e - Cesavo
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i volontari raccontano<br />
nioca, o mchicha sorta di spinacio). Al mercato<br />
è comunque possibile trovare pomodori,<br />
zucchine, carote, melanzane, cetrioli.<br />
Merita un accenno particolare la frutta!<br />
Ananas (deliziosi), banane, manghi (di diverse<br />
qualità), frutto della passione (diverse<br />
qualità), papaia, avocado… infine sono<br />
diventata una divoratrice di canna da zucchero:<br />
dolce e ricca di acqua è la leccornia<br />
preferita da grandi e piccini.<br />
Il Pastoral Center è provvisoriamente provvisto<br />
di rudimentali campi sportivi: uno da<br />
calcio (da cui periodicamente rubano le porte<br />
di legno e la cui superficie non ha erba ma<br />
“simpatici” sassolini “grattugia-pelle”); e<br />
uno da pallavolo (stessi sassolini, in compenso<br />
i pali per la rete sono stati cementati).<br />
Qui i ragazzi grandi e piccoli si ritrovano<br />
tutti i pomeriggi (tranne se impegnati con<br />
la scuola o i doveri domestici), per le attività<br />
sportive, seguiti dagli allenatori locali<br />
fino al calar del sole. Per un’amante dello<br />
sport come la sottoscritta, è un piacere<br />
testare come lo sport possa rappresentare<br />
un’alternativa alla strada. Dalle ragazze<br />
dell’anno scorso abbiamo ereditato la<br />
supervisione della squadra di pallavolo, di<br />
calcio e della neonata squadra di calcio dei<br />
piccoli (12-14 anni), gli stessi a cui due volte<br />
la settimana propongo una classe d’inglese<br />
che sembra riscuotere successo.<br />
Inoltre organizziamo attività ludiche per<br />
i più piccini (4-12 anni): disegno, musica<br />
(canzoncine accompagnate da chitarra che<br />
strimpello decentemente), giochi vari (da<br />
tavolo, corda, macchinine). In particolare<br />
Lina, la mia compagna d’avventura, si<br />
dedica all’animazione dei più piccoli che<br />
le richiedono una pazienza infinita e polso<br />
fermo. É straordinaria!<br />
L’obiettivo principale del progetto comunque<br />
è quello di proporre corsi professionali:<br />
carpenteria, batik, sartoria (quest’anno).<br />
La sfida è quella di offrire ai ragazzi/e<br />
competenze teorico/manuali necessarie per<br />
insegnare loro un mestiere. Nella realtà,<br />
che abbiamo potuto constatare studiando<br />
gli esiti degli anni passati, questi corsi<br />
hanno un impatto economico-sociale poco<br />
rilevante sulla comunità locale. Tra i vari<br />
motivi uno dipende dal fatto che i giovani,<br />
specialmente nelle zone rurali, non conoscono<br />
il concetto di self-employment.<br />
F. Ezekiel, il nostro responsabile locale, ci<br />
ha spiegato come la mentalità più diffusa<br />
sia quella di aspettare che qualcuno ti offra<br />
il lavoro. Questo comporta una corsa alla ricerca<br />
del lavoretto sporadico magari aspettando<br />
per ore sulla strada, ingannando il<br />
tempo a giocare a biliardo o a bere pombe<br />
(l’alcool locale).<br />
Per le ragazze invece il lavoro non manca<br />
mai, abituate come sono sin dalla tenera<br />
età, a prendersi cura di fratelli e sorelle.<br />
Molte riescono anche a completare la<br />
scuola secondaria (soldi permettendo) ma è<br />
raro che riescano ad accedere all’università,<br />
visto come il loro status di donna sia talmente<br />
legato alla maternità e al lavoro nei<br />
campi. Infatti sono le donne a rientrare dai<br />
campi la sera. Le vedi camminare a gruppi<br />
di 3-4 sul ciglio della strada o sui sentieri<br />
di campagna con le loro andature fiere,<br />
la zappa sulla testa, talvolta seguite dalle<br />
bambine.<br />
Dal punto di vista burocratico poi, il P.C.,<br />
non è un istituto di formazione professionale<br />
poiché manca di determinati requisiti<br />
logistici e infrastrutturali. Quindi, fino ad<br />
oggi, i certificati rilasciati hanno avuto<br />
più un valore di attestato di partecipazione<br />
più che di diploma ufficiale (nonostante<br />
il livello di preparazione dei nostri corsi<br />
sia equiparabile a quelli governativi) e infatti,<br />
tra i compiti affidatici quest’anno, vi è<br />
proprio quello di raccogliere tutte le informazioni<br />
necessarie in vista di una possibile<br />
registrazione ufficiale del P.C. come istituto<br />
professionale.<br />
Fin dall’inizio del progetto (cominciato nel<br />
2004 a Kasumo, 2.600 m, un villaggio a meno<br />
di un’ora a Nord di Mwilanvya, prossimo<br />
alla frontiera col Burundi), è esistito anche<br />
il corso di agricoltura che però nel corso del<br />
tempo ha visto diminuire l’affluenza di studenti<br />
fino ad arrivare alla sua soppressione<br />
per l’anno in corso.<br />
Durante le nostre ricerche nelle due scuole<br />
professionali vicine, ci siamo rese conto<br />
che nessuna di queste offriva un rispettivo<br />
esame governativo finale, ma un semplice<br />
attestato redatto dalla scuola stessa. Mi<br />
sono chiesta: come mai proprio in una nazione<br />
come la Tanzania, dove l’agricoltura<br />
rappresenta la spina dorsale della sua economia<br />
(occupando l’80% della forza lavoro),<br />
le scuole professionali e quindi gli stessi<br />
vocational training institutes non accordino<br />
un maggiore sostegno e riconoscimento a<br />
questo tipo di formazione? Navigando su internet<br />
(l’unica volta che il generatore non è<br />
saltato) alla ricerca di informazioni sul VETA<br />
(l’istituto nazionale per i corsi professionali),<br />
ho trovato un vecchio studio dell’Organizzazione<br />
internazionale del lavoro (ILO/<br />
EMAT) datato 1997. Questa analisi spiega<br />
come dagli anni 80 ad oggi le opportunità<br />
d’impiego nel lavoro formale siano andate<br />
diminuendo e come la nuova forza lavoro<br />
venga via via assimilata nel lavoro nero<br />
e nella agricoltura di sussistenza. Inoltre<br />
spiega come la Tanzania stia soffrendo<br />
della mancanza di figure professionali qualificate<br />
in settori come quello minerario e<br />
dell’ospitalità. Il fatto poi che il settore<br />
formale non stia creando nuovi posti di lavoro,<br />
dimostra che l’economia della Tanzania<br />
è sostenuta principalmente dal lavoro<br />
nero nelle aree urbane e dall’agricoltura<br />
di sussistenza nelle aree rurali. La fine del<br />
nostro corso di agricoltura e la mancanza di<br />
esami governativi relativi nelle due scuole<br />
di Kasulu (area rurale) da noi visitate,<br />
potrebbe rispecchiare i problemi sopra<br />
esposti. Però credo manchino altri passaggi<br />
chiave in questo ragionamento che, se conosciuti,<br />
forse aiuterebbero a comprendere<br />
meglio la realtà in cui sto vivendo. Una<br />
realtà molto stimolante, che nonostante<br />
le sporadiche delusioni e il senso di inutilità<br />
che a volte prende, sto imparando ad<br />
apprezzare nella sua complessità.