevanza dell’elemento dell’accettazione del rischio, il quale viene<br />

considerato come implicito nella volizione dell’evento, a sua volta riconducibile alla<br />

determinazione ad agire a fronte della rappresentazione della concreta possibilità di<br />

produzione dell’evento stesso 250 . Talvolta, analizzando le motivazioni di sentenze<br />

(non solo di legittimità) le quali effettuino una sintesi delle varie teorie in tema di<br />

discrimen fra dolo eventuale e colpa cosciente, è possibile rilevare la distinzione fra<br />

corrente giurisprudenziale a favore della teoria dell’accettazione del rischio e filone<br />

giurisprudenziale a sostegno della distinzione basata sulla considerazione del<br />

carattere concreto o astratto della previsione dell’evento: sennonché, talvolta, gli<br />

stessi giudici ammettono che, con l’utilizzo dell’una o dell’altra impostazione teorica,<br />

si giungerebbe al medesimo risultato. È il caso, ad esempio, di una sentenza di<br />

merito 251 la quale, riconoscendo il dolo eventuale relativamente ad un’ipotesi di<br />

contagio da HIV tramite ripetuti rapporti sessuali non protetti, e da parte di soggetto<br />

consapevolmente sieropositivo ed adeguatamente informato circa le modalità di<br />

contagio, cita i suddetti indirizzi giurisprudenziali evidenziando, poi, il fatto che, nel<br />

caso di specie, si sarebbe giunti comunque all’affermazione del dolo eventuale, tanto<br />

in base all’uno quanto in base all’altro orientamento: l’accettazione del rischio, in<br />

effetti, vi sarebbe stata, alla luce delle conoscenze possedute dal soggetto circa le<br />

modalità di contagio; del resto, anche in applicazione del filone giurisprudenziale il<br />

quale valorizza il binomio “previsione concreta”/ “previsione astratta”, dovrebbe<br />

concludersi comunque per la configurazione del dolo eventuale, dato che<br />

considerando, ancora una volta, il livello di conoscenze posseduto dal soggetto,<br />

l’eventualità che reiterati rapporti sessuali non protetti potessero provocare il<br />

contagio non poteva restare una ipotesi astratta.<br />

Non appare superfluo fare riferimento anche alla corrente giurisprudenziale la<br />

quale specifica che, ai fini della sussistenza del dolo eventuale, non sia sufficiente la<br />

mera prevedibilità oggettiva della verificazione dell’evento, ma sia necessaria<br />

l’effettiva previsione: in tal senso, si afferma che “al fine di accertare la ricorrenza del<br />

dolo eventuale o della colpa con previsione dell’evento, non è sufficiente il rilievo che<br />

l’evento stesso si presenti come obiettivamente prevedibile, dovendosi avere<br />

riguardo alla reale previsione e volizione di esso, ovvero all’imprudente o negligente<br />

valutazione delle circostanze di fatto” 252 .<br />

249 Cass. Pen., Sez. I, 12 gennaio 1989, n. 4912, in in Giust. pen., 1990, 2, 69 ss. Nello stesso<br />

senso Cass. Pen., Sez. V, 17 ottobre 1986, n. 13274, in Cass. pen. 1988, 3, 441.<br />

250 Cass. Pen., Sez. I, 8 novembre 1995, n. 832, in Cass. pen. 1997, 4, 991. Cass. Pen., Sez. I,<br />

21 aprile 1994, n. 4583, in Cass. pen., 1995, 7/8, 1837. Cass. Pen., Sez. I, 28 gennaio 1991, n. 5527,<br />

in Cass. pen., 1992, 7, 1804.<br />

251 Trib. Savona, 6 dicembre 2007, in www.altalex.com<br />

252 Cass. Pen., Sez. I, 15 luglio 1988, n. 6581, in Cass. pen., 1990, 6, 1034.<br />

48


Il “filo conduttore” di tutte le definizioni appena esposte è, comunque, la<br />

valorizzazione (o, almeno, il tentativo di valorizzazione) del profilo volitivo. Ciò che<br />

assume rilevanza a tali fini è, quindi, l’effettivo atteggiamento psicologico del<br />

soggetto sul versante della volizione: qualora egli, nonostante la rappresentazione,<br />

abbia agito nella convinzione, giusta o sbagliata che sia, che l’evento non si sarebbe<br />

verificato, l’evento non sarà riconducibile alla sfera psicologica della volizione e, di<br />

conseguenza, non potrà configurarsi responsabilità per dolo eventuale; residuerà<br />

invece, in tal caso, la configurazione della responsabilità a titolo di colpa con<br />

previsione, la quale è caratterizzata, oltre che dalla previsione stessa, da un<br />

atteggiamento di negligenza, trascuratezza, avventatezza o leggerezza.<br />

Ai fini dell’addebito a titolo di dolo eventuale, dunque, sarà necessario<br />

individuare un atteggiamento psicologico dell’agente il quale consenta di ascrivere<br />

l’evento all’interno della sua sfera di volizione, pur non trattandosi di evento<br />

direttamente ed intenzionalmente voluto: tale atteggiamento psicologico sarà<br />

inquadrabile nella scelta di agire a fronte della previsione della realizzazione di un<br />

evento, con accettazione del relativo rischio 253 . Un’impostazione di questo genere è<br />

più agevolmente comprensibile se si considera la tesi dottrinaria in base alla quale il<br />

soggetto che, a fronte della rappresentazione della possibilità che la tenuta di una<br />

determinata condotta provochi un evento penalmente significativo (non direttamente<br />

voluto), si determini ad agire comunque, dimostrerebbe di preferire il verificarsi<br />

dell’evento rispetto alla rinuncia all’azione consentendo, dunque, al verificarsi<br />

dell’evento stesso; di conseguenza, la responsabilità in capo al soggetto per la<br />

realizzazione di tale evento dovrebbe essere quasi analoga a quella che su di lui<br />

graverebbe se lo avesse provocato intenzionalmente 254 .<br />

Vale la pena di rilevare che parte della dottrina (e si tratta, peraltro, di dottrina<br />

piuttosto autorevole) abbia evidenziato che la componente dell’“accettazione del<br />

rischio” sia automaticamente configurabile alla luce della determinazione ad agire<br />

nonostante la previsione del fatto che la tenuta della condotta possa provocare la<br />

realizzazione dell’evento lesivo: si sostiene che, qualora un soggetto preveda la<br />

possibilità di realizzazione di un evento tramite una certa condotta e, malgrado ciò, si<br />

determini ad agire, ciò significherebbe necessariamente accettazione del rischio di<br />

realizzazione dell’evento; se il soggetto non avesse voluto accettare il rischio,<br />

evidentemente non avrebbe agito 255 . Una simile ricostruzione sembra voler negare<br />

che il concetto di “accettazione del rischio” sia dotato di una propria autonomia<br />

rispetto agli elementi “previsione” e “scelta di agire” 256 : il dolo eventuale sarebbe,<br />

quindi, strutturalmente caratterizzato da questi ultimi due elementi, essendo<br />

l’“accettazione del rischio” automaticamente sussistente alla luce della scelta di agire<br />

nonostante la previsione. Non manca, però, l’impostazione dottrinale e<br />

giurisprudenziale in base alla quale la decisione di agire a fronte della<br />

rappresentazione di una elevata probabilità di realizzazione dell’evento (o della<br />

certezza di realizzazione dell’evento) configurerebbe accettazione non già del<br />

253 Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it., nell’ambito di un<br />

excursus relativo alle varie correnti giurisprudenziali in tema di dolo eventuale e colpa cosciente.<br />

254 E. DI SALVO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 1935. L’Autore richiama a sua volta M.<br />

GALLO, voce Dolo, 768.<br />

255 Cit. M. GALLO, voce Dolo, 792.<br />

256 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1938.<br />

49


ischio, bensì dell’evento stesso: sicché, in questi casi, dovrebbe inquadrarsi il dolo<br />

diretto 257 .<br />

È il caso di soffermarsi anche su alcune pronunce di legittimità le quali<br />

specificano l’irrilevanza, ai fini della configurazione del dolo eventuale, del fatto che si<br />

tratti, rispettivamente, di “rappresentazione di probabilità” o “rappresentazione di<br />

possibilità”: si afferma, in questo senso, che sussiste dolo eventuale allorché<br />

“l’agente si sia rappresentato come probabile o possibile anche un evento diverso da<br />

quello voluto e, ciò nonostante, abbia agito ugualmente accettando il rischio del suo<br />

verificarsi” 258 . Tale assetto conferma l’impostazione dottrinale che evidenzia<br />

l’inadeguatezza della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata su<br />

aspetti di carattere meramente quantitativo o statistico 259 .<br />

Ad un’analisi critica della teoria in questione, ci si dovrebbe tuttavia domandare<br />

se, effettivamente, l’“accettazione del rischio” sia davvero ascrivibile alla sfera della<br />

volontà dell’agente; non mancano, del resto, posizioni a sostegno di una risposta<br />

negativa, in questo contesto. In particolare si è sostenuto che, per quanto attiene alle<br />

forme non intenzionali di dolo, l’unica situazione psicologica riconducibile alla sfera<br />

della volontà dovrebbe essere quella del soggetto che realizzi la condotta avendo<br />

pressoché la certezza di provocare l’evento; non sarebbe, invece, sussumibile alla<br />

sfera della volontà la mera “accettazione del rischio”, intesa come correlata alla<br />

scelta di agire a fronte della rappresentazione di coefficienti di probabilità di<br />

realizzazione dell’evento inferiori rispetto a livelli prossimi alla certezza; in questi<br />

termini, si è giunti, addirittura, a sostenere che “agire a costo di provocare un evento”<br />

significhi proprio l’esatto contrario che “volere l’evento” 260 .<br />

Più o meno sulla stessa linea si muovono gli sviluppi dottrinali i quali<br />

evidenziano che, comunque, la formula dell’ “accettazione del rischio” sia ormai<br />

divenuta una sorta di “clausola di stile” la quale identificherebbe, invero, i connotati<br />

della colpa cosciente: in effetti – si evidenzia – chi agisce con la consapevolezza del<br />

fatto che la propria condotta violi una regola cautelare, accetta necessariamente il<br />

rischio che la regola cautelare violata mirava ad evitare 261 . Tali posizioni critiche nei<br />

257 E. DI SALVO, op. loc. ult. cit. Per quanto riguarda la giurisprudenza, Cass. Pen., Sez. Un.,<br />

12 ottobre 1993, in Cass. pen., 1994, 5, 1186 ss.: nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sussistente<br />

dolo diretto non intenzionale (e non, invece, dolo eventuale) con riferimento all’atteggiamento psichico<br />

dell’agente che, per sfuggire alla cattura dopo una rapina, aveva risposto al fuoco “di avvertimento”<br />

esploso da una guardia giurata, sparando ad altezza d’uomo ed a distanza ravvicinata, colpendo la<br />

guardia ad una gamba.<br />

258 Cass. Pen., Sez. II, 19 marzo 2009, n. 12401. Nello stesso senso Cass. Pen., Sez. Un., 6<br />

dicembre 1991, n. 3428, in Cass. pen., 1993, 1, 14.<br />

259 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 34 – 35; M. GALLO, Il dolo, 216 – 217.<br />

260 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1938 – 1939. Si riporta l’esempio del soggetto che appicchi il fuoco<br />

ad un edificio, non con il fine di uccidere, bensì con il fine riscuotere fraudolentemente l’importo<br />

dell’assicurazione: si afferma che, qualora dall’incendio derivi la morte di un soggetto paralitico che si<br />

trovava all’interno dell’edificio, e che l’agente sapeva essere all’interno dell’edificio ed essere<br />

paralitico, in tal caso sarebbe ravvisabile un atteggiamento psicologico effettivamente assimilabile alla<br />

volontà; non così, invece, qualora la vittima sia un soggetto giovane ed in grado di porsi agevolmente<br />

in salvo, che non sia poi riuscito a farlo a causa di una caduta provocata dalla foga del momento: in tal<br />

caso, l’evento “morte” si sarebbe prospettato all’agente in un’ottica di scarsa probabilità, e non<br />

sarebbe quindi ascrivibile alla sua sfera volitiva.<br />

261 L. EUSEBI, Appunti, 1088 – 1089. Nello stesso senso anche S. PROSDOCIMI, op. ult. cit.,<br />

46, 227 (in particolare, l’Autore evidenzia che l’accettazione del rischio sia elemento anche esso<br />

50


confronti della teoria dell’“accettazione del rischio” rilevano, inoltre, che il vasto<br />

ricorso giurisprudenziale alla teoria in questione sia dovuto principalmente al fatto<br />

che essa, potendo tendenzialmente comprendere sia l’ambito del dolo eventuale che<br />

quello della colpa cosciente, si presti particolarmente ad utilizzi discrezionali,<br />

consentendo praticamente l’imputazione a titolo di dolo eventuale in ogni caso in cui<br />

sarebbe configurabile comunque l’imputazione a titolo di colpa cosciente 262 .<br />

Ancora, si è posto l’accento sul fatto che, mentre la formula dell’“accettazione<br />

del rischio” configuri quale oggetto del dolo – appunto – il rischio, in realtà l’oggetto di<br />

rappresentazione e volontà dovrebbe essere inquadrato nell’evento lesivo: quindi,<br />

non nel mero rischio di realizzazione dello stesso 263 . Ulteriori rilievi critici evidenziano<br />

la tendenza della giurisprudenza ad utilizzare la teoria dell’accettazione del rischio a<br />

posteriori rispetto all’individuazione del discrimine fra dolo e colpa, la quale viene,<br />

invece, effettuata attraverso criteri di carattere intuitivo, oppure sulla base di<br />

esigenze di carattere politico – criminale 264 .<br />

Fermo restando i rilievi critici appena delineati, è il caso di segnalare una<br />

recente pronuncia dei giudici di legittimità 265 , la quale ha tentato di definire in maniera<br />

più precisa il criterio dell’“accettazione del rischio”; si tratta di una sentenza che<br />

assume una particolare rilevanza anche in quanto relativa ad uno dei più noti casi di<br />

pirateria stradale degli ultimi anni: il “caso Lucidi” 266 . L’imputato, condannato in primo<br />

grado per omicidio doloso (in particolare per aver investito, provocandone la morte, i<br />

passeggeri di uno scooter, guidando al volante di una potente Mercedes, essendo<br />

stato privato della patente di guida perché tossicodipendente, procedendo ad una<br />

velocità di 90 km/h ed oltrepassando in tal modo un incrocio con il semaforo rosso),<br />

vede riqualificato dalla sentenza d’appello il fatto come colposo. La Corte di<br />

Cassazione conferma il carattere colposo del fatto, procedendo ad un inquadramento<br />

del dolo eventuale che, se da un lato resta ancorato alla teoria dell’accettazione del<br />

rischio, dall’altro contribuisce ad una più chiara e definita descrizione della portata di<br />

tale teoria. In primo luogo, viene posto l’accento sulla distinzione fra volontà di<br />

trasgressione di regole cautelari e volontà dell’evento: in effetti, il GUP (il<br />

procedimento si era svolto con rito abbreviato) aveva desunto la volontà dell’evento<br />

“morte” automaticamente e solamente in considerazione del fatto che il soggetto<br />

avesse consapevolmente commesso gravi violazioni di regole cautelari, creando<br />

quindi coscientemente una situazione pericolosa; sostanzialmente, la Corte pone<br />

l’accento sulla necessità di accertamento effettivo del requisito volitivo, e precisa che<br />

comune a dolo eventuale e colpa cosciente); A. PAGLIARO, Discrasie, 322; G. FORTE, Dolo<br />

eventuale tra divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità, 823.<br />

262<br />

L. EUSEBI, op. ult. cit., 1089.<br />

263<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 167 (ove si parla di “accettazione dell’evento”), 320 (ove<br />

l’Autore, nell’esporre le proprie considerazioni in ordine alle modalità tramite le quali dovrebbe essere<br />

effettuata una eventuale riforma della definizione di dolo, afferma di ritenere opportuno il<br />

mantenimento del tradizionale concetto di accettazione, il quale dovrebbe essere, tuttavia, riferito<br />

specificamente al fatto, all’evento di danno – laddove previsto dalla fattispecie penale –, e non<br />

semplicemente al rischio di produzione dell’evento stesso); ID., La definizione legale del dolo, 943; G.<br />

MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di Diritto penale. Parte generale., III ed., Milano, Giuffrè, 2009,<br />

281.<br />

264<br />

S. PROSDOCIMI, Considerazioni su dolo eventuale, 171. ID., Dolus eventualis, 19.<br />

265<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 11222, in dejure.giuffre.it<br />

266<br />

A. NATALINI, Accettazione del rischio specifico da parte dell’agente quale presupposto<br />

essenziale per ritenere la sussistenza del dolo eventuale, in Diritto e Giustizia, 2010, 113 ss.<br />

51


“il dolo eventuale […] non può fungere da comoda scorciatoia per presumere un dolo<br />

che non si riesce a provare”. In secondo luogo, viene riportata (evidentemente in<br />

senso di condivisione di essa) la posizione dottrinale per cui il dolo eventuale<br />

consisterebbe nell’accettazione del rischio in seguito ad una opzione tramite la quale<br />

il soggetto subordini un bene giuridico rispetto ad un altro 267 . La motivazione della<br />

sentenza prosegue richiamando ulteriore dottrina, conformemente alla quale il rischio<br />

dell’evento può dirsi accettato qualora ricorrano le seguenti condizioni: anzitutto,<br />

l’agente deve essersi rappresentato la possibilità positiva del verificarsi dell’evento;<br />

inoltre, egli deve permanere nella convinzione, o anche solo nel dubbio, che l’evento<br />

possa verificarsi; infine, egli deve persistere nella tenuta della propria condotta,<br />

nonostante le due condizioni precedenti, agendo quindi anche a costo di provocare<br />

l’evento e, in questo senso, accettandone il rischio 268 . Sulla base di tali premesse, i<br />

giudici di legittimità giungono, dunque, alle seguenti conclusioni: posto che<br />

l’elemento rappresentativo è comune a dolo eventuale e colpa cosciente, ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo eventuale occorre individuare un quid pluris rispetto alla<br />

colpa cosciente; e tale quid pluris – posto che il dolo eventuale è comunque una<br />

forma di dolo, e considerato che l’art. 43 richiede espressamente, ai fini della<br />

configurazione del delitto doloso, rappresentazione e volontà – dovrebbe essere<br />

identificato nella componente dell’ “accettazione del rischio”, la quale dovrebbe<br />

esprimere l’elemento volitivo; tuttavia, onde scongiurare la possibilità di<br />

trasformazione di reati di evento in reati di pericolo, ciò che deve formare oggetto<br />

dell’accettazione non è una situazione generica di rischio o pericolo, bensì proprio<br />

l’evento specifico, considerato hic et nunc. In sintesi, si configurerà dolo eventuale<br />

qualora l’agente, oltre alla previsione della verificazione dell’evento (la quale è anche<br />

elemento caratteristico della colpa cosciente), abbia accettato proprio l’evento<br />

considerato hic et nunc, e si sia determinato ad agire anche a costo di provocarlo;<br />

qualora, invece, l’accettazione sia relativa ad una situazione di mero pericolo<br />

generico, si resterà nell’ambito della colpa cosciente, non rilevando ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo la sola consapevolezza di violazione di regole cautelari e<br />

la conseguente coscienza della generica situazione di pericolo connessa a tale<br />

violazione: se così non fosse, si arriverebbe alla inaccettabile conclusione per cui<br />

dovrebbe essere ascritto alla sfera del reato doloso qualsiasi evento eziologicamente<br />

connesso alla cosciente trasgressione di regole cautelari, nonché alla trasformazione<br />

dei reati di evento in reati di pericolo. Ad una osservazione specifica della<br />

motivazione della sentenza in esame, non può sfuggire il fatto che lo sviluppo<br />

argomentativo dei giudici riprenda la posizione espressa da significativa dottrina con<br />

riguardo alla teoria dell’accettazione del rischio ed alla configurazione del dolo<br />

eventuale 269 , con tanto di citazioni testuali.<br />

267<br />

Nella motivazione della sentenza in questione, viene citato testualmente S. PROSDOCIMI,<br />

op. ult. cit., 32: “Dolo eventuale si ha quando il rischio viene accettato a seguito di un’opzione, di una<br />

deliberazione con la quale l’agente consapevolmente subordina un determinato bene ad un altro.” Per<br />

altro verso, non viene ripresa la teoria di Prosdocimi in base alla quale anche l’accettazione del rischio<br />

sarebbe elemento comune a dolo eventuale e colpa cosciente, mentre le differenze fra tali forme di<br />

imputazione soggettiva andrebbero ricercate nella fisionomia strutturale dell’accettazione del rischio.<br />

268<br />

G. DONOFRIO, Alla ricerca del dolo eventuale!, in Cass. pen., 2005, 2, 477; F. MANTOVANI,<br />

Diritto penale, Padova, Cedam, 1999, 319.<br />

269<br />

In particolare, non può non notarsi la ripresa praticamente letterale di G. MARINUCCI – E.<br />

DOLCINI, op. loc. ult. cit.: “ È opinione diffusa che il dolo eventuale sia caratterizzato dall’accettazione<br />

del rischio del verificarsi del fatto. Presa alla lettera, è opinione contra legem: ponendo ad oggetto<br />

52


Se si accoglie l’impostazione appena delineata, in base alla quale il dolo<br />

eventuale richieda l’accettazione dell’evento, ci si avvicina molto alla formula,<br />

elaborata principalmente da Claus Roxin, per cui la componente volitiva del dolo<br />

eventuale andrebbe individuata nella “decisione a favore della lesione del bene<br />

giuridico” 270 : questa formula appare particolarmente adeguata ad inquadrare una<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente che rilevi le differenze qualitative fra<br />

tali forme di colpevolezza, delineando nella “risoluzione ad agire” anche “a costo di<br />

determinare il risultato” l’elemento volitivo caratterizzante il dolo eventuale 271 .<br />

In conclusione, è opportuno fare riferimento ad alcuni sviluppi della dottrina<br />

d’oltralpe, i quali hanno tentato di apportare correttivi alla teoria della “presa sul serio<br />

dell’evento”, o di distaccarsi da essa. Anzitutto, si tratta dell’impostazione delineata<br />

da Jakobs, il quale apporta al tradizionale binomio “presa sul serio del rischio” /<br />

“sicura fiducia nella non realizzazione dell’evento” un correttivo di carattere statistico:<br />

secondo l’Autore, si avrebbe dolo eventuale allorché l’agente avesse reputato “non<br />

improbabile” la realizzazione dell’evento, mentre si avrebbe colpa cosciente nel caso<br />

in cui l’agente avesse supposto la mancanza di probabilità di verificazione<br />

dell’evento 272 ; Jakobs, inoltre, giunge a sostenere che vi siano determinate situazioni<br />

di rischio oggettivamente elevato nelle quali, tuttavia, l’elevata probabilità statistica<br />

non rileverebbe, a causa di una sorta di “assuefazione al rischio” dovuta alla<br />

convivenza comune e generalizzata con dette situazioni; assuefazione che<br />

comporterebbe, a sua volta, un’irrilevanza del fattore elevato di rischio già a livello di<br />

rappresentazione: tali rischi, seppur elevati, verrebbero percepiti come trascurabili 273 .<br />

D’altra parte, l’Autore in questione conclude che, ai fini dell’inquadramento del dolo<br />

eventuale, debbano essere valutati due criteri oggettivi: quello dell’intensità del<br />

rischio e quello del peso del bene giuridico aggredito. Sennonché, in base al primo<br />

criterio, lo stesso Autore giunge a risultati che prospettano soluzioni diversificate fra<br />

contesti sostanzialmente analoghi (ad esempio, giunge all’affermazione del dolo<br />

eventuale con riferimento al soggetto che, nell’ambito della circolazione stradale,<br />

effettui una manovra di sorpasso in prossimità di un dosso, ovvero non si arresti di<br />

fronte al semaforo rosso, negandolo, invece, con riguardo ad altre circostanze tipiche<br />

della circolazione stradale): il che significa trascurare l’effettiva indagine sulla<br />

componente della “presa sul serio” del rischio 274 . In secondo luogo, il criterio del peso<br />

del bene giuridico esposto a pericolo non appare condivisibile, in quanto non è<br />

dell’accettazione non già l’evento (la morte di un uomo), bensì il pericolo del verificarsi dell’evento (il<br />

pericolo della morte), trasforma i reati di evento in reati di pericolo del verificarsi dell’evento. Invero,<br />

perché sussista il dolo eventuale, ciò che l’agente deve accertare è proprio l’evento – proprio la morte<br />

– : è il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall’agente, pur di non<br />

rinunciare all’azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo.” In senso<br />

sostanzialmente analogo, anche G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. ult. cit.: “[…] l’accettazione del<br />

rischio non si limita ad un’accettazione del pericolo in quanto tale, ma si traduce alla fine in una<br />

accettazione (sia pure tormentata o sofferta) dello stesso evento lesivo che può verificarsi”.<br />

270<br />

I criteri proposti da Roxin sono esposti da G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 122 – 123.<br />

271<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 122.<br />

272<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 58.<br />

273<br />

S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit. Si riportano a titolo esemplificativo, quali rischi nei confronti<br />

dei quali vi sia una sorta di assuefazione, quelli dovuti alla circolazione stradale dopo la moderata<br />

assunzione di alcolici, ovvero senza il rispetto della distanza di sicurezza o, ancora, con superamento<br />

dei limiti di velocità.<br />

274<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 58 – 59.<br />

53


accettabile la conclusione per cui il dolo eventuale si debba desumere con maggior<br />

facilità nel caso in cui i beni giuridici posti a rischio siano di rango elevato; si osserva,<br />

in effetti, che – al contrario – proprio in situazioni in cui vengano esposti a pericolo<br />

beni giuridici di rango elevato potrebbe verificarsi, quasi a scopo “inibente”, una<br />

rimozione, da parte dell’agente, della rappresentazione dell’evento 275 .<br />

Il secondo apporto dottrinale d’oltralpe al quale si intende fare riferimento è<br />

quello riconducibile a Frisch, il quale, a tutta prima, sembra ritenere sufficiente, ai fini<br />

della configurazione del dolo eventuale, la rappresentazione di un livello di rischio<br />

non più tollerato; tuttavia, il distacco significativo dallo schema tradizionale, basato<br />

sulla “presa sul serio del pericolo”, è solo apparente, in quanto stemperato dalla<br />

considerazione, effettuata dallo stesso Frisch, per cui il fondamento della maggior<br />

punibilità del fatto doloso sia dato dalla “decisione contro il bene giuridico” 276 .<br />

5. Teoria della previsione in concreto o in astratto della realizzazione del fatto<br />

tipico, valorizzazione del profilo intellettivo e rischi di configurazione di dolo in re<br />

ipsa<br />

In giurisprudenza ha trovato larga applicazione, altresì, una particolare<br />

“variante” della teoria dell’accettazione del rischio, la quale tende a focalizzare la<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente anche sul piano della<br />

rappresentazione, pur non escludendo (o, almeno, non escludendo espressamente)<br />

la rilevanza dell’elemento volitivo: in particolare, si sostiene che il dolo eventuale<br />

debba essere caratterizzato dalla rappresentazione di una concreta possibilità di<br />

verificazione dell’evento, mentre la colpa cosciente sarebbe contraddistinta da una<br />

previsione astratta o generica di realizzazione dell’evento. Così, quindi, mentre nel<br />

caso del dolo eventuale l’agente si rappresenterebbe la possibilità di verificazione<br />

dell’evento in termini di concretezza, nell’ipotesi della colpa cosciente il verificarsi<br />

dell’evento resterebbe una possibilità meramente astratta, non percepita come<br />

concretamente realizzabile. Si tratta, comunque, di un’impostazione la quale non<br />

prescinde dall’elemento volitivo, individuato comunemente nell’accettazione del<br />

rischio: la scelta di agire a fronte della rappresentazione della possibilità concreta di<br />

realizzazione dell’evento comporterebbe, appunto, l’accettazione del rischio,<br />

configurando l’elemento volitivo necessario ai fini della sussistenza del dolo 277 .<br />

275 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 59.<br />

276 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 60 – 61. L’Autore, tra l’altro, riconosce a Frisch il merito di aver<br />

valorizzato l’attenzione al profilo del rischio, ma ritiene che l’impostazione teorica da questi delineata<br />

non riesca ad individuare in modo soddisfacente il discrimine fra dolo eventuale e colpa cosciente.<br />

277 In questo senso, Cass. Pen., Sez. I, 8 novembre 1995, n. 832, in Cass. pen., 1997, 4, 991:<br />

“Il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell’evento.<br />

Questa, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e<br />

l’agente, nella volizione dell’azione, ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l’evento<br />

rappresentato. Nella colpa cosciente, la verificabilità dell’evento rimane un’ipotesi astratta che nella<br />

coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non è in alcun<br />

modo voluta.”; Cass. Pen., Sez. I, 1 aprile 1994, n. 4583, in Cass. pen., 1995, 7/8, 1837; Cass. Pen.,<br />

Sez. I, 28, gennaio 1991, n. 5527, in Cass. pen., 1992, 7, 1804.<br />

I giudici di legittimità hanno fatto applicazione di criteri di questo genere anche in Cass. Pen.,<br />

Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it; nel caso di specie, è stata ravvisata la colpa<br />

aggravata dalla previsione dell’evento in capo al soggetto che, essendo consapevole della propria<br />

sieropositività e delle relative modalità di contagio, aveva provocato la morte della moglie per AIDS,<br />

54


È stato osservato 278 che la ricostruzione appena delineata sia riconducibile,<br />

sostanzialmente, alla teoria per cui la colpa cosciente sarebbe caratterizzata, a livello<br />

psicologico, dal passaggio da una rappresentazione generica in ordine alla possibilità<br />

di realizzazione dell’evento, alla rappresentazione concreta del fatto che l’evento non<br />

si verificherà: in altri termini, la colpa cosciente si connoterebbe alla luce di un<br />

mutamento dell’elemento intellettivo, che passerebbe da una astratta<br />

rappresentazione di possibilità di verificazione dell’evento, alla previsione negativa in<br />

merito al verificarsi dell’evento stesso; d’altra parte – si nota –, qualora il soggetto, a<br />

fronte della previsione della possibilità concreta di verificazione dell’evento, si<br />

determini ad agire, egli accetterebbe conseguentemente, e necessariamente, il<br />

rischio di realizzazione di tale evento (se non avesse inteso accettarlo, non avrebbe<br />

agito): in questo caso, sussisterebbe il dolo eventuale 279 . Sulla stessa linea, in<br />

dottrina, si è affermato che, qualora l’agente si determini a porre in essere la<br />

condotta a fronte della previsione della possibilità concreta di realizzazione<br />

dell’evento, l’accettazione del rischio risulterebbe sussistente in re ipsa 280 .<br />

Non può sfuggire, tuttavia, il fatto che l’assetto teorico qui delineato si esponga,<br />

sostanzialmente, alle medesime critiche mosse con riguardo alla teoria della<br />

possibilità considerata alla luce del “correttivo” apportato da Shmidhauser, in base al<br />

quale il dolo eventuale richiederebbe la rappresentazione della concreta possibilità di<br />

realizzazione della lesione di beni giuridici, mentre la colpa cosciente si<br />

configurerebbe qualora l’agente si fosse rappresentato in modo meramente astratto il<br />

pericolo di realizzazione dell’evento 281 : in effetti, si è osservato che la<br />

rappresentazione della concreta possibilità di verificazione dell’evento sia<br />

perfettamente compatibile anche con la colpa cosciente 282 e, dunque, non si<br />

comprenderebbe la ragione per cui quest’ultima dovrebbe escludere<br />

necessariamente un elemento intellettivo di carattere concreto 283 .<br />

Del resto, occorre rilevare che, tramite una tale rivalorizzazione del profilo<br />

intellettivo, vi è il rischio di sussumere all’interno del dolo qualsiasi ipotesi in cui sia<br />

stato realizzato un evento in presenza di oggettive possibilità concrete di<br />

realizzazione dello stesso, che fossero state previste da parte dell’agente e<br />

nonostante le quali questi si fosse determinato a porre in essere la condotta: il che<br />

significherebbe configurare ipotesi di dolo in re ipsa, considerando provata<br />

l’accettazione del rischio in base al solo fatto che il soggetto si fosse determinato ad<br />

agire nonostante la previsione della concreta possibilità di realizzazione<br />

dell’evento 284 ; nondimeno, in tal modo, ci si avvicina molto alla teoria della<br />

rappresentazione (e, in particolare, alle teorie della possibilità e della probabilità), con<br />

trasmessole tramite rapporti sessuali non protetti; l’argomentazione della Corte sostiene che<br />

l’imputato, anche a causa del suo modesto livello culturale ed in considerazione del fatto che egli<br />

stesso, fino a quel momento, avesse goduto, tutto sommato, di buone condizioni fisiche, avesse<br />

rimosso la rappresentazione della possibilità di nocumento per la vita o per la salute della moglie.<br />

278<br />

E. DI SALVO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 1935.<br />

279<br />

M. GALLO, voce Dolo, 792.<br />

280<br />

Osservazione effettuata da E. DI SALVO, op. loc. ult. cit., il quale richiama a sua volta, in<br />

nota (11), T. PADOVANI, Diritto penale, IV ed., Milano, Giuffrè, 1998, 251.<br />

281<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 37.<br />

282<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 122.<br />

283<br />

S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

284<br />

In effetti, come si è già visto, parte della dottrina ha sostenuto proprio una prospettiva di<br />

questo tipo.<br />

55


conseguente rischio di eliminazione della rilevanza del profilo volitivo (con riferimento<br />

alla volontà dell’evento) 285 .<br />

Una particolare formulazione dell’impostazione in questione, con riaffermazione<br />

della rilevanza dell’elemento volitivo, è stata effettuata da autorevole dottrina 286 ,<br />

conformemente alla quale la scelta di agire a fronte della previsione della concreta<br />

possibilità di realizzazione dell’evento configurerebbe, effettivamente, il consenso<br />

dell’agente alla realizzazione stessa (e, quindi, l’accettazione del relativo rischio),<br />

purché tale consenso sia inteso non già come mera “adesione intima” da parte<br />

dell’agente, bensì come “decisione personale” che “comprende e accetta la<br />

realizzazione medesima” 287 : in questo senso, viene ribadita l’importanza della<br />

componente volitiva, con mantenimento della differenziazione ulteriore fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente relativa all’elemento intellettivo.<br />

Sulla scorta di quanto sin qui evidenziato, appare ontologicamente più<br />

adeguata la concezione della teoria in questione come correlata alla teoria<br />

dell’accettazione del rischio, e finalizzata alla prova di tale accettazione: nel senso<br />

che questa potrebbe ritenersi provata soltanto qualora l’evento si fosse presentato<br />

come concretamente possibile; il che non dovrebbe significare presumere<br />

l’accettazione del rischio automaticamente in base alla sola previsione della concreta<br />

possibilità di realizzazione dell’evento (o, ancor peggio, in base alla sola sussistenza<br />

oggettiva di concrete possibilità di realizzazione dell’evento, a prescindere<br />

dall’effettiva rappresentazione da parte dell’agente), bensì considerare provata<br />

l’accettazione, tra l’altro, soltanto qualora sussistano, oltre ad ulteriori elementi di<br />

prova o indizianti, coefficienti di concretezza circa la possibilità di verificazione<br />

dell’evento. Infatti, un conto è presumere l’accettazione del rischio, o considerare in<br />

re ipsa l’accettazione del rischio, in base al solo elemento rappresentativo che abbia<br />

ad oggetto una possibilità concreta di realizzazione dell’evento (o in base alla sola<br />

oggettiva sussistenza di concrete possibilità di realizzazione dell’evento); altro,<br />

invece, è considerare, tra gli ulteriori elementi di prova, la concretezza della<br />

previsione (ovvero, la concretezza della oggettiva possibilità di verificazione<br />

dell’evento) come indicativa ai fini del dolo eventuale, nonché il carattere astratto<br />

della stessa (ovvero dell’oggettiva possibilità) come indicativo della colpa cosciente:<br />

nel primo caso, la concretezza della previsione (o dell’oggettiva possibilità di<br />

realizzazione dell’evento) sarebbe condizione sufficiente per l’inquadramento del<br />

dolo eventuale; nel secondo, sarebbe condizione necessaria ma non, di per sé,<br />

sufficiente.<br />

285 G. LATTANZI – E. LUPO, op. cit., 326 – 327. Inoltre, a supporto dell’inadeguatezza delle<br />

impostazioni teoriche le quali considerino “provato” l’elemento volitivo in base alla sola analisi<br />

dell’elemento intellettivo, tornano rilevanti le considerazioni effettuate da S. CANESTRARI, op. ult. cit.,<br />

34 e 36 – 37: si osserva, in particolare, che “per affermare la presenza del dolo eventuale […] occorre<br />

accertare l’effettiva volizione dell’evento, la quale non può essere ricondotta con disinvolte equazioni<br />

nell’ambito della componente cognitiva”; l’Autore prosegue poi evidenziando che “non risulta agevole<br />

comprendere perché la figura della colpa cosciente non debba richiedere una piena conoscenza della<br />

concreta situazione di rischio”, ponendo quindi l’accento sul fatto che la previsione concreta della<br />

verificazione dell’evento possa essere compatibile con la colpa cosciente.<br />

286 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Milano, Giuffrè, 2004, 412.<br />

287 M. ROMANO, op. loc. ult. cit., ove si conclude l’esposizione tramite una definizione del dolo<br />

eventuale come “rappresentazione della concreta possibilità della realizzazione del fatto di reato e<br />

accettazione del rischio (quindi volizione) del fatto medesimo.”<br />

56


Conformemente a quest’ultimo ordine di riflessioni sembra pronunciarsi una<br />

piuttosto recente sentenza dei giudici di legittimità 288 , ove si afferma che, fra la teoria<br />

dell’accettazione del rischio e l’ulteriore impianto teorico il quale valorizza una<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata sulla dicotomia “previsione<br />

della concreta possibilità”/ “previsione dell’astratta possibilità” di realizzazione<br />

dell’evento, non vi sarebbe totale contraddizione, dal momento che l’accettazione del<br />

rischio sarebbe, nei casi specifici, ravvisabile soltanto in presenza (oltre ad ulteriori<br />

elementi di prova) della concreta possibilità di verificazione dell’evento: solo in<br />

questo caso, infatti, sarebbe possibile ascrivere alla sfera volitiva dell’agente,<br />

appunto, l’evento; lo stesso non potrebbe concludersi qualora l’evento si fosse<br />

presentato in termini puramente astratti essendo, in questo secondo caso,<br />

ravvisabile una condotta trascurata, avventata, imprudente e, quindi, connotata da<br />

aspetti tipicamente colposi.<br />

6. La valorizzazione della conoscenza del rapporto causale fra condotta e<br />

risultato lesivo e teoria della “con – coscienza”<br />

È opportuno fare riferimento, a questo punto, ad un particolare sviluppo teorico<br />

che mira a rivalorizzare la valutazione dell’elemento intellettivo ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo eventuale e, di conseguenza, ai fini della distinzione fra<br />

dolo eventuale e colpa cosciente: esso è basato, in particolare, sulla<br />

rappresentazione del nesso causale fra condotta e realizzazione del fatto di reato. Il<br />

relativo contributo, nell’ambito della dottrina italiana, è dovuto principalmente a<br />

Giovannangelo De Francesco, il quale formula, dapprima, tale impostazione teorica<br />

in uno scritto del 1988 (inserito in Riv. it. dir e proc. pen) 289 , riproponendola poi, tra<br />

l’altro, in tempi piuttosto recenti (2009), in Cass. pen. 290 . Questa precisazione è<br />

necessaria in quanto, se si considera unicamente la prima formulazione della teoria<br />

sulla rappresentazione dei nessi causali, ne emerge un modello che sembra<br />

prospettare l’inquadramento dell’elemento volitivo del dolo in base alla sola<br />

considerazione della conoscenza del collegamento eziologico fra condotta ed<br />

evento; tale prima formulazione è stata, in effetti, criticata in quanto<br />

288 Cass. Pen., Sez. V, 17 settembre 2008 (dep. 1 dicembre 2008), n. 44712, in<br />

www.altalex.com. Si riporta, a sostegno delle osservazioni sviluppate, un significativo estratto della<br />

sentenza: “Accanto a numerose pronunce che fondano la sussistenza del dolo eventuale […] sul<br />

criterio della accettazione del rischio, ve ne sono altre che maggiormente pongono l’accento sul<br />

concetto di prevedibilità dell’evento, nel senso che sarebbe ravvisabile il dolo eventuale nel caso in cui<br />

il verificarsi dell’evento si presenti come concretamente possibile, mentre si verserebbe in ipotesi di<br />

colpa cosciente allorché la verificabilità dell’evento costituisca una mera ipotesi astratta. […]. A ben<br />

vedere, però, le due tesi principali in materia […] non si contraddicono del tutto, perché […] soltanto<br />

quando l’evento sia in concreto possibile e, quindi, prevedibile, si può avere un elemento di prova che<br />

consenta di ritenere, in presenza di ulteriori elementi, che l’agente non solo si sia concretamente<br />

rappresentato il rischio del verificarsi dell’evento, ma che lo abbia accettato, nel senso che si è<br />

determinato ad agire anche a costo di cagionare l’evento. In caso contrario, quando l’evento sia<br />

soltanto astrattamente verificabile e non sia concretamente prevedibile, appare ben difficile ascrivere<br />

lo stesso alla volizione dell’agente sia pure sotto il profilo della accettazione del rischio, non essendo<br />

la verificabilità dell’evento percepita dalla coscienza dell’agente come concretamente realizzabile.”<br />

289 G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 113 ss.<br />

290 G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5013 ss.<br />

57


“oggettivizzazione” del profilo volitivo del dolo 291 ; tuttavia, nella formulazione recente<br />

(quella del 2009), l’Autore sembra aggiungere precisazioni sostanziali alla luce delle<br />

quali dovrebbe conseguire un assetto che tende, sì, alla rivalorizzazione<br />

dell’elemento intellettivo, ma non in modo tale da giungere ad applicazioni più agevoli<br />

della forma di imputazione dolosa, bensì – al contrario – in modo da rendere più<br />

ristretta, rigorosa o, quantomeno, ponderata la configurabilità del dolo eventuale,<br />

senza ricorso a presunzioni o configurazione di dolo in re ipsa: non si sostiene,<br />

infatti, che l’elemento intellettivo il quale si presenti in un certo modo (e in particolare,<br />

come si è detto, come caratterizzato dalla conoscenza del nesso causale fra<br />

condotta e realizzazione del reato) possa condurre automaticamente alla prova<br />

decisiva dell’elemento volitivo; piuttosto, si tenta di delineare determinati aspetti che<br />

dovrebbero caratterizzare l’elemento intellettivo, e soltanto in presenza dei quali (in<br />

aggiunta rispetto ad ulteriori elementi di prova) potrebbe dirsi sussistente l’elemento<br />

volitivo 292 , inteso come “decisione di agire nella direzione dell’offesa” 293 . In altri<br />

termini, non si conferisce alla rappresentazione del nesso causale carattere decisivo<br />

per l’inquadramento del dolo eventuale, ma la si considera condizione necessaria a<br />

tale fine. Su questa stessa linea, si giunge anche a criticare negativamente, in<br />

generale, le impostazioni che tentino una alterazione o un ridimensionamento<br />

dell’elemento intellettivo ai fini dell’inquadramento del dolo e, in particolare, la teoria<br />

della c.d. “con – coscienza” 294 . In base a tale assetto, fin qui descritto nei suoi tratti<br />

essenziali, non sembra infondato sostenere che la più recente formulazione, da parte<br />

di De Francesco, della teoria in questione appaia maggiormente conforme ad una<br />

concezione del dolo come caratterizzato da distinti elementi strutturali (elemento<br />

intellettivo ed elemento volitivo) o, se non altro, meno esposta a critiche inerenti<br />

l’oggettivizzazione del dolo tramite la sussunzione dell’elemento volitivo alla scelta di<br />

agire a fronte di un determinato livello cognitivo.<br />

Passando all’analisi dettagliata della teoria esposta da De Francesco, essa<br />

concepisce come elemento essenziale del dolo (e di qualsiasi forma di dolo) la<br />

“decisione consapevole” di attivare un processo causale “in direzione dell’offesa”: si<br />

sostiene, più precisamente, che l’elemento volitivo necessario ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo potrebbe dirsi integrato soltanto qualora l’agente avesse<br />

deciso di realizzare la condotta a fronte della rappresentazione intellettiva del<br />

collegamento, sul piano causale, fra tale condotta ed evento lesivo 295 . Supponendo,<br />

quindi, l’atteggiamento del soggetto che si determini a porre in essere un certo<br />

291 G. CERQUETTI, Il dolo, 234 – 237; L. EUSEBI, Il dolo, 36 – 38 e nota (61).<br />

292 A sostegno di tali osservazioni, si noti come G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di<br />

pericolo, 5014, prima di passare all’esposizione dettagliata dell’impostazione teorica da lui stesso<br />

sostenuta, e della quale si sta trattando, sottolinei chiaramente la necessità di salvaguardia del<br />

rispetto dei principi di materialità, idoneità offensiva, colpevolezza, inammissibilità di forme di<br />

responsabilità oggettiva. L’Autore prosegue, poi, richiamando la posizione di Cesare Pedrazzi,<br />

conformemente alla quale occorrerebbe ancorare il dolo ad un più “solido” e “robusto” fondamento<br />

intellettivo, alla luce del quale la determinazione ad agire dovrebbe configurarsi effettivamente come<br />

“scelta consapevole” nella direzione della lesione del bene giuridico e, in quanto tale, come elemento<br />

idoneo a giustificare il fondamento del dolo (ivi, 5017). Lo stesso Autore precisa poi, con riguardo<br />

all’accertamento dell’elemento soggettivo, la non ammissibilità del ricorso a schemi presuntivi (ivi,<br />

5020 – 5021).<br />

293 Cfr. G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5018.<br />

294 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5021.<br />

295 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5017 – 5018.<br />

58


comportamento, e lo faccia a fronte della rappresentazione, nel proprio schermo<br />

mentale, del collegamento eziologico fra tale comportamento ed evento lesivo, in<br />

questo caso la decisione di agire potrà ben configurare uno schema strutturale e<br />

psicologico ascrivibile alla sfera del dolo (e, prima che alla sfera del dolo, alla sfera<br />

della volontà), in quanto emergerebbe una “decisione di agire in modo tale da<br />

cagionare l’evento”, o una “scelta di agire in direzione dell’offesa” 296 . La<br />

rappresentazione della causalità, del resto, sarebbe ciò che rende concreta, nelle<br />

valutazioni dell’agente, la verificabilità dell’evento 297 .<br />

Per evitare ogni equivoco, De Francesco precisa che il solo elemento intellettivo<br />

avente ad oggetto la percezione di una situazione di rischio o di pericolo non è, di per<br />

sé, decisivo ai fini del fondamento della responsabilità dolosa: infatti, la sola<br />

rappresentazione di una situazione di rischio, più o meno elevato, che ecceda<br />

comunque il livello del “rischio consentito”, non risulta sufficiente ad evincere la<br />

consapevolezza, da parte dell’agente, di porre in essere un decorso causale<br />

proiettato in direzione della lesione del bene giuridico; la percezione del processo<br />

eziologico in direzione dell’offesa deve essere, quindi, accertata in quanto effettiva<br />

ed attuale: il che dovrebbe scongiurare i rischi di una eccessiva “normativizzazione”<br />

del dolo, connessi all’effettuazione di valutazioni del “pericolo” concepito in modo<br />

separato rispetto all’atteggiamento personale del soggetto agente riguardo<br />

all’evento 298 . Del resto, l’inquadramento del dolo in base alla sola percezione del<br />

“pericolo” o del “rischio” giungerebbe a trasformare le fattispecie di danno in<br />

fattispecie di pericolo, divenendo frutto di valutazioni effettuate esclusivamente in una<br />

prospettiva ex ante, e trascurando il ruolo della volontà rispetto all’evento, ovvero<br />

“l’atteggiamento concretamente assunto dall’autore in ordine agli esiti finali del<br />

proprio operato” 299 . La ricostruzione delineata appare, inoltre, perfettamente<br />

conforme al tenore letterale dell’art. 43, comma 1, alinea 1, c.p., laddove si afferma<br />

che il delitto è doloso quando l’evento è “dall’agente preveduto e voluto come<br />

conseguenza della propria azione o omissione” (con riferimento particolare<br />

all’espressione “voluto come conseguenza”) 300 .<br />

Si osserva, nondimeno, che l’elemento strutturale della “scelta di agire in<br />

direzione dell’offesa” sarebbe comune a tutte le forme di dolo; le differenze fra esse<br />

andrebbero, quindi, rilevate con riferimento all’intensità del rapporto intercorrente tra<br />

la “finalità” perseguita direttamente dall’agente ed il risultato realizzato (chiaramente,<br />

se il risultato realizzato corrisponde alla finalità direttamente perseguita dall’agente,<br />

si avrà dolo intenzionale; negli altri casi, si avranno forme di dolo “non intenzionale”).<br />

Sostanzialmente si ribadisce, ancora una volta, che “volontà del fatto” non significhi,<br />

necessariamente, “intenzionalità del fatto”; inoltre, si evidenzia che la “volontà”,<br />

intesa come “scelta consapevole di attivare un processo causale in direzione<br />

dell’offesa”, si atteggi in modo unitario all’interno di ogni forma di dolo 301 . D’altra<br />

parte, considerando ancora una volta il dettato dell’art. 43, ove si fa riferimento<br />

all’evento “preveduto e voluto come conseguenza della propria azione o omissione”,<br />

si può ricavare un fondamento a sostegno della configurabilità di forme di dolo non<br />

296<br />

G. DE FRANCESCO, op. loc. ult. cit.<br />

297<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 145.<br />

298<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5018.<br />

299<br />

G. DE FRANCESCO, op. loc. ult. cit.<br />

300<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 147.<br />

301<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5018.<br />

59


intenzionale, dal momento che la norma non richiede specificamente che l’evento<br />

debba essere “intenzionalmente voluto”, ma soltanto che l’evento debba essere<br />

“voluto come conseguenza” 302 . A corollario delle osservazioni sviluppate, si giunge<br />

ad inquadrare il dolo eventuale come forma – base nell’ambito della categoria<br />

generale del dolo, in quanto esso sarebbe contraddistinto dai coefficienti psicologici<br />

minimi ed essenziali ai fini della configurazione, appunto, del dolo 303 ; parallelamente,<br />

il dolo intenzionale, generalmente considerato come forma “comune” di dolo, si<br />

caratterizzerebbe in quanto figura “speciale”, dotata di una connotazione aggiuntiva:<br />

l’intenzionalità, la quale assumerebbe un carattere accessorio rispetto alla base<br />

psicologica essenziale per la responsabilità dolosa 304 .<br />

Sin qui si è fatto riferimento, fondamentalmente, all’inquadramento del dolo. Ad<br />

ogni modo, lo sviluppo teorico esposto è utile a descrivere, altresì, la struttura della<br />

colpa cosciente: questa si caratterizzerebbe in quanto “errore” sulla percezione del<br />

decorso causale, o “mancata percezione” di esso; in altri termini, la colpa cosciente<br />

sarebbe contraddistinta da una rappresentazione, da parte dell’agente, della<br />

proiezione teleologica delle regole cautelari che egli violi (proiezione che, peraltro,<br />

dovrebbe essere considerata nel contesto concreto di riferimento, mentre non<br />

sarebbe sufficiente la sola consapevolezza del fatto di violare regole cautelari) 305 ,<br />

accompagnata, tuttavia, da una errata valutazione delle circostanze complessive di<br />

fatto, a causa della quale non sarebbe configurabile una “scelta consapevole” di<br />

“agire in direzione dell’offesa”; dal che conseguirebbe, ovviamente, l’impossibilità di<br />

ascrivere la responsabilità dell’agente alla sfera del dolo. Del resto, un assetto di<br />

questo genere non ricadrebbe nell’inconveniente di configurare la colpa cosciente<br />

come caratterizzata dalla “previsione negativa” dell’evento: infatti, sulla base di<br />

quanto si è affermato, il soggetto che agisce con colpa cosciente si<br />

rappresenterebbe positivamente l’evento, nonché il significato teleologico assunto<br />

dalla regola cautelare violata nel contesto concreto di riferimento; l’errore ricadrebbe,<br />

invece, non già sull’evento, bensì sulla dinamica del decorso causale, la quale<br />

verrebbe percepita dall’agente come meramente potenziale, ma non come<br />

attualmente realizzabile 306 . In sintesi, chi agisce con colpa cosciente sarebbe<br />

302<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 147.<br />

303<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 149.<br />

304<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 150.<br />

305<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5020. ID., Dolo eventuale e colpa<br />

cosciente, 140 e 154, ove l’Autore evidenzia che la colpa cosciente necessiti di un elemento<br />

intellettivo nel quale debba essere proiettata la dimensione cautelare della regola di diligenza violata:<br />

l’agente dovrebbe, cioè, rappresentarsi effettivamente tale dimensione cautelare, alla luce dello<br />

specifico significato teleologico assunto dalla regola violata, e nel contesto concreto di riferimento;<br />

solo in tal modo – si sostiene – si andrebbe a configurare la colpa cosciente in base a connotati<br />

effettivamente propri della colpa, e non tramite elementi “presi a prestito” dal dolo. L’Autore, inoltre,<br />

adduce l’esempio del cacciatore che, essendo in dubbio sulla presenza di una persona dietro ad un<br />

cespuglio, venga convinto a sparare in quella direzione da un suo compagno il quale lo convinca che,<br />

in quel particolare giorno e a quell’ora, non avrebbe potuto esservi alcuna persona nei dintorni:<br />

qualora effettivamente il cacciatore si determini a sparare, attingendo ad una persona, non potrebbe<br />

configurarsi – si sostiene – colpa cosciente in quanto, se certamente vi era stata consapevolezza della<br />

violazione di una regola cautelate, d’altra parte non vi sarebbe stata percezione della proiezione<br />

teleologica della regola violata con riferimento al contesto concreto e specifico in cui è stata realizzata<br />

la condotta; mancherebbe, cioè, la conoscenza dello specifico significato teleologico della regola di<br />

diligenza violata, considerato nella situazione concreta (ivi, 154).<br />

306<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 144.<br />

60


consapevole del fatto di violare regole cautelari, nonché della proiezione teleologica<br />

di esse nel contesto concreto (se non percepisse la proiezione teleologica della<br />

regola cautelare violata nel contesto concreto, si avrebbe colpa incosciente, dal<br />

momento che, nella psiche dell’agente, mancherebbe la “previsione dell’evento”,<br />

stante la mancanza di percezione del collegamento dell’azione con il possibile<br />

risultato, nonché della capacità, insita nel rispetto della regola, di impedire<br />

l’evento 307 ); tuttavia, egli valuterebbe erroneamente le circostanze complessive<br />

attuali e, di conseguenza, la potenziale dinamica del decorso causale: alla luce di<br />

ciò, l’elemento rappresentativo difetterebbe di quell’elemento di “conoscenza del<br />

concreto rapporto causale”, il quale sarebbe necessario al fine di ritenere sussistente<br />

il requisito volitivo, a sua volta concepito come “determinazione ad attivare un<br />

processo causale in direzione dell’offesa” 308 .<br />

Trasferendo la ricostruzione qui delineata sul versante dei reati di mera<br />

condotta, la configurazione della colpa cosciente non dovrebbe risultare<br />

incompatibile con essi dato che, partendo dall’assunto per cui il termine “evento” di<br />

cui all’art. 43 debba essere interpretato come sinonimo di “fatto tipico” 309 , sarebbe<br />

inquadrabile la colpa cosciente nel caso in cui il soggetto avesse agito essendosi<br />

rappresentato la possibilità di realizzazione del fatto tipico tramite una condotta<br />

trasgressiva di una regola cautelare (volta ad evitare la realizzazione del fatto tipico<br />

di riferimento), avendo percepito la proiezione teleologica della regola cautelare<br />

violata con riferimento al contesto concreto e, tuttavia, essendo incorso in un errore<br />

nella valutazione del collegamento causale tra condotta ed effettiva integrazione del<br />

fatto tipico 310 .<br />

Quanto all’accertamento dell’elemento soggettivo, De Francesco sostiene che<br />

esso, in sede processuale, debba essere effettuato tramite modalità analoghe a<br />

quelle concernenti l’accertamento dell’errore rilevante ex art. 47 c.p.: si tratterebbe,<br />

quindi, di valutare non già elementi di carattere incerto (quali, ad esempio,<br />

“accettazione”, “consenso”, “fiducia nella non verificazione dell’evento”, ecc.), bensì<br />

l’effettiva sussistenza o meno della rappresentazione avente ad oggetto il<br />

collegamento causale concreto fra condotta ed evento; tale accertamento dovrebbe<br />

essere condotto, ovviamente, in considerazione di elementi di fatto, in forza dei quali<br />

possa valutarsi se sia verosimile che il soggetto si fosse o meno rappresentato<br />

l’effettivo nesso eziologico tra condotta e risultato lesivo: il che, tuttavia, dovrebbe<br />

307 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 156.<br />

308 G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5020. L’Autore, successivamente (ivi,<br />

5022), applica, a titolo esemplificativo, l’impostazione teorica in questione ai casi di contagio da HIV<br />

tramite rapporto sessuale non protetto: si sostiene la configurabilità del dolo eventuale qualora<br />

l’agente avesse avuto una “positiva e concreta cognizione dell’efficacia causale della propria condotta,<br />

la quale potrebbe desumersi, ad es., dal carattere ripetuto dei contatti sessuali, dalla mancanza di<br />

qualsiasi precauzione o controllo di tipo sanitario, dall’esistenza di eventuali fattori predisponenti al<br />

verificarsi dell’evento (riconducibili, in ipotesi, alla particolare debolezza delle condizioni di salute del<br />

partner); mentre, potranno riconoscersi gli estremi della colpa cosciente, laddove il soggetto fosse<br />

incorso in un errore a tale riguardo, in considerazione del carattere occasionale del rapporto,<br />

dell’ignoranza o sottovalutazione delle predette condizioni, ovvero del fatto di aver adottato delle<br />

precauzioni alternative o reputate comunque tali […], per quanto ben lontane dall’utilizzo di metodi<br />

realmente efficaci di prevenzione del pericolo.”<br />

309 G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 159.<br />

310 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 161.<br />

61


essere effettuato a prescindere da non condivisibili semplificazioni probatorie, o<br />

presunzioni 311 .<br />

L’argomento in esame merita di essere considerato anche alla luce del rilievo,<br />

anche esso sviluppato da De Francesco, delle conclusioni non condivisibili alle quali<br />

potrebbe giungersi attraverso una eccessiva valutazione del solo profilo volitivo, con<br />

relegazione dell’importanza di una analisi dell’elemento rappresentativo: nello<br />

specifico, si pone l’accento sul principio nihil volitum quin praecognitum, in base al<br />

quale non può darsi volontà in mancanza di rappresentazione. A tali fini, si adduce<br />

l’esempio di scuola, ormai classico, del nipote il quale induca il ricco zio ad<br />

intraprendere un viaggio aereo, nella speranza che si verifichi un incidente che<br />

provochi la morte dello zio: il tutto al fine di ereditare. Orbene, generalmente<br />

l’esempio in questione è citato nell’ambito delle esposizioni inerenti le teorie sulla<br />

causalità: in particolare, in base alla teoria della “causalità adeguata”, in un’ipotesi di<br />

questo tipo, qualora effettivamente l’evento (per caso) si verifichi, dovrebbe<br />

escludersi la responsabilità penale del nipote 312 . Tralasciando il discorso sulla<br />

causalità, ad ogni modo, si potrebbe, a tutta prima, concludere che il nipote avesse<br />

agito con “l’intenzione” di provocare la morte dello zio e, quindi, si potrebbe<br />

sostenere l’astratta configurabilità dell’imputazione a titolo di dolo (sempre –<br />

beninteso – tralasciando il discorso sulla causalità). Tuttavia, a ben vedere, ancor<br />

prima che il nesso causale manca, in effetti, un ulteriore elemento essenziale ai fini<br />

della struttura dell’illecito penale doloso: ciò che manca è la rappresentazione e, di<br />

conseguenza – non solo in base al principio del nihil volitum quin praecognitum, ma<br />

semplicemente anche in forza del fatto che la struttura del dolo richieda tanto la<br />

volontà quanto la rappresentazione – , non può configurarsi il dolo 313 . Il nipote del<br />

caso di scuola nutre una mera speranza, un mero auspicio: si tratta di aspetti ben<br />

diversi rispetto all’elemento rappresentativo concepito come conoscenza concreta<br />

degli elementi del fatto tipico (compresi i fattori causali), a sua volta necessaria per<br />

fondare una “decisione di agire in direzione dell’offesa”. Benché egli persegua il fine<br />

di “uccidere”, non si tratta di una vera e propria “intenzione”, in quanto è mancante<br />

l’elemento rappresentativo, necessario ai fini dell’inquadramento della volontà; al più<br />

potrà trattarsi, come si è detto, di un mero “auspicio”, o di una semplice “speranza”,<br />

non idonei a fondare i requisiti intellettivo e volitivo.<br />

Il dolo sarebbe configurabile, nel quadro dell’esempio citato, soltanto qualora il<br />

nipote avesse agito a fronte della concreta conoscenza di determinati fattori i quali,<br />

anche essi concretamente, fondassero una rappresentazione della dinamica<br />

causale: ad esempio, qualora egli fosse stato a conoscenza del fatto che sull’aereo si<br />

sarebbero imbarcati dei terroristi aventi lo scopo di fare esplodere il velivolo; oppure,<br />

qualora lui solo fosse venuto conoscenza di un guasto dei motori dell’aereo che<br />

avrebbe potuto concretamente causare l’incidente mortale 314 .<br />

311 G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5020 – 5021.<br />

312 La teoria della “causalità adeguata” postula, in effetti, la rilevanza penale della “causa”<br />

soltanto quando questa sia tipicamente idonea a provocare l’evento concreto, in base ad un criterio di<br />

prevedibilità basato, a sua volta, sull’id quod plerumque accidit; con esclusione, di conseguenza, della<br />

rilevanza penale del collegamento eziologico materiale, fra condotta ed evento concretamente<br />

realizzato, il quale sia una “peculiarità del caso concreto”. In questo senso, G. FIANDACA – E.<br />

MUSCO, op. ult. cit., 237.<br />

313 In questo senso, chiaramente, G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5019 – 5020.<br />

314 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5020.<br />

62


Sulla scorta delle conclusioni esposte, dovrebbe giungersi ad una critica<br />

negativa delle impostazioni che tendono ad una alterazione dell’elemento intellettivo<br />

e, in particolare, della teoria della “con – coscienza”, in base alla quale non sarebbe<br />

necessaria, ai fini della configurazione dell’elemento rappresentativo proprio della<br />

struttura del dolo, una riflessione effettiva ed attuale da parte dell’agente su elementi<br />

costitutivi del fatto tipico, purché tali elementi fossero, dallo stesso agente, percepiti<br />

quantomeno in una sfera latente o subliminale: non può sfuggire il fatto che tale<br />

ricostruzione possa condurre, se estremizzata, all’affermazione della responsabilità<br />

per dolo qualora l’agente “non potesse non rappresentarsi la possibilità dell’evento” o<br />

“non potesse ignorare le circostanze di fatto dalle quali avrebbe potuto derivare<br />

l’evento” 315 . È chiaro che una conclusione del genere rappresenterebbe senz’altro<br />

una presunzione, dal momento che si considererebbe sussistente l’“effettiva e<br />

concreta percezione” di elementi del fatto tipico alla luce della mera “percepibilità” di<br />

essi. Oltretutto, le conseguenze connesse alla teoria della “con – coscienza”<br />

sarebbero sicuramente incompatibili con la valorizzazione della conoscenza del<br />

nesso causale fra condotta ed evento: la percezione nell’ambito di una sfera latente<br />

o subliminale è cosa ben diversa rispetto alla effettiva cognizione della realizzabilità<br />

della fattispecie penale come conseguenza eziologica della condotta 316 .<br />

Del resto, De Francesco arriva anche a sviluppare critiche negative circa<br />

l’ipotesi di abolizione della categoria del dolo eventuale, con mantenimento delle sole<br />

categorie del dolo intenzionale e del dolo diretto, e con conseguente confluire alla<br />

sfera colposa delle ipotesi attualmente inquadrabili nell’alveo del dolo eventuale:<br />

invero, ne risulterebbe un ingiustificato trattamento privilegiato per soggetti che, pur<br />

non perseguendo intenzionalmente la realizzazione dell’evento, o pur non avendo<br />

previsto tale realizzazione come certa, avessero agito con piena cognizione del<br />

potenziale decorso causale 317 . In sintesi, vengono rigettati gli estremi opposti: da un<br />

lato, la presunzione di dolo eventuale in base alla sola “conoscibilità” dei fattori<br />

causali; dall’altro, l’eliminazione della categoria del dolo eventuale, a favore<br />

principalmente, ma non solo, della categoria della colpa cosciente 318 . Si afferma,<br />

nondimeno, che anche l’inquadramento della colpa cosciente debba prescindere da<br />

presunzioni: ciò significa che non si dovrebbe ritenere automaticamente sussistente<br />

la colpa cosciente alla luce della mera prevedibilità dell’evento, con esclusione, a<br />

priori, della colpa incosciente. Anche la colpa cosciente, insomma, esige la verifica<br />

315 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5021. Si riporta, peraltro, che pratiche “presuntive” di<br />

questo genere siano particolarmente frequenti nelle ipotesi di concorso degli amministratori in reati<br />

societari o fallimentari commessi da altri soggetti dell’impresa.<br />

316 G. DE FRANCESCO, op. loc. ult. cit.<br />

317 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5023 – 5024. L’Autore apporta l’esempio del terrorista il<br />

quale abbia posizionato un ordigno esplosivo con il fine intenzionale di danneggiare un monumento<br />

(quindi, non con il fine intenzionale e diretto di uccidere), essendosi tuttavia rappresentato l’ipotesi che<br />

l’esplosione potesse ledere l’incolumità di persone o uccidere (quindi, con rappresentazione del<br />

concreto potenziale – ma non certo – nesso causale fra condotta ed evento lesivo per l’incolumità di<br />

persone): in questo caso, sarebbe inadeguata l’attribuzione di responsabilità per colpa. Del resto,<br />

l’inquadramento della colpa (cosciente) sarebbe più ragionevolmente sostenibile nell’ipotesi in cui lo<br />

stesso terrorista si fosse avvalso di complici i quali lo tenessero informato circa il passaggio o meno di<br />

persone nei pressi del luogo di collocazione dell’ordigno, volendo egli compiere un gesto<br />

esclusivamente “dimostrativo”, e non finalizzato a ledere l’incolumità di persone o uccidere.<br />

318 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5025.<br />

63


dell’attuale previsione, non essendo sufficiente la mera potenzialità della previsione<br />

stessa 319 .<br />

Nell’ambito del panorama italiano è rilevabile anche una concezione ulteriore,<br />

simile a quella delineata da De Francesco, ma non del tutto analoga ad essa, in base<br />

alla quale si sostiene che, ai fini della configurazione del dolo, sia necessaria la<br />

rappresentazione della possibilità (almeno della possibilità) di verificazione<br />

dell’evento, congiunta alla rappresentazione dell’obiettiva direzione della condotta<br />

verso l’offesa 320 : tale assetto troverebbe il proprio fondamento non solo all’interno<br />

dell’art. 43, bensì alla luce di una visione coordinata fra art. 43 ed art. 82<br />

(quest’ultimo, in particolare, da considerarsi fondamento del requisito dell’obiettiva<br />

direzione della condotta verso l’offesa) 321 .<br />

Anche nell’ambito della dottrina tedesca non mancano esponenti i quali hanno<br />

sostenuto impostazioni basate sulla valorizzazione della conoscenza dei nessi<br />

causali, intesa come necessaria ai fini del dolo: in particolare è possibile fare<br />

riferimento alla concezione di Struensee, il quale considera la colpa cosciente come<br />

caratterizzata non già dal disconoscimento della possibile verificazione dell’evento,<br />

bensì dall’ignoranza di “anelli causali” tra azione ed evento. Analogamente, Heribert<br />

Schumann definisce la colpa cosciente come contraddistinta da un’ignoranza di<br />

circostanze di fatto causali rispetto all’evento 322 .<br />

Le critiche negative generalmente mosse alle teorie che valorizzano, ai fini del<br />

dolo, la rappresentazione del nesso causale sfociante nell’evento (e che, quindi,<br />

concepiscono la colpa cosciente come errore o ignoranza ricadenti sugli aspetti del<br />

nesso causale) evidenziano, perlopiù, l’erroneità dell’equiparazione fra “volontà” e<br />

“rappresentazione ex ante” del nesso causale fra condotta ed evento lesivo. Si è<br />

osservato, in particolare, che la decisione di agire a fronte della rappresentazione del<br />

nesso causale non ponga luce sull’effettivo rapporto intercorrente fra tale decisione<br />

ed evento 323 ; inoltre, sostanzialmente sulla stessa linea, si è posto l’accento<br />

sull’inadeguatezza della svalutazione del requisito volitivo, il quale dovrebbe, invece,<br />

godere di autonomia strutturale e funzionale ai fini della configurazione del dolo<br />

(nonché, in negativo, ai fini dell’inquadramento della colpa con previsione): ritenere<br />

automaticamente sussistente la volontà alla luce della sola rappresentazione<br />

dell’evento, nonché dei nessi causali che intercorrano fra condotta ed evento,<br />

significa dequalificare l’elemento volitivo 324 . D’altra parte, il filone critico di cui trattasi<br />

non condivide neppure la concezione della colpa cosciente come “errore sui nessi<br />

causali”: invero, si sostiene che, in tal modo, verrebbe a configurarsi comunque una<br />

previsione “astratta” o “negativa”, in contrasto con il dato normativo di cui all’art. 61,<br />

n. 3 325 . Del resto, si giunge ad inquadrare la teoria sui nessi causali nell’ambito del<br />

paradigma della teoria della rappresentazione, in base alla quale la volontà potrebbe<br />

319 G. DE FRANCESCO, op. loc. ult. cit.<br />

320 M. MASUCCI, Naturalismo e normativismo nella teoria del dolo. Premesse per una<br />

ridefinizione dei limiti della responsabilità dolosa, Roma, 2002, 381 – 388. Lo sviluppo argomentativo<br />

esposto da Masucci è analizzato anche da G. CERQUETTI, Il dolo, 238 – 241.<br />

321 M. MASUCCI, Naturalismo, 381 ss.<br />

322 L’esposizione di tali teorie, rilevabili nel panorama della dottrina tedesca, è effettuata da G.<br />

CERQUETTI, Il dolo, 242 – 244.<br />

323 In questo senso, L. EUSEBI, Il dolo, 36 – 38.<br />

324 G. CERQUETTI, Il dolo, 236.<br />

325 G. CERQUETTI, Il dolo, 237.<br />

64


avere ad oggetto la sola condotta, ma non l’evento o gli elementi comunque diversi<br />

dalla condotta 326 : dal che si dovrebbe ricavare l’esposizione della teoria qui<br />

analizzata ai medesimi rilievi critici mossi con riguardo alle impostazioni riconducibili<br />

al paradigma intellettivo. Le osservazioni critiche esposte sono sintetizzabili nella<br />

conclusione per cui la teoria inerente la valorizzazione della rappresentazione dei<br />

nessi causali conduca ad una eliminazione dell’autonomia del requisito volitivo<br />

(necessario ai fini del dolo) e, quindi, alla c.d. “oggettivizzazione” del dolo 327 .<br />

Tuttavia, come si è già sostenuto, va preso atto della recente riproposizione<br />

della teoria sulla valorizzazione dei nessi causali effettuata da parte di De Francesco,<br />

la quale sembra maggiormente orientata verso un compromesso volto a non<br />

eliminare l’autonomia dell’elemento volitivo, tramite la precisazione della<br />

inadeguatezza del ricorso a presunzioni in sede di accertamento dell’elemento<br />

soggettivo 328 , nonché tramite l’accento posto dallo stesso Autore sulla necessità di<br />

preservare i principi fondamentali del diritto penale, quali i principi di materialità,<br />

personalità della responsabilità penale, idoneità offensiva, colpevolezza 329 .<br />

7. Formule di Frank e teoria dell’“accettazione con approvazione in senso<br />

giuridico dell’evento”: la valorizzazione del profilo volitivo<br />

Il penalista tedesco Reinhard Frank, tra il 1890 e gli anni Trenta del Novecento,<br />

propose due formule finalizzate alla prova del dolo eventuale 330 ; a dire il vero, la<br />

prima formula proposta da Frank fu sviluppata – lo si evince da una precisazione<br />

dello stesso Frank – a partire da un esempio enunciato, nel 1844, da parte di<br />

Breidenbach e, originariamente, mirava a definire il dolo eventuale nel suo contenuto<br />

sostanziale. Solo successivamente (intorno agli anni Trenta del Novecento), Frank<br />

ridimensionò la portata della formula, riducendola a criterio probatorio 331 .<br />

Quanto alla prima formula, in base ad essa, ai fini della prova del dolo<br />

eventuale, si dovrebbe accertare che (o “qualcosa corrispondente al fatto che” 332 ) il<br />

soggetto avrebbe agito ugualmente se avesse avuto la certezza di provocare<br />

l’evento (fermo restando, ovviamente, la necessità della sussistenza dell’elemento<br />

intellettivo, ossia della rappresentazione, da parte dell’agente, della possibilità di<br />

realizzazione dell’evento tramite la condotta) 333 ; qualora, invece, si accerti che il<br />

soggetto, a fronte della certezza di realizzazione dell’evento, si sarebbe astenuto<br />

dall’agire, risulterebbe la configurazione della colpa cosciente 334 .<br />

326<br />

G. CERQUETTI, Il dolo, 235.<br />

327<br />

G. CERQUETTI, Il dolo, 238.<br />

328<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5020.<br />

329<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5014.<br />

330<br />

M. DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le Sezioni Unite riscoprono<br />

l’elemento psicologico, in Cass. pen., 2010, 7/8, 2559 – 2560. L’Autore richiama a sua volta, in nota<br />

(8), R. FRANK, Vorstellung und Wille in der modernen Doluslehre, in ZStW, 1890, 211 – 217.<br />

331<br />

G. CERQUETTI, Il dolo, 265; M. DONINI, op. ult. cit., 2560, nota (9).<br />

332 M. DONINI, op. ult. cit., 2570.<br />

333 M. DONINI, op. ult. cit., 2560; S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 9 – 10; S. CANESTRARI, op.<br />

ult. cit., 47.<br />

334 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 10; S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

65


La seconda formula, invece, abbandona la struttura di giudizio ipotetico insita<br />

nella prima formula, ed identifica il dolo eventuale nella condotta dell’agente il quale,<br />

a fronte della rappresentazione della possibilità di realizzazione dell’evento, si<br />

prospetti, mentalmente, il seguente tipo di ragionamento: “può accadere o non<br />

accadere; può succedere o non succedere; in ogni caso, io agisco” 335 . Quest’ultima<br />

formula si avvicina molto, quindi, alle impostazioni che concepiscono il dolo<br />

eventuale come scelta di agire “costi quel che costi”, o “a costo di ledere” beni<br />

giuridici. In entrambi i casi, si tratta – come si è detto – di formule finalizzate a fornire<br />

criteri probatori, e non alla definizione sostanziale di dolo eventuale e colpa<br />

cosciente 336 .<br />

Occorre evidenziare il fatto che Frank aderisse, comunque, alla teoria della<br />

rappresentazione 337 ; alla luce di ciò, è possibile rilevare il modo in cui il penalista<br />

tedesco, muovendo – appunto – dalla teoria della rappresentazione, arrivi a<br />

postulare due formule le quali vadano oltre la concezione del dolo inteso solamente<br />

come rappresentazione certa del fatto 338 : in effetti, si giunge ad inquadrare il dolo in<br />

un atteggiamento interiore, nutrito da parte dell’agente, di “disprezzo”, o di particolare<br />

“noncuranza”, “mancanza di scrupoli” o “mancanza di riguardi” nei confronti di beni<br />

giuridici 339 ; tutto ciò aggiunge chiaramente, quale requisito ulteriore e necessario per<br />

il dolo, un quid pluris rispetto al solo elemento rappresentativo, concretizzando un<br />

tentativo di valorizzazione del profilo volitivo.<br />

Fermo restando i pregi comunemente riconosciuti alle formule di Frank, tuttavia,<br />

già di fronte a queste prime osservazioni non può sfuggire il “pericolo”, insito nel<br />

ricorso alla prima formula, di incorrere in una valutazione dell’autore, anziché del<br />

fatto: tale formula implica la verifica del punto a cui il soggetto sarebbe stato “capace<br />

di arrivare” pur di persistere nella tenuta della propria condotta, con conseguente<br />

rischio di valutazione della capacità a delinquere del soggetto, nonché del suo livello<br />

di sensibilità nei confronti di beni giuridici, anche ai fini del giudizio di colpevolezza (e<br />

non solo ai fini della commisurazione della pena) 340 .<br />

L’utilizzo della prima formula di Frank, ad ogni modo, inquadra il dolo eventuale<br />

in un atteggiamento dell’agente che rivelerebbe il “consenso”, l’“approvazione”,<br />

ovvero l’“accettazione con approvazione” della lesione del bene giuridico: in effetti,<br />

tale formula è utilizzata nell’ambito della teoria c.d. “del consenso” la quale, proprio<br />

per il fatto del ricorso alla prima formula di Frank, è anche denominata “teoria<br />

ipotetica del consenso” (dato che la prima formula di Frank postula, appunto,<br />

l’effettuazione di un giudizio ipotetico) 341 .<br />

Per quanto concerne gli aspetti positivi generalmente riconosciuti alle formule di<br />

Frank (non solo da parte di chi aderisce ad esse, bensì anche da parte di chi le<br />

critica negativamente), deve essere, anzitutto, preso atto che la valorizzazione<br />

dell’atteggiamento dell’agente nei confronti dell’evento contribuisca ad un positivo<br />

distacco da una concezione rigidamente naturalistica dell’elemento soggettivo del<br />

335<br />

M. DONINI, op. loc. ult. cit.; S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 10.<br />

336<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2561.<br />

337<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2560.<br />

338<br />

Così S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

339<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 14.<br />

340<br />

S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

341<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 45 – 47.<br />

66


eato 342 ; effettivamente, le formule di Frank mirano a valorizzare la distinzione fra<br />

“voler rischiare”, o “voler agire (rischiando)”, e “volere l’evento”: e tale distinzione è<br />

valorizzata anche da parte di ulteriore dottrina, compresi esponenti i quali criticano<br />

negativamente la prima formula di Frank 343 . In secondo luogo, le formule di Frank<br />

risultano applicabili in modo coerente alle ipotesi in cui si tratti di valutare l’elemento<br />

soggettivo dell’agente che avesse realizzato la condotta versando in una situazione<br />

di dubbio o incertezza circa la sussistenza dei presupposti del fatto tipico 344 .<br />

D’altra parte, non mancano critiche negative dottrinali che pongono in evidenza<br />

i punti deboli delle formule di Frank. In primo luogo, con particolare riguardo alla<br />

prima formula, stante il fatto che essa postuli la necessità di effettuazione di un<br />

giudizio ipotetico circa il comportamento che sarebbe stato tenuto dall’agente qualora<br />

egli avesse avuto certezza di realizzazione dell’evento, ne consegue una difficile<br />

praticabilità, sul piano processuale, in tutti i casi in cui l’agente stesso, di fronte alla<br />

certezza di provocare l’evento, avrebbe avuto forti perplessità nel decidere, poiché<br />

evento intenzionalmente perseguito ed evento collaterale gli risultassero quasi<br />

equivalenti 345 : infatti, se la praticabilità della prima formula di Frank sarebbe agevole<br />

nel caso in cui gli interessi coinvolti fossero evidentemente incommensurabili, così<br />

non sarebbe se, invece, tale incommensurabilità fosse mancante. Inoltre, si è posto<br />

in evidenza che l’accertamento del dolo dovrebbe essere effettuato avendo in<br />

considerazione non già l’atteggiamento che l’agente avrebbe tenuto qualora avesse<br />

avuto la certezza di verificazione dell’evento (quindi, un atteggiamento ipotetico),<br />

bensì l’effettivo atteggiamento dell’agente nel caso concretamente verificatosi 346 .<br />

Nondimeno, si osserva che l’applicazione della prima formula di Frank condurrebbe,<br />

in modo non condivisibile, ad escludere senz’altro il dolo eventuale nell’ipotesi in cui<br />

la realizzazione dell’evento collaterale, seppur messa in conto dall’agente, avrebbe<br />

rappresentato il fallimento del piano perseguito dall’agente stesso, ovvero fosse in<br />

parziale o totale antagonismo con tale piano 347 .<br />

342<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 11.<br />

343<br />

G. FORTE, Dolo eventuale tra divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità, 837 –<br />

838. L’Autore pone chiaramente in evidenza la distinzione concettuale tra “voler agire” nonostante la<br />

previsione dell’evento e, quindi, in presenza della consapevolezza del carattere rischioso della propria<br />

condotta (che, per tale aspetto, potrebbe provocare l’evento non voluto), e “volere l’evento”. Lo stesso<br />

Autore, tuttavia, si esprime negativamente con riguardo alla prima formula di Frank, evidenziando in<br />

particolare gli aspetti problematici connessi alla struttura di giudizio ipotetico che la contraddistingue<br />

(ivi, 834).<br />

344<br />

S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

345<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 13.<br />

346<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 48.<br />

347<br />

S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit., il quale riporta l’esempio della causazione, tramite sevizie,<br />

della morte della persona dalla quale si intendeva ottenere informazioni. Nello stesso senso, S.<br />

CANESTRARI, op. loc. ult. cit., il quale riporta il noto “caso di Lacmann”: un giovane scommette, per<br />

venti marchi, di essere in grado di colpire, sparando, una sfera tenuta in mano da una ragazzina,<br />

progettando, tra l’altro, la via di fuga per l’ipotesi in cui avesse fallito il tiro provocando eventi lesivi;<br />

effettivamente, l’errore di mira provoca la morte della ragazzina. In un caso di questo genere, con<br />

applicazione della “teoria del consenso”, o della prima formula di Frank, dovrebbe concludersi per<br />

l’esclusione del dolo, dato che, se il giovane avesse avuto la certezza di realizzazione dell’evento,<br />

avrebbe avuto certezza della perdita della scommessa, e sicuramente non avrebbe scelto di agire<br />

comunque; d’altra parte, una soluzione di questo genere non appare condivisibile, in quanto è<br />

possibile mettere in conto la realizzazione di un determinato evento anche qualora questo rappresenti<br />

il fallimento del risultato perseguito (potrebbe, ad esempio, deporre nel senso della “messa in conto”<br />

