1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras
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Maria Cristina Bandera<br />
E <strong><strong>di</strong>re</strong> <strong>che</strong> i <strong>paesaggi</strong> <strong>li</strong> <strong>amavo</strong> <strong>di</strong> <strong>più</strong><br />
<strong>Le</strong> <strong>mostre</strong>, <strong>insieme</strong> a qual<strong>che</strong> punto fermo, pongono interrogativi ed aprono sempre nuove piste <strong>di</strong><br />
ricerca. Questa, da subito, pone una domanda: perché una rassegna de<strong>di</strong>cata ai <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Giorgio<br />
Moran<strong>di</strong>? Non vi è dubbio, infatti, <strong>che</strong> il suo nome è associato, per i <strong>più</strong>, a un particolare genere<br />
della pittura, quello della natura morta, tanto da essere stato definito in gergo “il pittore delle<br />
bottig<strong>li</strong>e”. Allora, perchè questa scelta inusuale e <strong>che</strong>, quanto meno, potrebbe sembrare restrittiva?<br />
Eppure entrambi i temi sono ricorrenti nella sua arte. Laconicamente a chi lo interrogava per<br />
tracciarne il profilo nelle pagine de<strong>di</strong>cate ag<strong>li</strong> ‘artisti ita<strong>li</strong>ani’ nella rivista “Il Frontespizio” nel<br />
settembre 1937 risponde: “Dipingo e incido paesi e nature morte” 1 . Soprattutto il suo rivolgersi al<br />
<strong>paesaggi</strong>o non dovrebbe stupire se si tiene presente <strong>che</strong> per <strong>di</strong>pingere necessitava del rapporto<br />
<strong><strong>di</strong>re</strong>tto con la realtà e <strong>che</strong> da essa sempre prendeva avvio. Eg<strong>li</strong> stesso, rispondendo a Pepino<br />
Magravite nel 1955 – e non già nel 1957 come per so<strong>li</strong>to si riporta, secondo la puntuale<br />
ricostruzione della vicenda da parte <strong>di</strong> Lorenza Selleri –, in una delle rare interviste rilasciate, quasi<br />
a esporre il proprio credo artistico, asserisce: “Ritengo <strong>che</strong> esprimere la natura, cioè il mondo<br />
visibile, sia la cosa <strong>che</strong> maggiormente m’interessa” 2 . Si tratta <strong>di</strong> un’affermazione consequenziale a<br />
quella – “Lavoro costantemente dal vero” 3 – sottoscritta all’e<strong>di</strong>tore milanese Giovanni S<strong>che</strong>iwiller,<br />
in risposta al questionario inviatog<strong>li</strong> nel 1930. <strong>Le</strong> due <strong>di</strong>chiarazioni, per essere comprese, vanno<br />
integrate con quella espressa dal pittore all’amico Lamberto Vita<strong>li</strong>, collezionista e stu<strong>di</strong>oso <strong>che</strong><br />
stava preparando una sua importante monografia, nella lettera dell’agosto 1962, quasi a consuntivo<br />
del suo cammino artistico: “Di nuovo al mondo non c’è nulla o pochissimo, l’importante è la<br />
posizione <strong>di</strong>versa e nuova in cui un artista si trova a considerare e a vedere le cose della cosidetta<br />
natura” 4 .<br />
L’attenzione <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> per la realtà visibile è attestata dal numero cospicuo <strong>di</strong> ‘<strong>paesaggi</strong>’, o<br />
meg<strong>li</strong>o, <strong>di</strong> ‘paesi’, come preferiva chiamar<strong>li</strong>, elencati nei cataloghi genera<strong>li</strong> dei suoi <strong>di</strong>pinti, accanto<br />
alle preponderanti nature morte e ai <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> fiori. Complessivamente, essi assommano a poco<br />
meno <strong>di</strong> un quinto della sua opera pittorica con una <strong>di</strong>stribuzione lungo i suoi cinquant’anni <strong>di</strong><br />
attività in<strong>di</strong>cata a suo tempo da Giu<strong>li</strong>ano Briganti e puntua<strong>li</strong>zzata in seguito da Roberto Tassi nei<br />
due saggi <strong>di</strong> maggior ri<strong>li</strong>evo su questo argomento 5 . Ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> ripercorrerla, an<strong>che</strong> per intendere la<br />
ripartizione delle tele, talora <strong>più</strong> rada o, in altri casi, concentrata neg<strong>li</strong> anni, riproposta con uguale<br />
cadenza all’interno del percorso <strong>di</strong> questa rassegna. Innanzitutto l’avvio: se si tiene conto <strong>di</strong> quanto<br />
si è salvato dall’auto<strong>di</strong>struzione critica da lui stesso attuata per le opere giovani<strong>li</strong>, Moran<strong>di</strong> inizia<br />
come paesista con un orientamento <strong>che</strong> vede, a partire dai suoi vent’anni, essendo nato nel 1890, tra<br />
l’inverno 1909-1910 e il 1913, ben nove <strong>paesaggi</strong> accanto a un quadro <strong>di</strong> fiori, a uno <strong>di</strong> natura<br />
1<br />
Nella scarna intervista a cura P. Bargel<strong>li</strong>ni, Artisti ita<strong>li</strong>ani: Giorgio Moran<strong>di</strong>, in “Il Frontespizio”, settembre 1937, ora<br />
in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, catalogo della mostra (New York, The Metropo<strong>li</strong>tan Museum of Art 2008 – Bologna,<br />
MAMbo 2009) a cura <strong>di</strong> M.C. Bandera e R. Miracco, Milano 2008, p. 348.<br />
2<br />
Moran<strong>di</strong> nell’intervista ra<strong>di</strong>ofonica rilasciata a P. Magravite per la USIS (United States Ifrmation Service) nel lug<strong>li</strong>o<br />
1955, e non già come erroneamente per so<strong>li</strong>to è riportato nell’aprile 1957: L. Selleri, From Columbia University to Via<br />
Fondazza. Pepino Magravite Interviews Giorgio Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 350.<br />
3<br />
Milano, Archivio Giovanni S<strong>che</strong>iwiller, carte Moran<strong>di</strong>, Questionario senza data (ma 1929-30) inviato ag<strong>li</strong> artisti<br />
ita<strong>li</strong>ani <strong>di</strong> spicco, riportato in F. Fergonzi, On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 2008,<br />
p. 49.<br />
4<br />
L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore, Milano 1964, (II ed. amp<strong>li</strong>ata, 1965; III ed. amp<strong>li</strong>ata 1970), p. 40, citando la lettera<br />
scrittag<strong>li</strong> da Moran<strong>di</strong> il 3 agosto 1962.<br />
5<br />
G. Briganti, I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, catalogo della mostra (Roma, Galleria dell’Oca) a cura<br />
<strong>di</strong> G. Briganti e E. Coen, Torino 1984, pp. 7-11 e R. Tassi, Il <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong> artista<br />
d’Europa, catalogo della mostra (Bruxelles, <strong>Le</strong> Botanique) a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Milano 1992, pp. 207-210.<br />
1
Maria Cristina Bandera<br />
morta e a uno <strong>di</strong> figura 6 . Si tratta <strong>di</strong> un esito <strong>che</strong> induce Riccardo Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, nel 1918 dalle colonne<br />
de “Il Tempo” 7 , nella prima fondamentale segnalazione del pittore, allora “ignoto” al pubb<strong>li</strong>co, a<br />
commentarne l’attività soffermandosi, accanto alle sue prime nature morte, sul <strong>paesaggi</strong>o del 1913,<br />
V. 11, cat. 2, e soprattutto a sbilanciarsi affermando <strong>che</strong> il pittore “<strong>di</strong> nature morte non ne farà <strong>più</strong>”,<br />
venendo, tuttavia, subito smentito. Di fatto, nel decennio dal 1914 al 1924, con lo iato della sua<br />
cosiddetta fase metafisica dal 1918 al 1920 8 , Moran<strong>di</strong> pre<strong>di</strong><strong>li</strong>ge la natura morta e <strong>di</strong>pinge solo<br />
tre<strong>di</strong>ci <strong>paesaggi</strong>, <strong>di</strong>stribuiti all’interno della numerazione del catalogo generale redatto da Lamberto<br />
Vita<strong>li</strong>, compresa tra il numero 12 e il numero 103, <strong>di</strong> cui tre presenti in questa rassegna (quel1i del<br />
1914, V. 16, cat. 5, del 1916, V. 25, cat. 6, e del 1922, V. 75, cat. 7).<br />
La sua attività <strong>di</strong> paesista riprenderà <strong>più</strong> intensa nel 1925 con cinque tele <strong>di</strong> questo tema (<strong>di</strong> cui<br />
quattro qui esposte: V. 108, V. 110, V. 111, V. 112, cat. 8, 9, 10, 11) per poi ripartire, con un vigore<br />
<strong>che</strong> la rassegna si sforza <strong>di</strong> ripercorrere, nel 1927, anno del suo soggiorno estivo a Grizzana, quando<br />
in<strong>di</strong>vidua nel piccolo e silenzioso paese dell’Appennino bolognese fatto <strong>di</strong> “po<strong>che</strong> case sparse sul<br />
crinale <strong>di</strong> un dosso alto, fra due val<strong>li</strong>, quella <strong>che</strong> da Vergato sale fino alla Porretta ed unisce così<br />
l’Emi<strong>li</strong>a papale alla Toscana dei Granduchi, e l’altra <strong>più</strong> <strong>di</strong>stante, ad oriente” 9 , il luogo eletto a lui<br />
<strong>più</strong> congeniale, così da farne, fino al 1944 e poi ancora dal 1960 e fino all’estate <strong>che</strong> ne anticipa la<br />
morte, avvenuta nel 1964, il soggetto scelto per la sua pittura <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o. Non lontano da<br />
Grizzana, il borgo <strong>di</strong> Roffeno, simile nella morfologia, rappresenterà per Moran<strong>di</strong> il pretesto<br />
figurativo dal 1933 al 1938. Complessivamente questi sono g<strong>li</strong> anni della maggiore concentrazione<br />
dei suoi <strong>paesaggi</strong>, com’è attestato an<strong>che</strong> dal numero <strong>di</strong> opere ora in mostra. Tassi 10 nel 1992 <strong>li</strong> ha<br />
contati, senza tuttavia tenere conto dei pochi elencati da Marilena Pasqua<strong>li</strong> 11 nell’aggiornamento <strong>di</strong><br />
catalogo, circa un decennio dopo: 32 dal 1935 al 1937, 87 neg<strong>li</strong> anni della seconda guerra dal 1940<br />
al 1944 quando il pittore è costretto a fuggire dai bombardamenti aerei <strong>di</strong> Bologna e vive un esi<strong>li</strong>o<br />
forzato – ma an<strong>che</strong> una sub<strong>li</strong>me concentrazione artistica – a Grizzana, ed infine 39 dal 1960 al 1963<br />
quando, costruitavi una propria abitazione nel paese, ritrova con slancio l’amore per quei pen<strong>di</strong>i<br />
“inameni” 12 . Nel frattempo, rientrato a Bologna dopo il rapido allontanamento da Grizzana nel<br />
settembre del 1944 per sfuggire ag<strong>li</strong> eventi bel<strong>li</strong>ci <strong>che</strong> avevano raggiunto la <strong>li</strong>nea gotica, Moran<strong>di</strong>,<br />
per circa un decennio, non si allontanerà dalla città felsinea, se non per brevi soggiorni a<br />
Salsomaggiore, a <strong>Le</strong>vico e a Merano, quasi abbandonando, così, la pittura <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o.<br />
A partire dal 1954 Moran<strong>di</strong> guarderà solo ag<strong>li</strong> spazi <strong>li</strong>mitrofi, <strong>li</strong>mitandosi a scrutare la realtà oltre la<br />
finestra del proprio stu<strong>di</strong>o, cui si era già rivolto in casi assai spora<strong>di</strong>ci neg<strong>li</strong> anni ad<strong>di</strong>etro (si vedano<br />
quel<strong>li</strong> del 1934-1935, V. 188, cat. 21, V. 189, cat. 22, V. 198, cat. 23, V. 204, cat. 25 e del 1947, V.<br />
590, cat. 53), identificando lo spazio racchiuso e la bellezza tranquilla del Cortile via Fondazza<br />
come il soggetto delle proprie vedute.<br />
Un’attività rilevante, dunque, quella <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> paesista <strong>che</strong> finora non ha avuto la risonanza<br />
me<strong>di</strong>atica con cui oggi si misura la grandezza <strong>di</strong> un artista – an<strong>che</strong> se, in questo caso, <strong>di</strong> un aspetto<br />
parziale, se pur sa<strong>li</strong>ente, della sua opera – tale da influenzare il ‘borsino’ delle valutazioni delle<br />
6<br />
Se si tiene conto dell’aggiornamento curato da M. Pasqua<strong>li</strong>, Moran<strong>di</strong>. Opere catalogate tra il 1985 e il 2000,<br />
Bologna, 2000.<br />
7<br />
R. Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, in “Il Tempo”, Roma 29 marzo 1918, ora nell’Antologia Critica raccolta da L. Vita<strong>li</strong>,<br />
Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore, cit. 1964, pp. 43-44.<br />
8<br />
M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong>: «La metafisica deg<strong>li</strong> oggetti <strong>più</strong> comuni», in De Chirico, Max Ernst, Magritte,<br />
Balthus. Uno sguardo nell’invisibile, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo strozzi) a cura <strong>di</strong> P. Baldacci, G.<br />
Magnaguagno, G. Roos, Firenze 2010.<br />
9<br />
L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore, cit. 1964, p. 34.<br />
10<br />
R. Tassi, Il <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, cit. 1992, p. 207.<br />
11<br />
M. Pasqua<strong>li</strong>, Moran<strong>di</strong>. Opere catalogate, cit. 2000.<br />
12<br />
R. Longhi, Giorgio Moran<strong>di</strong>, catalogo della mostra (Firenze, Il Fiore Galleria d’Arte Moderna, 21 aprile – 3 maggio)<br />
Firenze 1945, rie<strong>di</strong>to con l’aggiunta della premessa per la mostra postuma del pittore nel Catalogo della XXXIII<br />
Biennale <strong>di</strong> Venezia, 1966, ora in R. Longhi, Scritti sull’Otto e Novecento 1925-1966, Firenze (Opere complete, XIV)<br />
1984, p. 96.<br />
2
Maria Cristina Bandera<br />
opere <strong>di</strong> questo tema 13 . Un metro <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio inadatto alla sua pittura <strong>che</strong>, non vi è dubbio, non<br />
avrebbe scalfito il maestro, <strong>di</strong> cui sono noti la ritrosia e i numerosi aneddoti circa il <strong>di</strong>stacco dal<br />
valore venale dei suoi <strong>di</strong>pinti. In questa <strong><strong>di</strong>re</strong>zione, tuttavia, può essere interpretato come un primo<br />
segnale <strong>di</strong> controtendenza, per <strong>di</strong> <strong>più</strong> internazionale, l’aver voluto accompagnare la recensione della<br />
mostra monografica <strong>che</strong> ha riconfermato la grandezza internazionale dell’artista, da noi organizzata<br />
nel 2008 al Metropo<strong>li</strong>tan Museum 14 , da parte del “New York Sun” 15 con l’illustrazione a colori, in<br />
prima e a piena pagina, del Paesaggio 1935, V. 200, cat. 24, e, nella pagina interna, come solo altra<br />
immagine, quella del Paesaggio 1962, V. 1290, cat. 62, entrambi, an<strong>che</strong> per questo motivo,<br />
nell’attuale rassegna.<br />
A metà deg<strong>li</strong> anni ottanta, Giu<strong>li</strong>ano Briganti fu il primo stu<strong>di</strong>oso a de<strong>di</strong>care una mostra piccola e<br />
raffinata ai so<strong>li</strong> <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> alla Galleria dell’Oca a Roma 16 e a scrivere dei “motivi dei<br />
suoi paesi”. In seguito, tra le sole esposizioni incentrate su questo tema e degne <strong>di</strong> nota, sono da<br />
annoverarsi quella, circoscritta e comprendente se<strong>di</strong>ci tele, ma selezionata e accompagnata da un<br />
catalogo ricco <strong>di</strong> testimonianze, de I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> neg<strong>li</strong> anni <strong>di</strong> guerra 1940-1944, curata da<br />
Marilena Pasqua<strong>li</strong> nel 1994 nelle sale del Comune <strong>di</strong> Grizzana 17 e quella organizzata da Heinz<br />
<strong>Le</strong>isbrock e presentata nel 2005 da un suo breve saggio in catalogo 18 allo Josef Albers Museum <strong>di</strong><br />
Bottrop con una trentina <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong> provenienti per lo <strong>più</strong> dal Museo Moran<strong>di</strong>.<br />
Eppure questo aspetto dell’arte del maestro bolognese, questi suoi <strong>paesaggi</strong> intensi, <strong>li</strong>rici e<br />
