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e - Cesavo

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24<br />

i volontari raccontano<br />

nioca, o mchicha sorta di spinacio). Al mercato<br />

è comunque possibile trovare pomodori,<br />

zucchine, carote, melanzane, cetrioli.<br />

Merita un accenno particolare la frutta!<br />

Ananas (deliziosi), banane, manghi (di diverse<br />

qualità), frutto della passione (diverse<br />

qualità), papaia, avocado… infine sono<br />

diventata una divoratrice di canna da zucchero:<br />

dolce e ricca di acqua è la leccornia<br />

preferita da grandi e piccini.<br />

Il Pastoral Center è provvisoriamente provvisto<br />

di rudimentali campi sportivi: uno da<br />

calcio (da cui periodicamente rubano le porte<br />

di legno e la cui superficie non ha erba ma<br />

“simpatici” sassolini “grattugia-pelle”); e<br />

uno da pallavolo (stessi sassolini, in compenso<br />

i pali per la rete sono stati cementati).<br />

Qui i ragazzi grandi e piccoli si ritrovano<br />

tutti i pomeriggi (tranne se impegnati con<br />

la scuola o i doveri domestici), per le attività<br />

sportive, seguiti dagli allenatori locali<br />

fino al calar del sole. Per un’amante dello<br />

sport come la sottoscritta, è un piacere<br />

testare come lo sport possa rappresentare<br />

un’alternativa alla strada. Dalle ragazze<br />

dell’anno scorso abbiamo ereditato la<br />

supervisione della squadra di pallavolo, di<br />

calcio e della neonata squadra di calcio dei<br />

piccoli (12-14 anni), gli stessi a cui due volte<br />

la settimana propongo una classe d’inglese<br />

che sembra riscuotere successo.<br />

Inoltre organizziamo attività ludiche per<br />

i più piccini (4-12 anni): disegno, musica<br />

(canzoncine accompagnate da chitarra che<br />

strimpello decentemente), giochi vari (da<br />

tavolo, corda, macchinine). In particolare<br />

Lina, la mia compagna d’avventura, si<br />

dedica all’animazione dei più piccoli che<br />

le richiedono una pazienza infinita e polso<br />

fermo. É straordinaria!<br />

L’obiettivo principale del progetto comunque<br />

è quello di proporre corsi professionali:<br />

carpenteria, batik, sartoria (quest’anno).<br />

La sfida è quella di offrire ai ragazzi/e<br />

competenze teorico/manuali necessarie per<br />

insegnare loro un mestiere. Nella realtà,<br />

che abbiamo potuto constatare studiando<br />

gli esiti degli anni passati, questi corsi<br />

hanno un impatto economico-sociale poco<br />

rilevante sulla comunità locale. Tra i vari<br />

motivi uno dipende dal fatto che i giovani,<br />

specialmente nelle zone rurali, non conoscono<br />

il concetto di self-employment.<br />

F. Ezekiel, il nostro responsabile locale, ci<br />

ha spiegato come la mentalità più diffusa<br />

sia quella di aspettare che qualcuno ti offra<br />

il lavoro. Questo comporta una corsa alla ricerca<br />

del lavoretto sporadico magari aspettando<br />

per ore sulla strada, ingannando il<br />

tempo a giocare a biliardo o a bere pombe<br />

(l’alcool locale).<br />

Per le ragazze invece il lavoro non manca<br />

mai, abituate come sono sin dalla tenera<br />

età, a prendersi cura di fratelli e sorelle.<br />

Molte riescono anche a completare la<br />

scuola secondaria (soldi permettendo) ma è<br />

raro che riescano ad accedere all’università,<br />

visto come il loro status di donna sia talmente<br />

legato alla maternità e al lavoro nei<br />

campi. Infatti sono le donne a rientrare dai<br />

campi la sera. Le vedi camminare a gruppi<br />

di 3-4 sul ciglio della strada o sui sentieri<br />

di campagna con le loro andature fiere,<br />

la zappa sulla testa, talvolta seguite dalle<br />

bambine.<br />

Dal punto di vista burocratico poi, il P.C.,<br />

non è un istituto di formazione professionale<br />

poiché manca di determinati requisiti<br />

logistici e infrastrutturali. Quindi, fino ad<br />

oggi, i certificati rilasciati hanno avuto<br />

più un valore di attestato di partecipazione<br />

più che di diploma ufficiale (nonostante<br />

il livello di preparazione dei nostri corsi<br />

sia equiparabile a quelli governativi) e infatti,<br />

tra i compiti affidatici quest’anno, vi è<br />

proprio quello di raccogliere tutte le informazioni<br />

necessarie in vista di una possibile<br />

registrazione ufficiale del P.C. come istituto<br />

professionale.<br />

Fin dall’inizio del progetto (cominciato nel<br />

2004 a Kasumo, 2.600 m, un villaggio a meno<br />

di un’ora a Nord di Mwilanvya, prossimo<br />

alla frontiera col Burundi), è esistito anche<br />

il corso di agricoltura che però nel corso del<br />

tempo ha visto diminuire l’affluenza di studenti<br />

fino ad arrivare alla sua soppressione<br />

per l’anno in corso.<br />

Durante le nostre ricerche nelle due scuole<br />

professionali vicine, ci siamo rese conto<br />

che nessuna di queste offriva un rispettivo<br />

esame governativo finale, ma un semplice<br />

attestato redatto dalla scuola stessa. Mi<br />

sono chiesta: come mai proprio in una nazione<br />

come la Tanzania, dove l’agricoltura<br />

rappresenta la spina dorsale della sua economia<br />

(occupando l’80% della forza lavoro),<br />

le scuole professionali e quindi gli stessi<br />

vocational training institutes non accordino<br />

un maggiore sostegno e riconoscimento a<br />

questo tipo di formazione? Navigando su internet<br />

(l’unica volta che il generatore non è<br />

saltato) alla ricerca di informazioni sul VETA<br />

(l’istituto nazionale per i corsi professionali),<br />

ho trovato un vecchio studio dell’Organizzazione<br />

internazionale del lavoro (ILO/<br />

EMAT) datato 1997. Questa analisi spiega<br />

come dagli anni 80 ad oggi le opportunità<br />

d’impiego nel lavoro formale siano andate<br />

diminuendo e come la nuova forza lavoro<br />

venga via via assimilata nel lavoro nero<br />

e nella agricoltura di sussistenza. Inoltre<br />

spiega come la Tanzania stia soffrendo<br />

della mancanza di figure professionali qualificate<br />

in settori come quello minerario e<br />

dell’ospitalità. Il fatto poi che il settore<br />

formale non stia creando nuovi posti di lavoro,<br />

dimostra che l’economia della Tanzania<br />

è sostenuta principalmente dal lavoro<br />

nero nelle aree urbane e dall’agricoltura<br />

di sussistenza nelle aree rurali. La fine del<br />

nostro corso di agricoltura e la mancanza di<br />

esami governativi relativi nelle due scuole<br />

di Kasulu (area rurale) da noi visitate,<br />

potrebbe rispecchiare i problemi sopra<br />

esposti. Però credo manchino altri passaggi<br />

chiave in questo ragionamento che, se conosciuti,<br />

forse aiuterebbero a comprendere<br />

meglio la realtà in cui sto vivendo. Una<br />

realtà molto stimolante, che nonostante<br />

le sporadiche delusioni e il senso di inutilità<br />

che a volte prende, sto imparando ad<br />

apprezzare nella sua complessità.

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