67


Ci si domanda, inoltre, se la prima formula di Frank non “richieda troppo”: infatti,<br />

neppure per il dolo intenzionale può dirsi assodato che l’agente avrebbe posto in<br />

essere la condotta anche se avesse avuto la certezza di realizzazione della<br />

fattispecie penale tipica; si evidenzia che sono numerose le decisioni della vita,<br />

assunte dai singoli intenzionalmente, le quali a posteriori, ed in considerazione del<br />

risultato effettivamente realizzato, non sarebbero state di nuovo effettuate: il che non<br />

vale, tuttavia, ad escludere il comportamento intenzionale 348 . Si osserva quindi, in<br />

base alla considerazione appena effettuata, che la valutazione a posteriori<br />

dell’ipotetico comportamento che avrebbe tenuto l’agente qualora avesse avuto la<br />

certezza di realizzazione dell’evento, non solo non possa essere decisiva, ma possa<br />

risultare addirittura fuorviante: ad avere importanza è l’atteggiamento psicologico<br />

tenuto dal soggetto al momento della realizzazione della condotta, ovvero ciò che<br />

l’agente ha voluto al momento della realizzazione della condotta; la considerazione di<br />

come l’agente si sarebbe comportato se avesse avuto la certezza di realizzazione<br />

dell’evento non varrebbe a porre luce su ciò che egli avesse effettivamente voluto al<br />

momento dell’azione concretamente realizzata 349 . Ne consegue che la prima formula<br />

di Frank dovrebbe costituire non già un parametro decisivo ai fini della prova<br />

dell’elemento soggettivo, bensì uno degli ausili (tra gli altri; non l’unico) volti a<br />

conferire praticabilità ai criteri dell’accettazione del rischio o<br />

dell’accettazione/volizione dell’evento 350 .<br />

Per altro verso, va richiamata anche quella parte di dottrina che aderisce alle<br />

formule di Frank 351 : a partire dalla considerazione per cui il criterio dell’“accettazione<br />

del rischio” sia inidoneo alla descrizione del dolo eventuale in quanto, se mai,<br />

effettivamente identificativo della colpa cosciente 352 (con accoglimento, quindi,<br />

dell’impostazione per la quale anche la colpa cosciente sarebbe caratterizzata da<br />

una componente di “accettazione di rischio”) si sostiene che l’utilizzo, in particolare,<br />

della prima formula possa condurre all’individuazione dell’unico stato psicologico<br />

“reale” del soggetto che sia in grado di differenziare dolo eventuale e colpa cosciente<br />

– o, in altri termini, di differenziare la mera assunzione consapevole di un rischio<br />

rispetto all’accettazione della realizzazione dell’evento –, relativo al momento<br />

antecedente alla verificazione del fatto di reato, e conformemente al quale si avrebbe<br />

dolo eventuale nel caso in cui il soggetto stesso avesse “messo in conto” la<br />

realizzazione dell’evento lesivo come “prezzo da pagare” per il perseguimento del<br />

proprio fine intenzionale. In altri termini, identificherebbe il dolo eventuale<br />

l’atteggiamento psicologico dell’agente il quale consideri che, per la realizzazione del<br />

proprio fine intenzionale, “valga la pena” di “pagare il prezzo” consistente nella<br />

lesione di beni giuridici (chiaramente si tratterà dei beni giuridici posti in pericolo dalla<br />

tenuta della condotta adottata dall’agente, e correlata al perseguimento del fine<br />

intenzionale): in tal senso, il soggetto si determinerebbe ad agire “ad ogni costo”, e<br />

non desisterebbe dalla condotta neppure di fronte alla certezza della realizzazione<br />

dell’evento il fatto che il giovane avesse progettato la via di fuga, per l’ipotesi in cui avesse fallito il<br />

tiro). In questo stesso senso depone anche G. CERQUETTI, Il dolo, 268.<br />

348<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2570.<br />

349<br />

M. DONINI, op. loc. ult. cit.<br />

350<br />

M. DONINI, op. loc. ult. cit.<br />

351<br />

In particolare, L. EUSEBI, Appunti, 1089; ID., Il dolo, 176 ss. Aderisce alla formula di Frank,<br />

tra l’altro, anche A. PAGLIARO, Discrasie, 323.<br />

352 L. EUSEBI, Appunti, 1088 – 1089.<br />

68


dell’evento; dal che conseguirebbe un atteggiamento psicologico che potrebbe<br />

essere sintetizzabile nell’affermazione “(l’evento) avvenga pure” 353 . A supporto di tale<br />

impostazione, viene posto in evidenza come, in svariate circostanze della vita, ci si<br />

esponga consapevolmente a pericolo senza accettazione del corrispettivo rischio:<br />

emblematico è l’esempio dell’alpinista, il quale è conscio dei rischi ai quali si esponga<br />

(precipitare, restare sepolto da slavine, ecc.), e li assume consapevolmente, ma non<br />

ne accetta la realizzazione; lo stesso può ben accadere anche nella psiche<br />

dell’autore del reato, e le formule di Frank permetterebbero di effettuare la distinzione<br />

fra “assunzione del rischio” accompagnata dall’accettazione “della realizzazione<br />

dell’evento” potenzialmente connesso al rischio, ed “assunzione del rischio” non<br />

accompagnata dalla suddetta “accettazione di realizzazione dell’evento” 354 .<br />

L’impostazione dottrinale appena esposta (favorevole alle formule di Frank e, in<br />

particolare, alla prima formula), replica alla critica relativa alle difficoltà di<br />

effettuazione di un giudizio ipotetico, evidenziando che un giudizio di tale genere<br />

venga comunque effettuato, in ambito penale, anche ad altri fini (ad esempio ai fini<br />

della causalità, in base al criterio della conditio sine qua non) 355 ; in secondo luogo, si<br />

osserva che esso sia comunque il solo modo che consenta la valutazione di una<br />

effettiva situazione psichica, la quale sarebbe l’unico tratto realmente differenziante<br />

l’agire con dolo eventuale rispetto all’agire alla luce della mera consapevolezza del<br />

rischio che si assuma 356 . Si replica, altresì, alla critica della prima formula di Frank la<br />

quale pone in evidenza che l’applicazione di essa condurrebbe all’esclusione (non<br />

condivisibile) del dolo laddove la realizzazione dell’evento accessorio configuri il<br />

fallimento dell’obiettivo intenzionalmente perseguito dall’agente: tale “punto debole”<br />

sarebbe superabile mediante un correttivo per cui si avrebbe dolo eventuale qualora<br />

l’agente non avrebbe desistito dalla condotta se avesse avuto la certezza che, dopo<br />

la realizzazione del fine intenzionale, si sarebbe concretizzato l’evento accessorio 357 ;<br />

fermo restando la configurazione di tale correttivo, si sostiene che, comunque, non vi<br />

siano ragioni per – al contrario – affermare a priori il dolo eventuale in casi di questo<br />

genere, posto che ciò si risolverebbe in valutazioni concernenti l’apprezzabilità dei<br />

motivi che inducano (o avrebbero indotto) un soggetto ad agire a fronte della<br />

certezza di realizzazione dell’evento 358 . Infine, si osserva che i criteri<br />

tradizionalmente utilizzati ai fini dell’inquadramento del dolo eventuale e della colpa<br />

cosciente – quali il “consenso alla lesione del bene giuridico”, la “decisione contro il<br />

bene giuridico”, la “fiducia nella non verificazione dell’evento” (ai fini della colpa<br />

353 L. EUSEBI, Appunti, 1089.<br />

354 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

355 A tale osservazione replica G. CERQUETTI, Il dolo, 269, evidenziando la differenza<br />

sostanziale fra verifica di un “rapporto” (qual è il rapporto di causalità) e verifica di uno “stato” (cioè, in<br />

questo caso, la volontà).<br />

356 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1090.<br />

357 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit., nota (106). Questa è la più recente formulazione esposta<br />

dall’Autore. A dire il vero, lo stesso Eusebi aveva precedentemente esposto una prospettiva in base<br />

alla quale la prima formula di Frank non avrebbe escluso necessariamente il dolo qualora si fosse<br />

accertato che il soggetto, se avesse avuto la certezza di realizzazione dell’evento, non avrebbe agito<br />

unicamente in quanto la realizzazione dell’evento avrebbe rappresentato la frustrazione del fine<br />

intenzionale (L. EUSEBI, Il dolo, 185 s.): in questo senso l’Autore deponeva, originariamente, per un<br />

limite dell’efficace applicazione della prima formula di Frank, nei casi in cui la realizzazione dell’evento<br />

collaterale rappresentasse il fallimento del piano intenzionalmente perseguito dall’agente.<br />

358 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

69


cosciente) – rischino di non risultare univoci, se non concretizzati attraverso la prima<br />

formula di Frank 359 ; tale mancanza di univocità risulterebbe alla luce della “contiguità”<br />

fra le figure del dolo diretto e del dolo eventuale, entrambe caratterizzate dal fatto<br />

che l’agente realizzi la condotta perseguendo un fine intenzionale, ed essendo<br />

disposto a “pagare il prezzo” consistente nella realizzazione di un evento collaterale<br />

non intenzionalmente perseguito: la differenziazione tra tali forme di dolo (eventuale<br />

e diretto) consisterebbe nella componente dell’accertamento della “disponibilità a<br />

pagare il prezzo”, la quale, nel caso del dolo diretto, si dovrebbe evincere alla luce<br />

della certezza di realizzazione dell’evento stesso, percepita ex ante; mentre, nel caso<br />

del dolo eventuale, sarebbe da accertare attraverso l’applicazione della prima<br />

formula di Frank 360 .<br />

Si è detto dell’utilizzo della prima formula di Frank da parte della teoria<br />

“ipotetica del consenso”. Orbene, nel dopoguerra, tale teoria ha ricevuto<br />

un’interpretazione restrittiva da parte della Corte federale tedesca, la quale ha<br />

valorizzato il concetto di “accettazione con approvazione in senso giuridico”<br />

dell’evento: in particolare, il BGH ha sostenuto che l’approvazione necessaria ai fini<br />

della configurazione del dolo eventuale (appunto, l’“approvazione in senso giuridico”)<br />

non sia incompatibile con un mero stato emozionale contrario alla realizzazione<br />

dell’evento e possa, quindi, sussistere comunque qualora il soggetto, perseguendo<br />

uno scopo intenzionale, e non potendo raggiungerlo altrimenti, se non ponendo in<br />

essere una condotta che possa realizzare l’evento lesivo (non intenzionalmente<br />

perseguito, e magari anche non desiderato), decida di realizzare la condotta,<br />

rassegnandosi al fatto che essa possa provocate tale evento lesivo non<br />

intenzionalmente perseguito (e non desiderato); in questo senso, l’evento collaterale<br />

ricadrebbe nella sfera della volontà del soggetto agente 361 .<br />

È stato puntualmente osservato che il concetto di “approvazione in senso<br />

giuridico”, come definito dalla Corte federale tedesca, resti perlopiù oscuro ed<br />

indefinito 362 e, di conseguenza, manipolabile dalla giurisprudenza in modo tale da<br />

soddisfare le esigenze di politica criminale o sanzionatorie emergenti di volta in volta,<br />

a seconda dei casi concreti e specifici 363 . Fondamentalmente, il BGH si limita a<br />

sottolineare l’insufficienza della valutazione del solo elemento cognitivo ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo e, parallelamente, nonché allo stesso fine, la necessità<br />

di valutazione di un quid pluris concernente il versante volitivo, il quale dovrebbe<br />

essere individuato nell’“accettazione con approvazione in senso giuridico”<br />

dell’evento. Sennonché, il concetto di “accettazione con approvazione in senso<br />

giuridico” rimane definito solamente in negativo, ma non ben inquadrato in<br />

positivo 364 , e finisce per confondersi, in sostanza, con i tradizionali criteri<br />

359 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1090 – 1091.<br />

360 L. EUSEBI, op. ult. cit., 1090.<br />

361 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 49. L’Autore riporta anche, in nota (95), la traduzione della<br />

massima enunciata dal BGH all’interno della sentenza con la quale fu affermata la concezione<br />

dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico”: “Il dolo condizionato può essere affermato<br />

anche quando il reo non desidera la realizzazione dell’evento. In senso giuridico egli approva<br />

comunque questo evento quando, per ottenere lo scopo desiderato, lo accetta necessariamente, cioè<br />

quando egli, non potendo raggiungere altrimenti il suo scopo, si rassegna anche al fatto che la sua<br />

azione adduca l’evento di per sé non desiderato e, perciò, lo vuole nell’ipotesi che si verifichi”.<br />

362 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

363 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 50 – 51, 53.<br />

364 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 49 – 50.<br />

70


dell’“accettazione del rischio”, della “presa sul serio” o affini 365 . Ma vi è di più: spesso,<br />

la prova della sussistenza della componente volitiva (quindi, dell’“accettazione con<br />

approvazione in senso giuridico” dell’evento), viene fondamentalmente ricavata da<br />

aspetti che attengono al livello cognitivo 366 e, alla luce di ciò, l’evanescenza del<br />

tentativo di valorizzazione del profilo volitivo, nonché la possibilità di uso arbitrario<br />

della formula dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico” a seconda delle<br />

esigenze di politica criminale che vengano in questione di volta in volta, risultano<br />

palesi. Dovrebbe, pertanto, risultare fondata l’affermazione dell’incompatibilità della<br />

pratica giurisprudenziale di cui trattasi rispetto ai principi fondamentali del nostro<br />

diritto penale 367 .<br />

Si è sostenuto che sia incompatibile con l’ordinamento italiano, comunque, non<br />

solo la teoria dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico”, ma anche, in<br />

linea generale, la teoria del consenso basata sulla prima formula di Frank: essendo<br />

l’elemento volitivo prescritto espressamente dall’art. 43 come elemento strutturale del<br />

dolo (e, quindi, di ogni forma di dolo), non può essere accolta la soluzione<br />

consistente nella sostituzione di tale requisito strutturale ed effettivo con un elemento<br />

di carattere psichico ed ipotetico 368 . Sulla stessa linea si muove chi, in dottrina, ha<br />

identificato nella prima formula di Frank una concezione normativa del dolo 369 . Resta<br />

da prendere atto che, d’altra parte, le formule di Frank risultino, perlopiù, compatibili<br />

con l’ordinamento tedesco, che non contempla una definizione di dolo dalla quale<br />

emerga letteralmente il profilo volitivo 370 .<br />

A parere di chi scrive, gran parte dei problemi relativi all’applicazione della<br />

prima formula di Frank, nonché alla compatibilità di essa con l’ordinamento italiano,<br />

potrebbe essere superata se si considerasse non già la prima formula, bensì la<br />

seconda (spesso trascurata a favore della prima formula, e questo anche da parte<br />

degli esponenti della dottrina i quali aderiscono, tendenzialmente, al modello<br />

inquadrato da Frank), identificante il dolo eventuale nell’atteggiamento psicologico<br />

del soggetto che si determini ad agire “costi quel che costi” e, più precisamente,<br />

tramite un ragionamento del tipo “può accadere o non accadere; in ogni caso, io<br />

agisco”. Anzitutto, non si tratta di una formula avente la struttura di giudizio ipotetico,<br />

per cui dovrebbe venir meno il ramo di critiche negative basate, appunto, sul fatto<br />

365 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 50.<br />

366 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 51 – 52. L’Autore riporta, quale esempio emblematico dell’uso<br />

arbitrario del concetto di “accettazione con approvazione in senso giuridico”, la giurisprudenza del<br />

BGH relativamente ai casi di contagio da HIV da rapporto sessuale non protetto: essa tende a<br />

sottolineare la non sufficienza della sola valutazione della componente intellettiva e, parallelamente, la<br />

necessità di valutazione dell’elemento volitivo; tuttavia, se si vanno ad osservare gli aspetti<br />

generalmente utilizzati quali “prove” dell’elemento volitivo (che, nel caso della forma eventuale del<br />

dolo, dovrebbe inquadrarsi nell’“accettazione con approvazione in senso giuridico” dell’evento), non<br />

può sfuggire che essi si riducano ad una “parafrasi” della componente cognitiva, trattandosi, ad<br />

esempio, della valutazione del livello di informazione ricevuto da parte del personale medico<br />

relativamente alle modalità ed ai rischi di contagio, ovvero delle dichiarazioni rese dallo stesso<br />

imputato alla polizia, nelle quali egli riconoscesse il carattere riprovevole e non scusabile della propria<br />

condotta (queste ultime, in particolare, sarebbero senz’altro segno dell’atteggiamento psicologico del<br />

soggetto al momento della resa delle dichiarazioni stesse, ma non del suo atteggiamento psicologico<br />

al momento della realizzazione della condotta penalmente rilevante).<br />

367 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 53.<br />

368 G. CERQUETTI, Il dolo, 266.<br />

369 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 47.<br />

370 G. CERQUETTI, op. loc. ult. cit.<br />

71


che la prima formula configuri un giudizio ipotetico: si dovrebbe infatti, in applicazione<br />

della seconda formula, valutare lo stato psicologico del soggetto che fosse<br />

effettivamente sussistente al momento di realizzazione della condotta, inquadrabile,<br />

come si è detto, nella determinazione ad agire “ad ogni costo”, “a costo di provocare<br />

l’evento”; non verrebbe in gioco, d’altro canto, la valutazione dello stato psicologico<br />

che il soggetto avrebbe assunto se, ipoteticamente, avesse avuto la certezza di<br />

realizzazione dell’evento collaterale. Il ragionamento del tipo “può accadere o non<br />

accadere; in ogni caso, io agisco” appare effettivamente come elemento psicologico<br />

il quale permetta di distinguere dolo eventuale e colpa cosciente, posto che<br />

quest’ultima – come si è già avuto modo di accennare, e come meglio si vedrà nel<br />

paragrafo seguente – consiste anche essa in una certa misura di accettazione di<br />

rischio 371 : entrambe le figure (dolo eventuale e colpa cosciente), quindi, sarebbero<br />

caratterizzate dalla rappresentazione, positiva e persistente al momento di<br />

realizzazione della condotta, della possibilità di verificazione del fatto di reato,<br />

accompagnata dall’assunzione del relativo rischio e, quindi, da una componente di<br />

accettazione del rischio; ciò che mancherebbe alla colpa cosciente e che, invece,<br />

contraddistinguerebbe il dolo eventuale, sarebbe la disponibilità alla realizzazione del<br />

fatto di reato, pur di tenere (o persistere nel tenere) la condotta correlata al<br />

perseguimento del proprio fine intenzionale.<br />

In secondo luogo, dovrebbe venir meno anche la critica negativa, mossa con<br />

riguardo all’eventualità di applicazione della prima formula di Frank, in base alla<br />

quale tale formula condurrebbe ad escludere in ogni caso il dolo nelle ipotesi in cui la<br />

verificazione dell’evento rappresenti la frustrazione del fine intenzionalmente<br />

perseguito dall’agente: infatti, il ragionamento del tipo “può accadere o non accadere;<br />

in ogni caso io agisco” può essere effettuato anche se la realizzazione dell’evento<br />

comporterebbe il fallimento dell’obiettivo intenzionalmente perseguito; un soggetto<br />

potrebbe certamente essere disposto ad agire “costi quel che costi” pur di persistere<br />

nella tenuta della condotta necessaria per il perseguimento del proprio fine<br />

intenzionale, mettendo anche in conto l’eventuale frustrazione di quest’ultimo.<br />

Altresì, l’applicazione della seconda formula di Frank non dovrebbe esporsi al<br />

pericolo di ricorso a valutazioni dell’autore, anziché del fatto: non si tratterebbe,<br />

invero, di andare a valutare fino a che punto il soggetto sarebbe “stato capace” di<br />

arrivare se avesse avuto la certezza di realizzazione dell’evento (dal che<br />

conseguirebbe una valutazione della capacità a delinquere ai fini del giudizio di<br />

colpevolezza, la quale è inammissibile); del resto, è possibile effettuare un<br />

ragionamento interiore del tipo “può accadere o non accadere; in ogni caso io<br />

agisco” indipendentemente dal livello di capacità a delinquere. Ciò che andrebbe<br />

valutato non è il punto a cui il soggetto “sarebbe stato capace di arrivare” se avesse<br />

avuto la certezza di realizzazione dell’evento, bensì se egli fosse stato disposto, a<br />

fronte della rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento, a tenere la<br />

371 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 38, evidenzia che l’assunzione di un rischio sia implicita nella<br />

condotta consapevolmente negligente o imprudente (l’Autore sottolinea – ivi, 41 – che la colpa con<br />

rappresentazione di cui all’art. 61, n. 3, debba necessariamente essere “cosciente”, nel senso che<br />

debba essere caratterizzata dalla coscienza del fatto di trasgredire regole cautelari di condotta):<br />

ragion per cui la determinazione ad agire, o a persistere nella tenuta della condotta, a fronte della<br />

rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento (la quale, ai sensi dell’art. 61, n. 3, ed ai<br />

fini della colpa cosciente, deve persistere al momento della tenuta della condotta, e non deve essere<br />

stata sostituita da una controprevisione, da una rappresentazione negativa o dalla rimozione del<br />

dubbio) comporterebbe, giocoforza, una certa misura di “accettazione del rischio”.<br />

72


(o a persistere nella tenuta della) propria condotta, anche a costo di realizzare<br />

l’evento collaterale.<br />

Un ulteriore ordine di critiche generalmente rivolte all’adesione alla prima<br />

formula di Frank consiste, come si è avuto modo di osservare, nel rilievo del fatto che<br />

essa prospetti una concezione normativa di dolo: in effetti, le posizioni dottrinali che<br />

aderiscono alla prima formula di Frank aderiscono altresì, in linea di massima, ad<br />

una impostazione in base alla quale l’unico concetto descrittivo di dolo sarebbe dato<br />

dal “dolo intenzionale”, mentre le ulteriori forme di dolo sarebbero “normative”, non<br />

caratterizzate da un elemento di “volontà” inteso, in senso stretto, come “intenzione”,<br />

ma equiparate dal legislatore al dolo intenzionale in quanto ritenute forme ad esso<br />

assimilabili e, pertanto, meritevoli di trattamento analogo 372 . Tuttavia, se si considera<br />

la seconda formula di Frank e, di conseguenza, l’identificazione del dolo eventuale<br />

nell’atteggiamento di “disponibilità alla realizzazione dell’evento”, non è detto che tale<br />

assetto debba trovare necessariamente il proprio fondamento in una concezione<br />

normativa del dolo eventuale: infatti, la disponibilità alla realizzazione dell’evento, pur<br />

di persistere nella condotta correlata al raggiungimento dell’obiettivo intenzionale,<br />

potrebbe essere considerata non già come concetto essenzialmente diverso dalla<br />

“volontà” (la quale, quindi, non deve essere intesa come sola “intenzione”), bensì<br />

come graduazione del concetto di “volontà”. Del resto, l’art. 43, allorché definisce il<br />

delitto doloso, utilizza l’inciso “secondo l’intenzione”, e non il termine “intenzionale”<br />

(che, anzi, non compare mai all’interno dell’art. 43); la realizzazione di un evento alla<br />

quale il soggetto agente dimostri “disponibilità”, pur di perseguire il proprio fine<br />

intenzionale, potrebbe, effettivamente, dirsi “secondo l’intenzione” (e non “contro<br />

l’intenzione”), e ciò anche qualora essa rappresenti il fallimento del fine<br />

intenzionalmente perseguito dall’agente: infatti, l’agente si determinerebbe a<br />

realizzare la condotta, con disponibilità alla realizzazione dell’evento collaterale,<br />

proprio nell’ottica di perseguire il proprio fine intenzionale; non potrebbe perseguirlo<br />

altrimenti, se non mettendo in conto la realizzazione dell’evento collaterale (che<br />

potrebbe anche essere incompatibile con il fine intenzionale).<br />

A ben vedere, infine, la seconda formula di Frank descrive un atteggiamento<br />

che si avvicina molto a quello indicato dalla formula (riconducibile a Roxin) della<br />

“decisione a favore della possibile lesione del bene giuridico”: infatti, l’agente che<br />

sceglie di realizzare la condotta “ad ogni costo”/“a costo di provocare l’evento”, e ciò<br />

pur di perseguire il proprio fine intenzionale, dimostra una disponibilità alla lesione<br />

del bene giuridico e, quindi, decide a favore di tale possibile lesione: di fronte<br />

all’alternativa fra perseguire il proprio fine intenzionale “a costo di ledere” un bene<br />

giuridico, e desistere dal perseguire il proprio fine intenzionale tutelando lo stesso<br />

bene giuridico, egli sceglie di perseguire il proprio fine intenzionale e, quindi, sceglie<br />

la possibile lesione del bene giuridico.<br />

Del resto, ai fini dell’identificazione della colpa cosciente in modo antitetico<br />

rispetto alla “decisione a favore della possibile lesione del bene giuridico”, è<br />

veramente necessaria la formula della “sicura fiducia che l’evento non si verificherà”,<br />

con tutti gli inconvenienti che ne conseguono (ambiguità dell’espressione, rischio di<br />

confusione fra dolo eventuale e colpa cosciente, ecc.)? Si potrebbe concludere per<br />

una risposta negativa: posto che dolo eventuale e colpa cosciente abbiano in<br />

comune la previsione (positiva e persistente al momento della tenuta della condotta)<br />

372 In tal senso, L. EUSEBI, op. ult. cit., 1092; A. PAGLIARO, Discrasie, 323.<br />

73


della realizzazione dell’evento, il tratto differenziante risiederebbe già nel fatto che,<br />

mentre la colpa cosciente sarebbe caratterizzata dall’accettazione del mero rischio, il<br />

dolo eventuale sarebbe contraddistinto dall’accettazione dell’evento e, quindi, dalla<br />

disponibilità alla realizzazione dell’evento stesso; cosa, quest’ultima, che<br />

mancherebbe nel caso della colpa cosciente.<br />

8. La concezione dell’“accettazione del rischio” come elemento comune a dolo<br />

eventuale e colpa cosciente. La distinzione basata sulle modalità psicologiche<br />

di accettazione del rischio.<br />

Ai fini dell’analisi dell’impostazione teorica di cui si intende trattare<br />

(riconducibile, nell’ambito della dottrina italiana, a Salvatore Prosdocimi), è<br />

necessario ripercorrere brevemente alcune considerazioni già effettuate con riguardo<br />

alla teoria dell’accettazione del rischio, nonché all’essenza della colpa cosciente (o,<br />

meglio, “colpa con previsione”).<br />

La teoria dell’accettazione del rischio, come si è detto, individua la distinzione<br />

fra dolo eventuale e colpa cosciente nella dicotomia “accettazione del rischio”/<br />

“sicura fiducia che l’evento non si verificherà”, in forza della quale la “sicura fiducia<br />

che l’evento non si verificherà” inquadrerebbe, appunto, la colpa cosciente (rectius,<br />

“con previsione”). Tuttavia, se si osservano specularmente l’art. 61, n 3., c.p. (il quale<br />

prevede, come aggravante comune per i delitti colposi, l’“aver…agito nonostante la<br />

previsione dell’evento”) e la formula della “sicura fiducia che l’evento non si<br />

verificherà”, non può sfuggire la contraddizione tra le rispettive espressioni utilizzate:<br />

la “sicura fiducia che l’evento non si verificherà” comporta una rimozione della<br />

rappresentazione positiva dell’evento, mentre l’espressione “nonostante la previsione<br />

dell’evento” sembra postulare la persistenza della rappresentazione positiva al<br />

momento in cui venga realizzata la condotta 373 . Da tali osservazioni, consegue che<br />

l’elemento rappresentativo (inteso come rappresentazione positiva dell’evento) è<br />

elemento senz’altro comune a dolo eventuale e colpa cosciente 374 .<br />

Sennonché, in base ad un assetto così delineato, si dovrebbe concludere che<br />

anche l’accettazione del rischio sia elemento comune a dolo eventuale e colpa<br />

cosciente 375 : emblematico in tal senso, tra l’altro, è il fatto che una delle connotazioni<br />

della colpa, ossia l’imprudenza, consista proprio, essenzialmente, nell’assunzione di<br />

un rischio eccessivo 376 . Posto che la colpa è caratterizzata, in linea generale, da una<br />

condotta trasgressiva di regole cautelari, e considerato il fatto che la colpa cosciente<br />

richieda, oltre alla rappresentazione positiva della possibilità di verificazione<br />

dell’evento, anche la consapevolezza di tale carattere trasgressivo insito nella<br />

condotta stessa 377 , ne consegue che il soggetto il quale agisca con colpa cosciente<br />

non possa non accettare, in un certo modo, il rischio di produzione dell’evento:<br />

l’assunzione del rischio sarebbe, infatti, implicita proprio nella condotta negligente o<br />

imprudente, o comunque trasgressiva di regole cautelari, e la determinazione ad<br />

agire a fronte della previsione dell’evento ne comporterebbe, giocoforza,<br />

373 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 28.<br />

374 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 32.<br />

375 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 46.<br />

376 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 36.<br />

377 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 41.<br />

74


l’accettazione 378 . Ma, se così è, occorre necessariamente individuare la distinzione<br />

fra dolo eventuale e colpa cosciente su un altro versante.<br />

In considerazione dei suddetti presupposti si è, quindi, tentato di individuare il<br />

discrimen fra dolo eventuale e colpa cosciente nelle modalità psicologiche soggettive<br />

tramite le quali il rischio venga accettato (posto che, come si è detto, l’accettazione<br />

del rischio sarebbe anche essa comune a dolo eventuale e colpa cosciente). Così,<br />

secondo Prosdocimi, sussisterebbe il dolo eventuale nel caso in cui l’agente avesse<br />

accettato il rischio alla luce di una deliberazione di subordinazione di un determinato<br />

bene giuridico rispetto ad un altro: più precisamente, verserebbe in dolo eventuale il<br />

soggetto che, avendo ben chiara la rappresentazione di un fine intenzionale che egli<br />

intenda conseguire, nonché del nesso causale che potrebbe intercorrere fra la<br />

condotta necessaria per il conseguimento di tale fine e la lesione di un bene<br />

giuridico, scelga consapevolmente di realizzare la condotta funzionale al<br />

conseguimento del fine intenzionale (o di persistere nel tenerla), subordinando,<br />

quindi, il bene giuridico del quale egli si sia rappresentato la possibilità di lesione<br />

rispetto al conseguimento del proprio fine intenzionale 379 . Sulla base della<br />

deliberazione in tal modo effettuata dall’agente, si afferma che “il risultato<br />

intenzionalmente perseguito trascina con sé l’evento collaterale, il quale viene<br />

dall’agente coscientemente collegato al conseguimento del fine”, e viene altresì<br />

considerato come “prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un<br />

determinato risultato” 380 . In tal modo, peraltro, sarebbe soddisfatto il tenore letterale<br />

dell’art. 43, comma 1, alinea 1, c.p., laddove esplicita l’inciso “secondo l’intenzione”:<br />

l’evento collaterale, accettato dal soggetto nella maniera appena indicata,<br />

risulterebbe effettivamente “secondo l’intenzione”, in quanto collegato dall’agente al<br />

conseguimento del fine intenzionalmente perseguito; il tutto in base alla<br />

considerazione, ulteriore, per cui l’espressione “secondo l’intenzione” non<br />

deporrebbe esclusivamente a favore del dolo intenzionale, bensì farebbe riferimento<br />

alla struttura finalistica dell’azione umana, la quale sarebbe sempre correlata ad un<br />

fine intenzionale 381 . Peraltro, un’impostazione di questo genere conserverebbe<br />

coerenza anche nell’ipotesi in cui l’evento collaterale rappresenti il fallimento del<br />

risultato perseguito dall’agente: anche in questi casi, infatti, l’accettazione del rischio<br />

di realizzazione dell’evento può essere effettuata in base ad una deliberazione<br />

fondata su un giudizio di bilanciamento di beni giuridici, in forza del quale si concluda<br />

per il subordine del bene giuridico che la tenuta della condotta esporrebbe a rischio<br />

di lesione 382 . Del resto, si osserva che una ricostruzione di questo genere non<br />

comporterebbe neppure l’incompatibilità fra dolo eventuale e dolo d’impeto, posto<br />

che la valutazione prospettata come necessaria ai fini del dolo eventuale può<br />

benissimo essere effettuata anche in pochi istanti; fermo restando, d’altra parte, che,<br />

nel caso in cui tale valutazione si protragga a livello temporale in modo più esteso,<br />

sarà certamente più agevole concludere a favore della sussistenza del dolo 383 . Si<br />

aggiunge, infine, che l’accettazione effettuata in base alla dinamica appena descritta<br />

378 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 38.<br />

379 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 32.<br />

380 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 32 – 33.<br />

381 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 33.<br />

382 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 34.<br />

383 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 34 – 35.<br />

75


arriverebbe ad avere ad oggetto non già, propriamente, il rischio o pericolo, bensì<br />

proprio l’evento o la lesione 384 .<br />

In base ad una ricostruzione di questo tipo, tuttavia, a parere di chi scrive, ci si<br />

avvicina molto alla concezione del dolo eventuale come “decisione a favore della<br />

possibile lesione del bene giuridico”: se il soggetto agente subordina il bene giuridico<br />

esposto a pericolo rispetto al proprio interesse, consistente nella realizzazione del<br />

proprio fine intenzionale, effettivamente decide a favore della possibile lesione del<br />

bene giuridico che la condotta correlata al perseguimento del fine intenzionale<br />

esponga a pericolo. In altri termini, e per converso, “decidere a favore della possibile<br />

lesione del bene giuridico” significa, evidentemente, “decidere contro il bene<br />

giuridico”: ma se si decide contro il bene giuridico, e tale “contro” indica la<br />

realizzazione di un evento non intenzionalmente perseguito, bensì collaterale rispetto<br />

al perseguimento di un fine intenzionale, la “decisione contro il bene giuridico” si<br />

inserirà necessariamente nell’ambito di un giudizio tramite il quale l’agente subordini<br />

la tutela del bene giuridico che la sua condotta potrebbe ledere rispetto al<br />

perseguimento del proprio fine intenzionale.<br />

A ben vedere, ci si avvicina molto anche all’inquadramento del dolo eventuale<br />

prospettato dalle formule di Frank, basato sull’atteggiamento del soggetto che, a<br />

fronte della previsione della possibilità di realizzazione dell’evento, scelga di agire<br />

“costi quel che costi”, con “disponibilità a pagare il prezzo” consistente nella lesione<br />

del bene giuridico, pur di perseguire il proprio fine intenzionale: anche in questo<br />

caso, l’agente effettuerebbe una deliberazione con la quale subordinerebbe, rispetto<br />

al perseguimento del proprio fine intenzionale, il bene giuridico che venga esposto a<br />

pericolo tramite la condotta correlata, appunto, al perseguimento del fine<br />

intenzionale. Si potrebbe, quindi, concludere, se non per una coincidenza<br />

sostanziale, quantomeno per una somiglianza o analogia di significati fra la seconda<br />

formula di Frank, il criterio della “decisione a favore della possibile lesione del bene<br />

giuridico” e la teoria di Prosdocimi: probabilmente, quest’ultima descrive in modo più<br />

dettagliato il processo psicologico che si manifesti nell’agente, mentre la formula<br />

riconducibile a Roxin effettua una coerente sintesi di tale processo psicologico; la<br />

seconda formula di Frank, del resto, nella sua semplicità e con uno stile, a dire il<br />

vero, piuttosto naturale, è utile a descrivere ulteriormente l’atteggiamento psicologico<br />

che caratterizza il soggetto il quale agisca con dolo eventuale.<br />

Passando all’inquadramento della colpa cosciente, questa si avrebbe, secondo<br />

Prosdocimi, nel caso in cui l’accettazione del rischio avvenga non alla luce di una<br />

deliberazione tramite la quale l’agente subordini, rispetto al perseguimento del<br />

proprio fine intenzionale, il bene giuridico che lo stesso perseguimento del fine<br />

intenzionale potrebbe ledere, bensì per imprudenza o negligenza. In questi casi,<br />

come si è già evidenziato, l’assunzione del rischio sarebbe implicita nella condotta<br />

negligente o imprudente, e la scelta di agire nonostante la previsione del rischio<br />

comporterebbe, quindi, una accettazione del rischio stesso: in forza di tali<br />

presupposti, si configura una colpa particolarmente grave, in quanto ad essa si<br />

aggiunge, oltre alla difformità del comportamento assunto dall’agente rispetto agli<br />

standard richiesti dal rispetto delle regole cautelari, un coefficiente psicologico che<br />

manifesta una più intensa adesione del soggetto al fatto 385 .<br />

384 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 35.<br />

385 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 38 – 39.<br />

76


Non può sfuggire, inoltre, una certa analogia fra la ricostruzione qui descritta ed<br />

il pensiero di Giacomo Delitalia, secondo il quale “alcune volte, per raggiungere il<br />

risultato desiderato, l’agente è costretto a produrne anche un secondo, che può<br />

essergli indifferente o addirittura spiacevole”, ed “ove ciò accada, anche il secondo<br />

risultato deve considerarsi voluto, e voluto ab initio […] in concreto perché l’agente di<br />

fronte all’eventualità di non cagionarlo, rinunziando allo scopo perseguito, o di<br />

cagionarlo per conseguire il risultato desiderato, ha optato per quest’ultima” 386 . Lo<br />

stesso Autore, con riguardo alla incompatibilità fra colpa cosciente e “sicura fiducia<br />

che l’evento non si verificherà” evidenzia che, in effetti, qualora l’agente, in<br />

conseguenza di un giudizio “alogico”, sia indotto a ritenere che l’evento, che egli si<br />

sia originariamente rappresentato, non si verificherà, verrebbe meno proprio la<br />

coscienza della pericolosità dell’azione, per cui non potrebbe inquadrarsi la colpa<br />

cosciente 387 , e residuerebbe unicamente la configurabilità della colpa incosciente.<br />

A parere di chi scrive, l’impostazione qui descritta, e correlata con la formula<br />

della “decisione a favore della possibile lesione del bene giuridico”, nonché con la<br />

seconda formula di Frank, è probabilmente la più condivisibile fra le varie teorie<br />

inerenti la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente o, se non altro, la meno<br />

esposta a critiche negative. Anzitutto, non si pongono certo i rischi connessi alle<br />

teorie riconducibili al paradigma intellettivo, dato che si ha senz’altro valorizzazione<br />

del profilo volitivo (il fatto che, poi, sia comunque difficile, concretamente, la prova del<br />

profilo volitivo è altro discorso; come può essere “facile” la prova di elementi attinenti<br />

alla psiche del soggetto, nella quale non è certo possibile penetrare?). Nello<br />

specifico, non si pongono le questioni relative all’inadeguatezza della distinzione<br />

meramente quantitativa fra dolo eventuale e colpa cosciente, dato che la “decisione<br />

a favore della possibile lesione”/ “disponibilità alla lesione”, nonché la scelta di<br />

subordinazione del bene giuridico esposto a pericolo rispetto al perseguimento del<br />

fine intenzionale, possono sussistere anche in assenza di elevati coefficienti di<br />

probabilità statistica (elevati coefficienti di probabilità potranno essere indizi a favore<br />

del dolo, ma non potranno assumere certo carattere decisivo per il giudizio di<br />

colpevolezza). Non si pone neppure il problema della contraddizione fra<br />

l’espressione “sicura fiducia che l’evento non si verificherà” ed art 61, n. 3, c.p., dal<br />

momento che si concepisce la colpa cosciente come caratterizzata, anche essa,<br />

dalla previsione positiva della verificazione dell’evento, congiunta all’accettazione del<br />

relativo rischio (e del solo rischio, non dell’evento).<br />

Altresì, non dovrebbero emergere rischi di oggettivizzazione del requisito<br />

volitivo, dato che la deliberazione psicologica nella quale viene identificata l’essenza<br />

del dolo eventuale non appare incompatibile con l’adozione di contromisure (che,<br />

secondo la teoria dell’“operosa volontà di evitare”, escluderebbero il dolo), né con il<br />

pericolo “schermato” (inteso come pericolo che si possa ragionevolmente ritenere<br />

contrastabile o controllabile).<br />

Quanto agli stati emotivi, la mera “speranza” che l’evento non si verifichi, o<br />

sentimenti ad essa affini, non appaiono incompatibili con la “deliberazione a favore<br />

della lesione del bene giuridico”, dato che, come si è sostenuto anche nel paragrafo<br />

precedente, l’agente può “essere disponibile” a ledere il bene giuridico, e ciò pur di<br />

persistere nel perseguimento del proprio fine intenzionale, anche qualora la lesione<br />

386 G. DELITALIA, Dolo eventuale e colpa cosciente, 447.<br />

387 G. DELITALIA, op. ult. cit., 448 – 450.<br />

77


sia da egli stesso “non desiderata”; la lesione del bene giuridico potrebbe addirittura<br />

rappresentare il fallimento del piano intenzionalmente perseguito, e ciò non dovrebbe<br />

necessariamente escludere il dolo dato che, effettivamente, il soggetto, a fronte<br />

dell’alternativa fra perseguire il proprio fine intenzionale, “anche a costo di provocare<br />

l’evento (non desiderato, e non intenzionalmente perseguito)”, e desistere dal<br />

perseguire detto fine intenzionale evitando, quindi, la realizzazione dell’evento<br />

collaterale, può comunque optare per la prima alternativa: in questo caso l’evento<br />

collaterale, seppur non intenzionalmente voluto, seppur non “auspicato”/<br />

“desiderato”, seppur possa anche rappresentare il fallimento del piano<br />

intenzionalmente perseguito, potrebbe dirsi “voluto”, dato che l’agente sceglierebbe<br />

di realizzare la condotta proprio per perseguire il fine intenzionale; non avrebbe<br />

potuto farlo altrimenti, se non deliberando “contro il bene giuridico” (/ “a favore<br />

dell’evento collaterale”), e subordinando quest’ultimo al perseguimento del proprio<br />

fine intenzionale.<br />

Considerazioni di questo genere si avvicinano molto anche alla formula<br />

dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico” delineata dal BGH, e<br />

relativamente alla quale sono state mosse critiche negative: tuttavia esse riguardano,<br />

principalmente, il fatto che la giurisprudenza tedesca, in generale, tendesse<br />

comunque a ricavare la prova dell’elemento volitivo tramite una sorta di “parafrasi”<br />

dell’elemento intellettivo 388 ; quanto alla critica sostanziale alla formula<br />

dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico”, che ne evidenzia il carattere<br />

indefinito 389 , essa potrebbe venire meno o, se non altro, essere ridimensionata, alla<br />

luce del coordinamento tra tale formula ed i criteri ulteriori della “decisione a favore<br />

della lesione del bene giuridico” e della “deliberazione di subordinazione del bene<br />

giuridico (rispetto al perseguimento del fine intenzionale)”.<br />

Nondimeno, la deliberazione/decisione che dovrebbe identificare il dolo<br />

eventuale (e distinguerlo dalla colpa cosciente) non sembra porre, di per sé, i<br />

problemi suscitati dal filone giurisprudenziale e dottrinale che sostiene la dicotomia<br />

“previsione della concreta possibilità” / “previsione dell’astratta possibilità”: infatti, la<br />

decisione/deliberazione di cui trattasi, se, da un lato, sarà più facilmente sostenibile<br />

in presenza di una rappresentazione della concreta verificabilità dell’evento,<br />

dall’altro, non è detto che sia automaticamente sussistente in presenza di tale tipo di<br />

rappresentazione.<br />

È chiaro poi che, in sede processuale, un certo rischio di tendenza<br />

all’associazione tra dolo eventuale e “probabilità elevata”/ “rappresentazione della<br />

verificabilità concreta”/ “mancata adozione di contromisure”/ “rischio non schermato”<br />

ci sarà sempre, e probabilmente è ineliminabile dato che, come si è più volte<br />

evidenziato, è impossibile analizzare direttamente la psiche del soggetto, e<br />

l’elemento volitivo deve essere, dunque, ricavato necessariamente mediante un<br />

procedimento induttivo (eccezion fatta per l’ipotesi, alquanto improbabile, della<br />

“confessione” dell’imputato il quale, in sede processuale, ammetta di aver voluto<br />

388 Lo nota puntualmente S. CANESTRARI, op. ult. cit., 52. Lo stesso Autore, d’altra parte, rileva<br />

che la formula dell’“accettazione con approvazione in senso giuridico” non vada a discostarsi di molto,<br />

sostanzialmente, dalle tradizionali formule della “presa sul serio” o affini (ivi, 50), sostenendo poi che,<br />

rispetto a queste ultime, sia assimilabile, ma preferibile, il criterio della “decisione per la possibile<br />

lesione di beni giuridici” (ivi, 67).<br />

389 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 49.<br />

78


l’evento); ma questo non significa sostenere l’automatica corrispondenza fra dolo<br />

eventuale e i suddetti elementi.<br />

L’assetto teorico sostenuto da Prosdocimi è stato recentemente adottato dalla<br />

Corte di Cassazione, nell’ambito di una sentenza che assume una particolare<br />

importanza, in quanto segna una significativa deviazione dagli orientamenti<br />

generalmente adottati dalla stessa Corte in tema di reati da sinistro stradale 390 . Il<br />

caso in esame 391 vedeva l’imputato accusato di aver provocato la morte di uno degli<br />

occupanti di due automobili, nonché il ferimento di altri occupanti di esse, essendosi<br />

scontrato con dette automobili senza aver rispettato un semaforo rosso e<br />

procedendo, sprovvisto di patente ed in fuga dalla polizia, alla guida di un furgone<br />

rubato, ad altissima velocità ed avendo oltrepassato in tal modo, prima dello scontro,<br />

una serie di semafori rossi; il tutto in condizioni di traffico particolarmente intenso, a<br />

tal punto che la stessa volante della polizia, la quale si era data all’inseguimento,<br />

aveva poi desistito, optando per un controllo a distanza. I giudici di primo grado<br />

avevano affermato la sussistenza del dolo, richiamando il criterio tradizionale<br />

dell’accettazione del rischio: gli elementi di fatto caratterizzanti la situazione in cui era<br />

stata posta in essere la condotta erano – secondo i giudici – tali da indicare<br />

univocamente che l’imputato si fosse rappresentato di poter cagionare, con il proprio<br />

comportamento, incidenti con esiti letali, e che ne avesse accettato il rischio, non<br />

desistendo dalla propria condotta pur di sottrarsi al controllo della Polizia.<br />

Successivamente, i giudici di appello riformavano la sentenza di primo grado,<br />

affermando la sussistenza di colpa grave, in considerazione del fatto che i giudici di<br />

primo grado avessero basato la valutazione del dolo desumendo l’elemento<br />

rappresentativo, nonché quello volitivo (a sua volta determinato dall’accettazione del<br />

rischio), esclusivamente sulla considerazione della gravità del grado di colpa insito<br />

nella condotta tenuta dall’imputato: in base a questo solo parametro – secondo i<br />

giudici di secondo grado – non avrebbe potuto desumersi automaticamente che il<br />

soggetto si fosse rappresentato concretamente la verificazione dell’evento lesivo, o<br />

che lo avesse fatto in tempo utile per potersi determinare a riguardo (la<br />

rappresentazione concreta dell’evento lesivo si sarebbe verificata solo al momento in<br />

cui l’imputato si fosse reso conto che sulla propria traiettoria vi era l’autovettura con<br />

la quale, poi, effettivamente collise e, in base al brevissimo lasso di tempo intercorso<br />

fra il momento rappresentativo ed il momento della realizzazione dell’evento lesivo,<br />

non vi sarebbe stato tempo utile ad una “accettazione del rischio”); si rileva, inoltre,<br />

che l’aver precedentemente superato, senza conseguenze lesive, alcuni incroci<br />

avrebbe potuto infondere nel soggetto la convinzione di poterne superare ulteriori (e,<br />

in particolare, quello in cui si verificò, poi, l’incidente); nondimeno, i giudici d’appello<br />

evidenziano che l’eventualità dell’incidente rappresentasse una ipotesi sfavorevole<br />

all’imputato, in quanto avrebbe determinato il suo arresto, e ciò sarebbe stato un<br />

ulteriore indice a favore dell’esclusione del dolo.<br />

I giudici di legittimità, quindi, nell’annullare con rinvio la sentenza di secondo<br />

grado, osservano (e demoliscono) l’eccessiva valorizzazione del momento<br />

390<br />

Si fa riferimento a Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (dep. 15 marzo 2011), n. 10411, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

391<br />

La descrizione del fatto, nonché dello sviluppo del relativo processo penale, è effettuata,<br />

oltre che dalla stessa sentenza della Corte, anche da parte di A. AIMI, Fuga dalla polizia e successivo<br />

incidente stradale con esito letale: la Cassazione ritorna sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente, in www.penalecontemporaneo.it<br />

79


appresentativo effettuata da parte dei giudici di appello (a scapito dell’analisi del<br />

momento volitivo), sostenendo che essi avessero ricavato automaticamente<br />

l’assenza di rappresentazione alla luce di presunzioni (“sulla base di valutazioni<br />

astratte e presuntive”), trascurando l’analisi degli elementi di fatto caratterizzanti la<br />

fattispecie tipica complessivamente considerata (“prescindendo dall’esame di tutti gli<br />

elementi costitutivi della fattispecie tipica – condotta, evento e nesso di causalità<br />

materiale - quali emergenti dallo specifico caso concreto”, e desumendo “la<br />

configurabilità della colpa aggravata dalla previsione dell’evento sulla base di mere<br />

congetture, omettendo una compiuta analisi di tutti i dati conoscitivi acquisiti”). La<br />

Corte, in altri termini, sostiene che sia censurabile il fatto che i giudici di secondo<br />

grado avessero valutato esclusivamente alcuni elementi di prova, peraltro omettendo<br />

di considerarli alla luce del complessivo contesto concreto della fattispecie realizzata,<br />

e desumendo in base a tali valutazioni, mediante presunzioni o induzioni di carattere<br />

astratto, l’assenza di un momento rappresentativo utile alla determinazione, da parte<br />

dell’agente, a persistere nella tenuta della condotta, attraverso una scelta<br />

consapevole di farlo “a costo di ledere beni giuridici” 392 . Ulteriore punto focale della<br />

motivazione adottata dalla Corte è dato dal rilievo che i giudici di appello avessero<br />

preso le mosse dal “ragionevole dubbio”, mentre quest’ultimo dovrebbe<br />

rappresentare, se mai, il punto di arrivo, a seguito dell’esame dei fatti effettuato dal<br />

giudice di merito, e non il punto di partenza.<br />

In conclusione, i giudici di legittimità prospettano un’argomentazione la quale<br />

afferma, nel caso di specie, la sussistenza del dolo eventuale, riproponendo le<br />

considerazioni (talora tratte testualmente) della dottrina che ha sostenuto la teoria<br />

per cui il discrimen fra dolo eventuale e colpa cosciente andrebbe ravvisato nelle<br />

modalità che caratterizzano l’accettazione del rischio, essendo quest’ultima<br />

(anch’essa, oltre alla previsione positiva dell’evento) elemento comune a dolo<br />

eventuale e colpa cosciente 393 .<br />

392 La motivazione della sentenza in esame, in particolare, pone in rilievo l’omessa tenuta in<br />

considerazione dell’assenza di tracce di frenata, della mancata adozione di manovre di deviazione<br />

della traiettoria o altre manovre d’emergenza astrattamente possibili, nonché di ulteriori elementi di<br />

fatto, quali la durata e le modalità dell’inseguimento e della corrispettiva fuga, le modalità della stessa<br />

fuga adottate dopo che l’inseguimento da parte della Polizia si era trasformato in mero controllo a<br />

distanza, le caratteristiche tecniche del veicolo rubato, le caratteristiche degli incroci impegnati, il<br />

comportamento adottato dall’imputato dopo la collisione (tentativo ulteriore di fuga).<br />

393 Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (dep. 15 marzo 2011), n. 10411: “Dall’interpretazione<br />

letterale dell’art. 61, comma 1, n. 3, […] si evince che la previsione deve sussistere al momento della<br />

condotta, e non deve essere stata sostituita da una non previsione o controprevisione, come quella<br />

implicita nella rimozione del dubbio. […] Una qualche accettazione del rischio sussiste tutte le volte in<br />

cui si deliberi di agire, pur senza avere conseguito la sicurezza soggettiva che l’evento previsto non si<br />

verificherà. Il semplice accantonamento del dubbio, quale stratagemma mentale […] per vincere le<br />

remore ad agire, non esclude di per sé l’accettazione del rischio, ma comporta piuttosto la necessità di<br />

stabilire se la rimozione stessa abbia un’obiettiva base di serietà e se il soggetto abbia maturato in<br />

buona fede la convinzione che l’evento non si sarebbe verificato. […] Nel dolo eventuale il rischio<br />

deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina<br />

consapevolmente un determinato bene ad un altro. L’autore del reato, che si prospetta chiaramente il<br />

fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra il soddisfacimento dell’interesse<br />

perseguito e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra<br />

tutti gli interessi in gioco – il suo e quelli altrui – e attribuisce prevalenza ad uno di essi. L’obiettivo<br />

intenzionalmente perseguito per il soddisfacimento di tale interesse preminente attrae l’evento<br />

collaterale […] che costituisce il prezzo (eventuale) da pagare per il conseguimento di un determinato<br />

risultato.”<br />

80


Dunque, in base ai rilievi esposti, in conclusione emergono, principalmente, i<br />

seguenti aspetti alla luce dei quali la sentenza in esame segna un distacco rispetto<br />

alla tradizionale giurisprudenza relativa alla distinzione fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente: in primo luogo, viene affermata l’identità dell’elemento rappresentativo,<br />

tanto con riguardo al primo, quanto con riferimento alla seconda, in controtendenza<br />

con la giurisprudenza che prospetta una differenziazione, fra le categorie di elemento<br />

soggettivo in esame, anche sul piano intellettivo e, in particolare, sul binomio<br />

“rappresentazione della possibilità concreta” / “rappresentazione della possibilità<br />

astratta” di realizzazione dell’evento 394 ; a ciò si aggiunga anche la controtendenza<br />

rispetto alla giurisprudenza che identifica la colpa cosciente nell’ipotesi in cui il<br />

soggetto abbia agito con la “sicura fiducia” che l’evento non si sarebbe verificato;<br />

controtendenza, questa, sviluppata in base all’analisi del tenore letterale dell’art. 61,<br />

n. 3, il quale postulerebbe la persistenza della rappresentazione positiva dell’evento<br />

al momento della realizzazione della condotta; infine, si afferma che l’accettazione<br />

del rischio sia ulteriore elemento comune a dolo eventuale e colpa cosciente, con<br />

conseguente rilievo della differenziazione fra le due categorie di elemento soggettivo<br />

in base alle modalità ed all’atteggiamento interiore con cui il soggetto accetti il<br />

rischio.<br />

A tali rilievi se ne potrebbe aggiungere uno ulteriore, il quale è basato sul<br />

richiamo, da parte dei giudici di legittimità, alla prima formula di Frank; si è osservato,<br />

tuttavia, che tale riferimento appaia non coerente con l’assetto e l’esito della<br />

sentenza, in quanto effettivamente, nel caso di specie, l’applicazione della prima<br />

formula di Frank avrebbe dovuto condurre ad escludere la sussistenza del dolo<br />

eventuale, stante il fatto che l’eventualità della realizzazione di un incidente avrebbe<br />

comportato l’arresto della fuga del soggetto (fuga che costituiva il suo obiettivo<br />

intenzionale) 395 . A parere di chi scrive dovrebbe, invece, essere compatibile con<br />

l’esito della sentenza in questione la seconda formula di Frank, la quale identifica<br />

l’atteggiamento psicologico del soggetto che agisce con dolo eventuale nel<br />

ragionamento del tipo “può accadere o non accadere; in ogni caso, io agisco”, con<br />

conseguente inquadramento di un atteggiamento soggettivo di disponibilità ad agire<br />

“ad ogni costo”, ed anche a costo di “pagare il prezzo” consistente nella realizzazione<br />

dell’evento lesivo (in questo caso, l’incidente stradale, con conseguente morte o<br />

conseguenti lesioni a persone), pur di persistere nella condotta correlata al<br />

raggiungimento del proprio fine intenzionale (fuga dalla polizia).<br />

9. La distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente sul piano oggettivo del<br />

rischio e la descrizione della responsabilità per dolo eventuale in base all’analisi<br />

di tre livelli: rischio peculiare doloso, elemento intellettivo ed elemento volitivo<br />

L’assetto teorico del quale si intende trattare è riconducibile, principalmente, a<br />

Stefano Canestrari: l’Autore, a partire da una critica relativa al principio “non c’è dolo<br />

senza colpa” nonché, in linea generale, dal rilievo del carattere non esaustivo (e non<br />

esaustivo ancor di più alla luce del contesto attuale, caratterizzato da un proliferare di<br />

eterogenee categorie di rischio, talvolta di dubbia “collocazione”) delle teorie<br />

394 A. AIMI, op. cit.<br />

395 A. AIMI, op. cit.<br />

81


tradizionali, giunge ad inquadrare una differenziazione fra responsabilità per dolo e<br />

responsabilità per colpa la quale emergerebbe anche sul profilo oggettivo del rischio<br />

e, quindi, basata sulle caratteristiche sociali ed oggettive del comportamento assunto<br />

dall’agente. Nello specifico, Canestrari arriva a definire il peculiare rischio<br />

caratteristico del dolo eventuale (peculiare non solo rispetto al “rischio colposo”, ma<br />

anche rispetto al rischio rilevante ai fini della responsabilità per dolo intenzionale e<br />

diretto) come rischio che un accorto osservatore esterno (identificato nell’organo<br />

giudicante), posto nella stessa situazione concreta in cui si trovava l’agente, ed in<br />

possesso delle sue stesse conoscenze e capacità psicofisiche, non avrebbe potuto<br />

neppure prendere in considerazione nelle vesti dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis (cioè, nelle vesti di un soggetto modello appartenente alla stessa<br />

tipologia sociale dell’agente concreto, e dotato delle eventuali superiori conoscenze<br />

da quest’ultimo possedute), ovvero avrebbe potuto prendere in considerazione<br />

soltanto spogliandosi delle vesti dell’homo eiusdem conditionis et professionis 396 .<br />

L’analisi dell’Autore è, effettivamente, molto articolata, e prende le mosse da<br />

vari aspetti che, in parte, sono già stati trattati, ma che è necessario, per chiarezza<br />

espositiva, riassumere. Anzitutto, come si è detto, Canestrari sostiene la non<br />

condivisibilità della configurazione di uno “zoccolo normativo” comune a dolo e colpa,<br />

qual è quello delineato alla luce del principio “non c’è dolo senza colpa”: in primo<br />

luogo, viene posto l’accento sull’inadeguatezza dell’individuazione del “rischio<br />

consentito” effettuata sempre in base alle sole regole cautelari oggettive di condotta<br />

(c.d. “misura oggettiva” della colpa), con riferimento specifico, peraltro, al fatto che la<br />

valutazione della violazione di regole precauzionali di diligenza sia, sostanzialmente,<br />

del tutto inutile allorché si tratti di analizzare reati intenzionali 397 ; in secondo luogo, si<br />

evidenzia che il principio “non c’è dolo senza colpa” rischierebbe di condurre a<br />

conferire un carattere meramente normativo al dolo e, di conseguenza, a dare adito,<br />

in sede di accertamento dell’elemento soggettivo, ad inammissibili pratiche<br />

presuntive relative all’inquadramento dell’elemento cognitivo 398 .<br />

Inoltre, viene rilevata l’obsolescenza delle impostazioni teoriche tradizionali, alla<br />

luce di un contesto storico – sociale (quello attuale) in cui proliferano situazioni<br />

caratterizzate da “rischi consentiti” e, talvolta, addirittura disciplinati dall’ordinamento,<br />

all’interno delle quali, tuttavia, si sviluppano pericoli connessi a comportamenti<br />

“devianti” 399 , nonché situazioni di rischio di incerta classificazione 400 . A creare<br />

ulteriori esigenze di definizione di nuovi criteri concorrerebbe anche l’“irruzione” della<br />

figura del dolo eventuale nell’ambito del diritto penale dell’economia 401 . Del resto, il<br />

contesto appena delineato avrebbe posto in crisi la tendenza giurisprudenziale<br />

consistente nell’associare il dolo eventuale al versari in re illicita e, di conseguenza,<br />

la colpa cosciente alle ipotesi di realizzazione di eventi lesivi in contesti di base<br />

396 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 158.<br />

397 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 109 – 110.<br />

398 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 116.<br />

399 S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo, 907. Vengono richiamati gli esempi delle<br />

sfide automobilistiche, delle attività ludico – sportive pericolose e non riconosciute dagli organi<br />

competenti, dell’utilizzo di sostanze chimiche o medicinali nel campo della produzione industriale o<br />

sperimentazione scientifica senza il rispetto dei necessari controlli, nonché del contagio da malattie<br />

sessualmente trasmissibili: in particolare, le ipotesi di contagio da HIV vengono considerate come<br />

“ambito privilegiato” per la verifica della consistenza delle teorie inerenti il dolo eventuale (ivi, 908).<br />

400 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 908.<br />

401 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 907, 911.<br />

82


leciti 402 : tendenza chiaramente denigrata da Canestrari, il quale la considera come<br />

basata su un “principio perverso” 403 .<br />

Alla luce di quanto esposto, Canestrari si propone come obiettivo<br />

l’individuazione di un rapporto “aliud ad aliud” anche con riguardo alla distinzione fra<br />

“rischio doloso” e “rischio colposo”: il tutto, comunque, in un’ottica di conferimento di<br />

praticabilità al principio basato, fondamentalmente, sulla “decisione personale a<br />

favore della possibile lesione del bene giuridico”. In altri termini, l’Autore mira ad<br />

identificare le caratteristiche peculiari della situazione di pericolo idonea a fondare<br />

l’inquadramento del dolo eventuale in forza della “decisione personale a favore della<br />

possibile lesione del bene giuridico” 404 , specificando che, comunque, occorrerà<br />

valutare anche i due ulteriori “gradini” propri della responsabilità dolosa, ovvero<br />

rappresentazione e volontà: il solo “rischio peculiare doloso”, quindi, sarebbe<br />

condizione necessaria ma non sufficiente a fondare la responsabilità dolosa,<br />

essendo altresì necessaria l’indagine sugli elementi intellettivo e volitivo 405 . Verrebbe,<br />

in tal senso, a delinearsi una descrizione della responsabilità per dolo eventuale<br />

come articolata su tre livelli: il livello oggettivo del rischio, nonché i livelli intellettivo e<br />

volitivo (questi ultimi, chiaramente, soggettivi).<br />

I risultati positivi che potrebbero essere conseguiti mediante tale ricostruzione<br />

sono, fondamentalmente, i seguenti: anzitutto, una più precisa definizione della linea<br />

di confine fra dolo eventuale e colpa cosciente 406 ; in secondo luogo, una riduzione,<br />

se non eliminazione, dei rischi connessi da un lato all’eccessiva “soggettivizzazione”<br />

del dolo (l’Autore evidenzia come un’eccessiva valorizzazione del solo profilo<br />

soggettivo e, in particolare, volitivo potrebbe condurre all’imputazione del fortuito, o<br />

anche del dolus malus congiunto ad un comportamento che si arresti allo stadio del<br />

tentativo inidoneo 407 ), dall’altro all’eventualità del ricorso a schemi presuntivi 408 ;<br />

infine, dovrebbe essere garantita una maggior aderenza al principio di tassatività,<br />

attraverso una più determinata differenziazione fra dolo eventuale e colpa cosciente<br />

basata anche sul piano oggettivo del rischio e della dimensione “sociale” del<br />

comportamento tenuto dall’agente 409 .<br />

Altresì – e si tratta, probabilmente, della premessa di maggior complessità, ma<br />

anche di maggior rilevanza ai fini della comprensione del pensiero di Canestrari –<br />

viene posto l’accento sulla differenziazione qualitativa fra giudizio di “riconoscibilità”<br />

(e, si potrebbe aggiungere, di “evitabilità”) effettuato ai fini della responsabilità<br />

colposa e medesimo giudizio effettuato ai fini della responsabilità dolosa (il tutto,<br />

evidentemente, quale ulteriore sviluppo basato sulla critica al principio “non c’è dolo<br />

senza colpa”): pur essendo in entrambi i casi necessaria la valutazione della<br />

402<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 912. Alla descrizione della tendenza basata sull’associazione<br />

“dolo eventuale – versari in re illicita” concorre anche, tra gli altri, P. VENEZIANI, Dolo eventuale e<br />

colpa cosciente, 74 ss.<br />

403<br />

S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

404<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale, 161.<br />

405<br />

S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo, 924; ID., Dolo eventuale,176.<br />

406<br />

Anche P. VENEZIANI, op. ult. cit., 73, sostanzialmente, concorda che una concezione della<br />

struttura della responsabilità per dolo eventuale come basata su tre livelli (livello oggettivo del<br />

“rischio”, elemento intellettivo ed elemento volitivo – questi ultimi due attinenti alla sfera soggettiva)<br />

concorrerebbe a delineare in modo più preciso la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente.<br />

407<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale, 176 – 177.<br />

408 S. CANESTRARI, op. ult. cit, 161.<br />

409 S. CANESTRARI, op. loc. ult. cit.<br />

83


“percepibilità di una situazione” 410 di pericolo, nel primo caso, il riferimento alla<br />

misura oggettiva della diligenza ed al parametro dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis svolge la funzione di individuare una sfera all’interno della quale<br />

determinate attività possano essere lecitamente svolte, in quanto rispettose delle<br />

regole cautelari di condotta 411 ; in questo frangente, il giudizio di “riconoscibilità” (ed<br />

“evitabilità”) potrà ben tenere conto delle eventuali superiori conoscenze o capacità<br />

dell’agente concreto, ma ciò non comprometterebbe comunque la funzione centrale<br />

del parametro dell’homo eiusdem conditionis et professionis 412 , dato che tali<br />

eventuali superiori conoscenze o capacità potranno, sì, dilatare effettivamente la<br />

sfera della responsabilità colposa, ma ciò potrà accadere sempre e comunque sulla<br />

base determinata dal parametro dell’homo eiusdem conditionis et professionis, ed<br />

entro il limite dell’“esigibile” da parte dell’agente modello 413 ; insomma, ai fini del<br />

giudizio sulla responsabilità colposa, il parametro dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis determinerebbe la base per la valutazione della “riconoscibilità” del<br />

pericolo e per la selezione dell’“esigibilità” delle conoscenze, che potrà sicuramente<br />

essere più o meno “individualizzata” con considerazione delle superiori conoscenze<br />

possedute dall’agente concreto, ma mai oltre il limite di ciò che sia “in generale”<br />

possibile riconoscere: in questo senso si attuerebbe, nella maggior parte dei casi, un<br />

processo di “soggettivizzazione in bonam partem” 414 . Nell’ambito del giudizio<br />

inerente la responsabilità dolosa, invece, non si vede per quale motivo dovrebbe<br />

essere effettuato tale processo di “soggettivizzazione in bonam partem”, sicché le<br />

eventuali conoscenze superiori possedute dall’agente concreto andranno ad<br />

aggiungersi rispetto a quelle conoscibili dall’agente modello, ma in modo<br />

indipendente e svincolato da esse 415 , senza l’effettuazione di detto processo di<br />

soggettivizzazione 416 tramite l’astrazione in bonam partem dell’insieme di circostanze<br />

note all’agente concreto 417 . L’Autore, invero, sostiene che il giudizio di valutazione<br />

dell’oggettiva idoneità (alla realizzazione dell’evento) della condotta, ai fini della<br />

responsabilità dolosa, debba essere effettuato tenuto conto della “riconoscibilità” da<br />

parte di un “osservatore esperto” (quindi, non da parte di un “perito universale”, ma<br />

comunque da parte di un modello ancorato a parametri “severi ed impegnativi”) 418 ;<br />

del resto, nell’alveo del dolo, non vi sarebbe ragione per avvertire (e riconoscere)<br />

quelle garanzie di “spazi di libertà di azione” alle quali si è fatto riferimento con<br />

riguardo alla funzione della misura oggettiva della colpa 419 . Inoltre, Canestrari<br />

specifica che il giudizio di idoneità del pericolo doloso debba essere effettuato,<br />

fondamentalmente, alla luce degli stessi parametri utilizzati ai fini del giudizio di<br />

idoneità degli atti con riferimento al delitto tentato: quindi, mediante l’assunzione di<br />

410 S. CANESTRARI, op. ult. cit.,173 – 174. L’Autore indica chiaramente che la “percepibile”<br />

situazione di pericolo costituisca il “primo livello” della struttura del dolo e della colpa precisando,<br />

tuttavia, che tale “componente normativa” assuma caratteristiche diverse a seconda che si tratti di<br />

responsabilità dolosa o responsabilità colposa.<br />

411 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 102, 175.<br />

412 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 101, 174 – 175.<br />

413 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 113, 174 – 175.<br />

414 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 174 – 175.<br />

415 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 179.<br />

416 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 113.<br />

417 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 179.<br />

418 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 178.<br />

419 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 102.<br />

84


una prospettiva ex ante rispetto alla realizzazione del reato doloso, e su “base<br />

parziale”, cioè in considerazione delle sole circostanze effettivamente note all’agente<br />

concreto al momento in cui venga posta in essere la condotta 420 .<br />

In base a tali sviluppi, Canestrari conclude per una definizione del “rischio<br />

doloso” caratteristico del dolo intenzionale, nonché del dolo diretto 421 , come rischio<br />

oggettivamente riconoscibile da un osservatore esperto, posto al tempo e nel luogo<br />

in cui si trovava l’agente concreto, ed in possesso delle sue eventuali conoscenze<br />

superiori o capacità speciali 422 . Viene apportato, tuttavia, un correttivo per il<br />

riferimento alle attività di base consentite: in questi casi, il rischio doloso sarà quello<br />

riconoscibile, in base ai parametri suddetti, come “più elevato di quello normalmente<br />

tollerato nell’esercizio dell’attività consentita” 423 .<br />

L’Autore poi, in maniera estremamente pragmatica e, per questo, molto<br />

efficace, adduce alcuni esempi al fine di sostenere la propria tesi; in particolare,<br />

appare significativo l’esempio del corridore automobilista, il quale non sarebbe tenuto<br />

ad utilizzare le sue particolari abilità al di fuori del contesto di gara: per cui, qualora,<br />

in caso di emergenze, egli provochi intenzionalmente un evento lesivo mancando di<br />

utilizzare, proprio al fine di provocare l’evento, le proprie abilità, potrebbe configurarsi<br />

dolo (intenzionale) in un contesto oggettivo nel quale, in assenza della volontà, non<br />

avrebbe potuto configurarsi responsabilità per colpa (in quanto l’automobilista non<br />

era tenuto ad utilizzare la propria particolare abilità al di fuori del contesto di gara) 424 .<br />

Una volta inquadrata l’essenza del “rischio doloso” caratteristico del dolo<br />

intenzionale e del dolo diretto, nonché l’essenza del “rischio colposo”, è possibile<br />

passare all’analisi del peculiare rischio rilevante ai fini della responsabilità per dolo<br />

eventuale: il quale dovrà, necessariamente, essere in rapporto aliud ad aliud rispetto<br />

al “rischio colposo”, ma anche essere connotato in modo almeno parzialmente<br />

diverso rispetto al rischio rilevante ai fini della responsabilità per dolo intenzionale o<br />

per dolo diretto, stante il fatto che il dolo eventuale differisca dal dolo intenzionale per<br />

mancanza dell’“intenzione” orientata alla realizzazione dell’evento, nonché dal dolo<br />

diretto in ragione di una “diluizione” della componente intellettiva (nel dolo diretto, si<br />

ha una rappresentazione dell’evento in termini di certezza; nel dolo eventuale, il<br />

medesimo aspetto cognitivo non accede al livello della certezza) 425 . Anche ai fini del<br />

giudizio inerente il rischio peculiare ai fini della responsabilità per dolo eventuale,<br />

inoltre, occorrerà tenere conto delle conoscenze e caratteristiche individuali del<br />

soggetto concreto, da questi possedute al momento di realizzazione della condotta,<br />

in applicazione di un meccanismo analogo a quello della “prognosi postuma a base<br />

parziale” in sede di valutazione dell’idoneità degli atti ed ai fini dell’inquadramento del<br />

delitto tentato: solo in questo modo – sostiene Canestrari – si potrà valorizzare al<br />

massimo la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente sul piano volitivo, senza<br />

incorrere nella tentazione di presumere il dolo eventuale dalla sola inosservanza di<br />

regole astratte 426 . Il tutto dovrebbe essere funzionale, a sua volta, alla promozione di<br />

420 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 183 – 184.<br />

421 Nel senso dell’equiparazione fra rischio rilevante ai fini del dolo intenzionale e rischio<br />

rilevante ai fini del dolo diretto, S. CANESTRARI, op. ult. cit., 193.<br />

422 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 184.<br />

423 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 188.<br />

424 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 182.<br />

425 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 197.<br />

426 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 153, 197.<br />

85


un più “robusto fondamento” della “decisione a favore della possibile lesione del<br />

bene giuridico”: l’Autore, cioè, non intende creare un nuovo e decisivo criterio di<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, bensì individuare criteri di<br />

distinzione fra le categorie in esame anche sul piano oggettivo, i quali dovrebbero<br />

condurre alla corretta applicazione del principio della “decisione a favore della<br />

possibile lesione del bene giuridico”. Invero, Canestrari ben specifica (più volte) che<br />

l’analisi del solo livello oggettivo del rischio sia necessaria, ma non sufficiente né<br />

decisiva ai fini del giudizio complessivo per la soluzione dell’alternativa fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, dovendosi in ogni caso indagare anche il profilo<br />

soggettivo, dato da due ulteriori livelli: elemento intellettivo ed elemento volitivo 427 .<br />

Le considerazioni appena effettuate permettono di comprendere appieno il<br />

ragionamento che conduce ad individuare il criterio identificativo del rischio peculiare<br />

rilevante ai fini del dolo eventuale. In particolare, occorrerà selezionare un rischio<br />

“non consentito”, il quale oltrepassi la sfera della “pericolosità colposa”, e che dovrà<br />

essere valutato con riferimento ad un parametro consistente nel “negativo” del<br />

parametro utilizzato ai fini della valutazione del “rischio colposo”: in tal senso, il<br />

rischio rilevante ai fini del dolo eventuale sarà un rischio che l’homo eiusdem<br />

conditionis et professionis non avrebbe potuto neppure prendere in<br />

considerazione 428 .<br />

Posto, poi, che il rischio dovrà essere valutato in sede di accertamento<br />

processuale da parte dell’organo giudicante, la definizione più completa del rischio<br />

peculiare rilevante ai fini del dolo eventuale è la seguente: tale rischio è quello “non<br />

consentito” 429 , che un osservatore esperto (l’organo giudicante), posto nella stessa<br />

situazione cognitiva e dotato delle stesse capacità rispetto all’agente concreto al<br />

momento di realizzazione della condotta, non avrebbe neppure potuto prendere in<br />

considerazione nelle vesti dell’homo eiusdem conditionis et professionis, ovvero<br />

avrebbe potuto farlo solo spogliandosi di tali vesti 430 . La circostanza che non sia<br />

individuabile una “figura tipo” (e, in particolare, della stessa tipologia sociale<br />

dell’agente concreto) che avrebbe preso “seriamente in considerazione” il rischio<br />

costituisce un indice a favore della “natura dolosa” del rischio stesso. Viceversa,<br />

depone a favore della “natura colposa” di un determinato pericolo oggettivo la<br />

circostanza che sia possibile identificare una “figura tipo” la quale avrebbe potuto<br />

prendere in considerazione il pericolo stesso 431 . Tali parametri, come si è detto,<br />

dovrebbero valorizzare da un lato il concetto di “decisione a favore della possibile<br />

lesione del bene giuridico”, qualora si tratti di rischio peculiare rilevante ai fini della<br />

responsabilità per dolo eventuale; dall’altro, il criterio della “motivata fiducia che, in<br />

concreto, l’evento non si verificherà”, qualora si tratti di “rischio colposo”: non si<br />

comprenderebbe, infatti, come possa configurarsi tale “motivata fiducia” qualora un<br />

427 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 195, 197.<br />

428 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 197 – 199.<br />

429 Per quanto concerne, per converso, l’individuazione del “rischio consentito”, S.<br />

CANESTRARI, op. ult. cit., 145, evidenzia che essa debba avvenire tramite un bilanciamento di<br />

interessi analogo a quello che è alla base della valutazione dello stato di necessità: dunque, da un<br />

lato, il valore o l’utilità sociale dell’attività; dall’altro, il tipo e le dimensioni della possibile lesione, a sua<br />

volta considerata sia in funzione dell’entità o gravità del danno, sia in funzione del rango giuridico del<br />

bene oggetto della lesione. Dovranno altresì considerarsi il grado di probabilità della verificazione<br />

dell’evento ed il grado di probabilità del raggiungimento dello scopo dell’attività.<br />

430 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 201 – 202.<br />

431 S. CANESTRARI, op. ult. cit.,155.<br />

86


determinato pericolo oggettivo non avrebbe potuto neppure essere preso in<br />

considerazione dall’homo eiusdem conditionis et professionis (o, meglio,<br />

dall’osservatore esperto, dotato delle stesse capacità e cognizioni dell’agente<br />

concreto al momento di realizzazione della condotta, e posto nelle vesti dell’homo<br />

eiusdem conditionis et professionis) 432 .<br />

Questa ricostruzione non dovrebbe incorrere nei limiti che, invece, emergono<br />

con riferimento ad altri tentativi di distinzione fra “rischio doloso” e “rischio colposo”<br />

tendenti ad una “oggettivizzazione” del dolo tramite astrazione di elementi pertinenti<br />

alla tipicità colposa: si fa riferimento, in particolare, alla teoria prospettata dalla<br />

penalista tedesca Ingeborg Puppe, in base alla quale il “rischio colposo” sarebbe<br />

quello rispetto a cui un “agente razionale e giudizioso”, in base a “criteri dotati di<br />

validità generale”, possa nutrire una “seria fiducia” di non verificazione; mentre, per<br />

converso, il “rischio doloso” sarebbe quello che un “agente razionale” deciderebbe di<br />

correre “soltanto se concordasse” con la realizzazione dell’evento 433 . Canestrari<br />

definisce tale impostazione come “il tentativo più estremo di obiettivizzazione del<br />

concetto di dolo”, tramite un’interpretazione normativa della condotta, dalla quale<br />

dovrebbe ricavarsi la componente volitiva 434 . Il fondamentale nodo problematico della<br />

teoria appena esposta consiste nel fatto che il pericolo doloso venga ricostruito<br />

attraverso astrazioni pertinenti alla sfera colposa 435 : l’impostazione proposta da<br />

Canestrari, invece, vede quale uno dei principali “punti di partenza” proprio la<br />

necessità di evitare tale meccanismo.<br />

10. Dolo eventuale e colpa cosciente in relazione agli elementi del fatto tipico<br />

diversi dall’evento e nei reati di mera condotta<br />

Nella maggior parte dei casi, le riflessioni in tema di distinzione fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente vengono effettuate assumendo come base il modello dei<br />

reati di evento (e, ancor più nello specifico, il modello dei reati commissivi di evento).<br />

Tuttavia, si pongono come necessarie alcune considerazioni con riferimento ai reati<br />

di mera condotta, nell’ambito dei quali si pone la questione inerente la valutazione<br />

432 S. CANESTRARI, op. ult. cit.,156. Emblematico è l’esempio, addotto dall’Autore, del medico<br />

chirurgo direttore di una casa di cura in cui si possano eseguire solo alcuni trattamenti anestetici:<br />

qualora egli venga a conoscenza del fatto che un paziente, ivi ricoverato, sia allergico alle sostanze<br />

utilizzate per i trattamenti anestetici eseguiti dalla clinica, e del fatto che tale paziente possa essere<br />

agevolmente trasferito in altre strutture, nell’ipotesi in cui il medico scelga comunque di non trasferire il<br />

paziente e praticare l’operazione nell’ambito della propria clinica (ad esempio, per motivi di lucro, o al<br />

fine di non screditare l’istituto), si configurerà un rischio rilevante ai fini della responsabilità per dolo<br />

eventuale, dato che l’eventualità di affrontare tale rischio non avrebbe potuto neppure essere presa in<br />

esame da parte dell’homo eiusdem conditionis et professionis dell’agente concreto (quindi, da parte<br />

del “modello” di “medico chirurgo”), posto nella stessa situazione cognitiva dell’agente concreto al<br />

momento di realizzazione della condotta, e dotato delle sue eventuali capacità o cognizioni superiori.<br />

Non dovrebbe rilevare ad escludere la sussistenza della responsabilità dolosa, del resto, il fatto che il<br />

medico chirurgo si fosse rappresentato fattori impeditivi o interruttivi del nesso eziologico: non si vede,<br />

infatti, come una “fiducia” nella non realizzazione del decorso causale possa sussistere in modo<br />

“fondato” o “ragionevole”, qualora si tratti di un rischio che non avrebbe potuto neppure essere preso<br />

in considerazione dalla tipologia sociale di riferimento.<br />

433 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 117 – 120.<br />

434 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 120.<br />

435 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 122.<br />

87


dell’atteggiamento soggettivo dell’agente rispetto agli elementi del fatto tipico diversi<br />

dall’evento materiale.<br />

Va, anzitutto, preso atto che la dottrina maggioritaria tenda a concepire, quale<br />

oggetto del dolo, il fatto tipico nella sua unitarietà: più precisamente, si sostiene che<br />

tutti gli elementi del fatto tipico, anche diversi dalla condotta e dall’evento, rientrino<br />

nell’ambito di un “piano” voluto dall’agente e, quindi, siano “con – voluti” nella sua<br />

decisione 436 : in base a tale impostazione, il dolo eventuale il quale si fondi sul dubbio<br />

circa la sussistenza di elementi del fatto tipico diversi dall’evento ed il dolo eventuale<br />

che, invece, si fondi sulla “decisione a favore” della realizzazione dell’evento,<br />

vengono ricondotti ad una sfera unitaria della responsabilità dolosa 437 .<br />

Altro punto condiviso dalla dottrina maggioritaria è dato dall’osservazione per<br />

cui lo stato di dubbio su presupposti del fatto tipico diversi dalla condotta e<br />

dall’evento, da un lato, non sia sufficiente ad integrare il dolo; dall’altro, non sia<br />

neppure decisivo ad escluderlo e ad inquadrare, di conseguenza, la colpa 438 .<br />

Fermo restando tali basi comunemente condivise, sono rilevabili conclusioni<br />

sostanzialmente diverse alle quali si è giunti in dottrina.<br />

Anzitutto, è possibile richiamare l’appena descritta tesi di Canestrari: l’Autore<br />

ritiene che essa possa agevolmente risolvere la distinzione fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente anche con riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo<br />

all’interno dei reati di mera condotta; così – secondo Canestrari – si avrà uno stato di<br />

dubbio riconducibile al dolo eventuale qualora l’agente, a fronte della<br />

rappresentazione del dubbio, si rappresenti altresì uno stato di rischio di<br />

realizzazione della fattispecie penalmente rilevante il quale sia “non consentito”, e<br />

che non avrebbe potuto neppure essere preso in considerazione da un osservatore<br />

accorto, posto nelle stesse condizioni in cui si trovava l’agente concreto al momento<br />

della tenuta della condotta e nelle vesti dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis; qualora, invece, tale rischio avrebbe potuto essere preso in<br />

considerazione dall’osservatore accorto posto nelle medesime condizioni di cui<br />

sopra, il dubbio sarà ascrivibile alla sfera della colpa con previsione 439 . Canestrari<br />

evidenzia, ad ogni modo, la difficoltà di configurazione della colpa con previsione<br />

nelle ipotesi in cui il dubbio riguardi elementi del fatto tipico ininfluenti sul nesso con<br />

la conseguenza lesiva: si osserva, infatti, che sarà molto difficile ricavare l’assenza di<br />

volontà nelle ipotesi in cui l’agente, a fronte della rappresentazione del dubbio, non si<br />

fosse attivato al fine di eliminare il dubbio stesso (ma ciò non significa che, in questi<br />

casi, la volontà debba essere presunta) 440 .<br />

Sempre per quanto concerne la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente<br />

in relazione ai reati di mera condotta, Canestrari prospetta soluzioni differenziate a<br />

seconda che si tratti, rispettivamente, di reati a fattispecie pregnante (i quali siano<br />

espressione di un preesistente carattere antisociale) o di reati a fattispecie neutra<br />