essenzia<strong>li</strong>, vantano un’importante fortuna critica <strong>che</strong> annovera i letterati e g<strong>li</strong> artisti <strong>che</strong> per primi<br />
ne intesero la grandezza e, in un momento successivo, g<strong>li</strong> storici della pittura <strong>che</strong> da sempre<br />
sostennero la sua opera esprimendosi con slancio e collezionando suoi <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> questo tema – e lo<br />
attestano, in mostra, i <strong>paesaggi</strong> appartenuti a Mario Brog<strong>li</strong>o, Curzio Malaparte, Giuseppe Raimon<strong>di</strong>,<br />
Antonio Bal<strong>di</strong>ni, Alfredo Casella, Roberto Longhi, Cesare Bran<strong>di</strong>, Lamberto Vita<strong>li</strong>, Carlo Ludovico<br />
Ragghianti, Ranuccio Bianchi Ban<strong>di</strong>nel<strong>li</strong>, Cesare Gnu<strong>di</strong> e Luigi Magnani –, così da fornire<br />
un’ulteriore risposta all’urgenza <strong>di</strong> questa mostra. Un’urgenza <strong>che</strong>, se si tiene conto<br />
dell’irreperibi<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> po<strong>che</strong> opere, ha trovato riscontro nella <strong>di</strong>sponibi<strong>li</strong>tà pressoché totale dei<br />
prestatori delle raccolte <strong>più</strong> prestigiose, pubb<strong>li</strong><strong>che</strong> e private, <strong>che</strong> salvo rari impe<strong>di</strong>menti musea<strong>li</strong> 19 o<br />
spora<strong>di</strong><strong>che</strong> riserve <strong>di</strong> collezionisti, hanno risposto con slancio alle richieste <strong>di</strong> prestito. Il rammarico<br />
è soprattutto per il Paesaggio 1916, V. 30, appartenuto a Mino Maccari <strong>che</strong> avrebbe rappresentato<br />
un momento importante. Si tratta <strong>di</strong> un’opera <strong>che</strong>, non solo per il colore, ma an<strong>che</strong> per la<br />
“spartizione sghemba <strong>di</strong> zone”, sebbene abbia “per matrice le cristal<strong>li</strong>zzazioni romboedri<strong>che</strong> de<br />
L’Estaque o della Santa Vittoria, ormai va alla deriva dal modello”, secondo la lettura <strong>di</strong> Bran<strong>di</strong> del<br />
1940 20 .<br />
Per questo, per meg<strong>li</strong>o intendere l’argomento, può essere utile estrapolare dalla fortuna critica<br />
relativa a Moran<strong>di</strong> alcuni tra i brani <strong>più</strong> significativi riferiti ai suoi <strong>paesaggi</strong>, an<strong>che</strong> se il risultato,<br />
volutamente in<strong>di</strong>cativo, non può essere <strong>che</strong> parziale e frammentario. Si rivela, comunque,<br />
interessante per leggere le sue opere <strong>di</strong> questo genere con l’occhio dei suoi sostenitori, <strong>che</strong> ne<br />
13<br />
F. Fergonzi, Dag<strong>li</strong> “acquirenti amici” alla “<strong>li</strong>sta <strong>di</strong> attesa per un quadro”: un primo profilo del collezionismo<br />
moran<strong>di</strong>ano, in Giorgio Moran<strong>di</strong> collezionisti e amici, catalogo della mostra (Varese, Villa e Collezione Panza) a cura<br />
<strong>di</strong> A. Bernar<strong>di</strong>ni, Milano 2009, pp. 17-30.<br />
14<br />
Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008.<br />
15<br />
Inserto “Arts+” del New York Sun <strong>di</strong> giovedì 18 settembre 2008, http://www.nysun.com/arts/moran<strong>di</strong>s-subtlespectacle/86073/.<br />
16<br />
I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, cit. 1984.<br />
17<br />
Giorgio Moran<strong>di</strong>. L’immagine dell’assenza. I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> neg<strong>li</strong> anni della guerra 1940-1944, catalogo della<br />
mostra (Grizzana, Sala Municipale Mostre) a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Milano 1994.<br />
18<br />
H. Liesbrock, Herausforderung der Natur Zu Moran<strong>di</strong>s Landschaften, in Giorgio Moran<strong>di</strong> Landschaft, catalogo della<br />
mostra (Bottrop, Josef Albers Museum Quadrat, 6 febbraio-24 aprile 2005), a cura <strong>di</strong> H. Liesbrock (altri testi <strong>di</strong> M.<br />
Semff, P. Weiermair), pp. 70-77.<br />
19<br />
Come nel caso dei quadri <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> della collezione Boschi <strong>di</strong> Stefano <strong>di</strong> cui è previsto il trasferimento al Museo<br />
del Novecento a Milano o <strong>di</strong> quel<strong>li</strong> della collezione Vismara <strong>che</strong> per vincolo sono inamovibi<strong>li</strong>.<br />
20<br />
C. Bran<strong>di</strong>, Cammino <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in “<strong>Le</strong> Arti”, febbraio-marzo 1939, ora in Moran<strong>di</strong>, a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong> con il<br />
carteggio Bran<strong>di</strong>-Moran<strong>di</strong>, Siena-Prato 2008, p. 33.<br />
3
Maria Cristina Bandera<br />
furono in molti casi an<strong>che</strong> i collezionisti. La successione cronologica con cui questi passi sono<br />
riproposti serve a verificare il variare interpretativo con lo scorrere deg<strong>li</strong> anni, ma an<strong>che</strong> il <strong>di</strong>fferente<br />
orientamento critico 21 .<br />
Riccardo Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, il letterato de “La Ronda”, vicino a Moran<strong>di</strong> per essere il fratello del pittore<br />
Mario, suo compagno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> all’Accademia, presentandolo come s’è detto su “Il Tempo” nel<br />
1918, cita il <strong>paesaggi</strong>o del 1913, V. 11, cat. 4. Lo descrive come “un folto <strong>di</strong> un verde faticoso,<br />
come <strong>di</strong>ce Dino Campana, con due <strong>li</strong>nee <strong>di</strong> col<strong>li</strong>ne scendenti, con rami sospesi” per il quale avanza<br />
un confronto – <strong>che</strong> sarà meg<strong>li</strong>o spiegato in un’intervista televisiva rilasciata a decenni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza 22<br />
– con “il gran nome <strong>di</strong> Giotto”. Un parallelo <strong>che</strong> è da vedersi come l’eco del <strong>di</strong>battito tra artisti in<br />
riferimento al recupero della “pura plasticità” dell’antico pittore toscano 23 .<br />
Dopo questa prima citazione, Carlo Carrà, il maestro considerato come punto <strong>di</strong> riferimento 24 e il<br />
compagno <strong>di</strong> strada della breve stagione metafisica, nel 1925, annota come tra le opere <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong><br />
vi siano “sue pitture <strong>che</strong> portano l’impronta d’un temperamento estremamente de<strong>li</strong>cato e unitario,<br />
d’una potenza ingenita e feconda; fra le qua<strong>li</strong> non esito a mettere la maggior parte dei suoi <strong>paesaggi</strong><br />
dell’ultimo e <strong>più</strong> recente periodo” 25 . Tre anni dopo, sarà ancora una volta un pittore, Mino Maccari,<br />
a evidenziare la qua<strong>li</strong>tà della materia cromatica e il raggiungimento poetico dei suoi <strong>di</strong>pinti: “Nella<br />
pittura del bolognese la pasta del colore, ricchissima, densa, lavorata, non è mai una concessione<br />
alla materia né un’esibizione <strong>di</strong> virtuosismo, ma un elemento <strong>che</strong> dovendo servire a un’idea sempre<br />
poetica non può essere trascurato [...]. I quadri <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> [...] rivelano la bellezza e la poesia <strong>di</strong><br />
quelle cose <strong>che</strong> per essere umi<strong>li</strong> e modeste hanno bisogno <strong>di</strong> essere capite, interpretate o descritte da<br />
un artista perchè il mondo si accorga <strong>di</strong> loro. Sono nature morte, paesi, campi, ango<strong>li</strong> so<strong>li</strong>tari della<br />
natura non «pittoresca», né orrida, né smag<strong>li</strong>ante, ma comune, semp<strong>li</strong>ce, senza eccessi <strong>di</strong> <strong>li</strong>nee, <strong>di</strong><br />
colori e <strong>di</strong> contrasti. [...] Moran<strong>di</strong> è un poeta” 26 .<br />
Tralasciando l’interpretazione antimoderna, in <strong><strong>di</strong>re</strong>zione strapaesana, <strong>che</strong> caratterizza il testo <strong>di</strong> <strong>Le</strong>o<br />
Longanesi pubb<strong>li</strong>cato su “L’Ita<strong>li</strong>ano”, il settimanale da lui <strong><strong>di</strong>re</strong>tto, nel <strong>di</strong>cembre 1928, perchè per<br />
questo si rimanda al saggio in catalogo <strong>di</strong> Barbara Cinel<strong>li</strong>, a seguire va ricordato Ardengo Soffici.<br />
L’amico <strong>di</strong> tutta una vita, colui <strong>che</strong> con i suoi scritti vociani sull’impressionismo francese e sul<br />
Doganiere Rousseau ha <strong>di</strong>ssodato il terreno orientandolo verso l’avanguar<strong>di</strong>a anziché verso la<br />
tra<strong>di</strong>zione, sotto<strong>li</strong>nea l’inc<strong>li</strong>nazione autonoma e aggiornata <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> in un testo uscito nel numero<br />
monografico de “L’Ita<strong>li</strong>ano” a lui de<strong>di</strong>cato nel 1932 27 : “Cominciamo intanto con l’osservare <strong>che</strong> fin<br />
dai suoi primi saggi l’arte <strong>di</strong> questo pittore, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto avviene or<strong>di</strong>nariamente, reca i<br />
segni <strong>di</strong> una coscienza e <strong>di</strong> una consapevolezza [...]. Mi riferisco ai paesi e ai ritratti <strong>che</strong> risalgono al<br />
1911-13-14-16. È facile vedere <strong>che</strong> in questi <strong>di</strong>pinti il loro autore, fig<strong>li</strong>o genuino del tempo suo,<br />
operato già in sé l’assorbimento – e quin<strong>di</strong> superatine i principî – del natura<strong>li</strong>smo e<br />
21<br />
Per i critici <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> si veda M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong>: non solo “Gran<strong>di</strong> Inquisitori”, in Memorie<br />
dell’Antico nell’Arte del Novecento, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, Museo deg<strong>li</strong> Argenti), a cura <strong>di</strong> O.<br />
Casazza e R. Gennaio<strong>li</strong>, Firenze 2009, pp.50-55.<br />
22<br />
Intervista televisiva rilasciata ad Anna Zano<strong>li</strong> per il programma “Io e....”, con la regia <strong>di</strong> Luciano Emmer, andato in<br />
onda il 22 marzo 1972 sulla RAI TV. Significativo, a questo proposito, è il fotogramma <strong>che</strong> inquadra il particolare con<br />
la “schiena dei monti” e le “<strong>li</strong>nee <strong>di</strong> contorno e <strong>di</strong> forza” della scena con la Fuga in Egitto affrescata da Giotto nella<br />
cappella deg<strong>li</strong> Scrovegni a Padova. Il testo è riportato e commentato da M.C. Bandera, Miscellanea per Moran<strong>di</strong>, in<br />
“Paragone”, 67, maggio 2006, p. 37-42.<br />
23<br />
M.C. Bandera, Miscellanea per Moran<strong>di</strong>, cit. 2006, p. 39-40.<br />
24<br />
“Dei [pittori] moderni ritengo Corot, Courbet, Fattori e Cézanne g<strong>li</strong> ere<strong>di</strong> <strong>più</strong> legittimi della gloriosa tra<strong>di</strong>zione<br />
ita<strong>li</strong>ana”, così Moran<strong>di</strong> nella propria ‘autobiografia’: Giorgio Moran<strong>di</strong> in Autobiografie <strong>di</strong> scrittori e <strong>di</strong> artisti del tempo<br />
fascista, in “L’Assalto”, 18 febbraio 1928, ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 346.<br />
25<br />
C. Carrà, Giorgio Moran<strong>di</strong>, in “L’Ambrosiano”, Milano, 25 giugno 1925, ora in C. Carrà, Segreto professionale, a<br />
cura <strong>di</strong> M. Carrà, Vallecchi, Firenze 1962, pp. 344-247.<br />
26<br />
M. Maccari, Giorgio Moran<strong>di</strong>, in “Il Resto del Car<strong>li</strong>no”, Bologna, 8 giugno 1928, poi in L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong><br />
pittore, cit. 1964, p. 46.<br />
27<br />
A. Soffici, G. Moran<strong>di</strong>, in “L’Ita<strong>li</strong>ano”, VII, 10, Bologna marzo 1932, poi in L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore, cit.<br />
1964, p. 48, e in L. Cavallo,“A Prato per vedere i Corot” corrispondenza Moran<strong>di</strong>-Soffici per un’antologica <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong>, Galleria d’Arte Moderna Farsetti, Firenze 1989, p. 60-61.<br />
4
Maria Cristina Bandera<br />
dell’impressionismo, orienta le sue ricer<strong>che</strong> nel senso <strong>di</strong> un’espressione infinitamente <strong>più</strong> <strong>li</strong>bera,<br />
come allora si <strong>di</strong>ceva, cioè essenziale, intendendo <strong>più</strong> puramente pittorica e plastica. Difatti, meg<strong>li</strong>o<br />
<strong>che</strong> la rappresentazione delle cose e deg<strong>li</strong> esseri, il pittore qui persegue ciò <strong>che</strong> <strong>di</strong> suggestivo, in un<br />
certo senso immateriale e musicale, promana dai loro aspetti; sì <strong>che</strong> dag<strong>li</strong> elementi della realtà<br />
visibile, <strong>più</strong> <strong>che</strong> una raffigurazione aneddotica sottoposta ag<strong>li</strong> accidenti del momento e della<br />
posizione, risulta un <strong>insieme</strong> armonico <strong>di</strong> colori, forme, volumi, la cui sola legge sia l’unità e la<br />
bellezza deg<strong>li</strong> accor<strong>di</strong>.”<br />
Notissime, ricorrenti e imprescin<strong>di</strong>bi<strong>li</strong> sono le parole <strong>di</strong> Roberto Longhi, così da assumere il<br />
significato <strong>di</strong> pietre mi<strong>li</strong>ari nella fortuna critica <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Dopo la segnalazione fulminea, <strong>che</strong><br />
scosse l’u<strong>di</strong>torio nell’aula dell’università felsinea dove nel 1934 lo storico dell’arte, già famoso,<br />
teneva la propria prolusione eleggendo il bolognese “uno dei mig<strong>li</strong>ori pittori viventi d’Ita<strong>li</strong>a” 28 ,<br />
poco <strong>più</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni dopo, nell’aprile 1945, non conoscendone “la sorte incerta” e confidando <strong>di</strong><br />
darne il “bentornato”, dopo il blackout della guerra <strong>che</strong> aveva interrotto i loro rapporti, raggruppò in<br />
una mostra memorabile 29 ventuno <strong>di</strong>pinti. Tra questi, sette sono nature morte, tre fiori e ben un<strong>di</strong>ci<br />
‘paesi’ con una cadenza cronologica significativa: uno del 1932 e <strong>di</strong>eci compresi tra il 1940 e il<br />
1943. Per l’occasione Longhi accompagnò le opere con un testo in cui si avvalse <strong>di</strong> un passo <strong>di</strong><br />
Proust come “introduzione alla pittura <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>”, con un assunto riferito a tutti i ‘generi’ della<br />
sua pittura: “Che soltanto scavando dentro e attraverso la forma, e stratificando le ‘ricordanze’<br />
tona<strong>li</strong>, si possa riescire alla luce del sentimento <strong>più</strong> integro e puro, ecco infatti la lezione intima <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong> e il chiarimento imme<strong>di</strong>ato della sua riduzione del soggetto <strong>che</strong> gira al minimo;<br />
l’abo<strong>li</strong>zione, in ogni caso, del soggetto invadente <strong>che</strong> parte in quarta e si <strong>di</strong>vora l’opera e<br />
l’osservatore. Oggetti inuti<strong>li</strong>, <strong>paesaggi</strong> inameni, fiori <strong>di</strong> stagione, sono pretesti <strong>più</strong> <strong>che</strong> sufficienti<br />
per esprimersi ‘in forma’; e non si esprime, si sa bene, <strong>che</strong> il sentimento” 30 . Di questi <strong>paesaggi</strong><br />
spog<strong>li</strong> e severi, “inameni” appunto, Longhi tornerà a parlare nella lunga nota <strong>che</strong> accompagna il<br />
testo del 1945 riproposto per la “ricapitolazione delle opere” presentata dalla Biennale <strong>di</strong> Venezia<br />
nel 1966, la prima dopo la morte del pittore avvenuta due anni prima. Lo farà con nuovo slancio<br />
eleggendo<strong>li</strong> fra le espressioni <strong>più</strong> alte del “lungo e maestrevole percorso” dell’amico: “Moran<strong>di</strong><br />
cresceva frattanto instancabilmente e io lo vi<strong>di</strong> sa<strong>li</strong>re fino al culmine, <strong>che</strong> mi pare forse il <strong>più</strong> alto da<br />
lui raggiunto, dei <strong>paesaggi</strong> del 1943” 31 . Un’asserzione <strong>che</strong> potrà essere verificata con questa mostra<br />
<strong>che</strong> vede affiancati ventidue <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong>pinti tra il 1940 e il 1943.<br />
Nel frattempo an<strong>che</strong> Cesare Bran<strong>di</strong> aveva rivolto la sua attenzione a Moran<strong>di</strong>, <strong>di</strong>venendone uno dei<br />
maggiori esegeti, anch’eg<strong>li</strong> conquistato dai suoi <strong>paesaggi</strong>, tanto da essere convinto <strong>che</strong> essi “non<br />
costituiscono una testimonianza meno importante” 32 nella sua arte, e da ottenerne in dono quello<br />
bel<strong>li</strong>ssimo, del 1934, V. 181, cat. 18. Il critico si era soffermato su questi motivi <strong>di</strong> paese già nel suo<br />
primo saggio del 1939, uscito dopo la <strong>di</strong>savventura della Quadriennale <strong>di</strong> quello stesso anno in cui<br />
il pittore, <strong>che</strong> aveva personalmente selezionato le opere per la propria sala, si vide scavalcato da<br />
Saetti nell’ottenimento del premio: “Da quei <strong>paesaggi</strong> mai si avrà il senso del momento colto e<br />
sottratto alla natura, come nella fotografia o nella pittura macchiaiola […]. La subitaneità<br />
dell’apparizione […] non è istantaneità. La durata <strong>di</strong> questi paesi è infinita: la loro immagine si<br />
forma a un fuoco impreciso, è prima <strong>di</strong> tutto un’immagine mentale conservata e riattivata nella<br />
memoria. Paesaggio già riflesso nel tempo, <strong>che</strong>, senza residui uti<strong>li</strong>tari, fisso e prestabi<strong>li</strong>to nella sua<br />
casuale appartenenza, presta le sue macchie e i suoi prati, g<strong>li</strong> addensamenti delle ombre, i vuoti<br />
d’aria dei piani, ad una <strong>di</strong>alettica interna <strong>che</strong> <strong>li</strong> riadatta in una sequenza <strong>di</strong> colori semp<strong>li</strong>ci, <strong>li</strong><br />
ri<strong>di</strong>spone per relazioni spazia<strong>li</strong> <strong>di</strong>verse 33 ”.<br />
28 R. Longhi nella prolusione (1934) pubb<strong>li</strong>cata con il titolo Momenti della pittura bolognese, in “l’Archiginnasio”,<br />
XXX, nn. 1-3, 1935, p. 135, ora in R. Longhi, Lavori in Valpadana dal Trecento al primo Cinquecento 1934-1964,<br />
Firenze (Opere complete, VI) 1973, p. 205.<br />
29 R. Longhi, Giorgio Moran<strong>di</strong> cit. 1945.<br />
30 R. Longhi, Giorgio Moran<strong>di</strong> [1945], cit. 1984, p. 96.<br />
31 R. Longhi, Giorgio Moran<strong>di</strong> [1966], cit. 1984, p. 93.<br />
32 C. Bran<strong>di</strong>, Cammino <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, 1939, ora in Moran<strong>di</strong>, cit. 2008, p. 43.<br />
33 Ivi, p. 45.<br />
5
Maria Cristina Bandera<br />
Carlo Ludovico Ragghianti, <strong>che</strong> frequentò Moran<strong>di</strong> a Bologna neg<strong>li</strong> anni della seconda guerra 34 e<br />
<strong>che</strong> fu destinatario del Paesaggio del 1942, P. 2000, 1942/3, cat. 39, ha de<strong>di</strong>cato, in tempi<br />
successivi, alcuni saggi al pittore, marcati da una personale e importante lettura critica, soprattutto<br />
per quanto concerne l’architettura della sua visione, riferita per lo <strong>più</strong> alle sue nature morte 35 . Per<br />
quanto riguarda la sua lettura dei <strong>paesaggi</strong>, rimane significativo il saggio Bologna cruciale 1914 36<br />
per quell’approfon<strong><strong>di</strong>re</strong> il terreno connettivo in cui il poco <strong>più</strong> <strong>che</strong> ventenne Moran<strong>di</strong> prese il suo<br />
avvio. Per quell’ana<strong>li</strong>si <strong>di</strong> quel primo cammino da lui compiuto accanto a Giacomo Vespignani, a<br />
Osvaldo Licini, a Mario Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, e Severo Pozzati, tutti giovani e ‘accademici’, con cui il pittore<br />
con<strong>di</strong>vise la sua prima e avventurosa mostra, <strong>di</strong> due giorni e una sola notte all’Hotel Bag<strong>li</strong>oni a<br />
Bologna il 21 e 22 marzo 1914. Un c<strong>li</strong>ma da cui, tuttavia, ben presto Moran<strong>di</strong> seppe smarcarsi per<br />
proseguire il suo percorso so<strong>li</strong>tario, ma non estraniato, e innovativo.<br />
Dopo la prima monografia sull’artista del 1939 <strong>di</strong> Arnaldo Beccaria, giovane poeta al<strong>li</strong>evo <strong>di</strong><br />
Ungaretti, dove non vi è un accenno specifico ai suoi <strong>paesaggi</strong> nel testo, ma dove ne sono illustrati<br />
sei, quella a seguire, è <strong>di</strong> Cesare Gnu<strong>di</strong>, scolaro a Bologna <strong>di</strong> Igino Supino, amico <strong>di</strong> Ragghianti<br />
(cui lo scritto è de<strong>di</strong>cato) e frequentatore delle lezioni <strong>di</strong> Longhi. In questo testo del 1946 lo storico<br />
dell’arte pone inizialmente l’accento su come l’intensità del colloquio <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte ai suoi<br />
motivi – siano essi paesi o nature morte – richieda una <strong>li</strong>mitazione spaziale: “An<strong>che</strong> nel <strong>paesaggi</strong>o<br />
l’occhio <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> circoscrive un campo visivo quasi sempre ristretto: eg<strong>li</strong> ha bisogno <strong>di</strong> quella<br />
concentrazione (un appezzamento <strong>di</strong> terreno, pochi alberi, una casa, una striscia angusta <strong>di</strong> cielo),<br />
come un poeta <strong>li</strong>rico <strong>che</strong> racchiude la sua emozione nel breve giro <strong>di</strong> un canto” 37 . Subito dopo,<br />
sempre in una lettura paritetica dei due generi, evidenzia l’unicità del pittore nell’interpretare la<br />
luce: “l’assolutezza dei <strong>paesaggi</strong> come delle nature morte deriva da questo respiro della luce <strong>che</strong><br />
palpita con uguale intensità in ogni apparenza la <strong>più</strong> trascurabile dell’immagine e tutto unifica a<br />
tutto imprimendo, al cielo come a un cespug<strong>li</strong>o, l’identica pulsazione profonda. 38 ”<br />
Diversamente, sul versante nordamericano, allo scadere deg<strong>li</strong> anni quaranta, si assiste ad una inizale<br />
<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> Alfred H. Barr Jr e <strong>di</strong> James Thrall Soby 39 , primo <strong><strong>di</strong>re</strong>ttore del MoMA l’uno e storico,<br />
consulente e curatore <strong>di</strong> spicco dello stesso museo l’altro, ad intendere l’arte <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, salvo<br />
ravvedersi in un momento successivo rimanendone affascinati come farà Soby tanto da volere<br />
personalmente una sua natura morta 40 . Giunti in Ita<strong>li</strong>a per esaminare ‘sul campo’ la pittura ita<strong>li</strong>ana<br />
da esporre all’epocale rassegna Twentieth-Century Ita<strong>li</strong>an Art in preparazione per il loro museo a<br />
New York nel 1949, essi stentarono a comprendere il motivo per cui, in patria, critici e collezionisti<br />
considerassero “Giorgio Moran<strong>di</strong> come il loro <strong>più</strong> grande artista vivente” 41 . Di lui, tuttavia,<br />
esposero tre<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>pinti con una selezione in<strong>di</strong>cativa e <strong>che</strong> farà tendenza: un<strong>di</strong>ci nature morte, un<br />
<strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> fiori e un solo <strong>paesaggi</strong>o. Fu una scelta <strong>che</strong> certamente influenzò il collezionismo<br />
statunitense <strong>che</strong> si rivolse essenzialmente a opere <strong>di</strong> questo ‘genere’ del maestro ita<strong>li</strong>ano, e <strong>che</strong>, è<br />
probabile, ebbe una ricaduta an<strong>che</strong> sui collezionisti ita<strong>li</strong>ani (orientati fino a quella data an<strong>che</strong> verso i<br />
<strong>paesaggi</strong>), quando nel 1960 si tenne a Milano la mostra Arte ita<strong>li</strong>ana del XX secolo da collezioni<br />
34 Sul rapporto Moran<strong>di</strong> - Ragghianti si veda M.C. Bandera, Moran<strong>di</strong> e Firenze. I suoi amici, critici e collezionisti,<br />
catalogo della mostra (Firenze, Fondazione Longhi) a cura <strong>di</strong> M.C. Bandera, Milano 2005, pp. 27-33.<br />
35 C.L. Ragghianti, Moran<strong>di</strong> o l’architettura della visione [1982], in Bologna cruciale 1914 e saggi su Moran<strong>di</strong>, Gorni,<br />
Saetti, Bologna (Opere <strong>di</strong> Carlo . Ragghianti, VIII) 1982, pp. 221- 253.<br />
36 C.L. Ragghianti, Bologna cruciale 1914, in “Critica d’Arte”, nn. 106-107, 1969, ora in Bologna cruciale 1914 e saggi<br />
cit. 1982.<br />
37 C. Gnu<strong>di</strong>, Moran<strong>di</strong>, Firenze 1946, p. 27.<br />
38 Ivi.<br />
39 J.Th. Soby, Giorgio Moran<strong>di</strong>, in “Saturday Review”, New York, 4, gennaio 1958, pp. 23-24.<br />
40 Si tratta della Natura morta, 1949, V. 692, ora al MoMA <strong>di</strong> New York, Lascito James Thrall Soby 1240.1979.<br />
41 J. Th. Soby, A visit to Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong>, catalogo della mostra, Royal Academy of Arts, London, 5<br />
<strong>di</strong>cembre 1970 – 17 gennaio 1971, p. 5.<br />
6
Maria Cristina Bandera<br />
americane, or<strong>di</strong>nata an<strong>che</strong> in questo caso da Soby 42 , dove furono esposte nove opere <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> e<br />
tutte nature morte.<br />
Spettò a Rodolfo Pallucchini, neg<strong>li</strong> anni cinquanta, accompagnare il pittore sulla scena<br />
transoceanica alla IV Biennale <strong>di</strong> San Paolo del Brasile nel 1957 con un testo critico <strong>che</strong> mirava a<br />
rendere ‘attuale’ Moran<strong>di</strong> 43 . L’occasione fu la “Sala Especial” per l’importante esposizione<br />
sudamericana, organizzata dalla Biennale <strong>di</strong> Venezia, con trenta opere, scelte dallo stesso Moran<strong>di</strong>,<br />
comprensive <strong>di</strong> sette <strong>paesaggi</strong>, <strong>di</strong> cui quattro ora in mostra: 1925, V. 110, cat. 9; 1932, V. 174, cat.<br />
16; 1940, V. 279, cat. 30; 1942, P. 1942/2, cat. 38. Con l’intento <strong>di</strong> fare breccia su Alfred H. Barr<br />
Jr., <strong>che</strong> rappresentava il punto <strong>di</strong> forza della giuria brasi<strong>li</strong>ana, il critico ita<strong>li</strong>ano avanza un ar<strong>di</strong>to<br />
confronto con Mondrian 44 , <strong>che</strong> a Moran<strong>di</strong> non piacque, ma <strong>che</strong> raggiunse lo scopo <strong>di</strong> farg<strong>li</strong> ottenere<br />
il Gran Prix per la pittura davanti a Marc Chagall 45 . In quest’ottica va letto an<strong>che</strong> il suo passo<br />
relativo ai ‘paesi’, visti come “struttura architettata in una trama precisa e rigorosa, ma trasfigurata<br />
in una luce <strong>che</strong> regola ogni elemento della composizione, tanto da trasformare ogni brano <strong>di</strong> realtà<br />
oggettiva in una <strong>di</strong>mensione nuova [...]. Già in questi mirabi<strong>li</strong> <strong>paesaggi</strong> esposti, variati nel tag<strong>li</strong>o e<br />
nell’ispirazione, si precisa il potere trasfigurante <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>: la sua qua<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> astrarre dal vero<br />
[...]” 46 .<br />
Nello stesso 1957, anch’eg<strong>li</strong> accompagnandone l’opera con una lettura in chiave <strong>di</strong><br />
un’elementarietà astratta – “Moran<strong>di</strong> feels that a geometrical form has a sense in painting if an<br />
abstract color dresses it” –, Linonello Venturi ne presenta una retrospettiva alle World House<br />
Galleries a New York sotto<strong>li</strong>neandone la coerenza <strong>di</strong> ricerca artistica in<strong>di</strong>pendentemente dal<br />
soggetto prescelto: “Moran<strong>di</strong>’s style has such a unity that his approach to landscape is not<br />
particularly <strong>di</strong>fferent from his approach to still <strong>li</strong>fes, in spite of the <strong>di</strong>fferent con<strong>di</strong>tions of the<br />
sourroun<strong>di</strong>ngs”. Per questo motivo tra i trentacinque <strong>di</strong>pinti esposti selezionò otto <strong>paesaggi</strong>.<br />
Il 1964 è l’anno delle due principa<strong>li</strong> monografie su Giorgio Moran<strong>di</strong>, entrambe per le e<strong>di</strong>zioni Del<br />
Mi<strong>li</strong>one. La prima,‘vigilata’ dal maestro, accompagnata da una fortuna critica per lo <strong>più</strong> dal lui<br />
stesso in<strong>di</strong>cata, stampata nel mese <strong>di</strong> gennaio a cura <strong>di</strong> Lamberto Vita<strong>li</strong>, la seconda, <strong>più</strong> personale<br />
ed emotiva, pubb<strong>li</strong>cata, dopo vicende travag<strong>li</strong>ate, il 31 lug<strong>li</strong>o a firma <strong>di</strong> Francesco Arcange<strong>li</strong>. In<br />
mezzo, nel mese <strong>di</strong> giugno, avvenne la morte del pittore <strong>che</strong> con tenacia aveva impe<strong>di</strong>to la stampa<br />
del testo del <strong>più</strong> giovane, al<strong>li</strong>evo <strong>di</strong> Longhi, inizialmente da lui stesso prescelto per quest’opera, <strong>di</strong><br />
cui, una volta ultimata, non con<strong>di</strong>vise <strong>più</strong> l’impostazione critica.<br />
Vita<strong>li</strong>, impren<strong>di</strong>tore, stu<strong>di</strong>oso d’arte e grande collezionista, ma soprattutto prossimo a Moran<strong>di</strong> per<br />
averne già curato il Catalogo generale delle incisioni 47 , pur <strong>di</strong>etro la ritrosia <strong>di</strong> volere fare il punto<br />
della situazione piuttosto <strong>che</strong> un <strong>li</strong>bro con nuove chiavi <strong>di</strong> lettura, parte da un’asserzione importante<br />
<strong>di</strong> cui fornisce alcune motivazioni circostanziate: “Moran<strong>di</strong> non è un pittore attuale, anzi non è mai<br />
stato attuale” 48 . Ne nota la giovanile presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalle esperienze del <strong>di</strong>visionismo, la volontà<br />
<strong>di</strong> non imbrancarsi con il Futurismo, l’autonomia della fase metafisica e, subito dopo, e a ragione,<br />
42<br />
Eloquente, a tale proposito, è l’elenco dei <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, tutte nature morte, esposti nella rassegna (Milano,<br />
Palazzo Reale), or<strong>di</strong>nata da J. Th. Soby, “promossa e stu<strong>di</strong>ata dal Museum of Modern Art – New York” e rea<strong>li</strong>zzata<br />
dall’Ente Manifestazioni milanesi, Arte ita<strong>li</strong>ana del XX secolo da collezioni americane, Milano 1960, pp. 199-200.<br />
43<br />
R. Pallucchini, Persona<strong>li</strong>dade de Moran<strong>di</strong>, in IV Bienal do Museu de Arte Moderna de São Paulo, catalogo della<br />
mostra, Museu de Arte Moderna, São Paulo, Brasil, settembre – <strong>di</strong>cembre 1957, pp. 271-281, pubb<strong>li</strong>cato in <strong>li</strong>ngua<br />