(dai quali non si evinca un carattere antisociale preesistente): con riferimento ai<br />

primi, in particolare, l’Autore applica il proprio criterio di distinzione fra “rischi dolosi”<br />

436<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 203. L’Autore richiama, a sua volta, M. ROMANO,<br />

Commentario, II ed., 405.<br />

437<br />

Così osserva S. CANESTRARI, op. ult. cit., 204.<br />

438<br />

In tal senso, ex plurimis, M. GALLO, voce Dolo, 792; S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 29<br />

(ivi per quanto riguarda il dubbio in generale), 57; S. CANESTRARI, op. ult. cit., 206.<br />

439<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 206 – 207.<br />

440 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 210.<br />

88


(rilevanti ai fini del dolo eventuale) e “rischi colposi” con specifico riguardo al rischio<br />

di realizzazione del “fatto tipico”; potrà, quindi, configurarsi il dolo eventuale qualora<br />

si fosse trattato di un rischio di realizzazione del fatto tipico che fosse “non<br />

consentito”, e che non sarebbe stato neppure preso in considerazione da un<br />

osservatore accorto, posto nella stessa situazione concreta in cui si trovava l’agente<br />

reale, e nelle vesti dell’homo eiusdem conditionis et professionis; chiaramente, in<br />

caso contrario, potrà aversi la colpa cosciente 441 . Con riferimento ai secondi, del<br />

resto, l’Autore riconosce che, nella maggior parte dei casi, non sia possibile<br />

differenziare l’imputazione dolosa rispetto a quella colposa 442 : infatti, stante la<br />

mancata previsione legislativa espressa, per tali fattispecie, di una deroga al principio<br />

dell’ignorantia legis non excusat, allo stato attuale non è possibile l’applicazione della<br />

(effettivamente corretta) impostazione dottrinale la quale auspica che, nel caso dei<br />

reati a fattispecie neutra, il dolo debba richiedere la conoscenza del divieto o del<br />

comando penale 443 ; di conseguenza, fatto ed antigiuridicità non sono, in questo<br />

frangente, separabili 444 (si consideri, ad esempio, l’ipotesi dell’esercizio di attività<br />

senza l’autorizzazione prescritta: in casi di questo genere, l’agente potrà<br />

rappresentarsi – e volere – la realizzazione del reato soltanto in quanto abbia<br />

conoscenza della norma che imponga la necessità dell’autorizzazione; tuttavia, viene<br />

considerato penalmente rilevante il solo fatto che l’agente eserciti l’attività in<br />

mancanza dell’autorizzazione prescritta, a prescindere dalla conoscenza o meno<br />

della norma che impone l’autorizzazione).<br />

Quanto, poi, alle ipotesi di dubbio sull’illiceità della condotta, Canestrari<br />

sostiene che, ai fini della configurabilità del dolo eventuale, sia necessaria la<br />

rappresentazione “seria” del rischio di infrangere l’ordinamento; mentre, ai fini della<br />

colpa cosciente, sarà necessaria la “fiducia razionale”, da valutare secondo un<br />

giudizio “autenticamente obiettivo”, nella assenza di antigiuridicità 445 . Lo stesso<br />

Autore evidenzia che, del resto, la dottrina dominante tenda a ritenere sussistente il<br />

dolo eventuale nel caso in cui il soggetto, semplicemente, si fosse rappresentato la<br />

possibile illiceità dell’azione programmata, accettando il rischio di violare la legge: il<br />

tutto a prescindere da valutazioni concernenti l’evitabilità o inevitabilità dell’errore sul<br />

precetto 446 .<br />

Per quanto concerne le soluzioni proposte da Prosdocimi, anche egli prende le<br />

mosse dalla considerazione per cui oggetto del dolo debba consistere negli elementi<br />

essenziali del fatto tipico complessivamente considerato 447 ; nondimeno, tale Autore<br />

sostiene che non possano configurarsi reati “senza evento”, dovendosi intendere l’<br />

“evento” come “lesione o messa in pericolo di beni giuridici” 448 (aspetti, questi, che<br />

dovrebbero caratterizzare qualsiasi reato). Sulla base di tali assunti, Prosdocimi<br />

giunge a ritenere applicabile anche ai reati di mera condotta, o ai presupposti del<br />

441 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 215.<br />

442 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 220.<br />

443 Concordano in tal senso S. CANESTRARI, op. ult. cit., 216, 219; G. FIANDACA – E. MUSCO,<br />

Diritto penale, 612 (seppur questi ultimi con riferimento particolare ai reati omissivi propri a fattispecie<br />

neutra).<br />

444 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 219.<br />

445 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 223.<br />

446 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 221.<br />

447 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 55.<br />

448 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 58.<br />

89


fatto tipico diversi dall’evento, il criterio da lui stesso proposto, in base al quale si<br />

avrebbe dolo eventuale qualora l’agente scelga di realizzare la condotta effettuando<br />

una deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro;<br />

deliberazione, questa, che mancherebbe nel caso della colpa cosciente 449 .<br />

Per quanto attiene al versante giurisprudenziale, si rileva la tendenza all’utilizzo<br />

del criterio dell’“accettazione del rischio” anche sul fronte dei reati di mera condotta:<br />

in tal senso, ad esempio, si è affermata la configurabilità del dolo eventuale per atti<br />

osceni in luogo pubblico, con riguardo alla condotta del soggetto che avesse<br />

praticato tali atti in luogo, seppur appartato, comunque visibile, accettando il rischio<br />

che altri potessero vederlo 450 . Altresì, i giudici di legittimità hanno affermato la<br />

compatibilità del dolo eventuale con il reato di cui all’art. 189, comma 6, C. d. S.,<br />

relativo alla condotta di chi, avendo provocato un incidente stradale con danno alle<br />

persone, ometta di fermarsi e di prestare assistenza a coloro che abbiano subito<br />

danno alla persona, con rifiuto consapevole di accertare la sussistenza dei<br />

presupposti dell’obbligo prescritto dalla norma penale: si afferma, cioè, che il dolo<br />

eventuale possa sussistere anche qualora l’agente, rappresentatosi la possibilità di<br />

sussistenza dei presupposti che genererebbero – nel caso del reato di specie –<br />

l’obbligo di attivarsi, ometta di verificarne l’effettiva sussistenza, poiché ciò stesso<br />

comporterebbe l’accettazione del relativo rischio 451 . Da notare la tendenza della<br />

giurisprudenza richiamata a specificare che “il dolo eventuale, che si configura<br />

normalmente in relazione all’elemento volitivo”, possa “attenere anche all’elemento<br />

intellettivo”: tale argomentazione viene utilizzata per giustificare la configurazione del<br />

dolo eventuale con riferimento ad elementi del fatto tipico diversi dall’evento, ma<br />

dovrebbe non essere indispensabile se si considerasse quale oggetto del dolo (e,<br />

quindi, di rappresentazione e volontà) il fatto tipico complessivamente ed<br />

unitariamente inteso.<br />

449 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 56 – 57, 62.<br />

450 Cass. Pen., Sez. III, 10 giugno 2009, n. 31253, in dejure.giuffre.it: “il reato in questione è<br />

punito quanto meno a titolo di dolo eventuale, perché l’autore ha accettato in concreto il rischio che<br />

altri lo veda nel compimento dell’atto”. In senso sostanzialmente analogo, Cass. Pen., Sez. III, 17<br />

dicembre 1999, n. 4594.<br />

451 Cass. Pen., Sez. IV, 6 novembre 2008, n. 45117, in dejure.giuffre.it. Nel caso di specie, non<br />

viene affermato espressamente il criterio dell’accettazione del rischio; tuttavia, viene confermata la<br />

configurabilità del dolo eventuale in relazione al reato di cui all’art. 189, comma 6, C. d. S. e, in<br />

particolare, con riferimento ai presupposti della condotta. Nello stesso senso, e sempre con riguardo<br />

all’ “omissione di soccorso” in caso di incidente stradale con danno alle persone, ma con espresso<br />

riferimento all’“accettazione del rischio”, Cass. Pen., Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 25668, in<br />

dejure.giuffre.it: “[…] è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in<br />

relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente<br />

consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza di elementi in presenza dei quali il suo<br />

comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla<br />

verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente (ma pur<br />

sempre necessario) che, per modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della<br />

vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia<br />

derivato un “danno alle persone” e che queste “necessitino di assistenza” e, pur tuttavia, accettandone<br />

il rischio, ometta di fermarsi.”; ancora, in linea di massima nello stesso senso, Cass. Pen., Sez. IV, 10<br />

dicembre 2009, n. 3568, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. IV, 5 novembre 2009, n. 43960, in<br />

dejure.giuffre.it; Trib. La Spezia, 2 dicembre 2009, in dejure.giuffre.it.<br />

90


11. Dolo eventuale e colpa cosciente nei reati di pericolo<br />

I reati di pericolo sono caratterizzati dalla rilevanza, ai fini dell’integrazione della<br />

fattispecie penale, della realizzazione di una condotta la quale ponga in pericolo o<br />

crei la potenziale lesione di beni giuridici, a prescindere dalla effettiva lesione di<br />

essi 452 . Sono a loro volta classificabili in reati di pericolo concreto e reati di pericolo<br />

astratto o presunto: i primi sono connotati dal fatto che il giudice, in sede di<br />

accertamento, dovrà verificare l’effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto<br />

dalla norma che venga, nel caso specifico, in questione, essendo tale messa in<br />

pericolo elemento costitutivo della fattispecie penale; nel caso dei secondi, invece, la<br />

situazione di messa in pericolo del bene giuridico è, appunto, presunta in base alla<br />

realizzazione della condotta tipizzata dal legislatore, ed il giudice è dispensato,<br />

dunque, dall’accertamento dell’effettiva e concreta messa in pericolo del bene<br />

giuridico penalmente tutelato 453 .<br />

Ai fini di un’analisi delle particolarità insite nella distinzione fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente nell’ambito dei reati di pericolo, appare opportuno prendere le mosse<br />

dal rilievo dottrinale in base al quale debba essere tenuta ben ferma la distinzione<br />

concettuale fra dolo eventuale di danno e dolo di pericolo: si potrebbe, in effetti,<br />

essere indotti all’equiparazione sostanziale di tali figure, mentre invece va chiarito<br />

che il dolo eventuale di danno deve avere ad oggetto, comunque, l’evento, e non la<br />

mera situazione di pericolo che venga creata tramite la condotta 454 . Occorre tenere<br />

frema, altresì, la distinzione concettuale fra dolo di pericolo (concreto) e colpa con<br />

previsione del danno: entrambe le categorie richiedono la rappresentazione concreta<br />

del pericolo, ma altro è percepire e creare volontariamente, nonché<br />

consapevolmente, un pericolo per un bene giuridico (con “decisione” di creare tale<br />

pericolo), altro è percepire la violazione di una regola cautelare ed attuarla<br />

consapevolmente 455 .<br />

Preso atto di tali premesse, vanno rilevati, anzitutto, due orientamenti<br />

contrapposti: un primo a sostegno della trasposizione nella categoria dei reati di<br />

pericolo dei tradizionali criteri identificativi di dolo (e quindi, ovviamente, anche del<br />

dolo eventuale) e colpa utilizzati per le fattispecie di danno; un secondo a sostegno<br />

della non configurabilità del dolo eventuale nei reati di pericolo. Entrambi non<br />

sembrano condivisibili: il primo non lo è in quanto determinate fattispecie di pericolo<br />

appaiono di per sé incompatibili con il dolo eventuale, stante l’indissolubilità tra la<br />

condotta ed il rischio; il secondo non lo è in considerazione del fatto che il dolo<br />

eventuale possa, effettivamente, configurarsi con riferimento ad elementi attuali dei<br />

quali l’agente non sia a conoscenza, ovvero futuri rispetto alla realizzazione della<br />

condotta tipica; tale secondo orientamento sarebbe corretto se il giudizio di pericolo<br />

dovesse essere sempre effettuato in una rigida prospettiva ex ante, ma così non è 456 .<br />

A partire dai suddetti rilievi muovono le osservazioni di Stefano Canestrari,<br />

secondo il quale, nell’ambito dei reati di pericolo concreto, sarà difficile la<br />

configurazione della colpa cosciente, posto che il dolo eventuale richieda la<br />

452<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 198.<br />

453<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 199 – 200.<br />

454<br />

In questo senso, S. CANESTRARI, op. ult. cit., 232 – 234.<br />

455<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 236.<br />

456<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 236 – 237.<br />

91


consapevolezza del carattere concreto del pericolo e, di conseguenza, non si<br />

comprenderebbe come il soggetto possa nutrire una “fondata fiducia” nella non<br />

realizzazione del pericolo stesso, a fronte della rappresentazione della concretezza<br />

di questo. L’Autore evidenzia quindi che, nella maggior parte dei casi, si tratterà<br />

dell’alternativa fra dolo eventuale e colpa incosciente: il primo si avrà qualora il<br />

soggetto si fosse determinato ad agire a fronte della rappresentazione della<br />

possibilità concreta di creare un pericolo, qualora la produzione del rischio sia non<br />

consentita e non avrebbe potuto neppure essere presa in considerazione da un<br />

osservatore esperto, posto nella stessa situazione rispetto all’agente concreto, in<br />

possesso delle eventuali capacità superiori di quest’ultimo e nelle vesti dell’ homo<br />

eiusdem conditionis et professionis; la seconda si avrà allorché il soggetto avesse<br />

agito con la “giustificata fiducia” nella non verificazione del pericolo, la quale è<br />

incompatibile con il rischio che non avrebbe potuto neppure essere preso in<br />

considerazione in base al parametro dell’homo eiusdem conditionis et professionis e,<br />

a ben vedere, viene a coincidere con una erronea rappresentazione delle circostanze<br />

di pericolo, nonché con una assenza della autentica coscienza del pericolo stesso<br />

arrivando, quindi, a poter configurarsi solo come colpa incosciente 457 . Anche<br />

nell’ambito dei reati di pericolo presunto, sostanzialmente, potrebbe configurarsi<br />

soltanto l’alternativa fra dolo eventuale e colpa incosciente: infatti, ai fini del dolo<br />

risulta sufficiente la sola consapevolezza, da parte dell’agente, di realizzazione degli<br />

elementi tipici descritti dalla norma penale, mentre non sono necessarie coscienza e<br />

volontà di realizzazione del pericolo; ne consegue che, ai fini della configurazione<br />

della colpa, sarà necessaria l’assenza di consapevolezza della realizzazione degli<br />

elementi tipici previsti dal legislatore; del resto, a fronte della consapevolezza della<br />

realizzazione di tali elementi tipici, non è neppure configurabile la “fiducia” nella non<br />

realizzazione di essi 458 .<br />

Un’analisi approfondita sulla tematica della distinzione fra dolo e colpa<br />

nell’ambito dei reati di pericolo concreto è stata effettuata da parte di De Francesco,<br />

attraverso l’ottica della valorizzazione della rappresentazione dei nessi causali, da lui<br />

stesso sostenuta. In particolare, le osservazioni dell’Autore muovono<br />

dall’interrogativo concernente lo stabilire se, nell’ambito dei reati di pericolo concreto,<br />

sia necessaria o meno, ai fini della configurabilità del dolo, la rappresentazione di<br />

tutti gli specifici aspetti attraverso i quali si realizzi il pericolo: a tale interrogativo<br />

potrebbe fornirsi una risposta negativa se si accogliesse la trasposizione nella sfera<br />

dei reati di pericolo concreto dell’impostazione in base alla quale, nell’ambito dei reati<br />

di evento, ai fini della responsabilità dolosa non sia necessaria la rappresentazione di<br />

tutte le specifiche articolazioni del decorso causale 459 (a meno che non si tratti di<br />

articolazioni espressamente previste dalla norma incriminatrice 460 ); l’ulteriore<br />

alternativa consisterebbe, invece, nel richiedere, ai fini del dolo nei reati di pericolo<br />

concreto, che l’agente si fosse rappresentato tutte le specifiche circostanze<br />

costitutive del pericolo, sicché dovrebbe escludersi il dolo ogniqualvolta il pericolo<br />

fosse stato percepito dal soggetto in modo non corrispondente all’effettivo stato delle<br />

circostanze che lo fondassero 461 . Sennonché, questa seconda soluzione<br />

457<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 240 – 241.<br />

458<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 244 – 246.<br />

459<br />

G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, 5033.<br />

460<br />

In tal senso, G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 356.<br />

461<br />

G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5034.<br />

92


condurrebbe a risultati quantomeno dubbi, andando ad escludere il dolo in situazioni<br />

in cui l’agente si fosse comunque rappresentato l’esistenza di un pericolo (seppur<br />

sulla base di fondamenti non corrispondenti a quelli effettivamente sussistenti),<br />

effettuando un giudizio di valutazione del pericolo stesso tale per cui potesse<br />

ricavarsi una prognosi di collegamento fra quest’ultimo e condotta realizzata 462 .<br />

L’Autore sembra, dunque, condividere la soluzione per cui la valutazione del<br />

pericolo da parte dell’agente non debba, ai fini del dolo, riguardare tutte le specifiche<br />

ed effettive componenti fondanti il pericolo, essendo sufficiente un giudizio di<br />

collegamento fra condotta e pericolo stesso, seppur sulla base di fondamenti non del<br />

tutto corrispondenti a quelli effettivamente sussistenti. Quanto al dolo eventuale, in<br />

particolare, De Francesco sostiene che esso possa ben configurarsi, in relazione ai<br />

reati di pericolo concreto, qualora l’agente, pur versando in dubbio sulla sussistenza<br />

delle basi del pericolo, sia consapevole del pericolo ad esse ricollegabile 463 . Il<br />

suddetto giudizio di pericolo, tuttavia, non è – secondo l’Autore – solamente<br />

sufficiente ai fini della configurazione del dolo, ma e anche è necessario: non<br />

sarebbe esaustiva, a tali fini, la mera percepibilità oggettiva dei fattori di pericolo 464 .<br />

Dal che si dovrebbe ricavare, coerentemente, la non configurabilità della colpa<br />

cosciente con riferimento ai reati di pericolo concreto: infatti, qualora il soggetto<br />

agisca a fronte della effettuazione del giudizio circa l’esistenza del pericolo, seppur in<br />

presenza di dubbio sulla sussistenza delle basi del pericolo stesso, si avrà dolo; non<br />

potrebbe, del resto, configurarsi la colpa cosciente, dato che questa presupporrebbe<br />

la valutazione (errata), da parte dell’agente, dell’inidoneità di determinati fattori a<br />

costituire fondamento del pericolo, e ciò comporterebbe, giocoforza, una mancata<br />

percezione delle circostanze del pericolo stesso nonché, quindi, una situazione di<br />

“incoscienza”. In sintesi, possono darsi due situazioni: o l’agente realizza la condotta<br />

a fronte di un giudizio di collegamento fra questa e la situazione di pericolo, e in tal<br />

caso si avrà dolo; oppure, l’agente percepisce (erroneamente) fattori alla luce dei<br />

quali venga meno il collegamento prognostico fra condotta e realizzazione del<br />

pericolo, e in tal caso, mancando effettivamente la rappresentazione delle basi della<br />

prognosi di pericolosità, si avrà colpa incosciente, posto che la colpa cosciente<br />

dovrebbe richiedere comunque la percezione della funzione teleologica della regola<br />

cautelare trasgredita – percezione che verrebbe meno nel momento in cui sia<br />

mancante la percezione delle basi sulle quali si fondi il pericolo 465 .<br />

La colpa incosciente delineata nella maniera appena descritta, tuttavia, andrà a<br />

configurarsi come “colpa grave” qualora il soggetto non abbia effettuato il giudizio<br />

prognostico sopra indicato, pur in presenza di elementi oggettivi dai quali si sarebbe<br />

chiaramente potuto e dovuto evincere il fondamento del pericolo 466 .<br />

Si osserva, sulla base delle considerazioni suddette, che nell’ambito dei reati di<br />

pericolo tenda ad “appiattirsi” la distinzione fra dolo e colpa: più in generale, si nota<br />

come tale fenomeno si accentui con l’accentuarsi dell’“anticipazione” della tutela<br />

penale rispetto alla verificazione dell’offesa a beni giuridici. Beninteso che ciò non<br />

debba significare “eliminazione” della differenziazione fra dolo e colpa 467 :<br />

462 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5035.<br />

463 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5038.<br />

464 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5036.<br />

465 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5035 – 5036.<br />

466 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5036.<br />

467 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5037.<br />

93


semplicemente, si tratterà di una distinzione meno accentuata, posto che dolo e<br />

colpa vengano a riguardare non già la dimensione concreta e tangibile della lesione<br />

a beni giuridici, bensì un momento ad essa prodromico e, quindi, maggiormente<br />

“neutro” 468 . De Francesco osserva come, del resto, nella sfera dei reati di pericolo si<br />

affievolisca anche la distinzione fra le varie tipologie di dolo: non venendo in<br />

considerazione l’atteggiamento psicologico del soggetto rispetto all’offesa, assume<br />

rilevanza esclusivamente la prognosi di pericolo e, di conseguenza, la valutazione,<br />

da parte dell’agente, di circostanze ex ante idonee a fondare il giudizio di<br />

pericolosità 469 . L’Autore giunge, addirittura, a porre dubbi sulla configurabilità del dolo<br />

intenzionale nell’ambito dei reati di pericolo, sottolineando la difficoltà di inquadrare<br />

una vera e propria “intenzione” diretta al mero pericolo, svincolato dal risultato lesivo<br />

effettivo 470 .<br />

Sul versante giurisprudenziale, vi è tendenza a considerare configurabile il dolo<br />

eventuale con riguardo ai reati di pericolo, qualora l’agente abbia posto in essere la<br />

condotta avendo previsto come possibile la realizzazione del pericolo e accettando,<br />

di conseguenza, tale realizzazione: così, ad esempio, si è affermata la configurabilità<br />

del dolo eventuale con riferimento al reato di incendio di cosa propria, qualora il<br />

soggetto si fosse rappresentato la possibilità di realizzazione del pericolo per<br />

l’incolumità pubblica 471 ; ancora, la giurisprudenza di legittimità ha affermato la<br />

possibilità di ravvisare il dolo eventuale con riguardo al reato di commercio di<br />

sostanze alimentari nocive, per l’ipotesi in cui l’agente si fosse prospettato come<br />

probabile la pericolosità delle sostanze immesse in commercio, seppur in mancanza<br />

della diretta conoscenza del loro carattere nocivo 472 ; ulteriormente, si è affermato il<br />

dolo, quantomeno nella forma eventuale, con riguardo al reato di atti osceni in luogo<br />

pubblico o esposto al pubblico, per le ipotesi in cui tali atti fossero stati compiuti con<br />

accettazione del rischio di essere visti da altri 473 . Talvolta, da alcuni passi delle<br />

motivazioni delle sentenze, è possibile ricavare, seppur senza espressa<br />

affermazione dell’incompatibilità della colpa cosciente con i reati di pericolo,<br />

argomentazioni che potrebbero deporre a favore di tale incompatibilità: in effetti, vi è<br />

la tendenza ad esprimere il concetto di “accettazione del rischio” come<br />

automaticamente e necessariamente conseguente alla scelta di agire a fronte della<br />

rappresentazione delle basi della situazione di pericolo, o della possibilità di<br />

sussistenza di tali basi 474 . Invero, la sfera dei reati di pericolo inquadra, forse, gli unici<br />

casi nei quali potrebbe correttamente dirsi che, in ipotesi di realizzazione della<br />

condotta a fronte della rappresentazione della possibilità di sussistenza del pericolo,<br />

l’accettazione del rischio sia in re ipsa.<br />

468 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5037 – 5038.<br />

469 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5038 – 5039.<br />

470 G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 5039.<br />

471 Corte App. Bari, Sez. I, 8 febbraio 2006, n. 11, in dejure.giuffre.it<br />

472 Cass. Pen., Sez. I, 28 settembre 1982, in Cass. pen., 1984, 1, 56.<br />

473 Cass. Pen., Sez. III, 17 dicembre 1999, n. 4594, in dejure.giuffre.it<br />

474 Cass. Pen., Sez. III, 28 settembre 2005, n. 38936, in dejure.giuffre.it , ove la Corte condivide<br />

la decisione dei giudici di secondo grado, i quali avevano ravvisato il dolo, per la contravvenzione di<br />

cui all’art. 647 c.p., nella condotta degli imputati che, essendosi rappresentati i fattori di rischio,<br />

avevano continuato ad agire mantenendo inalterate le modalità precedentemente adottate.<br />

94


12. Dolo eventuale e colpa cosciente in relazione ai reati omissivi<br />

Una particolare attenzione merita la descrizione delle varie posizioni dottrinali<br />

che sono state sviluppate con riguardo all’atteggiamento di dolo eventuale e colpa<br />

cosciente in relazione ai reati omissivi.<br />

È possibile fare riferimento, anzitutto, all’impostazione sostenuta da Prosdocimi<br />

il quale, alla luce della propria teoria che identifica il dolo eventuale<br />

nell’atteggiamento psicologico dell’accettazione del rischio effettuata in base ad un<br />

giudizio di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro (individuando, per<br />

converso, la colpa cosciente nell’atteggiamento dell’accettazione del rischio per<br />

negligenza o imprudenza), sostiene che un assetto di questo genere possa trasferirsi<br />

pienamente ai reati omissivi, senza necessità di particolari adattamenti sostanziali 475 :<br />

al più, si potrà notare che il reato omissivo, per sua stessa natura, tenda ad<br />

identificare una minor adesione psicologica al fatto sotto il profilo della volontà; ma<br />

ciò non dovrebbe mutare l’applicazione sostanziale dei criteri distintivi fra dolo e<br />

colpa 476 . Altresì, si potrebbe evidenziare l’eventualità che la condotta omissiva si<br />

risolva in una mancata presa di posizione effettiva a livello psicologico, seppur in<br />

presenza dell’elemento intellettivo “completo” (vale a dire, in presenza di<br />

rappresentazione completa della situazione tipica): ciò, tuttavia, dovrebbe condurre<br />

soltanto a concludere che, con riferimento ai reati omissivi, sia particolarmente facile<br />

che possa configurarsi la colpa cosciente; ma una conclusione di questo genere non<br />

dovrebbe comportare particolari ripercussioni sostanziali sui criteri di identificazione<br />

del dolo eventuale 477 . L’Autore ritiene, quindi, privo di valenza sostanziale<br />

l’orientamento il quale pone l’accento sul fatto che, nei reati omissivi, spesso manchi<br />

una vera e propria presa di posizione da parte dell’agente, anche a fronte della<br />

rappresentazione della situazione tipica 478 . Prosdocimi giunge effettivamente a<br />

sostenere che, anche laddove la scelta del soggetto – ovviamente a fronte della<br />

rappresentazione della sussistenza dei presupposti dell’obbligo di attivarsi, nonché<br />

della possibilità di agire – non sia “imposta immediatamente”, perlopiù si giungerà<br />

sempre ad un momento in si manifesti il termine ultimo per adempiere: nel qual caso,<br />

si dovrebbe avere comunque una “autentica deliberazione”; allo stesso modo,<br />

potrebbe configurarsi una autentica deliberazione nell’ipotesi in cui il soggetto si<br />

fosse volontariamente posto nella condizione di non poter adempiere 479 .<br />

Quanto alla tesi sostenuta da Stefano Canestrari, egli ripropone, anche sul<br />

versante dei reati omissivi (impropri), il criterio basato sulla valutazione oggettiva del<br />

rischio, che sarà rilevante ai fini della responsabilità per dolo eventuale qualora non<br />

avrebbe potuto neppure essere preso in considerazione dall’osservatore esperto,<br />

dotato delle stesse capacità e conoscenze possedute dall’agente concreto al<br />

momento di realizzazione della condotta, e posto nelle vesti dell’homo eiusdem<br />

conditionis et professionis 480 . Tale assetto dovrebbe permettere di superare più<br />

agevolmente il problema dell’identificazione dell’elemento soggettivo nelle ipotesi in<br />

cui il soggetto, pur riconoscendo determinate misure come “le più efficaci” ai fini<br />

475 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 67.<br />

476 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

477 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 65 – 66.<br />

478 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 65.<br />

479 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 66.<br />

480 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 253.<br />

95


dell’impedimento dell’evento, ne abbia adottate altre relativamente alle quali<br />

versasse in dubbio circa l’idoneità all’impedimento dell’evento stesso: potrà<br />

concludersi a favore del dolo eventuale soltanto qualora la situazione oggettiva del<br />

rischio assuma i connotati propri del rischio descritto come peculiare ai fini del dolo<br />

eventuale nei termini suddetti; altrimenti, si dovrà propendere a favore della colpa<br />

cosciente; chiaramente, quest’ultima opzione si effettuerà, a maggior ragione, nel<br />

caso in cui il soggetto fosse effettivamente convinto dell’idoneità dei mezzi<br />

“alternativi” rispetto a quelli riconosciuti come i “più efficaci” 481 .<br />

Per altro verso, deve essere respinto l’orientamento il quale tende addirittura a<br />

negare, con riferimento ai reati omissivi, la configurabilità di un dolo in senso stretto,<br />

con conseguente valorizzazione del livello rappresentativo e svalutazione<br />

dell’“autentico” elemento volitivo che, conformemente a tali impostazioni teoriche,<br />

potrebbe anche mancare 482 .<br />

Quantomeno dubbie appaiono, infine, le conclusioni di chi sostiene la non<br />

compatibilità del dolo eventuale con i reati omissivi impropri: tale assetto afferma<br />

che, qualora la realizzazione di un evento lesivo sia dovuta alla semplice inerzia da<br />

parte del soggetto, il quale si fosse rappresentato che dalla propria inerzia avrebbe<br />

potuto derivare l’evento da lui non intenzionalmente perseguito, la realizzazione<br />

dell’evento stesso non sarebbe la proiezione della volontà del soggetto 483 . A tali<br />

conclusioni sostanziali giunge, in particolare, l’impostazione sostenuta da Luciano<br />

Eusebi, conformemente alla quale la condotta caratterizzante il reato omissivo<br />

improprio non sarebbe “già di per sé orientata ad uno scopo”: sicché non sarebbe<br />

configurabile una componente normativa equiparabile alla volizione (va ricordato che<br />

Eusebi aderisce alla concezione normativa delle forme di dolo diverse dal dolo<br />

intenzionale) quale sarebbe, invece, quella della “disposizione a pagare il prezzo”<br />

costituito dalla realizzazione dell’evento, pur di conseguire il fine intenzionale 484 .<br />

L’Autore, dunque, osserva che non possa costituire un elemento assimilabile alla<br />

volontà l’atteggiamento psicologico del soggetto che, semplicemente, si astenga<br />

dall’agire, seppur a fronte della rappresentazione della possibilità che si realizzino<br />

eventi lesivi a causa di tale inerzia: mancherebbe, in questi casi, una effettiva presa<br />

di posizione con riguardo all’evento 485 .<br />

Tuttavia, lo stesso Eusebi giunge ad ipotizzare casi limite nei quali egli ammette<br />

possa configurarsi, anche con riferimento ai reati omissivi impropri, un elemento<br />

assimilabile alla volontà e, dunque, idoneo a fondare il dolo eventuale: si tratterebbe<br />

delle ipotesi in cui il soggetto che realizzi l’omissione sia effettivamente determinato<br />

da un fine intenzionale, che nulla abbia a che fare con il mero evitare gli oneri<br />

dell’adempimento, e che sia conseguibile tramite l’inerzia (l’Autore apporta l’esempio<br />

del garante che non utilizzi uno strumento salvavita onde rivenderlo a fini di lucro) 486 .<br />

Sennonché, alla luce di quest’ultima considerazione, sarebbe forse stato più<br />

481 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 254.<br />

482 Espone tale orientamento, pur non condividendolo, S. CANESTRARI, op. ult. cit., 248.<br />

483 Tale orientamento è descritto, ma non condiviso, da S. CANESTRARI, op. ult. cit., 250. In<br />

senso, invece, concorde con esso, L. EUSEBI, Il dolo come volontà, 206 – 208; ID., Appunti, 1094 –<br />

1095; A. PAGLIARO, Discrasie, 324, il quale tende ad escludere la configurabilità del dolo eventuale<br />

addirittura anche con riguardo ai reati omissivi propri.<br />

484 L. EUSEBI, Appunti, 1094; nello stesso senso, ID., Il dolo come volontà, 206 ss.<br />

485 L. EUSEBI, Appunti, 1095.<br />

486 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

96


prudente sostenere soltanto che i reati omissivi possano più facilmente essere<br />

caratterizzati da colpa, che non da dolo eventuale, anziché escludere di netto la<br />

configurabilità di quest’ultimo, salvo poi delineare eccezioni le quali, seppur<br />

improbabili, sono di fatto possibili.<br />

Sul versante giurisprudenziale, si può osservare la tendenza a riconoscere la<br />

configurabilità del dolo eventuale con riferimento ai reati omissivi, attraverso la<br />

tradizionale applicazione del criterio dell’accettazione del rischio. Uno dei principali<br />

ambiti nei quali vi è stata affermazione del dolo eventuale con riguardo alla condotta<br />

omissiva è quello relativo alla responsabilità dell’amministratore di società; in<br />

particolare, ad esempio, si è affermata la rilevanza penale della condotta omissiva<br />

del soggetto che abbia assunto la carica quale prestanome di altri soggetti, i quali<br />

abbiano agito come amministratori di fatto: egli, tramite l’accettazione della carica, si<br />

vedrebbe attribuiti doveri di vigilanza e controllo, la cui violazione (mediante<br />

omissione) sarebbe idonea a fondare la responsabilità per dolo eventuale, qualora il<br />

soggetto stesso si fosse rappresentato che dalla propria condotta omissiva potessero<br />

scaturire eventi tipici del reato, accettandone il rischio 487 ; in sintesi, si ammette la<br />

configurabilità della responsabilità penale dell’amministratore “testa di legno”, a titolo<br />

di omissione, per reati realizzati con condotta commissiva da soggetti che abbiano<br />

agito come amministratori di fatto, dato che l’accettazione della carica da parte del<br />

primo gli attribuisce determinati doveri di controllo e vigilanza che, se trasgrediti,<br />

possono comportare il fondamento della responsabilità penale per reati omissivi<br />

impropri ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.; ai fini di tale tipo di responsabilità<br />

sarebbero sufficienti la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano<br />

scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero l’accettazione del rischio che questi si<br />

verifichino. Recentemente, i giudici di legittimità hanno applicato un’impostazione di<br />

questo genere (compresa l’affermazione della configurabilità del dolo eventuale in<br />

base al criterio dell’accettazione del rischio) in particolare al reato di truffa 488 .<br />

Sempre con riguardo alla responsabilità degli amministratori, si è affermata la<br />

rilevanza penale della condotta omissiva in tema di falso in bilancio: fermo restando<br />

la necessità di accertamento del nesso eziologico fra condotta omissiva e<br />

realizzazione del falso – attraverso il giudizio prognostico ed ipotetico attraverso il<br />

quale si debba valutare se il fatto non si sarebbe verificato in mancanza del<br />

comportamento omissivo –, si ammette che il profilo soggettivo possa dirsi sufficiente<br />

ad integrare la fattispecie anche nella forma del dolo eventuale, con richiamo della<br />

teoria dell’accettazione del rischio, sicché si considerano “voluti” dall’agente non solo<br />

i risultati che egli si sia posto come fine ultimo, bensì anche quelli che siano stati da<br />

lui previsti come possibili 489 (e – si potrebbe aggiungere – accettati).<br />

Ancora, la responsabilità penale degli amministratori di società per condotta<br />

omissiva è stata dedotta, in base al combinato disposto dell’art. 2392 c.c. e dell’art.<br />

40, comma 2, c.p., per l’ipotesi in cui l’amministratore avesse provocato, con<br />

omissione (e, in particolare, con violazione del dovere di vigilanza), la sottrazione di<br />

beni della società: in questi casi, è stata ammessa la configurabilità del dolo<br />

eventuale in capo all’amministratore che, essendo stato retribuito unicamente per<br />

487 In questo senso, Cass. Pen., Sez. V, 25 marzo 1997, n. 4892, in dejure.giuffre.it; Trib.<br />

Pescara, 19 marzo 2002, in dejure.giuffre.it; Uff. Indagini preliminari Bari, 9 dicembre 2009, in<br />

dejure.giuffre.it .<br />

488 Cass. Pen., Sez. II, 5 maggio 2011 (deposito 8 settembre 2011), n. 33320, in dejure.giuffre.it<br />

489 Trib. Milano, 24 novembre 1999, in dejure.giuffre.it<br />

97


assumere la carica in modo formale, aveva fin dall’inizio omesso i controlli che<br />

avrebbe dovuto, invece, effettuare, accettando con ciò stesso – si afferma – il rischio<br />

della dispersione del patrimonio sociale 490 .<br />

In tema di bancarotta fraudolenta, sempre sulla stessa linea, è stata affermata<br />

la responsabilità dell’amministratore, per condotta omissiva (in particolare, per<br />

omissione di controlli) ed a titolo di dolo eventuale, qualora fosse stato accettato il<br />

rischio che altri commettessero il reato 491 .<br />

Non si può non notare come, nelle casistiche appena delineate, la<br />

giurisprudenza giunga a dilatare la sfera di applicabilità dell’imputazione per dolo,<br />

quasi non lasciando spazio alla configurabilità della colpa cosciente: praticamente, si<br />

tende a dedurre in modo automatico l’accettazione del rischio dal solo fatto che il<br />

soggetto abbia agito a fronte di un determinato livello intellettivo.<br />

Sul versante dei reati omissivi impropri, è opportuno richiamare anche l’ormai<br />

classico “caso Oneda”, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità ha, come<br />

si è visto, affermato la colpa con previsione, escludendo il dolo eventuale in base alla<br />

non configurabilità (ritenuta dalla Corte) dell’elemento volitivo in capo ai genitori<br />

Testimoni di Geova e con riferimento alla morte della figlia, con evidente<br />

valorizzazione di un profilo attinente alla sfera emozionale 492 ; il fatto che la sentenza<br />

di merito di secondo grado fosse giunta a conclusioni quasi diametralmente opposte<br />

(esclusione della colpa cosciente, ed affermazione del dolo eventuale), e sulla base<br />

di argomentazioni anch’esse quasi diametralmente opposte (basate sulla<br />

affermazione dell’irrilevanza del profilo emozionale) 493 , mette in luce la complessità<br />

della trattazione, nonché il carattere insoddisfacente dei criteri rispettivamente<br />

utilizzati. A partire considerazioni analoghe, Stefano Canestrari ha tentato di<br />

“risolvere” il caso in questione mediante l’applicazione del criterio da lui stesso<br />

proposto ai fini della distinzione fra rischio rilevante per il dolo eventuale e rischio<br />

rilevante per la colpa cosciente: nel caso di specie, l’Autore ravvisa una situazione di<br />

rischio che avrebbe potuto essere almeno presa in considerazione dall’homo<br />

eiusdem conditionis et professionis; sicché, dovrebbe configurarsi un rischio rilevante<br />

ai fini della responsabilità per colpa, e non per dolo eventuale 494 . Si dovrebbe<br />

evidenziare, quindi, una particolare utilità del criterio basato sull’analisi del livello<br />

oggettivo del rischio nell’ambito dei reati omissivi impropri, nei quali la realizzazione<br />

dell’evento lesivo è provocata tramite un “non fare” 495 .<br />

Più di recente 496 , la responsabilità a titolo di omissione in base all’art. 40,<br />

comma 2, c.p., con riconoscimento del dolo eventuale, è stata affermata per abusi<br />

sessuali e violenza privata: in particolare, si è ritenuto responsabile per omissione il<br />

rettore di una comunità, il quale non aveva impedito tali pratiche commissive da parte<br />

di un soggetto che operava all’interno della comunità stessa, pur essendo stato il<br />

rettore ripetutamente informato degli accadimenti anomali. Nel caso di specie, i<br />

giudici di merito di secondo grado – lo si ricava dalla stessa sentenza della<br />

490<br />

Cass. Pen., Sez. V, 31 gennaio 2000, in dejure.giuffre.it<br />

491<br />

Corte App. Milano, Sez. II, 29 maggio 2008, in Foro ambrosiano, 2008, 2, 207.<br />

492<br />

Cass. Pen., Sez. I, 13 dicembre 1983, in Cass. pen., 1984, 12, 2400.<br />

493<br />

Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4 – 5, 961. Per l’analisi<br />

dettagliata della sentenza di secondo grado, nonché della sentenza di legittimità, v. supra, cap. II, par.<br />

III.<br />

494<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 255 – 256.<br />

495<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 257.<br />

496<br />

Cass. Pen., Sez. III, 12 maggio 2010, n. 28701, in dejure.giuffre.it<br />

98


Cassazione – avevano ritenuto insussistente l’elemento soggettivo, in quanto<br />

avevano sostenuto che, ai fini del dolo, non fosse sufficiente una generica<br />

rappresentazione di un evento, ma fosse necessaria una rappresentazione del “dato<br />

storico nella sua globalità”; sulla stessa linea, i giudici di appello avevano evidenziato<br />

che la responsabilità dolosa per omissione ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.,<br />

dovesse richiedere non solo l’effettiva consapevolezza della sussistenza dei<br />

presupposti dell’obbligo di agire, bensì anche una determinazione a non agire, con<br />

piena percezione – volizione del danno che la norma incriminatrice trasgredita<br />

tendesse ad evitare, concludendo che, nel caso di specie, non potesse dirsi<br />

raggiunta la prova in tal senso. Sennonché, i giudici di legittimità osservano le<br />

incongruenze della correlazione fra presupposti di partenza assunti dai giudici di<br />

appello e conclusioni dagli stessi tratte: se, da un lato, l’argomentazione adottata<br />

all’interno della sentenza di secondo grado sarebbe, in astratto, corretta, dall’altro<br />

non si adatterebbe coerentemente al caso concreto; effettivamente – rilevano i<br />

giudici di Cassazione – non si comprenderebbe come possa escludersi la rilevanza<br />

dell’atteggiamento soggettivo in capo al rettore il quale, essendo stato edotto degli<br />

accadimenti anomali che avvenivano all’interno della comunità, avesse dimostrato la<br />

più totale inerzia. Si giunge, sostanzialmente, a censurare la conclusione per cui<br />

l’imputato non avrebbe avuto una “piena percezione – volizione” del danno che la<br />

norma incriminatrice mirava ad evitare, nonché a ritenere infondata e non<br />

condivisibile la necessità, ai fini dell’attribuzione della responsabilità in casi di tale<br />

genere, di un dolo diretto. Si ammette, conseguentemente, la configurabilità del dolo<br />

eventuale.<br />

Sul versante dei reati omissivi propri, sono rilevabili numerose pronunce che<br />

ammettono la compatibilità del dolo eventuale con le ipotesi di fuga e omessa<br />

assistenza a seguito di incidente stradale riconducibile al proprio comportamento e<br />

con danni alle persone: nella maggior parte dei casi, viene proposto il tradizionale<br />

criterio dell’accettazione del rischio; accettazione la quale, tuttavia, viene<br />

generalmente dedotta alla luce della mera correlazione fra elemento cognitivo<br />

(rappresentazione della possibilità che si fossero verificati danni alle persone) e<br />

condotta consistente nell’allontanamento dal luogo dell’incidente, con omissione di<br />

verifica della sussistenza dei presupposti dell’obbligo di “fermarsi ed assistere”, ed in<br />

considerazione della particolare “pregnanza” dei dati di fatto (ad esempio, violenza<br />

dell’urto determinato dall’incidente, conseguenze al veicolo determinate<br />

dall’incidente, ecc.) dai quali avrebbe potuto ricavarsi la rappresentazione (anche in<br />

termini di mera possibilità) della sussistenza di detti presupposti 497 ; talvolta, in pratica<br />

497 Cass. Pen., Sez. IV, 25 settembre 2008, n. 47373, in dejure.giuffre.it, ove si afferma il dolo<br />

eventuale in capo al soggetto che, avendo percepito l’incidente stradale come riconducibile al proprio<br />

comportamento e come concretamente idoneo a provocare danni alle persone, si fosse – invece –<br />

allontanato dal luogo, senza accertare la sussistenza degli elementi integranti la fattispecie. Nello<br />

stesso senso, Cass. Pen., Sez. IV, 13 febbraio 2008, n. 12364, in dejure.giuffre.it: “per la sussistenza<br />

del reato di omissione di assistenza, è necessaria l’effettività del bisogno dell’investito, che viene<br />

meno nel caso di assenza di lesioni, di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più<br />

necessario, né utile o efficace, l’ulteriore intervento dell’obbligato, circostanze che non possono<br />

essere ritenute ex post, dovendo l’investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione.<br />

In conclusione: non può invocare l’ignoranza del bisogno di assistenza chi, dopo avere cagionato un<br />

incidente caratterizzato da un urto diretto e violento del veicolo da lui condotto contro il corpo<br />

dell’investito, si sia dato alla fuga senza aver accertato lo stato della vittima”; Trib. Bari, Sez. II, 24<br />

gennaio 2008, n. 170, in dejure.giuffre.it (in questo caso si opta per l’assenza dell’elemento<br />

99


si è espressamente ammessa la configurazione in re ipsa dell’accettazione del<br />

rischio sulla base dei criteri appena esposti, ovvero sulla base del comportamento<br />

dell’agente che, consapevolmente, rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in<br />

presenza dei quali la sua condotta costituirebbe reato 498 .<br />

In ulteriori casi è possibile, sempre con riferimento al reato di omessa<br />

assistenza a seguito di incidente stradale con danni alle persone, rilevare motivazioni<br />

le quali non si limitano a riproporre pedissequamente la formula dell’accettazione del<br />

rischio, ma contribuiscono a (o, almeno, tentano di) descrivere in misura più precisa<br />

l’elemento psicologico proprio del dolo eventuale, attraverso il concetto di “agire a<br />

costo che il danno esistesse” 499 .<br />

13. Questioni relative alla prova dell’elemento soggettivo<br />

La dottrina tende a rimarcare con forza l’inammissibilità del ricorso a schemi<br />

presuntivi ai fini della prova dell’elemento soggettivo; in particolare, con riferimento al<br />

dolo, stante il dettato dell’art. 43 laddove, ai fini dell’integrazione del “delitto doloso”,<br />

si richiedono previsione e volontà reali di un fatto di reato, si rende necessario<br />

l’accertamento effettivo e, anch’esso, reale dell’atteggiamento interiore dell’agente:<br />

tale tipologia di accertamento è, di per sé, incompatibile con il concetto stesso di<br />

“presunzione” 500 . Sulla stessa linea, si rigetta l’ammissibilità della configurazione di<br />

dolo in re ipsa, ossia ritenuto di per sé sussistente nella realizzazione di un<br />

determinato fatto: al pericolo di ricorso al dolo in re ipsa si espongono, in particolare,<br />

le fattispecie dotate di significativa pregnanza nelle quali, da un lato, la volontà<br />

potrebbe sembrare implicita nella condotta stessa; dall’altro, tuttavia, risulti difficile la<br />

prova effettiva dell’elemento soggettivo (in questo senso vengono in rilievo, ad<br />

esempio, i reati di falso, o la bancarotta fraudolenta) 501 .<br />

D’altra parte, stante l’impossibilità di indagine diretta all’interno della psiche del<br />

soggetto, non può non ammettersi il ricorso a regole d’esperienza: ne consegue che<br />

l’induzione da fatti concreti a processi psichici risulta una modalità indispensabile ai<br />

fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo, senza l’utilizzabilità della quale la<br />

prova del dolo, in particolare, si tramuterebbe un una probatio diabolica 502 .<br />

Sennonché, nel particolare ambito consistente nei casi in cui si debba<br />

distinguere fra dolo eventuale e colpa cosciente, spesso la situazione si complica, in<br />

quanto il confine tra ricorso a regole d’esperienza e ricorso all’affermazione del dolo<br />

in re ipsa o a presunzioni, già di per sé sottile 503 , lo diviene ancora di più in sede di<br />

soggettivo, in considerazione della lieve entità dei danni cagionati al veicolo tamponato e riportati dallo<br />

stesso veicolo condotto dall’imputato).<br />

498<br />

Trib. Bari, Sez. I, 5 novembre 2007, in dejure.giuffre.it<br />

499<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 3568, in dejure,giuffre.it; qui, i giudici di legittimità<br />

confermano la decisione del giudice di merito, il quale aveva ritenuto sussistente il dolo eventuale<br />

nella condotta del soggetto che non si fosse fermato a prestare assistenza, a seguito di incidente<br />

ricollegabile al suo comportamento e che aveva provocato la fuoriuscita dalla carreggiata, nonché lo<br />

scontro su un muretto, di altra autovettura: ciò rendeva probabile che si fossero verificati danni alle<br />

persone, per cui l’imputato, allontanandosi dal luogo, lo avrebbe fatto “a costo che il danno esistesse”.<br />

500<br />

In questo senso, tra gli altri, G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 367.<br />

501<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 367 – 368.<br />

502<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 367.<br />

503<br />

G. FORTE, Dolo eventuale tra divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità, 825.<br />

100


valutazione della sussistenza o assenza di un elemento volitivo che, se sussistente,<br />

è di sicuro “attenuato” rispetto a quello che caratterizzerebbe il dolo intenzionale o il<br />

dolo diretto: così, ad esempio, si sostiene che il dolo eventuale, di norma, sarà da<br />

affermare in presenza di rischi “gravi e tipici”, mentre sarà da escludere in presenza<br />

di rischi “lievi ed ordinari”; ma ciò non deve significare ritenere automaticamente<br />

sussistente il dolo in base a soli dati oggettivi di rischio, ed aprire la strada a<br />

dilatazioni eccessive della sfera di applicazione del dolo eventuale 504 . Sulla stessa<br />

linea, buona parte della dottrina tende ad affermare che il requisito dell’ “elevata<br />

probabilità” di verificazione del fatto non debba essere la prova del dolo eventuale,<br />

bensì debba costituire un elemento con funzione di garanzia, in assenza del quale è<br />

difficile ritenere sussistente tale forma di imputazione soggettiva; analogamente, si<br />

afferma la necessità di evitare automatiche equazioni fra “elevata probabilità” e dolo<br />

eventuale, ovvero fra versari in re illicita e dolo eventuale, così come anche<br />

l’equazione fra versari in re licita e colpa cosciente (o, comunque, esclusione del dolo<br />

eventuale) 505 . Si avverte, insomma, la necessità di individuazione di un livello di<br />

rischio “oggettivamente apprezzabile”, il quale dovrebbe costituire non già la prova<br />

del dolo eventuale, bensì un indice a fondamento del profilo soggettivo, e con<br />

funzione di garanzia: si è giunti anche alla conclusione per cui, al di sotto di tale<br />

livello “oggettivamente apprezzabile”, potrebbe configurarsi solo il dolo nella forma<br />

intenzionale 506 .<br />

Particolarmente significativa risulta l’enunciazione, da parte di Carrara, di vari<br />

criteri i quali dovrebbero fungere da indicatori (“congetture induttive”, senza valore<br />

assoluto) ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo; tali criteri sono individuati<br />

con particolare riferimento all’omicidio, inteso storicamente come “paradigma” del<br />

reato commissivo di evento, e sono i seguenti: indole del soggetto accusato,<br />

precedenti manifestazioni d’animo, causa a delinquere, natura delle “armi” utilizzate,<br />

numero e direzione dei colpi (qualora la direzione fu dipendente dalla volontà), stato<br />

antecedente dei rapporti fra omicida e vittima 507 . Si tratta, come si è detto, non già di<br />

elementi con valore assoluto, alla luce dei quali l’elemento soggettivo possa essere<br />

presunto, bensì di indicatori.<br />

Altrettanto interessante è l’individuazione, da parte di Franco Bricola, di due<br />

“binari” i quali dovrebbero inquadrare l’accertamento del dolo: da un lato, gli elementi<br />

attinenti alla fattispecie legale obiettiva; dall’altro, gli elementi inerenti la “personalità<br />

dell’agente” 508 , che dovrebbero rilevare, in particolare, ai fini dell’accertamento della<br />

componente intellettiva 509 ; lo stesso Bricola evidenzia, d’altra parte, che debba<br />

essere evitata una eccessiva “psicologizzazione” del dolo, posto che elementi quali<br />

l’“accettazione”, il “desiderio”, l’“interesse”, possano rappresentare unicamente<br />

“indicatori” del dolo, ma non “elementi costitutivi” di esso 510 .<br />

Sul versante giurisprudenziale, in particolare, si propende per modalità di<br />

accertamento dell’elemento soggettivo basate principalmente sulla deduzione della<br />

504<br />

G. LATTANZI – E. LUPO, op. cit., 329.<br />

505<br />

M. DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione, 2575 – 2577.<br />

506<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2578.<br />

507<br />

I criteri elaborati da Carrara sono esposti da G.P. DEMURO, Il dolo, vol. 2, 439.<br />

508<br />

G.P. DEMURO, op. ult. cit., 441., il quale descrive l’impostazione prospettata da Bricola con<br />

riguardo all’accertamento del dolo.<br />

509 G.P. DEMURO, op. ult. cit., 443.<br />

510 G.P. DEMURO, op. loc. ult. cit.<br />

101


volontà (o dell’assenza di volontà, si potrebbe aggiungere) a partire dalla<br />

considerazione di dati oggettivi della condotta tenuta dall’agente, i quali potranno<br />

essere più o meno idonei a rivelare, appunto, l’elemento soggettivo 511 . È importante<br />

osservare, tuttavia, che tali indicatori, a parità di “grado di idoneità” oggettivo,<br />

rivestiranno un peso differente a seconda della rilevanza del momento<br />

rappresentativo: più precisamente, acquisterebbero forza maggiore in<br />

corrispondenza di una maggiore rilevanza della componente intellettiva 512 .<br />

Relativamente al procedimento di valutazione della natura oggettiva della<br />

condotta ai fini dell’accertamento del dolo eventuale risulta significativa, tra le altre,<br />

una sentenza riguardante un caso di omicidio, nella quale i giudici di legittimità hanno<br />

affermato che “la via più affidabile per il corretto accertamento del dolo, nella forma<br />

indiretta o eventuale, è costituita dalla valutazione, condotta con assoluto rigore<br />

logico, di inequivoci elementi probatori di natura oggettiva, desunti principalmente<br />

dalle concrete modalità della condotta: quali il tipo e la micidialità dell’arma, la<br />

reiterazione e la direzione dei colpi, la parte vitale del corpo presa di mira e quella<br />

concretamente attinta”; si è concluso, quindi, nel senso che tali elementi oggettivi di<br />

fatto, “valutati globalmente siccome parametri univocamente sintomatici dell’animus<br />

necandi in base a consolidate regole d’esperienza, devono essere idonei a fare<br />

inferire come certo o altamente probabile il verificarsi dell’evento mortale o lesivo, ed<br />

evidente l’accettazione del correlativo rischio da parte dell’agente” 513 .<br />

Spesso viene valutata, quale indicatore significativo, la reiterazione della<br />

condotta: si considerino, ad esempio, i casi di contagio da HIV tramite rapporto<br />

sessuale non protetto, con riferimento ai quali la reiterazione dei rapporti sessuali<br />

non protetti è stata considerata indice a favore della configurabilità del dolo<br />

eventuale 514 .<br />

Piuttosto recentemente, con riguardo all’accertamento dell’elemento soggettivo<br />

relativo all’evento non intenzionalmente provocato tramite sinistro stradale, la Corte<br />

di Cassazione ha valorizzato la necessità di valutazione delle circostanze esteriori<br />

attraverso le quali si fosse manifestata la condotta, al fine di inferire atteggiamenti<br />

interni alla psiche dell’agente: così, si è ritenuto sussistente il dolo eventuale alla luce<br />

511 G.P. DEMURO, op. ult. cit., 444.<br />

512 G.P. DEMURO, op. ult. cit., 446.<br />

513 Cass. Pen., Sez. I, 13 giugno 2006, n. 23886, in dejure.giuffre.it; nel caso di specie, in base<br />

a tali rilievi, si affermava il dolo eventuale di omicidio, con parallela esclusione dell’omicidio<br />

preterintenzionale. Le modalità esecutive sono valorizzate anche in Cass. Pen., Sez. I, 21 ottobre<br />

2010, n. 39266, in dejure.giuffre.it: in particolare, relativamente ad un caso di omicidio commesso con<br />

arma da fuoco, nel corso di una rapina e da parte di soggetto in stato di seminfermità per epilessia,<br />

abuso di alcol e abuso di stupefacenti, si è esclusa l’ipotesi della preterintenzione, e si è ritenuto<br />

sussistente il dolo eventuale in considerazione della distanza ravvicinata dalla quale era stato esploso<br />

il colpo che aveva attinto la vittima, nonché in considerazione delle parti del corpo prese di mira (ad<br />

altezza superiore al metro); viene altresì affermata l’irrilevanza dello stato di seminfermità nel caso di<br />

specie, dato che il soggetto aveva mantenuto una costante lucidità durante tutto il corso dello<br />

svolgimento e sviluppo del fatto (aveva tenuto un comportamento del tutto conforme allo scopo<br />

perseguito; aveva nascosto l’arma; era stato in grado di ricordare tutti i passaggi della sua azione).<br />

514 Cass. Pen., Sez. V, 17 settembre 2008 (deposito 1 dicembre 2008), n. 44712, in<br />

www.altalex.com: “nonostante la consapevolezza indicata, la D. ritenne di intrattenere una lunga<br />

relazione sessuale con il D. – dal 1995 al 2001 – senza avvertirlo dei pericoli ai quali si esponeva e<br />

senza adottare le opportune e necessarie protezioni nei rapporti sessuali. Non vi è alcun dubbio allora<br />

che la donna abbia agito essendo perfettamente consapevole del concreto rischio di infezione al quale<br />

esponeva il suo compagno – evento non solo concretamente possibile, ma altamente probabile con il<br />

protrarsi dei rapporti sessuali – ed accettando il rischio del verificarsi dell’evento […].”<br />

102


dell’accertamento condotto tramite la valutazione di elementi di fatto quali l’assenza<br />

di tracce di frenata, la mancata adozione (o il mancato tentativo di adozione) di<br />

manovre estreme di emergenza, le caratteristiche del veicolo condotto, il<br />

comportamento tenuto dall’agente dopo la verificazione dell’incidente (tentativo di<br />

fuga) 515 .<br />

In dottrina, peraltro, non si è mancato di rilevare che, nell’ambito del nostro<br />

sistema processuale penale, fondamentalmente orientato alla “falsa alternativa” tra<br />

valutazione del fatto e valutazione della sfera interiore dell’individuo (quest’ultima<br />

ritenuta “pericolosa” in quanto potrebbe dare adito a valutazioni “dell’autore”), si<br />

manifesti una tendenza all’“appiattimento” delle dinamiche probatorie processuali su<br />

regole d’esperienza le quali, da sole, sono incapaci di far emergere l’aspetto<br />

personalistico della responsabilità penale: invero, si osserva che una maggior<br />

propensione all’“indagine” sulla sfera interiore del soggetto sarebbe auspicabile, in<br />

quanto non si tratterebbe di pratiche di stampo inquisitorio tese a penetrare nei<br />

“pensieri più remoti” dell’accusato, bensì di tentare di rilevarne l’atteggiamento<br />

interiore rispetto all’accadimento concreto, evitando una sopravvalutazione delle<br />

componenti oggettive del fatto 516 .<br />

14. Rilevanza o irrilevanza del versari in re illicita?<br />

La dottrina attuale appare in gran parte concorde nel sostenere che, ai fini della<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, debba essere irrilevante la liceità o<br />

illiceità del contesto di base dal quale abbia origine l’evento collaterale non<br />

direttamente voluto 517 ; quantomeno, si concorda sul fatto che tale aspetto non possa<br />

avere carattere decisivo, benché possa comunque essere non del tutto privo di<br />

implicazioni 518 .<br />

Vero è, d’altra parte, che non è stato sempre così: il codice penale del 1930<br />

nasce, infatti, come caratterizzato da varie disposizioni le quali sono ispirate al<br />

principio “qui in re illicita versatur respondit etiam de casu”; basti pensare, ad<br />

esempio, all’art. 116 c.p., all’originario art. 59, comma 1, c.p. (il quale imputava<br />

all’agente le circostanze aggravanti a titolo oggettivo, anche se da lui non conosciute<br />

o ritenute per errore inesistenti), all’omicidio preterintenzionale o ai delitti aggravati<br />

dall’evento 519 . Non deve sorprendere, quindi, che la figura del dolo eventuale si sia<br />

515<br />

Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (deposito 15 marzo 2011), n. 10411, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

516<br />

G. DE FRANCESCO, Una categoria di frontiera: il dolo eventuale tra scienza, prassi<br />

giudiziaria e politica di riforme, in Diritto Penale e Processo, Ipsoa, 2009, 11, 1317 ss.<br />

517<br />

In questo senso, tra gli altri, M. DONINI, Illecito e colpevolezza, 321 (l’Autore osserva che<br />

“da qualsiasi attività lecita possono sorgere rischi illeciti e da qualsiasi attività (o azione) illecita<br />

scaturiscono anche rischi consentiti”); ID., Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione, 2575 –<br />

2576; S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 79; E. DOLCINI, Responsabilità oggettiva e principio di<br />

colpevolezza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 3, 870 – 871; G. FORTE, Dolo eventuale tra divieto di<br />

interpretazione analogica ed incostituzionalità, 826 – 829, ove l’Autore afferma chiaramente che il dolo<br />

debba radicarsi nell’elemento volitivo, il quale non dovrebbe essere automaticamente ritenuto<br />

sussistente in base alla sola considerazione dell’illiceità o dell’elevata entità del rischio insite nel<br />

contesto di base in cui si sviluppi l’agire del soggetto.<br />

518<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 123.<br />

519 E. DOLCINI, op. ult. cit., 867 – 868.<br />

103


sviluppata proprio a partire dal principio suddetto, configurandosi dapprima come<br />

forma di responsabilità oggettiva per l’evento non voluto e cagionato nel quadro di<br />

un’attività (illecita) dolosa, per poi vedersi ristretto alle ipotesi in cui detto evento<br />

fosse almeno prevedibile o probabile; l’ultimo passo è consistito nell’ulteriore<br />

restrizione alle ipotesi di evento effettivamente previsto 520 (e, potrebbe aggiungersi,<br />

“voluto”). Anche se, nell’ambito del contesto attuale, la questione inerente la<br />

rilevanza o irrilevanza del versari in re illicita emerge propriamente con riguardo<br />

all’alternativa fra dolo eventuale e colpa cosciente – e non con riguardo all’alternativa<br />

fra imputazione o non imputazione di un evento (a meno che non si tratti di reato<br />

punibile solo a titolo di dolo: nel qual caso, il dolo eventuale segna, effettivamente,<br />

anche la soglia della punibilità) –, le ipotesi di responsabilità oggettiva<br />

originariamente previste dal codice penale sono comunque significative per la<br />

comprensione dello sviluppo evolutivo che ha condotto alla figura odierna del dolo<br />

eventuale.<br />

Attualmente, peraltro, il principio “qui in re illicita versatur respondit etiam de<br />

casu” dovrebbe ritenersi definitivamente superato in base alle sentenze della Corte<br />

costituzionale n. 364 e n. 1085 del 1988, tramite le quali è stato valorizzato il<br />

principio di colpevolezza, alla luce dell’affermazione del fatto che sia necessaria<br />

almeno la colpa in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica:<br />

infatti, si osserva che non avrebbe senso la funzione rieducativa in relazione al<br />

soggetto che non abbia agito (almeno) in colpa 521 .<br />

Nonostante, come si è detto, la logica del versari in re illicita sia considerata, da<br />

gran parte della dottrina, priva di carattere decisivo ai fini della distinzione fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, è possibile, tuttavia, osservare una certa tendenza, in<br />

ambito giurisprudenziale, all’affermazione del dolo eventuale qualora la condotta di<br />

base fosse illecita, nonché all’inquadramento della colpa cosciente nel caso in cui il<br />

contesto di base fosse lecito: così, ad esempio, in sentenze di legittimità ormai non<br />

più recenti, ma non per questo non significative, si è affermato il dolo eventuale per<br />

omicidio in capo al soggetto che, per sfuggire all’arresto in flagranza, si fosse fatto<br />

scudo con un ostaggio, essendosi rappresentato la possibilità della reazione a fuoco<br />

da parte della forza pubblica, nonché la possibilità che i colpi attingessero il corpo<br />

dell’ostaggio, provocandone la morte 522 ; ancora, si è affermato il dolo eventuale in<br />

capo ai soggetti che, avendo compiuto un sequestro di persona a scopo di<br />

estorsione, essendo consapevoli delle gravi condizioni fisiche del sequestrato e della<br />

possibilità del decesso di questi, non avessero provveduto ad idonee cure,<br />

persistendo nel sequestro, anche a costo di provocare la morte della vittima 523 .<br />

D’altra parte, si è escluso il dolo eventuale, ad esempio, nei casi di “violenza<br />

sportiva” 524 . Ma ancor più significativi appaiono gli esempi del ladro inseguito dalle<br />

forze dell’ordine, il quale esploda colpi di arma da fuoco verso gli inseguitori, e della<br />

520 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 79 – 80. L’Autore richiama anche il pensiero di Giulio Paoli (G.<br />

PAOLI, Dolo, preterintenzione e colpa. L’elemento soggettivo nelle contravvenzioni, in Riv. it. dir. pen.,<br />

1932, 666), il quale sosteneva che qualsiasi forma di dolo dovesse presupporre la diretta volontà di un<br />

evento penalmente rilevante e che, di conseguenza, qualora la condotta di base non fosse<br />

direttamente tendente ad un evento penalmente rilevante, si sarebbe potuta configurare solo colpa<br />

con previsione.<br />

521 E. DOLCINI, op. ult. cit., 868.<br />

522 Cass. Pen., Sez. I, 25 maggio 1981, in Cass. pen., 1982, 10, 1535.<br />

523 Cass. Pen., Sez. I, 17 dicembre 1984, in Cass. pen., 1986, 4, 479.<br />

524 Cass. Pen., Sez. V, 30 aprile 1992, in Foro italiano, 1993, 2, 79.<br />

104


guardia giurata la quale, inseguendo un ladruncolo, esploda colpi di arma da fuoco<br />

verso l’inseguito: il primo condannato per dolo eventuale; il secondo, per colpa con<br />

previsione 525 . Non può sfuggire il fatto che, dietro tale prassi, si celino probabilmente<br />

esigenze di politica criminale, le quali inciderebbero in misura ancor più significativa<br />

con riferimento ai reati non punibili a titolo di colpa: casi, questi, in cui l’identificazione<br />

del dolo eventuale segna anche la soglia della punibilità 526 .<br />

Parte della dottrina 527 ha, altresì, evidenziato una massima della Suprema<br />

Corte (ormai, tuttavia, non più recente) la quale sembrerebbe quasi ammettere<br />

espressamente la logica del versari in re illicita: tale massima afferma che il dolo<br />

eventuale ricorrerebbe “quando, pur essendo la volontà del soggetto diretta a<br />

cagionare un determinato evento previsto come conseguenza certa, sussiste la<br />

contestuale previsione della possibilità di causare più grave reato, che deve<br />

considerarsi parimenti voluto, essendosi accettato il rischio” 528 .<br />

Esempi altrettanto emblematici ai fini della valutazione della logica del versari in<br />

re illicita, nonché della tendenza giurisprudenziale ad applicazioni di dolo eventuale e<br />

colpa cosciente basate sulla soddisfazione di esigenze di politica criminale, sono<br />

rinvenibili nella sfera dei reati commessi nell’ambito della circolazione stradale<br />

(quindi in contesto di base non penalmente illecito); frequente è, in tali casi,<br />

l’identificazione della colpa cosciente in ipotesi in cui risulterebbe altrettanto<br />

convincente l’affermazione del dolo eventuale: si pensi, ad esempio, ai casi di guida<br />

con violazione delle norme sulla circolazione stradale, nei quali da un lato è difficile<br />

ipotizzare che l’agente non abbia, in qualche misura, accettato il rischio di<br />

produzione di eventi lesivi mentre, dall’altro, potrebbe essere altrettanto problematica<br />

l’inflizione di una pena elevata quale sarebbe quella da attribuire all’omicida<br />

doloso 529 .<br />

Posto il tendenziale rigetto, in dottrina, dell’attribuzione di carattere decisivo al<br />

versari in re illicita ai fini della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, sono<br />

rilevabili tentativi, da parte di alcuni Autori, di descrizione dei riflessi che il carattere<br />

illecito o lecito del contesto di base possa comunque comportare. Nello specifico si è<br />

evidenziato che, in contesti di base illeciti, il problema della distinzione fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente appare semplificato, e lo è, tendenzialmente, a favore<br />

dell’inquadramento del dolo eventuale: infatti, mentre in contesto di base lecito il<br />

decorso causale resta, generalmente, nell’ambito di una sfera ipotetica, in contesto<br />

ab origine illecito esso appare, invece, già parzialmente “avviato”, e difficilmente<br />

potrà essere arrestato nei suoi ulteriori sviluppi; altresì, qualora l’agente avesse, in<br />

contesto ab origine illecito, previsto la realizzazione dell’evento collaterale, allorché<br />

questo effettivamente si verifichi risulterà difficile la dimostrazione della “fiducia”,<br />

nutrita da parte dell’agente stesso, che esso non si sarebbe verificato 530 . In sintesi,<br />

525<br />

Esempi riportati da P. VENEZIANI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 76.<br />

526<br />

F. CURI, Tertium datur, 226.<br />

527<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 78.<br />

528<br />

Cass. Pen., 22 maggio 1984, in Cass. pen. Mass. Ann., 1985, 2017. La massima è riportata<br />

da S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

529<br />

F. CURI, op. ult. cit., 227. Si riporta anche l’esempio (prelevato da Cass., sez. lav., 1 agosto<br />

2000, n. 10082, in Rep. Foro. it., lavoro (rapporto) [3890], n. 396) del dipendente che, incaricato di<br />

condurre un muletto per la movimentazione di merci, procedendo ad elevata velocità e con le pale del<br />

mezzo alzate, aveva provocato la collisione con un altro mezzo nonché, in conseguenza di ciò, danno<br />

all’altro mezzo e lesioni personali all’altro conducente.<br />

530<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 131.<br />

105


pur ammettendosi che la logica del versari in re illicita non possa (e non debba)<br />

condurre ad automatiche conclusioni, si riconosce che, in contesti di base illeciti,<br />

qualora l’agente abbia previsto il risultato lesivo collaterale, sarà più agevole<br />

l’identificazione del dolo eventuale, in quanto tenderebbero a ridursi gli ambiti<br />

applicativi della colpa cosciente, nonché gli indicatori alla luce dei quali sia possibile<br />

trarre l’esclusione dell’elemento volitivo necessario ai fini del dolo 531 ; si sottolinea, nel<br />

dettaglio, che la componente della effettiva previsione tenda, in questi casi (a<br />

contesto di base illecito), a convergere con l’atteggiamento psichico del dolo<br />

eventuale 532 . Del resto, in contesti ab origine illeciti, residuerebbe effettivamente la<br />

possibilità di configurazione di colpa cosciente qualora il rischio creato dal delitto<br />

doloso di base fosse ab origine consentito, ed assuma natura anomala nel caso<br />

concreto: si adduce l’esempio della morte provocata come conseguenza di abuso di<br />

mezzi di correzione o disciplina, applicati dal genitore autoritario e repressivo il quale,<br />

pur avendo previsto la possibilità di verificazione dell’evento “morte”, avesse<br />

confidato nella non realizzazione di esso, in quanto pratiche correttive analoghe a<br />

quelle da lui adottate fossero state utilizzate ampiamente nel suo contesto sociale di<br />

appartenenza 533 .<br />

Volendo, in conclusione, fornire una risposta all’interrogativo circa la rilevanza o<br />

irrilevanza del versari in re illicita, la risposta dovrebbe essere negativa se si intende<br />

fare riferimento ad una rilevanza di carattere decisivo ai fini della distinzione fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente; ciò non significa, tuttavia, escludere che la liceità o<br />

illiceità del contesto di base dal quale abbia origine l’evento collaterale non possa<br />

avere alcun tipo di implicazione: potranno aversi, in particolare, riflessi nel senso di<br />

una restrizione della sfera di configurabilità della colpa cosciente in ipotesi di<br />

contesto ab origine illecito, stante la tendenza dell’elemento rappresentativo a<br />

convergere, in detti casi, con l’elemento psichico proprio del dolo eventuale, nonché<br />

considerata la difficoltà di inquadramento di una “fiducia” nella non verificazione<br />

dell’evento qualora questo fosse stato dall’agente previsto, posto che il decorso<br />

causale risulta, spesso, già parzialmente avviato.<br />

15. La tesi a sostegno della coincidenza sostanziale fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente, nonché dell’incostituzionalità dell’applicazione del dolo eventuale.<br />

Parte della dottrina (nello specifico, si fa riferimento a Giacomo Forte),<br />

prendendo le mosse da considerazioni critiche nei confronti delle varie teorie inerenti<br />

dolo eventuale e colpa cosciente e, in particolare (ma non solo), attraverso la<br />

considerazione per cui l’“accettazione del rischio” sia effettivamente elemento<br />

caratteristico della colpa con previsione, è giunta alla conclusione per cui il dolo<br />

eventuale non sia altro che un “doppione mascherato” della colpa cosciente. Si arriva<br />

a sostenere, altresì, che l’applicazione del dolo eventuale rappresenterebbe una<br />

dinamica incostituzionale, per violazione dei principi di legalità, tassatività e divieto di<br />

analogia in malam partem.<br />

531 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 136.<br />

532 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 139 – 140.<br />

533 S. CANESTRARI, op. ult. cit., 140 – 141.<br />

106


Il punto di partenza dello sviluppo argomentativo sostenuto da Forte è dato<br />

dalle definizioni di “delitto doloso” e “delitto colposo” di cui all’art. 43, c.p.: ai fini del<br />

delitto doloso, il legislatore ha richiesto espressamente rappresentazione e volontà,<br />

richiedendo anche, quindi, la massima partecipazione soggettiva dell’agente al fatto;<br />

del resto, dalla definizione di “delitto colposo”, si ricavano da un lato la compatibilità<br />

della colpa con la componente della “previsione”, dall’altro l’incompatibilità della<br />

colpa con l’elemento volitivo 534 . Si evidenzia, dunque, che il quid pluris<br />

caratterizzante il dolo rispetto alla colpa debba essere individuato nella “volontà”;<br />

inoltre, Forte considera il dolo intenzionale come “forma – base” di dolo ammettendo,<br />

tuttavia, che ciò non debba significare ridurre le ipotesi di configurabilità della<br />

responsabilità dolosa al solo dolo intenzionale; d’altra parte, l’Autore evidenzia,<br />

altresì, che il requisito volitivo, seppur non limitato alla sola intenzione, non possa<br />

essere svalutato e privato del proprio autentico significato di disciplina; né ad esso<br />

potrebbero essere assimilati momenti di partecipazione psichica i quali appaiano<br />

maggiormente riprovevoli rispetto alla “mera” colpa: ciò comporterebbe violazione del<br />

principio di tassatività, inteso quale corollario del principio di legalità di cui all’art. 25<br />

Cost. 535 , oltre che del divieto di analogia in malam partem 536 .<br />

Per quanto concerne, in particolare, il rispetto dei principi di legalità e<br />

tassatività, l’Autore si domanda, chiaramente in senso provocatorio, quale spazio vi<br />

possa essere per il dolo eventuale nell’ambito di un ordinamento che non contempla<br />

espressamente tale forma di dolo, evidenziando che l’unica “strada percorribile”, ai<br />

fini dell’inquadramento della responsabilità dolosa e di quella colposa, sia la<br />

considerazione del dato positivo, mentre ogni altra alternativa risulterebbe erronea, in<br />

quanto dolo e colpa sono, per il giurista, non già dati meramente psicologici, bensì<br />

dati definiti dalle leggi 537 : Parallelamente, si pone l’accento sul fatto che i principali<br />

criteri volti all’inquadramento del dolo eventuale, ed all’identificazione della<br />

distinzione di questo dalla colpa cosciente, siano insoddisfacenti. La prima formula di<br />

Frank, in particolare, risulterebbe inidonea, in quanto presupporrebbe la valutazione<br />

non già dello stato psicologico effettivo del soggetto agente al momento di<br />

realizzazione della condotta, bensì l’ipotetico stato psicologico che l’agente stesso<br />

avrebbe assunto qualora avesse avuto la certezza di realizzazione dell’evento<br />

collaterale non intenzionalmente perseguito 538 (mentre l’art. 43 fa riferimento ad un<br />

momento volitivo effettivo).<br />

In secondo luogo, il criterio della “decisione a favore della possibile lesione del<br />

bene giuridico” costituirebbe una indebita assimilazione alla “volontà” della decisione<br />

a favore di una lesione che è prospettata come meramente “possibile”: il che non è<br />

ritenuto sufficiente a fondare un vero e proprio elemento volitivo (si sostiene, a dire il<br />

vero, che non possa trattarsi neppure di una vera e propria “decisione”) 539 . A parte<br />

tale rilievo sul criterio della “decisione a favore della possibile lesione del bene<br />

giuridico”, si osserva che anche l’ipostazione proposta da Canestrari, la quale mira<br />

ad individuare un più solido fondamento strutturale di tale “decisione” attraverso la<br />

534<br />

G. FORTE, Dolo eventuale tra divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità, 830.<br />

535<br />

G. FORTE, op. ult. cit., 831 – 832, 836.<br />

536<br />

G. FORTE, op. ult. cit., 836.<br />

537<br />

G. FORTE, Ai confini fra dolo e colpa, 231.<br />

538<br />

G. FORTE, Dolo eventuale tra divieto di interpretazione analogica ed incostituzionalità, 834.<br />

539<br />

G. FORTE, op. ult. cit., 835. L’Autore ritiene chiaramente che la decisione in termini di<br />

possibilità non possa essere equiparata ad una decisione in senso proprio.<br />

107


distinzione, sul piano oggettivo, fra “rischi dolosi” e “rischi colposi”, incorrerebbe nel<br />

limite di prestarsi a tendenze verso una svalutazione del momento volitivo, come<br />

conseguenza della particolare attenzione posta sull’individuazione oggettiva del<br />

“rischio doloso” 540 .<br />

Inoltre, si rileva che il tradizionale criterio dell’“accettazione del rischio”<br />

comporterebbe, anch’esso, una distorsione dell’identificazione dell’elemento volitivo<br />

necessario ai fini del dolo, in quanto la colpevolezza per “accettazione del rischio”<br />

sarebbe, in effetti, connotato proprio della colpa cosciente 541 : in particolare, si<br />

osserva che l’art. 61, n. 3., richiedendo non già una previsione negativa, bensì la<br />

persistenza, al momento della realizzazione dell’evento, della previsione positiva<br />

dello stesso, nonché la persistenza della consapevolezza del carattere rischioso<br />

della propria condotta (la quale, dunque, potrebbe provocare l’evento), prenderebbe<br />

in esame le situazioni in cui il soggetto agisca con “volontà di rischiare”, ovvero<br />

“volontà di agire rischiando”, che non equivale alla volontà dell’evento 542 ; condotte<br />

caratterizzate da tale “volontà di agire” a fronte della rappresentazione della<br />

possibilità di realizzazione dell’evento configurano sicuramente ipotesi connotate da<br />

un certo grado di rimproverabilità, ma ciò non è argomento idoneo a giustificare la<br />

loro sussunzione nell’alveo del dolo, onde conferire ad esse un trattamento più<br />

gravoso: infatti, il trattamento aggravato è già previsto dallo stesso art. 61, n. 3. A<br />

dire il vero, non verrebbe neppure in considerazione un discorso inerente l’analogia,<br />

non essendovi alcuna lacuna normativa 543 : come si è detto, l’art. 61, n. 3, copre di<br />

per sé le ipotesi in cui il soggetto abbia agito a fronte della rappresentazione della<br />

possibilità di verificazione dell’evento (ma senza la volontà dell’evento), con la<br />

consapevolezza del carattere rischioso insito nella propria condotta e, di<br />

conseguenza, con accettazione del relativo rischio, e prevede per questo un<br />

trattamento aggravato. Fondamentalmente, insomma, si conclude che l’art. 61, n. 3.,<br />

costituisca proprio l’elemento normativo il quale dovrebbe escludere la categoria del<br />

dolo eventuale o, in altri termini, dovrebbe porre in luce l’effettiva coincidenza fra<br />

colpa cosciente e dolo eventuale.<br />

La tesi sostenuta da Forte non concorda neppure con l’impostazione proposta<br />

da Prosdocimi, conformemente alla quale ciò che rileverebbe, ai fini della distinzione<br />

fra dolo eventuale e colpa cosciente, sarebbe dato dalle modalità di accettazione del<br />

rischio (tramite una deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad<br />

un altro, nel caso del dolo eventuale; per negligenza o imprudenza, nel caso della<br />

colpa cosciente): si osserva, in particolare, che, qualora si concepisca l’essenza del<br />

momento volitivo del dolo eventuale sul “deliberato sacrificio” quale “prezzo” per il<br />

raggiungimento del fine intenzionale, o si tratterebbe di sacrificio strettamente<br />

connesso con il risultato intenzionalmente perseguito e, in questo caso, si avrebbe<br />

dolo diretto; oppure si tratterebbe di un obiettivo intermedio e, in tale ipotesi, si<br />

avrebbe dolo intenzionale 544 . Si rileva, inoltre, che la ricostruzione effettuata da<br />

Prosdocimi comporterebbe lo spostamento dell’oggetto del dolo dall’evento allo stato<br />

soggettivo dell’“accettazione del rischio” 545 : a parere di chi scrive, tale critica è forse<br />