ita<strong>li</strong>ana Id., Attua<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in “Arte Antica e Moderna”, 1, gennaio-marzo 1958, pp. 57-64.<br />
44<br />
Confronto a suo tempo già avanzato da J. Th. Soby, Painting and Sculpture since 1920 – Later Work of de Chirico,<br />
Carrà and Moran<strong>di</strong>, in Twentieth-Century Ita<strong>li</strong>an Art, a cura <strong>di</strong> A.H. Barr e J. Th. Soby, catalogo della mostra, The<br />
Museum of Modern Art, New York, 28 giugno – 12 settembre 1949, p. 26.<br />
45<br />
Sug<strong>li</strong> antefatti e sulle scelte operate da Moran<strong>di</strong> per la propria sala alla Biennale <strong>di</strong> San Paolo si veda M.C. Bandera,<br />
Moran<strong>di</strong> sceg<strong>li</strong>e Moran<strong>di</strong>. Corrispondenza con la Biennale 1947-1962, Milano 2001, passim, e sulle motivazioni <strong>che</strong><br />
indussero la commissione a premiare Moran<strong>di</strong>, M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> Today, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964<br />
cit. 2008, p. 39.<br />
46<br />
R. Pallucchini, Attua<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, cit.1958, p. 60.<br />
47<br />
L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>. Opera grafica, Torino 1957 (II ed. amp<strong>li</strong>ata e corretta, 1964; III ed. amp<strong>li</strong>ata e corretta,<br />
1978; IV ed. amp<strong>li</strong>ata, 1989).<br />
48<br />
L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore, cit. 1964, p. 31.<br />
7
Maria Cristina Bandera<br />
l’equi<strong>di</strong>stanza fra il Novecento e Strapaese, nonostante <strong>che</strong> “nel battag<strong>li</strong>one <strong>di</strong> Strapaese”<br />
mi<strong>li</strong>tassero g<strong>li</strong> “amici provati e spiritualmente a lui <strong>più</strong> vicini”, Soffici, Longanesi e Maccari. Vita<strong>li</strong><br />
de<strong>di</strong>ca tutto un capitolo ai <strong>paesaggi</strong> del bolognese, ne scan<strong>di</strong>sce le <strong>di</strong>fferenze, ne legge g<strong>li</strong> esisti in<br />
parallelo con “l’evoluzione del <strong>li</strong>nguaggio” 49 , ne intende da conoscitore profondo i paralle<strong>li</strong> con le<br />
incisioni, soprattutto ne esalta la “fruttuosa stagione” <strong>di</strong> Grizzana durante la guerra, “fra le <strong>più</strong> fe<strong>li</strong>ci<br />
per un sentimento sereno e pur ma<strong>li</strong>nconico della natura” 50 , per questo “destinata dunque a rimanere<br />
capitale nell’avventura pittorica <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>” 51 . Un giu<strong>di</strong>zio, questo, <strong>che</strong>, come s’è visto sarà ripreso<br />
da Longhi con un peso determinante e con una risonanza internazionale, dal momento <strong>che</strong><br />
l’annotazione accompagnerà la retrospettiva del maestro alla Biennale <strong>di</strong> Venezia del 1966, ma <strong>che</strong>,<br />
soprattutto, aveva già trovato il severo consenso <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Questi, per so<strong>li</strong>to, restio ad<br />
autoconsiderazioni, in una lettera <strong>di</strong> capitale importanza, <strong>che</strong> evidentemente riflette un <strong>di</strong>alogo<br />
aperto e una <strong>di</strong>sponibi<strong>li</strong>tà d’animo verso Vita<strong>li</strong> 52 , rivolgendosi a lui il 22 maggio 1963, scrive:<br />
“grazie della Sua lettera ed ora a risponder<strong>Le</strong> alle sue risposte.<br />
1° Grazie <strong>di</strong> quanto <strong>di</strong>ce riguardo ai <strong>paesaggi</strong> del 1940-43. Mi fa piacere <strong>che</strong> abbia riconsiderato la<br />
questione. Come le <strong>di</strong>ssi a voce in questi <strong>paesaggi</strong> si può sentire quanto ho considerato nei miei<br />
anni giovani<strong>li</strong>. Questo senza presa volontà ma naturalmente. Spontaneamente, <strong><strong>di</strong>re</strong>i. Riguarda la<br />
mia educazione. Misteriosa cosa an<strong>che</strong> per me. Non sappiamo perchè certe cose ci hanno così<br />
vivamente toccato e perchè siamo stati in<strong>di</strong>fferenti ad altre tante cose. Certo <strong>che</strong>, riguardo a questi<br />
<strong>di</strong>pinti non sapremmo a qua<strong>li</strong> cose riferirci in modo preciso. Riguar<strong>di</strong> il mio <strong>paesaggi</strong>o del 1940, già<br />
esposto a Venezia [è il V. 279, cat. 30] ed altri deg<strong>li</strong> anni successivi. Li ritengo miei.”<br />
Arcange<strong>li</strong>, nella sua monografia, parte da un presupposto ag<strong>li</strong> antipo<strong>di</strong> rispetto a quello <strong>di</strong> Vita<strong>li</strong>.<br />
Con un testo articolato e imprescin<strong>di</strong>bile, sforzo <strong>di</strong> una personale lettura interpretativa, mira a<br />
intendere il pittore “come uomo-artista in sé e in rapporto al suo tempo” 53 . Soprattutto, <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong><br />
non con<strong>di</strong>videre né la posizione <strong>di</strong> Vita<strong>li</strong> <strong>di</strong> “ritener Moran<strong>di</strong> ‘inattuale’”, né quella <strong>di</strong> Pallucchini<br />
“<strong>di</strong> pensarlo attuale perchè se ne può condurre la lettura verso Mondrian” 54 . Per lui, Moran<strong>di</strong> è “un<br />
antesignano della ‘pittura <strong>di</strong> materia’ o dell’‘informel’” 55 , an<strong>che</strong> se non solo. Ricca, dettag<strong>li</strong>ata,<br />
appassionata la sua lettura dei <strong>paesaggi</strong> dei primi anni. Dopo i puntua<strong>li</strong> riferimenti a Cézanne e alla<br />
cultura formale <strong>di</strong> Seurat – <strong>che</strong> saranno una costante dell’arte <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, an<strong>che</strong> se sempre<br />
interpretati “a modo suo” – ad Arcange<strong>li</strong> viene spontaneo <strong>di</strong> notare come nel Paesaggio del 1913,<br />
V. 8, “sembra già prevedere il verde, friabile, incerto mormorio <strong>di</strong> alcuni paesi <strong>di</strong> Fautrier del<br />
1928” 56 . Si tratta <strong>di</strong> una interpretazione in avanti verso l’informale, a cui Moran<strong>di</strong> si oppose con<br />
veemenza, ma <strong>che</strong>, tuttavia, suggerì al critico – in veste mi<strong>li</strong>tante in questo caso – <strong>di</strong> sotto<strong>li</strong>neare<br />
come già tra il ’13 e il ’14, quando il pittore “gira dalle parti del Reno” l’ispirazione a Cézanne<br />
fosse “generica” notandovi, piuttosto “un senso <strong>che</strong>, non troppo <strong>di</strong>verso, soltanto <strong>più</strong> ‘barbarico’, e<br />
fuso entro la materia, è an<strong>che</strong> in certi <strong>paesaggi</strong> ancor poco noti <strong>di</strong> Morlotti, verso il ’42-’44” 57 . Con<br />
un’analoga lettura, Arcange<strong>li</strong> sostiene <strong>che</strong> il Paesaggio Jesi del 1914, ora a Brera, V. 17, avrebbe<br />
strappato “l’ammirazione a Tobey” 58 , e <strong>che</strong> nei primi piani del Paesaggio 1922, V. 75, cat. 7, si può<br />
avvertire “una fattura altrettanto ar<strong>di</strong>ta, e <strong>più</strong> sapiente, e <strong>più</strong> modestamente ma altamente perduta<br />
nella materia delle cose, dei nebulosi affascinanti Fautrier del ’28” 59 . A <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> pagine, il critico,<br />
con la sua prosa coinvolgente, approda ai <strong>paesaggi</strong> deg<strong>li</strong> anni quaranta. Tra quel<strong>li</strong> ora esposti, si<br />
49 Ivi, p. 35.<br />
50 Ivi, p. 36.<br />
51 Ivi, p. 37.<br />
52 E’ sintomatico <strong>che</strong> Vita<strong>li</strong> de<strong>di</strong>chi il catalogo generale delle incisioni <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> ai loro genitori. Lo stralcio della<br />
lettera è pubb<strong>li</strong>cato con il cortese consenso <strong>di</strong> Enrico Vita<strong>li</strong>.<br />
53 F. Arcange<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, Milano 1964, p. 9.<br />
54 Ivi, p. 309.<br />
55 Ivi, p. 260.<br />
56 Ivi, p. 37.<br />
57 Ivi, p. 43.<br />
58 Ivi, p. 64.<br />
59 Ivi, p. 158.<br />
8
Maria Cristina Bandera<br />
sofferma su quello <strong>di</strong> Longhi del 1940, V. 277, cat. 29, per “lo scatto improvviso, inquieto e<br />
subitamente immobile entro l’ar<strong>di</strong>tissimo ‘tag<strong>li</strong>o’ intellettuale”, su quello <strong>di</strong> Gnu<strong>di</strong> del 1940, V.<br />
280, cat. 31, per “il muto squallore nel giorno <strong>di</strong> cenere” e su quello del 1941, V. 326, cat. 34,<br />
in<strong>di</strong>cato come <strong>di</strong> Gianni Mattio<strong>li</strong>, dove la “compattezza metrica dell’<strong>insieme</strong>” vince “la fatica,<br />
neocezanniana” 60 . Subito dopo segnala quel<strong>li</strong> del 1943, <strong>di</strong>pinti all’epoca dell’isolamento <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong><br />
a Grizzana, <strong>che</strong> vede come “immagine <strong>di</strong> so<strong>li</strong>tu<strong>di</strong>ne estrema e mortalmente serena”, in cui le curve<br />
incombenti delle col<strong>li</strong>ne g<strong>li</strong> scatenano un processo immaginativo da ricordarg<strong>li</strong> <strong>Le</strong>opar<strong>di</strong> e il suo<br />
“da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” 61 . Una notazione <strong>che</strong> sarà con<strong>di</strong>visa da<br />
Paolo Fossati <strong>che</strong> nel 1990 recensirà la mostra del centenario del pittore con un testo dal titolo<br />
L’istinto leopar<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> 62 . Né, a questo proposito, si può <strong>di</strong>menticare la consuetu<strong>di</strong>ne del<br />
pittore <strong>di</strong> leggere <strong>Le</strong>opar<strong>di</strong> le cui prose e le cui poesie rappresentavano i suoi <strong>li</strong>vres de <strong>che</strong>vet 63 .<br />
Il musicologo Luigi Magnani, la cui figura è tratteggiata in tutte le sue sfaccettature qui in catalogo<br />
da Gian Paolo Minar<strong>di</strong>, entrò in contatto con Moran<strong>di</strong> ancora neg<strong>li</strong> anni quaranta grazie a Cesare<br />
Bran<strong>di</strong>, ma solo a decenni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, dopo avere raccolto un numero consistente e importante <strong>di</strong><br />
sue opere, raccontò la lunga amicizia con il pittore in un volume <strong>che</strong>, già dal titolo, <strong>di</strong>chiara un<br />
punto <strong>di</strong> vista personale: Il mio Moran<strong>di</strong> 64 . Da uomo colto, in riferimento al pittore, cita Pascal,<br />
Goethe e Stendhal e, come già Arcange<strong>li</strong>, <strong>Le</strong>opar<strong>di</strong> 65 , da musicologo nota come nella sua pittura<br />
“un motivo fondamentale [...] come in una musica, genera variazioni secondo un certo or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
successione”, quasi si tratti <strong>di</strong> “<strong>di</strong>stinte parti o voci <strong>di</strong> una po<strong>li</strong>fonia” 66 , e, da collezionista, parla del<br />
Paesaggio del 1943, V. 464, cat. 49, <strong>di</strong> sua proprietà. Il passo relativo al <strong>di</strong>pinto si rivela utile per<br />
anticipare le moda<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> lavoro dell’artista davanti al <strong>paesaggi</strong>o, an<strong>che</strong> se l’argomento dovrà essere<br />
ripreso: “Quando lo conobbi eg<strong>li</strong> abitava all’ultimo piano <strong>di</strong> un’antica casa fuori dal paese. Vasti<br />
spazi si offrivano al suo sguardo: col<strong>li</strong>ne cosparse <strong>di</strong> macchie, <strong>di</strong> radure, <strong>di</strong> boschi; qual<strong>che</strong> raro<br />
casolare faceva apparire an<strong>che</strong> <strong>più</strong> desolata quella so<strong>li</strong>tu<strong>di</strong>ne a Moran<strong>di</strong> beata. Un giorno<br />
in<strong>di</strong>candomi da una finestra un punto lontano mi <strong>di</strong>sse: – Lo vede lassù il suo quadro? L’ho <strong>di</strong>pinto<br />
in questa stanza, – e mi pose il cannocchiale con cui soleva contemplare i <strong>paesaggi</strong> da lui scelti.<br />
Riconobbi a stento, in quel so<strong>li</strong>tario lembo <strong>di</strong> terra, il luogo <strong>che</strong> aveva posato per un suo <strong>paesaggi</strong>o<br />
del ’42 [ma 1943], con una casa bianca, senza finestre, segregata dal mondo, come estranea a ogni<br />
umano consorzio, tra un folto gruppo d’alberi <strong>che</strong> sembrano proteggerla e custo<strong>di</strong>rla, ultima silente<br />
Tule, sognato rifugio <strong>di</strong> pace” 67 .<br />
Quanto a Giu<strong>li</strong>ano Briganti e a Roberto Tassi pare quasi <strong>che</strong> intreccino la loro scrittura raffinata,<br />
tanto offrono una lettura univoca e coinvolgente, entrambi affascinati dai paesi <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Tanto il<br />
primo, nel 1984, immagina il pittore “fissare a lungo, stringendo g<strong>li</strong> occhi, nella lontananza, un<br />
particolare <strong>paesaggi</strong>o, ricercandolo nella luce giusta, per poi <strong>di</strong>latarlo, semp<strong>li</strong>ficarlo, trasfigurarlo<br />
renderlo «quadro», attraverso una pensosa elaborazione, ancor prima nella mente e sulla tela” 68 e il<br />
secondo, nel 1992, in un lungo saggio su Il <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> per una mostra monografica a<br />
Bruxelles, evidenzia come in lui l’atto <strong>di</strong> contemplare si prolunghi “per un tempo indeterminato ma<br />
molto protratto, e si ripete, fino a ottenere un assorbimento del <strong>paesaggi</strong>o, della sua verità esteriore,<br />
della sua essenza, della sua struttura formale” 69 . Tassi, in particolare, sotto<strong>li</strong>nea la corrispondenza<br />
tra la sensibi<strong>li</strong>tà del pittore e l’Appennino emi<strong>li</strong>ano, dal momento <strong>che</strong> questo <strong>paesaggi</strong>o unisce “due<br />
60<br />
Ivi, p. 299.<br />
61<br />
Ivi, pp. 302, 303.<br />
62<br />
P. Fossati L’istinto leopar<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in “L’in<strong>di</strong>ce dei <strong>li</strong>bri del mese”, 3, 1991, ora in Id., La passione del<br />
critico. Scritti scelti sulle arti e la cultura del Novecento, a cura <strong>di</strong> G. Contessi e M. Panzeri, Varese 2009, p. 80-83.<br />
63<br />
L. Selleri, La bib<strong>li</strong>oteca <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in Museo Moran<strong>di</strong>. Catalogo generale, Cinisello Balsamo (Milano), 2004, pp.<br />
51-52.<br />
64<br />
L. Magnani, Il mio Moran<strong>di</strong>, Torino 1982.<br />
65<br />
Ivi, p. 16.<br />
66<br />
Ivi, p. 29.<br />
67<br />
Ivi, p. 14<br />
68<br />
G. Briganti, I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> cit. 1984, p. 10.<br />
69<br />
R. Tassi, Il <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> cit. 1992, pp. 208.<br />
9
Maria Cristina Bandera<br />
cose inconci<strong>li</strong>abi<strong>li</strong> come la dolcezza e l’asperità; è stento, gramo, e pur fe<strong>li</strong>cemente luminoso; ha<br />
colori ridotti, tenui, perfino e de<strong>li</strong>cati, mai violenti, mai contrastanti; ombre <strong>di</strong>ffuse, non<br />
drammati<strong>che</strong>; [...] non è sacro come le gran<strong>di</strong> montagne, ma quoti<strong>di</strong>ano, intimo; non come quelle<br />
drammatico, ma essenziale, triste a volte” 70 .<br />
Ancora nello stesso arco <strong>di</strong> anni, Michael Semff, nel catalogo della Mostra del centenario, de<strong>di</strong>ca<br />
nel 1990 un contributo importante, an<strong>che</strong> se purtroppo pena<strong>li</strong>zzato dalla traduzione, ag<strong>li</strong> ‘ultimi<br />
<strong>paesaggi</strong>’ del pittore. In esso lo stu<strong>di</strong>oso pone l’accento su una fase cruciale <strong>di</strong> questi, fino a quella<br />
data trascurata, spingendosi a scrivere <strong>che</strong> nei <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o rea<strong>li</strong>zzati a partire dal 1960 il<br />
pittore “va alla ricerca <strong>di</strong> un’idea completamente astratta della superficie del quadro, in cui volumi<br />
de<strong>li</strong>mitanti non emergono <strong>più</strong> in rapporto contrario a un immaginario spazio-oggetto-colore, ma<br />
vengono iscritti dal tracciato della mano in una superficie piana continua <strong>che</strong> vive e respira” 71 .<br />
Infine, per concludere questa carrellata critica, può essere illuminante riportare l’autorevole parere<br />
formulato da Federico Zeri 72 , certo non un ‘contemporaneista’, ma senza dubbio una voce <strong>di</strong> spicco<br />
e un critico <strong>che</strong> può essere paragonato a Giorgio Moran<strong>di</strong> per l’intensità del suo sguardo indagatore:<br />
“Il fatto <strong>più</strong> curioso [...] è <strong>che</strong>, mentre tutti lo conoscono come autore <strong>di</strong> nature morte, pochi sono a<br />
conoscenza dell’altra sua attività, quella <strong>di</strong> pittore <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o. Moran<strong>di</strong> ha eseguito molti <strong>di</strong>pinti<br />
<strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni (<strong>più</strong> o meno come le nature morte) <strong>che</strong> raffigurano <strong>paesaggi</strong>. Io considero<br />
questi <strong>di</strong>pinti fra i <strong>più</strong> alti capolavori del <strong>paesaggi</strong>smo <strong>di</strong> tutti i tempi. In essi si sente un’affettuosa<br />
attenzione verso l’opera giovanile <strong>di</strong> Corot; talvolta si percepiscono riflessi molto me<strong>di</strong>ati e<br />
trasfigurati <strong>di</strong> Cézanne. Ne risultano <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> una intensità lacerante, soprattutto quando il<br />
campo figurativo viene occupato da alberi o da picco<strong>li</strong> muri <strong>di</strong> ville, e lì vengono racchiusi g<strong>li</strong><br />
incanti stagiona<strong>li</strong>, soprattutto estivi, nell’aria <strong>che</strong> vibra per il caldo, nel silenzio delle estati ita<strong>li</strong>ane<br />
in campagna, nell’ipnotica bellezza <strong>di</strong> quei momenti in cui tutto tace e il sole ardente batte e si<br />
riflette sulle vegetazioni e sug<strong>li</strong> intonaci. Il luogo dove Moran<strong>di</strong> traeva ispirazione per questo tipo <strong>di</strong><br />
<strong>paesaggi</strong> è la periferia bolognese, verso le col<strong>li</strong>ne. Quanto ai <strong>paesaggi</strong> con alberi, ville, muri <strong>di</strong><br />
cinta, è comune rivedere an<strong>che</strong> lì certi luoghi dei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Bologna, verso l’Appennino”.<br />
Ecco, Moran<strong>di</strong> parte da qui. Dal suo errare, giovane al<strong>li</strong>evo dell’Accademia, alla ricerca <strong>di</strong> un<br />
motivo. Dalla periferia bolognese, dag<strong>li</strong> squarci innevati, dal greto del Savena, dall’abbraccio <strong>di</strong><br />
case <strong>di</strong> Chiesanuova, dallo spog<strong>li</strong>o Appennino <strong>li</strong>mitrofo, dalla “valle, piena d’assenza deg<strong>li</strong><br />
uomini” 73 con una “iniziazione [...] chiara e misteriosa” 74 . Lo ricorda Mario Luzi <strong>che</strong> con lui a<br />
partire dal 1938, all’epoca del suo trasferimento a Parma, aveva la consuetu<strong>di</strong>ne, “in certi pomeriggi<br />
nitidamente solari” <strong>di</strong> sa<strong>li</strong>re “su un tram extraubano” e <strong>di</strong> ripercorre i luoghi dove il pittore era<br />
venuto “in gioventù a <strong>di</strong>segnare e a <strong>di</strong>pingere”. Con un confronto <strong>che</strong> lascia intendere un <strong>di</strong>alogo<br />
intimo e colto, rammenta le val<strong>li</strong> “spog<strong>li</strong>e e deserti<strong>che</strong>, sotto i suoi occhi assorti, simile alle Tebai<strong>di</strong><br />
del nostri classici del 400”. Un parallelo <strong>che</strong> non può stupire se si pensa alla profonda cultura<br />
artistica <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> coralmente riconosciuta 75 e all’attenzione con cui già dai suoi primi anni – anzi<br />
<strong>più</strong> <strong>che</strong> mai nei primi due decenni <strong>di</strong> attività – eg<strong>li</strong> rime<strong>di</strong>tò l’antico, ma sempre con occhi moderni<br />
e persona<strong>li</strong>. Questo legame profondo con la tra<strong>di</strong>zione è testimoniato an<strong>che</strong> dal suo modo <strong>di</strong><br />
lavorare quasi da antica bottega, da quel suo scrivere nel 1919 a Carlo Carrà <strong>di</strong> avere trovato “in<br />
una mesti<strong>che</strong>ria g<strong>li</strong> ultimi pezzi <strong>di</strong> una bella terra rossa <strong>che</strong> veniva levata una volta nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong><br />
Assisi e <strong>che</strong> da molto tempo non si trova <strong>più</strong>. Mescolata al bianco dà un rosa molto bello come si<br />
vede neg<strong>li</strong> affreschi antichi. Se come faccio io <strong>Le</strong>i si macina i colori me lo <strong>di</strong>ca <strong>che</strong> g<strong>li</strong>ene manderò<br />
70<br />
Ivi, pp. 207-208.<br />
71<br />
M. Semff, G<strong>li</strong> ultimi <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1990 mostra del centenario, catalogo della<br />
mostra (Bologna, Galleria comunale d’arte moderna), a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Milano 1990, pp. 52-54.<br />
72<br />
F. Zeri, Abecedario pittorico, a cura <strong>di</strong> M. Carminati, Brezzo <strong>di</strong> Bedero (Varese), 2007, pp. 173-175.<br />
73<br />
M. Luzi, citato da M. Pasqua<strong>li</strong>, L’immagine dell’assenza, in Giorgio Moran<strong>di</strong>. L’immagine dell’assenza cit. 1994, p.<br />
12.<br />
74<br />
M. Luzi, La iniziazione a Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong>. Oggetti e stati d’animo, catalogo della mostra (Brescia,<br />
Palazzo Martinengo) a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Milano, 1996, p. 19.<br />
75<br />
Lo ricorda lo stesso Luzi (Ivi, p. 19): “Nussun artista aveva la cultura artistica <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>”.<br />
10
Maria Cristina Bandera<br />
alcuni pezzi” 76 . Ma Moran<strong>di</strong> non si <strong>li</strong>mitò a guardare i “vecchi maestri, <strong>che</strong> costantemente alla<br />
realtà s’ispirarono, <strong>che</strong> appunto da questo risultava quel profondo fascino poetico emanato dalle<br />
loro opere e <strong>che</strong>, dai <strong>più</strong> antichi ai moderni, chi non si era allontanato da questi principi aveva<br />
prodotto opere vive e dense <strong>di</strong> poesia”. Nella stessa autobiografia del 1928, infatti, in un filone <strong>di</strong><br />
continuità, non manca <strong>di</strong> ricordare i “moderni” e, in particolare, “Corot, Courbet, Fattori e<br />
Cézanne” <strong>che</strong> riteneva “g<strong>li</strong> ere<strong>di</strong> <strong>più</strong> legittimi della gloriosa tra<strong>di</strong>zione ita<strong>li</strong>ana” 77 . E, ancora, con la<br />
consapevolezza della serietà e soprattutto dell’autonomia del proprio lavoro, <strong>che</strong> sempre lo<br />
accompagnerà, riba<strong>di</strong>sce come sentì pregnante la necessità <strong>di</strong> abbandonarsi “interamente al proprio<br />
“istinto, fidando nelle” sue “forze e <strong>di</strong>menticando nell’operare ogni concetto artistico preformato”,<br />
<strong>di</strong>cendosi certo <strong>che</strong> la sua persona<strong>li</strong>tà sarebbe “sempre riuscita ad affiorare” 78 .<br />
La mostra prende avvio da un piccolo e commovente <strong>paesaggi</strong>o innevato del 1910, P. 1910/1, cat. 1,<br />
<strong>che</strong> non solo è una delle po<strong>che</strong> opere della fase iniziale <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> non ha <strong>di</strong>strutto, ma <strong>che</strong> anzi<br />
l’artista nel maggio 1946 volle segnalare al suo <strong>più</strong> importante collezionista romano, Pietro Rol<strong>li</strong>no,<br />
desideroso <strong>di</strong> acquistare “vecchi <strong>di</strong>pinti” 79 . È ricco <strong>di</strong> materia e <strong>di</strong> pennellate, <strong>di</strong> un grigio cilestrino<br />
e dalle striature intonate al giallo, ricercato nel bilanciamento a quinte latera<strong>li</strong>, ma sfuggente e quasi<br />
fantasmatico nelle lontananze. Non descrittivo, riflette piuttosto un’inquietu<strong>di</strong>ne moderna, lontano,<br />
ad esempio, dai <strong>paesaggi</strong> alpini con la neve luminosa dei <strong>di</strong>visionisti ita<strong>li</strong>ani. Risale all’inverno del<br />
1910 ed è stato ipotizzato <strong>che</strong> appartenga alla <strong>li</strong>sta misteriosa delle opere con cui Moran<strong>di</strong> si è<br />
presentato alla mostra leggendaria e “futurista” nella notte del marzo 1914 nei sotterranei dell’Hotel<br />
Bag<strong>li</strong>oni 80 .<br />
È il Paesaggio <strong>di</strong>pinto nel giugno 1911, V. 2, cat. 2, quello con cui si è so<strong>li</strong>ti iniziare la rivisitazione<br />
dell’itinerario artistico <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Vanta da subito una storia importante: appartenne a quella<br />
po<strong>li</strong>edrica figura <strong>di</strong> pittore, e<strong>di</strong>tore e primo mercante <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> <strong>che</strong> fu Mario Brog<strong>li</strong>o. Pubb<strong>li</strong>cato<br />
nel 1921 su “Valori Plastici” e poi già nella prima monografia curata dal Beccaria nel 1939,<br />
perverrà nella collezione <strong>di</strong> Lamberto Vita<strong>li</strong> <strong>che</strong> lo destina, riconoscendone l’unicità, alla<br />
Pinacoteca <strong>di</strong> Brera. È un <strong>di</strong>pinto senza esitazioni, costruito per masse all’interno <strong>di</strong> una struttura<br />
bilanciata e fortemente <strong>di</strong>agonale, ca<strong>li</strong>bratissimo nel tono cromatico, mirabile per i grigi argentati, i<br />
ver<strong>di</strong> labi<strong>li</strong> e g<strong>li</strong> azzurri cinerini. Secondo una cifra <strong>che</strong> caratterizzerà tutti i <strong>paesaggi</strong> del pittore,<br />
colpisce per totale assenza <strong>di</strong> figure. Attesta “un artista compiuto [...], senza incertezze ed in<br />
possesso <strong>di</strong> un <strong>li</strong>nguaggio destinato ad affinarsi, ma non a mutare i propri termini. 81 ” Di esso, Vita<strong>li</strong>,<br />
<strong>che</strong> lo ebbe a lungo sotto il suo sguardo, ne nota “il dono della trasfigurazione poetica, il procedere<br />
per allusioni <strong>di</strong>screte, il rifiuto del soggetto come ragione d’essere o per lo meno come ragione<br />
principale d’essere del <strong>di</strong>pinto”. L’evidente scansione cézanniana dei piani plastici è stata fatta<br />
risa<strong>li</strong>re da Flavio Fergonzi 82 alla conoscenza da parte del pittore dell’immagine della Tranchée avec<br />
la Montagne Sainte-Victoire, 1870 ca., del maestro <strong>di</strong> Aix, riprodotta in “Die Kunst für Alle”,<br />
rivista assai <strong>di</strong>ffusa an<strong>che</strong> in Ita<strong>li</strong>a, così da potere esserg<strong>li</strong> nota. Ne deriva un imme<strong>di</strong>ato quesito,<br />
utile per intendere an<strong>che</strong> i <strong>paesaggi</strong> a venire, circa la necessità <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> <strong>di</strong> ispirarsi sempre<br />
<strong><strong>di</strong>re</strong>ttamente alla realtà visibile, insomma circa la sua fedeltà alla visione della natura. La <strong>di</strong>fficoltà<br />
interpretativa, infatti, sta tutta qui: nello stabi<strong>li</strong>re quale sia il confine tra il dato naturale ricercato dal<br />
pittore, il ‘motivo’ identificato, la profonda me<strong>di</strong>tazione del soggetto e la memoria pressante<br />
dell’immagine cézanniana, esperita e fatta propria per il tramite dei marcati contrasti <strong>di</strong> una<br />
76 La lettera, datata 14 ottobre 1919, è pubb<strong>li</strong>cata in La pittura metafisica, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo<br />
Grassi), a cura <strong>di</strong> G. Briganti e E. Coen, Venezia 1979, p. 153.<br />
77 G. Moran<strong>di</strong> nella propria autobiografia Giorgio Moran<strong>di</strong> in Autobiografie <strong>di</strong> scrittori e <strong>di</strong> artisti [1928], ora in<br />
Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 346.<br />
78 Ivi.<br />
79 La lettera datata 5 maggio 1946 (Bologna, Archivio Museo Moran<strong>di</strong>) è pubb<strong>li</strong>cata da M. Pasqua<strong>li</strong>, Moran<strong>di</strong>. Opere<br />
catalogate tra il 1985 e il 2000, Bologna 2000, p. 4.<br />
80 5 Febbraio 1909. Bologna Avanguar<strong>di</strong>a Futurista, catalogo della mostra (Bologna, Fondazione Cassa <strong>di</strong> Risparmio<br />
<strong>di</strong> Bologna) a cura <strong>di</strong> B. Buscaro<strong>li</strong>, Bologna 2009, passim e pp. 86-87.<br />
81 L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore cit. 1964, p. 8.<br />
82 L. Fergonzi, On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, pp. 51-52.<br />
11
Maria Cristina Bandera<br />
fotografia in bianco e nero. A Franco Solmi, ad esempio, sembra “un quadro ‘d’ate<strong>li</strong>er’: vi è fermo<br />
il tempo, e la stagione, come <strong>di</strong> primo inverno”. E a riprova <strong>di</strong> questo suo convincimento cita un<br />
testimonianza <strong>di</strong> Giuseppe Raimon<strong>di</strong>, il letterato amico assiduo dei primi anni <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, <strong>che</strong> ha<br />
scritto: “Il luogo <strong>di</strong> questo <strong>paesaggi</strong>o è fuori dalla geografia. È un ‘luogo’ <strong>che</strong> l’artista, una volta,<br />
immaginò, e così lo ritrasse. Noi credemmo, sui riferimenti an<strong>che</strong> atten<strong>di</strong>bi<strong>li</strong> e per l’effetto <strong>che</strong> ci fa<br />
velo quando pensiamo ai paesi dell’Emi<strong>li</strong>a, <strong>che</strong> fosse raggiungibile, <strong>che</strong> esistesse ‘in natura’... Noi<br />
guar<strong>di</strong>amo questo incre<strong>di</strong>bile ‘<strong>paesaggi</strong>o’, coperto dai segni <strong>di</strong> una volontà precisa, e quasi delle sue<br />
<strong>li</strong>vidure bluastre, [...] e non sappiamo <strong>che</strong> strada prendere per andare a ritrovarlo ‘dal vero’” 83 . Di<br />
contro, la puntuale in<strong>di</strong>cazione del mese <strong>di</strong> giugno nella data e i tocchi <strong>di</strong> colore <strong>che</strong> in<strong>di</strong>cano la<br />
vibrazione delle fog<strong>li</strong>e dei cespug<strong>li</strong> colpiti dalla luce, lasciano intendere <strong>che</strong> la tela è stata <strong>di</strong>pinta<br />
nella buona stagione quando all’artista era <strong>più</strong> agevole issare il cavalletto all’aperto. Non vi è<br />
dubbio, infatti, <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> parte sempre da un’immagine reale e non immaginata, da una<br />
osservazione <strong><strong>di</strong>re</strong>tta del mondo visibile, seguita da una fase <strong>di</strong> interiorizzazione e da un successivo<br />
processo <strong>di</strong> astrazione. Lo spiega eg<strong>li</strong> stesso: “ritengo <strong>che</strong> ciò <strong>che</strong> ve<strong>di</strong>amo sia una creazione,<br />