540 G. FORTE, op. loc. ult. cit., nota (61).<br />

541 G. FORTE, op. ult. cit., 823.<br />

542 G. FORTE, op. ult. cit., 837.<br />

543 G. FORTE, op. loc. ult. cit.<br />

544 G. FORTE, op. ult. cit., 834.<br />

545 G. FORTE, Ai confini fra dolo e colpa, 255.<br />

108


eccessiva, dato che individuare l’elemento volitivo del dolo nell’accettazione del<br />

rischio effettuata tramite la deliberazione di subordinazione del bene giuridico<br />

esposto a pericolo rispetto al perseguimento del fine intenzionale non significa far<br />

divenire l’accettazione stessa oggetto di rappresentazione e volontà (il dolo è<br />

rappresentazione e volontà, quindi l’oggetto del dolo deve essere l’oggetto di<br />

rappresentazione e volontà); oggetto di rappresentazione e volontà resta l’evento,<br />

mentre la deliberazione è ciò che concretizza la volontà ed, anzi, proprio la<br />

volontà/accettazione dell’evento (non del mero rischio).<br />

Nondimeno vengono elaborate, da parte di Forte, considerazioni con riguardo<br />

alla dimensione oggettiva del “rischio”. Si evidenzia, nello specifico, che, mentre nelle<br />

ipotesi della realizzazione di attività potenzialmente pericolose, ma “consentite”,<br />

dotate di una certa utilità, e non indirizzate volontariamente alla lesione di beni<br />

giuridici, il “rischio consentito”, individuato attraverso le regole cautelari, svolga la<br />

funzione di esonerare da responsabilità i soggetti che pratichino tali attività, la<br />

medesima funzione non risulterebbe coerente nei confronti di soggetti che intendano<br />

ledere beni giuridici, magari con sfruttamento della potenziale pericolosità dell’attività<br />

svolta, comunque, entro il rispetto delle regole cautelari: in sostanza, mentre, nel<br />

caso della responsabilità colposa, il “rischio consentito” avrebbe una funzione di<br />

descrizione normativa, contribuendo proprio alla delineazione dell’illecito colposo, nel<br />

caso della responsabilità dolosa esso servirebbe ad individuare il livello di<br />

pericolosità della condotta in astratto e, di conseguenza, a determinare quali<br />

condotte siano rilevanti ai fini del giudizio eziologico 546 . Sin qui, tuttavia, si fa<br />

riferimento al dolo inteso come caratterizzato da “volontà” in senso stretto,<br />

considerata come “volontà in direzione dell’offesa”: questa, secondo l’Autore,<br />

mancherebbe nell’ambito della categoria del dolo eventuale, sicché ci si dovrebbe<br />

porre il problema di stabilire se, relativamente al dolo eventuale stesso, il “rischio”<br />

debba atteggiarsi alla stregua dei parametri propri della colpa, oppure<br />

conformemente a quelli propri del dolo. Orbene, muovendo dalla considerazione per<br />

cui la differenziazione di atteggiamento del rischio fra le ipotesi di dolo (caratterizzato<br />

dalla “volontà in direzione dell’offesa”, quindi con esclusione del dolo eventuale) e le<br />

ipotesi di colpa sia data dal fatto che le prime siano connotate dalla volontà<br />

dell’evento (mancante nelle seconde), e posto che il dolo eventuale mancherebbe di<br />

una “volontà” intesa propriamente come “volontà in direzione dell’offesa”, ne<br />

conseguirebbe che il rischio, in rapporto al dolo eventuale, dovrebbe atteggiarsi allo<br />

stesso modo del rischio caratteristico della colpa 547 . Da tali considerazioni, dovrebbe<br />

emergere un ulteriore argomento a favore della concezione del dolo eventuale come<br />

“doppione mascherato” della colpa cosciente.<br />

A supporto della tesi a favore della “commistione” fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente, sono state sviluppate anche osservazioni con riguardo ad un caso<br />

giudiziario che fece molto scalpore tra il 1997 e il 2003: si tratta dell’omicidio della<br />

studentessa Marta Russo, colpita da un proiettile partito dall’Aula assistenti della<br />

Città Universitaria dell’ateneo La Sapienza di Roma. Tralasciando le problematiche<br />

relative all’individuazione del movente, in sede processuale si pose il problema<br />

dell’identificazione dell’elemento soggettivo configurabile in capo all’imputato, il quale<br />

si sosteneva avesse sparato il colpo di pistola senza il fine intenzionale di uccidere,<br />

546 G. FORTE, op. ult. cit., 238, 265.<br />

547 G. FORTE, op. ult. cit., 266.<br />

109


ma con condotta di base connotata da aspetti alla luce dei quali, tradizionalmente, si<br />

sarebbe posta la questione inerente l’alternativa fra dolo eventuale e colpa cosciente:<br />

in particolare l’accusa, in primo grado, sosteneva la configurabilità del dolo<br />

eventuale, principalmente in base al rilievo del fatto che l’imputato fosse un soggetto<br />

esperto d’armi (aveva prestato servizio di leva presso l’Arma dei Carabinieri), nonché<br />

in considerazione dell’indirizzamento del colpo verso un luogo pubblico<br />

frequentato 548 e, altresì, dell’utilizzo di un silenziatore 549 . Sennonché, la sentenza di<br />

primo grado conclude rigettando l’ipotesi accusatoria a sostegno del dolo eventuale;<br />

ma ciò che maggiormente rileva è il fatto che la Corte d’Assise concluda per<br />

l’affermazione non già della colpa cosciente, bensì della colpa semplice: il che<br />

sembrerebbe quasi riconoscere la riconducibilità del dolo eventuale alla sfera –<br />

appunto – della colpa cosciente 550 anche se, all’interno della sentenza, non si<br />

afferma mai espressamente tale tesi (anzi, si fa riferimento al dolo eventuale con<br />

esplicita qualificazione di esso come forma di dolo) 551 .<br />

Invero, i giudici di primo grado motivarono la scelta dell’imputazione colposa (e<br />

si tratta, come si è detto, di colpa semplice) in base al principio in dubio pro reo,<br />

evidenziando che non fosse stata sufficientemente raggiunta la prova del dolo 552 :<br />

relativamente a tale aspetto si potrebbe ampiamente discutere circa l’alternativa fra il<br />

principio “non c’è dolo senza colpa” (al quale sembra aderire la sentenza in<br />

548<br />

G. FORTE, op. ult. cit., 821, 840.<br />

549<br />

Lo si ricava da un estratto della sentenza di primo grado sul caso in questione: Corte Ass.<br />

Roma, 13 settembre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 2, 819.<br />

550<br />

G. FORTE, op. ult. cit., 841.<br />

551<br />

G. FORTE, op. loc. ult. cit.<br />

552<br />

Corte Ass. Roma, 13 settembre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 2, 819 - 820: “Posto<br />

che […] (S.) esplose un colpo di pistola, vi era, da parte sua, coscienza e volontà nell’accettare il<br />

rischio di attingere qualcuno? […] Possibile che […] (l’imputato) abbia con coscienza e volontà,<br />

agendo con dolo, premuto il grilletto dell’arma per uccidere o accettando il rischio di uccidere alla<br />

presenza di numerosi testimoni? La risposta è negativa perché le risultanze processuali non danno la<br />

prova dell’accordo scellerato tra lo sparatore […] (e gli altri presenti). […] Da tutti questi elementi,<br />

considerati in sé e nella loro globalità, si inferisce la possibilità che S. non fosse consapevole di<br />

maneggiare un’arma carica […]. Si potrebbe replicare che S. […] ben era in grado di rendersi conto se<br />

l’arma era carica o non […] secondo parametri di diligenza rafforzata dalle qualità personali. Ma in<br />

questo, appunto, risiede l’essenza dell’addebito colposo […]. In definitiva, gli elementi a sostengo<br />

dell’una e dell’altra ipotesi finiscono per equivalersi: in tal caso opera il canone della scelta più<br />

favorevole all’imputato.” Da notare, però, che la sentenza definitiva sul caso in questione (Cass. Pen.,<br />

Sez. I, 15 dicembre 2003, n. 31523, in Cass. pen., 2005, 2, 474) affermerà la colpa “estremamente<br />

grave”, con esclusione del dolo eventuale alla luce di aspetti quali la mancata dimostrazione di un<br />

movente accertato, la mancata dimostrazione dell’intento di sparare in direzione del luogo pubblico e<br />

la mera occasionalità dell’attingere un “passante qualsiasi”. Particolarmente critico (negativamente)<br />

nei confronti della conclusione prospettata dalla Suprema Corte – non con riguardo all’inquadramento<br />

della colpa grave anziché della colpa semplice, bensì con riguardo all’esclusione del dolo – è G.<br />

DONOFRIO, Alla ricerca del dolo eventuale!, 475 – 478, il quale sostiene l’infondatezza del ravvisare<br />

la colpa cosciente (e non il dolo eventuale) nella condotta di chi, essendo esperto d’armi ed essendo<br />

stato istruito delle cautele con le quali le armi debbano essere maneggiate, si fosse avvicinato ad una<br />

finestra, tenendo in mano un’arma carica e puntandola verso l’esterno (e verso il basso, evidenzia<br />

Donofrio), in direzione di un luogo frequentato: l’Autore si domanda, con palese intento provocatorio,<br />

come la suddetta dinamica, nonché l’evento provocato, si possano considerare meramente casuali ed<br />

avulsi da volontarietà; sostiene, quindi, la configurabilità, nel caso di specie, del dolo eventuale, inteso<br />

come atteggiamento psicologico del soggetto che, a fronte della rappresentazione della possibilità che<br />

una certa condotta sfori nella verificazione di un evento, ed in persistenza di essa, scelga di tenere la<br />

condotta “a costo di provocare l’evento” e, quindi, accettando l’evento (ivi, 477).<br />

110


questione 553 ) e l’impostazione la quale sostiene che, al contrario, responsabilità<br />

dolosa e responsabilità colposa siano caratterizzate da basi oggettive differenti. Ciò<br />

che rileva maggiormente in questa sede, tuttavia, è il fatto che la “derubricazione<br />

diretta” del reato da doloso a colposo (con colpa semplice) sembri fornire<br />

quantomeno un sintomo del carattere sostanzialmente colposo della figura del dolo<br />

eventuale.<br />

A parere di chi scrive, l’impostazione teorica qui descritta, la quale<br />

escluderebbe di netto la categoria del dolo eventuale, sostenendo che essa coincida,<br />

sostanzialmente, con la colpa cosciente, non è condivisibile. Certamente sono<br />

fondate le osservazioni che pongono in rilievo l’ambiguità del criterio<br />

dell’“accettazione del rischio” e le problematiche connesse alla prima formula di<br />

Frank; d’altra parte, se si accoglie una differenziazione fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente che prescinde dal momento dell’accettazione del rischio (effettivamente<br />

comune a dolo eventuale e colpa cosciente) e focalizza il dolo eventuale nell’<br />

“accettazione dell’evento” (non del solo rischio) come “prezzo” che l’agente sia<br />

“disponibile a pagare” pur di perseguire il proprio fine intenzionale, diviene troppo<br />

radicale sostenere che tali criteri possano dirsi soddisfatti soltanto qualora vi sia<br />

certezza di realizzazione dell’evento. Inoltre, non appare condivisibile neppure la<br />

critica mossa con riguardo alla teoria di Canestrari: è vero che essa è incentrata sulla<br />

valorizzazione della distinzione oggettiva fra “rischi dolosi” e “rischi colposi”, ma è<br />

anche vero che lo stesso Autore precisa chiaramente, e più volte, che l’analisi della<br />

responsabilità dolosa nel suo complesso debba essere effettuata comunque in<br />

considerazione, altresì, del livello intellettivo e del livello volitivo; il fatto che tale<br />

impostazione si presti, se estremizzata, ad una eccessiva valorizzazione del livello<br />

oggettivo, con conseguente svalutazione del momento volitivo, non pare essere un<br />

argomento decisivo, dato che praticamente qualsiasi teoria, se estremizzata,<br />

incorrerebbe in conclusioni non condivisibili.<br />

553 G. FORTE, op. ult. cit., 842.<br />

111


CAPITOLO III<br />

<strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> IN RAPPORTO AD ALTRI ISTITUTI<br />

SOMMARIO: 1. Dolo eventuale e delitto tentato. – 2. Dolo eventuale e fattispecie con dolo specifico. –<br />

3. Dolo eventuale e concorso di persone. – 4. Dolo eventuale e preterintenzione. – 5. Dolo eventuale<br />

e dolo alternativo.<br />

1. Dolo eventuale e delitto tentato<br />

La tematica inerente la compatibilità del dolo eventuale con il delitto tentato<br />

assume una rilevanza significativa in quanto, essendo il delitto tentato configurabile<br />

solo a titolo di dolo, si tratta di andare ad individuare la soglia della punibilità. È,<br />

inoltre, argomento piuttosto complesso, a causa delle oscillazioni giurisprudenziali<br />

che si sono manifestate a riguardo, a partire dagli anni ’70 del Novecento fino ad<br />

oggi.<br />

In linea di massima, è possibile evidenziare due orientamenti di fondo: un primo<br />

di essi a sostegno della compatibilità del dolo eventuale con il delitto tentato, stante<br />

la supposta identità fra dolo del tentativo e dolo del reato consumato; un secondo,<br />

viceversa, il quale nega tale compatibilità, considerando il delitto tentato come<br />

fattispecie autonoma, i cui elementi oggettivi dovrebbero, anche essi, essere oggetto<br />

di rappresentazione e volontà. Invero è rilevabile, altresì, una terza prospettiva,<br />

delineata in dottrina, in base alla quale la questione della compatibilità fra dolo<br />

eventuale e tentativo dovrebbe essere risolta non in modo univoco ed a priori, bensì<br />

considerando, di volta in volta, il grado di concretezza della messa in pericolo del<br />

bene giuridico 554 .<br />

Volendo procedere ad un’analisi che tenga conto, oltre che dei contenuti<br />

sostanziali degli orientamenti accennati, anche del loro susseguirsi a livello<br />

cronologico, va osservato che il periodo temporale compreso fra il 1970 ed i primi<br />

anni Ottanta fu caratterizzato da tendenze divergenti: si hanno, inizialmente,<br />

pronunce che affermano l’incompatibilità del dolo eventuale con il tentativo 555<br />

seguite, poi, da sentenze di segno opposto 556 , le quali culminano in una decisione<br />

delle Sezioni Unite 557 che avrebbe dovuto consolidare la posizione a sostegno della<br />

compatibilità fra dolo eventuale e delitto tentato, e che, invece, ha visto succedersi<br />

una giurisprudenza ondivaga delle Sezioni semplici, caratterizzata da un’alternanza<br />

di pronunce ad essa conformi 558 e, rispetto ad essa, difformi 559 . Con l’avvento degli<br />

554 L. DE MATTEIS, Dolo eventuale e tentativo, in Cass. pen., 1997, 4, 995 – 996.<br />

555 Cass. Pen., Sez. I, 5 novembre 1971, in Cass. pen. Mass., 1973, 227, m. 213; Cass. Pen.,<br />

Sez. I, 21 ottobre 1970, in Cass. pen. Mass., 1972, 124, m. 49; Cass. Pen., Sez. I, 1 maggio 1977, in<br />

Cass. pen. Mass., 1978, 983, m. 941.<br />

556 Cass. Pen., Sez. I, 17 aprile 1978, in Cass. pen., 1979, 9 – 10, 1109; Cass. Pen., Sez. I, 28<br />

settembre 1978, in Cass. pen., 1980, 1, 50; Cass. Pen., Sez. I, 12 giugno 1981, in Riv. it. dir. e proc.<br />

pen., 1983, 2, 744; Cass. Pen., Sez. I, 2 dicembre 1982, in Cass. pen., 1983, 4, 882.<br />

557 Cass. Pen., Sez. Un., 18 giugno 1983, in Cass. pen., 1984, 3 – 4, 493.<br />

558 Cass. Pen., Sez. I, 28 marzo 1987, in Cass. pen., 1989, 5, 799; Cass. Pen., Sez. I, 28<br />

novembre 1987, in Cass. pen., 1989, 10, 1746; Cass. Pen., Sez. I, 6 marzo 1989, in Cass. pen., 1990,<br />

6, 1031.<br />

559 Cass. Pen., Sez. I, 23 marzo 1987, in Cass. pen., 1988, 12, 2065; Cass. Pen., Sez. I, 8<br />

aprile 1991, in Cass. pen., 1993, 5, 1104.<br />

112


anni ’90 si rilevano, dapprima, alcune sentenze di legittimità le quali tendono ad<br />

“aggirare” il problema, astenendosi da una netta presa di posizione sulla<br />

compatibilità fra dolo eventuale e tentativo, e risolvendo i casi specifici più “a monte”,<br />

valutando il vizio di motivazione sull’elemento soggettivo 560 ; successivamente,<br />

invece, inizia ad affermarsi l’impostazione a sostegno della non compatibilità fra dolo<br />

eventuale e delitto tentato 561 , la quale si protrae sino ai tempi più recenti 562 :<br />

fondatamente, quindi, può dirsi che, nel contesto attuale, l’orientamento<br />

giurisprudenziale affermato sia quest’ultimo.<br />

Per quanto concerne l’analisi strettamente sostanziale della posizione a favore<br />

della compatibilità fra dolo eventuale e tentativo, in via preliminare va notato che, nei<br />

casi giurisprudenziali concreti, si trattava perlopiù di ipotesi di “progressione<br />

criminosa” meramente “teorica” (in quanto l’evento più grave non veniva<br />

effettivamente realizzato) relativamente alla possibilità di lesione dei beni “vita” o<br />

“integrità fisica”, per le quali veniva prospettato il tentato omicidio, sorretto da dolo<br />

eventuale, con riferimento alla condotta di chi avesse provocato volontariamente<br />

lesioni; condotta, questa, che era considerata come accompagnata dall’accettazione<br />

del rischio di provocare l’evento più grave (la morte, nello specifico): in altri termini si<br />

trattava, principalmente, di casi in cui si inquadrava un reato doloso consumato il<br />

quale rappresentasse un determinato stadio di lesione di un bene giuridico, e con<br />

riferimento al quale veniva considerato configurabile un tentativo, sorretto da dolo<br />

eventuale, di lesione del medesimo bene giuridico ad uno stadio più elevato, posta<br />

l’affinità o omogeneità di “direzione” fra reato consumato e quello che era<br />

considerato come tentativo 563 .<br />

560 Cass. Pen., Sez. Un., 6 dicembre 1991, n. 3, in Cass. pen., 1993, 1, 14: i giudici di<br />

legittimità, in particolare, sostennero non fosse stata sufficientemente motivata sussistenza, ritenuta<br />

dai giudici di merito, della volontà omicida in capo ad una guardia giurata che, tentando di fermare un<br />

soggetto il quale conduceva un’automobile rubata, aveva esploso un colpo mirando agli pneumatici;<br />

colpo che, tuttavia, a causa del rinculo dell’arma, aveva ferito alla testa il guidatore, senza però<br />

provocarne la morte; i giudici di merito di secondo grado avevano effettivamente affermato la<br />

responsabilità dell’imputato a titolo di tentato omicidio, ma la motivazione da essi adottata presenta<br />

punti critici che vanno, invero, molto al di là della sola questione di compatibilità fra dolo eventuale e<br />

delitto tentato: sostanzialmente, la Corte d’Assise d’appello aveva affermato la sussistenza, al<br />

contempo, di dolo eventuale e dolo alternativo, sostenendo che l’imputato si fosse rappresentato la<br />

possibilità di uccidere accettandone il rischio e che, contemporaneamente, si fosse posto in una<br />

condizione di conseguire, alternativamente, il risultato di ferire o il risultato di uccidere.<br />

La soluzione della questione di compatibilità fra dolo eventuale e tentativo viene “aggirata”<br />

anche in Cass. Pen., Sez. Un., 15 dicembre 1992, n. 646, in Cass. pen., 1993, 5, 1095,<br />

fondamentalmente allo stesso modo in cui la medesima questione era stata evitata nella prima<br />

sentenza indicata all’interno della presente nota: viene ritenuto sussistente il vizio di motivazione con<br />

riguardo al dolo eventuale, relativamente alla sentenza di merito di secondo grado che aveva<br />

condannato l’imputato per tentato omicidio continuato (nel caso di specie, l’imputato aveva inferto<br />

colpi di coltello alla zona addominale della vittima, nel corso di un diverbio).<br />

561 A dire il vero, anche prima delle due pronunce delle Sezioni Unite di cui alla nota<br />

precedente, vi era stata da parte delle Sezioni semplici l’affermazione della incompatibilità fra dolo<br />

eventuale e delitto tentato. In questo senso, Cass. Pen., Sez. I, 2 novembre 1990, in Cass. pen.,<br />

1992, 10, 2343; Cass. Pen., Sez. I, 19 febbraio 1990, n. 1263, in Cass. pen., 1992, 10, 2345; Cass.<br />

Pen., Sez. I, 8 aprile 1991, in Cass. pen., 1993, 5, 1104.<br />

562 Tra le altre, Cass. Pen., Sez. I, 17 marzo 1995, n. 1219, in Cass. pen., 1996, 7 – 8, 2190; tra<br />

le più recenti, Cass. Pen., Sez. I, 31 marzo 2010, n. 25114, in Cass. pen., 2011, 6, 2245.<br />

563 Tali sono le osservazioni di S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 159. L’Autore aggiunge<br />

anche (ivi, 160): “il rapporto di progressione ravvisato fra le diverse lesioni sembra consentire la loro<br />

113


Ai fini della comprensione dell’assetto di cui trattasi, ad ogni modo, non può che<br />

farsi riferimento alla citata sentenza delle Sezioni Unite (del 1983), la quale avrebbe<br />

dovuto consolidarlo: in essa, si muove dalla considerazione per cui il dolo non sia<br />

qualcosa di esterno al fatto ed interno al soggetto, bensì una componente che si<br />

trasferisca nel fatto stesso; il altri termini, si evidenzia che sia proprio il fatto, alla luce<br />

del complesso dei suoi fattori indizianti, a rivelare l’elemento psicologico del reato: di<br />

conseguenza, l’essenza dell’elemento soggettivo andrebbe ricavata in<br />

considerazione del livello di “adeguatezza” dell’azione rispetto all’evento 564 . I giudici<br />

di legittimità, in secondo luogo, pongono l’accento sull’infondatezza dell’impostazione<br />

teorica che considera il delitto tentato come fattispecie distinta rispetto al reato<br />

consumato, sostenendo che “il delitto tentato non è un reato diverso da quello<br />

consumato, ma è lo stesso reato in formato ridotto solo quanto all’elemento<br />

materiale, essendo privo dell’evento (tentativo compiuto) o della parte finale<br />

dell’azione (tentativo incompiuto)”: in base a ciò, si nega che il dolo del tentativo,<br />

inteso come rappresentazione e volontà del fatto tipico, debba riguardare<br />

necessariamente l’elemento dell’univocità della direzione degli atti. Si conclude,<br />

quindi, che l’elemento dell’univocità dell’azione non abbia la funzione di individuare lo<br />

specifico delitto tentato che si realizzi, bensì quella di segnare l’inizio dell’attività<br />

punibile, attraverso una valutazione che deve essere effettuata da un punto di vista<br />

oggettivo: l’univocità, quindi, rivelerebbe l’intenzione dell’agente, ma non<br />

coinciderebbe con essa. Infine, si giunge ad affermare che il dolo, in linea generale,<br />

debba riguardare il fine ultimo dell’azione tipica, e non necessariamente anche i<br />

traguardi intermedi di essa: ragion per cui il dolo, qualora vengano poste in essere<br />

azioni con valore finalistico plurimo, non dovrebbe venire meno per mancanza di<br />

oggettiva univocità degli atti, poiché a rilevare sarebbe la tendenza finalistica di essi,<br />

che dovrebbe a sua volta essere inquadrata non già sulla base dei criteri di cui all’art.<br />

56 c.p., bensì in base alle regole in materia di reato progressivo. Ciò che assume<br />

maggior rilevanza, comunque, è la concezione dell’elemento dell’univocità, di cui<br />

all’art. 56, come requisito di carattere puramente oggettivo: il dolo del delitto tentato<br />

non necessiterebbe, quindi, di “coscienza e volontà” dell’univocità degli atti, ma<br />

consisterebbe nella direzione della volontà alla produzione dell’offesa; direzione,<br />

questa, ricavabile alla luce dell’elemento dell’univocità della direzione degli atti,<br />

valutato in modo oggettivo ed alla stregua di un criterio di prova 565 . Il corollari di tali<br />

sviluppi argomentativi sono sintetizzabili nell’accoglimento del principio per cui “il<br />

dolo del tentativo è lo stesso della consumazione” 566 , e nella constatazione in base<br />

alla quale “il dolo eventuale è del tutto compatibile col delitto tentato”, in quanto “il<br />

requisito della non equivocità degli atti rispetto all’evento di pericolo si riferisce alla<br />

collocazione sopra un’identica linea ideale ascendente, per cui ciò che è diretto al meno sarebbe<br />

automaticamente diretto anche al più.”<br />

564 Cass. Pen., Sez. Un., 18 giugno 1983, in Cass. pen., 1983, 3 – 4, 493 ss.: “Il dolo non è<br />

qualcosa di esterno al fatto, di valore ideologico, interno al soggetto, ma qualcosa che si trasferisce<br />

nel fatto al momento attuativo, e che esso realizza e manifesta. […] Essendo […] il fatto, con la sua<br />

carica di fattori indizianti, ad esprimere essenzialmente l’elemento psicologico del reato, è evidente<br />

che quando l’azione è adeguata all’evento, nel senso che esso appaia come una sua conseguenza<br />

certa, questo deve ritenersi intenzionale. Parimenti intenzionale è l’evento, quando si presenta come<br />

una conseguenza possibile (in modo però apprezzabile) dell’azione (dolo eventuale), purché l’autore<br />

non abbia agito nel ragionevole convincimento […] di una sua mancata realizzazione” (ivi, 495 – 496).<br />

565 M. FILIÈ, Delitto tentato e dolo eventuale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 2, 745.<br />

566 Cass. Pen., Sez. Un., 18 giugno 1983, in Cass. pen., 1983, 3 – 4, 493 ss.<br />

114


struttura obiettiva della condotta, mentre sotto il profilo subiettivo del dolo il delitto<br />

tentato per nulla si differenzia dal reato consumato” 567 .<br />

Anche parte della dottrina, peraltro, è giunta alla conclusione della compatibilità<br />

fra dolo eventuale e delitto tentato, seppur sulla base di sviluppi argomentativi<br />

differenti rispetto a quelli adottati dalla Suprema Corte all’interno della sentenza alla<br />

quale si è appena fatto riferimento. Il punto di partenza dell’impostazione di cui<br />

trattasi è dato dalla valutazione della c.d. “teoria oggettiva” sull’univocità degli atti 568 ,<br />

conformemente alla quale l’univocità esprimerebbe un requisito di carattere<br />

oggettivo: per cui, ai fini della sussistenza del delitto tentato, sarebbe necessario che<br />

gli atti siano valutati oggettivamente come “diretti in modo non equivoco” alla<br />

realizzazione del reato, tenuto conto delle loro caratteristiche esteriori, in sé stesse<br />

considerate 569 . Si osserva, tuttavia, che la sola oggettività della condotta non possa<br />

dirsi soddisfacente ai fini dell’individuazione del fine delittuoso, poiché praticamente<br />

ogni condotta umana possiede in sé un certo margine di polivalenza: da qui, la<br />

necessità della valutazione di detto fine delittuoso considerando la condotta<br />

congiuntamente al piano concreto dell’agente 570 . In altri termini, in primo luogo<br />

occorrerà effettuare l’accertamento del piano concreto dell’agente; solo<br />

successivamente, e tenuto conto di esso, si potrà passare all’accertamento della<br />

univocità della direzione degli atti rispetto a questo: in tal modo, gli atti “non equivoci”<br />

verrebbero ad essere quelli che, considerato il programma concreto ideato<br />

dall’agente, si collochino come prossimi o contigui alla realizzazione del reato 571 ;<br />

quindi, non svolgerebbero la funzione di indicare l’intenzione dell’agente; al contrario,<br />

sarebbe la valutazione del programma perseguito dall’agente ad orientare il giudizio<br />

sull’univocità degli atti, che risulterebbero effettivamente “diretti in modo univoco” se<br />

orientati alla realizzazione di detto piano 572 . Dunque, in base a ciò, la “direzione non<br />

equivoca” degli atti non rivestirebbe la funzione di “prova” dell’orientamento<br />

teleologico della volontà, ma diverrebbe un “criterio di essenza”; conseguentemente,<br />

nulla osterebbe alla configurabilità del dolo eventuale con riferimento al delitto<br />

tentato: se, infatti, l’agente si rappresenta la possibilità che da una propria condotta<br />

scaturisca la realizzazione di un fatto di reato, è comunque possibile formulare un<br />

giudizio di idoneità oggettiva degli atti rispetto a tale realizzazione, parallelamente<br />

567<br />

Cass. Pen., Sez. I, 12 giugno 1981, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 2, 746.<br />

568<br />

Le principali teorie in ordine all’interpretazione del requisito dell’univocità degli atti sono due:<br />

la “teoria soggettiva”, conformemente alla quale tale requisito costituirebbe un criterio di prova, sicché<br />

sarebbe soddisfatto qualora, in sede processuale, fosse raggiunta la prova del proposito criminoso; la<br />

“teoria oggettiva” la quale, invece, considera l’univocità come caratteristica oggettiva della condotta,<br />

che deve possedere, in sé stessa e considerata nel contesto in cui sia inserita, l’attitudine a rivelare il<br />

proposito criminoso. Sull’esposizione di tali teorie si veda G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 465: gli<br />

Autori, in particolare, aderiscono alla teoria oggettiva specificando, tuttavia, che, al fine di evitare una<br />

eccessiva restrizione della sfera di operatività del tentativo, il fine criminoso possa essere,<br />

effettivamente, ricavato anche per altra via e che, una volta conseguita, eventualmente aliunde, la<br />

prova di tale fine criminoso, occorrerà valutare se gli atti, considerati nella loro oggettività, risultino<br />

sufficientemente congrui ad esso.<br />

569<br />

M. ANGELINI, Dolo eventuale e tentativo: una lunga questione ancora alla ricerca di<br />

soluzione, in Cass. pen., 1993, 5, 1108.<br />

570<br />

M. ANGELINI, op. loc. cit.<br />

571<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 466: gli Autori definiscono tale impostazione come<br />

“teoria materiale oggettiva individuale”.<br />

572 M. ANGELINI, op. loc. cit.<br />

115


alla valutazione della contiguità degli atti stessi rispetto al piano concretamente<br />

ideato 573 .<br />

Del resto, si giunge anche a confutare la tesi inerente la non compatibilità del<br />

dolo eventuale con il tentativo in base al rilievo che essa confonderebbe la questione<br />

attinente all’elemento soggettivo con quella inerente l’idoneità degli atti: si osserva,<br />

nello specifico, che nella maggior parte degli esempi addotti dai sostenitori di tale<br />

tesi, gli atti non risultino punibili, in realtà, non già per l’assenza di dolo eventuale,<br />

bensì per l’inidoneità degli atti 574 ; emblematico, in tal senso, sarebbe il caso del<br />

guidatore che, superando i limiti di velocità, si rappresenti effettivamente la possibilità<br />

di provocare esiti lesivi; possibilità, tuttavia, meramente ipotetica, in quanto l’assenza<br />

di passanti lungo il percorso rendeva l’azione inadeguata a provocare detti eventi: in<br />

siffatta situazione, a ben vedere, si avrebbe una condotta inidonea a provocare<br />

l’evento 575 .<br />

Passando all’analisi dell’orientamento a favore della non compatibilità fra dolo<br />

eventuale e tentativo, esso prende le mosse dalla concezione del delitto tentato<br />

come fattispecie autonoma rispetto al reato consumato: sicché, il dolo del delitto<br />

tentato dovrebbe assumere ad oggetto anche i due requisiti oggettivi prospettati<br />

dall’art. 56 c.p., ossia idoneità e direzione non equivoca degli atti alla realizzazione<br />

del risultato lesivo 576 : più precisamente si evidenzia che, essendo il dolo costituito, a<br />

livello strutturale, da rappresentazione e volontà, la fattispecie del delitto tentato,<br />

autonomamente considerata, dovrebbe richiedere, ai fini della configurabilità del<br />

dolo, rappresentazione e volontà dell’idoneità e dell’univocità della direzione degli<br />

atti 577 , oltre che degli elementi descrittivi contenuti nella norma di parte speciale la<br />

quale identifichi il reato consumato alla realizzazione del quale tende la condotta<br />

dell’agente 578 . Idoneità ed univocità della direzione degli atti, quindi, sarebbero sì<br />

requisiti oggettivi della fattispecie del delitto tentato: tuttavia, essendo tale fattispecie<br />

autonoma rispetto al reato consumato, anche essi dovrebbero essere oggetto di<br />

rappresentazione e volontà proprie del dolo 579 . Del resto, la dottrina non ha mancato<br />

di evidenziare che la concezione del delitto tentato come autonoma fattispecie sia, in<br />

effetti, l’unica soluzione che, ad un’analisi critica, possa apparire soddisfacente,<br />

essendo la soluzione opposta, viceversa, frutto di una non condivisibile concezione<br />

della condotta oggettiva come svincolata dall’elemento soggettivo: invero dovrebbe<br />

trattarsi, al contrario, di elementi (condotta oggettiva ed elemento soggettivo)<br />

strettamente connessi 580 .<br />

Sulla base delle premesse appena delineate, e considerato che il dolo<br />

eventuale consista nella rappresentazione della possibilità o probabilità di<br />

realizzazione di un evento non direttamente o intenzionalmente voluto, bensì<br />

collaterale ed accessorio – non necessario e non condizionante – rispetto al fine<br />

573<br />

M. ANGELINI, op. loc. cit.<br />

574<br />

M. ANGELINI, op. cit., 1110.<br />

575<br />

M. ANGELINI, op. loc. cit.<br />

576<br />

M. FILIÈ, op. cit., 746 – 747; S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 147.<br />

577<br />

M. FILIÈ, op. cit., 747; S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

578<br />

R. GUARALDO, Dolo eventuale e delitto tentato: profili di un’incompatibilità, in Cass. pen.,<br />

1985, 8 – 9, 1516.<br />

579<br />

R. GUARALDO, op. loc. cit.<br />

580<br />

A. M. DE SANTIS, Sulla compatibilità tra dolo eventuale e delitto tentato, in Cass. pen.,<br />

1988, 12, 2068.<br />

116


intenzionalmente perseguito (senza ripercorrere nel dettaglio tutte le teorie sulla<br />

definizione del dolo eventuale, si tratta probabilmente degli unici punti minimi di<br />

convergenza a riguardo, con esclusione, ovviamente, delle teorie che rigettano la<br />

categoria del dolo eventuale), occorre valutare la compatibilità di tale particolare<br />

conformazione dell’elemento psicologico relativamente ai requisiti dell’idoneità e<br />

dell’univoca direzione degli atti. Per quanto concerne, in primo luogo, l’“idoneità”, tale<br />

elemento non suscita particolari problemi di compatibilità con il dolo eventuale, posto<br />

che “idoneità” significhi “adeguatezza” degli atti alla realizzazione del reato: la<br />

rappresentazione della possibilità di realizzazione dell’evento non intenzionalmente<br />

perseguito può ben essere compatibile con la rappresentazione dell’“idoneità” di essi<br />

alla realizzazione di detto evento 581 ; la percezione intellettiva dell’idoneità degli atti, a<br />

dire il vero, altro non è che la previsione dell’offesa del corrispondente delitto di parte<br />

speciale 582 ; del resto appare, in pratica, impossibile configurare una<br />

rappresentazione della possibilità di realizzazione di un risultato lesivo<br />

parallelamente alla rappresentazione dell’“inidoneità” degli atti alla realizzazione<br />

stessa.<br />

Ciò che, per converso, costituisce un ostacolo insormontabile alla compatibilità<br />

fra dolo eventuale e delitto tentato (inteso, quest’ultimo, come fattispecie autonoma)<br />

è il requisito della “direzione non equivoca” degli atti alla realizzazione del reato o,<br />

meglio, la rappresentazione di essa: infatti, non si vede come possa sussistere la<br />

rappresentazione di tale “direzione non equivoca” con riferimento ad atti che l’agente<br />

preveda (senza certezza) possano realizzare un evento non direttamente perseguito<br />

e non necessario, o non avente efficacia determinante, bensì accessorio, rispetto alla<br />

realizzazione del fine intenzionalmente perseguito 583 . Invero, “direzione non<br />

equivoca” degli atti alla realizzazione di un evento lesivo significa “unidirezionalità”<br />

degli atti stessi verso tale realizzazione, nel senso che debba trattarsi di atti i quali<br />

esprimano in modo certo la loro finalizzazione, ovvero la loro direzione teleologica,<br />

alla produzione del risultato antigiuridico: e non si vede come la rappresentazione di<br />

un elemento in tal modo configurato possa essere compatibile con la previsione, in<br />

termini di possibilità o probabilità (e, comunque, non in termini di certezza), di esiti<br />

collaterali, non direttamente perseguiti 584 .<br />

Nella maggior parte dei casi, la dottrina a sostegno di tale impostazione fa<br />

riferimento espresso all’incompatibilità a livello di sola rappresentazione, ma è chiaro<br />

che essa comporta, giocoforza, la non configurabilità dell’elemento volitivo: in<br />

sostanza si giunge, quindi, ad affermare che vi sarebbe una incompatibilità in re ipsa<br />

fra “prevedere e volere” una condotta teleologicamente indirizzata in modo univoco<br />

ad un esito lesivo e rappresentazione della realizzazione dello stesso esito lesivo,<br />

non intenzionalmente perseguito e collaterale rispetto al fine intenzionalmente<br />

perseguito, in termini di possibilità 585 .<br />

La giurisprudenza a sostegno della incompatibilità fra dolo eventuale e tentativo<br />

muove, in sostanza, da rilievi analoghi a quelli appena delineati: così, si afferma che<br />

“l’art. 56 c.p. disciplina una figura autonoma di reato con un proprio nucleo<br />

581<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 149; M. FILIÈ, op. cit., 749 – 750.<br />

582<br />

M. FILIÈ, op. cit., 750.<br />

583<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 157 – 158; M. FILIÈ, op. cit., 748; A. M. DE SANTIS, op. cit.,<br />

2069. 584 A. M. DE SANTIS, op. loc. cit.<br />

585 R. GUARALDO, op. cit., 1517.<br />

117


soggettivo” e che, quindi, “il dolo, nel caso in esame, altro non è che coscienza e<br />

volontà di porre in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il<br />

delitto: e pertanto chi, tendendo ad altre ‘prospettive’, accetti il rischio del verificarsi<br />

d’un certo evento delittuoso, non può rappresentarsi né può volere gli atti come<br />

univocamente diretti alla realizzazione di quell’evento”; diversamente ragionando, si<br />

ammetterebbe un “tentativo sorretto da atti equivoci” 586 (o, sarebbe meglio dire, da<br />

atti “che a livello di rappresentazione siano percepiti nonché, quindi, voluti come<br />

equivoci”).<br />

Sulla stessa linea, si afferma che “il tentativo costituisce una figura di reato<br />

autonoma rispetto al corrispondente reato consumato ed è, pertanto, inesatto<br />

affermare che l’elemento soggettivo di essi è identico” 587 . Parallelamente<br />

all’incompatibilità fra dolo eventuale e delitto tentato, si afferma che quest’ultimo<br />

necessiti della configurabilità del dolo (almeno) diretto: “nel delitto tentato il dolo deve<br />

essere diretto, in quanto soltanto da tale specie di elemento psicologico, non<br />

realizzandosi alcun evento, è possibile dedurre l’inequivoca direzione degli atti<br />

concretizzati dall’agente verso l’evento non realizzatosi per cause indipendenti dal<br />

comportamento del reo, così come espressamente voluto dal legislatore con<br />

l’espressione ‘diretti in modo non equivoco a commettere un delitto’ ” 588 ; significa,<br />

sostanzialmente, che nel delitto tentato, non essendo realizzato alcun evento, il dolo<br />

debba essere necessariamente quantomeno diretto, poiché la forma indiretta non<br />

permetterebbe di inferire l’inequivoca direzione degli atti alla realizzazione<br />

dell’evento, effettivamente non verificatosi 589 .<br />

Ulteriormente, la giurisprudenza specifica che l’art. 56 “impone al giudice di<br />

ricostruire […] quale fosse in concreto la direzione teleologica della volontà<br />

dell’agente: e quindi il risultato da lui avuto di mira”: il che significa che “tutti gli altri<br />

eventi, in probabile o, peggio, meramente possibile relazione causale con la<br />

condotta, ma non voluti” direttamente “dall’agente come conseguenza della propria<br />

586 Cass. Pen., Sez. I, 23 marzo 1987, in Cass. pen., 1988, 12, 2065 – 2067. Nel caso di specie,<br />

i giudici di secondo grado avevano affermato la responsabilità per tentato omicidio, sorretto da dolo<br />

eventuale, nei confronti di soggetti che, sorpresi ed inseguiti dalla Polizia dopo una rapina, avevano<br />

sparato colpi di arma da fuoco contro gli operatori della forza pubblica.<br />

587 Cass. Pen., Sez. I, 12 novembre 1990, in Cass. pen., 1992, 10, 2343 – 2345.<br />

588 Cass. Pen., Sez. I, 17 marzo 1995, in Cass. pen., 1996, 7 – 8, 2190 – 2191. Nel caso di<br />

specie, la Corte accoglieva il ricorso dell’indagato per tentato omicidio avverso la pronuncia del<br />

Tribunale che, dietro appello del Procuratore della Repubblica presso lo stesso, disponeva<br />

l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Il Tribunale aveva affermato che la condotta posta in<br />

essere dall’indagato il quale, alla guida di un veicolo, aveva tamponato l’autovettura della parte offesa,<br />

a velocità sostenuta ed in presenza di una ripida scarpata, potesse integrare il tentato omicidio<br />

sorretto da dolo eventuale. La Corte nega, invece, la configurabilità del dolo eventuale di tentativo.<br />

589 E. DI SALVO, Forme del dolo e compatibilità tra dolo eventuale e tentativo, in Cass. pen.,<br />

1996, 7 – 8, 2192. L’Autore propone, poi, la propria concezione in base alla quale debba essere<br />

espunta la concezione del dolo eventuale inteso come rappresentazione della mera possibilità, o<br />

bassa probabilità, di realizzazione di un fatto di reato ed accettazione del relativo rischio, sostenendo<br />

che il dolo non intenzionale necessiti di una previsione in termini di elevata probabilità, prossima alla<br />

certezza: sostiene, quindi, che il dolo eventuale nella configurazione da egli stesso criticata<br />

negativamente debba essere incompatibile non solo con il delitto tentato, bensì con qualsiasi reato;<br />

mentre sarebbe compatibile con il delitto tentato il dolo non intenzionale caratterizzato dalla previsione<br />

di realizzazione del fatto di reato in termini di elevata probabilità o certezza (ivi, 2197 – 2198).<br />

118


azione od omissione, sono destinati a collocarsi al di fuori della sfera di applicazione<br />

della norma che punisce il tentativo” 590 .<br />

Ancora, talvolta, si evidenzia l’erroneità del richiamo al principio il quale<br />

sostiene l’equiparazione, dal punto di vista dell’imputazione alla volontà dell’agente,<br />

di tutte le possibili finalità che egli possa realizzare tramite la propria condotta,<br />

indipendentemente dalla valutazione dell’univocità della direzione teleologica degli<br />

atti: ciò, infatti, si tramuterebbe nella punizione della volontà delittuosa in quanto<br />

tale 591 .<br />

Oltre alle impostazioni sin qui esaminate, ve ne sarebbe anche una terza, di<br />

matrice dottrinale, la quale prospetta una presa di posizione caratterizzata da<br />

argomentazioni differenti rispetto a quelle tradizionalmente adottate nell’ambito della<br />

tematica in questione: da un lato si ammette, in linea di massima, la compatibilità fra<br />

dolo eventuale e delitto tentato; dall’altro, tuttavia, si specifica che ciò non debba<br />

significare coincidenza fra dolo del reato consumato e dolo del delitto tentato, bensì<br />

che il dolo del delitto tentato sia strettamente correlato all’idoneità oggettiva degli atti<br />

posti in essere (fermo restando che questi debbano essere volontari) 592 . Più<br />

precisamente, si tratta di una prospettiva che tende a valorizzare la concreta messa<br />

in pericolo di beni giuridici. Si muove dalla valutazione di un caso concreto in cui un<br />

soggetto, infastidito per gli schiamazzi di alcuni giovani, allo scopo di intimidirli, aveva<br />

esploso contro l’edificio antistante alcuni colpi d’arma da fuoco uno dei quali, di<br />

rimbalzo, aveva colpito uno dei giovani, provocandone la morte: l’imputato veniva<br />

condannato per omicidio sorretto da dolo eventuale; d’altra parte, mentre i giudici di<br />

merito avevano configurato, altresì, la responsabilità dell’imputato stesso per tentato<br />

omicidio nei confronti degli altri giovani rimasti illesi, i giudici di legittimità<br />

modificavano tale statuizione, affermando la non compatibilità fra dolo eventuale e<br />

delitto tentato 593 . Da parte della dottrina che si è occupata del caso di specie,<br />

tuttavia, viene posto l’accento sul fatto che proprio la circostanza della effettiva<br />

verificazione dell’uccisione di uno dei giovani dovrebbe rendere incontestabile la<br />

valutazione della sussistenza di una concreta messa in pericolo per beni giuridici (in<br />

questo caso, il bene “vita”), attraverso la realizzazione di atti “idonei” e “diretti in<br />

modo non equivoco” alla produzione dell’evento lesivo: viene, dunque, valutata la<br />

sussistenza di una condotta che oltrepasserebbe la soglia della punibilità e che,<br />

quindi, dovrebbe essere sanzionata anche a titolo di dolo eventuale 594 . Tale<br />

valorizzazione della concreta messa in pericolo di beni giuridici induce, altresì, a<br />

ritenere che, nell’ottica di un accoglimento di essa, sarebbero opportune<br />

590 Cass. Pen., Sez. I, 8 aprile 1991, in Cass. pen., 1993, 5, 1104 – 1105. Nel caso di specie<br />

l’imputato, nel corso di un diverbio, aveva reagito ad uno schiaffo sferrando alla vittima una coltellata<br />

che era passata presso il rene, l’aorta, l’uretere e la colonna vertebrale. Secondo i giudici di legittimità,<br />

non era possibile formulare, alla luce degli elementi considerati, un giudizio di idoneità ed univocità<br />

della direzione teleologica dell’azione ad uccidere.<br />

591 Cass. Pen., Sez. I, 8 aprile 1991, in Cass. pen., 1993, 5, 1104 – 1105; Cass. Pen., Sez. I, 19<br />

febbraio 1990, n. 1263, in Cass. pen., 1992, 10, 2345.<br />

592 L. DE MATTEIS, op. cit., 996.<br />

593 La sentenza di legittimità a cui si fa riferimento è Cass. Pen., Sez. I, 8 novembre 1995, in<br />

Cass. pen., 1997, 4, 991. Il caso specifico è descritto ed analizzato da L. DE MATTEIS, op. cit., 993 –<br />

995. 594 L. DE MATTEIS, op. cit., 995.<br />

119


differenziazioni di valutazione fra tentativi “perfetti” e tentativi “imperfetti”, dato che<br />

questi ultimi configurano un pericolo meno concreto 595 .<br />

Volendo trarre conclusioni con riguardo alle varie impostazioni qui esposte,<br />

appare maggiormente condivisibile l’orientamento il quale nega la compatibilità fra<br />

dolo eventuale e delitto tentato; in effetti, non si vede per quale motivo l’art. 56 non<br />

dovrebbe costituire una fattispecie autonoma; nondimeno, posto che, in linea<br />

generale, l’oggetto del dolo debba riguardare tutti gli elementi rilevanti del fatto tipico,<br />

non si comprende in base a quale fondamento dovrebbe configurarsi un’eccezione<br />

per l’elemento dell’“univoca direzione degli atti”, richiesto dal legislatore all’interno<br />

della norma che definisce il delitto tentato. Una volta accolta la concezione del<br />

tentativo come fattispecie autonoma, è incontestabile la considerazione per cui la<br />

rappresentazione dell’univoca direzione teleologica degli atti verso la realizzazione<br />

dell’evento lesivo sia inconciliabile con la rappresentazione della sola possibilità (e<br />

non della certezza) di realizzazione dell’evento lesivo stesso, che non sia<br />

intenzionalmente perseguito e che sia collaterale (e non necessario o condizionante)<br />

rispetto alla realizzazione del fine intenzionalmente perseguito. Deve concordarsi,<br />

inoltre, con i rilievi mossi da quella parte di dottrina che evidenzia il permanere<br />

dell’incompatibilità fra dolo eventuale ed univocità anche qualora quest’ultima sia<br />

intesa in senso meramente oggettivo: infatti, il concetto stesso di tentativo è<br />

rivelatore di una tendenza verso uno scopo, la quale non può consistere in un<br />

elemento volitivo diverso dalla volontà diretta (o intenzionale) 596 .<br />

L’assetto in questione, come si è già precisato, può fondatamente dirsi essere,<br />

allo stato attuale, quello dominante in giurisprudenza: anche nell’ultimo biennio, tra<br />

l’altro, i giudici di legittimità hanno confermato che “è pacifico, in giurisprudenza, che<br />

l’ipotesi del tentativo richiede il dolo diretto, nella forma, al più, di dolo alternativo”<br />

mentre “non è configurabile, invece, ove ricorra il dolo eventuale” 597 (con riferimento<br />

ad un caso concreto in cui l’imputato, a bordo di un veicolo rubato e inseguito dai<br />

Carabinieri in una strada senza uscita, aveva proceduto in retromarcia, urtando l’auto<br />

della forza pubblica, mentre il maresciallo che aveva preso parte all’inseguimento era<br />

sceso dal mezzo, collocandosi alle spalle del veicolo rubato).<br />

2. Dolo eventuale e fattispecie con dolo specifico<br />

Il dolo specifico consiste in uno scopo che, ai fini della configurabilità del reato e<br />

per espressa previsione da parte della norma incriminatrice, deve essere preso di<br />

mira non essendo, tuttavia, necessario che esso venga effettivamente realizzato.<br />

Uno degli esempi tradizionalmente addotti ai fini della comprensione del concetto di<br />

dolo specifico è dato dal reato di furto, per la rilevanza del quale è necessario che<br />

l’agente realizzi la condotta perseguendo il fine di trarne profitto, non essendo invece<br />

necessario che il profitto, effettivamente, si realizzi 598 .<br />

Talvolta, il dolo specifico qualifica come reato una determinata condotta che, in<br />

mancanza del perseguimento dello scopo indicato, appunto, dal dolo specifico, non<br />

595 L. DE MATTEIS, op. cit., 995 – 996.<br />

596 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 468 – 469.<br />

597 Cass. Pen., Sez. I, 31 marzo 2010, n. 25114, in Cass. pen., 2011, 6, 2245.<br />

598 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 365, tanto per la spiegazione del concetto di “dolo<br />

specifico”, quanto per l’esemplificazione tramite il riferimento al delitto di furto.<br />

120


assumerebbe rilevanza penale (si pensi, ad esempio, alle associazioni con fine<br />

illecito); altre volte, invece, il dolo specifico si inserisce nell’ambito di una condotta<br />

che, altrimenti, sarebbe comunque penalmente illecita ad altro titolo: nel qual caso,<br />

esso comporta un mutamento del titolo del reato (può farsi riferimento, ad esempio,<br />

al sequestro di persona che, a seconda della finalità perseguita dall’agente, può<br />

delinearsi come sequestro con finalità di terrorismo o eversione, ovvero sequestro a<br />

scopo di estorsione) 599 .<br />

Parte della dottrina, peraltro, non ha mancato di rilevare che sarebbe possibile<br />

individuare un’ampia categoria, comprendente reati a dolo specifico, tentativo e reati<br />

di attentato, caratterizzata dal dato comune consistente nella tipizzazione, da parte<br />

del legislatore, di elementi di cui non è richiesta, ai fini dell’integrazione del reato,<br />

l’effettiva e completa realizzazione 600 .<br />

Poste tali premesse generali sul concetto di dolo specifico, occorre passare<br />

all’analisi inerente i potenziali rapporti fra dolo specifico e dolo eventuale. A tali fini, è<br />

indispensabile prendere le mosse da alcune considerazioni di fondo: anzitutto, va<br />

preso atto che il dolo specifico non si sostituisce al dolo generico, ma si aggiunge ad<br />

esso 601 ; nondimeno, si tratta effettivamente di un elemento soggettivo sfornito di un<br />

corrispondente dato sul piano oggettivo, essendo irrilevante la realizzazione dello<br />

scopo al quale si riferisce il dolo specifico stesso, tanto che si evidenzia come parte<br />

della dottrina ne abbia posto in discussione la natura di vero e proprio dolo 602 ; infine,<br />

va considerato il carattere intenzionale insito nel dolo specifico 603 , sicché lo scopo<br />

che esso inquadra dovrà essere perseguito, tendenzialmente, in modo intenzionale,<br />

e non sarà sufficiente, ad integrarlo, il dolo eventuale.<br />

A partire dai rilievi suddetti, si potrebbe essere indotti ad escludere la<br />

compatibilità fra dolo eventuale e fattispecie con dolo specifico 604 : in realtà, tale<br />

conclusione non appare soddisfacente, in quanto un conto è sostenere che il dolo<br />

specifico, in sé stesso considerato, non possa assumere la forma del dolo eventuale;<br />

altro, invece, è sostenere che l’intera fattispecie caratterizzata da dolo specifico non<br />

possa essere sorretta da dolo eventuale. In altri termini, posto che il dolo specifico<br />

configuri un obiettivo finale che debba essere perseguito tramite la realizzazione di<br />

un fatto – base 605 , affermare che detto obiettivo debba essere perseguito<br />

intenzionalmente non significa, necessariamente, negare che il fatto – base possa<br />

essere realizzato con dolo eventuale.<br />

D’altra parte, non risulta esaustiva neppure la conclusione opposta: infatti,<br />

sostenere che il dolo eventuale possa sempre configurarsi nell’ambito delle<br />

fattispecie a dolo specifico, stante il fatto che il dolo specifico non sostituisce il dolo<br />

599 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 366.<br />

600 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 169. L’Autore, tra l’altro, sostiene che anche nell’ambito dei<br />

reati di attentato, alla stregua di quanto necessario per il tentativo, la direzione degli atti verso il<br />

risultato finale debba essere presente sia con riguardo al finalismo oggettivo sia con riguardo al<br />

finalismo soggettivo dell’agente.<br />

601 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 173.<br />

602 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 170.<br />

603 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 172.<br />

604 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 172 – 173.<br />

605 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 173.<br />

121


generico ma si aggiunge ad esso, significa non tenere conto del rapporto di<br />

connessione fra fatto – base ed obiettivo finale perseguito 606 .<br />

La conclusione che appare più soddisfacente, in quanto deriva effettivamente<br />

da un’indagine analitica di tutti gli aspetti che caratterizzano le fattispecie a dolo<br />

specifico, sembra essere la seguente: posto che, come si è detto, la fattispecie a<br />

dolo specifico si caratterizza per un “fatto – base”, il quale assume rilevanza penale<br />

in quanto avente valore “strumentale” per la realizzazione di un obiettivo finale<br />

intenzionalmente perseguito (ma la cui realizzazione è irrilevante), il dolo eventuale<br />

non potrà caratterizzare la fattispecie a dolo specifico qualora il fatto – base sia nella<br />

sua totalità strumentale alla realizzazione dell’obiettivo finale che costituisce il dolo<br />

specifico stesso; viceversa, qualora il fatto – base non sia strumentale nella sua<br />

integrità alla realizzazione dell’obiettivo finale, potrà configurarsi dolo eventuale per<br />

la fattispecie, purché esso ricada, ovviamente, su elementi del fatto – base i quali<br />

non costituiscano un requisito necessario per la realizzazione dell’obiettivo finale<br />

perseguito 607 . Emblematico, in tal senso, risulta ancora il richiamo al delitto di furto: in<br />

tal caso, posto che il dolo specifico è dato dal fine di conseguire profitto, la<br />

componente dell’altruità della cosa non costituisce un elemento necessario a detto<br />

fine, per cui si ha uno spazio di configurabilità del dolo eventuale. Al contrario, il dolo<br />

eventuale non sarà configurabile, ad esempio, con riguardo alla fattispecie di frode<br />

processuale, ove la realizzazione della condotta consistente nell’alterazione di<br />

luoghi, persone o cose è interamente correlata al fine di trarre in inganno il giudice 608 .<br />

Occorre poi rilevare che, in taluni casi, si abbia un dolo specifico meramente<br />

“apparente”. Non sempre, infatti, l’utilizzo di clausole quali “allo scopo di” o affini<br />

indica necessariamente un dolo specifico: talvolta può accadere che tali clausole, pur<br />

contribuendo ad una selezione descrittiva della condotta penalmente rilevante, in<br />

effetti identifichino uno scopo che viene a coincidere con la realizzazione della<br />

fattispecie stessa. Un esempio significativo in tal senso è dato dal reato di bancarotta<br />

preferenziale, ove lo scopo di favorire taluno dei creditori dovrebbe realizzarsi in<br />

modo contestuale rispetto alla condotta 609 .<br />

Passando all’analisi del versante giurisprudenziale, si rilevano in larga misura<br />

pronunce che affermano l’incompatibilità fra dolo eventuale e dolo specifico: ciò è<br />

evidente, ad esempio, in tema di reati sessuali, con particolare riguardo al delitto di<br />

corruzione di minorenne, in relazione al quale si afferma che il dolo specifico,<br />

consistente nel perseguimento del fine di far assistere il minore agli atti sessuali<br />

compiuti, rende incompatibile, con tale fattispecie, il dolo eventuale 610 . Analoghe<br />

conclusioni sono state tratte con riguardo al reato di devastazione, saccheggio e<br />

strage, in forza del rilievo che esso richieda un duplice dolo specifico: finalità di<br />

arrecare un pregiudizio alla sicurezza interna della collettività ed aggredire<br />

606 S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit.<br />

607 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 174.<br />

608 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 174 – 175.<br />

609 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 175.<br />

610 Trib. La Spezia, 22 aprile 2010, n. 435, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. III, 12 marzo<br />

2008, n. 15633, in dejure.giuffre.it, relativamente ad un caso in cui erano stati compiuti, da parte<br />

dell’imputato, atti masturbatori alla presenza di due minori, uno dei quali dormiva, mentre l’altro<br />

fingeva di dormire: circostanza, quest’ultima, ignota all’imputato. I giudici della Corte affermano che<br />

l’accettazione del rischio che uno dei due minori potesse svegliarsi non rileverebbe nell’ambito della<br />

fattispecie in questione, la quale sarebbe incompatibile con il dolo eventuale.<br />

122


l’incolumità dei consociati o del loro patrimonio 611 . Sulla stessa linea, con riferimento<br />

al reato di strage (art. 422 c.p.), si è ritenuto che il fine di uccidere configuri un dolo<br />

specifico, incompatibile con il dolo eventuale 612 . Ancora, l’incompatibilità fra dolo<br />

eventuale e fattispecie con dolo specifico è stata affermata relativamente ai reati<br />

associativi di cui agli artt. 416 e 416 – bis c.p., ove il dolo specifico consisterebbe nel<br />

perseguimento della realizzazione di delitti, ovvero, nel caso dell’art. 416 – bis, degli<br />

ulteriori scopi indicati dal comma 3 di tale norma 613 .<br />

Tuttavia, non si può fare a meno di notare che si tratti, nella maggior parte dei<br />

casi appena citati, non già di negazione della configurabilità del dolo eventuale con<br />

riguardo al fatto – base, bensì di negazione di tale configurabilità con riguardo allo<br />

scopo che deve essere perseguito affinché risulti integrato il dolo specifico: in<br />

sostanza, ciò che si nega è che il dolo specifico possa essere eventuale. Ad<br />

esempio, con riguardo al delitto di strage, si afferma che il “fine di uccidere” non<br />

possa essere “degradato” a dolo eventuale, sicché non sarebbe sufficiente ad<br />

integrare il delitto in questione il fatto che l’agente, avendo previsto la possibilità di<br />

uccidere, avesse agito “a costo di determinare” tale evento 614 . Tutto ciò sembra<br />

confermare l’impostazione dottrinale alla quale si è aderito, a sostegno del fatto che<br />

la questione sulla compatibilità o meno del dolo eventuale con le fattispecie a dolo<br />

specifico non possa essere risolta in modo univoco a priori, ma debba tenere conto,<br />

caso per caso, dell’interconnessione tra fatto – base e realizzazione dell’obiettivo<br />

identificato dal dolo specifico.<br />

3. Dolo eventuale e concorso di persone<br />

Affrontare la tematica relativa al dolo eventuale in rapporto al concorso di<br />

persone significa, principalmente, fare riferimento all’individuazione della soglia di<br />

elemento soggettivo la quale segni il passaggio dalla fattispecie di “concorso<br />

anomalo” di cui all’art. 116 c.p. alla fattispecie di cui all’art. 110: questo è, infatti,<br />

l’aspetto più trattato e discusso in giurisprudenza, nonché maggiormente connesso<br />

propriamente a quella forma di imputazione soggettiva che è il dolo eventuale.<br />

Tuttavia, l’argomento non può esaurirsi solamente in questi termini, dato che le<br />

ipotesi di compartecipazione criminosa costituiscono un peculiare “banco di prova”<br />

per l’analisi dei problemi attinenti alla dogmatica penale (e, per quel che interessa in<br />

questa sede, attinenti all’elemento soggettivo) generalmente proposti con riferimento<br />

a fattispecie monosoggettive 615 .<br />

Gli aspetti che meritano di essere analizzati sono, in sintesi, i seguenti: in primo<br />

luogo, il rapporto fra elemento soggettivo della compartecipazione ed elemento<br />

soggettivo del reato realizzato; in secondo luogo, l’ammissibilità o meno di concorso<br />

fra condotte dolose e condotte colpose; altresì, possono risultare interessanti alcune<br />

considerazioni effettuate da parte della dottrina circa l’elemento soggettivo<br />

611 Cass. Pen., Sez. II, 6 giugno 2007, n. 25436, in Cass. pen., 2008, 5, 1910.<br />

612 Cass. Pen., Sez. I, 13 novembre 1991, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 29 gennaio<br />

1990, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., 5 luglio 1988, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 18 dicembre<br />

1987, in dejure.giuffre.it<br />

613 Cass. Pen., Sez. I, 14 ottobre 1994, in dejure.giuffre.it<br />

614 In tal senso, tra le altre, Cass. Pen., Sez. I, 5 luglio 1988, in dejure.giuffre.it<br />

615 Queste le osservazioni di S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 187.<br />

123


dell’“istigatore”; infine, occorrerà esaminare l’art. 116 c.p., alla luce dell’evoluzione<br />

interpretativa che lo ha caratterizzato, per poi indagare quale debba essere, dal<br />

punto di vista soggettivo, il discrimine fra art. 116 ed art. 110 c.p.<br />

Relativamente al rapporto fra elemento soggettivo della compartecipazione ed<br />

elemento soggettivo del reato realizzato, sono rilevabili posizioni contrapposte. La<br />

prima di esse sostiene, fondamentalmente, la “fusione” 616 fra elemento soggettivo del<br />

concorso di persone ed elemento soggettivo del reato realizzato 617 . Una delle<br />

conseguenze connesse all’accoglimento di tale impostazione sarebbe la non<br />

ammissibilità di forme di colpevolezza diverse fra i vari concorrenti 618 : dovrebbe<br />

negarsi, quindi, la configurabilità di concorso doloso a reato colposo, nonché di<br />

concorso colposo a reato doloso. A supporto della prima conclusione (inammissibilità<br />

di concorso doloso a reato colposo) si adducono, generalmente, due ordini di<br />

argomentazione: in primo luogo, si rileva che l’espressione “medesimo reato”,<br />

utilizzata dall’art. 110, sembrerebbe deporre a favore di una concezione unitaria della<br />

compartecipazione criminosa, compreso il coefficiente di colpevolezza; in secondo<br />

luogo, si sostiene che il legislatore, laddove avrebbe inteso ammettere la<br />

responsabilità dei concorrenti per titoli diversi di colpevolezza, lo avrebbe fatto<br />

espressamente (un esempio potrebbe essere dato dall’art. 116) 619 . Quanto alla<br />

impossibilità di inquadrare concorso colposo a reato doloso, tale tesi è supportata<br />

mediante il rilievo della necessità di una previsione legislativa espressa per la<br />

responsabilità colposa, nonché delle previsioni, anch’esse espresse, di particolari<br />

ipotesi tassative di agevolazione colposa, che parrebbero rafforzare la prima<br />

considerazione delineata; inoltre, si osserva come non potrebbe essere, in ogni caso,<br />

considerato colposo il comportamento di chi, semplicemente, si limiti a fornire ad altri<br />

l’occasione di delinquere 620 .<br />

La seconda impostazione teorica inerente l’elemento soggettivo del concorso di<br />

persone è quella per la quale ogni forma di compartecipazione (e, quindi, anche<br />

quella colposa, prevista dall’art. 113 c.p.) richieda la rappresentazione dell’agire altrui<br />

in cooperazione con il proprio o, dal punto di vista inverso, del fatto che la propria<br />

condotta cooperi con quella altrui: occorrono, quindi, coscienza e volontà della<br />

propria condotta in quanto destinata a cooperare con la condotta altrui; il che implica,<br />

necessariamente, anche la coscienza della condotta altrui, posto che non sia<br />

possibile avere coscienza e volontà del carattere concorsuale della propria condotta<br />

rispetto a quella altrui, qualora si ignori la condotta altrui 621 . A tale conclusione si<br />

giunge, tra l’altro, attraverso un’analisi dell’istituto della cooperazione colposa, la<br />

quale conduce a concepire le ipotesi di cui, rispettivamente, agli artt. 110 e 113 come<br />

616 Il termine “fusione” è utilizzato da S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 190.<br />

617 In tal senso, tra gli altri, M. GALLO, voce Dolo, 796 ss.; ID., Lineamenti di una teoria sul<br />

concorso di persone nel reato, Milano, Giuffrè, 1957, 98 ss. (l’Autore rileva che il richiedere la<br />

rappresentazione, da parte dell’agente, dell’apporto dato all’altrui condotta non significherebbe una<br />

differenziazione sostanziale rispetto all’ordinario concetto di dolo, essendo applicazione alla fattispecie<br />

del concorso del criterio generale per cui oggetto di volontà dolosa debba essere il fatto tipico); L.<br />

STORTONI, Agevolazione e concorso di persone nel reato, Padova, Cedam, 1981, 38.<br />

618 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 189 – 190.<br />

619 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 506 – 507. Viene riportato l’esempio di Tizio che,<br />

consapevolmente e volontariamente, induca Caio, il quale versi in errore inescusabile (e, quindi,<br />

colposo) sul carattere tossico di una sostanza, a versarla in acque destinate all’alimentazione.<br />

620 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 507 – 508.<br />

621 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 193 – 194, 196.<br />

124


iconducibili ad un’unica area di “compartecipazione criminosa” caratterizzata, in tutte<br />

le sue forme, da un comune denominatore, consistente nella coscienza e volontà del<br />

fatto che la propria condotta concorra con quella altrui: in particolare, prendendo le<br />

mosse dalla contrapposizione fra impostazioni teoriche a sostegno della sufficienza,<br />

ai fini della cooperazione colposa, della consapevolezza del fatto di concorrere<br />

all’altrui condotta ed impostazioni che, in senso più restrittivo, ritengono altresì<br />

necessaria la conoscenza del carattere colposo dell’altrui condotta alla quale si<br />

cooperi, si opta per la prima tesi, evidenziando che l’accoglimento della seconda<br />

condurrebbe a modellare i requisiti strutturali del concorso sulla base dei requisiti del<br />

reato realizzato 622 . Si conclude, quindi, in favore di una concezione della<br />

cooperazione colposa come autentica forma di compartecipazione criminosa,<br />

parallelamente al concorso doloso: in entrambi i casi, l’elemento soggettivo della<br />

compartecipazione dovrebbe essere tenuto distinto rispetto all’elemento soggettivo<br />

del reato realizzato, e dovrebbe consistere nella coscienza e volontà del concorso tra<br />

il proprio agire e quello altrui. Un assetto di questo genere vede il proprio fondamento<br />

anche nell’art. 42 c.p., il quale richiede, ai fini della punibilità in generale, che la<br />

condotta sia compiuta con coscienza e volontà: il che dovrebbe postulare la<br />

consapevolezza non solo dell’agire fisico, in sé e per sé considerato, ma anche del<br />

significato assunto da tale agire nel contesto in cui esso sia posto in essere 623 ; del<br />

resto, non dovrebbe essere elemento essenziale della struttura del concorso<br />

l’atteggiamento dell’agente rispetto ad elementi del fatto di reato diversi dalla<br />

condotta 624 ; e, di conseguenza, dovrebbe essere prospettabile una condotta<br />

concorsuale dolosa in fatto colposo o, viceversa, una condotta concorsuale colposa<br />

in fatto doloso 625 .<br />

Quest’ultima impostazione di cui si è trattato giunge a sostenere, peraltro, che<br />

la “consapevolezza” del concorso fra la propria e l’altrui condotta possa manifestarsi<br />

anche in forma dubitativa, qualora il soggetto si rappresenti il convergere del proprio<br />

agire con quello altrui anche solo in termini di possibilità o probabilità 626 : il che<br />

sembrerebbe, dunque, ammettere che l’elemento soggettivo proprio del concorso<br />

possa assumere una fisionomia assimilabile a quella del dolo eventuale, nonostante<br />

la parte di dottrina di cui trattasi concluda, effettivamente, per l’affermazione in base<br />

alla quale l’elemento soggettivo della compartecipazione in generale, sia essa<br />

relativa a reato doloso o a reato colposo, non consista tanto in dolo o colpa, quanto<br />

nella suitas della condotta 627 .<br />

Per quanto concerne, quindi, la tematica strettamente inerente il dolo eventuale<br />

in rapporto al concorso di persone, possono essere tratte valide conclusioni<br />

attraverso l’applicazione della teoria per cui tale forma di imputazione soggettiva sia<br />

rinvenibile in una deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un<br />

altro, attraverso la quale venga accettata la lesione del bene giuridico subordinato<br />

quale evento collaterale rispetto al perseguimento di un fine intenzionale; in<br />

particolare, prendendo le mosse da tale assetto, occorrerebbe stabilire quale debba<br />

622 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 190 – 192.<br />

623 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 195 – 196.<br />

624 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 193.<br />

625 M. RONCO – S. ARDIZZONE, a cura di, Codice penale ipertestuale: commentario con banca<br />

dati di giurisprudenza e legislazione, II edizione, UTET, Torino, 2007, 654.<br />

626 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 196.<br />

627 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 199.<br />

125


considerarsi come fine rilevante: se quello che caratterizza il piano comune, ovvero<br />

quello potenzialmente diverso e previsto dal singolo concorrente. Orbene, la parte di<br />

dottrina che sostiene l’impostazione teorica qui richiamata conclude che, mentre con<br />

riferimento al soggetto che agisca perseguendo un proprio interesse, il quale<br />

coincida con lo scopo comune della compartecipazione, la suddetta alternativa non si<br />

ponga (in quanto lo scopo della cooperazione coinciderebbe effettivamente con lo<br />

scopo personale), con riguardo al soggetto che non possegga detti requisiti<br />

occorrerà valutare, invece, se, posto l’affiancarsi di uno scopo personale al fine che<br />

anima la cooperazione, il fine che abbia ispirato la sua condotta consista in un fine<br />

proprio ed individuale, ovvero se egli abbia reso proprio un fine originariamente<br />

altrui 628 ; a tali scopi, occorrerà tenere conto delle valutazioni e deliberazioni effettuate<br />

dal singolo concorrente in modo individuale 629 .<br />

Se, fermo restando quanto si è fin qui delineato, il concorso materiale non<br />

dovrebbe suscitare ulteriori particolari problemi, alcune precisazioni possono rendersi<br />

necessarie per quanto attiene al concorso morale e, in particolare, all’istigazione:<br />

alcuni Autori hanno, infatti, evidenziato che tale forma concorsuale sia dotata di una<br />

propria autonomia, essendo espressamente richiamata e disciplinata dall’art. 115<br />

c.p. (ma si ammette, comunque, la parificazione di fondo fra istigazione e concorso<br />

materiale) 630 . Sulla base di tali rilievi, non viene condivisa la posizione per la quale<br />

l’istigazione sarebbe inquadrabile anche se sorretta solamente da dolo eventuale:<br />

invero, si evidenzia come il concetto stesso di istigazione, tra l’altro, dovrebbe<br />

possedere ed esprimere una particolare pregnanza, che sarebbe incompatibile con il<br />

dolo eventuale 631 ; quantomeno, sarebbe necessaria una forma diretta di volontà con<br />

riferimento alla condotta del soggetto istigato; il dolo eventuale sarebbe, invece,<br />

ammissibile con riguardo alle conseguenze di tale condotta 632 . Il tutto<br />

presupponendo il riferimento a casi in cui l’istigazione non determini un illecito penale<br />

a sé stante: qualora essa, al contrario, costituisca reato in sé e per sé, non dovrebbe<br />

essere ammessa la forma del dolo eventuale in considerazione, ancora una volta,<br />

della particolare pregnanza del concetto di istigazione 633 .<br />

A questo punto, è possibile passare all’analisi del nucleo probabilmente più<br />

significativo nell’ambito delle questioni inerenti il dolo eventuale con riferimento al<br />

concorso di persone: si tratta, come si è accennato, dell’argomento relativo all’art.<br />

116 c.p., il quale disciplina le ipotesi c.d. di “concorso anomalo”, richiamando i casi in<br />

cui venga realizzato un reato diverso rispetto a quello voluto da taluno dei<br />

concorrenti. Più precisamente, la norma prevede che “qualora il reato commesso sia<br />

diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se<br />

l’evento è conseguenza della sua azione o omissione” 634 .<br />

628<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 210 – 211.<br />

629<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 210.<br />

630<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 212.<br />

631<br />

S. PROSDOCIMI, op. loc. ult. cit. L’Autore, poi (ivi, 214 – 215), evidenzia che l’istigazione<br />

parrebbe caratterizzata, addirittura, da tre momenti, ciascuno dei quali dovrebbe delinearsi a livello di<br />

rappresentazione: il radicamento o rafforzamento, nell’animo dell’istigato, della determinazione ad<br />

agire; l’esecuzione da parte dell’istigato; il risultato della condotta posta in essere dall’istigato.<br />

632<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 216.<br />

633<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 217.<br />

634<br />

La differenza sostanziale fra concorso anomalo ed aberratio delicti sta nel fatto che, nel caso<br />

del concorso anomalo, l’evento diverso deve essere “voluto” da taluno dei concorrenti mentre, nel<br />

126


Originariamente, l’art. 116 rappresentava una ipotesi di responsabilità oggettiva,<br />

in quanto era interpretato nel senso che, ai fini della responsabilità (per il reato<br />

effettivamente realizzato e a titolo di concorso) del concorrente che avesse voluto il<br />

reato diverso rispetto a quello effettivamente realizzato, fosse sufficiente il solo nesso<br />

di causalità materiale, a prescindere dall’atteggiamento psicologico di detto<br />

concorrente rispetto alla fattispecie penale concretamente prodotta 635 . Attualmente<br />

invece, alla luce di una importante pronuncia della Corte costituzionale 636 , la<br />

responsabilità del concorrente che volle un reato diverso rispetto a quello<br />

effettivamente realizzato necessiterebbe, oltre che di un requisito di “causalità<br />

materiale”, anche di un requisito definito come “causalità psichica”.<br />

L’espressione “causalità psichica” dovrebbe indicare, sostanzialmente, una<br />

“prevedibilità” della realizzazione del reato diverso. Tuttavia, sono rilevabili differenti<br />

interpretazioni giurisprudenziali di tale concetto: una prima di esse sostiene che<br />

debba trattarsi di “prevedibilità in astratto”, tenuto conto degli sviluppi che potrebbero<br />

generarsi in linea meramente logica; mentre una seconda impostazione sostiene che<br />

sarebbe necessaria, invece, una “prevedibilità in concreto”, tenuto conto di tutte le<br />

circostanze, appunto, della vicenda concreta; a queste, se ne aggiunge una terza, la<br />

quale ritiene necessaria addirittura l’effettiva previsione e, quindi, la rappresentazione<br />

del fatto diverso concretamente realizzato 637 .<br />

Per quanto concerne il criterio che pone l’accento sulla “prevedibilità in<br />

astratto”, esso è stato oggetto di applicazione giurisprudenziale da parte di pronunce<br />

di legittimità che, ad esempio, hanno considerato la rapina come (astrattamente)<br />

prevedibile sviluppo del c.d. “scippo” 638 , ovvero l’omicidio del sequestrato come<br />

conseguenza prevedibile del sequestro di persona a scopo di estorsione 639 . In<br />

dottrina, tuttavia, si è evidenziato che l’adozione di tale criterio possa condurre a<br />

conclusioni non congrue, posto che un evento astrattamente imprevedibile possa<br />

essere, alla luce delle circostanze concrete, effettivamente prevedibile: sicché si<br />

potrebbe giungere ad escludere la responsabilità ex art. 116 laddove l’evento fosse<br />

astrattamente (tenuto conto dei generali e teorici sviluppi logici) non prevedibile, ma<br />

prevedibile in concreto 640 .<br />

Relativamente al criterio della “prevedibilità in concreto”, d’altro canto, il giudizio<br />

di prevedibilità verrebbe effettuato tenuto conto di tutte le circostanze caratteristiche<br />

del caso concreto, nonché in base al parametro dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis 641 : sicché, tale giudizio diverrebbe del tutto analogo a quello relativo alla<br />

valutazione della “prevedibilità” ai fini della responsabilità colposa, e la struttura della<br />

caso dell’aberratio delicti, l’evento diverso che si realizzi deve essere il risultato di un errore<br />

nell’esecuzione del reato. In tal senso, G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 514.<br />

635<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 514.<br />

636<br />

Corte cost., 13 maggio 1965, n. 42, in Riv. pen., 1965, 2, 598.<br />

637<br />

E. DI SALVO, Dolo eventuale e concorso anomalo, in Cass. pen., 2003, 1, 125.<br />

638<br />

Cass. Pen., Sez. VI, 3 settembre 1986, in C.E.D. Cass., n. 175366.<br />

639<br />

Così evidenzia E. DI SALVO, op. ult. cit., 125.<br />

640<br />

E. DI SALVO, op. loc. ult. cit. L’Autore adduce l’esempio della comparazione tra reato di furto<br />

e violenza sessuale: astrattamente, il reato di violenza sessuale non dovrebbe essere conseguenza<br />

logicamente prevedibile del reato di furto; tuttavia, in concreto, la prevedibilità potrebbe ben sussistere<br />

laddove il concorrente sia a conoscenza che all’interno dell’immobile, il quale dovrebbe essere il luogo<br />

del furto, sia presente una ragazza, e che l’ulteriore concorrente si fosse precedentemente reso<br />

responsabile di atti di violenza sessuale.<br />

641<br />

E. DI SALVO, op. ult. cit., 125 – 126.<br />

127


esponsabilità ai sensi dell’art. 116 c.p. diverrebbe, sostanzialmente, coincidente con<br />

le caratteristiche essenziali dell’agire colposo (assenza di volontà del fatto realizzato,<br />

prevedibilità dell’evento in base al parametro dell’homo eiusdem conditionis et<br />

professionis e inosservanza di regole precauzionali di condotta che, in tal caso, si<br />

sostanzierebbe anche nell’affidarsi alla condotta altrui, la quale non può essere<br />

controllata) 642 . Al contrario, qualora la realizzazione del reato non voluto sia<br />

totalmente atipica, dovuta a circostanze eccezionali, dovrebbe escludersi la<br />

responsabilità ai sensi dell’art. 116: si evidenzia che, invero, verrebbe meno, in tal<br />

caso, ancor prima che il rapporto di “causalità psichica”, quello di “causalità<br />

materiale” 643 . Nondimeno, ulteriore corollario delle considerazioni elencate consiste<br />

nella concezione del dolo eventuale come soglia che dovrebbe comportare il<br />

passaggio dalla sfera di applicazione dell’art. 116 a quella di applicazione dell’art.<br />

110: infatti, l’effettiva previsione della realizzazione del reato diverso, nonché<br />

l’accettazione del rischio di tale realizzazione, non sarebbero più compatibili con i soli<br />

requisiti strutturali della colpa. Di conseguenza, due sarebbero i limiti dell’ambito di<br />

applicazione dell’art. 116: da un lato, la sussistenza delle connotazioni strutturali<br />

della responsabilità colposa; dall’altro, la soglia del dolo eventuale, la quale segna il<br />

discrimine fra art. 116 ed art. 110 644 . In forza di dette osservazioni, la responsabilità<br />

di cui all’art. 116 diviene responsabilità per colpa: il dolo eventuale comporta il<br />

passaggio alla sfera di applicazione dell’art. 110, mentre l’assenza di “prevedibilità” in<br />

base al parametro dell’homo eiusdem conditionis et professionis renderebbe atipico,<br />

eccezionale ed imprevedibile l’evento, facendo venire meno addirittura il nesso di<br />

causalità materiale.<br />

Può fondatamente definirsi dominante la giurisprudenza che avvalla tale<br />

assetto. Così sì è affermato, in tempi recenti e con termini molto chiari, che “il<br />

concorso anomalo di cui all’art. 116 c.p. postula pur sempre una contrapposizione<br />

psichica alla realizzazione dell’evento da parte del concorrente che ha voluto il reato<br />

meno grave, essendo pur sempre richiesto che l’evento diverso sia prevedibile, in<br />

quanto logico sviluppo di quello concordato, sì da restare escluso se il reato diverso<br />

consiste in un evento atipico, del tutto eccezionale ed imprevedibile” 645 . Del resto, è il<br />

caso di fare riferimento a pronunce meno recenti che, tuttavia, hanno definito la<br />

questione in maniera molto precisa, attraverso considerazioni che evidenziano la<br />

logicità delle conclusioni tratte anche con riguardo al piano del trattamento<br />

sanzionatorio; in particolare, si è affermato che “tra la concreta prevedibilità […] e la<br />

concreta previsione dell’evento più grave con correlativa accettazione del rischio del<br />

suo verificarsi […] passa un displuvio tra concorso anomalo e concorso puro. Uno<br />

iato, d’altra parte, che agevolmente si spiega giacché, ove così non fosse, si<br />

realizzerebbe una inammissibile disparità di trattamento a seconda che l’evento più<br />

grave sia attribuito a titolo di dolo eventuale in una fattispecie monosoggettiva (con<br />

responsabilità piena e trattamento sanzionatorio ordinario) ovvero in una fattispecie<br />

642 E. DI SALVO, op. ult. cit., 126.<br />

643 E. DI SALVO, op. loc. ult. cit.<br />

644 In tal senso, Cass. Pen., Sez. I, 20 novembre 2000, n. 4399, in Cass. pen., 2001, 12, 3400.<br />

645 Cass. Pen., Sez. I, 19 novembre 2009, n. 283, in dejure.giuffre.it; in senso analogo, Cass.<br />

Pen., Sez. II, 10 novembre 2006, n. 40156, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. V, 25 ottobre 2006, n.<br />

10995, in dejure.giuffre.it.<br />

128


concorsuale (per la quale opererebbe, appunto, la più favorevole disciplina del<br />

concorso anomalo)” 646 .<br />

La ricostruzione a sostegno della correlazione fra concorso anomalo e<br />

“prevedibilità in concreto” è accolta anche in dottrina, laddove si evidenzia che la<br />

colpa costituisca, al contempo, il coefficiente minimo e massimo che l’art. 116 possa<br />

“sopportare”, mentre qualsiasi forma di “volizione”, seppur anche nella graduazione<br />