un’invenzione dell’artista qualora eg<strong>li</strong> sia capace <strong>di</strong> far cadere quei <strong>di</strong>aframmi, cioè quelle<br />
immagini convenziona<strong>li</strong> <strong>che</strong> si frappongono fra lui e la realtà. 84 ”<br />
I <strong>paesaggi</strong> <strong>che</strong> seguono nel percorso della mostra, <strong>di</strong>pinti ancora entro il 1916, anch’essi indubbi<br />
capolavori, sono la riprova dell’incessante ricerca <strong>di</strong> un’autonoma espressività e <strong>di</strong> un affinamento<br />
dello stile. Moran<strong>di</strong>, paragonandosi a un pianista, <strong>li</strong> ha definiti “esercizi a cinque <strong>di</strong>ta volti ad<br />
apprendere i principi dello stile <strong>di</strong> una precedente generazione, finché non si è abbastanza maturi da<br />
formulare uno stile proprio” 85 . Si tratta, in ogni caso, <strong>di</strong> esercizi <strong>di</strong> stile compiuti con sicurezza e<br />
perentorietà. L’influenza dominante è quella <strong>di</strong> Cézanne. Lo è nei due <strong>paesaggi</strong> del 1913, V. 10 e V.<br />
11, cat. 3 e 4, in cui l’essenzia<strong>li</strong>tà e la severità strutturale in<strong>di</strong>cano, nello stesso tempo, la<br />
derivazione e l’in<strong>di</strong>pendenza dal modello. In entrambi l’attore principale è un albero collocato al<br />
centro della tela. Esile, lungo, <strong>di</strong> un solo tronco e dai pochi rami s<strong>che</strong>letrici, quello del <strong>paesaggi</strong>o<br />
invernale risalente ai primi mesi dell’anno, <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> ricorda <strong>di</strong> avere <strong>di</strong>pinto “con fatica,<br />
tenendo la tela poggiata a una siepe, i pie<strong>di</strong> gelati” 86 , esposto l’anno seguente con il titolo <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o<br />
alla II Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione a Roma e non si sa se an<strong>che</strong> alla mostra<br />
dell’Hotel Bag<strong>li</strong>oni a Bologna. Un albero <strong>che</strong> spartisce in due il campo visivo e sembra appiattirsi<br />
sul dosso, costruito entro uno s<strong>che</strong>ma quasi geometrico a toppe triangolari <strong>che</strong> s’incastonano tra <strong>di</strong><br />
loro, biancastre <strong>di</strong> neve e bordate dal marrone della terra umida, <strong>che</strong> lascia intravedere solo un<br />
sottile spirag<strong>li</strong>o <strong>di</strong> cielo dal colore intonato alla col<strong>li</strong>na. An<strong>che</strong> l’altro <strong>paesaggi</strong>o, quello della prima<br />
estate passata a Grizzana e ricordato da Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, prevede un albero in primo piano e al centro. Ma<br />
in questo caso i rami sono frondosi e incurvati: si aprono allargandosi e poi ripiegandosi, quasi a<br />
ventag<strong>li</strong>o, così da confondersi con i dec<strong>li</strong>vi delle col<strong>li</strong>ne e da annullare il reale lontano e quello<br />
ravvicinato, attestando la presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla lezione cézanniana e, nello stesso tempo,<br />
evidenziando con questa ambiguità spaziale una delle prerogative del ‘misteriso’ <strong>li</strong>nguaggio<br />
moran<strong>di</strong>ano.<br />
Rispondenze forma<strong>li</strong> memori <strong>di</strong> Cézanne sono rintracciabi<strong>li</strong> an<strong>che</strong> nel potente Paesaggio del 1914,<br />
V. 16, cat. 5, da sempre in raccolte prestigiose: inizialmente in quella bresciana <strong>di</strong> Pietro Ferol<strong>di</strong> e<br />
dal 1949 in quella milanese <strong>di</strong> Gianni Mattio<strong>li</strong>. Un’opera <strong>che</strong> godette dell’apprezzamento <strong>di</strong><br />
letterati. Come segnala Fergonzi, venne vista nel 1939 da Eugenio Montale <strong>che</strong> ne trasse uno dei<br />
suoi d’après 87 e, poco dopo ‘registrata’, da Guido Piovene 88 , com’è ricordato nella s<strong>che</strong>da qui in<br />
83<br />
F. Solmi, Giorgio Moran<strong>di</strong>: g<strong>li</strong> anni della formazione, in Moran<strong>di</strong> e il suo tempo, Quaderni moran<strong>di</strong>ani n. 1, Milano<br />
1985, p. 24.<br />
84<br />
Moran<strong>di</strong> rispondendo all’intervista ra<strong>di</strong>ofonica concessa a P. Magravite [1955] ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964,<br />
cit. 2008, p. 350.<br />
85<br />
G. Moran<strong>di</strong> nell’intervista concessa a E. Ro<strong>di</strong>ti nel 1958, in E. Ro<strong>di</strong>ti, Giorgio Moran<strong>di</strong>, in Dialogues on Art, London<br />
1960, ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 352.<br />
86<br />
Come ricorda F. Arcange<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1964, p. 33.<br />
87<br />
F. Fergonzi, La Collezione Mattio<strong>li</strong>. Capolavori dell’avanguar<strong>di</strong>a ita<strong>li</strong>ana, catalogo scientifico <strong>di</strong> F. Fergonzi,<br />
Milano 2003, fig. 15b a p. 281.<br />
12
Maria Cristina Bandera<br />
catalogo. Sebbene il riferimento a Cézanne sia puntuale 89 , in quest’opera ricca <strong>di</strong> citazioni, nella<br />
resa dell’incombente boscag<strong>li</strong>a, Moran<strong>di</strong> esp<strong>li</strong>cita an<strong>che</strong> il suo moderno interesse per il Doganiere<br />
Rousseau, <strong>di</strong> cui proprio in quell’anno Soffici aveva pubb<strong>li</strong>cato un saggio su “La Voce”<br />
paragonandolo, con una lettura inusitata ma per l’epoca non priva <strong>di</strong> fondamento, a Paolo Uccello.<br />
In questa <strong><strong>di</strong>re</strong>zione, an<strong>che</strong> il Paesaggio del 1916, V. 25, cat. 6, appartenuto a Mario Brog<strong>li</strong>o e da<br />
ultimo a Emi<strong>li</strong>o e Maria Jesi e da essi destinato dalla Pinacoteca <strong>di</strong> Brera, attesta, nella pittura<br />
smagrita e nell’intonazione cromatica <strong>che</strong> per so<strong>li</strong>to lo fa qua<strong>li</strong>ficare come “rosa”, una moderna<br />
rivisitazione dei freschisti fiorentini del Quattrocento. Vi ritroviamo col<strong>li</strong>ne dalle forme ondulate<br />
<strong>che</strong>, in una prospettiva ascendente, si sovrappongono sulla tela le une sopra le altre occupandone lo<br />
spazio quasi a totale <strong>di</strong>scapito del cielo.<br />
Dopo l’intervallo delle fase metafisica, la sequenza dei <strong>paesaggi</strong> selezionati per rappresentare g<strong>li</strong><br />
anni venti in<strong>di</strong>ca un forte interesse del pittore per l’inquadratura <strong>di</strong> spazi dominati da volumi<br />
architettonici sempre <strong>più</strong> incombenti, sebbene, in questa fase <strong>di</strong> ritorno <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> al <strong>paesaggi</strong>o,<br />
meritino <strong>di</strong> essere ricordati un primo Giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> via Fondazza, dominato da un ritmo concentrico,<br />
riferito dal Vita<strong>li</strong> al 1924, V. 102, ma retrodatabile secondo Fergonzi 90 al 1922, e un Paesaggio del<br />
1924, V. 103. Quest’ultimo, ricomparso recentemente 91 , anomalo sia per il supporto <strong>che</strong> per il tema<br />
– è <strong>di</strong>pinto su tavola e rappresenta una Marina (Marina all’Ardenza) –, risulta ‘eccentrico’ an<strong>che</strong><br />
per il segno minuto e per il “magma tonale”, così descritto da Arcange<strong>li</strong>: “Lame <strong>di</strong> terra grossa [...],<br />
apparizioni chiare <strong>di</strong> case, cielo incombente come un brano <strong>di</strong> pittura ‘<strong>di</strong> materia’ <strong>di</strong> oggi, bave<br />
lunghe corrugate furiose, tutto si agita assorto entro una modernissima fantomatica visione <strong>di</strong><br />
dramma interiore” 92 .<br />
Quanto alla Veduta <strong>di</strong> Villa Comi del 1922, V. 75, cat. 7, essa fu <strong>di</strong>pinta a Bologna “nei pressi della<br />
villa ospitale deg<strong>li</strong> amici Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>” 93 . La tela prende respiro da un passato prossimo, dalla<br />
me<strong>di</strong>tazione su Corot <strong>di</strong> cui Moran<strong>di</strong> si serve, nello spog<strong>li</strong>are il motivo all’essenziale senza<br />
concedere nulla a qualsiasi storia e nell’assimilare il ritmo perfetto della composizione, per<br />
proiettarsi verso il futuro, con una lezione <strong>che</strong> non lo abbandonerà mai. Basti pensare come ancora<br />
nel 1942 si accor<strong>di</strong> con Soffici per “andare [...] a Prato a vedere i Corot” della raccolta Querci 94 .<br />
Ma, ancora una volta, non va tralasciata l’attenzione per Henri Rousseau per quel collegamento <strong>che</strong><br />
viene spontaneo con La scierie environ de Paris, 1890-1893, riprodotta nella raccolta <strong>di</strong> tavole del<br />
maestro pubb<strong>li</strong>cata da “La Voce” nel 1914 95 , in cui <strong>di</strong>etro la segheria spunta il profilo della Tour<br />
Eiffel. Di questo elemento architettonico Moran<strong>di</strong> si era avvalso, sempre nel 1922, per l’incisione<br />
della Veduta dell’Osservanza <strong>di</strong> Bologna 96 , dove la torre, <strong>che</strong> si erge nel piano <strong>di</strong> fondo, risponde<br />
alla medesima scansione spaziale, così da <strong>di</strong>mostrare, già a questa data, an<strong>che</strong> il forte collegamento<br />
88<br />
G. Piovene si espresse nel 1942 in occasione dell’esposizione della raccolta Ferol<strong>di</strong> nelle sale della Pinacoteca <strong>di</strong><br />
Brera: M. Garberi, in Moran<strong>di</strong> e Milano, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale), a cura <strong>di</strong> M. Garberi, Milano<br />
1990, p. 34.<br />
89<br />
F. Fergonzi, La Collezione Mattio<strong>li</strong> cit. 2003, pp. 279-281; Id. On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in<br />
Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 49.<br />
90<br />
F. Fergonzi, Un contratto ine<strong>di</strong>to tra Giorgio Moran<strong>di</strong> e Mario Brog<strong>li</strong>o: identificazioni delle opere, storia<br />
collezionisica e novità cronologi<strong>che</strong> del Moran<strong>di</strong> metafisico e postmetafisico, in “Saggi e Memorie <strong>di</strong> Storia dell’Arte”,<br />
26, 2004, p. 469.<br />
91<br />
Sotheby’s Modern & Cintemporary Art inclu<strong>di</strong>ng Contemporary Art from a Private Collection, Milano 26 maggio<br />
2010, lot. 36. Sul retro, <strong>di</strong> pugno del primo proprietario, si legge: “Io sottoscritto <strong>di</strong>chiaro <strong>che</strong> il presente <strong>di</strong>pinto è stato<br />
eseguito dal Moran<strong>di</strong> durante il periodo <strong>che</strong> era mio ospite nella mia villa “La Morazzana” in Ardenza <strong>di</strong> Livorno. In<br />
fede F. Pasi”. Un’ulteriore conferma della ‘presa <strong><strong>di</strong>re</strong>tta’ <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>.<br />
92<br />
F. Arcange<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1964, pp. 208-209.<br />
93<br />
L. Vita<strong>li</strong> Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore cit. 1964, p. 29.<br />
94<br />
Dalla lettera, datata 18 gennaio 1942, <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> a Soffici, riportata in L. Cavallo,“A Prato per vedere i Corot” cit.<br />
1989, p. 133. La visita alla villa del Quercineto avrà luogo solo nel mese <strong>di</strong> ottobre (Ivi, p. 136).<br />
95<br />
F. Fergonzi, On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, pp. 56-57.<br />
96<br />
La data 1921 con cui è in<strong>di</strong>cata l’incisione, V. inc. n. 16, è catalogata da L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>. Opera grafica<br />
cit. 1957 è corretta in 1922 da M. Cordaro, Moran<strong>di</strong>. Incisioni. Catalogo generale, Milano, 1991, p. 16, 1922/1. La data<br />
1922 è stata recentemente riconfermata da L. Ficacci, in Moran<strong>di</strong>. L’arte dell’incisione (Ferrara, Palazzo dei Diamanti),<br />
a cura <strong>di</strong> L. Ficacci, Ferrara 2009, p. 71, n. 17.<br />
13
Maria Cristina Bandera<br />
<strong>di</strong> scambio e <strong>di</strong> complementarietà tra i suoi <strong>di</strong>pinti e le sue incisioni. Inoltre, al fine <strong>di</strong> rendere<br />
palpabile la ricerca <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a <strong>che</strong> in queg<strong>li</strong> anni accomunava le ricer<strong>che</strong> del pittore a quelle <strong>di</strong><br />
Giuseppe Raimon<strong>di</strong>, merita rileggere quanto il letterato ricorda a proposito <strong>di</strong> questa veduta: “La<br />
Villa Comi colla sua torre <strong>di</strong> ferro si scorgeva dalle finestre <strong>di</strong> casa. Con Moran<strong>di</strong> si guardava un<br />
poco della villa <strong>che</strong> emergeva dal folto deg<strong>li</strong> alberi e si parlava della torre Comi alta nel cielo<br />
grigio. Guardando la piccola Tour Eiffel dei bolognesi si finiva a parlare della Parigi <strong>che</strong> noi non<br />
conoscevamo. Venivano la suggestione, il nome <strong>di</strong> Degas, <strong>di</strong> Renoir. E quello <strong>di</strong> Apol<strong>li</strong>naire. Il<br />
nostro tempo in queg<strong>li</strong> anni era involto nei tratti amati della poesia e della pittura. Si viveva coi<br />
pie<strong>di</strong> per terra, ma un poco dentro il sogno, un pensiero <strong>di</strong> quelle cose. Il <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> con<br />
la Villa Comi rimane e risuona pacatamente con la memoria <strong>di</strong> quel tempo, g<strong>li</strong> anni della<br />
gioventù” 97 .<br />
Muto e so<strong>li</strong>tario, spog<strong>li</strong>ato da qualsiasi elemento descrittivo, è l’e<strong>di</strong>ficio dalla forma cubica <strong>che</strong>, in<br />
una visione <strong>che</strong> tende a essere frontale an<strong>che</strong> se non centra<strong>li</strong>zzata, si erge tra una sorveg<strong>li</strong>atissima<br />
vegetazione, in<strong>di</strong>cata dapprima da fasce orizzonta<strong>li</strong> <strong>di</strong> un <strong>di</strong>verso tono <strong>di</strong> verde impastato col giallo<br />
e poi da fronde <strong>più</strong> mosse, ma <strong>di</strong> uguale armonia cromatica, e davanti a un cielo ancora solcato da<br />
nuvole, nel Paesaggio del 1925, V. 108, cat. 8. Senza dubbio per la sua modernità ed essenzia<strong>li</strong>tà,<br />
nel 1950, all’epoca in cui si trovava nella collezione Deana <strong>di</strong> Venezia, fu scelto da Giuseppe<br />
Ungaretti per illustrare i Pittori ita<strong>li</strong>ani contemporanei – tra cui, appunto, Moran<strong>di</strong> – selezionati<br />
perchè a suo <strong><strong>di</strong>re</strong> “furono i protagonisti della Rivoluzione del 1910. Furono i miei compagni <strong>di</strong><br />
queg<strong>li</strong> anni, anni <strong>che</strong> an<strong>che</strong> in poesia prepararono un rinnovamento” 98 . Si tratta <strong>di</strong> un’opera <strong>che</strong><br />
prelude al mirabile equi<strong>li</strong>brio <strong>che</strong> caratterizza il gruppo <strong>di</strong> case, tra <strong>di</strong> loro rinserrate e dai muri <strong>li</strong>sci,<br />
del sobborgo <strong>di</strong> Chiesanuova del Paesaggio del 1925, V. 110, cat. 9, il cui primo proprietario fu<br />
Curzio Malaparte. Per la riduzione delle forme ad uno s<strong>che</strong>ma quasi geometrico e per la <strong>di</strong>visione<br />
spaziale <strong>di</strong> superfici regolari, oltre <strong>che</strong> per quei casamenti <strong>di</strong> un morbido color mattone, insomma<br />
per la “qua<strong>li</strong>tà sti<strong>li</strong>stica <strong>di</strong> rinnovata semp<strong>li</strong>cità quattrocentesca, in astrazione <strong>di</strong> contenuti” è stata<br />
letta da Maria Mimita Lamberti come un “sorprendente anticipo pierfrancescano”, in riferimento<br />
alla monografia del pittore toscano <strong>che</strong> sarebbe stata data alle stampe nel 1927 da Roberto Longhi<br />
per le e<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> “Valori Plastici”. Ma è da credere <strong>che</strong> l’evidente rapporto <strong>di</strong> dare e avere sia da<br />
intendersi piuttosto in <strong><strong>di</strong>re</strong>zione inversa dal momento <strong>che</strong> già nel 1914 lo storico dell’arte aveva<br />
scritto quel Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana <strong>che</strong> doveva essere già noto a<br />
Moran<strong>di</strong>. A questo saggio, pubb<strong>li</strong>cato in “L’Arte”, il pittore doveva essere risa<strong>li</strong>to quantomeno nel<br />
lug<strong>li</strong>o 1919 quando è documentata – grazie ad una lettera inviata a Raimon<strong>di</strong> 99 – la sua ricerca del<br />
fascicolo della rivista <strong>di</strong> quello stesso 1914 con il testo dello storico dell’arte su Orazio Borgianni<br />
oltre a quello del 1916 su Gentileschi padre e fig<strong>li</strong>a. Non vi è dubbio, inoltre, <strong>che</strong> a un attento<br />
lettore de “La Voce” come Moran<strong>di</strong>, <strong>che</strong> a suo modo aveva già passato una fase futurista, il nome <strong>di</strong><br />
Longhi doveva essere assai noto a partire dal suo fondamentale I pittori futuristi apparso nel 1913<br />
sulla stessa rivista. Va ipotizzato, inoltre, <strong>che</strong> il saggio <strong>di</strong> Longhi su Piero e la pittura veneziana,<br />
grazie non solo alle immagini, ma an<strong>che</strong> alle celebri equivalenze pittori<strong>che</strong> della sua scrittura,<br />
dovette rappresentare per Moran<strong>di</strong> uno spirag<strong>li</strong>o determinante d’interesse per la pittura tonale <strong>di</strong><br />
Giovanni Bel<strong>li</strong>ni, un pittore <strong>che</strong> farà parte della sua famosa <strong>li</strong>sta preferenziale, così com’è ricordata<br />
proprio dallo storico dell’arte: “Giotto, Masaccio, Piero, Bel<strong>li</strong>ni, Tiziano, Char<strong>di</strong>n, Corot, Renoir,<br />
Cézanne” 100 .<br />
Nella numerazione del catalogo generale redatto dal Vita<strong>li</strong> e an<strong>che</strong> nel nostro percorso della mostra<br />
al <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> Chiesanuova segue quello del Ponte della Savena, 1925, V. 111, cat. 10. I luoghi<br />
rappresentati in questi ultimi due <strong>di</strong>pinti sono an<strong>che</strong> caratterizzati da una vicinanza geografica. Lo<br />
97 G. Raimon<strong>di</strong>, Anni con Giorgio Moran<strong>di</strong>, Milano 1970, p. 137.<br />
98 G. Ungaretti, Pittori ita<strong>li</strong>ani contemporanei, Bologna 1950, tav. 37.<br />
99 G. Raimon<strong>di</strong>, Anni con Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1970, p. 186, riporta la lettera, datata 24 lug<strong>li</strong>o 1919, in cui Moran<strong>di</strong><br />
g<strong>li</strong> scrive: “Oggi sono andato in bib<strong>li</strong>oteca ma non mi è stato possibile vedere quei fascico<strong>li</strong> dell’Arte. Mi hanno detto<br />
<strong>che</strong> sono dal rilegatore. Volevo sapere dove si trovano alcuni quadri <strong>di</strong> Gentileschi e <strong>di</strong> Borgianni”.<br />
100 R. Longhi, Giorgio Moran<strong>di</strong>, [1945], ora in Scritti sull’Otto e Novecento, cit. 1984, p 95.<br />
14
Maria Cristina Bandera<br />
ricorda, come solo un letterato prossimo a Moran<strong>di</strong> poteva fare, Giuseppe Raimon<strong>di</strong>: “Proseguendo<br />
dalla Chiesa Nuova, si è poco dopo a San Ruffillo. C’era un caffè sulla strada battuta da camion e<br />
da barrocciai. Stando dentro il caffé si vedeva il ponte e l’acqua del Savena <strong>che</strong> vi passa sotto.<br />
Durante l’estate è un fiume <strong>più</strong> <strong>di</strong> sassi <strong>che</strong> <strong>di</strong> acqua. Quel giorno era d’autunno. Il fiume<br />
trasportava un’acqua lenta intrisa <strong>di</strong> un fango giallo. In quel giallo <strong>di</strong> fango, <strong>che</strong> un poco si tinge <strong>di</strong><br />
verde fra la schiuma dell’acqua, come una frangia d’o<strong>li</strong>o, sembra davvero <strong>di</strong> sentire la tristezza<br />
dell’autunno” 101 . Di fatto an<strong>che</strong> il <strong>di</strong>pinto, contenuto con una rigorosa ca<strong>li</strong>bratura metrica entro un<br />
telaio quasi quadrato, è ricco <strong>di</strong> colore e <strong>di</strong> materia e saturo <strong>di</strong> luce. Rappresenta un unicum nella<br />
produzione <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> ed è il riflesso della sua ammirazione per il Corot ita<strong>li</strong>ano, tanto è lampante<br />
e sempre sotto<strong>li</strong>neata la derivazione dal Ponte <strong>di</strong> Narni. Ancora una rara veduta suburbana – con<br />
una ciminiera <strong>che</strong> svetta in primo piano, bilanciata dai volumi a parallelepipedo benché appiattiti<br />
delle case <strong>che</strong>, <strong>di</strong>stribuiti nel verde, si susseguono con regolarità nei vari piani prospettici – è quella<br />
del Paesaggio datato tra<strong>di</strong>zionalmente al 1925 circa, V. 112, cat. 11. Dipinto <strong>che</strong> potrebbe risa<strong>li</strong>re<br />
an<strong>che</strong> a un tempo <strong>di</strong> poco precedente dal momento <strong>che</strong> è evidente la sua relazione con l’incisione<br />
con I camini dell’Arsenale nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Bologna, del 1921, V. inc. 12, <strong>che</strong> è da intendersi come<br />
una personale reinterpretazione della Vue de Malakoff del Doganiere Rousseau 102 . Del <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong>, a testimonianza del grande interesse da subito mostrato nei suoi confronti dai letterati a lui<br />
contemporanei, va ricordata la prima appartenenza ad Antonio Bal<strong>di</strong>ni, lo scrittore <strong>che</strong> con Emi<strong>li</strong>o<br />
Cecchi, Vincenzo Cardarel<strong>li</strong> e Riccardo Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong> fondò “La Ronda”. In seguito, prima <strong>di</strong> pervenire<br />
all’attuale ubicazione, transitò nella raccolta del fig<strong>li</strong>o, l’ang<strong>li</strong>sta Gabriele, e da questi alla mog<strong>li</strong>e<br />
Nata<strong>li</strong>a Ginzburg presso la quale il <strong>di</strong>pinto si trovava al momento dell’antologica del pittore alla<br />
Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1973 103 .<br />
Il ricco e veramente up to date bagag<strong>li</strong>o delle esperienze cultura<strong>li</strong> dell’artista è <strong>più</strong> <strong>che</strong> mai presente<br />
nel Paesaggio del 1927, V. 125, cat. 12, della Camera dei Deputati, dove in una sinergia <strong>di</strong><br />
orientamenti si assommano e, sulla spinta della me<strong>di</strong>tazione dei <strong>li</strong>bri <strong>di</strong> Longhi, <strong>di</strong>vengono<br />
consequenzia<strong>li</strong> potenziandosi, l’assimilazione <strong>di</strong> un motivo cézanniano – quello de La maison<br />
lézardée 104 – e la comprensione della pittura <strong>di</strong> Piero della Francesca, fatta propria grazie alla<br />
scrittura pittorica longhiana e al tag<strong>li</strong>o innovativo delle illustrazioni, sgranate ma efficacissime, <strong>che</strong><br />
accompagnano la monografia, apparsa in quello stesso anno e destinata a <strong>di</strong>venire un <strong>li</strong>bro cult per<br />
una intera generazione <strong>di</strong> artisti. Ci troviamo <strong>di</strong> fronte a un <strong>paesaggi</strong>o severo, assoluto e dalla<br />
struttura decisa, lontano da ogni natura<strong>li</strong>smo, ma <strong>di</strong> incre<strong>di</strong>bile giustezza tonale, in cui, in una tarda<br />
luce mattinale, una casa dalle forme sinteti<strong>che</strong> è osservata da un punto <strong>di</strong> vista ribassato, stag<strong>li</strong>ata<br />
contro cielo dall’intenso azzurro color dello smalto, con un esito <strong>che</strong> non può non fare risa<strong>li</strong>re alla<br />
intel<strong>li</strong>genza della “sintesi <strong>di</strong> forma e <strong>di</strong> colore” teorizzata da Roberto Longhi.<br />
A partire da questo anno, ormai rafforzato nella propria autonomia espressiva, Moran<strong>di</strong><br />
sperimenterà an<strong>che</strong> nella pittura <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o le sue pecu<strong>li</strong>ari ‘variazioni’ <strong>di</strong> cui eg<strong>li</strong> stesso spiega il<br />
motivo: “Io mi sono sempre concentrato su una gamma <strong>di</strong> soggetti molto <strong>più</strong> ristretta rispetto a gran<br />
parte deg<strong>li</strong> altri pittori e quin<strong>di</strong> il pericolo <strong>di</strong> ripetermi è sempre stato molto maggiore. Penso <strong>di</strong><br />
essere riuscito a evitare questo pericolo de<strong>di</strong>cando <strong>più</strong> tempo a progettare ciascuno dei miei <strong>di</strong>pinti<br />
come una variazione sull’uno o sull’altro <strong>di</strong> questi pochi temi” 105 . All’interno <strong>di</strong> tele <strong>di</strong> proporzioni<br />
costantemente mutate, <strong>di</strong> cui ci si può rendere conto solo guardando i suoi <strong>di</strong>pinti e non le tavole<br />
delle riproduzioni fotografi<strong>che</strong>, riprende, infatti, con angolature <strong>di</strong>verse e con inquadrature <strong>di</strong> poco<br />
<strong>di</strong>versificate uno stesso <strong>paesaggi</strong>o, variamente esposto a mutamenti <strong>di</strong> luce, cosi da evitare il<br />
pericolo <strong>di</strong> rep<strong>li</strong><strong>che</strong>. Ne risultano composizioni <strong>di</strong> analogo soggetto, ma <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa impaginazione e<br />
101 G. Raimon<strong>di</strong>, Anni con Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1970, p. 136.<br />
102 F. Fergonzi, On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 200, pp. 55-56.<br />
103 La notizia è riportata in Giorgio Moran<strong>di</strong> nelle raccolte romane, catalogo della mostra (Roma, Stu<strong>di</strong>o d’Arte<br />
Campaiola), a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Roma 2003, p. 166.<br />
104 M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> Today, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964 cit. 2008, p. 32. An<strong>che</strong> in questo caso il<br />
<strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Cézanne, ora al Metropo<strong>li</strong>tan Museum, era noto a Moran<strong>di</strong> attraverso una riproduzione in bianco e nero: F.<br />
Fergonzi, On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 53.<br />
105 Così Moran<strong>di</strong> a Ro<strong>di</strong>ti, in E. Ro<strong>di</strong>ti, Giorgio Moran<strong>di</strong> [1960], ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 356.<br />
15
Maria Cristina Bandera<br />
caratterizzate da <strong>di</strong>fferenze, talora impercettibi<strong>li</strong>, <strong>di</strong> materia pittorica, <strong>di</strong> or<strong>che</strong>strazione cromatica e<br />
<strong>di</strong> valori tona<strong>li</strong>. Il Paesaggio oggi alla Camera dei Deputati, infatti, non solo sarà ripreso, sempre<br />
nel 1927 e in controparte, in una celebre incisione (V. inc. 32, C. 1927/3) <strong>che</strong> godette <strong>di</strong> un<br />
imme<strong>di</strong>ato successo per essere pubb<strong>li</strong>cata sull’“Assalto” dell’11 febbraio e sul “Selvaggio” del 15<br />
aprile 1928, rafforzando la lettura strapaesana <strong>di</strong> queste opere <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> da parte dei suoi<br />
contemporanei, ma sarà riproposto in un’altra tela nel 1928, V. 135. Opera <strong>che</strong> può risultare simile<br />
solo ad uno sguardo superficiale 106 . Questi ultimi due <strong>di</strong>pinti lasciano presagire g<strong>li</strong> esiti del<br />
Paesaggio, V. 134, cat. 13, anch’esso risalente all’assolata e “implacabile estate del 1928” 107 , la<br />
stessa <strong>che</strong> fa da fi<strong>li</strong>grana al Sole a picco <strong>di</strong> Cardarel<strong>li</strong>, pubb<strong>li</strong>cato l’anno successivo con ventidue<br />
<strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Quest’opera appartenne a Alfredo Casella, compositore raffinato e<br />
lungimirante, ma an<strong>che</strong> artista vicino ai pittori e grande collezionista. In una rielaborazione mentale<br />
in costante ricerca, Moran<strong>di</strong> supera in essa il sintetismo esperito dalla lezione <strong>di</strong> Cézanne<br />
restringendo l’inquadratura e adottando una visione <strong>più</strong> ravvicinata e un conseguente allargamento<br />
delle forme, <strong>che</strong> paiono evadere dal telaio, così da credere <strong>che</strong> il <strong>paesaggi</strong>o sia stato indagato con<br />
l’ausi<strong>li</strong>o <strong>di</strong> un cannocchiale. Intensifica l’effetto della zoomata il colore a larghe macchie <strong>che</strong> fa da<br />
contorno alla facciata bianca e abbacinata dalla luce estiva e <strong>che</strong>, sebbene <strong>più</strong> sobrio, risulta <strong>più</strong><br />
pastoso e, comunque, sempre <strong>di</strong>stribuito con una sapienza tonale <strong>che</strong> non ha egua<strong>li</strong>. La<br />
composizione è nota an<strong>che</strong> per un’altra ‘variante’, il Paesaggio, 1928, V. 132, <strong>che</strong> appartenne a<br />
Enrico Vallecchi. Sebbene per queste due opere non si possa parlare <strong>di</strong> ‘serie’, è evidente – an<strong>che</strong><br />
data la presenza in entrambe del pag<strong>li</strong>aio – <strong>che</strong> la scintilla dovette scoccare nella mente creatrice <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong> a seguito della sua forte curiosità per Monet, per le vibrazioni straor<strong>di</strong>narie e per la valenza<br />
<strong>di</strong> modernità della sua pittura. Una attenzione per il francese <strong>che</strong> si prolungherà per tutti i suoi anni<br />
e <strong>che</strong> lo spinse a richiederne con forza una mostra, comprendente an<strong>che</strong> le opere tarde, per la<br />
Biennale <strong>di</strong> Venezia del 1960 della quale era commissario 108 .<br />
Nella sequenza della nostra rassegna chiude la lunga serie delle vedute del terzo decennio in cui<br />
compaiono volumi architettonici il Paesaggio del 1930, V. 160, cat. 15, <strong>che</strong> riprende il motivo<br />
dell’incisione con le Case del Campiaro a Grizzana, V. inc. 53, dell’anno precedente. L’esito del<br />
<strong>di</strong>pinto, tuttavia, fa comprendere come Moran<strong>di</strong> abbia stu<strong>di</strong>ato e stabi<strong>li</strong>to l’inquadratura come un<br />
regista e come dalla fine deg<strong>li</strong> anni venti eg<strong>li</strong> <strong>di</strong>a inizio ad un lavoro <strong>più</strong> personale. Di quanto nel<br />
quadro la composizione risulti <strong>più</strong> serrata e compressa, an<strong>che</strong> <strong>più</strong> “complessa <strong>di</strong> quello <strong>che</strong> sembra<br />
<strong>di</strong> primo acchito”, s’è accorto Vita<strong>li</strong>. Nota, infatti, come “i rettango<strong>li</strong> ed i trapezi vi si innestano ai<br />
triango<strong>li</strong> con incastri sapientissimi e nel medesimo tempo come nascosti. Una semp<strong>li</strong>cità <strong>che</strong><br />
sembra perfino ovvia: la semp<strong>li</strong>cità delle opere perfettamente concluse” 109 . La tela, quando si<br />