“eventuale”, dovrebbe comportare l’inapplicabilità dell’art. 116 e, parallelamente,<br />

l’applicabilità dell’art. 110 647 .<br />

Con riguardo alle fattispecie specifiche, uno degli ambiti principali nei quali si<br />

tende a ravvisare la prevedibilità in concreto del reato diverso è quello relativo ai casi<br />

in cui il reato voluto da tutti i concorrenti sia la rapina a mano armata, mentre il reato<br />

effettivamente realizzato (di norma, in questi casi, in aggiunta rispetto al reato di<br />

rapina) e diverso sia l’omicidio 648 .<br />

In sintesi, dunque, è possibile trarre conclusioni sul criterio della “prevedibilità in<br />

concreto” tramite uno schema tripartito, determinato da<br />

“atipicità/imprevedibilità/eccezionalità” del reato diverso, “prevedibilità in concreto” ed<br />

“effettiva previsione” (con conseguente accettazione del relativo rischio): la prima<br />

componente di tale tripartizione dovrebbe comportare, ancor prima che la mancanza<br />

del nesso di causalità psichica, l’assenza del nesso di causalità materiale 649 , per cui<br />

dovrebbe addirittura escludersi la rilevanza penale della fattispecie realizzata; la<br />

seconda dovrebbe comportare la configurazione di un elemento psicologico<br />

strutturalmente analogo alla colpa, con possibilità di inquadramento all’interno della<br />

sfera delineata dall’art. 116; la terza, infine, dovrebbe indicare il dolo eventuale, con<br />

conseguente applicazione non già della fattispecie del concorso anomalo, bensì del<br />

concorso “puro” di cui all’art. 110. In altri termini, la responsabilità ai sensi dell’art.<br />

116 richiederebbe almeno la colpa e, allo stesso tempo, al massimo la colpa, posto<br />

che il dolo eventuale comporterebbe l’applicazione dell’art. 110; l’applicabilità del<br />

concorso anomalo, cioè, necessiterebbe che il reato diverso effettivamente realizzato<br />

646 Cass. Pen., Sez. I, 25 giugno 1999, n. 10795, in dejure.giuffre.it; si richiamano anche Cass.<br />

Pen., Sez. I, 14 marzo 1996, n. 5188, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 10 aprile 1996, n. 4894, in<br />

dejure.giuffre.it.<br />

647 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 221 – 222.<br />

648 Cass. Pen., Sez. I, 20 novembre 2000, n. 4399, in Cass. pen., 2001, 12, 3400. Nel caso di<br />

specie, a fronte dell’ipotesi di omicidio commesso durante una rapina con uso di armi, i giudici di<br />

legittimità hanno sostenuto l’applicazione dell’art. 110, in luogo dell’art. 116, in considerazione della<br />

prevedibilità della realizzazione dell’omicidio, a sua volta ricavata alla luce di circostanze concrete ed<br />

univoche, quali la consapevolezza, da parte degli imputati, che le armi avessero il colpo in canna e<br />

che, la sera precedente, l’autore dell’omicidio avesse commesso altra rapina con le medesime<br />

modalità e con reazione armata della vittima. Si sostiene, comunque, che la questione debba essere<br />

risolta caso per caso, senza il ricorso ad aprioristiche conclusioni. Ai fini di una trattazione esaustiva, è<br />

opportuno precisare che la sentenza in questione applichi, ai fini dell’inquadramento del dolo<br />

eventuale, il tradizionale criterio dell’accettazione del rischio. Sostanzialmente conformi in quanto a<br />

conclusioni, e sempre con riguardo al reato di omicidio come conseguenza di rapina a mano armata,<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 18489, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. V, 26 maggio<br />

2011, n. 36135, in dejure.giuffre.it<br />

649 Cass. Pen., Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 42861, in dejure.giuffre.it: “La giurisprudenza<br />

costante di questa Corte afferma […] che la responsabilità del compartecipe ex art. 116 c.p. può<br />

essere esclusa solo quando il reato diverso e più grave si presenti come evento atipico, dovuto a<br />

circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, non collegato in alcun modo al fatto criminoso su cui<br />

è innestato, oppure quando si verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo ad escludere il nesso<br />

di causalità”.<br />

129


non fosse voluto, neppure nella forma indiretta, da parte del concorrente il quale<br />

avesse – questa volta sì – voluto la realizzazione di un reato diverso 650 : significa,<br />

dunque, che l’art. 116 richiede la totale mancanza di intenzionalità da parte<br />

dell’agente con riferimento al fatto realizzato e diverso, la quale deve essere esclusa<br />

anche nella forma dell’accettazione del rischio 651 .<br />

Tali conclusioni appaiono coerenti alla luce di diversi punti di vista: in primo<br />

luogo, in base alla considerazione per cui l’adozione del criterio della “prevedibilità in<br />

astratto” ai fini dell’inquadramento del concorso anomalo potrebbe condurre a<br />

risultati non congrui allorché l’evento fosse in astratto imprevedibile, ma prevedibile<br />

in concreto; in secondo luogo, in forza del fatto che, qualora si identifichi la<br />

correlazione fra responsabilità per concorso anomalo e previsione in concreto, si<br />

avrebbe una indebita disparità di trattamento fra realizzazione del fatto di reato<br />

monosoggettivo e realizzazione del medesimo in concorso: nel primo caso si<br />

avrebbe imputazione per dolo eventuale, con trattamento sanzionatorio ordinario; nel<br />

secondo, si avrebbe imputazione per concorso anomalo, con trattamento<br />

sanzionatorio ridotto rispetto a quello relativo al concorso “puro” di cui all’art. 110.<br />

Tutto ciò, a parere di chi scrive, è sicuramente lineare e logico ma,<br />

probabilmente, tende a trascurare la definizione di “dolo eventuale”: in effetti, la<br />

giurisprudenza che si è cimentata sull’argomento in questione ha avvallato<br />

pedissequamente il tradizionale criterio dell’accettazione del rischio il quale, di per sé<br />

considerato, suscita le problematiche che sono già state evidenziate all’interno del<br />

capitolo precedente (in particolare, ed in estrema sintesi, la difficoltà di conciliazione<br />

fra i concetti di “rappresentazione della possibilità di realizzazione dell’evento” e<br />

“sicura fiducia che l’evento non si verificherà”, ai fini dell’inquadramento della colpa<br />

cosciente; nonché il carattere ambiguo dell’espressione “accettazione del rischio” la<br />

quale, invero, parrebbe identificare proprio l’atteggiamento soggettivo tipicamente<br />

colposo). Inoltre, la medesima giurisprudenza sembra quasi escludere, ai fini della<br />

trattazione dell’argomento in questione, la categoria della colpa cosciente: infatti, la<br />

“previsione in concreto” potrebbe ben configurare, appunto, la colpa cosciente;<br />

ammettere il contrario significherebbe o configurare ipotesi di dolo in re ipsa<br />

(ritenendo sussistente l’elemento volitivo alla luce dell’elemento intellettivo in sé<br />

considerato), ovvero accoglimento di un’impostazione riconducibile al paradigma<br />

indicato dalla teoria della rappresentazione, non condivisibile per i motivi che sono<br />

già stati esposti (supra, cap. II, par. 1). Si vuole sostenere, cioè, che, laddove si<br />

identifichi il concorso anomalo qualora l’evento diverso sia rimasto nella sfera della<br />

mera “prevedibilità”, ed il concorso “puro” laddove, invece, l’evento diverso sia stato<br />

“concretamente previsto” ed “accettato” 652 , non viene menzionata l’ipotesi in cui<br />

l’evento sia stato previsto ma non accettato, ossia l’ipotesi della previsione non<br />

accompagnata da un atteggiamento psicologico che configuri una presa di posizione<br />

della volontà e, quindi, l’elemento volitivo necessario ai fini dell’inquadramento del<br />

dolo.<br />

650 Cass. Pen., Sez. I, 16 maggio 2003, n. 30262, in dejure.giuffre.it: “Per la sussistenza del<br />

concorso anomalo è necessario […] che l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo<br />

del dolo indiretto e che il reato più grave non sia stato già considerato come possibile conseguenza<br />

ulteriore e diversa della condotta criminosa concordata o che, nonostante la previsione, non sia stato<br />

ugualmente accettato il rischio del suo verificarsi.”<br />

651 Cass. Pen., Sez. I, 27 settembre 1996, n. 9487, in dejure.giuffre.it<br />

652 Cass. Pen., Sez. VI, 13 gennaio 2010, n. 18489, in dejure.giuffre.it<br />

130


Probabilmente, alla luce delle conclusioni che poi la giurisprudenza trae (nel<br />

senso della configurazione del concorso “puro” allorché si abbia il dolo eventuale), si<br />

potrebbe considerare implicito che, comunque, le ipotesi di colpa dovrebbero essere<br />

ricondotte alla sfera dell’art. 116, con inclusione della categoria della colpa cosciente;<br />

permane, ad ogni modo, un’aura di incertezza a riguardo. Si tratta, insomma, di un<br />

ulteriore frangente in cui il criterio dell’“accettazione del rischio” palesa i propri limiti.<br />

Alcune pronunce giurisprudenziali sembrano, forse, spingersi oltre, accogliendo<br />

un’impostazione in base alla quale il dolo eventuale distinguerebbe la responsabilità<br />

per concorso “puro” dalla responsabilità per concorso anomalo (beninteso che il dolo<br />

eventuale inquadrerebbe il concorso “puro”) laddove, a fronte della rappresentazione<br />

in concreto della possibilità di realizzazione del reato diverso, non vi sia stata<br />

“esplicita dissociazione”: per cui, la realizzazione del fatto diverso potrebbe dirsi<br />

“accettata” sotto il profilo volitivo 653 .<br />

È anche vero, tuttavia, che, nell’ipotesi in cui taluni concorrenti abbiano anche<br />

solo previsto la possibilità di realizzazione di un reato diverso rispetto a quello che<br />

formi oggetto della compartecipazione criminosa, ci si trova in una situazione che si<br />

manifesta, rispetto all’ipotetica realizzazione del reato diverso, fondamentalmente<br />

come un versari in re illicita: dunque, non sembra eccessivamente forzato far tornare<br />

attuali le considerazioni effettuate da parte della dottrina, la quale ha evidenziato<br />

come, nei casi in cui si agisca in contesto di base illecito, qualora sia anche solo<br />

prevista la possibilità di realizzazione di un fatto ulteriore, divenga difficile<br />

l’esclusione della componente volitiva e la conseguente affermazione della colpa<br />

cosciente; viceversa, sarà più facile l’inquadramento del dolo eventuale, posto che il<br />

decorso causale è, molto spesso, già “parzialmente avviato”, e che l’elemento<br />

psicologico dell’agente tende a coincidere con quello proprio del dolo eventuale 654 .<br />

La tematica del concorso anomalo permette, inoltre, di cogliere spunto per<br />

l’identificazione di un ulteriore fondamento, il quale potrebbe supportare la teoria che<br />

individua il dolo eventuale nell’accettazione dell’evento collaterale mediante una<br />

deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto al fine intenzionalmente<br />

perseguito: la dottrina che ha sostenuto tale teoria (in particolare, come si è visto,<br />

Salvatore Prosdocimi) evidenzia che alcune pronunce di legittimità, sostenendo che<br />

“la mera previsione ed accettazione del rischio di un evento diverso, sostitutivo o<br />

aggiuntivo rispetto a quello proprio dell’azione concordata, non è riconducibile allo<br />

schema del concorso tipico previsto dall’art. 110, bensì a quello del concorso atipico<br />

di cui all’art. 116”, sembrino, a tutta prima, deporre nel senso che il dolo eventuale<br />

sarebbe, contrariamente a quanto si è esposto con riguardo al principio di<br />

“prevedibilità in concreto”, incompatibile con l’art. 110 e compatibile con l’art. 116; ad<br />

una analisi più accorta, tuttavia, si sostiene che un assetto di questo genere<br />

dovrebbe confermare l’insufficienza della mera previsione ed accettazione del rischio<br />

ai fini dell’inquadramento del dolo eventuale 655 : in tal senso, dunque, permarrebbe la<br />

validità delle associazioni “dolo – art. 110” e “colpa – art. 116”. Ora, a parte il<br />

carattere condivisibile o meno di tale rilievo, è da apprezzare lo sforzo di evidenziare<br />

il maggior numero possibile di fondamenti a sostegno di una teoria che mira a<br />

risolvere le discrasie giurisprudenziali in tema di distinzione fra dolo eventuale e<br />

653<br />

Cass. Pen., Sez. II, 24 giugno 2011, n. 32972, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. VI, 13<br />

gennaio 2010, n. 18489, in dejure.giuffre.it<br />

654<br />

S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 131 – 140; v. supra, cap. II, par. 14.<br />

655 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 224.<br />

131


colpa cosciente: quantomeno, si pone in evidenza la labilità del criterio<br />

dell’accettazione del rischio.<br />

Restano da analizzare le applicazioni del criterio della “previsione in concreto”:<br />

pur trattandosi di un’impostazione minoritaria, essa è stata effettivamente adottata in<br />

taluni casi 656 , ed in particolare, tra l’altro, proprio in ipotesi di omicidio come<br />

“sviluppo” di rapina a mano armata, mediante l’affermazione della responsabilità ai<br />

sensi dell’art. 116 del compartecipe il quale, pur non avendo commesso l’azione<br />

tipica dell’omicidio, avesse previsto in concreto la possibilità di realizzazione di tale<br />

evento come conseguenza dell’azione concordata 657 . È stato osservato, in dottrina,<br />

che una ricostruzione di questo tipo dovrebbe essere quella maggiormente garantista<br />

ed aderente al principio di personalità della responsabilità penale 658 .<br />

Ancora, a sostegno del principio della “previsione in concreto”, si è osservato<br />

che l’applicazione, in luogo di esso, del criterio della “prevedibilità in concreto”<br />

potrebbe condurre ad un indebito ampliamento della sfera del dolo eventuale,<br />

essendo facile che il giudizio sulla prevedibilità in concreto si tramuti in giudizio<br />

sull’effettiva previsione in concreto: la parte di dottrina alla quale sono riferibili tali<br />

osservazioni conclude, quindi, che la responsabilità ai sensi dell’art. 116 necessiti<br />

della previsione in concreto, effettiva, ma che si connoti in termini di mera possibilità<br />

o scarsa probabilità; si sostiene, altresì, che il dolo non intenzionale debba essere<br />

caratterizzato dalla rappresentazione della realizzazione del fatto di reato in termini di<br />

elevata probabilità, sicché si conclude comunque per l’ascrivere la responsabilità<br />

dolosa, in ogni sua forma, alla sfera dell’art. 110, e non a quella dell’art. 116;<br />

parallelamente, la responsabilità ai sensi dell’art. 116 verrebbe a collocarsi,<br />

effettivamente, al di fuori della sfera del dolo 659 .<br />

Una teoria di questo tipo ha sicuramente il pregio di inserirsi in un’ottica<br />

garantista, ma incorre nei limiti, più volte evidenziati, in cui incorrono, in linea<br />

generale, tutte le ricostruzioni basate su valutazioni di carattere quantitativo ai fini<br />

della distinzione di elementi, invece, qualitativamente diversi: è vero che il dolo<br />

eventuale sarà, di norma, più agevolmente ravvisabile allorché sussista una<br />

rappresentazione di realizzazione del fatto collaterale in termini di elevata probabilità,<br />

mentre sarà più agevole l’identificazione della colpa cosciente laddove il livello<br />

intellettivo fosse caratterizzato da percezione di livelli di probabilità meno intensi;<br />

tuttavia, ciò non legittima a far assurgere tali considerazioni a criteri di carattere<br />

decisivo o identificativo a priori, rispettivamente, di dolo eventuale o colpa cosciente.<br />

Da un altro punto di vista, ci si potrebbe chiedere se il dolo eventuale sia<br />

compatibile con l’atteggiamento psicologico del concorrente in relazione al reato da<br />

egli voluto (che dovrebbe essere il reato “originariamente” oggetto della<br />

compartecipazione criminosa): sembra fondato ritenere che, in mancanza di elementi<br />

a supporto della conclusione negativa, si possa propendere per la soluzione positiva,<br />

con la conseguenza che detto atteggiamento psicologico potrà assumere la forma<br />

del dolo eventuale 660 . È da rilevare, tuttavia, che parte della dottrina si sia<br />

pronunciata nel senso che il dolo eventuale rileverebbe soltanto con riguardo ad un<br />

656 Tra le altre, Cass. Pen., Sez. I, 3 febbraio 1992, in Giust. pen., 1993, 2, c. 227.<br />

657 Cass. Pen., Sez. I, 22 ottobre 1990, in Cass. pen., 1993, 1, 46.<br />

658 E. DI SALVO, op. ult. cit., 127.<br />

659 E. DI SALVO, op. ult. cit., 133.<br />

660 S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 218.<br />

132


eato effettivamente realizzato 661 , sicché l’atteggiamento psicologico del concorrente<br />

relativamente al reato da egli voluto e diverso da quello effettivamente realizzato<br />

potrebbe assumere valenza in forma di dolo eventuale soltanto qualora il reato voluto<br />

fosse stato anche esso realizzato, in aggiunta rispetto al reato diverso da quello<br />

voluto: ma tale conclusione non appare condivisibile, in base all’osservazione del<br />

fatto che l’art. 116 faccia riferimento, in ogni caso, ad un atteggiamento psicologico<br />

relativo al reato diverso da quello realizzato che avrebbe integrato il dolo se il reato<br />

fosse stato effettivamente commesso 662 .<br />

4. Dolo eventuale e preterintenzione<br />

La preterintenzione costituisce una forma autonoma di elemento soggettivo, a<br />

sé stante e distinta rispetto a dolo e colpa: lo si evince dall’art. 42, comma 2, c.p.,<br />

laddove esso dispone che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla<br />

legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto<br />

preterintenzionale o colposo espressamente previsti dalla legge” 663 ; nonché dall’art.<br />

43, comma 1, alinea 2, c.p., ove compare la definizione di “delitto preterintenzionale”,<br />

il quale si avrebbe allorché “dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o<br />

pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”.<br />

La dottrina non manca di rilevare che, invero, la preterintenzione non costituisca<br />

effettivamente un elemento soggettivo “nuovo”, ma sia dato da dolo misto a<br />

responsabilità oggettiva 664 , ovvero dolo misto a colpa 665 : l’accoglimento della prima<br />

impostazione (preterintenzione come dolo misto a responsabilità oggettiva) conduce<br />

a valutare il delitto preterintenzionale come caratterizzato da un’azione dolosa diretta<br />

a commettere un delitto meno grave la quale realizzi, invece, un risultato lesivo più<br />

grave rispetto a quello voluto; risultato che viene accollato all’agente in base alla sola<br />

sussistenza di un nesso di causalità materiale fra la condotta da lui tenuta ed il<br />

risultato lesivo e, dunque, in base ad un criterio corrispondente alla responsabilità<br />

oggettiva 666 . La seconda tesi, d’altra parte, appare maggiormente conforme al<br />

principio costituzionale di colpevolezza, che renderebbe necessaria una rilettura<br />

costituzionalmente orientata di tutte le ipotesi originariamente previste come forme di<br />

661<br />

A. PAGLIARO, La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, Milano,<br />

Giuffrè, 1966, 46.<br />

662<br />

S. PROSDOCIMI, op. ult. cit., 220.<br />

663<br />

Analogo rilievo è effettuato da G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 637. Gli Autori<br />

aggiungono che la preterintenzione dovrebbe considerarsi, altresì, come distinta rispetto alla<br />

responsabilità oggettiva, in base al dato normativo di cui all’art. 42, comma 3, c.p., il quale prevede<br />

che “la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come<br />

conseguenza della sua azione o omissione”: tale disposizione dovrebbe indicare, appunto, la<br />

responsabilità oggettiva, concepita a sua volta, dunque, come forma di responsabilità distinta rispetto<br />

a dolo, colpa e preterintenzione. Nondimeno, viene effettuato il rilievo delle sole due ipotesi<br />

pacificamente considerate come forme di delitto preterintenzionale: l’omicidio preterintenzionale (art.<br />

584) e l’aborto preterintenzionale (art. 18, comma 2, legge 22 maggio 1978, n. 194).<br />

664<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 637.<br />

665<br />

S. CANESTRARI, op. ult. cit., 128.<br />

666<br />

G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 637. Gli Autori evidenziano, a sostegno<br />

dell’accoglimento della tesi la quale vede la preterintenzione come dolo misto a responsabilità<br />

oggettiva, che la legge non faccia alcun riferimento alla necessità, ai fini della configurazione della<br />

responsabilità preterintenzionale, che l’evento più grave sia prodotto con colpa.<br />

133


esponsabilità, in tutto o in parte, oggettiva: per quel che attiene, in particolare, alle<br />

ipotesi di delitto preterintenzionale, una tale “rilettura in chiave costituzionale”<br />

dovrebbe imporre al giudice di verificare la sussistenza della colpa o, almeno, della<br />

prevedibilità dell’evento non voluto da parte dell’agente 667 .<br />

Ad ogni modo, qualunque sia l’impostazione che si accolga (preterintenzione<br />

come dolo misto a colpa, ovvero preterintenzione come dolo misto a responsabilità<br />

oggettiva), sembra essere abbastanza univoco, in base all’attuale lettera della legge,<br />

che l’evento più grave non debba essere voluto e che, quindi, relativamente ad esso<br />

non debba sussistere un atteggiamento soggettivo doloso, neppure nella forma del<br />

dolo eventuale: si avrebbe, altrimenti, una ipotesi di solo dolo, e non dolo misto a<br />

colpa, ovvero dolo misto a responsabilità oggettiva; e, d’altra parte, non si avrebbe<br />

alcuna differenziazione fra delitto doloso e delitto preterintenzionale: differenziazione,<br />

invece, chiaramente indicata dal legislatore. Del resto, dovrebbe ritenersi necessario<br />

il dolo con riguardo all’evento meno grave. In sintesi, la preterintenzione, nell’attuale<br />

assetto normativo, dovrebbe consistere nella realizzazione di un evento lesivo più<br />

grave rispetto a quello voluto: con riferimento a quest’ultimo, dovrebbe essere<br />

necessario un atteggiamento soggettivo doloso, mentre il primo non dovrebbe essere<br />

voluto, neppure nella forma del dolo eventuale.<br />

In senso conforme alla ricostruzione appena delineata si pronuncia la<br />

giurisprudenza dominante, perlopiù relativa ad ipotesi di omicidio preterintenzionale.<br />

Così, si afferma che “l’omicidio preterintenzionale va escluso in radice” nei casi in<br />

cui, in base alle risultanze processuali, debba “del tutto escludersi che” l’intenzione<br />

fosse “solo quella di cagionare mere lesioni” 668 ; l’omicidio preterintenzionale, cioè,<br />

necessiterebbe del dolo di lesioni, ma dell’assenza di qualsiasi manifestazione<br />

dell’elemento soggettivo doloso con riferimento all’evento “morte” 669 .<br />

Insomma, la configurazione del dolo eventuale con riguardo all’evento “morte”<br />

renderebbe non prospettabile l’attribuzione di responsabilità per omicidio<br />

preterintenzionale: emblematica, in tal senso, è una pronuncia dei giudici di<br />

legittimità, la quale ha negato la sussistenza dell’omicidio preterintenzionale<br />

affermando, invece, l’omicidio sorretto da dolo eventuale, con riferimento alla<br />

condotta dell’agente che, reagendo ad un tentativo di aggressione da parte di<br />

soggetti armati di coltello – tentativo di aggressione che l’agente stesso avrebbe<br />

potuto evitare semplicemente non rispondendo alla provocazione di “scendere in<br />

strada” e “raccogliere la sfida” – sparando colpi di pistola all’altezza della zona<br />

addominale ed a distanza ravvicinata, aveva provocato l’evento “morte”, alla luce<br />

667 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 638. Gli Autori osservano che tale tesi costituisca una<br />

prospettiva de jure condendo, ma sostengono che, allo stato attuale, mancando un riferimento<br />

normativo il quale preveda espressamente la necessità della colpa per l’attribuzione della<br />

responsabilità per l’evento più grave realizzato, la preterintenzione debba considerarsi come dolo<br />

misto a responsabilità oggettiva.<br />

668 Cass. Pen., Sez. I, 18 maggio 2011, n. 30283, in dejure.giuffre.it<br />

669 Cass. Pen., Sez. I, 31 marzo 2011, n. 16793, in dejure.giuffre.it: “[…] questa Corte di<br />

legittimità ha sempre insegnato come il criterio discretivo tra l’omicidio volontario ed il reato ex art. 584<br />

c.p. risieda nell’elemento psicologico, sul rilievo che nella figura preterintenzionale l’agente deve<br />

escludere qualsivoglia previsione, anche indiretta (per dolo eventuale o alternativo), dell’evento<br />

morte”. Cass. Pen., Sez. I, 30 giugno 2009, n. 30304, in dejure.giuffre.it: “il criterio distintivo tra<br />

l’omicidio volontario e preterintenzionale è che in questo secondo caso la volontà dell’agente esclude<br />

ogni previsione dell’evento morte che si determina per fattori esterni e l’accertamento deve fondarsi su<br />

elementi oggettivi desunti dalla modalità dell’azione”.<br />

134


dell’osservazione che la preterintenzione necessiti del dolo di lesioni e dell’assenza<br />

assoluta di ogni previsione (e, si potrebbe aggiungere, dall’assenza di qualsiasi tipo<br />

di volizione) dell’evento più grave provocato (la morte, in questo caso) 670 . Sulla<br />

stessa linea, è stata esclusa la preterintenzione con riguardo alla condotta di soggetti<br />

che, nel tentativo di compiere una rapina all’interno di una villa, avevano causato la<br />

morte di un’anziana donna presente all’interno della stessa, imbavagliandola in modo<br />

eccessivo e provocandone asfissia: tale evento fu considerato sorretto, quantomeno,<br />

da dolo eventuale, valutandosi che i rapinatori, pur non volendo direttamente la<br />

morte della donna, possedessero tutti gli elementi per prevedere la morte stessa, ed<br />

avessero agito accettando il rischio di uccidere 671 .<br />

Se mai, si tratta di stabilire se il dolo di lesioni, ai fini della rilevanza della<br />

responsabilità per preterintenzione, possa sussistere come dolo eventuale, ovvero<br />

debba essere almeno diretto: la giurisprudenza maggioritaria accoglie la prima<br />

opzione, affermando che “il delitto di omicidio preterintenzionale ricorre anche<br />

quando gli atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dall’art. 581 c.p. e art. 582<br />

c.p., dai quali sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte, siano stati posti<br />

in essere con dolo eventuale” 672 ; sulla stessa linea, si è precisato che l’elemento<br />

soggettivo dell’omicidio preterintenzionale vada ravvisato nella trasgressione del<br />

precetto il quale vieti di porre in essere atti lesivi dell’altrui incolumità; d’altra parte,<br />

l’espressione “atti diretti a ledere o percuotere” non escluderebbe il dolo eventuale, in<br />

quanto dovrebbe essere interpretata come descrittiva di un requisito strutturale<br />

oggettivo della condotta 673 .<br />

Non mancano tuttavia, seppur non più recenti, pronunce di segno opposto, le<br />

quali sostengono che il dolo di lesioni, ai fini della responsabilità per omicidio<br />

preterintenzionale, debba essere almeno diretto, con esclusione della rilevanza del<br />

dolo eventuale 674 . Alcune sentenze sembrano richiedere, addirittura, il dolo<br />

intenzionale 675 .<br />

È il caso di porre qualche cenno ai rilievi mossi da parte di alcuni esponenti<br />

della dottrina, connessi ad una concezione per la quale, ai fini del dolo, si dovrebbe<br />

richiedere un elemento intellettivo che si configuri come rappresentazione in termini<br />

di elevata probabilità, e non mera possibilità o scarsa probabilità 676 . Più<br />

precisamente, tra le altre cose, si evidenzia che concepire il dolo eventuale come<br />

inquadrabile anche nelle ipotesi in cui la realizzazione del reato si fosse presentata,<br />

670<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 1 dicembre 2010, n. 2291, in dejure.giuffre.it: “Non può ravvisarsi nella<br />

specie l’ipotesi di omicidio preterintenzionale, di cui all’art. 584 c.p. Il criterio distintivo fra l’omicidio<br />

volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nell’elemento psicologico, atteso che, nell’ipotesi della<br />

preterintenzione, la volontà dell’agente è diretta a percuotere od a ferire la vittima, con esclusione<br />

assoluta di ogni previsione dell’evento morte; nell’omicidio volontario la volontà dell’agente consiste<br />

nell’intenzione di arrecare la morte, intesa quale dolo intenzionale, nelle sue note graduazioni di dolo<br />

diretto e dolo eventuale”.<br />

671<br />

Cass. Pen., Sez. I, 23 ottobre 1997, n. 2587, in dejure.giuffre.it<br />

672<br />

Cass. Pen., Sez. fer., 15 settembre 2011, n. 34745, in dejure.giuffre.it. In senso conforme,<br />

Cass. Pen., Sez. I, 13 ottobre 2010, n. 40202, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. V, 11 dicembre<br />

2008, n. 4237, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2009, 9, 719; Cass. Pen., Sez. V, 12 novembre 2008, n.<br />

44751, in dejure.giuffre.it.<br />

673<br />

Cass. Pen., Sez. V, 11 dicembre 2008, n. 4237, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2009, 9, 719.<br />

674<br />

Cass. Pen., Sez. I, 5 luglio 1988, n. 4904, in Giust. pen., 1988, 2, 28 ss.; Cass. Pen., Sez. I,<br />

15 marzo 1982, in Giust. pen., 1983, 2, c. 234.<br />

675<br />

Cass. Pen., Sez. I, 23 ottobre 1997, n. 2587, in dejure.giuffre.it<br />

676<br />

E. DI SALVO, Dolo eventuale e colpa cosciente, 1943.<br />

135


sullo schermo mentale dell’agente, in termini di mera possibilità o bassa probabilità<br />

significherebbe dilatare in modo eccessivo la sfera di applicazione del dolo a scapito<br />

della sfera della preterintenzione: infatti, si sostiene che sia, in pratica, impossibile o,<br />

se non altro, molto difficile escludere che la raffigurazione mentale di una almeno<br />

remota possibilità di realizzazione dell’evento lesivo si fosse manifestata nell’agente<br />

a livello intellettivo 677 . Non varrebbe ad eliminare il problema l’accoglimento della<br />

distinzione fra dolo eventuale e preterintenzione in base alla dicotomia “effettiva<br />

previsione” – “prevedibilità” dato che, a fronte della valutazione della “prevedibilità”<br />

dell’evento lesivo, il passo ulteriore alla valutazione dell’effettiva previsione è molto<br />

agevole: il procedimento di accertamento del dolo, come si è già evidenziato, si basa<br />

sull’analisi delle caratteristiche oggettive del caso concreto, alla luce delle quali si<br />

inferisce all’inquadramento dell’elemento soggettivo, in considerazione di massime<br />

d’esperienza ed in base al criterio dell’id quod plerumque accidit, sicché ove si<br />

accerti, tramite detto procedimento, che la realizzazione dell’evento fosse<br />

“prevedibile”, sarà ben difficile non giungere all’affermazione della sussistenza di<br />

effettiva previsione 678 . La preterintenzione verrebbe, così, relegata alle ipotesi in cui<br />

la realizzazione dell’evento più grave non fosse neppure prevedibile da parte<br />

dell’agente, o lo fosse soltanto in base al parametro della “miglior scienza ed<br />

esperienza”: il che la collocherebbe nettamente nell’alveo della responsabilità<br />

oggettiva, con i dubbi di legittimità costituzionale che ne conseguono 679 .<br />

Infine, per completezza di trattazione, vale la pena di fare riferimento ad una<br />

particolare tesi 680 che, pur senz’altro minoritaria e difforme rispetto alla<br />

giurisprudenza prevalente (per ammissione dello stesso Autore che la sostiene),<br />

concorre a rendere evidente le problematiche sottotese all’inquadramento delle<br />

fattispecie preterintenzionali in un’ottica di conformità rispetto al dettato normativo del<br />

codice penale e, altresì ed al contempo, rispetto al principio costituzionale di<br />

colpevolezza. Si tratta della c.d. “tesi temeraria dell’omicidio preterintenzionale” che,<br />

in estrema sintesi, sostiene un’interpretazione costituzionalmente orientata della<br />

fattispecie di cui all’art. 584, concependola come caratterizzata dal dolo eventuale<br />

del fatto più grave realizzato.<br />

Lo sviluppo argomentativo a supporto della “tesi temeraria” prende in<br />

considerazione diversi aspetti alla luce dei quali si dovrebbe essere indotti a dubitare<br />

del carattere “sufficiente” della responsabilità oggettiva per l’evento più grave<br />

realizzato, nonché a ritenere necessario, appunto, il dolo eventuale per detto evento.<br />

Più precisamente, viene effettuato un raffronto fra il tenore letterale dell’art. 584 e<br />

quello dell’art. 586 (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto), e si rileva che,<br />

mentre il secondo specifica expressis verbis che gli eventi “morte” o “lesioni”<br />

debbano essere “conseguenza non voluta” di un “fatto previsto come doloso”, il<br />

primo non pone alcun riferimento al fatto che l’evento “morte” debba essere “non<br />

voluto” o, comunque, possa prescindere dalla volizione del soggetto agente,<br />

quantomeno configurata nella forma del dolo eventuale: da ciò si dovrebbe ricavare<br />

677 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1940.<br />

678 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1941.<br />

679 E. DI SALVO, op. ult. cit., 1941 – 1942. L’Autore ripropone, con riferimento al reato di cui<br />

all’art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto), considerazioni analoghe a quelle<br />

svolte con riguardo al dolo eventuale in rapporto alla preterintenzione.<br />

680 L. VIOLA, Ancora sulla tesi temeraria dell’omicidio preterintenzionale come dolo eventuale<br />

del fatto più grave, in www.altalex.it<br />

136


che il legislatore, laddove abbia inteso escludere la necessità del dolo, lo abbia fatto<br />

espressamente; e che, dunque, la fattispecie di cui all’art. 584, non escludendo<br />

espressamente la necessità del dolo per l’evento “morte” debba richiedere, per<br />

quest’ultimo, appunto il dolo nella forma eventuale. Il tutto sarebbe, del resto,<br />

conforme ai principi generali per cui la forma ordinaria di responsabilità sia il dolo,<br />

mentre la colpa o, comunque, forme di imputazione che prescindano dal dolo,<br />

debbano essere espressamente previste dalla legge 681 .<br />

Alla suddetta ricostruzione si potrebbe obiettare che, conformemente ad essa,<br />

non si avrebbe alcuna distinzione fra omicidio preterintenzionale ed omicidio doloso:<br />

ma ad essa si replica che, invece, la differenziazione tra tali forme di delitto consista<br />

nella presenza necessaria, nel caso dell’omicidio preterintenzionale, di un evento<br />

“intermedio”, il quale consiste in “percosse” o “lesioni”; anche l’omicidio doloso<br />

potrebbe, in effetti, essere caratterizzato da un evento “intermedio”, ma si<br />

differenzierebbe rispetto all’omicidio preterintenzionale per il fatto che tale evento<br />

non consista in “percosse” o “lesioni”, oltre che, ovviamente, alla luce del carattere<br />

non necessario di detto evento “intermedio”. A titolo esemplificativo, l’omicidio doloso<br />

potrebbe ben essere caratterizzato da un evento intermedio consistente in minacce o<br />

tentativo di estorsione posti in essere con dolo, e seguiti dall’evento “morte” sorretto<br />

da dolo eventuale: si pensi all’ipotesi di chi, al fine di spaventare la vittima con scopo<br />

di estorsione di denaro, la spinga con forza, prevedendo ed accettando la possibilità<br />

che la vittima stessa inciampi e urti la testa in modo letale 682 .<br />

A supporto della “tesi temeraria” viene, altresì, richiamato il fatto che l’art. 584<br />

contenga l’inciso “cagiona la morte di un uomo”, analogo a quello contenuto nell’art.<br />

575 c.p.: si sostiene, in particolare, che tale inciso dovrebbe essere interpretato<br />

come indice della necessità del dolo per la fattispecie di cui all’art. 584 e con<br />

riferimento all’evento “morte”, stante il fatto che la lettera della legge sia la medesima<br />

utilizzata nell’ambito della disciplina dell’omicidio doloso 683 .<br />

La “tesi temeraria” appena analizzata si distingue senza dubbio per vari aspetti<br />

positivi: si tratta senz’altro di un apprezzabile tentativo di valorizzazione della<br />

reinterpretazione in chiave costituzionalmente orientata delle norme del codice<br />

penale le quali configurino ipotesi di responsabilità oggettiva, sia essa pura o mista.<br />

D’altra parte essa appare, fondamentalmente, inattuabile alla luce del contesto<br />

attuale, e non risultano appieno convincenti i rilievi, effettuati dall’Autore che ha<br />

sostenuto tale tesi, i quali fanno riferimento ai dati normativi di cui agli artt. 575, 584 e<br />

586 c.p.: è vero che l’art. 586 richiede espressamente che gli eventi “morte” o<br />

“lesioni” debbano essere “non voluti”, mentre non è lo stesso per quanto attiene<br />

all’art. 584; tuttavia, tale considerazione tralascia completamente i riferimenti<br />

normativi di cui agli artt. 42 e 43 c.p., i quali prevedono espressamente e definiscono<br />

la preterintenzione, mantenendola distinta rispetto a dolo e colpa; e l’art. 584 è<br />

rubricato come “omicidio preterintenzionale”, per cui non avrebbe potuto esservi<br />

richiamo più chiaro da parte del legislatore. Sostenere la necessità di un’ulteriore<br />

precisazione espressa circa l’assenza del requisito del dolo con riferimento all’evento<br />

“morte” per l’omicidio preterintenzionale equivarrebbe quasi a voler richiedere che, ai<br />

fini della rilevanza della colpa per le fattispecie in relazione alle quali essa sia<br />

681 L. VIOLA, op. cit.<br />

682 L. VIOLA, op. cit.<br />

683 L. VIOLA, op. cit.<br />

137


prevista, il legislatore debba ogni volta enunciare nuovamente la definizione di delitto<br />

colposo, già predisposta dall’art. 43. Considerazioni analoghe possono essere<br />

trasferite all’argomento che evidenzia il raffronto fra art. 575 ed art. 584: il fatto che<br />

entrambe le norme contemplino l’espressione “cagiona la morte di un uomo” non<br />

pare, di per sé, idoneo ad indurre a sostenere che essa debba significare la<br />

necessità del dolo; l’art. 584 è intitolato “omicidio preterintenzionale”, e la nozione di<br />

“delitto preterintenzionale” è contenuta all’interno dell’art. 43; ragionando altrimenti,<br />

non si comprenderebbe per quale motivo l’art. 584 sia stato intitolato “omicidio<br />

preterintenzionale”: se fosse stato intitolato, ad esempio, “omicidio come<br />

conseguenza di lesioni o percosse”, il ragionamento effettuato a supporto della “tesi<br />

temeraria” avrebbe potuto essere coerente; ma, dato che così non è, appare<br />

opportuno interpretare la legge senza tralasciare dati letterali effettivamente presenti<br />

(magari non condivisibili, ma pur sempre presenti).<br />

5. Dolo eventuale e dolo alternativo<br />

Nella prevalente giurisprudenza, il dolo alternativo viene individuato allorché<br />

l’agente preveda e voglia, con scelta sostanzialmente equipollente, eventi alternativi<br />

causalmente ricollegabili alla sua condotta: si tratterebbe, più precisamente, di una<br />

forma di dolo diretto, ove gli eventi alternativi, al momento della realizzazione<br />

oggettiva del fatto di reato, siano previsti e voluti direttamente, e non in forma<br />

eventuale; la differenziazione sostanziale fra dolo diretto alternativo e dolo eventuale<br />

consisterebbe, dunque, nel fatto che quest’ultimo sia caratterizzato da un evento che<br />

non è direttamente voluto, bensì previsto ed accettato in forma eventuale 684 , mentre<br />

il primo si connoterebbe per una componente volitiva diretta, seppur relativa ad<br />

eventi distinti ed alternativi. Talvolta, dolo alternativo e dolo eventuale sono<br />

espressamente definiti come “proposizioni antitetiche” 685 . Talaltra, sono definiti come<br />

forme di dolo “indiretto” 686 : ma è ragionevole interpretare tale prospettiva come<br />

significante del fatto che dolo alternativo e dolo eventuale costituiscano entrambi<br />

forme di dolo di intensità minore rispetto al dolo intenzionale.<br />

In effetti, l’ultima definizione citata (quella che concepisce il dolo alternativo<br />

come forma di dolo “indiretto”) appare riconducibile alla tendenza originaria a<br />

considerare l’essenza del dolo in senso restrittivo come sola intenzione, con<br />

conseguente configurazione di una bipartizione: da un lato, il dolo intenzionale,<br />

rappresentativo dell’essenza della volontà dolosa; dall’altro, tutte le ipotesi in cui il<br />

soggetto avesse realizzato fatti di reato ritenendoli solamente possibili o<br />

684 In tal senso, tra le altre, Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2011, n. 36171, in dejure.giuffre.it;<br />

Cass. Pen., Sez. V, 31 maggio 2011, n. 32100, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 24 maggio<br />

2011, n. 33021, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. II, 13 aprile 2011, n. 28477, in dejure.giuffre.it;<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 giugno 2010, n. 4731, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 11 novembre 2011,<br />

n. 42267, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 25 febbraio 2009, n. 11521, in Cass. pen., 2010, 2,<br />

627; Cass. Pen., Sez. I, 17 giugno 2008, n. 27767, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 24 maggio<br />

2007, n. 27620, in Cass. pen., 2008, 5, 1845; Cass. Pen., Sez. V, 17 gennaio 2005, n. 6168, in Cass.<br />

pen., 2006, 9, 2848; Cass. Pen., Sez. I, 18 marzo 2003, n. 16976, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez.<br />

I, 19 novembre 1999, n. 385, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 11 febbraio 1998, n. 8052, in<br />

dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. I, 12 gennaio 1989, in dejure.giuffre.it<br />

685 Cass. Pen., Sez. Un., 6 dicembre 1991, in Cass. pen., 1993, 1, 14.<br />

686 Cass. Pen., Sez. I, 29 ottobre 1990, in dejure.giuffre.it<br />

138


accettandone il rischio di verificazione (fermo restando, chiaramente, la necessità di<br />

sussistenza del nesso causale fra condotta e risultato lesivo provocato); tale seconda<br />

categoria, che si potrebbe definire, dunque, “residuale”, comprendeva anche le<br />

ipotesi di dolo alternativo, individuate nei casi in cui l’agente, ponendo in essere una<br />

condotta rivolta indifferentemente alla produzione di eventi lesivi alternativi, avesse<br />

concretamente realizzato uno di essi 687 . L’impostazione qui delineata è rilevabile, in<br />

particolare, nell’ambito della giurisprudenza degli anni Settanta e Ottanta del<br />

Novecento 688 .<br />

Solo successivamente ci si avviò verso un mutamento di tendenza, attraverso<br />

la ricostruzione di una concezione tripartita del dolo, caratterizzata da dolo<br />

intenzionale, dolo diretto e dolo eventuale. Il passo successivo fu la distinzione fra<br />

dolo eventuale e dolo alternativo: quest’ultimo fu individuato nell’ipotesi in cui il<br />

soggetto avesse agito prevedendo e volendo in modo paritetico eventi alternativi,<br />

prefigurandosi come indifferente quale, fra di essi, sarebbe venuto effettivamente a<br />

realizzarsi; dunque, con volizione diretta – benché alternativa – di entrambi gli eventi<br />

in modo equipollente, e non con semplice accettazione del rischio 689 . Venne a<br />

definirsi, quindi, una differenziazione fra dolo eventuale e dolo alternativo basata<br />

sull’intensità dell’elemento volitivo: il quale, nel caso del dolo alternativo, si sostenne<br />

dovesse essere, necessariamente, almeno diretto, stante anche il rapporto di<br />

incompatibilità tra gli eventi previsti e voluti, tale per cui la realizzazione dell’uno<br />

avrebbe escluso la realizzazione dell’altro 690 . Differente, peraltro, veniva concepita la<br />

struttura del reato realizzato con dolo eventuale, ove il risultato sorretto, appunto, da<br />

dolo eventuale veniva inquadrato come collaterale rispetto alla realizzazione del fine<br />

intenzionalmente perseguito.<br />

La giurisprudenza, come si è detto, è ormai pacifica sul fatto che il dolo<br />

alternativo configuri una forma di dolo diretto, distinta rispetto al dolo eventuale. Non<br />

può dirsi lo stesso per quanto attiene la dottrina: alcuni Autori, infatti, sostengono che<br />

il dolo alternativo possa, a sua volta, assumere la forma del dolo diretto ovvero del<br />

dolo eventuale, rispettivamente qualora l’agente preveda la conseguenza della<br />

propria condotta come certa ovvero come solamente possibile 691 .<br />

Mantenendosi, comunque, sul versante giurisprudenziale, risulta interessante<br />

osservare il fatto che il problema della distinzione fra dolo eventuale e dolo diretto<br />

alternativo si ponga molto frequentemente e sia risolta, perlopiù, in considerazione<br />

dell’intensità dell’elemento volitivo, come risultante del processo induttivo tramite il<br />

quale, a partire da dati inerenti le circostanze concrete che caratterizzavano la<br />

situazione in cui fu realizzata la condotta, nonché le modalità concrete di<br />

realizzazione della condotta stessa, l’organo giudicante ricavi la sussistenza<br />

dell’elemento volitivo 692 . Così, ad esempio, è stato affermato il dolo alternativo<br />

687 Nota giurisprudenziale in Cass. pen., 2008, 5, 1847 – 1848.<br />

688 Cass. Pen., Sez. I, 17 aprile 1979, in C.E.D. Cass., n. 142952; Cass. Pen., Sez. I, 12 giugno<br />

1981, in C.E.D. Cass., n. 150753.<br />

689 Nota giurisprudenziale in Cass. pen., 2008, 5, 1848 – 1849.<br />

690 Nota giurisprudenziale in Cass. pen., 2008, 5, 1849.<br />

691 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 365. Gli Autori richiamano, a loro volta, M. GALLO,<br />

voce Dolo, 793.<br />

692 Cass. Pen., Sez. I, 8 marzo 2011, n. 15451, in dejure.giuffre.it: “È noto che, per aversi<br />

omicidio volontario, è necessario che la volontà dell’agente sia fermamente intesa a cagionare la<br />

morte della vittima; e tale atteggiamento mentale è qualificato come dolo intenzionale, nelle sue note<br />

graduazioni del dolo diretto e del dolo alternativo. L’accertamento dell’uno o dell’altro elemento<br />

139


(diretto), con parallela negazione del dolo eventuale, per il caso concreto in cui<br />

l’imputato, portatosi al di fuori dell’abitazione della vittima e postosi presso una porta<br />

finestra, aveva esploso quattordici colpi di pistola, colpendo la persona offesa al collo<br />

e ferendola gravemente (l’imputato fu condannato per tentato omicidio sorretto da<br />

dolo alternativo): il numero dei colpi esplosi, la frequenza di essi, l’esplosione di essi<br />

senza preavviso, la collocazione dell’imputato al momento della realizzazione della<br />

condotta, nonché la consapevolezza, da parte dell’imputato stesso, della presenza<br />

della vittima in luogo raggiungibile dai colpi furono ritenuti dati oggettivi idonei a<br />

fondare la valutazione della sussistenza del dolo diretto alternativo, inteso come<br />

volontà di ledere o uccidere, alternativamente ed in modo equipollente 693 .<br />

In modo analogo, si è ritenuto sussistente il dolo diretto alternativo, in luogo del<br />

dolo eventuale, con riferimento alla condotta dell’imputato il quale aveva inferto una<br />

coltellata alla parete addominale della vittima: il tal caso, si affermò la responsabilità<br />

per tentato omicidio, sorretto da dolo alternativo diretto, in considerazione della<br />

potenzialità lesiva dello strumento usato, della localizzazione del colpo inferto,<br />

dell’intensità del colpo, della profondità della ferita provocata; elementi, questi, dai<br />

quali si valutò essersi manifestata una volontà diretta, alternativamente ed<br />

indifferentemente, a ledere o uccidere, e non la mera accettazione del rischio di<br />

uccidere, previsto nel suo possibile concretizzarsi 694 .<br />

Ancora, si è affermata la responsabilità per dolo alternativo in capo all’imputato<br />

che aveva lasciato cadere un masso su un gazebo in cui erano presenti persone: egli<br />

avrebbe agito con l’intento di danneggiare il gazebo o uccidere, indifferentemente; il<br />

tutto in considerazione, principalmente, dell’idoneità del masso a provocare la morte<br />

di persone, nonché dell’impossibilità per l’imputato, dal luogo in cui egli si trovava, di<br />

verificare i movimenti delle persone all’interno del gazebo 695 .<br />

In altri casi, il dolo omicidiario diretto è stato ritenuto sussistente sulla base della<br />

reiterata esplosione di colpi di arma da fuoco contro gli arti inferiori, alla luce della<br />

presenza, in quella zona, di grossi vasi venosi ed arteriosi 696 ; oppure con riferimento<br />

alla condotta consistente nel tentativo di accoltellare al petto la vittima, intesa come<br />

diretta a determinare, alternativamente, la morte o gravi lesioni 697 .<br />

È il caso di evidenziare alcune ulteriori precisazioni effettuate dalla<br />

giurisprudenza in tema di distinzione fra dolo eventuale e dolo alternativo diretto, ed<br />

ai fini dell’inquadramento del delitto tentato, con particolare riferimento alle ipotesi in<br />

cui l’alternativa si ponga con riguardo a delitti contro la vita o contro l’incolumità<br />

individuale, che differiscano solo in quanto a gravità dell’evento: in tali casi, qualora<br />

si sia verificato l’evento meno grave, potrebbe prospettarsi il problema di distinzione<br />

fra dolo eventuale e dolo diretto soltanto allorquando risulti che l’evento perseguito<br />

intenzionalmente come scopo finale fosse l’evento meno grave; qualora, invece, si<br />

tratti di dover individuare il tipo di dolo del tentativo del reato comportante la lesione<br />

più grave, non potrebbe porsi il problema suddetto, in particolare nel caso in cui la<br />

condotta sia stata di intensità tale da non permettere di distinguere se la volontà<br />

psicologico è rimesso ad una valutazione attenta e rigorosa degli elementi oggettivi, che i giudici di<br />

merito sono tenuti ad effettuare, procedendo ad un’accurata analisi delle concrete modalità della<br />

condotta dell’agente.”<br />

693 Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2011, n. 36171, in dejure.giuffre.it<br />

694 Cass. Pen., Sez. V, 31 maggio 2011, n. 32100, in dejure.giuffre.it<br />

695 Cass. Pen., Sez. I, 30 marzo 2011, n. 21235, in dejure.giuffre.it<br />

696 Cass. Pen., Sez. I, 11 novembre 2010, n. 42267, in dejure.giuffre.it<br />

697 Cass. Pen., Sez. V, 17 gennaio 2005, n. 6168, in dejure.giuffre.it<br />

140


dell’agente fosse indirizzata a provocare la lesione o la morte; sicché, in questo<br />

secondo frangente, non si dovrebbe dubitare della configurabilità del tentativo<br />

sorretto da dolo alternativo diretto 698 .<br />

698 Cass. Pen., Sez. I, 10 febbraio 2011, n. 29147, in dejure.giuffre.it<br />

141


CAPITOLO IV<br />

APPLICAZIONI GIURISPRUDENZIALI DI <strong>DOLO</strong> <strong>EVENTUALE</strong> E<br />

<strong>COLPA</strong> <strong>COSCIENTE</strong> CON RIFERIMENTO A CASI SPECIFICI<br />

SOMMARIO: 1. Sinistri stradali con gravi violazioni al Codice della strada. – 2. Contagio da HIV e<br />

responsabilità dell’AIDS carrier. – 3. Ricettazione. – 3.1. Ricettazione e incauto acquisto.<br />

Configurabilità o non configurabilità del dolo eventuale in caso di ricettazione? – 3.2. La decisione<br />

delle Sezioni Unite (Cass. Pen., Sez. Un., ud. 26 novembre 2009, dep. 30 marzo 2010, n. 12433). – 4.<br />

Lancio di sassi da cavalcavia. – 5. Responsabilità dell’ente e delle persone fisiche per incidenti sui<br />

luoghi di lavoro. La sentenza di primo grado sul caso Thyssenkrupp.<br />

1. Sinistri stradali con gravi violazioni al Codice della strada<br />

I casi di reato derivante da sinistro stradale con gravi violazioni al Codice della<br />

strada rappresentano un banco di prova particolarmente valido per verificare la<br />

tenuta delle teorie sulla distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, nonché per<br />

porne in rilievo i punti critici e le difficoltà applicative. Si tratta, più precisamente, di un<br />

contesto che palesa i problemi connessi alla teoria dell’accettazione del rischio,<br />

tradizionalmente applicata dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, eccezion<br />

fatta solo per alcune recenti pronunce che propongono la teoria della deliberazione di<br />

subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro, congiuntamente rispetto alla<br />

prima formula di Frank 699 , e che potrebbero rappresentare una svolta.<br />

A costo di essere ripetitivi, va ribadito che il principale limite della teoria<br />

dell’accettazione del rischio è dato dall’erroneità dell’identificazione del dolo<br />

eventuale, appunto, nell’“accettazione del rischio”, la quale pare, invece, essere<br />

riferibile anche alle condotte realizzate con colpa cosciente: infatti, agire in modo<br />

imprudente o negligente a fronte della percezione della possibilità di realizzazione<br />

dell’evento lesivo significa, di per sé, “accettare un rischio” 700 . Tali aspetti emergono<br />

in modo “amplificato” nel contesto dei reati da sinistro stradale, in quanto le violazioni<br />

al Codice della strada costituiscono senz’altro una condotta colposa; e si tratta di<br />

condotta il cui carattere colposo è, nella quasi totalità dei casi, percepito dall’agente<br />

(quindi, si tratta di colpa “cosciente” intendendosi, in questo caso, la condotta<br />

caratterizzata, appunto, dalla coscienza del carattere colposo della stessa).<br />

Inoltre, si potrebbe ragionevolmente osservare che la circolazione stradale<br />

costituisca un ambito ove, nel contesto storico – sociale attuale, vi sia una sorta di<br />

“assuefazione al rischio” (richiamando i termini di Jakobs 701 ) che, se da un lato,<br />

certamente, non giustifica né attenua la gravità di violazioni al Codice della strada<br />

quali la “guida alla cieca”, la guida in stato di ebbrezza o intossicazione da<br />

stupefacenti o simili, dall’altro non è da trascurare in sede di valutazione<br />

dell’effettività della previsione dell’evento, la quale è necessaria tanto ai fini del dolo<br />

eventuale quanto ai fini della colpa cosciente: spesso, infatti, è probabile che nel<br />

699 In tema di sinistri stradali, Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011, n. 10411, in<br />

www.penalecontemporaneo.it; ripropone lo stesso criterio Corte. Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito<br />

14 novembre 2011), in www.penalecontemporaneo.it, ma non si tratta di un caso riferito a reati da<br />

sinistro stradale, bensì inerente incidenti sui luoghi di lavoro.<br />

700 S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 38.<br />

701 Tale Autore è citato da S. CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente, 58.<br />

142


soggetto agente, che realizzi una condotta pericolosa tramite la guida di un<br />

autoveicolo, manchi proprio la rappresentazione della possibilità concreta di<br />

realizzazione dell’evento, per cui non dovrebbe neppure porsi l’alternativa fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, in quanto si dovrebbe optare per la colpa incosciente;<br />

del resto, se, come si è già sottolineato varie volte, “accettare una situazione di<br />

pericolo” non significa necessariamente “accettare la possibilità di realizzazione<br />

dell’evento”, dovrà anche ammettersi che la rappresentazione della pericolosità della<br />

propria condotta non significhi necessariamente “previsione della realizzazione<br />

dell’evento”.<br />

In aggiunta rispetto a tali considerazioni di carattere strettamente giuridico, vi è<br />

di più: volendo scendere in valutazioni di tipo sociologico e criminologico, è stato<br />

evidenziato che la criminalità stradale costituisca un vero e proprio ambito di<br />

devianza al quale, tuttavia, venga attribuito un disvalore sociale relativamente<br />

scarso 702 . Si tratterebbe di una sorta di “indulgenza” nei confronti del “pirata della<br />

strada”, che non è riconducibile solamente alla minor intensità dell’elemento<br />

soggettivo rispetto a chi uccida o provochi lesioni con dolo intenzionale, ma si spiega<br />

anche in base alla c.d. “teoria dell’associazione differenziale”, elaborata da<br />

Sutherland, la quale sostiene che una delle cause sociologiche dello sviluppo della<br />

devianza sia l’apprendimento delle “tecniche” e “modalità” di devianza all’interno del<br />

gruppo sociale di riferimento. In sintesi: il soggetto medio, in effetti, è egli stesso<br />

utente sella strada, ed appartiene ad una subcultura sociale che vede nell’elevata<br />

velocità e nelle abilità di guida un modello da imitare 703 ; la teoria dell’“associazione<br />

differenziale” sostiene che i processi di apprendimento, nell’ambito del gruppo<br />

sociale di riferimento, conducano al comportamento deviante qualora le “definizioni<br />

favorevoli” alla trasgressione di norme prevalgano sulle “definizioni sfavorevoli” a<br />

detta trasgressione 704 ; in base a tali premesse, è logica conseguenza che, nel<br />

gruppo sociale di riferimento dato dagli “utenti della strada”, il comportamento di chi<br />

realizzi condotte di “pirateria stradale” verrà stigmatizzato in misura minore rispetto a<br />

quanto sarebbe necessario ai fini di un’adeguata efficacia preventiva 705 . Tali<br />

considerazioni sono ricollegabili anche alla c.d. labelling theory, che individua nella<br />

mancata reazione sociale l’assenza di una forma di prevenzione primaria 706 .<br />

Ancora, si è evidenziato che, nonostante l’allarme sociale destato da chi<br />

provochi morte o lesioni tramite condotta caratterizzata da gravi violazioni al Codice<br />

della strada, tali eventi siano percepiti più come sfortunate verificazioni, che non<br />

come frutto di un comportamento criminale: il tutto in considerazione, anche in<br />

questo caso, dell’identificazione del soggetto medio – anche egli utente della strada<br />

– con il soggetto che abbia provocato il sinistro stradale con esiti lesivi o letali 707 .<br />

702<br />

D. RIPONTI, Responsabilità penale connessa alla circolazione stradale e dolo eventuale, in<br />

www.altalex.com<br />

703<br />

D. RIPONTI, op. cit.; sulla teoria dell’“associazione differenziale” si rileva una chiara<br />

ricostruzione da parte di A. SBRACCIA – F. VIANELLO, Sociologia della devianza e della criminalità,<br />

Roma – Bari, Laterza, 2010, 23 – 26.<br />

704<br />

A. SBRACCIA – F. VIANELLO, op. cit., 25.<br />

705<br />

D. RIPONTI, op. cit.<br />

706<br />

D. RIPONTI, op. cit.; M. C. PANICO, Asfalto rosso sangue: colpa cosciente o dolo<br />

eventuale?, in www.altalex.com<br />

707 M. C. PANICO, op. cit.<br />

143


Le osservazioni appena esposte sono confermate dalle sentenze di legittimità le<br />

quali, a fronte di un comportamento che si potrebbe definire, genericamente, “guida<br />

spericolata”, ravvisano costantemente la colpa; se non altro, si afferma la sola colpa<br />

cosciente in mancanza di elementi idonei a dimostrare una presa di posizione della<br />

volontà nei confronti della realizzazione dell’evento lesivo (generalmente, morte o<br />

lesioni), ed in forza del principio in dubio pro reo. Un esempio emblematico di tali<br />

meccanismi è dato dal noto (e relativamente recente) “caso Bodac”, nel quale il<br />

soggetto accusato di aver investito due persone, procedendo alla guida di un veicolo<br />

di grossa cilindrata ed in stato di ebbrezza alcolica, fu condannato per omicidio<br />

colposo, con sentenze sostanzialmente concordi sino al terzo grado di giudizio: ma la<br />

tesi a sostegno della colpa cosciente, con negazione del dolo eventuale, era già<br />

stata affermata dalla Suprema Corte in sede di procedimento cautelare, dopo che,<br />

peraltro, tale tesi era stata applicata dal GIP e confermata dal Tribunale del<br />

riesame 708 .<br />

La pronuncia della Cassazione nell’ambito del procedimento cautelare sul “caso<br />

Bodac” richiama, condividendole, le osservazioni del Tribunale del riesame, in base<br />

alle quali la giovane età del conducente ed il fatto che egli fosse alla guida di un<br />

veicolo di grossa cilindrata (questo, peraltro, da poco nella sua disponibilità), il fatto<br />

che egli fosse alla presenza di amici ed accompagnato dal desiderio di attrarre la loro<br />

attenzione, l’ostentazione del veicolo “sgommando per il centro cittadino e<br />

procedendo a velocità eccessiva”, rivelavano il quadro di un giovane “spericolato ed<br />

eccitato”, indotto ad una condotta “estremamente imprudente e negligente”; l’aver<br />

superato più volte lo stesso percorso in modo spericolato senza incorrere in ostacoli<br />

di sorta avrebbe contribuito ad alimentare la condotta suddetta; inoltre, lo stato di<br />

ubriachezza avrebbe anche esso concorso a generare un “senso di onnipotenza”,<br />

che avrebbe condotto il soggetto a persistere nell’azione. Viene rimarcata, inoltre, la<br />

differenziazione tra “prevedibilità” e “concreta previsione” (quest’ultima necessaria ai<br />

fini dell’inquadramento del dolo eventuale), nonché la necessità di evitare<br />

affermazioni di dolo in re ipsa in base alla sola considerazione dell’attuazione<br />

consapevole di una condotta trasgressiva di regole cautelari. Si afferma, quindi, una<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata sul fatto che il primo si<br />

manifesti come previsione della concreta possibilità di realizzazione di un evento<br />

lesivo – dovendosi avere riguardo all’effettiva previsione, e a nulla rilevando la mera<br />

prevedibilità obiettiva –, accompagnata dall’accettazione del rischio di tale<br />

realizzazione; mentre la seconda si connoti per una rappresentazione della<br />

“semplice” possibilità di realizzazione dell’evento lesivo, accompagnata dalla fiducia<br />

nella non verificazione di esso.<br />

Considerazioni analoghe a quelle appena esposte, in ordine alla non sufficienza<br />

della mera violazione, per quanto grave e seppur consapevole, di regole cautelari ai<br />

fini dell’affermazione della volizione, benché in forma eventuale, dell’evento, sono<br />

riproposte ai fini dell’inquadramento della colpa cosciente – con parallela negazione<br />

del dolo eventuale – nell’ambito del “caso Lucidi” (supra, Cap. II, par. 4). In primo<br />

grado, e con rito abbreviato, l’imputato era stato condannato per omicidio doloso<br />

sorretto da dolo eventuale: il GUP, in particolare, aveva ravvisato tale elemento<br />

soggettivo (mentre, in sede di procedimento cautelare, il fatto era stato qualificato<br />

come omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento) richiamando la teoria<br />

708 Cass. Pen., Sez. IV, 10 febbraio 2010, n. 13089, in dejure.giuffre.it<br />

144


dell’accettazione del rischio, e valutando la sussistenza di tale accettazione con<br />

riguardo all’evento mortale verificatosi, in considerazione del fatto che l’imputato si<br />

fosse posto alla guida di un’autovettura di grossa cilindrata, a velocità superiore ai 90<br />

km/h, procedendo in una zona centrale della capitale e ad un orario caratterizzato da<br />

importante traffico pedonale e veicolare, con attraversamento di due incroci<br />

consecutivi nonostante il semaforo indicasse, verso la sua direzione, luce rossa; si<br />

trattava, secondo il GUP, di una condotta nell’ambito della quale nessuno avrebbe<br />

potuto effettuare manovre d’emergenza, ed in considerazione della quale il soggetto<br />

agente non poteva non essersi rappresentato il rischio di verificazione di incidenti,<br />

anche con esiti letali; la persistenza nella tenuta di tale tipologia di condotta, a fronte<br />

della suddetta rappresentazione del rischio di eventi lesivi, veniva valutata come<br />

indicativa della componente volitiva, seppur nella sua forma eventuale. Nondimeno,<br />

veniva considerato significativo il fatto che l’imputato, dopo la verificazione<br />

dell’incidente, avesse tentato di darsi alla fuga: tale aspetto, coordinato con la “folle<br />

corsa” precedente, veniva definito come rivelatore di un atteggiamento di “totale<br />

noncuranza” per la vita umana 709 . La sentenza di secondo grado 710 , d’altra parte,<br />

critica negativamente l’impostazione adottata in primo grado, consistente nella<br />

valorizzazione della sola gravità della violazione di regole cautelari ai fini<br />

dell’induzione alla valutazione della sussistenza dell’elemento volitivo, seppur<br />

connotato come “accettazione del rischio”. Inoltre, non viene condivisa l’impostazione<br />

– pure essa adottata in primo grado – in base alla quale la “previsione di scongiurare<br />

l’evento” doveva essere esclusa in forza dell’irragionevolezza obbiettiva di tale<br />

previsione, posto che, ove tale giudizio si effettuasse ex post, allorquando l’evento si<br />

fosse verificato, esso si risolverebbe sempre a danno dell’agente, con affermazione<br />

in ogni caso del dolo e con esclusione della configurabilità stessa della colpa<br />

cosciente; mentre, qualora tale giudizio si effettuasse ex ante, esso potrebbe<br />

senz’altro comportare l’affermazione di una colpa generica associata ad una colpa<br />

specifica (alla luce dell’effettuazione di una “previsione irragionevole”, in modo<br />

tipicamente colposo), ma non potrà comportare il passaggio dalla colpa al dolo.<br />

Infine, per quanto concerne l’aspetto della “previsione ed accettazione in concreto”<br />

dell’evento, i giudici di secondo grado rilevano che la dinamica stessa dell’incidente,<br />

prodottosi in brevi istanti, fosse incompatibile con quel quid di cosciente necessario<br />

per l’imputazione a titolo di dolo eventuale: infatti, l’incidente si era caratterizzato per<br />

uno scontro fra il veicolo condotto dall’imputato ed un ciclomotore; il ciclomotore si<br />

era manifestato improvvisamente alla vista dell’imputato, e fra detto momento<br />

improvviso e lo scontro era intercorso un lasso temporale incompatibile con<br />

l’effettuazione di una presa di posizione della volontà con riferimento all’evento<br />

concreto (lo scontro con il ciclomotore, appunto); e, come sottolineano i giudici, non<br />

si potrebbe “far retroagire la collocazione di un tale momento decisionale alla fase<br />

antecedente, a quando l’imputato iniziò a superare la teoria dei veicoli fermi al rosso,<br />

o, ancor prima, alla, altrettanto scorretta, tenuta di guida antecedente e consistita nel<br />

superamento di altro semaforo rosso, perché, in questo caso, si incorrerebbe nella<br />

impossibilità di connotare la previsione dell’evento con quella concretezza che, come<br />

si è detto, è requisito essenziale perché possa mobilitarsi […] la categoria del dolo<br />

eventuale”.<br />

709 La ricostruzione operata dal GUP si ricava dalla sentenza di legittimità sullo stesso caso:<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 18 febbraio 2010 (deposito 24 marzo 2010), n. 11222, in dejure.giuffre.it<br />

710 Ass. App. Roma, 18 giugno 2009, in dejure.giuffre.it<br />

145


L’esito del procedimento penale sul caso in questione consiste nella conferma,<br />

da parte dei giudici di legittimità, dell’impostazione adottata dai giudici di secondo<br />

grado 711 . La motivazione della decisione prospetta una interessante disamina sulle<br />

varie teorie che definiscono la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, tra le<br />

quali spiccano, in particolare, la valorizzazione delle dicotomie “rappresentazione<br />

concreta”/ “rappresentazione astratta” o “semplice” della verificazione dell’evento, ed<br />

“accettazione del rischio”/ “sicura fiducia nella non verificazione dell’evento”, ove<br />

l’accettazione del rischio dovrebbe indicare una “presa di posizione della volontà” o,<br />

quantomeno, uno stato interiore che si avvicini molto ad essa, ed idoneo a<br />

manifestare l’elemento volitivo necessario ai fini della sussistenza del dolo; emerge,<br />

di conseguenza, la valorizzazione di una distinzione fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente basata sul profilo volitivo, posto che la rappresentazione sia elemento<br />

comune ad entrambe le categorie. Si evidenzia, inoltre, l’esigenza di non snaturare<br />

l’essenza del dolo eventuale, trasformandolo in una “comoda scorciatoia” per<br />

presumere un dolo che non si riesca a provare; e, parallelamente, l’esigenza di non<br />

dilatare eccessivamente la sfera di applicazione della responsabilità dolosa.<br />

Interessante risulta anche il richiamo alla teoria che identifica il dolo eventuale<br />

nell’accettazione del rischio effettuata a seguito di una deliberazione con la quale<br />

l’agente subordini un bene giuridico rispetto ad un altro; tuttavia, tale impostazione<br />

viene solo citata, ma non applicata, dato che i giudici di legittimità propendono, poi,<br />

per l’accoglimento della teoria dell’accettazione del rischio. Quest’ultima, ad ogni<br />

modo, viene meglio specificata, attraverso la valorizzazione della concretezza che<br />

dovrebbe caratterizzare l’oggetto di rappresentazione ed “accettazione”: in<br />

particolare, si sostiene che il dolo eventuale necessiti della rappresentazione della<br />

concreta possibilità di verificazione dell’evento, con conseguente accettazione non<br />

già di una mera e generica situazione di pericolo, bensì dell’evento, considerato hic<br />

et nunc. Quest’ultima osservazione rappresenta, probabilmente, il dato fondamentale<br />

della pronuncia in questione: applicata al caso concreto di cui trattasi, conduce<br />

all’esclusione della sussistenza dell’elemento soggettivo doloso in capo all’imputato,<br />

in base al rilievo per cui egli avesse percepito “a fulmine” la presenza del ciclomotore<br />

con il quale poi si verificò lo scontro, e tale circostanza sarebbe incompatibile con la<br />

rappresentazione, nonché con una presa di posizione della volontà (seppur nella<br />

forma eventuale), con riguardo all’evento considerato hic et nunc. Un’impostazione di<br />

questo genere è astrattamente condivisibile ma, applicata nel modo in cui lo è stata<br />

nel caso di specie, appare eccessivamente rigorosa ai fini della configurazione del<br />

dolo eventuale nell’ambito dei reati da sinistro stradale: è vero che la percezione<br />

improvvisa della presenza del ciclomotore non avrebbe potuto permettere una presa<br />

di posizione della volontà con riferimento allo scontro con esso, ma è anche vero<br />

che, se si attraversa un incrocio non osservando il rosso, è altrettanto “concreto” che,<br />

in quel momento, i veicoli nei confronti dei quali il semaforo segnali luce verde<br />

impegnino l’incrocio stesso: qui non si tratta di un discorso di confusione fra<br />

“obbiettiva possibilità di rappresentazione” ed “effettiva rappresentazione”; a parere<br />

di chi scrive, appare estremamente arduo identificare una tipologia di soggetto che,<br />

scegliendo coscientemente di attraversare un incrocio nonostante il semaforo rosso<br />

e in un momento di intenso traffico veicolare, potrebbe non rappresentarsi in modo<br />

711 Cass. Pen., Sez. IV, 18 febbraio 2010 (deposito 24 marzo 2010), n. 11222, in dejure.giuffre.it<br />

146


concreto la possibilità di impatto con altri veicoli, eccezion fatta solo per l’incapace di<br />

intendere e volere.<br />

Non è neppure condivisibile la valorizzazione delle manifestazioni emotive<br />

dell’imputato emerse ex post rispetto all’incidente, quali le espressioni di panico e<br />

rammaricata sorpresa: si tratterebbe, infatti, di valorizzazione di stati emotivi o<br />

passionali, non meritevole di accoglimento per i rilievi che sono già stati esposti<br />

(supra, Cap. II, par. 3). Né appare condivisibile il rilievo per cui il fatto che la condotta<br />

dell’imputato creasse pericolo per lui stesso dovrebbe essere inteso come indice a<br />

favore dell’esclusione dell’elemento volitivo: un’impostazione di questo genere<br />

condurrebbe, infatti, ad escludere il dolo praticamente in ogni ipotesi di sinistro<br />

stradale derivante da gravi violazioni al Codice della strada, dato che esse<br />

comportano senz’altro un pericolo anche per chi le attui.<br />

Altro dato di particolare evidenza, relativamente al “caso Lucidi”, consiste nel<br />

fatto che l’imputato si fosse posto alla guida dell’autovettura nonostante fosse stato<br />

privato della patente di guida in quanto assuntore di cocaina e tossicodipendente: tali<br />

aspetti, seppur idonei a fondare un elevato grado di rimprovero morale, attengono<br />

alla personalità del reo e – come rilevano i giudici di legittimità – non avrebbero<br />

inciso direttamente sul decorso causale; del resto – proseguono i giudici, in<br />

motivazione –, la legge prevede già un’aggravante per lesioni gravi o gravissime,<br />

provocate con colpa e tramite guida in stato di alterazione alcolica o da assunzione<br />

di stupefacenti o sostanze psicotrope.<br />

Orbene, a parte la nozione di dolo eventuale accolta dalla sentenza di legittimità<br />

in esame, in questa sede interessa evidenziare le significative perplessità che una<br />

soluzione del genere di quella adottata ha suscitato nell’opinione pubblica e, in<br />

particolare, nei soggetti in qualche modo legati alle “vittime della strada”: più<br />

precisamente, si avverte un certo allarme sociale destato dalle condotte del tipo di<br />

quella adottata dall’imputato nel caso concreto di cui trattasi (conduzione di un<br />

veicolo di grossa cilindrata a velocità superiore ai 90 km/h, in una zona centrale di<br />

Roma, ad un orario caratterizzato da traffico intenso, sia veicolare che pedonale, e<br />

con superamento di vari incroci senza rispetto del semaforo rosso; il tutto nonostante<br />

la sospensione della patente di guida a causa dello stato di tossicodipendenza 712 ), e<br />

non ci si rassegna a vedere l’imputato stesso punito solamente a titolo di colpa. Il<br />

ricorso del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di<br />

Roma, avverso la sentenza di secondo grado che aveva già affermato la condanna<br />

per colpa cosciente, era sembrato essere portavoce delle suddette istanze sociali 713 :<br />

esso evidenzia che “la norma astratta risponde alle esigenze ed alle pulsioni sociali<br />

del momento storico in cui viene posta”, e che “spetta al giudice, soprattutto laddove<br />

il legislatore non sia intervenuto sollecitamente, il delicato compito di modularla via<br />

via per adattarla all’incessante mutare del vivere civile”; si aggiunge, quindi, che il<br />

“tipico esempio della sensibilità evolutiva della Corte di Cassazione è costituito dal<br />

dolo eventuale”; prosegue, dunque, osservando che “la trasformazione della società<br />

impone una correlata e adeguata interpretazione della norma che disciplina il delitto<br />

di omicidio volontario con dolo eventuale nel corso della circolazione stradale”, non<br />

senza rilevare che “la tendenza alla deresponsabilizzazione in colposa della<br />

criminalità omicidiaria stradale ha costituito, sinora, un dato consolidato sia nella<br />

712 La ricostruzione del fatto si ricava dalla stessa sentenza di legittimità sul caso in questione.<br />

713 Si riportano, di seguito, gli estratti del ricorso del Procuratore della Repubblica citati in Cass.<br />

Pen., Sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 11222, in dejure.giuffre.it).<br />

147


giurisprudenza sia nelle scelte legislative”; viene, altresì, valutata positivamente la<br />

statuizione, nel procedimento penale di riferimento, del giudice di primo grado, il<br />

quale, “con una pronuncia improntata ad elevatissima sensibilità sociale, aveva avuto<br />

il coraggio di tracciare un nuovo percorso interpretativo, che la Corte di Assise<br />

d’Appello ha ritenuto di cancellare”. Il ricorso conclude, in punto di diritto, deducendo<br />

vizio di motivazione della sentenza di secondo grado, laddove l’elemento soggettivo<br />

sarebbe stato identificato in base ad una valutazione del “pensiero manifestato<br />

dall’imputato” successivamente rispetto al fatto, e non in forza dell’analisi della<br />

rappresentazione dell’evento e dell’accettazione del corrispettivo rischio, alla luce<br />

delle risultanze probatorie derivanti dai testimoni e dalle stesse dichiarazioni<br />

dell’imputato, nonché in considerazione del principio dell’id quod plerumque accidit.<br />

Ne seguiva, peraltro, un’esortazione alla Corte di Cassazione, affinché essa ponesse<br />

“il suo innovativo sigillo alla sentenza del primo giudice, travolgendo il modello<br />

giovanile di esaltazione della cultura della morte e riaffermando il principio di sacralità<br />

della vita”: esortazione che, come si è visto, non è stata accolta.<br />

L’analisi del ricorso del Procuratore Generale permette senz’altro di cogliere<br />

osservazioni socialmente condivisibili; si tratta, tuttavia, di osservazioni che esulano,<br />

in gran parte, da una sfera strettamente giuridica, per sforare in ambiti “sociologici” o<br />

“metagiuridici”: ciò è rilevato, effettivamente, dai giudici di legittimità, con riguardo ai<br />

riferimenti al “modello giovanile di esaltazione della cultura della morte”. Inoltre, la<br />

Suprema Corte evidenzia che lo stesso ricorso ammetta che l’affermazione del dolo<br />

eventuale nel caso di specie costituirebbe un “innovativo sigillo”: in tal modo,<br />

sostanzialmente, si ammette il carattere consolidato dell’orientamento opposto, per<br />

un mutamento del quale, a parere dei giudici di legittimità, non si ravvisano i<br />

fondamenti. Del resto, la motivazione della sentenza in questione osserva che, in<br />

ogni caso, l’“innovazione” dovrebbe svolgersi comunque entro il rispetto del principio<br />

di legalità, ed entro la più ampia cornice di garanzie indicata dall’art. 27 Cost.;<br />

nondimeno, non si tratterebbe di porre in discussione il “principio di sacralità della<br />

vita”, anche esso di rilevanza costituzionale, bensì di effettuare le opportune<br />

commisurazioni di pena ai fini di tutela del bene “vita”, sempre entro il rispetto del<br />

principio di legalità 714 .<br />

I casi sin qui analizzati (rispettivamente, il “caso Lucidi” e il “caso Bodac”) sono<br />

emblematici ai fini dello studio dell’orientamento che ha dominato sino ad ora in<br />

giurisprudenza, con riguardo ai reati provocati tramite sinistri stradali: ovvero,<br />

costante applicazione della categoria della colpa cosciente da parte dei giudici di<br />

legittimità, in luogo del dolo eventuale; al più, possono rilevarsi “azzardi” di<br />

affermazione del dolo eventuale da parte dei giudici di merito (come è avvenuto per il<br />

“caso Lucidi”), che però vengono ribaltati in secondo grado ovvero in sede di giudizio<br />

di legittimità.<br />

È degno di nota un ulteriore caso, piuttosto recente, in cui è stato affermato il<br />

dolo eventuale in primo grado 715 : si tratta di un soggetto che, conducendo<br />

un’autovettura di notte, ad elevata velocità, su strada cittadina e sprovvisto di patente<br />

di guida, aveva investito un pedone che attraversava sulle strisce pedonali;<br />

l’automobilista, dopo l’impatto, aveva effettuato manovre plurime per liberarsi del<br />

corpo del pedone rimasto aggrappato al cofano, infine riuscendovi e provocandone la<br />

morte. È evidente, tuttavia, che ci si trova di fronte ad un caso concreto in cui le<br />

714 Cass. Pen., Sez. IV, 18 febbraio 2010 (deposito 24 marzo 2010), n. 11222, in dejure.giuffre.it<br />

715 Corte Ass. Milano, 16 luglio 2009, in Foro it., 2010, I, 35.<br />

148


modalità della condotta sono dotate di una rilevante pregnanza e di una dinamica<br />

peculiare, dalla quale potrebbe – in questo caso sì – essere fondato dedurre la<br />

sussistenza di un elemento volitivo, seppur in forma eventuale: si ha, infatti, una<br />

prima fase della condotta, caratterizzata da un atteggiamento propriamente colposo<br />

(gravi violazioni di regole cautelari), seguita da una seconda fase, connotata per un<br />

atteggiamento intenzionale, volto a far sì che il corpo della vittima si distaccasse dal<br />

cofano dell’autovettura 716 ; questa seconda fase potrebbe fondatamente dirsi sorretta<br />

da un atteggiamento di disposizione a provocare la morte della vittima, pur non<br />

essendo tale evento direttamente voluto.<br />

Da notare, però, che non sempre l’alternativa si pone fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente: infatti, talvolta, la “guida spericolata” è stata valutata come indicativa di un<br />

atteggiamento di “totale noncuranza” nei confronti di beni giuridici e sorretta, dunque,<br />

da una colpa incosciente, seppur da valutare come “colpa grave” per “difetto di<br />

percezione sociale di propri atti” 717 . Il dato costante resta, comunque, la non<br />

affermazione del dolo eventuale.<br />

Preso atto di quello che è stato l’orientamento dominante nell’ultimo ventennio,<br />

va precisato che, recentemente, vi è stata una pronuncia dei giudici di legittimità 718 la<br />

quale potrebbe segnare una “svolta storica”, attraverso un duplice ordine di aspetti:<br />

da un lato, l’affermazione del dolo eventuale per reati da sinistro stradale con gravi<br />

violazioni al Codice della strada; dall’altro, l’inquadramento di tale tipologia di<br />

elemento soggettivo non più attraverso la teoria dell’accettazione del rischio, bensì in<br />

base alla teoria che individua il dolo eventuale nell’accettazione del rischio effettuata<br />

tramite una deliberazione con la quale l’agente subordini un bene giuridico rispetto<br />

ad un altro. Su tale sentenza e sugli aspetti rilevanti dell’assetto teorico da essa<br />

delineato ci si è già soffermati ampiamente (supra, Cap. II, par. 8). Quello che, a<br />

questo punto, preme evidenziare, è la netta contraddizione di alcune conclusioni a<br />

cui essa è giunta rispetto alla precedente pronuncia di legittimità sul “caso Lucidi”: in<br />

quest’ultima, come si è osservato, era stato escludo il dolo eventuale principalmente<br />

sul rilievo del fatto che l’imputato non avrebbe potuto percepire ed accettare la<br />

realizzazione dell’evento hic et nunc considerato, in quanto il ciclomotore con il quale<br />

l’autovettura condotta dall’imputato si scontrò si era manifestato “a fulmine” sulla<br />

traiettoria; la prima, invece, con riferimento ad una situazione apparentemente<br />

identica (superamento ad elevata velocità di incrocio con semaforo rosso, e<br />

successivo scontro con un’autovettura che impegnava l’incrocio), afferma la<br />

sussistenza del dolo eventuale, ribaltando l’impostazione adottata dai giudici di<br />

secondo grado che, invece, si erano linearmente attenuti all’assetto tracciato dalla<br />

Suprema Corte con riferimento al “caso Lucidi”. Altro aspetto che potrebbe destare<br />

qualche perplessità consiste nel fatto, quasi paradossale, per cui precedentemente,<br />

tramite l’utilizzo del criterio dell’“accettazione del rischio”, non venisse mai affermato<br />

il dolo eventuale, mentre la sentenza di cui trattasi, proponendo un criterio che<br />

definisce il dolo eventuale in modo più rigoroso e restrittivo, lo afferma: in effetti,<br />

definire il dolo eventuale come “accettazione del rischio” effettuata tramite una<br />

“deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro” significa<br />

716 Tale ricostruzione è evidenziata, oltre che dalla sentenza di merito di cui trattasi, anche da<br />

G. RICCARDI, Reati alla guida. Percorsi giurisprudenziali, Milano, Giuffrè, 2010, 205.<br />

717 Trib. Milano, 21 novembre 2008, n. 2118, in dejure.giuffre.it<br />

718 Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (deposito 15 marzo 2011), n. 10411, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

149


ichiedere un quid pluris rispetto alla sola “accettazione del rischio”; di conseguenza,<br />

si prospetta una nozione di “dolo eventuale” che dovrebbe essere, logicamente, più<br />

restrittiva, non essendo sufficiente la sola “accettazione del rischio” (caratteristica<br />

anche della colpa cosciente) ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo in<br />

discorso, ed essendo necessario, invece, che tale accettazione venga effettuata alla<br />

luce di una particolare modalità psicologica. A parere di chi scrive, tale “paradosso”<br />

non depone a sfavore della “nuova” teoria adottata, bensì mette in luce<br />

l’inadeguatezza della teoria precedentemente applicata, ovvero quella<br />

dell’“accettazione del rischio”: il fatto che tramite quest’ultima non si riuscisse ad<br />

inquadrare coerentemente il dolo eventuale, mentre ciò sia possibile tramite la prima<br />

(benché essa sia, astrattamente, più restrittiva nell’identificazione del dolo<br />

eventuale), palesa in modo lampante il carattere non esaustivo del criterio<br />

tradizionalmente applicato fino ad ora nella giurisprudenza; più precisamente, il fatto<br />

che, tramite il solo concetto di “accettazione del rischio”, non si riuscisse ad<br />

individuare una presa di posizione della volontà, seppur in forma eventuale,<br />

dovrebbe indurre a valutare che tale presa di posizione non possa consistere,<br />

appunto, nella sola “accettazione del rischio”.<br />

L’innovativa sentenza citata è stata, con parole molto forti, definita come “una<br />

sentenza importante e di civiltà giuridica, che supera ed azzera lo stato di apatica<br />

routine e di arcaica concettualità giuridica con il quale fino ad oggi sono state<br />

affrontate le stragi sulle strade, ormai seriali e frequenti”, come “un guizzo di coraggio<br />

istituzionale che adegua la norma ai tempi ed alla realtà concreta delle cose<br />

quotidiane, uscendo fuori dagli standardizzati ad asettici cliché di lettura ed<br />

applicazione della norma che molti fino ad oggi hanno seguito nell’individuare la<br />

colpa (e cioè una mera ‘imprudenza’ o ‘negligenza’) nell’azione di chi,<br />

volontariamente e sapendo bene quello che sta facendo ed a cosa lo porterà quello<br />

che sta facendo, si droga e/o si ubriaca (o tutte e due le cose insieme…) e poi si<br />

mette a guidare a velocità impensabili in pieno centro cittadino” 719 . Si tratta di<br />

osservazioni molto critiche nei confronti della giurisprudenza antecedente, le quali<br />

indubbiamente pongono in rilievo l’allarme sociale provocato da condotte del tipo<br />

indicato e l’esigenza di adeguati metodi di corrispettiva tutela: il che, però, non<br />

dovrebbe significare utilizzare la figura del dolo eventuale a titolo puramente<br />

repressivo; non bisogna, cioè, incorrere nella tendenza opposta rispetto a quella<br />

adottata fin’ora, ovvero ritenere sempre ed a priori sussistente il dolo eventuale in<br />

contesti di questo genere. La sentenza in esame, a parere di chi scrive, prospetta un<br />

criterio che può, effettivamente, essere idoneo a coerenti applicazioni del dolo<br />

eventuale, laddove si ravvisi il consenso alla realizzazione dell’evento attraverso una<br />

deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro: tale<br />

deliberazione, come si è osservato, permette di inquadrare una vera e propria presa<br />

di posizione della volontà, adeguata a fondare il dolo e, conseguentemente, il<br />

maggior trattamento sanzionatorio, ovvero la soglia della punibilità, se si tratta di reati<br />

non punibili per colpa (ma, nelle ipotesi di reati da sinistro stradale, si tratta quasi<br />

sempre di omicidio o lesioni, punibili a titolo di colpa).<br />

719 M. SANTOLOCI, La Suprema Corte finalmente riconosce il dolo eventuale per i killer al<br />

volante, in www.dirittoambiente.net<br />

150


2 . Contagio da HIV e responsabilità dell’AIDS carrier<br />

I casi di contagio da HIV tramite rapporto sessuale non protetto e/o senza<br />

informazione del partner costituiscono un ulteriore ambito interessante ai fini dello<br />

sviluppo della dogmatica inerente l’elemento soggettivo, resa ancor più complessa,<br />

in questo frangente, dalla necessità di contemperare diversi interessi giuridicamente<br />

rilevanti: da un lato, il diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost.; dall’altro, il diritto<br />

all’autodeterminazione del singolo, nonché il diritto alla privacy ed alla riservatezza in<br />

capo al soggetto sieropositivo. In altri termini, si pone la problematica dell’individuare<br />

l’equo contemperamento fra diritti del sieropositivo e diritto alla salute del partner<br />

sano, posto altresì che il principio generale del neminem laedere dovrebbe<br />

comportare che il diritto penale debba esigere, dal soggetto sieropositivo<br />

consapevole del proprio stato, l’adozione delle cautele necessarie ai fini della<br />

neutralizzazione del pericolo 720 .<br />

È ormai una conoscenza quasi generalizzata il fatto che il rapporto sessuale<br />

non protetto sia una modalità di potenziale trasmissione del virus HIV; ed è<br />

altrettanto chiaro che l’eventuale trasmissione comporti una lesione del diritto alla<br />

salute per il soggetto precedentemente sano: sicché il rapporto sessuale non<br />

protetto, praticato dal soggetto sieropositivo e consapevole del proprio stato,<br />

costituisce sicuramente una tipologia di condotta la quale è catalogata come<br />

intollerabile dall’ordinamento; e lo è anche qualora si tratti di un rapporto singolo,<br />

nonostante la percentuale di rischio di contagio insita, appunto, nel rapporto singolo<br />

e non protetto si aggiri fra lo 0,1% e l’1 % (in misura comunque variabile in base a<br />

diversi fattori, quali tipologia del rapporto, presenza di microlesioni o infezioni genitali,<br />

presenza di altre malattie sessualmente trasmesse, tasso di viremia e sesso del<br />

partner infetto) 721 . È stato giustamente evidenziato che la dottrina (in particolare<br />

quella d’oltralpe) giustifichi la considerazione del singolo rapporto sessuale non<br />

protetto come “rischio intollerabile” sulla base degli effetti sociali che avrebbe la<br />

liberalizzazione dello stesso singolo rapporto non protetto: ciò che renderebbe<br />

“intollerabile” il rischio sarebbe la sommatoria dei rischi connessi al singolo<br />

rapporto 722 .<br />

Qualora il virus HIV venga effettivamente trasmesso, in genere si verifica un<br />

periodo di incubazione di durata variabile tra i 5 ed i 10 anni, a seguito del quale si<br />

manifesta lo sviluppo dell’Aids conclamata: e questa ha, come conseguenza quasi<br />

certa, la morte del soggetto infetto 723 . In base a tali considerazioni, è fondato definire<br />

la pratica del rapporto sessuale non protetto, posta in essere dal soggetto<br />

sieropositivo e consapevole del proprio stato, come condotta non solo<br />

potenzialmente lesiva dell’integrità fisica ma, nello specifico, come idonea ad avviare<br />

un decorso causale che, alla luce dell’attuale contesto medico – scientifico, conduce<br />

con “quasi certezza” alla morte del soggetto contagiato.<br />

Del resto, il rapporto sessuale protetto riduce il rischio, ma non lo azzera (pur<br />

rendendolo comunque, in linea di massima, prossimo allo 0%): si tratta, dunque, di<br />

720 K. SUMMERER, Contagio sessuale da virus HIV e responsabilità penale dell’AIDS – carrier,<br />

in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 305 e nota (3).<br />

721 K. SUMMERER, op. cit., 307 e nota (11).<br />

722 Queste le considerazioni di K. SUMMERER, op. cit., 307 e nota (13).<br />

723 K. SUMMERER, op. cit., 307.<br />

151


stabilire quali siano le condizioni idonee a rendere il rischio in questione<br />

“consentito” 724 ; occorre, altresì, valutare se l’obbligo di adozione di precauzioni sorga<br />

alla luce del mero sospetto, da parte del soggetto agente, di essere sieropositivo, o<br />

se, invece, esso sorga solamente a seguito dell’esito positivo del test apposito;<br />

infine, si dovrà specificare se il soggetto sieropositivo sia chiamato comunque a<br />

rispondere o meno dell’eventuale trasmissione del virus al partner, qualora tale<br />

trasmissione si verifichi nonostante l’adozione, da parte del primo, delle opportune<br />

misure cautelari 725 . In aggiunta rispetto a quel che attiene, propriamente, alla<br />

neutralizzazione (o, meglio, riduzione) del rischio di contagio, ci si dovrebbe porre un<br />

ulteriore interrogativo: se, qualora il soggetto sieropositivo adotti le adeguate<br />

protezioni, sussista o meno un obbligo giuridico di informazione del partner. Il tutto,<br />

comunque, in un’ottica di definizione della dogmatica penale inerente la<br />

responsabilità in questi frangenti, la quale dovrebbe sempre prescindere da<br />

valutazioni di carattere meramente morale, ed evitare di condurre ad un utilizzo<br />

distorto delle figure del tentativo e del reato di pericolo, sulla base di una<br />

deformazione dei confini fra dolo e colpa, già di per sé labili 726 .<br />

La risposta ai suddetti interrogativi, ovviamente, è essenziale, per quel che qui<br />

interessa maggiormente, allo studio dell’elemento soggettivo in ipotesi di contagio da<br />

virus HIV mediante rapporto sessuale non protetto e da parte di soggetto<br />

sieropositivo consapevole del proprio stato: nella maggior parte dei casi, infatti, il<br />

problema riguarderà l’alternativa fra dolo eventuale e colpa cosciente 727 , posto che i<br />

casi di dolo intenzionale o dolo diretto sono piuttosto esigui 728 (seppur non<br />

inesistenti: si pensi, ad esempio, al caso del soggetto sieropositivo che, proprio con<br />

l’intenzione di contagiare, emetta volontariamente dal cavo orale saliva mista a<br />

sangue in direzione di parti sensibili del corpo della prefigurata vittima 729 ).<br />

In merito alle modalità di riduzione del rischio, le quali possano rendere l’attività<br />

sessuale praticata dal soggetto sieropositivo consapevole del proprio stato un’attività<br />

a “rischio consentito”, le posizioni dottrinali principali sono le seguenti: da parte di<br />

alcuni Autori, sono ritenute sufficienti, alternativamente, l’adozione del condom o<br />

l’informazione del partner; da parte di altri, si ritengono necessarie entrambe 730 .<br />

In base alla prima posizione citata, dunque, il soggetto infetto da virus HIV e<br />

consapevole del proprio status renderebbe la propria attività sessuale rientrante nel<br />

“rischio consentito” qualora, alternativamente, adotti il condom, ovvero informi il<br />

partner: la sola prima opzione sarebbe, di per sé, sufficiente a rendere “consentito” il<br />

rischio, seppur in mancanza di informazione del partner 731 ; allo stesso modo,<br />

724<br />

K. SUMMERER, op. cit., 308 e nota (16).<br />

725<br />

K. SUMMERER, op. cit., 308.<br />

726<br />

A. CASTALDO, AIDS e diritto penale: tra dommatica e politica criminale, in Studi Urbinati,<br />

1988 – 89/1989 – 90, 7; K. SUMMERER, op. cit., 304.<br />

727<br />

Tale connessione fra casi di contagio da HIV tramite rapporto sessuale non protetto e<br />

dibattito sulla distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente è evidenziata anche da C. BRUNELLI,<br />

L’elemento soggettivo nei delitti contro la persona commessi da persona malata di HIV/AIDS, in<br />

www.diritto.it<br />

728<br />

K. SUMMERER, op. cit., 312.<br />

729<br />

L. VIOLA, Dolo eventuale e colpa cosciente, con particolare riferimento al contagio da virus<br />

HIV in caso di rapporto sessuale non protetto, in www.overlex.com<br />

730<br />

K. SUMMERER, op. cit., 309.<br />

731<br />

È questa l’impostazione accolta, tra l’altro, da K. SUMMERER, op. cit., 309 e nota (23).<br />

L’Autore, tuttavia, specifica che l’adozione di tale posizione non significhi escludere l’esistenza di un<br />

152


dovrebbe essere sufficiente, al medesimo fine, la sola seconda opzione<br />

(informazione del partner), alternativamente all’adozione del condom; si sostiene, in<br />

sintesi, che al soggetto sieropositivo debba essere concesso un certo margine di<br />

scelta fra comportamenti alternativi ed idonei a ricondurre l’attività sessuale da egli<br />

praticata nella sfera del “rischio consentito”, escludendo senz’altro la configurabilità<br />

di un dovere di astensione totale dall’attività sessuale per il soggetto infetto da HIV e<br />

consapevole di tale stato 732 .<br />

La seconda posizione citata, del resto, appare indubbiamente come più<br />

rigorosa, richiedendo che il soggetto sieropositivo e consapevole del proprio stato<br />

debba sia adottare idonee misure di contenimento del rischio di contagio, sia<br />

informare il partner del proprio stato di sieropositività.<br />

Entrambe le posizioni, a parere di chi scrive, manifestano dei punti critici. La<br />

prima ritiene sufficiente la sola informazione del partner, alternativamente<br />

all’adozione del condom, ma si tratta di un aspetto che non contribuisce in misura<br />

drastica alla riduzione del rischio (perlomeno non quanto l’adozione del condom,<br />

appunto, la quale riduce la percentuale di rischio a termini prossimi allo 0%); al più,<br />

dando per ipotesi la scelta di mancata adozione del condom con previa informazione<br />

del partner, tale informazione potrebbe contribuire a ridurre oggettivamente il rischio<br />

di contagio qualora sussistano fattori idonei ad incidere sulla misura del rischio e che<br />

siano a conoscenza del solo partner sano (per esempio, presenza di microlesioni o<br />

infezioni genitali nel partner sano, o presenza di altre malattie sessualmente<br />

trasmissibili). Per esempio, il partner non sieropositivo, se informato dello stato di<br />

sieropositività dell’altro, essendo consapevole di avere microlesioni genitali, potrebbe<br />

optare per l’astensione dal rapporto non protetto, cosa che non avrebbe fatto se<br />

avesse ritenuto l’altro partner sano: tuttavia, in questi casi, la “riduzione del rischio” si<br />

avrebbe, oggettivamente, con l’astensione dal rapporto non protetto, sicché non<br />

potrebbe parlarsi propriamente di “riduzione del rischio” connessa al rapporto. Il tutto<br />

tralasciando il discorso inerente il consenso dell’avente diritto: il contagio da HIV<br />

produce una lesione permanente all’integrità fisica e, dunque, attinge un bene<br />

giuridico indisponibile, per il quale la scriminante in parola non opera 733 . In<br />

obbligo “morale” di informazione del partner, accennando al fatto che le riflessioni in materia possano<br />

complicarsi ulteriormente qualora si considerino le stabili relazioni di coppia o il contesto del<br />

matrimonio: casi nei quali alcuni esponenti della dottrina, in forza del rapporto di fiducia intercorrente<br />

fra i soggetti coinvolti, ritengono sussistente comunque un obbligo di informazione del partner.<br />

732 K. SUMMERER, op. cit., 330.<br />

733 Sui limiti di operatività del consenso dell’avente diritto, G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit.,<br />

261 – 264. Risultano interessanti anche le considerazioni effettuate da K. SUMMERER, op. cit., 327 –<br />

328, che evidenzia la distinzione fra “autoesposizione a pericolo” ed “esposizione a pericolo di terzo<br />

con il suo consenso”: la prima si avrebbe nel caso in cui il soggetto intraprenda autonomamente una<br />

condotta per sé stesso pericolosa, oppure si esponga ad una preesistente situazione di pericolo; la<br />

seconda si avrebbe nel caso in cui il soggetto si esponga consapevolmente ad un pericolo provocato<br />

da un altro soggetto, il quale detenga il controllo di detto pericolo; si tratta, insomma, di una distinzione<br />

basata sull’identificazione del soggetto che detenga il controllo degli accadimenti. Si evidenzia, quindi,<br />

che, nel caso del rapporto sessuale non protetto, dovendosi individuare quale, fra i soggetti coinvolti,<br />

detenga il controllo, non si debba incorrere nell’errore di individuare necessariamente tale soggetto in<br />

quello infetto, posto che il “pericolo” è dato dal “rapporto sessuale non protetto”, e non dalla mera<br />

“contagiosità”: il che dovrebbe essere utile a non accollare necessariamente all’infetto conseguenze<br />

lesive dovute non già esclusivamente alla sua condotta, bensì all’atteggiamento “autolesionista” della<br />

vittima. Si precisa, inoltre, che il consenso ad un rapporto occasionale non protetto, in considerazione<br />

153


giurisprudenza, peraltro, è stata chiaramente specificata l’irrilevanza del consenso<br />

dell’avente diritto proprio con riguardo ad ipotesi di contagio da HIV da rapporto<br />

sessuale reiterato e non protetto: si afferma, infatti, che, ai fini della configurabilità del<br />

reato di lesioni gravissime, sia “del tutto irrilevante […] l’eventuale consenso della<br />

vittima”, essendo “la operatività della esimente di cui all’art. 50 c.p. […] esclusa” in<br />

caso di lesioni di diritti indisponibili, “quali sono le lesioni produttive di una<br />

diminuzione permanente della integrità fisica a fini non terapeutici”; si afferma,<br />

dunque, che la sussistenza o meno del consenso potrebbe rilevare solo ai fini della<br />

valutazione della gravità della condotta, nonché ai fini della concessione di eventuali<br />

circostanze attenuanti, ma non ai fini del giudizio inerente l’antigiuridicità della<br />

condotta e, dunque, l’esistenza del reato 734 .<br />

La seconda impostazione, del resto, appare eccessivamente rigorosa nel<br />

richiedere che il soggetto sieropositivo, pur adottando misure idonee a ridurre il<br />

rischio a termini prossimi allo 0%, debba necessariamente esporre aspetti attinenti il<br />

proprio stato di salute e, dunque, la sfera della propria riservatezza.<br />

In base alle osservazioni appena elaborate, si dovrebbe coerentemente<br />

concludere – a parere di chi scrive – che l’unica modalità esigibile, attraverso la<br />

quale la pratica del rapporto sessuale da parte del soggetto sieropositivo e<br />

consapevole del proprio stato possa restare nella sfera del rischio consentito, sia<br />

l’adozione del condom: essa sarebbe, ai fini dell’azione all’interno del “rischio<br />

consentito”, condizione necessaria e sufficiente; del resto, non dovrebbe essere<br />

necessaria, previa l’adozione del condom, l’informazione del partner; né tale<br />

informazione potrebbe essere sufficiente, in caso di mancata adozione del condom,<br />

ad instaurare una sfera di “rischio consentito”.<br />

Sin qui si è fatto riferimento al presupposto per il quale, ai fini del sorgere degli<br />

obblighi di adozione del condom o informazione del partner, il soggetto sieropositivo<br />

debba essere “consapevole del proprio stato”. Si tratta, a questo punto, di specificare<br />

quando, effettivamente, tale “consapevolezza” possa dirsi sussistente: se l’alternativa<br />

si pone fra la rilevanza del mero stato di “sospetto” e la “consapevolezza” in base<br />

all’esito positivo dell’apposito test, appare maggiormente condivisibile sostenere che<br />

solo in questa seconda ipotesi il soggetto possa dirsi “consapevole dello stato di<br />

sieropositività” e, di conseguenza, gravato dall’obbligo di adozione di idonee misure<br />

di riduzione del rischio connesso alla pratica del rapporto sessuale 735 .<br />

Un ultimo punto che – prima di passare all’analisi dei casi concreti – merita<br />

approfondimento è dato dalla valutazione se l’adozione del condom possa essere<br />

effettivamente sufficiente a costituire un effetto scriminante: la risposta dovrebbe<br />

essere affermativa in quanto, se così non fosse, si ricadrebbe nel controproducente<br />

risultato di rendere inefficaci le campagne di informazione le quali promuovono,<br />

appunto, l’adozione del condom; in particolare, se l’adozione del condom non<br />

comportasse efficacia scriminante, i soggetti infetti potrebbero essere indotti a<br />

rinunciare a priori all’utilizzo di tale metodo precauzionale, essendo essi nella<br />

consapevolezza di correre comunque il rischio di rispondere degli eventuali esiti<br />

lesivi che siano in rapporto materialmente causale rispetto alla condotta consistente<br />

della scarsa probabilità di contagio nel singolo rapporto, possa equivalere ad un consenso al rischio di<br />

contagio o morte, ma non certo agli eventi “contagio” o “morte” (ivi, 329).<br />

734 Trib. Savona, 6 dicembre 2007, in www.altalex.com<br />

735 Questa è la posizione accolta dalla dottrina maggioritaria, come evidenzia K. SUMMERER,<br />

op. cit., 308.<br />

154


nel rapporto sessuale 736 . Tali considerazioni risultano, altresì, a supporto delle<br />

conclusioni esposte precedentemente, per le quali l’adozione del condom dovrebbe<br />

essere condizione sufficiente (oltre che necessaria) a ricondurre nella sfera del<br />

“rischio consentito” la pratica di rapporti sessuali da parte del soggetto sieropositivo e<br />

consapevole del proprio stato: si è rilevato che, in effetti, la dottrina e la<br />

giurisprudenza dominanti depongano in tal senso 737 .<br />

Poste tali premesse di carattere generale, è possibile passare ad una precisa<br />

analisi dei casi concreti nei quali si è posto il problema dell’identificazione<br />

dell’elemento soggettivo per i reati di lesioni o omicidio come conseguenza di<br />

contagio da virus HIV da parte di soggetto sieropositivo e consapevole del proprio<br />

stato. La prima sentenza che, in Italia, si è occupata specificamente della questione<br />

in discorso risale al 1999 738 : si tratta di una pronuncia ove i giudici di merito di primo<br />

grado riconoscono la responsabilità per omicidio sorretto da dolo eventuale in capo<br />

all’imputato che, sieropositivo e consapevole della propria sieropositività, nonché<br />

essendo stato informato circa le modalità di trasmissione del virus HIV, avesse<br />

intrattenuto ripetuti rapporti sessuali non protetti con il partner non informato; rapporti<br />

i quali, in base alla ricostruzione evincibile dal quadro probatorio complessivo,<br />

avevano costituito il presupposto causale non solo della trasmissione del virus HIV,<br />

bensì anche della morte della vittima del contagio. Gli aspetti maggiormente<br />

significativi del fatto e, in particolare, del comportamento tenuto dall’imputato nel<br />

caso di specie, sono i seguenti: l’intrattenimento di rapporti sessuali non protetti con<br />

consapevolezza del proprio stato di sieropositività e delle modalità di trasmissione<br />

del virus; il carattere reiterato di tali rapporti (nel corso di una relazione decennale); la<br />

mancata informazione del partner (e, successivamente, coniuge); la circostanza che<br />

l’imputato avesse fatto di tutto affinché il partner/ coniuge non venisse a conoscenza<br />

del suo stato di sieropositività, adoperandosi in tal senso attivamente e<br />

ripetutamente.<br />

Una prima questione che, in considerazione del caso in esame, merita di<br />

essere trattata, è quella relativa al nesso causale fra contagio e morte: i giudici di<br />

primo grado, nello specifico, rilevano che debba considerarsi “causale” qualsiasi<br />

fattore che sia risultato determinante ai fini dell’evento concretamente verificatosi, e<br />

considerato hic et nunc; in base a tale assunto, la condotta consistente nella tenuta<br />

di reiterati rapporti sessuali non protetti dovrebbe a ragione considerarsi “causale”<br />

non solo rispetto al contagio, bensì proprio rispetto all’evento “morte”, stante il fatto,<br />

736 K. SUMMERER, op. cit., 308 – 309.<br />

737 Nell’ambito della dottrina italiana si rivelano concordi S. CANESTRARI, La rilevanza del<br />

rapporto sessuale non protetto dell’infetto HIV nell’orientamento del BGH, in Foro it., 1991, IV, 152; L.<br />

CORNACCHIA, Profili di responsabilità per contagio da virus HIV, in AA. VV., Diritto penale. Lineamenti<br />

di parte speciale, Bologna, Monduzzi, 1998, 320; A. CASTALDO, AIDS e diritto penale, 118.<br />

738 Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 299. Sul fatto che si tratti<br />

del “primo caso” giurisprudenziale in Italia ad occuparsi della questione inerente la punibilità e<br />

l’elemento soggettivo in ipotesi di contagio da HIV tramite rapporto sessuale non protetto, si esprime<br />

in tal senso K. SUMMERER, op. cit., 303. In realtà, sembra essere antecedente il caso sul quale si è<br />

pronunciato Trib. Ravenna, 3 maggio 1999, in Supp. Rass. med. leg. prev., 2000, 23: si tratta, tuttavia,<br />

di una ipotesi in cui il giudice di merito ravvisò addirittura il dolo diretto, per tentate lesioni personali<br />

aggravate, in capo alla prostituta sieropositiva che, pur essendo consapevole del proprio stato,<br />

volutamente intratteneva rapporti non protetti con i propri clienti, manifestando una sorta di<br />

atteggiamento di rivalsa nei confronti della categoria di persone fra le quali vi era quella che le avesse<br />

trasmesso il virus (da ciò, appunto, si ritenne sussistente il dolo diretto).<br />

155


scientificamente comprovato, che la reiterazione dei rapporti non protetti a seguito<br />

del primo contagio da HIV comporti un’accelerazione della degenerazione negativa<br />

della malattia. D’altra parte – osservano i giudici di primo grado – anche la mancata<br />

informazione del partner si porrebbe come fattore (almeno in parte) causale rispetto<br />

all’evento “morte” hic et nunc considerato, dato che l’eventuale informazione del<br />

partner avrebbe potuto far sì che questi usufruisse di trattamenti terapeutici in grado<br />

quantomeno di ritardare o contrastare il decorso della malattia; non si sarebbe<br />

neppure potuto escludere che l’imputato non fosse a conoscenza di tale possibilità,<br />

dato che egli stesso, al tempo del processo, se ne stava avvalendo 739 . Si è<br />

giustamente evidenziato che i giudici di merito abbiano, in pratica, “saltato” la fase<br />

“intermedia” della identificazione del reato di lesioni, approdando direttamente<br />

all’affermazione del reato di omicidio 740 .<br />

Quanto, nello specifico, all’indagine sull’elemento psicologico, nell’ottica di<br />

individuazione del dolo è necessario, anzitutto, verificare la sussistenza del requisito<br />

della rappresentazione: i giudici di primo grado, nel caso di specie, ravvisano tale<br />

sussistenza, principalmente in base alle dichiarazioni rilasciate dallo stesso imputato,<br />

il quale aveva affermato di essere perfettamente a conoscenza del rischio di contagio<br />

connesso alla tenuta di rapporti sessuali non protetti, nonché di essere stato<br />

informato dai medici della necessità di utilizzo del profilattico ai fini della riduzione di<br />

detto rischio. Del resto, si osserva che, comunque, già all’epoca dei fatti in esame, le<br />

nozioni concernenti i rischi di contagio da HIV e le relative modalità di prevenzione<br />

rientravano nel patrimonio conoscitivo comune: e, a maggior ragione, sarebbero<br />

dovute rientrare nel patrimonio conoscitivo del soggetto sieropositivo, direttamente<br />

interessato 741 .<br />

Appurata la sussistenza dell’elemento intellettivo si tratta di passare, ai fini<br />

dell’inquadramento del dolo, all’individuazione dell’elemento volitivo: orbene, la<br />

ricostruzione operata dai giudici di primo grado sembra, inizialmente, prestarsi ad<br />

aderire alla teoria che individua l’elemento volitivo caratteristico del dolo eventuale<br />

nella deliberazione tramite la quale l’agente subordini un bene giuridico rispetto ad<br />

un altro; più precisamente, si osserva che se l’imputato, nonostante la<br />

consapevolezza del rischio di contagio connesso ai rapporti sessuali non protetti, “ha<br />

accettato, ha scelto di continuare ad avere rapporti non protetti con il coniuge, pur di<br />

non rivelargli la malattia dalla quale era affetto e, per giunta, facendo di tutto perché<br />

anche i familiari a conoscenza del suo stato di salute non lo rivelassero,<br />

indubbiamente si configura una condotta accompagnata dall’accettazione piena e<br />

completa del rischio di verificazione dell’evento lesivo” 742 . In base a tali osservazioni,<br />

potrebbe individuarsi, effettivamente, una condotta caratterizzata dal perseguimento<br />

intenzionale di un fine principale – ovvero, nel caso di specie, il “non rivelare al<br />

coniuge la propria malattia” – nella quale si inserisce la prospettazione, a livello<br />

intellettivo, della possibilità/probabilità di realizzazione, tramite detta condotta, di un<br />

evento collaterale non intenzionalmente perseguito – ossia, il “contagio”, con<br />

conseguente “morte” del coniuge: nell’ambito di tale assetto, è possibile inquadrare<br />

una scelta di persistere nella tenuta della condotta descritta, una mancata desistenza<br />

anche “di fronte all’agghiacciante prospettiva di trasmettere la malattia” non solo alla<br />

739<br />

Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 299 – 300.<br />

740<br />

K. SUMMERER, op. cit., 306.<br />

741<br />

Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 301.<br />

742<br />

Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 302.<br />

156


moglie, ma anche “al figlio che la moglie desiderava ardentemente” 743 ; scelta,<br />

questa, che potrebbe configurarsi come subordinazione di un bene giuridico (la vita<br />

del coniuge) rispetto ad un altro (il proprio interesse, ovvero non rivelare alla moglie il<br />

proprio stato di sieropositività).<br />

Tuttavia i giudici, in motivazione della sentenza, non propendono<br />

espressamente per la suddetta teoria, bensì accolgono la teoria del consenso,<br />

sostenendo che l’imputato si fosse rappresentato seriamente le probabili<br />

conseguenze lesive della propria condotta e, ciononostante, avesse scelto di agire<br />

comunque, propendendo a favore della lesione del bene giuridico e, quindi, a favore<br />

dell’evento “morte”, e non solo a favore del “contagio”, posto che, allo stato attuale,<br />

non esistono trattamenti specifici in grado di debellare completamente il virus HIV, e<br />

che il decorso quasi certo della malattia conduce alla morte del soggetto infetto 744 .<br />

È anche vero, tuttavia, che l’effettuazione di una “scelta a favore della lesione<br />

del bene giuridico”, laddove si connota come “inclusione”, “messa in conto” nel<br />

proprio piano della possibile realizzazione di un determinato fatto lesivo, senza che<br />

tale prospettiva distolga l’agente dall’azione, si ha indubbiamente una scelta fra<br />

modelli comportamentali alternativi e, quindi, una decisione di subordinazione di un<br />

interesse rispetto ad un altro 745 . Come si è già sostenuto, la teoria della “decisione a<br />

favore della possibile lesione del bene giuridico” e la teoria che sostiene la rilevanza<br />

della “deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro”<br />

dovrebbero, in realtà, esprimere la stessa valenza sostanziale, dato che “decidere a<br />

favore della possibile lesione di un bene giuridico”, se detta lesione non è<br />

intenzionalmente perseguita, ma è prevista come collaterale ed accessoria rispetto<br />

alla tenuta della condotta funzionale al perseguimento intenzionale del fine<br />

principale, significa necessariamente subordinare il bene giuridico esposto alla<br />

lesione rispetto ad un altro (cioè, l’interesse intenzionalmente perseguito).<br />

Con riguardo alla configurazione “diretta” del reato di omicidio è stato<br />

osservato, inoltre, che, qualora si riconoscesse come reato il solo contagio<br />

(attraverso il reato di lesioni), emergerebbe una palese contraddizione alla luce del<br />

non riconoscimento dell’omicidio, essendo la stessa condotta a provocare prima il<br />

contagio e successivamente, in modo quasi inevitabile, la morte: si rileva che gli studi<br />

scientifici prospettino percentuali di probabilità di sviluppo, a seguito di contagio da<br />

HIV, dell’Aids conclamata le quali oscillano fra il 50% ed addirittura il 100%; peraltro,<br />

come si è detto, attualmente non esistono trattamenti o modalità terapeutiche in<br />

grado di debellare completamente il decorso del male, per cui l’evento “morte”<br />

appare come conseguenza quasi certa del contagio 746 ; né varrebbe ad escludere la<br />

sussistenza del nesso causale, e della responsabilità dell’agente per omicidio, il fatto<br />

che, tra il rapporto sessuale il quale abbia provocato il contagio e l’evento “morte”,<br />

intercorra un significativo arco temporale, dato che l’ordinamento non fornisce alcuna<br />

indicazione in tal senso 747 .<br />

743<br />

Cit. Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 302.<br />

744<br />

Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 303.<br />

745<br />

A favore di una ricostruzione di questo tipo sembra essere K. SUMMERER, op. cit., 320 e<br />

nota (64).<br />

746<br />

K. SUMMERER, op. cit., 310 e nota (27); 311 e nota (31).<br />

747 K. SUMMERER, op. cit., 311.<br />

157


La sentenza di primo grado di cui si è trattato è stata, successivamente,<br />

riformata in appello 748 , con qualificazione del fatto come omicidio colposo aggravato<br />

dalla previsione dell’evento: i giudici di secondo grado prospettano tale conclusione<br />

in considerazione del fatto che l’imputato sarebbe giunto a ritenere che alla moglie<br />

non sarebbe accaduto nulla di male, tenuto conto delle sue cognizioni, delle sue<br />

qualità caratteriali e delle sue stesse condizioni di salute, le quali erano state per<br />

lungo tempo stabili 749 ; si sostiene, dunque, che non fosse stata raggiunta una prova<br />

sufficiente a fondare la sussistenza della rappresentazione, in capo all’agente,<br />

dell’alto rischio di trasmissione del virus HIV e del decorso mortale della malattia; né,<br />

conseguentemente, sarebbe da valutare sussistente un elemento psicologico<br />

interiore assimilabile alla volizione dell’evento “morte” 750 . Il giudizio di legittimità sul<br />

caso di specie conferma l’assetto individuato dalla Corte d’Assise d’Appello,<br />

identificando nell’atteggiamento interiore dell’imputato un “fenomeno di rimozione e<br />

di allontanamento psicologico della eventualità del contagio e della susseguente<br />

possibilità di morte della consorte” 751 . Si ritorna, insomma, all’utilizzo della<br />

tradizionale teoria dell’“accettazione del rischio”, con identificazione della colpa<br />

cosciente sulla base della “fiducia” nutrita dall’agente nella non verificazione<br />

dell’evento, chiaramente a sua volta individuata nel fenomeno di “rimozione<br />

psicologica” dell’eventualità della morte della vittima: tuttavia, è corretto parlare di<br />

colpa “con previsione” identificandola, poi, come associata ad un fenomeno di<br />

“rimozione” della previsione stessa? La risposta dovrebbe essere negativa. Si tratta<br />

di un ulteriore caso in cui emerge l’inadeguatezza del criterio dell’“accettazione del<br />

rischio”, e la necessità di individuare la distinzione fra dolo eventuale e colpa<br />

cosciente in un quid pluris rispetto all’accettazione del rischio stessa (caratteristica,<br />

invero, anche della colpa cosciente): e tale quid pluris dovrebbe essere l’ “opzione”<br />

con la quale l’agente subordini un bene giuridico rispetto ad un altro.<br />

A parere di chi scrive, qualora si accerti effettivamente un fenomeno di<br />

rimozione psicologica della prospettiva di verificazione dell’evento lesivo, si dovrebbe<br />

propendere per l’affermazione della colpa “incosciente”, poiché la suddetta<br />

“rimozione” comporta, logicamente, il venir meno dell’elemento rappresentativo,<br />

necessario ai fini dell’inquadramento della colpa cosciente.<br />

I giudici di legittimità, nella sentenza in esame, affermano, inoltre, che “il<br />

soggetto sieropositivo da HIV che, avendo rapporti sessuali senza protezione con un<br />

partner inconsapevole, lo contagi e ne cagioni la morte per AIDS, ne deve rispondere<br />

o a titolo di omicidio volontario, sotto il profilo del dolo eventuale, o a titolo di omicidio<br />

colposo aggravato dalla colpa cosciente, a seconda di quale risulti essere stato il suo<br />

atteggiamento psicologico rispetto all’evento letale” 752 : tramite tale enunciato, si<br />

afferma chiaramente che non si possa, nei casi del tipo di quello delineato, stabilire a<br />

priori quale debba essere il titolo di imputazione soggettiva del reato, bensì debba<br />

verificarsi quale fosse stato l’effettivo stato soggettivo dell’agente rispetto alla<br />

realizzazione del reato stesso.<br />

748 Ass. App. Brescia, 26 settembre 2000, in Foro it., 2000, II, 348.<br />

749 La sintesi delle conclusioni della sentenza in esame è effettuata anche da G. COCCO, Gli<br />

insuperabili limiti del dolo eventuale. Contro i tentativi di flessibilizzazione, in Resp. civ. e prev., 2011,<br />

10, 1966.<br />

750 C. BRUNELLI, op. cit.<br />

751 Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it<br />

752 Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001, n. 30425, in dejure.giuffre.it<br />

158


Da notare come, in tempi più recenti, la giurisprudenza di merito 753 abbia<br />

affermato la sussistenza del dolo eventuale con riferimento ad un caso<br />

sostanzialmente molto simile a quello appena trattato (consumazione di plurimi<br />

rapporti sessuali non protetti da parte del soggetto sieropositivo, consapevole del<br />

proprio stato e delle modalità di trasmissione del virus, e senza informazione del<br />

partner) nel quale, tuttavia, non è stato ravvisato alcun fondamento idoneo a ritenere<br />

che l’agente potesse “confidare” nel “non contagio” del partner.<br />

Anche la giurisprudenza di legittimità 754 , ad ogni modo, appare in tempi recenti<br />

assestata nel riconoscere il dolo eventuale in capo al soggetto che, essendo<br />

sieropositivo e consapevole di tale stato, abbia intrattenuto plurimi rapporti sessuali<br />

non protetti con partner sano, poi contagiato tramite tale tipologia di condotta. Con<br />

riferimento ad un caso di questo genere, in primo grado, l’imputata, accusata di<br />

tentato omicidio per aver trasmesso al partner il virus HIV consumando con<br />

quest’ultimo plurimi rapporti sessuali per un arco temporale di cinque anni, veniva<br />

inizialmente condannata per lesioni volontarie gravissime sorrette da dolo eventuale.<br />

In secondo grado veniva confermata la statuizione pronunciata dai giudici di prime<br />

cure 755 . Fra i motivi di ricorso per cassazione presentati da parte della difesa<br />

dell’imputata, vi è quello di “vizio di motivazione” in ordine all’affermazione del dolo<br />

eventuale: in particolare, si sostiene che l’imputata, sentendosi sommariamente<br />

bene, avesse psicologicamente rimosso la sua condizione di malattia, e che non<br />

fosse a conoscenza dei rischi di contagio; inoltre, si evidenzia che l’atteggiamento<br />

psicologico dell’imputata sarebbe stato caratterizzato, da un lato, dalla previsione<br />

della possibilità di realizzazione dell’evento lesivo e, dall’altro, dalla speranza e dal<br />

desiderio di non realizzazione di detto evento: sicché avrebbe dovuto essere<br />

affermata la colpa cosciente, in luogo del dolo eventuale.<br />

I giudici di legittimità rigettano il ricorso, affermando che “i giudici di merito […]<br />

hanno ragionevolmente concluso per la sussistenza […] del dolo eventuale sulla<br />

base di alcune considerazioni di fatto che consentono di ritenere che la donna fosse<br />

perfettamente a conoscenza del male dal quale era affetta, che fosse altresì<br />

consapevole della concreta possibilità di trasmettere il male al proprio compagno con<br />

il protrarsi della relazione sessuale e che non potesse avere dubbi in ordine al<br />

possibile, ed anzi probabile, esito letale della infezione da HIV”. Nello specifico, la<br />

conoscenza dello stato di sieropositività da parte della donna era stata comprovata<br />

da vari documenti clinici; la conoscenza della pericolosità del male era, del resto,<br />

testimoniata dal fatto che essa stessa si fosse sottoposta, nel corso degli anni, ad<br />

ulteriori controlli; inoltre, la consapevolezza, da parte dell’imputata, del carattere<br />

letale del male era indubbio in base al fatto che il marito della stessa imputata fosse<br />

deceduto proprio per AIDS; il tutto tralasciando le esaustive campagne di<br />

informazione volte ad illustrare i rischi di contagio e le modalità di riduzione o<br />

prevenzione di tali rischi, le quali dovrebbero aver ormai reso tali conoscenze come<br />

appartenenti al patrimonio intellettivo del soggetto medio. L’imputata, insomma, pur<br />

perfettamente consapevole del proprio stato di sieropositività, delle modalità di<br />

trasmissione del virus HIV e della gravità della malattia, aveva scelto di intrattenere<br />

reiterati rapporti sessuali non protetti con il proprio partner, senza informarlo della<br />

753 Trib. Savona, 30 gennaio 2008, in www.altalex.com<br />

754 Cass. Pen., Sez. V, 17 settembre 2008, n. 44712, in www.altalex.com<br />

755 Gli esiti dei giudizi di merito si ricavano dalla sentenza di legittimità sul caso in questione<br />

(Cass. Pen., Sez. V, 17 settembre 2008, n. 44712, in www.altalex.com).<br />

159


propria condizione: tale condotta rivelerebbe l’accettazione del rischio di contagio, in<br />

questo caso previsto non solo come possibile, ma come altamente probabile.<br />

Sin qui si è discusso di casi caratterizzati da plurimi rapporti sessuali non<br />

protetti: condotta che, come è stato affermato nella giurisprudenza di merito, “colora<br />

fortemente il contenuto volitivo del dolo” 756 , considerato anche che, come si è già<br />

visto, a seguito del primo contagio, la tenuta di ulteriori rapporti sessuali non protetti<br />

accelera il decorso della malattia. Deve, a questo punto, valutarsi se considerazioni<br />

analoghe rispetto a quelle fino ad ora delineate possano applicarsi al caso di<br />

contagio tramite un singolo rapporto sessuale non protetto.<br />

A tale fine, è possibile fare riferimento ad un caso, relativamente recente, in cui<br />

l’imputato veniva accusato di lesioni personali gravissime per aver contagiato la<br />

vittima tramite un unico rapporto sessuale anale non protetto. I nodi problematici<br />

sono, fondamentalmente, due: in primo luogo, si tratta di stabilire se un singolo<br />

rapporto sessuale non protetto possa dirsi “causale” rispetto al contagio; in secondo<br />

luogo, occorre determinare se la condotta del soggetto il quale non intendesse<br />

intenzionalmente contagiare la vittima, ma fosse consapevole della propria<br />

situazione di sieropositivo e del pericolo di trasmissione del virus HIV tramite il<br />

rapporto sessuale non protetto, possa qualificarsi come sorretta da dolo eventuale 757 .<br />

I giudici di merito di primo e secondo grado concludono, effettivamente, per<br />

l’affermazione della responsabilità a titolo di dolo eventuale: deponevano a favore<br />

della sussistenza del nesso causale la manifestazione dei sintomi, da parte della<br />

vittima, dopo solo una settimana dall’episodio (mentre, nei due mesi precedenti, la<br />

vittima non aveva avuto alcun rapporto sessuale intrusivo, ed aveva altresì effettuato,<br />

in occasione di un intervento chirurgico, esami diagnostici i quali avevano appurato<br />

che egli non fosse affetto da HIV), nonché l’accertamento medico – legale in base al<br />

quale risultava che l’imputato fosse portatore dello stesso tipo di virus di quello che<br />

aveva infettato la vittima; infine, il fatto che l’imputato fosse solito ricercare partner<br />

con cui praticare rapporti sessuali non protetti, presentandosi con uno pseudonimo e<br />

pur essendo consapevole del proprio stato, deponeva fortemente a favore<br />

dell’identificazione del dolo 758 .<br />

La Corte di Cassazione conferma la responsabilità a titolo di dolo eventuale, e<br />

lo fa sulla base di vari rilievi. Quanto alla valutazione del nesso causale, viene<br />

confermata la correttezza dell’applicazione della legge scientifica per cui “un solo<br />

rapporto anale non protetto con soggetto ammalato può contagiare il soggetto<br />

passivo”; a nulla rileverebbe il basso rischio di contagio connesso al singolo rapporto<br />

sessuale non protetto, dato che, nel caso in questione, vari elementi deponevano a<br />

sostegno del fatto che, in mancanza della tenuta del rapporto sessuale non protetto<br />

(modalità, peraltro, non voluta dalla vittima), il contagio non si sarebbe verificato: si<br />

tratta degli accertamenti già citati in base ai quali risultava che, nei due mesi<br />

antecedenti all’episodio, la vittima non fosse infetta da HIV, e non avesse avuto<br />

rapporti sessuali intrusivi; nonché della circostanza che la vittima avesse manifestato<br />

i primi sintomi del contagio dopo solo una settimana dall’episodio, e del fatto che era<br />

stato appurato che il virus il quale aveva colpito la vittima fosse dello stesso tipo di<br />

756 Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1, 302.<br />

757 S. MARANI, Contagio da HIV e lesioni personali gravissime, in www.altalex.com<br />

758 La sintesi delle valutazioni effettuate nei giudizi di merito è rilevabile all’interno della<br />

sentenza di legittimità sul caso in questione: Cass. Pen., Sez. V., 17 dicembre 2008, n. 13388, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

160


quello dal quale era infetto l’imputato. Si afferma, in sintesi, che “dalla constatazione<br />

che non tutti gli esposti a contagio si ammalano non può certo trarsi l’implicazione<br />

che deve revocarsi in dubbio la sussistenza del nesso di condizionamento tra<br />

condotta ed evento nei casi in cui il contagio si verifica, perché nella valutazione<br />

deve prevalere il giudizio controfattuale”. In ogni caso, il rischio di contagio sarebbe<br />

stato, nel caso di specie, comunque più elevato rispetto a quello che avrebbe<br />

caratterizzato una situazione “ordinaria”, dato che le pareti anali della vittima<br />

risultavano indebolite a causa dell’intervento chirurgico subito.<br />

Quanto, invece, all’indagine sull’elemento soggettivo, la Corte afferma che il<br />

caso di specie corrisponda esattamente allo schema legale del dolo eventuale:<br />

questo sarebbe caratterizzato, oltre che dalla previsione, dall’accettazione delle<br />

conseguenze estreme della propria condotta le quali, con riferimento a particolari<br />

aspetti del caso concreto (continua ricerca, da parte dell’imputato, di partner con cui<br />

intrattenere rapporti sessuali non protetti, al fine di provare l’ “ebbrezza morbosa di<br />

esporsi ad un rischio mortale”), “sembrerebbero quasi auspicate”.<br />

È anche il caso di porre riferimento ad una sentenza di merito 759 che ha<br />

affermato addirittura il dolo diretto (nello specifico, tentativo di lesioni personali<br />

aggravate sorretto da dolo diretto) in capo alla prostituta la quale, essendo<br />

consapevolmente sieropositiva, intratteneva rapporti sessuali non protetti con i propri<br />

clienti: si individuò, in particolare, una sorta di atteggiamento di “rivalsa” nei confronti<br />

delle persone che le avevano trasmesso l’infezione, ovvero una “piena adesione” alla<br />

realizzazione del reato, e quindi, appunto, dolo diretto 760 .<br />

3. Ricettazione<br />

La configurabilità del dolo eventuale nella ricettazione rappresenta un ulteriore<br />

argomento significativo, in quanto si tratta non solo di descrivere l’inquadramento<br />

dell’elemento psicologico del reato con riferimento alla sussistenza dei presupposti<br />

della condotta (quindi, rispetto ad elementi del fatto tipico diversi dall’evento e dalla<br />

condotta materiale), bensì anche di specificare la distinzione fra il delitto di<br />

“ricettazione” (art. 648 c.p.) e la contravvenzione di “acquisto di cose di sospetta<br />

provenienza” (art. 712 c.p.), comunemente indicata come “incauto acquisto”.<br />

L’argomento in questione riveste un’importanza particolarmente “attuale”, alla<br />

luce di una sentenza delle Sezioni Unite 761 la quale, recentemente, è intervenuta a<br />

dirimere le problematiche che emergevano in tale contesto ed il contrasto<br />

giurisprudenziale precedentemente sussistente: essa, come si vedrà, non soltanto<br />

afferma la compatibilità fra dolo eventuale e ricettazione, ma contribuisce anche ad<br />

un superamento della tradizionale formula dell’“accettazione del rischio”, richiamando<br />

la prima formula di Frank, e precisando che lo stato di “mero sospetto” non sia, di per<br />

sé, sufficiente ad integrare il dolo eventuale di ricettazione.<br />

759 Trib. Ravenna, 3 maggio 1999, in Supp. Rass. med. leg. prev., 2000, 23.<br />

760 Su tale sentenza si pronuncia, tra gli altri, F. CURI, Tertium datur, 228 – 229.<br />

761 Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2548.<br />

161


3.1. Ricettazione e incauto acquisto. Configurabilità o non configurabilità del<br />

dolo eventuale in caso di ricettazione?<br />

L’art. 648 c.p. inquadra il delitto di ricettazione nella condotta di chi, al di fuori<br />

dei casi di concorso nel reato, “al fine di procurare a sé o ad altri profitto, acquista,<br />

riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si<br />

intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare”.<br />

D’altra parte, l’art. 712 c.p. stabilisce la punibilità di “chiunque, senza averne<br />

prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose,<br />

che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si<br />

abbia motivo di sospettare che provengano da reato”, nonché di “chi si adopera per<br />

fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza<br />

averne prima accertata la legittima provenienza”: si tratta della norma che descrive la<br />

contravvenzione di “incauto acquisto”.<br />

L’art. 648 non contempla espressamente la punibilità a titolo di colpa: ragion per<br />

cui, trattandosi di un delitto, sarà ammessa la punibilità solo a titolo di dolo. Si pone,<br />

tuttavia, il problema in ordine alla configurabilità o meno del dolo eventuale con<br />

riguardo all’art. 648: occorre, in particolare, fornire risposta all’interrogativo se, ai fini<br />

dell’integrazione dell’elemento soggettivo della fattispecie descritta dalla norma, sia<br />

necessaria la certezza della provenienza delittuosa della cosa, ovvero sia sufficiente<br />

lo stato di dubbio relativamente a detta provenienza. In maniera connessa a tale<br />

problema, si pone la questione in ordine alla distinzione fra ricettazione ed incauto<br />

acquisto, qualora si ammetta la compatibilità del dolo eventuale con riguardo alla<br />

prima: se, infatti, si conviene che il dolo di ricettazione possa manifestarsi anche<br />

quando il soggetto agente versi in dubbio sulla provenienza delittuosa della cosa,<br />

diviene molto labile il confine fra lo stato di dubbio necessario ad integrare il dolo<br />

eventuale di ricettazione e lo stato in cui versi il soggetto nel caso in cui vi siano<br />

“motivi di sospetto” della provenienza illecita della cosa, posto che il dolo eventuale<br />

va comunque provato tramite elementi esterni i quali, ovviamente, comprenderanno<br />

gli aspetti da cui possa evincersi oggettivamente la sospettabilità sulla provenienza<br />

illecita 762 .<br />

Gli orientamenti di fondo (e contrapposti) in materia erano, prima della già citata<br />

decisione delle Sezioni Unite, i seguenti: un primo di essi sosteneva la non<br />

compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione, postulando la necessità<br />

di certezza in ordine alla provenienza delittuosa della cosa e, dunque, richiedendo il<br />

dolo diretto; un secondo, viceversa, sosteneva la configurabilità del dolo eventuale<br />

con riguardo a quel presupposto della condotta che, nel caso della ricettazione, è la<br />

provenienza delittuosa della cosa, riservando alla fattispecie di cui all’art. 712 le<br />

ipotesi di condotta colposa, ovvero nelle quali lo stato di dubbio non apparisse<br />

sufficiente ad integrare la forma del dolo eventuale in quanto, a fronte della<br />

rappresentazione della possibilità di provenienza illecita della cosa, l’agente non<br />

fosse stato nelle condizioni di poterla verificare, sicché non si sarebbe potuto parlare<br />

propriamente, in quest’ultimo caso, di “accettazione dell’illecito” 763 .<br />

762<br />

M. DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione, 2557.<br />

763<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2556 – 2557.<br />

Per quanto riguarda l’orientamento a favore della necessità del dolo diretto per la ricettazione, si<br />

richiamano, ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, 17 dicembre 1965, n. 3497, in C.E.D. Cass., n. 100332;<br />

Cass. Pen., Sez. II, 11 ottobre 1979, n. 5794, in C.E.D. Cass., n. 145220; Cass. Pen., Sez. II, 28<br />

162


Il primo orientamento citato, in particolare, tendeva ad evidenziare una<br />

differenziazione fra ricettazione ed incauto acquisto basata essenzialmente sul livello<br />

soggettivo, sostenendo che la prima dovesse essere individuata solamente nella<br />

condotta di chi avesse agito avendo la certezza circa la provenienza delittuosa della<br />

cosa; mentre la seconda avrebbe dovuto essere inquadrata nelle ipotesi in cui fosse<br />

sussistente il mero sospetto circa detta provenienza illecita 764 .<br />

Il secondo, d’altra parte, prendeva le mosse dall’analisi del tenore letterale delle<br />

norme relative ai reati in questione, osservando che l’art. 712 faccia riferimento non<br />

già alle “ipotesi di sospetto”, bensì ai casi in cui “si abbia motivo di sospettare” la<br />

provenienza da reato: di conseguenza, la norma dovrebbe mirare a punire il<br />

comportamento di chi, avendo “motivo di sospettare”, abbia realizzato la condotta<br />

tipica omettendo di verificare la liceità o illiceità della provenienza della cosa e,<br />

dunque, agendo con mancanza di diligenza (e per ciò, chiaramente, con colpa). Per<br />

converso, l’art. 648 non dovrebbe escludere la configurabilità del dolo nella forma<br />

eventuale, posto che da esso non possa evincersi alcuna indicazione riguardo alla<br />

necessità di certezza assoluta sulla provenienza illecita della cosa. Si osserva, nello<br />

specifico, che “ponendo a raffronto il testuale tenore delle due norme incriminatrici<br />

non emerge affatto che il dolo di ricettazione non possa sussistere se non quando vi<br />

sia la soggettiva certezza dell’illecita provenienza della res, per cui mancando questa<br />

si verterebbe automaticamente nella minore e diversa ipotesi di cui all’art. 712 c.p.”;<br />

si rileva, di conseguenza, che la contravvenzione di “incauto acquisto” punisca “non<br />

chi ha acquistato o ricevuto cose di cui ‘sospetti’ la provenienza da reato, ma chi<br />

ottobre 1983, n. 2834, in C.E.D. Cass., n. 163369; Cass. Pen., Sez. II, 14 maggio 1991, n. 9271, in<br />

C.E.D. Cass., n. 187933; Cass. Pen., Sez. II, 20 giugno 1996, n. 8072, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen.,<br />

Sez. II, 7 aprile 2004, n. 18034, in dejure.giuffre.it (“il discrimine tra il delitto di ricettazione e la<br />

contravvenzione di incauto acquisto è dato esclusivamente dall’elemento intenzionale, nel senso che<br />

nel primo l’agente è pienamente consapevole della provenienza illecita della res, mentre nella<br />

seconda non ne accerta colposamente la legittimità della provenienza); Cass. Pen., Sez. IV, 12<br />

dicembre 2006, n. 4170, in dejure.giuffre.it (ove si richiede che, ai fini della sussistenza dell’elemento<br />

psicologico del reato di cui all’art. 648, “i sospetti sulla legittimità della provenienza della res ricevuta<br />

siano così gravi ed univoci da ingenerare, in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e<br />

secondo la più comune esperienza, la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente<br />

detenute da chi le offre”).<br />

Circa l’orientamento a favore della configurabilità del dolo eventuale di ricettazione, ex plurimis,<br />

si rilevano Cass. Pen., Sez. II, 21 dicembre 1981, n. 4376, in C.E.D. Cass., n. 153436; Cass. Pen.,<br />

Sez. II, 24 marzo 1988, n. 129, in C.E.D. Cass., n. 180084; Cass. Pen., Sez. II, 7 dicembre 1995, n.<br />

2311, in dejure.giuffre.it (“il reato di ricettazione non richiede, per la sua configurazione, la conoscenza<br />

precisa e completa del delitto presupposto, essendo sufficiente ad integrarne l’elemento soggettivo la<br />

consapevolezza, anche non assoluta, da parte dell’agente, di acquistare cose di provenienza illecita”);<br />

Cass. Pen., Sez. II, 21 febbraio 1997, n. 3306, in dejure.giuffre.it (ove si specifica che il dolo eventuale<br />

possa rientrare fra gli atteggiamenti psicologici propri del delitto di ricettazione); Cass. Pen., Sez. II, 12<br />

febbraio 1998, n. 3783, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. II, 17 maggio 2006, n. 30651, in<br />

dejure.giuffre.it (“in tema di ricettazione, la consapevolezza della provenienza illecita della res da parte<br />

del soggetto agente deve ritenersi sussistente anche quando nella mente di costui si sia affacciato il<br />

dubbio della provenienza delittuosa e, nonostante ciò, egli abbia agito accettandone il rischio”); Cass.<br />

Pen., Sez. II, 17 dicembre 2008, n. 2807, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. II, 18 febbraio 2009, n.<br />

13358, in dejure.giuffre.it (“del tutto compatibile con il reato di ricettazione è il dolo eventuale allorché,<br />

come nella specie, l’agente acquisti una cosa pur apparendo concreti e gravi motivi per dubitare della<br />

liceità della provenienza di essa’).<br />

764 Lo si ricava da Cass. Pen., Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, in dejure.giuffre.it ove, tuttavia,<br />

tale criterio è esposto a titolo descrittivo, ma non è condiviso: viene affermato, infatti, l’orientamento<br />

opposto, a sostegno della configurabilità del dolo eventuale di ricettazione.<br />

163


quelle cose ha acquistato o ricevuto quando ‘si abbia motivo di sospettare’ la<br />

suddetta provenienza” 765 . In tempi recenti, tale assetto è stato riaffermato e meglio<br />

precisato mediante il criterio dell’“accettazione del rischio”: si ammette la<br />

configurabilità del dolo eventuale di ricettazione laddove l’agente abbia posto in<br />

essere la condotta tipica prevista dall’art. 648 accettando il rischio della provenienza<br />

illecita della res, seppur in mancanza di certezza assoluta in ordine a detta<br />

provenienza 766 ; altre volte, si è richiamato un criterio basato sul concetto di<br />

“indifferenza”, con identificazione del dolo eventuale di ricettazione qualora l’agente,<br />

essendosi posto il quesito circa la legittimità della provenienza della cosa, lo abbia<br />

risolto, appunto, nel senso dell’“indifferenza”, mentre si verserebbe nella fattispecie di<br />

“incauto acquisto” allorquando l’agente abbia realizzato la condotta non ponendosi<br />

alcun problema benché fossero sussistenti oggettivi motivi di sospetto e, dunque,<br />

comportandosi con connotati propriamente colposi 767 .<br />

In alcuni casi, inoltre, si è configurata un’impostazione la quale valorizza<br />

significativamente la componente del “dubbio”: in un’ipotesi di ricettazione di assegni<br />

rubati, il “dubbio” viene quasi fatto assurgere ad elemento di per sé sufficiente a<br />

fondare il dolo eventuale (nonostante si concluda poi, nel caso di specie, per<br />

l’insussistenza del dolo eventuale, in forza della valutazione della “buona fede”<br />

dell’agente) 768 : tale assetto è stato criticato da parte della dottrina, la quale ha<br />

evidenziato l’inidoneità del riferimento al “dubbio” tout court a fondare il criterio<br />

discretivo fra dolo eventuale e colpa cosciente; piuttosto – si sostiene – si dovrebbe<br />

associare il dolo eventuale ad un “dubbio” accompagnato da una “riflessione”, da una<br />

“valutazione” sulla situazione di incertezza, effettuata da parte dell’agente con<br />

coscienza e razionalità 769 .<br />

Resta da analizzare quando, nei casi concreti, la giurisprudenza a sostegno<br />

dell’ultimo orientamento citato (quello a favore della configurabilità del dolo eventuale<br />

di ricettazione) abbia ritenuto sussistente, in mancanza dell’assoluta certezza circa la<br />

provenienza delittuosa della cosa, uno stato psicologico sufficiente ad integrare il<br />

dolo eventuale: ciò è avvenuto, ad esempio, con riguardo alla condotta del soggetto<br />

che avesse omesso di dare indicazioni sulla disponibilità di un ciclomotore sprovvisto<br />

di documento di circolazione 770 ; ovvero, con riferimento ad una ipotesi di ricezione di<br />

765<br />

Cass. Pen., Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, in dejure.giuffre.it<br />

766<br />

Cass. Pen., Sez. II, 17 dicembre 2008, n. 2807, in dejure.giuffre.it; Cass. Pen., Sez. II, 2<br />

aprile 2009, n. 17813, in dejure.giuffre.it<br />

767<br />

Cass. Pen., Sez. II, 22 novembre 2007, n. 45256, in dejure.giuffre.it, in accoglimento<br />

dell’impostazione prospettata dai giudici di secondo grado; Cass. Pen., Sez. II, 15 gennaio 2001, n.<br />

14170, in dejure.giuffre.it<br />

768<br />

Pretura Terni, Sez. V, 19 marzo 1999, in Giur. merito, 2000, 2, 385; in nota a tale pronuncia,<br />

S. D’ARMA, Sull’accertamento del dolo eventuale in un’ipotesi di ricettazione di assegni rubati, in<br />

Giur. merito, 2000, 2, 388. Nel caso di specie, la Pretura di Terni afferma la compatibilità del dolo<br />

eventuale con il delitto di ricettazione giungendo, tuttavia, ad escluderne la sussistenza nell’ipotesi<br />

concreta; in particolare, viene valutata la “buona fede” dell’agente in base ad aspetti quali i seguenti: il<br />

fatto che gli assegni fossero già compilati al momento in cui l’imputato li ricevette; il fatto che<br />

l’imputato avesse ricevuto gli assegni in un luogo in cui è notorio vengano smerciati titoli di credito<br />

(una bisca, nello specifico); la circostanza per cui l’imputato aveva ricevuto i titoli da un operatore di<br />

commercio; il fatto che i titoli fossero stati smerciati dall’imputato a persone che lo conoscevano; il<br />

post factum che vede l’imputato risarcire i prenditori del danno da essi subito (tali rilievi sono effettuati<br />

da S. D’ARMA, op. cit., 391 – 392).<br />

769<br />

S. D’ARMA, op. loc. cit.<br />

770<br />

Cass. Pen., Sez. II, 17 dicembre 2008, n. 2807, in dejure.giuffre.it<br />

164


un assegno bancario provento di furto, in considerazione dell’astrusità della tesi<br />

difensiva conformemente alla quale l’imputato avesse ricevuto l’assegno stesso da<br />

un suo fornitore di droga, che aveva indicato “non meglio precisate” difficoltà a<br />

presentare personalmente il titolo in banca (si sostiene che, anche dando accredito a<br />

tale tesi, sarebbe comunque emersa una consapevolezza in ordine alla provenienza<br />

illecita dell’assegno) 771 ; ancora, si è affermato il dolo di ricettazione, quantomeno<br />

nella forma eventuale, in relazione alla condotta dell’imputata che aveva ricevuto da<br />

parte del proprio datore di lavoro un’autovettura rubata, essendo essa a conoscenza<br />

del fatto che il datore di lavoro stesso fosse dedito a traffico illecito di automobili,<br />

ritenendosi irrilevante la tesi difensiva per la quale il rapporto di fiducia intercorrente<br />

tra l’imputata e il datore di lavoro avrebbe dovuto comportare che la prima mai si<br />

sarebbe aspettata di ricevere dal secondo un’autovettura di provenienza illecita 772 ;<br />

altresì, con riguardo all’ipotesi di ricettazione di un assegno, si è fatto leva sulla<br />

situazione caratterizzata dall’assenza di girata del soggetto all’ordine del quale<br />

figurava l’assegno stesso, considerata come sintomo inequivoco dell’illecita<br />

provenienza, nonché come elemento evincibile ictu oculi da qualsiasi soggetto di<br />

media esperienza e diligenza 773 .<br />

Sempre con riguardo all’orientamento che accoglie la compatibilità del dolo<br />

eventuale con il delitto di ricettazione, alcune puntualizzazioni potrebbero rendersi<br />

necessarie in considerazione del fatto che la ricettazione configuri una fattispecie con<br />

dolo specifico, dato dal “fine di procurare a sé o ad altri profitto”. La giurisprudenza di<br />

legittimità, a tale proposito, ha specificato che detto aspetto non dovrebbe ostare alla<br />

possibilità di inquadrare un dolo eventuale di ricettazione, essendo il presupposto<br />

della “provenienza delittuosa” della cosa indipendente rispetto al fine di trarre<br />

profitto 774 : questo assetto sembra accogliere l’impostazione dottrinale<br />

conformemente alla quale, nell’ambito delle fattispecie a dolo specifico, può<br />

configurarsi il dolo eventuale, purché esso ricada su aspetti del fatto tipico che non<br />

siano condizione necessaria per la realizzazione del fine indicato dal dolo<br />

specifico 775 .<br />

Fra i due orientamenti di cui si è trattato, a parere di chi scrive appare<br />

maggiormente condivisibile quello a sostegno della compatibilità fra dolo eventuale e<br />

ricettazione: nello specifico, sembra essere dotato di maggior coerenza il raffronto fra<br />

i dati letterali ricavabili, rispettivamente, dagli artt. 648 e 712. Tuttavia, in<br />

considerazione dei casi concreti nei quali detto orientamento ha ravvisato la<br />

sussistenza del dolo eventuale di ricettazione, non può sfuggire il rischio, osservato<br />

da parte della dottrina, di “appiattimento” della prova del dolo sulla sola<br />

considerazione dell’intensità dei fattori oggettivi dai quali emergesse il sospetto sulla<br />

provenienza illecita della res: il che darebbe adito a presunzioni di dolo 776 . Del resto,<br />

non sembra potersi accogliere neppure l’identificazione del parallelismo fra<br />

“ricettazione” e “mero sospetto”: in effetti, è vero che l’art. 712 richiede la sussistenza<br />

dell’“oggettiva sospettabilità” della provenienza illecita della cosa; ma è anche vero<br />

che esso non esclude espressamente che tale “oggettiva sospettabilità” abbia dato<br />

771 Cass. Pen., Sez. II, 22 novembre 2007, n. 45256, in dejure.giuffre.it<br />

772 Cass. Pen., Sez. II, 17 maggio 2006, n. 30651, in dejure.giuffre.it<br />

773 Cass. Pen., Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, in dejure.giuffre.it<br />

774 Cass. Pen., Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, in dejure.giuffre.it<br />

775 S. PROSDOCIMI, Dolus eventualis, 174.<br />

776 M. DONINI, op. ult. cit., 2557.<br />

165


luogo ad un “sospetto” a livello soggettivo 777 . Entrambi gli orientamenti presentano,<br />

dunque, punti critici, e la soluzione del contrasto giurisprudenziale da parte delle<br />

Sezioni Unite appariva senz’altro necessaria.<br />

3.2. La decisione delle Sezioni Unite (Cass. Pen., Sez. Un., ud. 26 novembre<br />

2009, dep. 30 marzo 2010, n. 12433)<br />

Il caso concreto che ha condotto alla sentenza in questione vedeva l’imputato<br />

accusato di ricettazione di una Viacard: nello specifico, egli aveva utilizzato tale<br />

Viacard dopo che essa era stata ritirata dall’operatore per essere stata rigenerata ed<br />

utilizzata indebitamente; l’imputato sosteneva di aver acquistato la tessera da uno<br />

sconosciuto, che gliela aveva venduta presso un’area di servizio, adducendo di<br />

essere rimasto senza benzina e con poco denaro. In entrambi i gradi del giudizio di<br />

merito, l’imputato veniva ritenuto responsabile per ricettazione sorretta da dolo<br />

eventuale, sulla base del rilievo che le circostanze di fatto alla luce delle quali era<br />

avvenuto l’acquisto dimostrassero la sussistenza di tale tipologia di elemento<br />

soggettivo, nonché in base all’osservazione per cui “la mancata giustificazione del<br />

possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della<br />

sua illecita provenienza” 778 .<br />

Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso la difesa dell’imputato:<br />

da un lato, si evidenziava che le circostanze le quali avevano caratterizzato l’atto<br />

dell’acquisto non fossero tali da far ritenere la provenienza illecita dell’oggetto<br />

dell’acquisto stesso; dall’altro, si evidenziava che l’impostazione per cui la mancata<br />

giustificazione del possesso della cosa di provenienza illecita equivalga alla prova<br />

della conoscenza di detta provenienza sarebbe indebita, e comporterebbe una<br />

inversione dell’onere della prova 779 .<br />

Interessante risulta anche l’ordinanza tramite la quale il ricorso veniva rimesso<br />

alle Sezioni Unite: essa evidenzia, in primo luogo, la sussistenza del contrasto<br />

giurisprudenziale, ripercorrendo in sintesi gli orientamenti contrapposti di cui si è già<br />

trattato 780 ; inoltre, si pone l’accento sull’ulteriore aspetto potenzialmente<br />

problematico, dovuto al fatto che la categoria del dolo eventuale sia stata sviluppata<br />

principalmente con riguardo ai reati di evento e, dunque, con riferimento<br />

all’atteggiamento psicologico dell’agente nei confronti, appunto, dell’evento, mentre<br />

nel caso della ricettazione si tratterebbe di valutare l’atteggiamento soggettivo<br />

dell’agente con riguardo ad un presupposto della condotta 781 ; infine, viene<br />

evidenziata la mancanza di sufficiente approfondimento dei rapporti tra ricettazione<br />

ed incauto acquisto, e la mancata definizione degli aspetti in base ai quali,<br />

conformemente all’orientamento a favore della compatibilità fra dolo eventuale e<br />

777 Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2552.<br />

778 Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2548 – 2549.<br />

779 Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2549.<br />

780 Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2549.<br />

781 Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2549 – 2550.<br />

166


icettazione, il dubbio sul reato presupposto (che dovrebbe essere sufficiente ad<br />

integrare il dolo eventuale di ricettazione) si distinguerebbe dal “sospetto”<br />

caratteristico del reato di incauto acquisto. In relazione a quest’ultimo punto – si<br />

prosegue – risulterebbe particolarmente evidente l’inidoneità del criterio<br />

dell’accettazione del rischio, adottato principalmente nell’ambito dei reati di evento:<br />

sarebbe, in effetti, difficile sostenere che solo in un caso, e non nell’altro, l’agente<br />

abbia accettato il rischio di provenienza illecita della cosa 782 .<br />

Fermo restando tali premesse, le osservazioni di diritto effettuate dalle Sezioni<br />

Unite prendono le mosse dalla valutazione della circostanza per cui, nel caso della<br />

ricettazione, si debba considerare l’atteggiamento soggettivo dell’agente con<br />

riferimento ad un presupposto della condotta: si specifica che tale problematica sia<br />

agevolmente risolvibile tramite la concezione dell’oggetto del dolo come<br />

comprendente l’intero fatto tipico e, dunque, non solo condotta ed evento, bensì<br />

anche i presupposti della condotta 783 . Si sottolinea, inoltre, che il contrasto<br />

giurisprudenziale non riguardi, comunque, tali aspetti, bensì quelli inerenti i rapporti<br />

tra ricettazione ed incauto acquisto 784 .<br />

Effettuata tale precisazione, le Sezioni Unite passano all’analisi degli aspetti<br />

focali della questione, evidenziando che entrambi gli orientamenti che caratterizzano<br />

il contrasto giurisprudenziale ad esse devoluto presentino punti critici non<br />

condivisibili: l’orientamento a favore della compatibilità fra dolo eventuale e<br />

ricettazione, individuando il dolo di ricettazione in forma eventuale nel caso in cui<br />

l’agente abbia realizzato la condotta tipica versando in “dubbio” circa la provenienza<br />

illecita della cosa, condurrebbe ad espungere dalla sfera dell’art. 712 qualsiasi caso<br />

in cui, appunto, la condotta fosse stata realizzata in presenza di un “mero sospetto”;<br />

del resto, sulla stessa linea, si osserva che l’art. 712 richieda espressamente, ai fini<br />

dell’integrazione della fattispecie da esso dettata, la sussistenza di una<br />

“sospettabilità oggettiva”, ma non escluda espressamente che tale “sospettabilità”<br />

abbia dato luogo ad un “sospetto soggettivo” 785 ; l’orientamento a favore della<br />

necessità, ai fini del dolo di ricettazione, del dolo diretto, del resto, ricadrebbe<br />

nell’estremo opposto, consistente nel dilatare in modo eccessivo la sfera di<br />

applicazione dell’art. 712, riconducendo ad essa tutte le ipotesi in cui l’agente<br />

versasse in uno stato psicologico rispetto alla provenienza illecita della cosa che, pur<br />

non configurandosi come certezza, si fosse caratterizzato per una intensità maggiore<br />

rispetto al “mero sospetto”. A partire da quest’ultima considerazione, si osserva che,<br />

fra ricettazione ed incauto acquisto, intercorra una differenziazione di carattere<br />

strutturale, non limitata solamente all’elemento soggettivo: la ricettazione, infatti,<br />

intenderebbe punire l’acquisto di cose di provenienza illecita e, dunque, dovrebbe<br />

richiedere un elemento soggettivo che abbia ad oggetto (anche) il reato presupposto;<br />

782<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2550.<br />

783<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2550: “l’atteggiamento psicologico nel quale si fa consistere il dolo eventuale ben può<br />

riguardare i presupposti del reato, anche se si tratta di un atteggiamento che in questo caso si riferisce<br />

ad una situazione sussistente al momento dell’azione mentre, quando ha ad oggetto l’evento, si<br />

riferisce ad una situazione futura, che potrà derivare dalla condotta dell’agente”.<br />

784<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2550.<br />

785<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2552.<br />

167


viceversa, l’art. 712 non intenderebbe punire l’acquisto di cose di provenienza illecita,<br />

bensì l’effettuazione di un acquisto “incauto”, con omissione della verifica della<br />

provenienza illecita della cosa, qualora fossero sussistenti oggettivi motivi di<br />

sospetto; sicché, in tale secondo caso, la struttura del reato comprenderebbe non<br />

l’effettiva provenienza illecita della cosa, bensì la sussistenza di oggettivi motivi di<br />

sospetto, e ciò che si rimprovererebbe all’agente non sarebbe l’acquisto o la<br />

ricezione di cose di provenienza illecita, bensì l’acquisto o la ricezione di cose<br />

rispetto alla liceità della provenienza delle quali fossero sussistenti oggettivi motivi di<br />

sospetto, nel caso in cui non fossero stati compiuti gli opportuni accertamenti.<br />

L’ulteriore conseguenza dovrebbe essere la considerazione per cui l’elemento<br />

soggettivo della contravvenzione di incauto acquisto non debba riguardare la<br />

provenienza illecita delle cose 786 .<br />

Compiuti tali rilievi, la Corte giunge alle conclusioni inerenti la configurazione<br />

dell’elemento soggettivo con riguardo ai reati di ricettazione ed incauto acquisto. In<br />

primo luogo, si afferma l’ammissibilità del dolo eventuale di ricettazione; si aggiunge,<br />

altresì, che la situazione di “mero sospetto” sia compatibile con l’incauto acquisto: da<br />

qui la necessità di individuare un criterio idoneo a distinguere, appunto, il “mero<br />

sospetto” compatibile con (ma non indispensabile per) l’incauto acquisto rispetto al<br />

dolo eventuale di ricettazione. E si perviene all’affermazione per cui il dolo eventuale<br />

di ricettazione possa dirsi integrato qualora l’agente realizzi la condotta versando in<br />

uno stato psicologico che, pur non attingendo la certezza circa la provenienza illecita<br />

della cosa, si collochi ad un gradino superiore rispetto al “mero sospetto”; l’agente, in<br />

particolare, dovrà essersi rappresentato la concreta possibilità di provenienza illecita<br />

della cosa, sulla base di dati di fatto inequivoci, e dovrà essersi determinato ad agire<br />

comunque, attraverso una scelta consapevole tra non agire ed agire accettando, in<br />

tale seconda ipotesi, l’eventualità di acquisto o ricezione di cosa di illecita<br />

provenienza. L’assetto viene poi specificato attraverso il richiamo della prima formula<br />

di Frank (seppur con costruzione “in negativo” 787 ): si sostiene che il dolo eventuale di<br />

ricettazione possa dirsi sussistenze qualora si riesca a dimostrare qualcosa<br />

corrispondente al fatto che l’agente non avrebbe agito diversamente se avesse avuto<br />

la certezza della provenienza illecita della cosa 788 .<br />

Il “mero sospetto”, di conseguenza, potrà inquadrare solamente la fattispecie di<br />

incauto acquisto indicando, al limite, la colpa cosciente. Il che significa,<br />

implicitamente, che il dubbio sul presupposto non è, automaticamente, dolo<br />

eventuale, anche se non risolto in modo convincente; ed è, dunque, compatibile con<br />

la colpa. Ai fini della colpa cosciente, quindi, non è indispensabile il superamento del<br />

dubbio in senso positivo: è ben possibile, al contrario, che il soggetto, a fronte dello<br />

stato di “mero dubbio”, agisca non essendo persuaso che l’evento si verificherà,<br />

ovvero nel non convincimento della sussistenza di un determinato elemento della<br />

fattispecie o, ancora, rimuovendo il problema per superficialità, spavalderia,<br />

786<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2553.<br />

787<br />

Così evidenzia M. DONINI, op. ult. cit., 2561. Del resto – prosegue l’Autore – la declinazione<br />

“in negativo” equivale, a livello sostanziale, a quella “in positivo”: “non avrebbe agito diversamente” =<br />

“avrebbe agito ugualmente”.<br />

788<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in Cass. pen.,<br />

2010, 7 – 8, 2554.<br />

168


sufficienza, mancanza di esperienza, disattenzione; e questi ultimi identificano<br />

atteggiamenti propriamente colposi 789 .<br />

Qualora, poi, la sussistenza di “oggettivi motivi di sospetto” non abbia dato<br />

luogo al “sospetto soggettivo”, residuerà soltanto l’applicazione dell’art. 712 per colpa<br />

incosciente.<br />

Nel caso di specie, in base ai rilievi appena elencati, non vengono ritenuti<br />

integrati gli elementi in base ai quali avrebbe potuto configurarsi il dolo eventuale,<br />

sicché la sentenza oggetto di ricorso viene annullata con rinvio.<br />

Parte della dottrina, com’era prevedibile, si è cimentata nella valutazione di tale<br />

“terza via” 790 scelta dalle Sezioni Unite, interrogandosi relativamente a due aspetti: in<br />

primo luogo, ci si domanda se la ricostruzione soggettiva operata in questo frangente<br />

sia, intrinsecamente, condivisibile o meno; in secondo luogo, ci si è posti il problema<br />

inerente lo stabilire se detta ricostruzione debba considerarsi come limitata al delitto<br />

di ricettazione, ovvero possa essere generalizzabile 791 . Molto più semplicemente, gli<br />

interrogativi che si sono posti sono i seguenti: la “terza via” individuata dalle Sezioni<br />

Unite è, nella sua strutturazione interna, corretta? E, se lo è, potrebbe considerarsi<br />

come “soluzione di parte generale”?<br />

Quanto al primo interrogativo, si tratta di vagliare la validità dell’applicazione<br />

della prima formula di Frank: ragion per cui verteranno a favore della correttezza<br />

intrinseca della ricostruzione operata dalle Sezioni Unite gli argomenti a favore di tale<br />

formula, mentre deporranno a sfavore i limiti rilevati con riguardo al criterio probatorio<br />

proposto dal noto penalista tedesco (v. supra, Cap. II, par. 7). Da un lato, si osserva<br />

che la formula in questione, laddove la si intenda come identificativa<br />

dell’atteggiamento psicologico del soggetto che agisca “ad ogni costo”, dovrebbe<br />

individuare effettivamente l’essenza del dolo eventuale; dall’altro, se ne evidenzia la<br />

difficile praticabilità processuale, in quanto essa presupporrebbe l’effettuazione di un<br />

giudizio ipotetico: si tratterebbe, invero, di tentare di valutare quale sarebbe stato il<br />

comportamento dell’agente considerando ipoteticamente che egli avesse avuto la<br />

certezza di sussistenza del presupposto del reato. Ma ciò che importa, viceversa, è<br />

quello che l’agente abbia effettivamente deciso, e non quello che avrebbe deciso se,<br />

ipoteticamente, fosse versato nella certezza in ordine alla sussistenza del suddetto<br />

presupposto 792 . Si rileva che neppure ai fini del dolo intenzionale o diretto sia<br />

richiesto tanto: di conseguenza, ci si domanda se la prima formula di Frank non<br />

richieda “troppo”, evidenziando anche come in varie situazioni della vita, spesso, i<br />

soggetti non avrebbero, a posteriori, effettuato nuovamente determinate scelte<br />

intenzionali 793 . Si conclude, dunque, che l’esito negativo dell’applicazione della prima<br />

formula di Frank non possa essere considerato come decisivo ai fini dell’esclusione<br />

del dolo: tale formula dovrebbe essere uno dei vari strumenti da utilizzare ai fini del<br />

giudizio sull’elemento soggettivo, ma non l’unico ed esclusivo, nonché decisivo 794 .<br />

789<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2566.<br />

790<br />

Utilizza questa terminologia M. DONINI, op. ult. cit., 2558.<br />

791<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2561.<br />

792<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2569.<br />

793<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2570.<br />

794<br />

M. DONINI, op. loc. ult. cit. L’Autore, inoltre, evidenzia che non possano risultare praticabili<br />

ed assiologicamente indiscutibili, se di per sé e da sole considerate, le formule dell’“accettazione del<br />

rischio” e dell’ “accettazione dell’evento”.<br />

169


Quanto alla questione relativa alla portata generale o speciale dell’assetto<br />

delineato dalla sentenza in esame, occorre prendere atto del dato per cui le stesse<br />

Sezioni Unite appaiano propendere per la seconda soluzione, laddove specificano<br />

che il dolo eventuale possa assumere “caratteristiche specifiche” per “particolari<br />

reati” 795 . Astrattamente, per “portata speciale” avrebbe potuto intendersi una portata<br />

limitata ai casi in cui l’atteggiamento soggettivo dell’agente debba essere analizzato<br />

con riguardo ai presupposti della condotta: la sentenza in esame sembra, invece,<br />

voler circoscrivere ancora di più la riferibilità della ricostruzione operata, limitandola<br />

alle sole questioni inerenti ricettazione ed incauto acquisto. Sennonché, si è<br />

osservato come, logicamente, dovrebbe propendersi, anzitutto, quantomeno per una<br />

generalizzazione a livello di fattispecie “contigue” rispetto alla ricettazione quali, ad<br />

esempio, riciclaggio (art. 648 – bis) e reimpiego (art. 648 – ter) 796 . Tuttavia, si è<br />

concluso che la generalizzazione dovrebbe applicarsi anche rispetto ad ulteriori<br />

fattispecie nell’ambito delle quali l’elemento soggettivo debba valutarsi con<br />

riferimento a presupposti della condotta, nonché ai casi in cui l’elemento soggettivo si<br />

riferisca alle conseguenze della condotta: infatti, non si comprenderebbe per quale<br />

motivo, con riferimento al reato di ricettazione (ovvero a quelli ad esso contigui),<br />

dovrebbero indicarsi requisiti più stringenti ai fini dell’inquadramento del dolo; sulla<br />

stessa linea, non si vede per quale motivo dovrebbe richiedersi maggior rigore, ai fini<br />

del dolo, con solo riguardo ai presupposti della condotta. Emblematici sono, in tal<br />

senso, gli interrogativi che parte della dottrina si è posta, chiaramente in senso<br />

retorico: “perché rispetto ai presupposti della condotta (o a quelli che rilevano nell’art.<br />

648 c.p., ma altrettanto nell’art. 648 – bis, o negli artt. 624, 378, 379 c.p.) si dovrebbe<br />

adottare una formula così impegnativa e comunque una nozione forte di dolo come<br />

volontà, e rispetto alla causazione dell’evento, per es. dell’evento – morte, no?”;<br />

“perché ‘più garanzie’ rispetto a un elemento del fatto di reato oggetto di<br />

rappresentazione, e meno garanzie rispetto a un elemento non meno decisivo e<br />

riguardante fattispecie anche più gravi, e oggetto di volontà?” 797 .<br />

Peraltro, si evidenzia che, in effetti, i presupposti della condotta non pongano<br />

specifici problemi per il dolo eventuale: è vero che essi attengono al solo momento<br />

rappresentativo, mentre il dolo attiene, principalmente al momento volitivo; ma è<br />

anche vero che il momento volitivo non viene meno nel caso dei reati “costruiti” su<br />

presupposti della condotta; si tratta, se mai, di ammettere che le difficoltà di prova<br />

della rappresentazione dei presupposti della condotta possano condizionare la prova<br />

della volontà in senso stretto 798 . Si conclude, dunque, che l’indagine sul dolo debba<br />

considerare il rapporto della condotta rispetto a tutti gli elementi del fatto tipico,<br />

compresi i presupposti, fermo restando che essi non rivestano, comunque, un ruolo<br />

esclusivo: infatti, la carenza di rappresentazione di un qualsiasi elemento del fatto<br />

tipico rende incompleto l’elemento soggettivo (sotto il profilo del dolo, ovviamente) 799 .<br />

Sulla stessa linea, si può concludere che “il dubbio sull’oggetto della condotta o<br />

sull’evento partecipa delle stesse regole di ‘imputazione soggettiva’ del dubbio sui<br />

presupposti del fatto”, mentre “ciò che cambia è il ‘materiale probatorio’ da cui<br />

795 M. DONINI, op. ult. cit., 2561.<br />

796 M. DONINI, op. loc. ult. cit.<br />

797 M. DONINI, op. ult. cit., 2563.<br />

798 M. DONINI, op. loc. ult. cit.<br />

799 M. DONINI, op. ult. cit., 2565.<br />

170


desumere indizi, più ampio in caso di evento” 800 . Uno dei pregi comunemente<br />

riconosciuti alla prima formula di Frank è, appunto, l’applicabilità di essa<br />

indistintamente a qualsiasi elemento del fatto tipico: condotta, evento e presupposti.<br />

Si dovrebbe, dunque, convenire nel senso che la decisione in questione, seppur non<br />

affermi espressamente il proprio carattere generalizzabile (anzi, sembrerebbe<br />

deporre espressamente in senso contrario), contenga una “premessa<br />

generalizzabile” 801 : non si tratta, invero, di una distinzione fra ricettazione ed incauto<br />

acquisto, bensì di una distinzione fra dolo (eventuale) e colpa; e, in tal senso, la<br />

questione non può dirsi di parte speciale, ma sarà necessariamente di parte<br />

generale; probabilmente, l’ambito inerente la distinzione fra ricettazione ed incauto<br />

acquisto si è posto come ideale “banco di prova” al fine della valutazione<br />

dell’applicabilità di un criterio più rigoroso, trattandosi di un ambito caratterizzato da<br />

particolare difficoltà in forza del fatto che l’elemento soggettivo debba essere<br />

indagato con riferimento ad un presupposto della condotta, e non con riferimento<br />

all’evento 802 .<br />

Il discorso sulla portata generale dell’assetto delineato dalle Sezioni Unite deve,<br />

tuttavia, essere coordinato con le osservazioni sopra effettuate circa la praticabilità<br />

processuale della prima formula di Frank: essa deve essere non già uno strumento<br />

esclusivo, bensì uno dei vari strumenti probatori, al fine di dimostrare “qualcosa<br />

corrispondente al fatto che” l’agente avrebbe ugualmente realizzato la condotta se<br />

avesse avuto la certezza di sussistenza del presupposto 803 .<br />

4. Lancio di sassi da cavalcavia<br />

Vi sono determinati casi concreti per i quali se, da un lato, il forte allarme<br />

pubblico suscitato e l’estrema pericolosità del tipo di condotta che li caratterizza<br />

depongono a favore dell’individuazione del dolo in un’ottica generalpreventiva,<br />

dall’altro, ad un’analisi approfondita, può risultare non privo di ostacoli<br />

l’inquadramento di una vera e propria componente volitiva, alla luce della<br />

“dissennatezza” del tipo di comportamento adottato dai soggetti agenti: si tratta, ad<br />

esempio, degli episodi di lancio di sassi da cavalcavia, catalogati da parte della<br />

dottrina come, appunto, “dissennatezze”, “giochi tragicamente demenziali” 804 o casi<br />

in cui la produzione del rischio non rappresenta un mezzo, bensì, di per sé stessa, il<br />

“fine” 805 .<br />

La soluzione accolta dalla giurisprudenza dominante è molto forte: addirittura<br />

dolo diretto, e non semplicemente eventuale, per i reati derivanti dal tipo di condotta<br />

in questione (principalmente omicidio o tentato omicidio). Così, ad esempio, nel<br />

800<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2566.<br />

801<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2571.<br />

802<br />

In tal senso sembra esprimersi M. DONINI, op. ult. cit., 2566.<br />

803<br />

M. DONINI, op. ult. cit., 2570.<br />

804<br />

Questa la terminologia utilizzata da F. CURI, op. cit., 232.<br />

805<br />

In tal senso, L. EUSEBI, Appunti, 1097. L’Autore, come si vedrà, giunge a sostenere che, in<br />

fattispecie concrete nelle quali la produzione del rischio non sia il mezzo, bensì il fine, non risulti<br />

condivisibile la configurazione del dolo diretto o eventuale; secondo l’Autore dovrebbe, addirittura,<br />

propendersi per l’esclusione dell’imputabilità, non essendo ravvisabile in casi di tale genere una vera e<br />

propria prospettiva finalistica (ivi, 1098).<br />

171


1996, i giudici di legittimità confermavano l’assetto prospettato dai giudici di merito di<br />

primo grado i quali avevano indicato la responsabilità, in capo agli imputati, per<br />

omicidio doloso, nonché per tentato omicidio, sorretto da dolo diretto, a danno di<br />

utenti della strada nei confronti dei quali l’evento “morte” non si fosse realizzato;<br />

parallelamente, la Cassazione respingeva la ricostruzione operata dai giudici di<br />

appello i quali, pur avendo confermato l’addebito, avevano descritto l’elemento<br />

soggettivo come dolo eventuale, ritenendo che gli agenti avessero realizzato la<br />

condotta alla luce di uno scopo preponderante consistente nello “sperimentare un<br />

folle divertimento”, mentre l’eventualità di colpire automobili transitanti e/o provocare<br />

la morte dei relativi occupanti sarebbe rimasta, nella prospettiva psicologica degli<br />

agenti stessi, nell’ambito di una sfera “secondaria” 806 . L’argomentazione adottata dai<br />

giudici di legittimità prende le mosse dalla considerazione per cui in primo grado<br />

fosse stato affermato il dolo diretto non intenzionale, in considerazione della<br />

percezione dell’elevata probabilità, prossima alla certezza, della realizzazione<br />

dell’evento lesivo per l’ipotesi in cui i “bersagli” fossero stati attinti; elevata probabilità<br />

a sua volta evincibile dalla dimensione delle pietre lanciate, dalla velocità dei veicoli<br />

transitanti sull’autostrada “presa di mira”, dalla ricerca della “precisione del lanci” da<br />

parte degli imputati (i quali ambivano ad una sorta di “graduatoria di abilità”):<br />

elementi, questi, i quali rivelavano una piena accettazione non già del mero “rischio”,<br />

bensì dell’evento 807 . La sentenza di legittimità concorda con tale ricostruzione<br />

precisando, altresì, che la constatazione per cui lo scopo principale degli agenti fosse<br />

quello di sperimentare un “dissennato divertimento” – mentre la realizzazione della<br />

morte degli automobilisti sarebbe stata solamente un “pensiero secondario” –<br />

varrebbe unicamente ad escludere il dolo intenzionale, ma non ad affermare il dolo<br />

eventuale in luogo del dolo diretto non intenzionale: da qui il respingimento della<br />

conclusione dei giudici di secondo grado, i quali avevano deposto a favore<br />

dell’affermazione del dolo eventuale 808 .<br />

Una delle particolarità, tutt’altro che di secondo piano, del caso appena<br />

analizzato è data dal “lancio mirato” sui veicoli: aspetto che senz’altro depone a<br />

favore dell’affermazione del dolo diretto e del tentato omicidio a danno dei soggetti<br />

non concretamente attinti dalle pietre lanciate. Tuttavia, il tentato omicidio è stato<br />

affermato anche per ipotesi di lancio “a pioggia” (quindi, non mirato) sui veicoli<br />

transitanti. È possibile fare riferimento ad un caso specifico in cui l’imputato, giunto in<br />

ora notturna su un cavalcavia sovrastante un’autostrada, aveva scagliato da esso,<br />

con un unico gesto, un quantitativo di oggetti comprendente sassi, cocci di terracotta<br />

ed una pietra a spigoli vivi, mentre sopraggiungevano alcune vetture sulle corsie<br />

interessate dal lancio: i giudici di merito di secondo grado affermavano il tentato<br />

omicidio plurimo sorretto da dolo alternativo diretto, valutando che la condotta tenuta<br />

dall’imputato fosse indubbiamente diretta ad investire un ampio tratto di carreggiata,<br />

nonché idonea a provocare gravi turbative alla marcia dei veicoli, ovvero eventi lesivi<br />

di carattere letale; tali conseguenze (recare grave turbativa alla circolazione, ovvero<br />

porre in pericolo la vita degli utenti della strada, con esiti anche letali) erano state –<br />

secondo i giudici – certamente previste e perseguite in modo equivalente, seppur in<br />

806 La sentenza di riferimento è Cass. Pen., Sez. I, 3 luglio 1996, n. 7770, in dejure.giuffre.it.<br />

Osservazioni sul caso di specie sono effettuate anche da F. CURI, op. cit., 232 – 234.<br />

807 Cass. Pen., Sez. I, 3 luglio 1996, n. 7770, in dejure.giuffre.it<br />

808 Cass. Pen., Sez. I, 3 luglio 1996, n. 7770, in dejure.giuffre.it<br />

172


via alternativa 809 . Il ricorso proposto da parte della difesa dell’imputato sosteneva che<br />

avrebbe dovuto essere inquadrato, al più, il dolo eventuale, poiché erano stati<br />

utilizzati oggetti di minute dimensioni e il lancio non era stato effettuato con “presa di<br />

mira” dei veicoli: sicché l’evento “morte” avrebbe potuto presentarsi, nella psiche<br />

dell’imputato, al massimo come un mero “rischio”, dando luogo a dolo eventuale,<br />

incompatibile con il tentativo 810 . In punto di diritto, i giudici di legittimità respingono il<br />

ricorso, sostenendo che anche un lancio “non mirato”, bensì effettuato “a pioggia”<br />

sulla carreggiata, costituisca un elemento della condotta caratterizzato da una “non<br />

equivoca potenzialità offensiva” e idoneo “ad esprimere il fine perseguito<br />

dall’agente”; si evidenzia che tale conclusione sarebbe fondata anche qualora si<br />

volesse considerare non calcolato né prevedibile (ma, nel caso di specie, lo era<br />

stato) il transito di veicoli sulla carreggiata in coincidenza temporale con il lancio,<br />

posto che la presenza di oggetti del tipo di quelli che erano stati lanciati su una sede<br />

stradale interessata da rilevante traffico veicolare e, peraltro, in ora notturna, avrebbe<br />

certamente potuto recare grave turbativa alla circolazione delle autovetture, con esiti<br />

potenzialmente letali; in sintesi, si sostiene che anche la sola dispersione di materiale<br />

sulla carreggiata costituisca un elemento della condotta idoneo a provocare incidenti<br />

letali ed univocamente indicativo di una volontà in tale senso 811 .<br />

Altro fatto emblematico, verificatosi nel 2003, vedeva l’imputato ritenuto<br />

colpevole, in esito dei giudizi di merito, di tentato omicidio poiché aveva lanciato un<br />

sasso del diametro di 12 cm da un cavalcavia in direzione dell’autostrada<br />

sottostante, colpendo una vettura che transitava in coincidenza con il lancio; l’esito<br />

mortale non si era verificato per la pronta reazione della persona offesa, che era<br />

riuscita a controllare l’autovettura e ad arrestare la corsa 812 . In particolare, i giudici di<br />

appello sostenevano la configurazione di un dolo alternativo diretto, caratterizzato da<br />

una volontà indirizzata, indifferentemente, a provocare un esito letale ovvero un<br />

evento diverso; inoltre, ritenevano sussistenti i requisiti di idoneità ed univocità della<br />

direzione degli atti a provocare esiti letali, tenuto conto delle dimensioni del sasso,<br />

del fatto che dal punto del lancio non fosse possibile vedere le vetture che<br />

transitavano sull’autostrada sottostante (da qui l’infondatezza dell’affermazione<br />

dell’imputato per cui egli avrebbe, prima del lancio, verificato che non vi fossero<br />

veicoli transitanti), nonché dello sforzo, compiuto dall’imputato, di superare con il<br />

lancio la rete metallica posta proprio a protezione da atti del tipo di quello<br />

809 La ricostruzione dei giudici di appello si ricava dalla sentenza di legittimità sul caso di specie:<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 marzo 2003, n. 19897, in dejure.giuffre.it<br />

810 Cass. Pen., Sez. I, 25 marzo 2003, n. 19897, in dejure.giuffre.it<br />

811 Cass. Pen., Sez. I, 25 marzo 2003, n. 19897, in dejure.giuffre.it. Conformemente, Cass.<br />

Pen., Sez. I, 3 febbraio 2006, n. 18426, in dejure.giuffre.it, seppur relativamente ad un caso di lancio<br />

“mirato”: “le modalità […] dell’azione, alla luce della comune esperienza, sono […] sintomatiche della<br />

volontà di attentare all’integrità fisica, e finanche, seppur non in via esclusiva, alla vita<br />

dell’automobilista in transito, configurando un’ipotesi di dolo alternativo, compatibile con il tentativo.”<br />

Nel caso concreto a cui si riferisce la sentenza appena citata, la condotta si era connotata per un<br />

lancio “mirato” di cinque sassi, di peso compreso fra i 200 ed i 700 grammi, i quali avevano colpito il<br />

parabrezza ed il tettuccio di una vettura in transito, che procedeva ad una velocità tale per cui<br />

un’andatura superiore di soli 10 km/h, secondo la valutazione peritale, avrebbe prodotto un urto che<br />

avrebbe frantumato il parabrezza, con conseguente danno alla persona e perdita di controllo del<br />

veicolo da parte di essa.<br />

812 La ricostruzione del fatto e degli esiti dei giudizi di merito si ricava dalla sentenza di<br />

legittimità sul caso in questione: Cass. Pen., Sez. I, 25 gennaio 2005, n. 5436, in dejure.giuffre.it<br />

173


effettivamente realizzato 813 . La Corte di legittimità conferma l’assetto delineato dai<br />

giudici di merito, rigettando il ricorso della difesa, il quale non poteva fare altro che<br />

tentare di affidarsi a motivi quali l’irrazionalità del gesto e la particolare situazione<br />

psicologica dell’imputato, o alla circostanza (evidentemente irrilevante) per cui<br />

l’imputato non conoscesse la vittima: a rigetto di tali motivi, si osserva che l’omicidio<br />

sia un gesto di per sé irrazionale, non valutabile alla stregua di criteri – appunto –<br />

razionali; si aggiunge l’irrilevanza della circostanza per la quale l’imputato non<br />

conoscesse la vittima, in quanto il dolo sostenuto dai giudici di merito si configurava<br />

proprio come volontà di ledere indifferentemente una od altra persona 814 .<br />

Di diverso avviso, rispetto alla giurisprudenza sin qui analizzata, è quella parte<br />

di dottrina che considera il lancio di sassi da cavalcavia come “produzione fine a sé<br />

stessa di un rischio non consentito”. È il caso di fare riferimento, in particolare, alla<br />

concezione riconducibile, principalmente, a Luciano Eusebi, per cui l’individuazione<br />

di forme non intenzionali di dolo necessiterebbe sempre dell’individuazione di una<br />

intenzione (quest’ultima considerata come “prospettiva che dia causa alla condotta”)<br />

in vista della realizzazione della quale vi sia “disponibilità a pagare un prezzo” 815 : il<br />

lancio di sassi da cavalcavia mancherebbe, appunto, di detta prospettiva. Chi lancia<br />

sassi da cavalcavia – si sostiene – agirebbe con il solo fine, in sé e per sé<br />

considerato, di produzione di un rischio, e non con l’intento psicologico di<br />

danneggiare o ledere, né con l’intento di produrre altri eventi comunque diversi dalla<br />

produzione del rischio, di per sé stessa considerata 816 . Del resto, a conferma di ciò,<br />

si rileva che, ai fini della cessazione della condotta, nei casi in questione, non risulta<br />

decisivo l’essersi realizzato o meno di una delle possibili conseguenze lesive: l’unica<br />

prospettiva psicologica dell’agente è l’assunzione del rischio, in sé stessa intesa 817 .<br />

Si prosegue sostenendo che neppure nelle ipotesi di lancio “mirato” la condotta<br />

apparirebbe sorretta da una prospettiva psicologica consistente nel “ledere”,<br />

“danneggiare” o eventi affini: si osserva che, del resto, tali risultati non vengano in<br />

alcun modo perseguiti dall’agente in modo diverso 818 . Le conclusioni a cui giunge<br />

l’Autore, se raffrontate con l’assetto giurisprudenziale dominante, sono senz’altro<br />

drastiche: non solo esclusione del dolo eventuale o diretto, ma addirittura della<br />

capacità di intendere e volere e, dunque, dell’imputabilità, per una “anomala<br />

formazione del volere” 819 .<br />

Per quel che si vuole sostenere in questa tesi, l’impostazione dottrinale appena<br />

descritta non appare condivisibile. Ammesso che, conformemente alla teoria<br />

finalistica dell’azione, ogni azione umana sia caratterizzata da un fine intenzionale, e<br />

che l’evento realizzato con dolo eventuale non sia intenzionalmente perseguito, ma<br />

collaterale ed accessorio (e non necessario) rispetto alla realizzazione del fine<br />

intenzionalmente perseguito, tuttavia a nulla dovrebbe rilevare la “razionalità” o<br />

“irrazionalità” del fine intenzionale stesso: nel caso del lancio di sassi da cavalcavia,<br />

il fine intenzionalmente perseguito è il “creare un rischio”, e il “mezzo” per il<br />

perseguimento di tale fine è il lancio di sassi realizzato “a costo di” ledere, uccidere,<br />

813 Cass. Pen., Sez. I, 25 gennaio 2005, n. 5436, in dejure.giuffre.it<br />

814 Cass. Pen., Sez. I, 25 gennaio 2005, n. 5436, in dejure.giuffre.it<br />

815 L. EUSEBI, Appunti, 1097 – 1098.<br />

816 L. EUSEBI, Appunti, 1097.<br />

817 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

818 L. EUSEBI, op. loc. ult. cit.<br />

819 L. EUSEBI, Appunti, 1098.<br />

174


o eventi affini. Nulla dovrebbe ostare, in base a tale assetto, alla configurabilità del<br />

dolo almeno eventuale. Nella presente tesi si è sostenuta, in particolare, la validità<br />

della teoria che identifica l’elemento volitivo proprio del dolo eventuale nella<br />

accettazione del rischio realizzata tramite subordinazione di un interesse rispetto ad<br />

un altro: nel caso del lancio di sassi da cavalcavia, l’interesse che viene “preferito”<br />

dall’agente è la soddisfazione del proprio desiderio di “rischiare”, e l’interesse<br />

sacrificato è l’incolumità degli utenti della strada. Se non vi fosse sacrificio<br />

dell’incolumità degli utenti della strada, l’agente non realizzerebbe il proprio interesse<br />

(cioè, “creare il rischio”), tanto che egli si asterrebbe dalla condotta se così non<br />

fosse; ragione, questa, per cui non si tratta di un rischio assunto con mera<br />

negligenza o imprudenza, ma vi è sicuramente un quid pluris. Quanto alla<br />

configurabilità del dolo diretto, essa appare accettabile sicuramente nei casi di lancio<br />

“mirato”, mentre in caso di lancio “non mirato” è, forse, eccessiva l’impostazione<br />

adottata dalla giurisprudenza: essa rivela, probabilmente, un intento di enfatizzazione<br />

dell’intervento punitivo e preventivo del diritto penale 820 , attraverso la configurazione<br />

del dolo diretto la quale permette, a sua volta, di superare l’ostacolo della<br />

compatibilità fra dolo eventuale e delitto tentato.<br />

5. Responsabilità dell’ente e delle persone fisiche per incidenti sui luoghi di<br />

lavoro. La sentenza di primo grado sul caso Thyssenkrupp.<br />

Prima di entrare nel cuore dell’argomento inerente l’elemento soggettivo nel<br />

caso di reati lesivi dell’incolumità fisica o della vita dei lavoratori per incidenti sui<br />

luoghi di lavoro, è opportuno delineare brevemente l’assetto legislativo che<br />

caratterizza la c.d. “responsabilità amministrativa” dipendente da reato degli enti<br />

collettivi: trattasi invero, come è stato osservato in dottrina, di una responsabilità<br />

formalmente amministrativa, ma sostanzialmente assimilabile a quella penale, in<br />

quanto strettamente legata alla commissione di un fatto di reato da parte di soggetti a<br />

loro volta connessi all’ente tramite un rapporto qualificato; a ciò si aggiunga il fatto<br />

che l’accertamento della responsabilità in questione venga effettuato in sede<br />

penale 821 .<br />

Il riferimento normativo in tema di responsabilità amministrativa derivante da<br />

reato dell’ente è il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Esso prevede, quale ambito<br />

soggettivo di applicazione della forma di responsabilità in esso contemplata, enti<br />

collettivi forniti di personalità giuridica, nonché società o associazioni anche prive di<br />

personalità giuridica; restano esclusi, invece, lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli<br />

enti pubblici non economici e quelli che svolgano funzioni di rilievo costituzionale 822 .<br />

Quanto, invece, ai presupposti la cui sussistenza è necessaria ai fini della<br />

responsabilità amministrativa dell’ente, essi sono i seguenti: anzitutto, è necessaria<br />

la commissione di uno dei reati rientranti fra quelli annoverati dallo stesso d. lgs.<br />

231/2001; in secondo luogo, occorre che l’autore del reato sia un soggetto legato<br />

all’ente da un rapporto qualificato; in terzo luogo, è richiesto che la realizzazione del<br />

reato prospetti un “interesse” o “vantaggio” dell’ente; infine, il reato dal quale dipende<br />

820 F. CURI, op. cit., 234.<br />

821 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 163, 165.<br />

822 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 164.<br />

175


la responsabilità amministrativa non deve essere stato oggetto di amnistia 823 . Fermo<br />

restando tali presupposti, la responsabilità amministrativa dell’ente gode, tuttavia, di<br />

una certa “autonomia” rispetto al reato presupposto: essa sussiste anche se non<br />

vengono identificati o non sono imputabili gli autori del reato, ovvero se il reato<br />

presupposto si estingue per causa diversa dall’amnistia 824 .<br />

Per quel che riguarda il rapporto qualificato che deve sussistere fra autore del<br />

reato presupposto ed ente, dovrà trattarsi di soggetti in posizione apicale, ovvero di<br />

soggetti che dipendano da persone in posizione apicale. La posizione apicale, a sua<br />

volta, può essere inquadrata con riferimento ai soggetti che, all’interno dell’ente,<br />

svolgano funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione, gestione o controllo<br />

di fatto 825 .<br />

Alcune osservazioni debbono essere effettuate anche con riferimento ai<br />

requisiti dell’“interesse” o “vantaggio” dell’ente. Trattasi di una connessione di tipo<br />

oggettivo fra ente e realizzazione del reato presupposto 826 , la quale ha ricevuto varie<br />

interpretazioni, ed ha suscitato problemi a seguito dell’annovero, fra i reati la cui<br />

commissione da parte di soggetti qualificati possa dare luogo alla responsabilità<br />

amministrativa dell’ente, di fattispecie colpose: prima del 2007, invero, la presenza di<br />

sole fattispecie dolose nel novero dei reati-presupposto non creava particolari<br />

problemi di compatibilità con i requisiti dell’“interesse” o “vantaggio” dell’ente, mentre<br />

problemi di sorta possono sorgere se si considerano le fattispecie colpose introdotte<br />

dal 2007 (in particolare, omicidio colposo e lesioni colpose), caratterizzate da<br />

assenza di un “finalismo” dell’azione orientato alla realizzazione del reato 827 .<br />

Anzitutto, non si può trascurare quanto affermato nella relazione al d. lgs.<br />

231/2001, ove si precisa che il requisito dell’“interesse” consisterebbe in un aspetto<br />

soggettivo della condotta, per il quale sarebbe sufficiente una verifica ex ante,<br />

mentre il requisito del “vantaggio” configurerebbe un aspetto di carattere oggettivo,<br />

potendo essere tratto dall’ente anche qualora l’autore del reato non avesse agito<br />

“nell’interesse” dell’ente stesso, e richiederebbe una verifica ex post 828 . Non può<br />

sfuggire, tuttavia, che un’impostazione di questo genere risulti quantomeno dubbia<br />

con riferimento ai reati-presupposto di carattere colposo, se non altro per quel che<br />

concerne il requisito dell’“interesse”: appare evidentemente evanescente la<br />

configurazione di un reato colposo – privo di atteggiamento finalistico orientato alla<br />

realizzazione del reato stesso – caratterizzato dal perseguimento soggettivo di un<br />

“interesse” 829 ; si è anche osservato che l’eventuale tentativo di inquadramento di un<br />

823 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 165.<br />

824 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. cit.<br />

825 Il riferimento normativo è dato dagli artt. 6 e 7 del d. lgs. 231/2001. L’analisi del dato<br />

normativo è effettuata, tra gli altri, da G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. cit.; in modo più<br />

approfondito, F. CURI, Colpa di organizzazione ed impresa: tertium datur. La responsabilità degli enti<br />

alla luce del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro, in F. CURI, a cura di, Sicurezza nel lavoro,<br />

Bologna, Bononia University Press, 2009, 136 – 138.<br />

826 F. CURI, op. ult. cit., 132.<br />

827 F. CURI, op. ult. cit., 132 – 133; E. R. BELFIORE, La responsabilità del datore di lavoro e<br />

dell’impresa per infortuni sul lavoro: profili di colpevolezza, in www.archiviopenale.it, 2011, n. 2, p. 9<br />

del documento.<br />

828 G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., 165.<br />

829 M. RIVERDITI, “Interesse o vantaggio” dell’ente e reati (colposi) in materia di sicurezza sul<br />

lavoro: cronistoria e prospettive di una difficile convivenza, in www.archiviopenale.it, 2001, n. 2, pp. 3<br />

– 4 del documento.<br />

176


eato colposo commesso nell’interesse dell’ente divenga, sostanzialmente, un mero<br />

esercizio accademico 830 .<br />

Le soluzioni proposte da dottrina e giurisprudenza al fine del superamento delle<br />

suddette problematiche sono, perlopiù, incentrate su una ricostruzione oggettiva del<br />

concetto di “interesse”: fondamentalmente, si sostiene che l’“interesse” debba essere<br />

inteso con riguardo non già al reato colposo, bensì alla condotta ad esso sottotesa,<br />

che sia stata posta in essere dalla persona fisica nello svolgimento della sua attività<br />

all’interno dell’ente 831 ; ne consegue che – come è stato evidenziato in giurisprudenza<br />

– la responsabilità dell’ente dovrebbe avere quale presupposto un reato commesso<br />

concretamente ed oggettivamente nell’interesse dell’ente, e non necessariamente<br />

commesso con l’intenzione, da parte dell’autore, di perseguire l’interesse dell’ente 832 .<br />

Nonostante tale impostazione non sia stata esente da critiche negative 833 , è stato<br />

anche evidenziato che il criterio, oggettivamente inteso, dell’“interesse” dell’ente<br />

possa essere meglio precisato attraverso il riferimento – ancora una volta – alla<br />

relazione di accompagnamento al d. lgs. 231/2001, ove si afferma che detto criterio<br />

debba considerarsi espressivo del principio di “immedesimazione organica” fra<br />

autore del reato ed ente: se si intende offrire un’interpretazione conforme al principio<br />

di “immedesimazione organica”, dovrebbe considerarsi ascrivibile all’ente soltanto la<br />

responsabilità connessa ad un reato realizzato, da parte dell’autore, nello<br />

svolgimento di attività ontologicamente collegata all’attività dell’autore stesso<br />

all’interno dell’ente 834 . Volendo trarre conclusioni con riferimento alla responsabilità<br />

dell’ente dipendente da reati colposi, essa sussisterebbe qualora la condotta colposa<br />

che abbia dato luogo al reato sia stata trasgressiva di regole cautelari il cui rispetto<br />

fosse connaturato all’agire lecito dell’ente; dovrebbe essere, viceversa, esclusa<br />

qualora la condotta caratteristica del reato realizzato sia stata “abnorme” rispetto alle<br />

finalità tipiche dell’ente 835 .<br />

Per quel che attiene alla componente della colpevolezza, la responsabilità<br />

amministrativa dell’ente richiede una “colpa di organizzazione”, ovvero una<br />

inefficacia e carenza organizzativa in quel che attiene all’attività di prevenzione e<br />

gestione del rischio o della realizzazione di eventi lesivi 836 . Trattasi di una<br />

colpevolezza che non può, ovviamente, essere intesa in senso psicologico, stante la<br />

mancanza di collegamento “psichico-naturalistico” fra ente e realizzazione del reato;<br />

piuttosto, si è evidenziato che dovrebbe trattarsi di una colpevolezza di carattere<br />

“normativo”: ciò che si rimprovera all’ente è la mancata attuazione di un modello<br />

organizzativo o di una politica d’impresa idonei alla prevenzione e gestione dei rischi<br />

o della realizzazione di eventi lesivi 837 . Tale tipo di colpevolezza, peraltro, viene<br />

meno qualora vi sia stata adozione di un “modello di organizzazione e gestione”<br />

830<br />

M. RIVERDITI, op. cit., 4.<br />

831<br />

F. CURI, op. ult. cit., 133 – 134.<br />

832<br />

M. RIVERDITI, op. cit., 8. L’Autore cita anche alcuni estratti di Trib. Trani, Sez. dist. Molfetta,<br />

11 gennaio 2010.<br />

833<br />

Trattasi di critiche negative puntualmente riassunte da F. CURI, op. ult. cit., 134.<br />

834<br />

M. RIVERDITI, op. cit., 12. Beninteso che ciò non significa richiedere che all’autore del reato<br />

debbano essere state attribuite, all’interno dell’ente, funzioni consistenti nella realizzazione di attività<br />

penalmente illecita, bensì richiedere che l’autore avesse agito nel perseguimento di compiti ad esso<br />

affidati all’interno dell’ente (ivi, 13).<br />

835<br />

M. RIVERDITI, op. cit., 14.<br />

836 F. CURI, op. ult. cit., 143.<br />

837 F. CURI, op. ult. cit., 143.<br />

177


(m.o.g.) idoneo a prevenire, appunto, rischi ed eventi lesivi 838 . L’adozione dei m.o.g.<br />

non è obbligatoria per l’ente, ma esonera l’ente stesso da responsabilità<br />

amministrativa: in tal senso, il legislatore ha voluto innescare una sorta di<br />

meccanismo incentivante 839 . Risulta significativo notare che la colpevolezza<br />

dell’ente, ricostruita alla stregua dei criteri e parametri qui menzionati, venga a<br />

caratterizzarsi come una colpevolezza non “per il fatto”, bensì “sganciata dal fatto” 840 .<br />

A fronte del quadro delineato, si è tentata l’individuazione di un parallelismo fra<br />

responsabilità amministrativa dell’ente e categorie generali del diritto penale classico<br />

in ordine alla responsabilità e colpevolezza delle persone fisiche; fermo restando che<br />

non potrà, ovviamente, trattarsi di un parallelismo “rigoroso”, in quanto non è<br />

possibile individuare un legame psicologico fra ente e fatto di reato dal quale dipenda<br />

la responsabilità dello stesso ente 841 . Volendo identificare parallelismi con riferimento<br />

al solo diritto interno, si è osservato che la responsabilità amministrativa dell’ente<br />

possa connotarsi come di natura “essenzialmente colposa”, la quale ricorderebbe da<br />

vicino la “misura oggettiva della colpa” 842 . Vi è anche chi ha precisato che la non<br />

osservanza dei contenuti di cui agli artt. 6 e 7 del d. lgs. 231/2001 darebbe luogo a<br />

colpa generica, mentre il mancato rispetto dei contenuti minimi di cui all’art. 30 del d.<br />

lgs. 81/2008 comporterebbe una colpa specifica 843 . D’altra parte, è stato effettuato in<br />

dottrina un interessante spunto comparatistico, il quale ha evidenziato le analogie fra<br />

i caratteri della responsabilità amministrativa dell’ente e la recklessness di matrice<br />

anglosassone, che identifica una “terza forma” di colpevolezza, accanto all’intention<br />

ed alla negligence: una “terza forma” che si colloca, quindi, a metà strada fra dolo e<br />

colpa, e si inquadra, sostanzialmente e sinteticamente, nella “assunzione<br />

consapevole di un rischio” 844 . A ben vedere, la colpevolezza caratteristica della<br />

responsabilità amministrativa dell’ente, nell’ambito del sistema giuridico italiano,<br />

consiste proprio nella rimproverabilità per l’assunzione consapevole di un rischio: ciò<br />

che si rimprovera all’ente è il non aver predisposto un modello organizzativo e<br />

gestionale idoneo alla prevenzione dei rischi, a fronte dell’opportunità di farlo 845 .<br />

838 F. CURI, op. ult. cit., 138 – 139. Si evidenzia, inoltre, che la prova liberatoria per l’ente<br />

assume caratteri diversi a seconda che si tratti di reato presupposto commesso da soggetti in<br />

posizione apicale, ovvero da soggetti “sottoposti”: nel primo caso, l’ente si libererà da responsabilità<br />

dimostrando (con inversione dell’onere della prova) di aver attuato un m.o.g. idoneo a prevenire reati<br />

del tipo di quello verificatosi; nel secondo, l’ente sarà responsabile solo qualora la pubblica accusa<br />

dimostri che la commissione del reato si fosse resa possibile a causa dell’inosservanza di obblighi di<br />

direzione o vigilanza (si tratterebbe comunque, anche in tal caso, di un deficit organizzativo).<br />

839 F. CURI, op. ult. cit., 139 – 140. Si specifica, inoltre, che i riferimenti normativi che precisano<br />

i contenuti e le funzioni dei m.o.g. sono l’art. 6, comma 2, d. lgs. 231/2001 e l’art. 30, d. lgs. 81/2008.<br />

840 E. R. BELFIORE, op. cit., 7. L’Autore cita le osservazioni di Filippo Sgubbi, richiamando L.<br />

MONTUSCHI – F. SGUBBI, Ai confini tra dolo e colpa. Il caso Thyssenkrupp, in ius17@unibo.it. Studi e<br />

materiali di diritto penale, 2009, 2, 388.<br />

841 F. CURI, op. ult. cit., 143.<br />

842 F. CURI, op. ult. cit., 145, ove si richiama G. DE SIMONE, I profili sostanziali della<br />

responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la “parte generale” e la “parte speciale” del D. lgs. 8<br />

giugno 2001 n. 231, in G. GARUTI, a cura di, Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi<br />

dipendenti da reato, Padova, Cedam, 2002, 107 ss.<br />

843 F. CURI, op. ult. cit., 146, ove si richiama A. ROSSI, Modelli di organizzazione, gestione e<br />

controllo: regole generali e individuazioni normative specifiche, in Giur. it., 2009, 1840.<br />

844 F. CURI, op. ult. cit., 148.<br />

845 F. CURI, op. ult. cit., 148 – 149.<br />

178


Poste tali considerazioni sulla responsabilità amministrativa dell’ente, nell’ottica<br />

di un’analisi delle questioni inerenti il confine fra dolo e colpa, assume una particolare<br />

rilevanza la recente vicenda giudiziaria denominata “caso Thyssenkrupp”, nella quale<br />

aspetti riguardanti la responsabilità delle persone fisiche (e, in particolare, la<br />

colpevolezza delle persone fisiche) ed aspetti relativi alla responsabilità dell’ente si<br />

intrecciano: va infatti rammentato che, fra il novero dei reati-presupposto per la<br />

responsabilità amministrativa dell’ente, vi siano omicidio e lesioni (commessi con<br />

violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul<br />

lavoro) nella forma colposa, ma non nella forma dolosa. Il tutto senza tralasciare la<br />

già di per sé problematica questione concernente l’individuazione dell’elemento<br />

soggettivo delle persone fisiche, in un contesto di base lecito in cui l’evento lesivo<br />

non era certamente perseguito in modo intenzionale e caratterizzato, tuttavia, dalla<br />

consapevole (e, si potrebbe aggiungere, estremamente evidente e “grave”, nel caso<br />

di specie) mancata adozione di un modello organizzativo e di gestione idoneo a<br />

prevenire eventi del tipo di quello verificatosi.<br />

Il fatto concreto sul quale si basa il caso Thyssenkrupp vede la morte di sette<br />

operai, provocata da un incendio divampato, nella notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2007,<br />

all’interno delle acciaierie torinesi gestite dalla multinazionale interessata 846 . Quanto<br />

ai capi d’imputazione per le persone fisiche, essi riguardavano l’amministratore<br />

delegato per omicidio ed incendio sorretti da dolo eventuale, sulla base della<br />

mancata adozione di misure tecniche, organizzative, procedurali e di prevenzione, a<br />

fronte della rappresentazione della concreta possibilità del verificarsi di incidenti<br />

mortali o incendi; nonché altri cinque soggetti in posizione apicale (amministratori e<br />

dirigenti) per omicidio ed incendio colposi, aggravati dalla previsione dell’evento, in<br />

quanto essi avrebbero omesso di segnalare la necessità di adozione di idonee<br />

misure, a fronte – anche in tal caso – della rappresentazione della concreta<br />

possibilità di verificazione di incidenti mortali o incendi: non può sfuggire, fin da<br />

subito, l’evidente oscillazione nella configurazione del profilo psicologico 847 .<br />

L’imputazione nei confronti dell’ente, incentrata sulla responsabilità ex d. lgs.<br />

231/2001, vedeva, quale reato presupposto, quello di omicidio colposo contestato ai<br />

cinque soggetti in posizione apicale da ultimo citati 848 . L’esito del giudizio di primo<br />

grado vede, sostanzialmente, l’accoglimento dei capi d’imputazione delineati.<br />

Le motivazioni della Corte d’Assise di Torino, in oltre cinquecento pagine,<br />

ripercorrono dettagliatamente i risultati conseguiti nel corso del dibattimento, dai quali<br />

era emerso, in sintesi, che, sin dal 2006, le acciaierie torinesi della Thyssen fossero<br />

affette da gravi carenze e deficit a livello strutturale ed organizzativo con riguardo alla<br />

sicurezza sul lavoro e, in particolare, alle misure antincendio: si evidenziano, tra<br />

l’altro, la mancanza del certificato di prevenzione incendi, la riduzione degli interventi<br />

di manutenzione e pulizia sulle linee, la noncuranza relativamente alle perdite di olio<br />

le quali causavano frequenti incendi di varie proporzioni, la mancata adozione di<br />

adeguati mezzi di spegnimento incendi (lo spegnimento era affidato alla “mano<br />

dell’uomo”), il fatto che i dipendenti non fossero stati dotati di adeguata formazione o<br />

846 S. ZIRULIA, ThyssenKrupp, fu omicidio volontario: le motivazioni della Corte d’Assise, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

847 F. CURI, op. ult. cit., 149.<br />

848 F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

179


indumenti ignifughi 849 . Il punto cruciale consiste, tuttavia, nel fatto che tale quadro<br />

fosse frutto di precise scelte di politica aziendale adottate da parte della Thyssen: da<br />

un lato, il trasferimento degli impianti da Torino a Terni, con posticipazione di tutti gli<br />

interventi di fire prevention, i quali sarebbero stati effettuati solo nella nuova sede;<br />

dall’altro, il mantenimento dell’attività negli stabilimenti torinesi fino alla definitiva<br />

chiusura, “il più a lungo possibile”, con prospettazione di una sorta di “chiusura a<br />

scalare” progressivamente con il trasferimento degli impianti. È chiaro che tali scelte<br />

rispondevano a logiche di profitto 850 .<br />

La sentenza in questione provvede, altresì, all’effettuazione di un elenco delle<br />

accertate violazioni del d. lgs. n. 626/1994 e del D.P.R. n. 547/1955 i quali<br />

prescrivono, sostanzialmente ed in sintesi, misure generali per la protezione della<br />

salute e della sicurezza dei lavoratori, valutazione dei rischi, adozione di programmi<br />

per la prevenzione, formazione ed informazione/consultazione/partecipazione dei<br />

lavoratori per le questioni attinenti alla sicurezza, adeguato aggiornamento delle<br />

misure di prevenzione in base al grado di evoluzione delle metodologie disponibili; il<br />

tutto, chiaramente, con configurazione di corrispettivi obblighi in capo al datore di<br />

lavoro 851 .<br />

L’assetto appena delineato costituisce la base per lo sviluppo delle conclusioni<br />

in punto di diritto effettuate dalla Corte d’Assise, in particolare in ordine alla<br />

qualificazione dell’elemento psicologico del reato, rispettivamente in capo<br />

all’amministratore delegato ed agli altri cinque amministratori e dirigenti la cui<br />

imputazione si fondava sulla colpa aggravata. I giudici di primo grado richiamano<br />

espressamente la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 10411/2011, ove<br />

la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente viene individuata mediante un<br />

duplice riferimento: anzitutto, alla prima formula di Frank; quindi, alla teoria che<br />

valorizza l’aspetto della subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.<br />

Tramite il richiamo alla prima formula di Frank, si sostiene che, a fronte dell’identità<br />

dell’elemento intellettivo, il dolo eventuale sussista qualora l’agente avrebbe<br />

849 S. ZIRULIA, op. cit. Se si scende, poi, nel cuore delle motivazioni della sentenza (Corte Ass.<br />

Torino, 15 aprile 2011, deposito 14 novembre 2011, in www.penalecontemporaneo.it ), ove i giudici<br />

ripercorrono nel dettaglio gli elementi probatori valutati a fondamento della decisione, si possono<br />

rilevare dati concreti particolarmente pregnanti, i quali pongono in estrema evidenza le carenze<br />

strutturali ed organizzative che caratterizzavano gli stabilimenti torinesi: carenze strutturali che<br />

rendevano detti stabilimenti inferiori rispetto agli standard degli altri stabilimenti delle sub – holding<br />

Thyssen (p. 89 della sentenza), risultanti non solo alla luce di dati e prove testimoniali, ma addirittura<br />

in considerazione della pura apparenza esteriore (p. 89 della sentenza); emblematiche sono le<br />

affermazioni di chi aveva avuto esperienza lavorativa in altri stabilimenti Thyssen, che definiscono le<br />

condizioni dello stabilimento torinese come un “pianeta diverso” (pp. 90 – 91 della sentenza); viene<br />

posto l’accento, tra gli altri aspetti, sul fatto che a Terni vi fosse una squadra interna di Vigili del fuoco,<br />

la cui presenza era obbligatoria quando i lavoratori dovevano compiere operazioni a rischio incendio<br />

(p. 91 della sentenza), mentre lo stabilimento di Torino era caratterizzato, al contrario, da un piano<br />

d’emergenza antincendio estremamente inadeguato, farraginoso (pp. 99 – 100 della sentenza) il<br />

quale, in sostanza ed in linea di massima, comportava che i lavoratori dovessero in prima istanza<br />

tentare di spegnere l’incendio autonomamente, riservando la chiamata della squadra d’emergenza<br />

alle sole ipotesi in cui ciò non fosse riuscito, nonché la chiamata dei Vigili del fuoco alla sola iniziativa,<br />

eventuale, della squadra d’emergenza (p. 105 della sentenza). Appare quasi sconcertante<br />

l’affermazione, riportata da un teste, per cui episodi di incendi fossero, nello stabilimento torinese,<br />

quasi giornalieri (p. 105 della sentenza).<br />

850 S. ZIRULIA, op. cit.<br />

851 Corte Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito 14 novembre 2011), in<br />

www.penalecontemporaneo.it , pp. 208 ss. della sentenza.<br />

180


ealizzato la condotta anche se avesse avuto la certezza di realizzazione dell’evento,<br />

mentre sussisterebbe colpa cosciente quando l’agente, se avesse avuto detta<br />

certezza, avrebbe desistito. Si precisa inoltre, per quel che attiene al profilo della<br />

rappresentazione, che il tenore letterale dell’art. 61 n. 3 richieda, ai fini della colpa<br />

cosciente, persistenza della rappresentazione positiva di realizzazione dell’evento al<br />

momento della tenuta della condotta; rappresentazione positiva che, dunque, non<br />

deve essere stata sostituita da una rappresentazione negativa o dalla rimozione del<br />

dubbio, nel momento in cui la condotta venga posta in essere; ne consegue che il<br />

dubbio non esclude e non è sufficiente ad integrare il dolo, ed è compatibile sia con il<br />

dolo che con la colpa cosciente. Si prosegue con la valutazione per cui una qualche<br />

accettazione del rischio sussista ogniqualvolta ci si determini ad agire pur senza la<br />

certezza soggettiva in ordine alla non realizzazione dell’evento oggetto di<br />

rappresentazione. La conseguenza del complesso di tali affermazioni consiste<br />

nell’individuazione di un discrimen fra dolo eventuale e colpa cosciente che vada al<br />

di là della sola componente dell’accettazione del rischio (dato che questa caratterizza<br />

anche la colpa cosciente), e che viene inquadrato nell’accettazione del rischio<br />

realizzata tramite una subordinazione consapevole di un bene giuridico rispetto ad<br />

un altro: agirebbe con dolo eventuale, dunque, il soggetto che, perseguendo<br />

intenzionalmente un fine, si rappresenti e colga la correlazione tra il soddisfacimento<br />

del proprio interesse (il raggiungimento del fine intenzionale) ed il sacrificio di un<br />

bene diverso (sacrificio che però – è bene tenerlo sempre presente – si identifica in<br />

un possibile evento lesivo accessorio e collaterale rispetto alla realizzazione del fine<br />

intenzionalmente perseguito, e non necessario ad essa), valuti tali interessi in gioco<br />

ed attribuisca prevalenza al proprio, sacrificando il bene diverso. La lesione del bene<br />

diverso viene accettata quale “prezzo (eventuale) da pagare” per il conseguimento<br />

del risultato intenzionalmente perseguito, venendo posta coscientemente in<br />

correlazione con quest’ultimo, sicché l’obiettivo intenzionalmente perseguito attrae<br />

l’evento collaterale 852 . La colpa cosciente viene, per converso, identificata nell’ipotesi<br />

in cui l’agente, nonostante la rappresentazione dell’evento, abbia posto in essere la<br />

condotta escludendone la possibilità di realizzazione, nella convinzione o nella<br />

ragionevole speranza di poterlo evitare, per proprie abilità o per intervento di altri<br />

fattori 853 .<br />

Stabiliti i suddetti punti di diritto, la Corte d’Assise giunge ad inquadrare la colpa<br />

cosciente con riferimento ai cinque imputati diversi dall’amministratore delegato. La<br />

condotta penalmente rilevante viene individuata nell’omissione di segnalazione<br />

dell’esigenza di adozione delle misure indispensabili a prevenire e gestire il rischio di<br />

realizzazione di eventi del tipo di quello verificatosi, nonostante la previsione<br />

dell’evento 854 . I giudici ritengono, tuttavia, fondato che gli imputati in questione<br />

confidassero nella non verificazione dell’evento, alla luce della loro posizione<br />

aziendale, completamente dipendente dai dirigenti di Terni e dai vertici di TK AST<br />

(altra società del gruppo Thyssen): essi, cioè, avrebbero confidato che i vertici<br />

rispetto a loro gerarchicamente sovraordinati (compreso, peraltro, anche<br />

852<br />

Corte Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito 14 novembre 2011), in<br />

www.penalecontemporaneo.it , pp. 325 – 326 della sentenza.<br />

853<br />

Corte Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito 15 novembre 2011), in<br />

www.penalecontemporaneo.it , pp. 302 – 303.<br />

854<br />

Corte Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito 15 novembre 2011), in<br />

www.penalecontemporaneo.it , pp. 302 – 302.<br />

181


l’amministratore delegato) avrebbero evitato il verificarsi dell’evento oggetto di<br />

rappresentazione 855 .<br />

A parere di chi scrive, da un punto di vista esclusivamente teorico, desta<br />

qualche perplessità il fatto che, ai fini dell’identificazione della colpa cosciente, si<br />

persista nel voler far leva su concetti quali “ragionevole speranza”/ “fiducia” nella non<br />

verificazione dell’evento. Se si accoglie l’interpretazione dell’art. 61 n. 3 per la quale,<br />

ai fini della configurazione della colpa cosciente, la rappresentazione positiva di<br />

realizzazione dell’evento debba persistere al momento della tenuta della condotta, e<br />

non debba essere stata sostituita da una previsione negativa, “controprevisione” o<br />

rimozione del dubbio, il ricorso ai suddetti concetti appare quantomeno discutibile:<br />

nel momento in cui il soggetto agisce con la “fiducia che l’evento non si verificherà”,<br />

agisce rappresentandosi la “non verificazione dell’evento”. Inoltre, se si accoglie la<br />

teoria per cui l’accettazione del rischio è, anch’essa, elemento comune a dolo<br />

eventuale e colpa cosciente, ed il dolo eventuale si distingue alla luce di<br />

un’accettazione del rischio realizzata tramite una deliberazione di subordinazione di<br />

un bene giuridico rispetto ad un altro, tale deliberazione costituisce già, di per sé,<br />

l’elemento che differenzia dolo eventuale e colpa cosciente. L’inquadramento della<br />

colpa cosciente non dovrebbe necessitare, dunque, del ricorso ai concetti di<br />

“ragionevole speranza” o “fiducia” nella non verificazione dell’evento; dovrebbe<br />

essere, invece, sufficiente valutare se la determinazione ad agire, a fronte della<br />

rappresentazione della possibilità di realizzazione dell’evento lesivo, sia sorretta o<br />

meno da una deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un<br />

altro: in caso affermativo, si avrà dolo eventuale; in caso negativo, colpa cosciente<br />

(nello specifico, si avrà un’accettazione del rischio sorretta solamente da negligenza<br />

o imprudenza). Nel caso di specie, si sarebbe comunque – a parere di chi scrive –<br />

potuto pervenire alla conclusione della sussistenza della colpa cosciente in capo agli<br />

imputati diversi dall’amministratore delegato poiché, probabilmente, la loro posizione<br />

aziendale (subordinata rispetto ad altri vertici, nonché rispetto all’amministratore<br />

delegato) avrebbe impedito di identificare una vera e propria presa di posizione della<br />

volontà, consistente nella deliberazione di subordinazione di un bene giuridico<br />

rispetto ad un altro.<br />

Appare, d’altro canto, perfettamente coerente l’impostazione relativa alla<br />

responsabilità dell’amministratore delegato: fu proprio lui, in persona, ad adottare la<br />

scelta di “chiusura a scalare” dello stabilimento; fu proprio lui a decidere<br />

l’azzeramento degli investimenti previsti e necessari, nonché delle condizioni minime<br />

di sicurezza indispensabili in uno stabilimento del tipo di quello in cui si verificò il<br />

fatto 856 ; il tutto nell’ottica del profitto aziendale. Del resto, la sussistenza di un<br />

elemento intellettivo particolarmente pregnante (previsione di concreta ed elevata<br />

probabilità di verificazione di incendi o incidenti mortali) viene ricavata in<br />

considerazione della preparazione e della competenza specifica dello stesso<br />

amministratore delegato, nonché del fatto che egli avesse ricevuto anche pressioni<br />

da parte di altre società del gruppo, presso le quali si erano precedentemente<br />

verificati incendi 857 . In base a tali premesse, si può veramente identificare, con<br />

relativa facilità, un’ipotesi di dolo eventuale che si spiega perfettamente tramite la<br />

855 Corte Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito 15 novembre 2011), in<br />

www.penalecontemporaneo.it , pp. 302 – 303, 308, 320.<br />

856 S. ZIRULIA, op. cit.<br />

857 S. ZIRULIA, op. cit.<br />

182


teoria che valorizza la subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro: si<br />

tratta dell’atteggiamento psicologico del soggetto che, nell’ambito del perseguimento<br />

intenzionale di un fine (vantaggio economico, nel caso di specie), si rappresenta la<br />

possibilità/probabilità che la condotta correlata al perseguimento di detto fine<br />

provochi eventi lesivi di altri beni giuridici (in questo caso, incendi e lesione della vita<br />

o dell’integrità fisica dei lavoratori) e, a fronte dell’alternativa fra non persistere nella<br />

tenuta della condotta correlata al perseguimento del fine intenzionale – con parallela<br />

tutela di altri beni giuridici – e, viceversa, persistere nella tenuta di essa a costo di<br />

ledere beni giuridici, opta per questa seconda alternativa, con deliberazione di<br />

subordinazione di beni giuridici rispetto al proprio interesse intenzionalmente<br />

perseguito. L’amministratore delegato avrebbe, quindi, consapevolmente subordinato<br />

l’incolumità dei lavoratori rispetto agli obiettivi economici aziendali, accettando il<br />

rischio che l’incolumità dei lavoratori venisse irrimediabilmente sacrificata 858 : ma si<br />

tratta di una “accettazione” che non connota il dolo eventuale di per sé stessa, bensì<br />

in quanto effettuata tramite l’appena descritto processo di comparazione fra gli<br />

interessi in gioco e susseguente deliberazione di subordinazione di taluni di essi<br />

rispetto ad altri.<br />

Parte della dottrina non ha mancato di rilevare o, quantomeno, di suscitare il<br />

sospetto che un dispositivo di questo genere lasci trapelare la presenza di una logica<br />

presuntiva fondante la condanna per dolo eventuale in capo all’amministratore<br />

delegato, considerato quale vertice decisionale di Thyssenkrupp: se ciò fosse vero,<br />

la decisione in questione rischierebbe di assumere un carattere meramente<br />

simbolico 859 o strumentale in un’ottica puramente generalpreventiva 860 . Significative<br />

sono le osservazioni di chi ha evidenziato che la pronuncia sul caso Thyssenkrupp<br />

debba “far sperare i lavoratori e far pensare gli imprenditori”, dovendo essere<br />

interpretata come una sorta di “riscatto del lavoro”, in quanto “la vita di un lavoratore<br />

non si può trasformare in profitto” 861 : considerazioni che mettono in luce la<br />

potenzialità “simbolica” della sentenza in esame.<br />

Ancora, si è criticato negativamente un utilizzo del dolo che pare svuotare il<br />

dolo stesso del suo contenuto psicologico, trasformandolo in un modello puramente<br />

normativo: si tratterebbe quasi di una trasformazione della “colpa macroscopica” in<br />

dolo o, quantomeno, di un surrettizio utilizzo del carattere macroscopico della colpa<br />

al fine di giustificare l’affermazione del dolo (svuotato, come si è detto, del proprio<br />

contenuto psicologico) 862 . Sostanzialmente sulla stessa linea si è evidenziato, con<br />

terminologia molto pregnante, che “la ‘fame’ del dolo, stimolata dall’istanza<br />

generalprevenzionistica, assume sempre più i caratteri della crisi bulimica” 863 ,<br />

giungendo a “trasformare in dolo la colpa, almeno quando quest’ultima si sostanzia<br />

in una grave trascuratezza dell’agente rispetto ai beni della vita, dell’incolumità fisica<br />

e della salute”, con insistenza ed accento sulla “riprovevolezza etica del<br />

858<br />

S. ZIRULIA, op. cit.<br />

859<br />

G. MARRA, Regolazione del rischio, dolo eventuale e sicurezza del lavoro. Note a margine<br />

del caso Thyssen, in olympus.uniurb.it, pp. 5-6 del documento. Da notare, tuttavia, che il testo in<br />

questione è stato redatto prima del deposito delle motivazioni della sentenza in esame.<br />

860<br />

G. MARRA, op. cit., 18.<br />

861<br />

Questi i commenti citati da G. MARRA, op. cit., 18 – 19.<br />

862<br />

E. R. BELFIORE, op. cit., 7.<br />

863<br />

M. RONCO, La tensione tra dolo e colpa nell’accertamento della responsabilità per gli<br />

incidenti sul lavoro, in www.archiviopenale.it , 2011, n. 2, p. 1 del documento.<br />

183


comportamento colposo” e con “l’etichettamento come ‘assassino’ del colpevole” 864 .<br />

In tal modo, il dolo giunge a coincidere con l’antico concetto di “culpa”, intesa come<br />

consapevole deviazione da un modello comportamentale previsto per l’ambito di<br />

attività di riferimento 865 .<br />

A parere di chi scrive, come si è già accennato, l’inquadramento del dolo<br />

eventuale con riferimento all’amministratore delegato è, nel caso di specie,<br />

condivisibile, e si addice quasi perfettamente alla teoria che valorizza il binomio “dolo<br />

eventuale” – “deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un<br />

altro”. Tuttavia, ciò non deve dare adito all’affermazione automatica della<br />

responsabilità per dolo eventuale in capo al datore di lavoro in qualsivoglia ipotesi di<br />

infortunio sul lavoro in contesti caratterizzati dall’omissione di misure precauzionali o<br />

antinfortunistiche 866 .<br />

Passando alle conclusioni concernenti la responsabilità amministrativa<br />

dell’ente, la Corte d’Assise riconosce tale responsabilità ai sensi dell’art. 25 –<br />

septies, comma 1, del d. lgs. 231/2001 (quindi, in dipendenza del reato di omicidio<br />

colposo commesso con violazione di norme antinfortunistiche e sulla tutela<br />

dell’igiene e della salute sul lavoro), condannando la società ad una sanzione<br />

pecuniaria pari ad un milione di euro, nonché a diverse sanzioni di tipo interdittivo ed<br />

alla confisca del profitto del reato; a tutto ciò si aggiunga la disposizione della<br />

pubblicazione della sentenza su tre quotidiani a diffusione nazionale 867 . In sede di<br />

motivazione della sentenza, la Corte si ritrova a dover affrontare e chiarire il<br />

problema della natura giuridica della responsabilità dell’ente, peraltro anche in<br />

conseguenza dei rilievi della difesa la quale riteneva addirittura incostituzionali gli<br />

artt. 5, 6 e 7 del d. lgs. 231/2001, per violazione dell’art. 27 Cost., in quanto essi<br />

avrebbero determinato una presunzione di colpevolezza in capo all’ente, con<br />

inversione dell’onere della prova; la difesa lamentava, inoltre, la genericità degli artt.<br />

6 e 7, nonché l’irragionevolezza del sistema sanzionatorio complessivamente<br />

considerato e prospettato dal d. lgs. 231/2001, laddove esso, in taluni casi, comporta<br />

sanzioni più lievi per l’ente qualora il reato presupposto sia commesso con dolo, a<br />

fronte di sanzioni più gravi per l’ente qualora il reato presupposto sia di natura<br />

colposa 868 .<br />

La Corte d’Assise rigetta le suddette doglianze, concludendo con l’affermazione<br />

della natura “senz’altro amministrativa” della responsabilità dell’ente ai sensi del d.<br />

lgs. 231/2001: la quale, dunque, esulerebbe dai principi propri del sistema<br />

penalistico, quali quelli di colpevolezza, tassatività e ragionevolezza 869 .<br />

Quanto, poi, ai requisiti dell’“interesse” o “vantaggio” dell’ente, i giudici<br />

affermano che “le gravissime violazioni della normativa antinfortunistica ed<br />

antincendio, le colpevoli omissioni, sono caratterizzate da un contenuto economico<br />

864 M. RONCO, op. cit., 3.<br />

865 M. RONCO, op. loc. cit.<br />

866 Lo stesso procuratore Guariniello, pubblico ministero occupatosi del caso in questione,<br />

afferma che “il dolo non è applicabile meccanicamente a tutti i casi di infortunio sul lavoro” (citazione<br />

tratta da F. BACCHINI, La sentenza Thyssen, in www.hyperedizioni.com).<br />

867 M. L. MINNELLA, D. lgs. n. 231 del 2001 e reati colposi nel caso ThyssenKrupp. Sulla<br />

responsabilità dell’ente per gli omicidi colposi con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

868 Le doglianze della difesa sono riassunte da M. L. MINNELLA, op. cit.<br />

869 M. L. MINNELLA, op. cit.<br />

184


ispetto al quale l’azienda non solo aveva interesse, ma se ne è anche sicuramente<br />

avvantaggiata, sotto il profilo del considerevole risparmio economico che ha tratto<br />

omettendo qualsiasi intervento”: in tal senso, viene accolta l’impostazione<br />

conformemente alla quale i concetti di “interesse” e “vantaggio” debbano essere<br />

valutati con riguardo alla condotta penalmente rilevante, e non con riguardo al reato<br />

considerato nel suo complesso (condotta ed evento; è chiaro che l’evento “morte”<br />

non potrà mai rappresentare un “interesse” o un “vantaggio” per l’ente) 870 . Coerente<br />

con tale ricostruzione dovrebbe essere la concezione oggettiva dei requisiti<br />

dell’“interesse” e del “vantaggio”: sicché sarà rilevante, ai fini della responsabilità<br />

amministrativa dell’ente, il reato realizzato dal soggetto apicale nell’esercizio delle<br />

proprie funzioni all’interno dell’ente, e con violazione di norme fondanti l’agire lecito<br />

dell’ente (nel caso di specie, le norme in materia di tutela della salute e della<br />

sicurezza sul lavoro) 871 .<br />

Quanto alla mancata adozione del “modello organizzativo e di gestione” idoneo<br />

a prevenire rischi ed eventi lesivi del tipo di quello verificatosi, su tale punto la Corte<br />

non incorre in particolari problemi, in quanto non solo l’ente non aveva dimostrato<br />

l’adozione di tale modello, ma addirittura risultava provata, a livello documentale, la<br />

mancata adozione di esso al tempo in cui si verificò il fatto penalmente rilevante 872 .<br />

870 M. L. MINNELLA, op. cit.<br />

871 M. L. MINNELLA, op. cit.<br />

872 M. L. MINNELLA, op. cit.<br />

185


CAPITOLO V<br />

PROGETTI DI RIFORMA, SPUNTI DI DIRITTO PENALE COMPARATO<br />

ED AUSPICATA DEFINIZIONE DI UN TERTIUM GENUS NELL’AMBITO<br />

DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO<br />

SOMMARIO: 1. Progetti di riforma del codice penale italiano – 2. La recklessness nell’ordinamento<br />

inglese – 3. La mise en danger francese – 4. Il cosciente desprecio por la vida de los demas – 5.<br />

Verso la definizione di un tertium genus nell’ambito dell’elemento soggettivo? – 6. Considerazioni<br />

conclusive.<br />

1. Progetti di riforma del codice penale italiano<br />

È opportuno fare riferimento ai più o meno recenti progetti di riforma del codice<br />

penale italiano che si sono susseguiti a partire dagli anni Novanta del secolo scorso,<br />

i quali hanno tentato di proporre, tra l’altro, nuove formulazioni delle definizioni di<br />

dolo e colpa, nell’ottica di un miglioramento dell’attuale assetto indicato dall’art. 43: si<br />

tratta, in ordine cronologico, dei progetti Pagliaro, Riz, Grosso, Nordio e Pisapia. In<br />

estrema sintesi, il primo si limita a porre principi generali ai quali avrebbe dovuto<br />

ispirarsi il legislatore delegato (veniva, infatti, prescelto lo strumento normativo della<br />

delega legislativa) nella formulazione delle definizioni di dolo e colpa; il secondo<br />

recepisce, sostanzialmente, la teoria dell’accettazione del rischio 873 ; i progetti Grosso<br />

e Nordio, come si vedrà, in effetti manifestano, per quel che attiene alla definizione<br />

del dolo, non già un progresso, bensì un regresso rispetto all’attuale art. 43,<br />

incorrendo nell’errore di svalutazione della componente volitiva del dolo eventuale e<br />

dando adito a tendenze di oggettivizzazione e normativizzazione del dolo eventuale<br />

stesso; con riferimento alla colpa, il progetto Grosso tenta una definizione di “delitto<br />

colposo” maggiormente complessa ed “arricchita” rispetto a quella attuale, quando<br />

invece il progetto Nordio appare, rispetto al progetto Grosso, “di retroguardia” anche<br />

su questo frangente 874 ; il progetto Pisapia, infine, prospetta una definizione di dolo<br />

eventuale che potrebbe essere, in linea di massima, condivisibile 875 . D’altra parte,<br />

per quel che attiene alla colpa, l’ultimo progetto citato elimina l’aggravante prevista<br />

specificamente per la colpa “con previsione”, postulando una categoria generale di<br />

“colpa grave” non necessariamente coincidente con la colpa cosciente, e che debba<br />

essere individuata tenuto conto della concreta situazione, anche psicologica,<br />

dell’agente, nonché della pericolosità della condotta e della rilevanza della violazione<br />

di regole cautelari 876 .<br />

Passando all’analisi dettagliata dei progetti de lege ferenda elencati, occorre<br />

prendere le mosse dal meno recente fra essi, ossia il progetto Pagliaro del 1992.<br />

Esso, come si è accennato, presceglie l’adozione dello strumento normativo della<br />

delega legislativa, e da tale aspetto deriva la “povertà” degli elementi offerti 877 :<br />

873 F. CURI, op. ult. cit., 41 – 42.<br />

874 D. CASTRONUOVO, op. cit., 260, 268.<br />

875 In questo senso, G. CERQUETTI, op. cit., 655 – 658 (per quel che attiene ai progetti Grosso e<br />

Nordio); 663 – 664 (relativamente al progetto Pisapia).<br />

876 D. CASTRONUOVO, op. cit., 271.<br />

877 D. CASTRONUOVO, op. cit., 254.<br />

186


quanto al dolo, ci si limitò a proporre la formulazione di una definizione la quale<br />

comprendesse in modo univoco anche il dolo eventuale e che richiedesse, in ogni<br />

caso, la necessità che il soggetto fosse consapevole del significato del fatto 878 ; per<br />

quel che riguarda la colpa, l’unica indicazione rivolta al legislatore delegato<br />

prevedeva che la formulazione della relativa definizione avrebbe dovuto essere<br />

effettuata in modo tale che, in qualsiasi forma di colpa, l’imputazione si sarebbe<br />

fondata su un criterio strettamente personale 879 .<br />

Il progetto Riz del 1995, invece, assume la forma del procedimento di iniziativa<br />

parlamentare, abbandonando lo strumento normativo della delega legislativa 880 . Per<br />

quanto concerne il dolo eventuale, il disegno di legge specificava che sarebbe stato<br />

responsabile a titolo di dolo anche chi avesse previsto “l’evento come conseguenza<br />

inevitabilmente connessa e concretamente possibile della propria azione od<br />

omissione” e ne avesse accettato il rischio 881 . Quanto alla definizione del delitto<br />

colposo, gli unici tratti di innovazione rispetto all’attuale art. 43 sono dati dalla<br />

espressa menzione del requisito di “prevedibilità” dell’evento, nonché dalla<br />

previsione di una forma di “imperizia grave” per l’ipotesi in cui l’evento fosse stato<br />

conseguenza di prestazione d’opera che implicasse la soluzione di problemi tecnici<br />

di speciale difficoltà 882 . Come si è già osservato, il progetto Riz sembra accogliere,<br />

per quel che riguarda la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, la teoria<br />

dell’accettazione del rischio 883 .<br />

Il progetto Grosso, in una prima fase (art. 30 dell’articolato approvato il 12<br />

settembre 2000), attribuiva la responsabilità a titolo di dolo nei confronti del soggetto<br />

che avesse agito con l’intenzione di realizzare il fatto, oppure nei confronti di chi<br />

avesse agito essendosi rappresentato “la realizzazione del fatto come certa, ovvero<br />

come altamente probabile, accettandone il rischio” 884 ; una successiva formulazione<br />

(art. 17 dell’articolato approvato il 26 maggio 2001) prevede, invece, l’attribuzione<br />

della responsabilità per dolo in capo a chi “con una condotta volontaria attiva od<br />

omissiva realizza un fatto costitutivo di reato: a) se agisce con l’intenzione di<br />

realizzare il fatto; b) se agisce rappresentandosi la realizzazione del fatto come certa;<br />

c) se agisce accettando la realizzazione del fatto, rappresentato come probabile”.<br />

Nell’ambito di entrambe le formulazioni, appare condivisibile la scelta di introduzione<br />

del riferimento al “fatto di reato”, in grado di eliminare le possibili incertezze in ordine<br />

alla determinazione ed individuazione dell’oggetto del dolo; tuttavia, non sono<br />

valutabili in senso positivo i riferimenti alla previsione in termini di “alta probabilità” o,<br />

nella seconda formulazione, “probabilità”: il rischio insito in approcci di questo genere<br />

è quello di dare adito a tendenze di oggettivizzazione e normativizzazione del<br />

878<br />

F. CURI, op. ult. cit., 41.<br />

879<br />

D. CASTRONUOVO, op. cit., 253. L’Autore definisce, giustamente, “esangue” tale indicazione<br />

rivolta al legislatore delegato.<br />

880<br />

D. CASTRONUOVO, op. cit., 255.<br />

881<br />

F. CURI, op. ult. cit., 41.<br />

882<br />

D. CASTRONUOVO, op. cit., 256. L’Autore riporta la definizione di “delitto colposo” rilevabile<br />

all’interno del disegno di legge in questione: “Il delitto è colposo, o contro l’intenzione, se l’evento,<br />

anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica come effetto prevedibile di negligenza o<br />

imprudenza o imperizia ovvero inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Se l’evento è<br />

conseguenza di prestazione d’opera che implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà,<br />

l’imperizia deve essere grave.”<br />

883<br />

In questo senso, F. CURI, op. ult. cit., 41 – 42.<br />

884 G. CERQUETTI, op. cit., 655.<br />

187


contenuto volitivo del dolo, attraverso l’agevolazione della presunzione di<br />

sussistenza dell’elemento volitivo in presenza di un elemento intellettivo che assuma<br />

i connotati di rappresentazione in termini di “elevata probabilità” o, comunque, in<br />

termini di “probabilità” intesa come concetto più pregnante rispetto alla “mera<br />

possibilità”. Le conseguenze di assetti di questo genere sarebbero, invero, due: da<br />

un lato, un’indebita estensione della responsabilità dolosa attraverso<br />

l’oggettivizzazione del dolo; dall’altro, un’indebita restrizione della responsabilità<br />

dolosa, limitata alle sole ipotesi in cui la rappresentazione si configuri come<br />

previsione in termini di “elevata probabilità”, o “probabilità” intesa come concetto<br />

distinto rispetto alla “mera possibilità” 885 , con esclusione, parallelamente, delle ipotesi<br />

in cui, seppur a fronte di un elemento intellettivo meno pregnante, vi fosse stata una<br />

“messa in conto” della realizzazione del fatto di reato, ovvero una presa di posizione<br />

della volontà, con “disponibilità” alla realizzazione del fatto di reato.<br />

D’altra parte, può essere valutata in modo sommariamente positivo la<br />

definizione della responsabilità per colpa prospettata dal progetto Grosso: “Risponde<br />

a titolo di colpa chi, con una condotta che viola regole di diligenza, o di prudenza, o<br />

di perizia, ovvero regole cautelari stabilite da leggi, regolamenti, ordini o discipline,<br />

realizza un fatto costitutivo di reato che è conseguenza prevedibile ed evitabile<br />

dell’inosservanza della regola cautelare”. Anzitutto, si può notare la costruzione di<br />

tipo “ascrittivo”: la norma non definisce il “reato colposo”, bensì fissa i criteri di<br />

imputazione in base ai quali debba sorgere la responsabilità colposa 886 ; in secondo<br />

luogo, non può non notarsi, anche in tale caso, il riferimento al “fatto costitutivo di<br />

reato”, il quale elimina le possibili controversie in ordine all’interpretazione del<br />

concetto di “evento” 887 ; inoltre, è significativa l’introduzione espressa dei requisiti di<br />

“prevedibilità” ed “evitabilità” 888 ; infine, si è anche notato che il riferimento “in positivo”<br />

alle regole di diligenza, prudenza o perizia (e non, in negativo, al comportamento<br />

“negligente”, “imprudente”, o “imperito”) potrebbe valorizzare correttamente la<br />

dimensione normativa della colpa, al contempo scongiurando i rischi di<br />

identificazione della colpa attraverso suggestioni di carattere morale 889 .<br />

Il progetto Nordio, del resto, rappresenta un “regresso” sia sotto il profilo della<br />

definizione del dolo, sia con riguardo alla definizione della colpa: la definizione del<br />

“reato doloso” è sostanzialmente analoga a quella prospettata dalla prima<br />

formulazione del progetto Grosso 890 ; mentre quella del “reato colposo” ricalca, in<br />

pratica, l’attuale assetto ricavabile dall’art. 43 c.p., eccezion fatta che per<br />

l’introduzione di un requisito di “concreta prevedibilità” della conseguenza lesiva e di<br />

un espresso riferimento alla natura “cautelare” delle regole “di fonte specifica” violate.<br />

885 G. CERQUETTI, op. cit., 655 – 656.<br />

886 D. CASTRONUOVO, op. cit., 263.<br />

887 D. CASTRONUOVO, op. cit., 262.<br />

888 D. CASTRONUOVO, op. cit., 264. L’Autore osserva che il requisito della “prevedibilità”, in<br />

particolare, dovrebbe, almeno in parte, limitare i rischi di una eccessiva normativizzazione ed<br />

oggettivizzazione della colpa, sottraendola alla logica del versari in re illicita.<br />

889 D. CASTRONUOVO, op. cit., 263 – 264.<br />

890 G. CERQUETTI, op. cit., 657. Si riporta anche la testuale definizione di “reato doloso”<br />

contenuta all’interno del progetto Nordio: “Il reato è doloso quando l’agente compie la condotta attiva<br />

od omissiva con l’intenzione di realizzare l’evento dannoso o pericoloso costitutivo del reato, ovvero<br />

con la rappresentazione che, a seguito della sua condotta, la realizzazione dell’evento offensivo è<br />

certa o altamente probabile”. Appare un ulteriore elemento di “regresso” il ritorno all’utilizzo del<br />

riferimento all’”evento”, anziché al “fatto di reato”.<br />

188


Passando al progetto Pisapia (2006 – 2007), esso è stato caratterizzato da un<br />

mutamento fra versione originaria e versione finale delle definizioni di “reato doloso”<br />

e “reato colposo”. La versione originaria, all’art. 16, comma 1, del disegno di legge<br />

delega, prevede che “b) il reato sia doloso quando l’agente si rappresenta<br />

concretamente e vuole il fatto che lo costituisce; c) il reato sia doloso anche quando<br />

l’agente accetti il fatto rappresentato come altamente probabile e l’accettazione sia<br />

desumibile da elementi univoci, salva in tal caso l’applicazione di un’attenuante<br />

facoltativa; c) il reato sia colposo quando il fatto che lo costituisce non è voluto<br />

dall’agente e questi lo realizzi come conseguenza concretamente prevedibile ed<br />

evitabile dell’inosservanza di regole di diligenza, di prudenza o di perizia ovvero di<br />

regole cautelari stabilite da leggi, regolamenti, ordini o atti di autonomia privata” 891 .<br />

Per quel che riguarda la definizione di “reato doloso”, appare condivisibile,<br />

ancora una volta, il riferimento al “fatto che costituisce reato” quale oggetto di<br />

rappresentazione e volontà 892 . Ma, soprattutto, appare condivisibile la valorizzazione<br />

del dolo inteso come rappresentazione e volontà 893 . Meno positiva risulta invece, a<br />

parere di chi scrive, la scelta di introdurre, ai fini del dolo eventuale, il requisito della<br />

rappresentazione in termini di “alta probabilità”, in quanto una “presa di posizione<br />

della volontà”, intesa come “disponibilità” alla realizzazione del reato, è astrattamente<br />

effettuabile anche a fronte della sussistenza di un elemento rappresentativo dotato di<br />

pregnanza minore rispetto alla rappresentazione dell’elevata probabilità. Altra novità<br />

è data dall’introduzione dell’avverbio “concretamente”: in sostanza, viene affermato<br />

un espresso requisito di concretezza con riferimento alla rappresentazione della<br />

realizzazione del fatto necessaria ai fini del dolo eventuale; tale apporto non è stato<br />

valutato positivamente da una parte di dottrina, la quale ha rimarcato la necessità di<br />

mantenimento della distinzione fra diritto sostanziale e diritto processuale 894 . Alcune<br />

riflessioni debbono essere sviluppate anche con riguardo all’introduzione del<br />

requisito, necessario ai fini del dolo eventuale, della risultanza dell’“accettazione” da<br />

“elementi univoci”: se lo scopo dei compilatori del progetto era quello di contrastare<br />

le tendenze di oggettivizzazione o normativizzazione del dolo, ovvero di affermazione<br />

del dolus in re ipsa, si è notato che, viceversa, in tal modo si giunge con l’includere il<br />

dolo all’interno del fatto tipico, e tale tendenza sarebbe derivante, a sua volta, dalle<br />

impostazioni fondate sull’oggettivizzazione e normativizzazione del dolo 895 .<br />

Quanto alla definizione di “reato colposo”, quella prospettata dalla prima<br />

formulazione del progetto Pisapia presenta una evidente lacuna: il mancato<br />

riferimento espresso alla “non necessità” della rappresentazione, ai fini della<br />

responsabilità colposa 896 . Tale lacuna è stata colmata nella formulazione definitiva<br />

del 22 novembre 2007.<br />

La suddetta formulazione finale modifica anche il tenore letterale della nozione<br />

di “reato doloso”: si prevede che “b) il reato sia doloso quando l’agente si rappresenti<br />

concretamente e voglia il fatto che lo costituisce; c) il reato sia doloso anche quando<br />

l’agente voglia il fatto, la cui realizzazione sia rappresentata come altamente<br />

probabile, solo per averlo accettato, e ciò risulti da elementi univoci”. La sostanza<br />

891 Le definizioni in questione sono riportate da G. CERQUETTI, op. cit., 663.<br />

892 G. CERQUETTI, op. cit., 663 – 664.<br />

893 G. CERQUETTI, op. cit., 664.<br />

894 G. CERQUETTI, op. cit., 672.<br />

895 G. CERQUETTI, op. cit., 673.<br />

896 G. CERQUETTI, op. cit., 666.<br />

189


non sembra mutare in modo significativo, se non per una maggior specificazione del<br />

fatto che l’“accettazione” sia non già una componente a sé stante ed autonoma,<br />

bensì una specie del genere “volontà” 897 .<br />

Ritornando, in conclusione, sul versante della colpa, il progetto Pisapia elimina<br />

l’aggravante prevista per la colpa cosciente, sul presupposto di partenza in base al<br />

quale non necessariamente la condotta di chi agisca avendo riflettuto sulla possibilità<br />

(magari remota) di realizzazione di risultati lesivi sia più grave rispetto alla condotta<br />

di chi agisca senza porsi alcuno scrupolo di sorta 898 . Si propone, invece, una<br />

categoria generale di “colpa grave”, da identificarsi “quando, tenendo conto della<br />

concreta situazione anche psicologica dell’agente, sia particolarmente rilevante<br />

l’inosservanza delle regole ovvero la pericolosità della condotta, sempre che tali<br />

circostanze oggettive siano manifestamente riconoscibili” 899 . La Commissione, in<br />

particolare, riteneva che la colpa grave, giustificando una più rigida risposta<br />

sanzionatoria, avrebbe potuto evitare, in determinate fattispecie, il rischio di<br />

“scivolare” verso il dolo eventuale 900 .<br />

Allo stato attuale, le definizioni di dolo e colpa non sono state riformate, e resta<br />

in vita l’originario art. 43 c.p.<br />

2. La recklessness nell’ordinamento inglese<br />

La recklessness costituisce, nell’ambito del sistema penale inglese, una forma<br />

autonoma di colpevolezza, parallelamente ad intention e negligence: si tratta,<br />

dunque, di una terza forma di elemento soggettivo 901 . In particolare, intention e<br />

recklessness rappresentano le ipotesi più frequenti e comuni di imputazione<br />

soggettiva, mentre la negligence assume un ruolo del tutto marginale e residuale 902 ;<br />

addirittura, con riguardo alla negligence, sono stati avanzati dubbi circa la fondatezza<br />

della relativa rilevanza penale 903 .<br />

897<br />

Mentre il dubbio se l’“accettazione” costituisse una specie della “volontà” o se, invece, fosse<br />

un elemento a sé stante poteva sorgere alla luce della precedente formulazione, come evidenzia G.<br />

CERQUETTI, op. cit., 668.<br />

898<br />

D. CASTRONUOVO, op. cit., 270 – 271.<br />

899<br />

Citazione della Relazione Pisapia, evidenziata da D. CASTRONUOVO, op. cit., 271.<br />

900<br />

D. CASTRONUOVO, op. cit., 272.<br />

901<br />

F. CURI, Tertium datur, 47.<br />

902<br />

F. CURI, op. ult. cit., 67.<br />

903<br />

F. CURI, op. ult. cit., 65 – 70. In sintesi, si osserva che se, da un lato, il sistema penale<br />

inglese vede affermato il principio della mens rea intesa quale elemento necessario ai fini<br />

dell’attribuzione della responsabilità penale (parallelamente ad un elemento oggettivo, comprendente<br />

condotta ed evento, nonché al nesso di causalità), dall’altro possono sorgere dubbi circa l’estensione<br />

del concetto di mens rea. Un certo orientamento giurisprudenziale e dottrinale sostiene che soltanto<br />

intention e recklessness possano rientrare nell’ambito della mens rea. Alcuni autori hanno osservato<br />

che, con riferimento alla negligence, soltanto la gross negligence potrebbe assumere rilevanza<br />

penale, mentre per le ipotesi residuali risulterebbero più idonei gli apparati civilistici. Glanville Williams,<br />

autorevole esponente della dottrina giuridica inglese, ha evidenziato che la colpa incosciente<br />

mancherebbe dello “stato mentale” necessario ai fini della configurazione della mens rea: attribuendo<br />

rilevanza penale ad essa, si giungerebbe ad accollare all’agente responsabilità per un fatto solamente<br />

sulla base della divergenza fra condotta concretamente realizzata e standard comportamentale<br />

richiesto, in mancanza di qualsiasi elemento di “decisione” di causare il danno o, quantomeno,<br />

“previsione” di realizzazione di esso; il che, peraltro, frustrerebbe la funzione deterrente della sanzione<br />

190


È necessario fare riferimento a due tipologie di recklessness: una prima<br />

tipologia di stampo soggettivo (modello Cunningham); una seconda di stampo<br />

oggettivo (modello Caldwell/ Lawrence). Va premesso, inoltre, che, attualmente,<br />

risulti affermata in misura maggiore la recklessness di tipo soggettivo, a seguito del<br />

caso Gemmel del 2003 904 , con il quale è stata abbandonata la recklessness di<br />

stampo oggettivo per i criminal damages.<br />

La recklessness di stampo soggettivo vede la propria prima comparsa, in effetti,<br />

molto prima rispetto al caso Cunningham (1957): nel 1902 venne teorizzata dal prof.<br />

Kenny come forma di colpevolezza caratteristica del soggetto che, avendo previsto la<br />

possibilità di produzione di una conseguenza dannosa tramite la tenuta di una<br />

determinata condotta, abbia ugualmente persistito in detta condotta, con assunzione<br />

consapevole del rischio delle relative conseguenze 905 . Con il caso Cunningham 906 ,<br />

tale impostazione iniziò a divenire un precedente vincolante 907 .<br />

Nel 1981, tuttavia, tramite due sentenze pronunciate nello stesso giorno<br />

(rispettivamente sul caso Caldwell e sul caso Lawrence), fu affermata un’estensione<br />

della rilevanza penale della recklessness alle ipotesi in cui il soggetto avesse<br />

assunto un rischio “ovvio e serio”, senza aver riflettuto se esso ricorresse o meno; i<br />

caratteri di “ovvietà” e “serietà” del rischio sarebbero stati valutati in base al<br />

parametro della “persona mediamente ragionevole” 908 .<br />

La recklessness di tipo oggettivo, come formulata in occasione delle decisioni<br />

sui casi Caldwell e Lawrence, si presta a vari ordini di critiche negative: anzitutto, la<br />

non necessità dell’effettiva previsione del rischio comporta la configurazione di una<br />

forma di imputazione la quale crea dubbi di appartenenza alla categoria della mens<br />

rea 909 ; in secondo luogo, poiché la valutazione dell’“ovvietà” e “serietà” del rischio<br />

viene prospettata con riferimento al parametro oggettivo dell’uomo medio, la<br />

recklessness di tipo oggettivo tende a conferire rilevanza penale anche alla condotta<br />

del soggetto che avesse agito in una situazione di limitata capacità di intendere e<br />

volere, senza valutazione dell’effettiva possibilità di percezione del rischio da parte<br />

dell’agente concreto 910 ; inoltre, parrebbe crearsi una lacuna per l’ipotesi in cui<br />

l’agente riconosca il rischio ma confidi nella non realizzazione del risultato lesivo 911 ,<br />

con la conseguenza per cui la recklessness di tipo Caldwell includerebbe l’ipotesi del<br />

penale, dal momento che essa può esplicarsi solo qualora la sanzione stessa venga comminata su<br />

fatti relativamente ai quali i soggetti possano esercitare controllo.<br />

904<br />

Per il caso Gemmel è possibile consultare www.publications.parliament.uk<br />

905<br />

F. CURI, op. ult. cit., 73.<br />

906<br />

Nel caso di specie, un soggetto aveva strappato dal muro della cantina di una casa<br />

disabitata un contatore del gas al fine di prelevare il denaro che si trovava ivi nascosto; tale azione<br />

aveva comportato una fuga di gas, il quale era stato inalato dalla vittima stanziata nella abitazione<br />

adiacente, creando una situazione di pericolo di vita. In primo grado, l’imputato era stato condannato<br />

per aver agito maliciously, ma la Corte d’Appello giudica lo stesso imputato non colpevole, in quanto<br />

egli aveva agito non essendo a conoscenza del fatto (o non avendo riflettuto sul fatto) che il gas<br />

avrebbe potuto essere inalato da qualcuno: non era possibile, dunque, individuare una deliberata e<br />

consapevole assunzione di rischio (F. CURI, op. ult. cit., 76).<br />

907<br />

F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

908<br />

F. CURI, op. ult. cit., 74 – 75. Il caso Caldwell, in particolare, vide l’affermazione della<br />

recklessness di stampo oggettivo con riguardo ai reati contro la proprietà, mentre il caso Lawrence<br />

estese tale tipo di recklessness ai reati contro la persona.<br />

909<br />

F. CURI, op. ult. cit., 79.<br />

910 F. CURI, op. ult. cit., 83.<br />

911 F. CURI, op. ult. cit., 81.<br />

191


soggetto che agisca senza effettuazione di alcuna valutazione, ed escluderebbe le<br />

ipotesi di erronea valutazione del rischio 912 .<br />

Con riferimento all’ultimo problema citato (la lacuna della recklessness di tipo<br />

Caldwell), va osservato che la giurisprudenza non ceda, tuttavia, alla soluzione<br />

assolutoria, provvedendo a colmare la lacuna in via interpretativa 913 . Emblematico in<br />

tal senso è il caso Shimmen, in cui si ritenne che il soggetto avesse agito con la<br />

consapevolezza di aver solamente “ridotto”, ma non “eliminato”, i rischi: in tal modo,<br />

tuttavia, si ritorna all’affermazione di una recklessness di tipo soggettivo 914 .<br />

Per quel che riguarda, del resto, la problematica inerente le ipotesi in cui<br />

l’agente versasse in stato di ridotta capacità di prevedere o percepire il rischio, si<br />

osserva che, tramite l’utilizzo del solo parametro oggettivo del “soggetto mediamente<br />

ragionevole”, si potrebbe giungere a configurare ipotesi di responsabilità oggettiva 915 ;<br />

inoltre, viene in questione la frustrazione della funzione deterrente della pena, poiché<br />

l’efficacia di tale funzione presuppone che il destinatario della pena stessa sia un<br />

soggetto capace di orientare le scelte sui propri comportamenti 916 .<br />

Occorre precisare che l’affermazione della recklessness di tipo Caldwell/<br />

Lawrence del 1981 non ha significato l’abbandono della recklessness di tipo<br />

soggettivo. In base a quanto si affermo nel 1983 con il caso Seymour, l’accezione<br />

Caldwell avrebbe dovuto essere applicata con riguardo ai reati di creazione<br />

legislativa, mentre l’accezione Cunningham avrebbe potuto essere applicata per i<br />

reati di creazione giurisprudenziale; il tutto salvo deroghe del legislatore in senso<br />

diverso 917 . Tuttavia, nel 1991, con il caso Spratt, si sostenne che l’originaria<br />

impostazione delineata con il caso Caldwell intendesse applicare la recklessness di<br />

tipo oggettivo non a qualsiasi criminal Statute, bensì solamente al Criminal Damage<br />

Act del 1971: in tal modo, si riapriva la strada per l’applicazione della recklessness di<br />

tipo Cunningham ai reati di creazione legislativa. Effettivamente, il modello<br />

Cunningham fu riaffermato in vari ambiti: ad esempio, per i reati in materia sessuale,<br />

per l’ipotesi di recklessy furnishing false information, per i reati di furto mediante<br />

inganno, ovvero per i casi di lesioni personali disciplinate per legge 918 .<br />

Una svolta ulteriore è rappresentata dal già citato caso Gemmel (2003), il quale<br />

ha prospettato l’abbandono del modello Caldwell con riferimento ai reati di<br />

danneggiamento: nel caso di specie, si ritenne di non poter applicare il criterio di<br />

“ovvietà” tenuto conto del parametro del “soggetto mediamente ragionevole” al fatto<br />

commesso da due bambini di undici e dodici anni, affermandosi che la recklessness<br />

possa dirsi sussistente qualora l’agente, essendo consapevole della potenziale<br />

912 F. CURI, op. ult. cit., 82 – 83.<br />

913 F. CURI, op. ult. cit., 98.<br />

914 F. CURI, op. ult. cit., 82. Il caso di cui trattasi vedeva l’imputato accusato del<br />

danneggiamento di una vetrina: egli, esperto di arti marziali, voleva dimostrare la propria abilità nello<br />

sferrare un calcio il più possibile vicino alla vetrina senza colpirla; tuttavia, la ruppe.<br />

915 Così osserva F. CURI, op. ult. cit., 84, con particolare riferimento ad un caso in cui fu ritenuta<br />

responsabile per la distruzione di un capanno tramite incendio una ragazzina di 14 anni con ridotte<br />

capacità intellettive.<br />

916 F. CURI, op. ult. cit., 86.<br />

917 F. CURI, op. ult. cit., 89 – 90.<br />

918 F. CURI, op. ult. cit., 90 – 93.<br />

192


scaturigine di un rischio, lo assuma e, in base alle circostanze a lui note, sarebbe<br />

stato irragionevole farlo 919 .<br />

Volendo trarre conclusioni con riguardo all’inquadramento dogmatico della<br />

recklessness ipotizzando analogie con le categorie del dolo e della colpa, si può<br />

anzitutto osservare che la recklessness di tipo Cunningham risulti molto affine al dolo<br />

eventuale: infatti, consiste nella consapevole assunzione di un rischio irragionevole,<br />

con persistenza nella tenuta di una determinata condotta, nonostante la<br />

consapevolezza del fatto che possa determinarsi un evento lesivo 920 . Tuttavia, si è<br />

visto anche come la giurisprudenza tenda ad estendere la sfera della recklessness di<br />

tipo Cunningham anche a casi che, nell’ambito dell’ordinamento italiano, sono stati<br />

tradizionalmente inquadrati come colpa cosciente, sulla base della “fiducia nella non<br />

verificazione dell’evento”: in particolare, si è fatto riferimento al caso Shimmen 921 , in<br />

cui si sostenne che l’imputato fosse stato consapevole di aver ridotto ma non<br />

eliminato i rischi. La recklessness di tipo Caldwell, viceversa, tende a conglobare in<br />

sé ipotesi che sembrano affini alla colpa incosciente, ritenendo non necessario che il<br />

soggetto fosse stato effettivamente consapevole dell’assunzione di un rischio<br />

irragionevole, ma sufficiente che detto rischio fosse “ovvio” e “serio” agli occhi di un<br />

soggetto mediamente ragionevole; si è osservato anche che un’impostazione di tale<br />

genere crei una lacuna per le ipotesi in cui il soggetto avesse agito con la “fiducia<br />

nella non verificazione dell’evento”, e che tale lacuna sia stata tradizionalmente<br />

colmata dalla giurisprudenza con richiamo alla recklessness di tipo Cunningham.<br />

3. La mise en danger francese<br />

Anche nell’ambito dell’ordinamento francese è rilevabile una terza forma di<br />

imputazione soggettiva, sostanzialmente simile alla recklessness 922 , la quale si<br />

colloca a metà strada fra dolo e colpa, ed assume i connotati di “volontaria<br />

esposizione a pericolo” 923 : si tratta della mise en danger délibérée de la personne<br />

d’autrui.<br />

Tale terza forma di imputazione soggettiva è stata introdotta dal legislatore nel<br />

1992. Prima del 1992, le sole forme di imputazione soggettiva nell’ordinamento<br />

penale francese erano dolo e colpa, e risulta interessante notare come le “vecchie”<br />

disposizioni del codice penale francese prevedessero che, in caso di dolo eventuale,<br />

il giudice dovesse comminare la pena prevista per il reato colposo, avendo la facoltà<br />

di aumentarla in base alla gravità dell’atteggiamento psicologico dell’agente 924 : tale<br />

aspetto mette in luce l’estrema labilità del confine fra dolo eventuale e colpa, la quale<br />

non è di rilevanza meramente teorica, ma giunge a comportare conseguenze anche<br />

con riferimento agli aspetti relativi alla commisurazione della pena; ed il fatto che<br />

fosse prevista, come “base” per la determinazione della pena da applicarsi in caso di<br />

dolo eventuale, la pena prevista per il reato colposo, potrebbe essere inteso quasi<br />

919 Per il caso Gemmel e le relative considerazioni è possibile consultare<br />

www.publications.parliament.uk<br />

920 F. CURI, op. ult. cit., 101.<br />

921 F. CURI, op. ult. cit., 100.<br />

922 F. CURI, op. ult. cit., 112.<br />

923 F. CURI, op. ult. cit., 113.<br />

924 F. CURI, op. ult. cit., 112.<br />

193


come “ammissione”, da parte del legislatore, della “commistione” fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente.<br />

Ritornando all’assetto attualmente vigente, il fondamento normativo generale<br />

della mise en danger è dato dall’art. 121 – 3, comma 2, c.p. francese, il quale recita<br />

la seguente disposizione: “Toutefois, lorsque la loi le prévoit, il y a délit en cas de<br />

mise en danger délibérée de la personne d’autrui” (“Tuttavia, quando previsto dalla<br />

legge, vi è delitto in caso di deliberata messa in pericolo di altre persone” 925 ).<br />

Dunque, si tratta di una forma di responsabilità non ordinaria, bensì ammessa<br />

soltanto nei casi in cui la legge espressamente la preveda; e tali casi sono,<br />

attualmente, i seguenti: in primo luogo, la mise en danger è prevista come<br />

circostanza aggravante per i delitti di omicidio colposo (art. 221 – 6, comma 2,<br />

c.p. 926 ); in secondo luogo, essa è prevista con riguardo alle aggressioni involontarie<br />

all’integrità fisica, qualora si provochi un’incapacità totale al lavoro superiore ai tre<br />

mesi (art. 222 – 19, comma 2, c.p. 927 ), ovvero un’incapacità inferiore o uguale ai tre<br />

mesi (art. 222-20, comma 2, c.p. 928 ); la mise en danger è prevista, infine, con<br />

riferimento alla fattispecie denominata “des risques causés à autrui” (art. 223 – 1<br />

c.p.) 929 .<br />

In ognuno dei casi suddetti, si richiede che l’agente abbia commesso una<br />

“violazione manifestamente volontaria” di un “obbligo particolare di sicurezza o di<br />

prudenza” il quale sia “imposto dalla legge o da regolamento” 930 . Il requisito della<br />

“manifesta volontarietà” della violazione sembra corroborare ulteriormente la<br />

925 Traduzione personale. Il “tuttavia” iniziale si spiega per il fatto che il primo comma dell’art.<br />

121 – 3 disponga che non vi sia delitto in mancanza di “intenzione” (“Il n’y a point de crime ou de délit<br />

sans intention de le commettre”). Va, inoltre, precisato che la mise en danger goda di una<br />

collocazione autonoma all’interno dell’art. 121 – 3 solamente dal 1996: prima del 1996, essa era<br />

collocata congiuntamente alla colpa (F. CURI, op. ult. cit., 124 e nota 46).<br />

926 Il testo letterale dell’art. 221 – 6 è il seguente: “Le fait de causer, dans les conditions et selon<br />

les distinctions prévues à l'article 121-3, par maladresse, imprudence, inattention, négligence ou<br />

manquement à une obligation de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, la mort<br />

d'autrui constitue un homicide involontaire puni de trois ans d'emprisonnement et de 45 000 euros<br />

d'amende.<br />

En cas de violation manifestement délibérée d'une obligation particulière de prudence ou de<br />

sécurité imposée par la loi ou le règlement, les peines encourues sont portées à cinq ans<br />

d'emprisonnement et à 75 000 euros d'amende.”<br />

927 Art. 222 – 19 c.p. francese: “Le fait de causer à autrui, dans les conditions et selon les<br />

distinctions prévues à l'article 121-3, par maladresse, imprudence, inattention, négligence ou<br />

manquement à une obligation de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, une<br />

incapacité totale de travail pendant plus de trois mois est puni de deux ans d'emprisonnement et de<br />

30000 euros d'amende.<br />

En cas de violation manifestement délibérée d'une obligation particulière de prudence ou de<br />

sécurité imposée par la loi ou le règlement, les peines encourues sont portées à trois ans<br />

d'emprisonnement et à 45 000 euros d'amende.”<br />

928 Art. 222 – 20 c.p. francese: “Le fait de causer à autrui, par la violation manifestement<br />

délibérée d'une obligation particulière de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement,<br />

une incapacité totale de travail d'une durée inférieure ou égale à trois mois, est puni d'un an<br />

d'emprisonnement et de 15 000 euros d'amende.”<br />

929 F. CURI, op. ult. cit., 113, 137, 141. Per tale ricostruzione risulta interessante anche la<br />

consultazione dell’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr<br />

930 Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr<br />

194


disposizione di cui all’art. 121 – 3 c.p. 931 , laddove compare solamente l’espressione<br />

“mise en danger délibérée”. Ad ogni modo, il termine “délibéré”, di per sé, implica la<br />

necessità di una componente volitiva effettiva, cosciente, ponderata, la quale esclude<br />

la sufficienza di mere disattenzioni ai fini dell’integrazione della forma di<br />

responsabilità in questione 932 .<br />

La “violazione manifestamente deliberata” deve, poi, avere ad oggetto un<br />

obbligo di “prudenza” o di “sicurezza”: deve trattarsi, tuttavia, di un obbligo<br />

“particolare” ed “imposto da legge o regolamento”. Tale assetto esclude,<br />

sostanzialmente, che possa rilevare la colpa generica, poiché dovrà sussistere la<br />

violazione di un obbligo previsto dalla legge o da regolamento: il termine “legge”<br />

sembra indicare in modo non equivoco la legge in senso formale (promanata dal<br />

Parlamento), mentre più ambiguo potrebbe risultare il termine “regolamento”; ad ogni<br />

modo, considerate anche le precisazioni fornite dallo stesso legislatore, il termine in<br />

questione dovrebbe interpretarsi in senso restrittivo, attraverso il riferimento ai soli<br />

regolamenti intesi in senso costituzionale (deve trattarsi di un testo normativo che, in<br />

ogni caso, può essere promanato solo dallo Stato), e con esclusione degli atti di enti<br />

privati, di enti locali, del governo o dei regolamenti interni 933 . Ma vi è di più: in ogni<br />

caso, rileverà solamente la violazione di un obbligo “particolare”, con esclusione, di<br />

conseguenza, di obblighi “generali” di sicurezza o prudenza, quand’anche previsti da<br />

legge o regolamento 934 .<br />

Riassumendo, gli artt. 221 – 6, 222 – 19 e 222 – 20 prevedono, in ipotesi di<br />

realizzazione non volontaria di morte (art. 221 – 6) o incapacità totale di lavoro (artt.<br />

222 – 19 e 222 – 20), una forma di responsabilità aggravata rispetto alla colpa, la<br />

quale sussiste nel caso in cui detti eventi fossero stati realizzati per “violazione<br />

manifestamente deliberata di un obbligo particolare di prudenza o di sicurezza<br />

imposto per legge o regolamento”.<br />

Ancor più peculiare, tuttavia, è la responsabilità prevista dall’art. 223 – 1, la<br />

quale ricade sul soggetto agente a prescindere dalla realizzazione di un evento<br />

lesivo concreto, per il solo fatto che egli abbia “esposto direttamente altri ad un<br />

rischio immediato di morte o lesioni di carattere tale da generare una mutilazione o<br />

una malattia permanente, per violazione manifestamente deliberata di un obbligo<br />

particolare di prudenza o di sicurezza imposto per legge o per regolamento” 935 . Si<br />

tratta di una responsabilità che sorge per il solo fatto di aver tenuto una condotta<br />

rischiosa, senza che sia necessario l’essersi prodotto un danno concreto a causa di<br />

detta condotta 936 .<br />

931<br />

F. CURI, op. ult. cit., 150.<br />

932<br />

F. CURI, op. ult. cit., 141 e nota (99).<br />

933<br />

F. CURI, op. ult. cit., 140, 148, 149. Si veda anche l’articolo Le délit de risques causés à<br />

autrui in www.juripole.fr<br />

934<br />

A titolo esemplificativo, è di carattere “generale” l’obbligo, imposto al guidatore da parte del<br />

codice della strada, di essere costantemente padrone della velocità della propria autovettura, in<br />

ragione dello stato del fondo stradale, delle difficoltà nella circolazione e degli ostacoli provvisori;<br />

mentre è di carattere “particolare” l’obbligo di non eccedere la velocità di 130 km/h sulle autostrade (F.<br />

CURI, op. ult. cit., 139).<br />

935<br />

Il testo originale dell’art. 223 – 1 è il seguente: “Le fait d’exposer directement autrui à un<br />

risque immédiat de mort ou de blessures de nature à entrainer une mutilation ou une infirmité<br />

permanente par la violation délibérée d’une obligation particulière de prudence ou de sécurité<br />

imposée par la loi ou le règlement est puni d’un an d’emprisonnement et de 15.000 euros d’amende.”<br />

936<br />

F. CURI, op. ult. cit., 141.<br />

195


Dal momento che il fatto tipico previsto dall’art. 223 – 1 risulta integrato qualora<br />

sia stato creato un rischio di “morte” o “lesioni”, in sede di accertamento occorrerà<br />

valutare il livello di probabilità di realizzazione di detti eventi alla luce della tenuta<br />

della condotta rischiosa concretamente posta in essere dall’agente. Ai fini<br />

dell’effettuazione di tale valutazione, appare preferibile ritenere che l’onere della<br />

prova in ordine alla sussistenza della probabilità di realizzazione dell’evento lesivo<br />

debba gravare sulla pubblica accusa: e si tratta della soluzione preferibile non solo<br />

nell’ottica del principio di presunzione di innocenza, nonché al fine di evitare la<br />

repressione di mere violazioni di regole cautelari, bensì anche tenuto conto dei<br />

requisiti di “immediatezza” e carattere “diretto” del rischio creato, stabiliti dalla norma<br />

in esame 937 . Ciò che si richiede è la sussistenza di un nesso di causalità diretta fra<br />

condotta tenuta dall’agente e rischio 938 . Da notare il fatto che l’oggetto di<br />

“immediatezza” sia il rischio, e non la realizzazione dell’evento potenzialmente<br />

connesso al rischio 939 : sicché la responsabilità in questione sussiste, fermo restando<br />

il requisito dell’ “immediatezza del rischio”, anche qualora detto rischio non fosse di<br />

realizzazione “immediata” di morte o lesioni.<br />

Per quel che riguarda la “violazione manifestamente volontaria” e l’obbligo<br />

“imposto da legge o regolamento”, è sufficiente richiamare quanto già esposto sopra:<br />

la violazione deve essere “manifesta”, “cosciente” o “ponderata”, e deve essere<br />

relativa ad un obbligo particolare di prudenza o sicurezza, previsto dalla legge<br />

formale promanata dal Parlamento, ovvero da regolamento inteso in senso<br />

costituzionale e promanato dallo Stato 940 . Alcune precisazioni potrebbero essere<br />

necessarie, invece, per quanto riguarda il concetto di “particolarità” dell’obbligo<br />

violato: alcuni interpreti ritengono che l’aggettivo “particulière” nulla aggiunga al testo<br />

della norma; altri sostengono, invece, che esso debba essere interpretato nell’ottica<br />

di attribuzione ad esso di una valenza specifica; fra questi ultimi, alcuni interpretano<br />

l’aggettivo in questione come obbligo “particolarmente imperioso o ben conosciuto”,<br />

mentre altri lo considerano semplicemente come espressivo di un concetto contrario<br />

a quello di “obbligo generale” 941 .<br />

Inoltre, occorre precisare se, ai fini della responsabilità ex art. 223 – 1, fermo<br />

restando la necessità della “coscienza” della trasgressione di obblighi particolari di<br />

sicurezza o prudenza imposti da legge o regolamento, sia necessaria o meno anche<br />

la “coscienza/conoscenza” del potenziale danno: sembra preferibile l’interpretazione<br />

che richiede la conoscenza del potenziale danno, la quale non dovrebbe essere<br />

presunta in base alla sola conoscenza della trasgressione di regole cautelari;<br />

diversamente ragionando, si giungerebbe a reprimere la mera trasgressione di<br />

regole cautelari, ed a configurare una sorta di responsabilità oggettiva legata al<br />

versari in re illicita 942 . La preferibilità di una tale impostazione è supportata anche alla<br />

937<br />

F. CURI, op. ult. cit., 143. Accanto a tale soluzione, si rilevano altre due impostazioni: quella<br />

a sostegno di una “presunzione assoluta” della sussistenza del rischio in base al mero accertamento<br />

della violazione di regole cautelari, e quella a sostegno di una “presunzione semplice” nello stesso<br />

senso.<br />

938<br />

Si veda l’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr<br />

939<br />

F. CURI, op. ult. cit., 145.<br />

940<br />

Si veda l’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr<br />

941<br />

F. CURI, op. ult. cit., 147 – 148.<br />

942<br />

F. CURI, op. ult. cit., 151. In senso contrario alla presunzione di “messa in pericolo” si veda<br />

anche Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr<br />

196


luce di una dichiarazione del Ministro della Giustizia la quale, appunto, deponeva in<br />

tale senso 943 .<br />

Volendo trarre conclusioni di carattere generale sulla natura dogmatica della<br />

mise en danger, le posizioni dottrinali oscillano fra il considerarla una categoria affine<br />

al dolo eventuale, ovvero una categoria più simile alla colpa grave, che non ad una<br />

forma attenuata di dolo 944 . Peraltro, vi è anche chi sostiene l’impossibilità (e<br />

l’impraticabilità) di una distinzione netta fra dolo eventuale e colpa cosciente 945 : in<br />

accoglimento di tale impostazione, risulta positiva l’introduzione di una forma<br />

intermedia che sia in grado di costituire un ibrido fra dolo e colpa. È stato anche<br />

osservato che, fra le varie ipotesi specifiche per le quali la legge preveda la<br />

responsabilità per mise en danger délibérée, quella prevista dall’art. 223 – 1<br />

risulterebbe, per certi aspetti, assai vicina al dolo 946 .<br />

Resta da osservare il fatto che la mise en danger sia prevista, attualmente, in<br />

modo limitato ai reati contro la persona 947 : l’art. 223 – 1 prevede la responsabilità per<br />

la sola “messa in pericolo” della vita o dell’incolumità altrui, e trova applicazione per<br />

l’ipotesi in cui non si sia effettivamente verificato l’evento (morte o lesioni); qualora,<br />

invece, si siano verificati gli eventi “morte” o “lesioni”, troveranno applicazione gli artt.<br />

221 – 6, comma 2 (per l’evento “morte”), 221 – 19 e 220 – 20 (per l’evento “lesioni”),<br />

e la situazione descritta dall’art. 223 – 1 (“messa in pericolo manifestamente<br />

volontaria” con “violazione di un obbligo particolare imposto per legge o<br />

regolamento”) diviene una circostanza aggravante rispetto alle medesime fattispecie<br />

realizzate con mera colpa 948 .<br />

4. Il cosciente desprecio por la vida de los demas<br />

Ai fini dell’analisi del cosciente desprecio por la vida de los demas è necessario,<br />

in via preliminare, delineare sommariamente il quadro che caratterizza il sistema<br />

giuridico penale spagnolo con riferimento all’elemento soggettivo ed alla collocazione<br />

sistematica del dolo eventuale.<br />

L’ordinamento penale spagnolo è caratterizzato da una mera enunciazione<br />

generica di dolo e colpa, intesi come elementi psicologici del reato, senza che siano<br />

rinvenibili indicazioni espresse, da parte del legislatore, in ordine alla determinazione<br />

e delimitazione dei rispettivi contenuti e limiti, nonché delle sfumature che dolo e<br />

colpa possano assumere: ne consegue che tali operazioni siano rimesse<br />

all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale 949 .<br />

La produzione scientifica spagnola si è cimentata, in effetti, nell’individuazione<br />

della distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, dando luogo a due teorie: la<br />

teoria del consentimento e la teoria della probabilidad. La prima coincide,<br />

sostanzialmente, con la teoria del consenso interpretata congiuntamente alla prima<br />

formula di Frank, mentre la seconda identifica il dolo eventuale nell’ipotesi in cui<br />

943 F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

944 F. CURI, op. ult. cit., 124 – 126.<br />

945 F. CURI, op. ult. cit., 127.<br />

946 F. CURI, op. ult. cit., 155.<br />

947 F. CURI, op. ult. cit., 113.<br />

948 Si veda l’articolo Le délit de risques causés à autrui in www.juripole.fr<br />

949 F. CURI, op. ult. cit., 163.<br />

197


l’agente avesse realizzato la condotta a fronte della rappresentazione dell’elevata<br />

probabilità di realizzazione del risultato lesivo 950 . La prima fra esse valorizza una<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata sul profilo volitivo, dal<br />

momento che il consenso alla realizzazione del possibile evento dovrebbe<br />

configurare, appunto, una presa di posizione della volontà; la seconda, del resto,<br />

trascura totalmente il profilo volitivo, valorizzando unicamente la componente<br />

intellettiva 951 . Ulteriori contributi hanno tentato di valorizzare ulteriormente la<br />

distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente con riferimento all’elemento<br />

intellettivo: si è precisato che il dolo eventuale dovrebbe richiedere la<br />

rappresentazione dell’intero fatto tipico, nonché di un pericolo o rischio concreto, non<br />

essendo sufficiente la rappresentazione astratta di un pericolo 952 .<br />

Per quel che concerne la collocazione sistematica del dolo eventuale, sono<br />

rinvenibili quattro orientamenti: un primo di essi sostiene che il dolo eventuale<br />

consista, in realtà, in una forma di colpa; un secondo di essi valuta il dolo eventuale<br />

come appartenente effettivamente alla categoria del dolo; un terzo ritiene che il dolo<br />

eventuale inquadri una terza forma di elemento soggettivo, parallelamente rispetto a<br />

dolo e colpa; infine, un ultimo orientamento sostiene che il dolo eventuale non<br />

configuri una effettiva forma di elemento soggettivo e che, invece, consista in una<br />

forma di responsabilità oggettiva, ovvero presunzione di colpevolezza 953 .<br />

Il primo orientamento valorizza il fatto che la dimensione del “rischio eccessivo”<br />

sia strettamente connaturata alla colpa, e non già al dolo; si è anche sostenuto che,<br />

qualora venisse meno l’assunzione del “rischio eccessivo”, a nulla rileverebbe la<br />

considerazione dell’atteggiamento di determinazione contro il bene giuridico 954 .<br />

L’orientamento a favore della considerazione del dolo eventuale come vera e<br />

propria forma di dolo si basa, sostanzialmente, sulla teoria che valorizza la decisione<br />

contro il bene giuridico: il dolo eventuale si distinguerebbe dalla colpa in quanto<br />

caratterizzato da una coscienza della sussistenza del pericolo concreto, nonché da<br />

una “seria considerazione” di esso, e da una presa di posizione a favore della<br />

possibile realizzazione del fatto 955 .<br />

L’impostazione a favore dell’inquadramento del dolo eventuale come tertium<br />

genus evidenzia, invece, le analogie fra esso e l’istituto della recklessness: ad esso<br />

ha aderito anche parte della giurisprudenza la quale ha sollecitato il legislatore a<br />

disciplinare espressamente uno specifico trattamento per il dolo eventuale, con<br />

collocazione di esso ad un livello intermedio fra dolo e colpa 956 .<br />

L’ultimo orientamento citato propone una soluzione particolarmente drastica,<br />

sostenendo che il dolo eventuale non faccia altro che mascherare forme di<br />

presunzione iuris et de iure sul grado di colpevolezza: in quest’ottica la teoria della<br />

probabilità, in particolare, configurerebbe ipotesi di responsabilità oggettiva 957 .<br />

Il quadro delineato vede, in estrema sintesi, le indicazioni espresse del<br />

legislatore, le quali si limitano a prospettare una bipartizione dell’elemento soggettivo<br />

950 F. CURI, op. ult. cit., 166 – 169.<br />

951 F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

952 F. CURI, op. ult. cit., 169 – 170.<br />

953 F. CURI, op. ult. cit., 171, 177, 178.<br />

954 F. CURI, op. ult. cit., 172.<br />

955 F. CURI, op. ult. cit., 174.<br />

956 F. CURI, op. ult. cit., 175 – 176.<br />

957 F. CURI, op. ult. cit., 177 – 178.<br />

198


in dolo e colpa, senza determinazione delle sfumature che dette forme di<br />

imputazione possano assumere 958 ; nonché, parallelamente ad esse, le posizioni<br />

dottrinali e giurisprudenziali che tendono a ricondurre il dolo eventuale alla sfera della<br />

colpa o, addirittura, a negare che il dolo eventuale possa costituire una forma di<br />

autentica colpevolezza. A tale assetto si contrappone, tuttavia, la presenza di un<br />

istituto di parte speciale la cui analisi interessa particolarmente ai fini della presente<br />

tesi, e che presenta significative analogie con il dolo eventuale 959 : si tratta dell’attuale<br />

art. 381 c.p. (prima della riforma del 2007, si trattava dell’art. 384).<br />

L’attuale art. 381 prevede un espresso richiamo all’art. 380, e quest’ultimo<br />

prevede a sua volta un espresso richiamo all’art. 379: ragion per cui una trattazione<br />

esaustiva dell’art. 381 necessita del riferimento alle due ulteriori norme citate.<br />

L’art. 379 prevede la punibilità di chi “conduce un autoveicolo o un ciclomotore<br />

a velocità superiore a 60 km/h su strada urbana, o a 80 km/h su strada extraurbana”<br />

(punto 1), nonché di “colui che guida un autoveicolo o un ciclomotore sotto l’effetto di<br />

farmaci tossici, stupefacenti, sostanze psicotrope o bevande alcoliche” (punto 2,<br />

primo capoverso), ovvero “colui che guida con un tasso alcolico espirato nell’aria<br />

superiore a 0,60 milligrammi/litro, o con un tasso alcolico nel sangue superiore a 1,2<br />

grammi/litro” (punto 2, secondo capoverso) 960 . Si tratta, evidentemente, di una<br />

fattispecie di pericolo astratto; ad ogni modo, se, da un lato, non è necessario<br />

l’accertamento dell’effettività del pericolo creato, dall’altro la giurisprudenza<br />

costituzionale ha ritenuto che non sia sufficiente, ai fini dell’integrazione della<br />

fattispecie, il mero dato oggettivo consistente nel rilievo del tasso alcolico, ma è<br />

altresì necessario verificare che detto tasso alcolico abbia influenzato la condotta di<br />

guida 961 : in effetti, la norma fa riferimento alla guida “sotto l’effetto di” alcol o<br />

stupefacenti, e tale tenore letterale sembra doversi interpretare nel senso che si è<br />

appena precisato.<br />

L’art. 380, in secondo luogo, configura come penalmente rilevante la condotta<br />

di chi “guida un autoveicolo o un ciclomotore con manifesta temerarietà e pone in<br />

concreto pericolo le persone”, precisando che “ai fini della presente norma si<br />

reputerà manifestamente temeraria la guida in cui concorrano le circostanze previste<br />

al primo punto ed al secondo capoverso del secondo punto dell’articolo<br />

precedente” 962 . Anche il tal caso emerge una fattispecie di pericolo: si tratta, tuttavia,<br />

di pericolo concreto, per espressa previsione da parte della stessa norma di<br />

riferimento.<br />

L’art. 381, quindi, dispone la rilevanza penale della condotta di chi “con<br />

cosciente disprezzo per la vita altrui, mette in atto la guida descritta nell’articolo<br />

precedente”; si aggiunge, poi, la rilevanza penale, seppur con applicazione di<br />

sanzioni più lievi, dell’ipotesi in cui la condotta in questione non abbia posto in<br />

958 F. CURI, op. ult. cit., 178 – 179.<br />

959 F. CURI, op. ult. cit., 179. L’Autrice fa riferimento all’art. 384 in quanto l’opera in questione<br />

risale al 2003, mentre la riforma attuata nel 2007 ha comportato modifiche tali per cui la fattispecie che<br />

nel 2003 era prevista dall’art. 384 risulta, attualmente, collocata all’interno dell’art. 381. La riforma del<br />

2007 ha visto anche un aumento delle sanzioni previste per la fattispecie di cui all’attuale art. 381<br />

(vecchio art. 384). Per il confronto fra l’assetto antecedente alla riforma e l’assetto attuale, si è fatto<br />

riferimento all’articolo Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com<br />

960 Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com<br />

961 Delitos contra la seguridad del tràfico, in www.enciclopedia-juridica.biz14.com<br />

962 Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com<br />

199


pericolo concreto la vita o l’integrità fisica delle persone 963 . Si prevedono, quindi, due<br />

fattispecie: una di pericolo concreto; un’altra di pericolo astratto 964 , e sanzionata in<br />

modo più lieve rispetto a quella di pericolo concreto. La “guida descritta nell’articolo<br />

precedente” è, chiaramente, la guida “manifestamente temeraria”; e la guida<br />

“manifestamente temeraria” comprende, a sua volta, le ipotesi di guida “a velocità<br />

superiore a 60 km/h su strada urbana o a 80 km/h su strada extraurbana”, ovvero<br />

“con un tasso alcolico espirato nell’aria superiore a 0,60 milligrammi/litro o con un<br />

tasso alcolico nel sangue superiore a 1,2 grammi/litro”.<br />

Fermo restando tali collegamenti che coinvolgono gli artt. 379, 380 e 381,<br />

occorre precisare ulteriormente il concetto di “temerarietà manifesta”, inteso in senso<br />

generale, e non con sola considerazione dei riferimenti di cui agli artt. 379 e 380. La<br />

“temerarietà” può essere intesa come “omissione della diligenza più elementare<br />

richiesta ad un conducente medio” 965 ; deve trattarsi, altresì, di temerarietà<br />

“manifesta” e, dunque, evidente, chiara e notoria secondo il parametro<br />

dell’osservatore medio 966 .<br />

Beninteso che il riferimento alla violazione della “diligenza più elementare” non<br />

debba, tuttavia, indurre in errore circa l’elemento soggettivo della fattispecie, il quale<br />

consiste nel dolo avente ad oggetto le modalità di guida e l’esposizione a pericolo<br />

della vita altrui: ed in merito a quest’ultimo oggetto si ritiene sufficiente il dolo<br />

eventuale 967 . Viceversa, il dolo necessario ai fini dell’integrazione della fattispecie in<br />

questione non deve comprendere l’effettivo risultato lesivo 968 . L’art. 381, tuttavia,<br />

aggiunge un ulteriore connotazione soggettiva necessaria ai fini della rilevanza<br />

penale della fattispecie da esso descritta: il “cosciente disprezzo per la vita altrui”: il<br />

che giustifica l’aumento di pena rispetto all’attuale art. 380 (vecchio art. 381) 969 .<br />

A questo punto, è necessario descrivere le varie soluzioni interpretative che<br />

sono state proposte ai fini della collocazione sistematica dell’elemento soggettivo<br />

richiesto dall’art. 381. Risulta ormai datata una circolare del 1989, emessa dalla<br />

Fiscalia general, presso il Tribunal Supremo, la quale riteneva che per la “condotta<br />

temeraria” fosse necessario il dolo, mentre per le conseguenze che creassero il<br />

“pericolo concreto” fosse sufficiente la colpa cosciente o con previsione 970 . La<br />

circolare in questione precisava altresì che, qualora l’accettazione del rischio fosse<br />

stata effettuata con consapevolezza e con inclusione della possibilità di provocare la<br />

morte di un terzo, nel caso in cui l’evento non si fosse verificato si sarebbe dovuto<br />

riconoscere il tentato omicidio sorretto da dolo eventuale, mentre qualora l’evento si<br />

fosse verificato si sarebbe trattato di omicidio consumato 971 .<br />

Una seconda impostazione configura l’elemento soggettivo richiesto dall’art.<br />

381 come dolo eventuale: essa ritiene che “guidare un veicolo con cosciente<br />

963 Los nuevos delitos contra la seguridad vial, in www.datadiar.com<br />

964 F. CURI, op. ult. cit., 190. Si aggiunge che, fra le due distinte ipotesi, intercorre un rapporto<br />

di sussidiarietà, essendo la fattispecie di pericolo astratto applicabile soltanto qualora non sia<br />

ravvisabile il pericolo concreto.<br />

965 F. CURI, op. ult. cit., 181.<br />

966 F. CURI, op. ult. cit., 182. Delitos contra la seguridad del tràfico, in www.enciclopedia-<br />

juridica.biz14.com<br />

967 F. CURI, op. ult. cit., 182.<br />

968 F. CURI, op. ult. cit., 191.<br />

969 F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

970 F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

971 F. CURI, op. ult. cit., 192.<br />

200


disprezzo per la vita altrui” equivalga ad accettare il possibile o probabile risultato<br />

lesivo del bene “vita” 972 . Sulla base di tale assetto si è anche sostenuto che la<br />

fattispecie di cui all’attuale art. 381 configurerebbe una speciale ipotesi di tentativo<br />

sorretto dal solo dolo eventuale (e non suscettibile di essere sorretto anche dal dolo<br />

diretto) 973 . Ancora, si è evidenziato che il “cosciente disprezzo” tenda ad identificare,<br />

sostanzialmente, gli stessi caratteri attribuiti al dolo eventuale dalla teoria del<br />

consenso: in particolare, l’atteggiamento di indifferenza manifestato dall’agente nei<br />

confronti dei beni giuridici esposti a pericolo, stante la decisione di agire<br />

indipendentemente dal fatto che si realizzino o meno eventi lesivi 974 .<br />

Infine, va citata la posizione di chi rinviene nell’art. 381 un’ipotesi di dolo<br />

generico esclusivamente diretto, con esclusione del dolo indiretto e del dolo<br />

eventuale: tale impostazione si fonda sulla considerazione del dato testuale della<br />

norma, il quale sembra richiedere che l’agente sia esattamente consapevole di ciò<br />

che egli stia realizzando tramite la propria condotta 975 .<br />

5. Verso la definizione di un tertium genus nell’ambito dell’elemento soggettivo?<br />

L’analisi dei peculiari istituti presenti negli ordinamenti inglese, francese e<br />

spagnolo, il quali configurano forme di responsabilità che si collocano a metà strada<br />

fra dolo e colpa, permette di suscitare quantomeno l’interrogativo se non sarebbe<br />

opportuno o utile introdurre anche nell’ambito dell’ordinamento italiano un tertium<br />

genus di colpevolezza, espressivo di una rimproverabilità per volontaria assunzione<br />

di rischio, e conglobante in sé gli elementi propri delle attuali categorie del dolo<br />

eventuale e della colpa cosciente.<br />

A favore di una prospettiva di questo genere si è espressa parte della dottrina<br />

(principalmente Francesca Curi) la quale ha effettuato, appunto, l’analisi degli istituti<br />

della recklessness, della mise en danger délibérée e del cosciente desprecio por la<br />

vida de los demas non già in un’ottica comparatistica fine a sé stessa, bensì con<br />

l’obiettivo di trarne prospettive de iure condendo, nonché considerazioni e riflessioni<br />

sulla capacità del sistema penale italiano di istituire una terza forma di elemento<br />

soggettivo che si inquadri come intermedia fra dolo e colpa 976 .<br />

Fra i potenziali vantaggi dell’introduzione del tertium genus, inteso quale forma<br />

di imputazione soggettiva per assunzione consapevole di responsabilità da rischio, vi<br />

sarebbe, anzitutto, quella di eliminare i problemi e le difficoltà di distinzione netta fra<br />

categorie (dolo eventuale e colpa cosciente) i cui confini sono, in effetti,<br />

estremamente labili e di difficile individuazione 977 : si sostiene, dunque, che la<br />

ricostruzione di una categoria unitaria di responsabilità per assunzione di un “pericolo<br />

penalmente rilevante”, attualmente caratteristico sia del dolo che della colpa<br />

cosciente, potrebbe razionalizzare le operazioni di inquadramento dell’elemento<br />

soggettivo. Si è posto in evidenza che il modello tripartito rispecchierebbe meglio le<br />

dinamiche psicologiche proprie dell’agire umano: non risulterebbe, quindi,<br />

972 F. CURI, op. loc. ult. cit.<br />

973 F. CURI, op. ult. cit., 193.<br />

974 F. CURI, op. ult. cit., 194.<br />

975 F. CURI, op. ult. cit., 195.<br />

976 F. CURI, op. ult. cit., 3.<br />

977 F. CURI, op. ult. cit., 11.<br />

201


vantaggiosa un’impostazione bipartita (dolo/colpa), la quale imponga all’interprete un<br />

drastico “aut- aut” attraverso la definizione di una linea di demarcazione fra categorie<br />

i cui confini sono, in effetti, estremamente labili 978 .<br />

Del resto, l’introduzione del tertium genus potrebbe avere l’effetto positivo<br />

consistente nella rivalorizzazione della funzione sussidiaria del diritto penale:<br />

verrebbero, infatti, a delinearsi una categoria di dolo circoscritta alle ipotesi di dolo<br />

“intenzionale”, ed una seconda categoria identificata dalle ipotesi di “volontaria”/<br />

“consapevole” o “sconsiderata” assunzione di un rischio, che racchiuda in sé<br />

elementi propri del dolo eventuale e della colpa cosciente, con conseguente drastica<br />

riduzione delle ipotesi di applicazione della colpa incosciente; addirittura, si sostiene<br />

che la sanzione di ipotesi di colpa lieve dovrebbe essere demandata a rami<br />

extrapenali dell’ordinamento. Il tutto dovrebbe contrastare la tendenza che ha visto il<br />

diritto penale assumere i caratteri di uno “strumento di governo”, utilizzato con<br />

funzione “simbolica” 979 . Sul piano dell’applicazione della pena, alla luce dell’adozione<br />

di un modello tripartito, il compito di dosare l’entità della sanzione con riguardo al<br />

caso concreto sarebbe chiaramente assegnato al giudice: il che dovrebbe garantire<br />

una maggior aderenza fra dogmatica e piano applicativo 980 .<br />

Nondimeno, nell’ottica dell’inserimento del tertium genus, occorrerebbe stabilire<br />

se la soluzione debba configurarsi come “di parte generale” o “di parte speciale”: in<br />

particolare è stata proposta l’iniziale circoscrizione della terza forma ai reati contro la<br />

vita e contro l’integrità fisica 981 . Più precisamente, si è affermato che gli istituti più<br />

idonei a fungere da riferimento parrebbero essere quelli della mise en danger e della<br />

recklessness 982 : in quest’ottica, si propone l’introduzione di un trattamento aggravato<br />

rispetto all’attuale ipotesi di omicidio colposo per l’ipotesi in cui venga provocata la<br />

morte con attuazione di un grave rischio e cosciente messa in pericolo della vita<br />

altrui; nonché di un trattamento attenuato rispetto all’ipotesi appena delineata per il<br />

caso in cui non si fosse realizzato l’evento “morte”, ma fosse stato comunque creato<br />

consapevolmente un rischio, con disprezzo per la vita altrui. Si propone anche la<br />

parallela introduzione del tertium genus a protezione dell’integrità fisica, seppur in<br />

“scala ridotta” rispetto all’assetto delineato con riguardo alla protezione del bene<br />

giuridico “vita” 983 . Il carattere “limitato” alla parte speciale dell’introduzione del tertium<br />

genus comporterebbe anche la non necessità di inserimento di una apposita<br />

definizione o clausola “di parte generale”.<br />

Qualora, tuttavia, si volesse optare per la soluzione “di parte generale”, si<br />

propone l’introduzione di una formula che prescriva la punibilità per<br />

“sconsideratezza” di chi agisca “mediante l’assunzione consapevole del rischio<br />

relativo alla verificazione dell’evento, essendo irragionevole assumere tale rischio,<br />

avuto riguardo alle conoscenze possedute dall’agente” 984 . Si specifica che tale forma<br />

di imputazione dovrebbe poi applicarsi solo ai reati di parte speciale per i quali sia<br />

978 F. CURI, op. ult. cit., 18.<br />

979 F. CURI, op. ult. cit., 19 – 20.<br />

980 F. CURI, op. ult. cit., 12.<br />

981 F. CURI, op. ult. cit., 18, 242, 243.<br />

982 F. CURI, op. ult. cit., 241. Si sostiene che la mise en danger abbia saputo “tradurre in modo<br />

più dettagliato” il contenuto della recklessness; ad ogni modo, la soluzione ipotetica di parte generale<br />

proposta dall’Autrice (ivi, 243 – 244) richiama evidentemente anche il contenuto della recklessness.<br />

983 F. CURI, op. ult. cit., 242.<br />

984 F. CURI, op. ult. cit., 243 – 244.<br />

202


espressamente prevista, analogamente a quanto avviene attualmente per la colpa 985 :<br />

la forma di imputazione ordinaria resterebbe, dunque, il dolo, mentre la colpa e la<br />

“sconsideratezza” si configurerebbero come forme speciali di imputazione.<br />

Risulta interessante anche il rilievo in base al quale alcuni aspetti del codice<br />

penale e della legislazione complementare sembrerebbero costituire “segnali” a<br />

favore della concezione tripartita dell’elemento soggettivo: ad esempio, casi in cui la<br />

pena edittale prevista per la fattispecie dolosa si sovrappone parzialmente a quella<br />

colposa 986 ; altresì, sembra deporre nello stesso senso la prospettazione di un’unica<br />

cornice edittale nell’ambito delle contravvenzioni, ai sensi dell’art. 42, comma 4,<br />

c.p. 987<br />

È indispensabile, a questo punto, fare riferimento anche alle posizioni che si<br />

sono espresse contro la prospettiva dell’introduzione di un tertium genus. Fra queste,<br />

vi è la voce di Canestrari, il quale pone in evidenza che proprio l’analisi<br />

comparatistica indurrebbe a far venire meno l’illusione del conseguimento di<br />

semplificazione attraverso l’introduzione di una terza forma di elemento soggettivo: si<br />

fa riferimento specifico alla recklessness ed alle oscillazioni fra recklessness di tipo<br />

Cunningham e recklessness di tipo Caldwell/Lawrence, e si osserva che l’onere di<br />

definizione di un terzo genere di elemento soggettivo non sia, in effetti, meno arduo<br />

dell’onere di definizione di dolo eventuale e colpa cosciente. Canestrari, inoltre,<br />

osserva che le forme intermedie di elemento soggettivo non riescano a risolvere la<br />

problematica della ricostruzione del carattere “ingiustificato” o “irragionevole” del<br />

rischio. L’Autore, in una prospettiva de lege ferenda, propone invece l’introduzione di<br />

una definizione legale di dolo eventuale che potrebbe essere del seguente tenore:<br />

“Si ha dolo eventuale allorquando l’agente si sia rappresentata concretamente la<br />

realizzazione del fatto tipico come conseguenza probabile della propria condotta e ne<br />

accetta la verificazione. Il rischio di realizzazione del fatto tipico deve essere non<br />

consentito e di natura tale che la sua assunzione non può neppure essere presa in<br />

considerazione da una persona coscienziosa ed avveduta del circolo di rapporti cui<br />

appartiene l’agente, posta nella situazione in cui si trovava il soggetto concreto ed in<br />

possesso delle sue conoscenze e capacità” 988 .<br />

985 F. CURI, op. ult. cit., 244.<br />

986 F. CURI, op. ult. cit., 252. Si riporta l’esempio degli artt. 256 e 259 c.p.: il delitto doloso di<br />

procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato (art. 256 c.p.) è punito con la reclusione<br />

da tre a dieci anni, mentre l’ipotesi di agevolazione colposa (art. 259) è punita con la reclusione da<br />

uno a cinque anni.<br />

987 F. CURI, op. ult. cit., 248.<br />

988 S. CANESTRARI, La definizione legale del dolo: il problema del dolus eventualis, in<br />

www.dejure.giuffre.it . L’Autore, in una prospettiva de lege ferenda, propone l’introduzione di una<br />

definizione legale di dolo eventuale che potrebbe essere del seguente tenore: “Si ha dolo eventuale<br />

allorquando l’agente si sia rappresentata concretamente la realizzazione del fatto tipico come<br />

conseguenza probabile della propria condotta e ne accetta la verificazione. Il rischio di realizzazione<br />

del fatto tipico deve essere non consentito e di natura tale che la sua assunzione non può neppure<br />

essere presa in considerazione da una persona coscienziosa ed avveduta del circolo di rapporti cui<br />

appartiene l’agente, posta nella situazione in cui si trovava il soggetto concreto ed in possesso delle<br />

sue conoscenze e capacità”.<br />

203


6. Considerazioni conclusive<br />

Il primo capitolo della presente tesi ha provveduto ad inquadrare i concetti e<br />

l’essenza di dolo e colpa, in modo funzionale all’analisi relativa al discrimen fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente. Con particolare riferimento al dolo, si sono analizzate le<br />

incertezze generate dal tenore letterale non pienamente soddisfacente dell’attuale<br />

art. 43, e si sono tratte, in linea di massima, le seguenti conclusioni: il dolo deve<br />

consistere in rappresentazione e volontà; tali componenti, in adesione alla teoria<br />

della volontà, debbono essere intese come autonome, distinte ed entrambe aventi ad<br />

oggetto l’intero fatto tipico, e non solamente l’evento; in particolare, la volontà deve<br />

riguardare l’intero fatto tipico, compreso l’evento o, comunque, gli elementi del fatto<br />

tipico diversi dalla condotta materiale, e non solamente la condotta materiale. Tali<br />

premesse sono funzionali al rigetto di qualsiasi impostazione che concepisca il dolo<br />

eventuale con valorizzazione del solo profilo intellettivo, ovvero tendente<br />

all’oggettivizzazione e normativizzazione del dolo: se il dolo consiste in<br />

rappresentazione e volontà dell’intero fatto tipico, non risulta accettabile qualsivoglia<br />

teoria che assuma come sussistente la volontà in base alla sola considerazione del<br />

livello intellettivo o delle caratteristiche oggettive del rischio assunto o della condotta.<br />

Quanto alle varie tipologie di dolo, si è precisato che l’espressione “secondo<br />

l’intenzione” di cui all’art. 43 non significhi che la responsabilità dolosa debba essere<br />

limitata ai casi di dolo intenzionale, cioè alle ipotesi in cui il reato realizzato fosse<br />

proprio il fine intenzionalmente perseguito o, in altri termini, il fine che desse causa<br />

alla condotta. È apparsa preferibile l’impostazione la quale sostiene che<br />

l’espressione “secondo l’intenzione” debba richiamare, invece, il finalismo insito nella<br />

condotta umana: tale concezione ammette categorie di dolo “non intenzionale”, che<br />

andranno ricostruite considerando il rapporto tra fine intenzionalmente perseguito e<br />

reato realizzato. Significa, sostanzialmente, che la realizzazione del reato potrà dirsi<br />

“secondo l’intenzione” anche qualora detta realizzazione non fosse il fine<br />

intenzionalmente perseguito dall’agente, ma semplicemente fosse “conforme<br />

all’intenzione”, e non “contro l’intenzione”: potrà, dunque, trattarsi di un “mezzo<br />

necessario” e previsto come “certo” o “quasi certo” per la realizzazione del fine<br />

intenzionale (dolo diretto); ovvero di una “conseguenza accessoria” (dolo indiretto e<br />

dolo eventuale).<br />

Per quel che riguarda la colpa, si è evidenziata la natura normativa di tale<br />

categoria di elemento soggettivo, con successiva analisi dell’art. 61 n. 3, il quale<br />

prevede un’aggravante per le ipotesi di colpa cosciente (o “con previsione”): si è,<br />

quindi, concluso a favore dell’interpretazione dell’art. 61 n. 3 nel senso che<br />

l’aggravante possa dirsi giustificata soltanto qualora si richieda, ai fini di essa, che<br />

l’agente abbia realizzato la condotta nonostante la persistenza della previsione<br />

positiva della realizzazione dell’evento. Tale conclusione è necessaria in via<br />

preliminare ai fini delle critiche negative alla teoria dell’accettazione del rischio,<br />

nonché ai fini dell’approvazione della teoria che valorizza la deliberazione di<br />

subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.<br />

Quanto, poi, al dibattito sull’accoglimento o meno del principio “non c’è dolo<br />

senza colpa”, si è ritenuta preferibile l’impostazione a favore di detto principio: non<br />

potrà, dunque, esservi responsabilità penale laddove il fatto penalmente rilevante<br />

non sia stato provocato dalla trasgressione di regole precauzionali volte ad evitare la<br />

realizzazione di fatti del tipo di quello effettivamente verificatosi. Ciò non dovrebbe<br />

204


creare particolari problemi nei casi in cui l’agente concreto godesse di conoscenze<br />

maggiori rispetto a quelle del parametro oggettivo dell’ “agente modello”, in quanto<br />

dette conoscenze eventuali e superiori dovrebbero anche esse essere considerate in<br />

sede di valutazione della prevedibilità ed evitabilità della realizzazione del risultato<br />

lesivo.<br />

Il capitolo secondo è stato dedicato all’analisi approfondita di tutte le teorie<br />

inerenti la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente, comprese anche le “voci”<br />

a favore dell’incostituzionalità del dolo eventuale. Si è appurato che risultino non<br />

condivisibili, sostanzialmente, tutte le teorie riconducibili al paradigma della teoria<br />

della rappresentazione o ai modelli tendenti all’oggettivizzazione del dolo, stante la<br />

svalutazione del momento volitivo espressamente richiesto dall’art. 43 ed i rischi di<br />

dare adito a presunzioni di dolo o affermazione di dolo in re ipsa. Non risulta neppure<br />

convincente la valorizzazione dei profili emozionali o intimistici, in quanto il concetto<br />

di “volontà” è essenzialmente diverso rispetto ai concetti di “speranza”, “sentimento”<br />

o affini. Parimenti, non sono accettabili le teorie che prospettano la distinzione fra<br />

dolo eventuale e colpa cosciente come “meramente quantitativa”, dato che si tratta di<br />

elementi qualitativamente diversi (anche se vi è chi ha sostenuto che l’agire a fronte<br />

della rappresentazione della “elevata probabilità” di verificazione dell’evento<br />

costituisca un atteggiamento psicologico qualitativamente diverso da quello di chi<br />

agisca a fronte della rappresentazione della “bassa probabilità” o mera “possibilità” di<br />

realizzazione dell’evento).<br />

Nell’ambito dell’analisi delle teorie “volitive”, sono stati posti in evidenza i limiti in<br />

cui in corre la teoria dell’accettazione del rischio, se formulata sulla base della<br />

dicotomia “accettazione del rischio” / “sicura fiducia che l’evento non si verificherà”: in<br />

primo luogo, l’accettazione “del rischio” sposta l’oggetto del dolo dall’“evento” al<br />

“rischio”, potendo condurre alla conseguenza di trasformare i reati di evento in reati<br />

di pericolo; in secondo luogo, l’aver agito con la “sicura fiducia che l’evento non si<br />

verificherà” comporta, evidentemente, il venir meno della rappresentazione positiva<br />

dell’evento al momento di realizzazione della condotta e, di conseguenza, una<br />

difformità rispetto a quanto prescritto dall’art. 61 n. 3; infine, è stato osservato che<br />

una qualche misura di “accettazione del rischio” ricorra proprio nelle ipotesi di colpa<br />

cosciente. Le diverse sfumature assunte dalla teoria in questione, le quali fanno leva<br />

sull’“accettazione dell’evento” considerato hic et nunc, attenuano gli aspetti di non<br />

condivisibilità, ma non li eliminano se permane l’identificazione della colpa cosciente<br />

nella “sicura fiducia che l’evento non si verificherà”. Le sfumature basate sulla<br />

distinzione fra “rappresentazione della concreta possibilità” e “rappresentazione<br />

dell’astratta possibilità” non risultano decisive: è vero che l’elemento volitivo potrà più<br />

facilmente ricavarsi qualora il soggetto avesse agito a fronte della rappresentazione<br />

della “concreta possibilità” di realizzazione del fatto di reato, ma ciò può assumere<br />

solamente carattere indiziante, e non determinante. Del resto, l’eccessiva<br />

valorizzazione della dicotomia “concreto”/ “astratto” potrebbe indurre a concludere<br />

per il dolo in re ipsa laddove il soggetto avesse scelto di agire a fronte della<br />

rappresentazione della concreta possibilità di realizzazione del risultato lesivo. La<br />

teoria dell’accettazione del rischio, in forza delle considerazioni sopra effettuate, si<br />

presta particolarmente ad essere “manovrata” dalla giurisprudenza nell’ottica del<br />

perseguimento di obiettivi di politica criminale.<br />

La teoria ipotetica del consenso appare non pienamente condivisibile se<br />

concepita in base alla prima formula di Frank, ma sostanzialmente condivisibile se<br />

205


interpretata alla luce della seconda formula (peraltro elaborata dallo stesso Frank<br />

proprio al fine del superamento degli inconvenienti connessi all’applicazione della<br />

prima formula): si identifica l’atteggiamento del soggetto che agisce con dolo<br />

eventuale nella prospettiva psicologica di chi, perseguendo intenzionalmente un<br />

determinato fine, si rappresenti la possibilità che la condotta correlata al<br />

perseguimento di detto fine provochi eventi lesivi collaterali, e scelga di agire<br />

comunque, “costi quel che costi”, “a costo di” provocare l’evento lesivo collaterale,<br />

“accettando il prezzo” di realizzazione dell’evento lesivo collaterale. Si è ritenuta<br />

condivisibile anche la formula che identifica il dolo eventuale della “decisione a<br />

favore della possibile lesione del bene giuridico”.<br />

Ad ogni modo, la teoria che si è ritenuta maggiormente soddisfacente è quella<br />

che identifica il dolo eventuale nell’accettazione del rischio effettuata tramite<br />

deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro. Essa,<br />

peraltro, non appare in contraddizione con la teoria del consenso, poiché se è vero<br />

che l’evento realizzato con dolo eventuale non è intenzionalmente perseguito, ma è<br />

previsto come conseguenza collaterale ed accessoria (ma non necessaria) della<br />

tenuta della condotta correlata al perseguimento del fine intenzionale, “decidere a<br />

favore della possibile lesione del bene giuridico” significa necessariamente<br />

subordinare tale bene giuridico rispetto al proprio interesse. Il dolo eventuale<br />

dovrebbe consistere, quindi, in rappresentazione della possibilità di realizzazione del<br />

fatto di reato ed accettazione del relativo rischio tramite una deliberazione<br />

consapevole con la quale si subordini il bene giuridico esposto a pericolo rispetto<br />

all’interesse consistente nel persistere nella condotta correlata al perseguimento del<br />

fine intenzionale. La colpa cosciente sarebbe anch’essa caratterizzata da<br />

rappresentazione ed accettazione del rischio: quest’ultima sarebbe, tuttavia,<br />

effettuata semplicemente per negligenza o imprudenza, e non tramite una<br />

deliberazione di subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.<br />

La teoria che valorizza la conoscenza dei nessi causali è valutabile in modo<br />

positivo, ma non può avere, in sé e per sé considerata, carattere decisivo.<br />

Si è analizzato, poi, l’articolata ricostruzione di Stefano Canestrari consistente<br />

tentativo di distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente basata anche sul profilo<br />

oggettivo, attraverso l’individuazione di un rischio peculiare proprio della<br />

responsabilità dolosa e, all’interno di esso, di un rischio peculiare della responsabilità<br />

per dolo eventuale: si tratterebbe di un rischio che non avrebbe potuto neppure<br />

essere preso in considerazione dall’homo eiusdem conditionis et professionis. A<br />

prescindere dalla condivisibilità o meno delle basi di partenza, che consistono, tra<br />

l’altro, nel rigetto del principio “non c’è dolo senza colpa”, lo stesso Autore afferma<br />

che il criterio da lui proposto non abbia valenza decisiva, ma sia volto a rafforzare<br />

l’inquadramento della “decisione a favore della possibile lesione del bene giuridico”.<br />

Risulta eccessivamente drastica l’impostazione che sostiene l’incostituzionalità<br />

del dolo eventuale, la quale prende le mosse dalla constatazione per cui il dolo<br />

eventuale sarebbe un “doppione mascherato” della colpa cosciente: in effetti, lo è se<br />

si considera la formulazione tradizionale della teoria dell’accettazione del rischio, ma<br />

non dovrebbe esserlo se si considera la teoria che valorizza la deliberazione di<br />

subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro.<br />

Alcune precisazioni si sono rese necessarie per quel che riguarda la distinzione<br />

fra dolo eventuale e colpa cosciente nei reati di mera condotta o con riferimento ad<br />

elementi del fatto tipico diversi dall’evento, nonché nei reati di pericolo e nei reati<br />

206


omissivi. Con riferimento ai reati di mera condotta o alla configurazione dell’elemento<br />

soggettivo relativamente ad elementi del fatto tipico diversi dall’evento, molti problemi<br />

si superano considerando quale oggetto del dolo, appunto, il fatto tipico considerato<br />

nella sua unitarietà; nondimeno, non pare suscitare particolari problemi<br />

l’applicazione, in tali casi, della teoria che valorizza la subordinazione di un bene<br />

giuridico rispetto ad un altro; si è anche valorizzata la voce di parte della dottrina<br />

(principalmente Canestrari) la quale ha evidenziato che, nei reati di mera condotta a<br />

fattispecie neutra, stante il principio dell’ignorantia legis non excusat (che non vede,<br />

in tali casi, una espressa deroga, benché tale deroga sarebbe auspicabile), non sia<br />

possibile distinguere fra dolo e colpa, poiché vengono a coincidere fatto ed<br />

antigiuridicità. Quanto ai reati di pericolo, la dottrina (principalmente Canestrari e De<br />

Francesco, seppur sulla base di teorie differenti) ha evidenziato che, con riferimento<br />

ad essi, la distinzione si ponga non fra dolo eventuale e colpa cosciente, bensì fra<br />

dolo eventuale e colpa incosciente; del resto, la giurisprudenza tende ad applicare ai<br />

reati di pericolo la tradizionale teoria dell’“accettazione” del rischio, che diviene, in tali<br />

casi, “accettazione del pericolo”: anche sul versante giurisprudenziale, tuttavia, si<br />

tende ad inquadrare il dolo eventuale nei reati di pericolo semplicemente in<br />

considerazione della scelta di agire a fronte della rappresentazione della possibilità di<br />

realizzazione del pericolo, e ciò sembra confermare l’impostazione per cui, nei reati<br />

di pericolo, l’alternativa sia fra dolo eventuale e colpa incosciente.<br />

Relativamente ai reati omissivi, la teoria della subordinazione di un bene<br />

giuridico rispetto ad un altro non dovrebbe richiedere particolari adattamenti<br />

sostanziali, così come non dovrebbe comportarli l’applicazione del criterio che<br />

valorizza la distinzione fra rischio peculiare del dolo eventuale e rischio colposo.<br />

Parte della dottrina (Eusebi), tuttavia, ha ritenuto che nei reati omissivi impropri non<br />

possa configurarsi il dolo eventuale, dato che la sola inerzia non permetterebbe di<br />

inquadrare una “disponibilità a pagare un prezzo” per la realizzazione del fine<br />

intenzionale (dato che quest’ultimo, in caso di mera inerzia, mancherebbe). La<br />

giurisprudenza tende, invece, ad applicare anche in questi casi la teoria<br />

dell’accettazione del rischio.<br />

Ulteriori considerazioni sono state effettuate con riguardo alla rilevanza o<br />

irrilevanza del versari in re illicita, e si è concluso che la liceità o illiceità del contesto<br />

di base non possa avere carattere determinante o decisivo ai fini della distinzione fra<br />

dolo eventuale e colpa cosciente; tuttavia, si è evidenziato che la giurisprudenza<br />

tenda a stabilire una sorta di parallelismo fra dolo eventuale e versari in re illicita,<br />

nonché fra colpa cosciente e versari in re licita. Risulta interessante anche la<br />

constatazione, effettuata in dottrina (Canestrari), per cui in effetti, in contesto di base<br />

illecito, sia più difficile l’inquadramento della colpa cosciente, poiché il decorso<br />

causale risulta già “parzialmente avviato”, e l’elemento della rappresentazione tende<br />

a configurare in atteggiamento psicologico affine al dolo eventuale.<br />

Il terzo capitolo è stato dedicato all’analisi dei rapporti fra dolo eventuale e<br />

delitto tentato, fattispecie con dolo specifico, concorso di persone, preterintenzione,<br />

nonché la distinzione fra dolo eventuale e dolo alternativo. Quanto al delitto tentato,<br />

si è aderito all’impostazione a sostegno dell’incompatibilità fra delitto tentato e dolo<br />

eventuale, stante l’incompatibilità insormontabile fra rappresentazione dell’univoca<br />

direzione degli atti alla realizzazione del reato e carattere collaterale, accessorio e<br />

non intenzionale del reato realizzato con dolo eventuale. Non si è condivisa, invece,<br />

la tesi a sostegno della compatibilità fra dolo eventuale e delitto tentato,<br />

207


conformemente alla quale il requisito dell’univocità dovrebbe essere inteso<br />

solamente in senso oggettivo, ed il dolo del delitto tentato non si distinguerebbe<br />

rispetto al dolo del reato consumato; non si è condivisa neppure la teoria<br />

conformemente alla quale la valutazione del requisito dell’univocità dovrebbe essere<br />

effettuata in modo oggettivo, ma anche in correlazione rispetto al piano concreto<br />

perseguito dall’agente. Quanto alle fattispecie con dolo specifico, si è concluso che<br />

esse possano essere sorrette da dolo eventuale, purché esso riguardi elementi del<br />

fatto tipico che non siano presupposti necessari per la realizzazione del fine<br />

inquadrato dal dolo specifico. Mentre la conclusione di maggior interesse con<br />

riferimento al concorso di persone è stata quella per cui il dolo eventuale comporti il<br />

passaggio dalla sfera dell’art. 116 a quella dell’art. 110.<br />

Si è poi rilevata la differenza fra dolo eventuale e preterintenzione, consistente<br />

nel fatto che la prenerintenzione richieda l’assenza di volontà dell’evento più grave<br />

(la morte, nel caso dell’omicidio preterintenzionale), anche se intesa nella forma<br />

eventuale o indiretta. Se mai, con particolare riguardo all’omicidio preterintenzionale,<br />

si tratta di stabilire se il dolo di lesioni possa essere eventuale o meno: la<br />

giurisprudenza prevalente risponde in senso positivo, anche se non mancano<br />

impostazioni di segno opposto. Si è anche analizzata la tesi “temeraria” che intende<br />

l’omicidio preterintenzionale come caratterizzato da dolo eventuale dell’evento più<br />

grave: pur trattandosi di una tesi che potrebbe generare condivisibili spunti de iure<br />

condendo, essa non è, attualmente, applicabile, poiché gli artt. 42 e 43 descrivono<br />

chiaramente la preterintenzione come autonoma e distinta rispetto a dolo e colpa.<br />

Nondimeno, si è chiarita la distinzione fra dolo eventuale e dolo alternativo:<br />

quest’ultimo, in effetti, si configura come dolo diretto, consistendo nella volontà di<br />

realizzazione, indifferentemente, di eventi alternativi considerati come equivalenti;<br />

mentre il dolo eventuale ha ad oggetto un evento collaterale ed accessorio, non<br />

direttamente voluto.<br />

Il capitolo quarto è consistito nell’analisi di alcuni fra i principali ambiti nei quali è<br />

venuta maggiormente in rilievo la difficoltà di distinzione, in sede applicativa, fra dolo<br />

eventuale e colpa cosciente. Si sono osservate le “storiche” difficoltà di<br />

inquadramento del dolo eventuale nell’ambito dei reati da sinistro stradale tramite<br />

l’utilizzo della teoria dell’accettazione del rischio, e si è fatto riferimento alla recente<br />

sentenza della Corte di Cassazione la quale, ricorrendo alla teoria della<br />

subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro ha, invece, affermato il dolo<br />

eventuale. Si è anche notato come, nei casi di contagio da HIV tramite rapporto<br />

sessuale non protetto e da parte di soggetto consapevole del proprio stato, risulti più<br />

agevole l’inquadramento del dolo eventuale. Con riguardo alla ricettazione, si sono<br />

analizzati gli orientamenti giurisprudenziali diametralmente contrapposti in ordine alla<br />

configurabilità del dolo eventuale per il reato in questione, nonché la recente<br />

soluzione fornita dalle Sezioni Unite, la quale ha riesumato la prima formula di Frank<br />

ai fini della descrizione del dolo eventuale di ricettazione. Ancora, si è descritta la<br />

soluzione giurisprudenziale, particolarmente “forte”, che inquadra addirittura il dolo<br />

diretto per le ipotesi di lancio di sassi da cavalcavia (a fronte di alcune posizioni<br />

dottrinali le quali sostegono che, in questi casi, addirittura dovrebbe escludersi<br />

l’imputabilità, per “anomala formazione del volere”). Infine, con riguardo all’analisi del<br />

caso Thyssenkrupp, è parsa corretta l’affermazione della responsabilità per dolo<br />

eventuale in capo all’amministratore delegato, peraltro sulla base della teoria che<br />

valorizza la subordinazione di un bene giuridico rispetto ad un altro; appare<br />

208


condivisibile, a livello di applicazione concreta, anche l’affermazione della colpa<br />

cosciente in capo agli altri cinque imputati, ma non sembra essere appieno coerente<br />

l’inquadramento teorico della colpa cosciente nella “sicura fiducia nella non<br />

realizzazione dell’evento”.<br />

L’ultimo capitolo ha analizzato le prospettive de lege ferenda, le quali oscillano<br />

fra le proposte di definizione legislativa del dolo eventuale e l’introduzione di un<br />

tertium genus nell’ambito dell’elemento soggettivo, coniato con spunto,<br />

principalmente, dagli istituti della recklessness e della mise en danger. Nella<br />

presente tesi si è sostenuta, in particolare, la validità della teoria che identifica il dolo<br />

eventuale nell’accettazione del rischio realizzata con subordinazione di un bene<br />

giuridico rispetto ad un altro: tuttavia, nessuna fra le prospettive de lege ferenda ha<br />

proposto l’accoglimento di tale impostazione. A dire il vero, si tratta di una teoria che<br />

è stata solo recentemente riesumata dalla giurisprudenza e che dovrebbe essere<br />

rivalutata, magari, appunto, anche in prospettiva de lege ferenda. Per quel che<br />

riguarda la ventilata ipotesi di introduzione di un tertium genus nell’ambito<br />

dell’elemento soggettivo, essa senz’altro semplificherebbe l’assetto attuale, ma non<br />

del tutto: infatti, pur facendo confluire tutte le ipotesi di consapevole assunzione di<br />

rischio ad un’unitaria sfera, operazioni analoghe alla distinzione fra dolo eventuale e<br />

colpa cosciente dovrebbero comunque tornare in gioco in sede di commisurazione<br />

della pena.<br />

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Cass. Pen. Sez. Un., 6 dicembre 1991, n. 3428, in Cass. pen., 1993, 1, 14.<br />

Cass. Pen., Sez. I, 3 febbraio 1992, in Giust. pen., 1993, 2, c. 227.<br />

Cass. Pen., Sez. V, 30 aprile 1992, in Foro it., 1993, II, 79.<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 15 dicembre 1992, n. 646, in Cass. pen., 1993, 5, 1095.<br />

Cass. Pen., Sez. I, 21 aprile 1994, n. 4583, in Cass. pen., 1995, 7/8, 1837.<br />

Cass. Pen., Sez. I, 14 ottobre 1994, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 17 marzo 1995, n. 1219, in Cass. pen., 1996, 7/8, 2190.<br />

Cass. Pen., Sez. I, 8 novembre 1995, n. 832, Cass. pen., 1997, 4, 991.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 7 dicembre 1995, n. 2311, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 14 marzo 1996, n. 5188, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 10 aprile 1996, n. 4894, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 20 giugno 1996, n. 8072, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 3 luglio 1996, n. 7770, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 27 settembre 1996, n. 9487, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 10 ottobre 1996, n. 11024, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 21 febbraio 1997, n. 3306, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 25 marzo 1997, n. 4892, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 23 ottobre 1997, n. 2587, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 11 febbraio 1998, n. 8052, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 giugno 1999, n. 10795, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 19 novembre 1999, n. 385, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. III, 17 dicembre 1999, n. 4594, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 20 novembre 2000, n. 4399, in Cass. pen., 2001, 12, 3400.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 15 gennaio 2001, n. 14170, in dejure.giuffre.it<br />

215


Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2001 (deposito 3 agosto 2001), n. 30425, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 24 ottobre 2002, n. 42861, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 19 giugno 2002, n. 28647, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 18 marzo 2003, n. 16976, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 marzo 2003, n. 19897, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 16 maggio 2003, n. 30262, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 15 dicembre 2003, n. 31523, in Cass. pen., 2005, 2, 474.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 7 aprile 2004, n. 18034, in C.E.D. Cass., n. 100332.<br />

Cass. Pen., Sez. V, 17 gennaio 2005, n. 6168, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 gennaio 2005, n. 5436, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. III, 28 settembre 2005, n. 38936, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 3 febbraio 2006, n. 18426, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 17 maggio 2006, n. 30651, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 13 giugno 2006, n. 23886, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 25 ottobre 2006, n. 10995, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 10 novembre 2006, n. 40156, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 12 dicembre 2006, n. 4170, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 24 maggio 2007, n. 27620, Cass. pen., 2008, 5, 1845.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 6 giugno 2007, n. 25436, in Cass. pen., 2008, 5, 1910.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 22 novembre 2007, n. 45256, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 13 febbraio 2008, n. 12364, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. III, 12 marzo 2008, n. 15633, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 17 giugno 2008, n. 27767, in dejure.giuffre.it<br />

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Cass. Pen., Sez. IV, 25 settembre 2008, n. 47373, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 6 novembre 2008, n. 45117, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 12 novembre 2008, n. 44751, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 11 dicembre 2008, n. 4237, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2009,<br />

9, 719.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 17 dicembre 2008, n. 2807, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V., 17 dicembre 2008, n. 13388, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 10 febbraio 2009 (deposito 25 marzo 2009), n. 13083, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 18 febbraio 2009, n. 13358, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 febbraio 2009, n. 11521, in Cass. pen., 2010, 2, 627.<br />

Cass. Pen., Sez. II, 27 febbraio 2009 (deposito 19 marzo 2009), n. 12401, in<br />

www.altalex.com<br />

Cass. Pen., Sez. II, 2 aprile 2009, n. 17813, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. III, 10 giugno 2009, n. 31253, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 24 giugno 2009, n. 28231, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 30 giugno 2009, n. 30304, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. 5 novembre 2009, n. 43960, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 19 novembre 2009, n. 283, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. Un., 26 novembre 2009 (deposito 30 marzo 2010), n. 12433, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 2009, n. 3568, in dejure.giuffre.it<br />

216


Cass. Pen., Sez. VI, 13 gennaio 2010, n. 18489, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 10 febbraio 2010, n. 13089, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 18 febbraio 2010 (deposito 24 marzo 2010), n. 11222, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 31 marzo 2010, n. 25114, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. III, 12 maggio 2010, n. 28701, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 25 giugno 2010, n. 4731, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 13 ottobre 2010, n. 40202, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 21 ottobre 2010 (deposito 5 novembre 2010), n. 39266, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 11 novembre 2010, n. 42267, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 1 dicembre 2010, n. 2291, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 1 febbraio 2011 (deposito 15 marzo 2011), n. 10411, in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 10 febbraio 2011, n. 29147, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 8 marzo 2011, n. 15451, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 30 marzo 2011, n. 21235, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 31 marzo 2011, n. 16793, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 13 aprile 2011, n. 28477, in dejure.giuffre.it<br />

Corte. Ass. Torino, 15 aprile 2011 (deposito 14 novembre 2011), in<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 5 maggio 2011, n. 33320, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 25668. in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 18 maggio, 2011, n. 30283, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. VI, 24 maggio 2011, n. 24035, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 24 maggio 2011, n. 33021, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 26 maggio 2011, n. 36135, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. V, 31 maggio 2011, n. 32100, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 14 giugno 2011, n. 36171, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. II, 24 giugno 2011, n. 32972, in dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. I, 11 luglio 2011 (deposito 1 agosto 2011), n. 30472, in<br />

dejure.giuffre.it<br />

Cass. Pen., Sez. fer., 15 settembre 2011, n. 34745, in dejure.giuffre.it<br />

Giurisprudenza di merito<br />

Ass. App. Cagliari, 13 dicembre 1982, in Giur. merito, 1983, 4-5, 961.<br />

Pretura Terni, Sez. V, 19 marzo 1999, in Giur. merito, 2000, 2, 385.<br />

Trib. Ravenna, 3 maggio 1999, in Supp. Rass. med. leg. prev. 2000, 23.<br />

Corte Ass. Roma, 13 settembre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2000, 2, 819.<br />

Trib. Cremona, 14 ottobre 1999, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 01, 299.<br />

Trib. Milano, 24 novembre 1999, in dejure.giuffre.it<br />

Ass. App. Brescia, 26 settembre 2000, in Foro it., 2000, II, 348.<br />

Trib. Pescara, 19 marzo 2002, in dejure.giuffre.it<br />

Corte App. Bari, Sez. I, 8 febbraio 2006, n. 11, in dejure.giuffre.it<br />

Trib. Bari, Sez. I, 5 settembre 2007, in dejure.giuffre.it<br />

217


Trib. Bari, Sez. II, 24 gennaio 2008, n. 170, in dejure.giuffre.it<br />

Trib. Savona, 30 gennaio 2008, in www.altalex.com<br />

Corte App. Milano, Sez. II, 29 maggio 2008, in Foro ambrosiano, 2008, 2, 207.<br />

Trib. Milano, 21 novembre 2008, n. 2118, in dejure.giuffre.it<br />

Ass. App. Roma, 18 giugno 2009, in dejure.giuffre.it<br />

Corte Ass. Milano, 16 luglio 2009, in Foro it., 2010, 1, 35.<br />

Trib. La Spezia, 2 dicembre 2009, in dejure.giuffre.it<br />

Uff. indagini preliminari Bari, 9 dicembre 2009, in dejure.giuffre.it<br />

Corte App. Bari, sez. II, 15 marzo 2010, in dejure.giuffre.it<br />

Trib. La Spezia, 22 aprile 2010, n. 435, in dejure.giuffre.it<br />

Giurisprudenza costituzionale<br />

Corte cost., 13 maggio 1965, n. 42, in Riv. pen., 1965, 2, 598.<br />

Corte cost., 23 marzo 1988, n. 364, in www.giurcost.org<br />

Sitografia<br />

www.altalex.com<br />

www.archiviopenale.it<br />

www.datadiar.com (Los nuevos delitos contra la seguridad vial)<br />

www.diritto.it<br />

www.dirittoambiente.net<br />

www.enciclopedia-juridica.biz14.com (Delitos contra la seguridad del tràfico)<br />

www.giurcost.org<br />

www.hyperedizioni.com<br />

www.juripole.fr (Le délit de risques causés à autrui)<br />

www.legifrance.gouv.fr<br />

www.overlex.com<br />

www.penalecontemporaneo.it<br />

www.publications.parliament.uk<br />

www.puntosicuro.it<br />

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