trovava nella raccolta <strong>di</strong> Margherita Caetani <strong>di</strong> Sermoneta, suscitò l’ammirazione <strong>di</strong> Thomas<br />
Stearns E<strong>li</strong>ot, il poeta statunitense natura<strong>li</strong>zzato inglese cugino della principessa <strong>che</strong> era so<strong>li</strong>ta<br />
riunire nella sua residenza amici e letterati, musicisti e pittori. Lo ricorda Luigi Magnani con un<br />
aneddoto curioso. Incaricato da Moran<strong>di</strong>, neg<strong>li</strong> anni della seconda guerra, <strong>di</strong> acquistarg<strong>li</strong> i colori<br />
Windsor and Newton <strong>di</strong> cui il pittore era so<strong>li</strong>to servirsi, dopo avere ricevuto un primo <strong>di</strong>niego, data<br />
l’impossibi<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> poter<strong>li</strong> esportare, il musicologo riuscì nel proprio intento con queste parole: “Con<br />
questi colori, – <strong>di</strong>ssi, – il <strong>più</strong> grande pittore ita<strong>li</strong>ano, Giorgio Moran<strong>di</strong>, potrebbe creare dei<br />
capolavori. Se il suo nome vi è ignoto, non lo è al vostro maggiore poeta, E<strong>li</strong>ot; potrei portarvi<br />
testimonianza scritta della sua ammirazione per lui –. Il giorno innanzi infatti ero stato a visitarlo<br />
nel suo stu<strong>di</strong>o presso la casa e<strong>di</strong>trice Faber and Faber, e nel ricordare un nostro precedente incontro<br />
106 <strong>Le</strong> due opere sono state accostate in occasione della mostra tenutasi al Metropo<strong>li</strong>tan Museum of Art, Giorgio<br />
Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, con una s<strong>che</strong>da redatta da chi scrive, pp. 144-148.<br />
107 F. Arcange<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1964, p. 228.<br />
108 Come risulta dalle reiterate richieste <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, attestate dai verba<strong>li</strong> delle riunioni del Comitato <strong>di</strong> esperti incaricato<br />
<strong>di</strong> organizzare le <strong>mostre</strong> per le Bienna<strong>li</strong> del 1958 e 1960: M.C. Bandera, Moran<strong>di</strong> sceg<strong>li</strong>e Moran<strong>di</strong>, cit. 2001, pp. 42-45.<br />
109 L. Vita<strong>li</strong> Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore cit. 1964, p. 33.<br />
16
Maria Cristina Bandera<br />
a Roma si era parlato an<strong>che</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> e dei suoi bel<strong>li</strong>ssimi quadri a Palazzo Caetani, dalla<br />
Principessa <strong>di</strong> Bassiano” 110 .<br />
Una strada bianca e polverosa <strong>che</strong> s’incurva rapidamente con un leggero pen<strong>di</strong>o, affiancata dalle<br />
macchie larghe e color ocra <strong>di</strong> un campo dalla forma abbreviata e dal verde spento nei gial<strong>li</strong> e a<br />
stesure piatte deg<strong>li</strong> alberi, è il tema del Paesaggio del 1929, V. 153, cat. 14. Appartenne a Giuseppe<br />
Bottai 111 <strong>che</strong> sarebbe <strong>di</strong>venuto ministro della cultura <strong>di</strong> Musso<strong>li</strong>ni e <strong>che</strong> neg<strong>li</strong> anni in cui aveva<br />
frequentato il <strong>li</strong>ceo Tasso a Roma, nel 1914, fu al<strong>li</strong>evo del giovane Roberto Longhi <strong>che</strong> impartiva le<br />
sue lezioni innovative 112 . È un <strong>di</strong>pinto nato dall’osservazione <strong><strong>di</strong>re</strong>tta <strong>di</strong> quei calanchi <strong>che</strong> per<br />
Moran<strong>di</strong> rappresentavano il <strong>paesaggi</strong>o pre<strong>di</strong>letto, tanto da lamentarsi quando la stagione non g<strong>li</strong><br />
permetteva <strong>di</strong> lavorare all’aperto 113 . L’interpretazione pittorica, sebbene esito <strong>di</strong> una profonda<br />
rime<strong>di</strong>tazione interiore, non ne preclude la riconoscibi<strong>li</strong>tà, così <strong>che</strong> an<strong>che</strong> g<strong>li</strong> amici dell’epoca –<br />
com’è ricordato ne La Tribuna del 20 agosto 1930 – salendo in corriera verso Grizzana potevano<br />
identificare i <strong>paesaggi</strong> con i quadri a loro noti: “Oh! Guarda: questo è il <strong>paesaggi</strong>o <strong>che</strong> s’è visto<br />
venti giorni fa in casa <strong>di</strong> Antonio Bal<strong>di</strong>ni [cat. 11], e quello ce l’ha Saffi, quello Bottai [cat. 14],<br />
quell’altro Longanesi [1930, V. 161]” 114 .<br />
Non si può, naturalmente, d’ora in poi, ripercorrere puntualmente ogni singolo <strong>di</strong>pinto esposto, dal<br />
momento <strong>che</strong> questi sono ormai l’esito <strong>di</strong> una maturità raggiunta e <strong>di</strong> una autonomia espressiva <strong>che</strong><br />
prosegue in un costante processo <strong>di</strong> ricerca, ma senza strappi, lungo quel cammino perseguito da<br />
Moran<strong>di</strong> sempre in modo emozionato. Questo sarà compito delle s<strong>che</strong>de. È doveroso, tuttavia, data<br />
l’importanza dei <strong>di</strong>pinti e an<strong>che</strong> per motivarne la scelta, fare alcune sotto<strong>li</strong>neature.<br />
Rappresentano all’incirca la stessa porzione <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o e sono entrambi caratterizzati dall’assenza<br />
del cielo i due <strong>paesaggi</strong> del 1932 <strong>che</strong> rispondono alla fase sperimentale <strong>di</strong> intenso lavoro <strong>di</strong> ricerca<br />
sulla materia pittorica <strong>che</strong> caratterizza g<strong>li</strong> anni trenta con esiti <strong>di</strong> drammaticità profonda. Nel primo,<br />
V. 174, cat. 16, la fiancata <strong>di</strong> una col<strong>li</strong>na è vista in una posizione ravvicinata e incombente, così da<br />
essere irriconoscibile e da <strong>di</strong>venire null’altro <strong>che</strong> <strong>li</strong>nee e colori. La pittura scabra ed erosa e la<br />
sintesi de<strong>li</strong>neante la costruzione perfetta e misteriosa delle piatte bande orizzonta<strong>li</strong> e <strong>di</strong>agona<strong>li</strong> del<br />
terreno sotto una luce immota aggiungono enigmaticità al soggetto. Probabilmente fu proprio<br />
pensando a questo <strong>di</strong>pinto, <strong>di</strong> cui fu destinatario, <strong>che</strong> Longhi presentandolo alla mostra ‘Del Fiore’<br />
nel 1945 definì “inameni” i <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduando la “riduzione del soggetto <strong>che</strong> gira al<br />
minimo” come pecu<strong>li</strong>arità della sua pittura. Del <strong>di</strong>pinto si conosce una variante risalente allo stesso<br />
anno, V. 175, molto simile nel tag<strong>li</strong>o, ma <strong>più</strong> <strong>di</strong>stesa e soprattutto <strong>più</strong> ricca <strong>di</strong> materia pittorica.<br />
Quest’ultima, già nella collezione Jesi e poi passata alla Pinacoteca <strong>di</strong> Brera, è preceduta da un<br />
<strong>di</strong>segno, T. P. 1932/11, <strong>che</strong> senza dubbio è da vedersi in rapporto an<strong>che</strong> alla tela della collezione<br />
Longhi. Osservato da una stessa angolatura e sottoposto a una messa a fuoco ancora <strong>più</strong> ravvicinata<br />
è il Paesaggio, 1932, V. 176, cat. 17, donato nel 1964 dalle sorelle <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> a Paolo VI per la<br />
sezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Anch’esso, ugualmente ridotto ai suoi elementi<br />
essenzia<strong>li</strong> e caratterizzato solo dalla zona cupa del terreno e dalle sfuggevo<strong>li</strong> in<strong>di</strong>cazioni delle<br />
piante, riempie tutta la cornice. È caratterizzato dalla stessa pittura magra <strong>che</strong>, in un processo <strong>di</strong><br />
spo<strong>li</strong>azione del colore, sfiora la bicromia.<br />
Destinato al giovane Cesare Bran<strong>di</strong>, <strong>che</strong> sarebbe <strong>di</strong>venuto uno dei critici <strong>più</strong> importanti dell’artista,<br />
certamente influenzandone la riflessione critica, è il Paesaggio del 1934, V. 181, cat. 18,<br />
eccezionale an<strong>che</strong> nelle <strong>di</strong>mensioni. Qui Moran<strong>di</strong> usò la topografia estiva dell’Appennino<br />
110<br />
L. Magnani, Il mio Moran<strong>di</strong>, cit 1982 p. 42.<br />
111<br />
A Bottai fa riferimento an<strong>che</strong> la lettera, datata 4 aprile 1928, in cui Soffici informa Moran<strong>di</strong> <strong>che</strong> “S. E. [...]”le<br />
manderà 500= appena riceva tante stampe quante secondo lei possono entrare in tal prezzo”, pubb<strong>li</strong>cata in L.<br />
Cavallo,“A Prato per vedere Corot”, cit. 1989, p. 70.<br />
112<br />
<strong>Le</strong> <strong>di</strong>spense sarebbero uscite in un volume postumo: R. Longhi, Breve ma veri<strong>di</strong>ca storia della pittura ita<strong>li</strong>ana,<br />
Firenze, 1890.<br />
113<br />
<strong>Le</strong>ttera a Soffici 22 agosto 1930, pubb<strong>li</strong>cata in L. Cavallo,“A Prato per vedere Corot”, cit. 1989, p. 104.<br />
114<br />
S.Volta: ‘Villeggiature. Grizzana e il suo pittore-poeta’, La Tribuna (20 agosto 1930), p. 3. Riportato in F. Fergonzi,<br />
On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 49.<br />
17
Maria Cristina Bandera<br />
bolognese – in questo caso quello <strong>di</strong> Roffeno – arso, desertico, dai calanchi violacei, dai campi<br />
arati e punteggiato <strong>di</strong> case <strong>di</strong> pietra, nello stesso modo in cui, in queg<strong>li</strong> stessi anni, combinava le<br />
nature morte nel suo stu<strong>di</strong>o, così da fare intendere come il suo lavoro procedeva pariteticamente. Vi<br />
si ritrovano la stessa materia densa e lavoratissima, i toni cupi e la medesima sequenza <strong>di</strong> pennellate<br />
marcate. Nello stesso anno si prestano a una lettura comparata i due <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>, ma non ugua<strong>li</strong><br />
<strong>di</strong>mensioni, provenienti dalla raccolta milanese <strong>di</strong> Carlo Grassi, l’uno (V. 182, cat. 19), e dalla<br />
raccolta romana <strong>di</strong> Pietro Rol<strong>li</strong>no, l’altro (V. 183, cat. 20), poi pervenuto nella collezione della RAI,<br />
in cui una casa, o la sua sintesi, spunta da una macchia <strong>di</strong> alberi <strong>di</strong> contro il dosso <strong>di</strong> una col<strong>li</strong>na.<br />
Sebbene affrontino lo stesso soggetto e siano accomunati dall’essere lontani da qualsiasi formula<br />
descrittiva, variano nell’inquadratura per il <strong>di</strong>verso sottinsù e per la <strong>di</strong>stanza della visione <strong>che</strong> lascia<br />
un <strong>di</strong>fferente spazio per il cielo. Soprattutto si <strong>di</strong>versificano per la sperimentazione sul colore: a<br />
ta<strong>che</strong>s cupe e pastose nel primo caso, <strong>più</strong> sintetico, abbreviato, asciutto e rischiarato nel secondo.<br />
È davvero poca cosa il soggetto nel Paesaggio – secondo il ‘titolo’ del Vita<strong>li</strong>, ma in realtà un<br />
Cortile <strong>di</strong> via Fondazza – risalente all’incirca al 1934, V. 188, cat. 21, dove in una visione<br />
sfuocata, i rami <strong>di</strong> una pianta in fiore, segnati da picco<strong>li</strong> tocchi densi <strong>di</strong> luce, sembrano fondersi nei<br />
trapassi <strong>di</strong> ver<strong>di</strong> nel tono caldo del color mattone <strong>che</strong> suggerisce la partitura geometrica <strong>di</strong> una<br />
facciata <strong>che</strong> fa da piano <strong>di</strong> fondo. Si tratta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto <strong>che</strong> nella sua sperimentazione annuncia g<strong>li</strong><br />
esiti fina<strong>li</strong> – in particolare pensiamo, tra le opere in mostra, al Paesaggio, 1962, V. 1287, cat. 60 – e<br />
non stupisce <strong>che</strong>, prima <strong>di</strong> pervenire nella raccolta voluta da Adriano O<strong>li</strong>vetti e da lì alla Telecom, il<br />
suo primo destinatario sia stato Giuseppe Raimon<strong>di</strong>. Ancora alberi in fiore, <strong>più</strong> o meno ravvicinati e<br />
<strong>di</strong>versamente luminosi o carichi <strong>di</strong> colore, <strong>che</strong> a loro volta rispondono a moda<strong>li</strong>tà variate <strong>di</strong> stesura,<br />
sono il tema <strong>di</strong> due Paesaggi – anch’essi due ‘corti<strong>li</strong>’ –, risalenti alla metà deg<strong>li</strong> anni trenta qui<br />
esposti: quel<strong>li</strong> del 1934, V. 189, cat. 22, e del 1936, V. 219, cat. 28. Il primo <strong>di</strong> grande <strong>di</strong>mensioni,<br />
intonato al verde chiaro del prato e alla senape della facciata, scan<strong>di</strong>to da tronchi flessuosi, e il<br />
secondo ‘ritag<strong>li</strong>ato’ quasi in quadrato, visto in controluce e superbo nella materia cromatica<br />
intessuta, com’è evidente an<strong>che</strong> nella firma, <strong>di</strong> bruni e <strong>di</strong> color ciclamino con una maestria <strong>che</strong> non<br />
ha ugua<strong>li</strong>.<br />
Si tratta, complessivamente, <strong>di</strong> opere <strong>che</strong> documentano come an<strong>che</strong> questo momento del lento e<br />
riflessivo cammino <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> sia davvero strepitoso. Il pittore lo percorre con la solerzia <strong>di</strong> un<br />
umanista <strong>che</strong> sembra avere fatto propria l’antica massima latina Festina lente, quell’affrettati<br />
lentamente, adottata da Aldo Manuzio, tanto tenaci sono la laboriosità, la costanza, la ponderazione<br />
del suo ‘lavoro’ pittorico, così <strong>che</strong> non stupiscono la sua caparbietà nel conquistarsi il proprio<br />
spazio <strong>di</strong> quiete e i ricorrenti appel<strong>li</strong> lanciati ai suoi corrispondenti circa la sua necessità <strong>di</strong> avere un<br />
po’ <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> tranquil<strong>li</strong>tà per “poter lavorare”.<br />
An<strong>che</strong> i tre <strong>paesaggi</strong> del 1935 nel rispondere a norme compositive tra <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>versificate sono la<br />
riprova <strong>di</strong> un altissimo grado <strong>di</strong> sperimentazione. Se nel primo, all’evidenza un Cortile, V. 196, cat.<br />
23, degno <strong>di</strong> nota per essere inizialmente appartenuto a Roberto Longhi, il terreno e le case, piatte<br />
come fonda<strong>li</strong> <strong>di</strong> scena, riempiono tutta la cornice secondo una <strong>di</strong>stribuzione centra<strong>li</strong>zzata, neg<strong>li</strong> altri<br />
due si nota un posizionamento <strong>più</strong> aperto, costruito con tag<strong>li</strong> <strong>di</strong>agona<strong>li</strong> <strong>che</strong> <strong>di</strong>vengono predominanti<br />
fattori <strong>di</strong> struttura. In particolare in quello della GAM <strong>di</strong> Torino, V. 200, cat. 24, acquistato dal<br />
museo nel 1939 alla III Quadriennale <strong>di</strong> Roma in occasione della prima importante sala<br />
monografica del pittore, i colpi <strong>di</strong> pennello hanno abbandonato qualsiasi pretesa <strong>di</strong> trascrizione della<br />
natura: il <strong>paesaggi</strong>o è meramente un’occasione per una combinazione <strong>di</strong> stesure piatte <strong>di</strong> colore<br />
sincronizzate tra loro, assolute an<strong>che</strong> per la padronanza dei toni e la giustezza della luce. Di questo<br />
<strong>paesaggi</strong>o – o forse ‘da’, dal momento <strong>che</strong> è in ‘controparte’ – Moran<strong>di</strong> trarrà nel 1936<br />
un’acquaforte, V. inc. 129 [fig. ??], in cui i contrasti <strong>di</strong> luce e ombra, tra <strong>di</strong> loro intarsiati<br />
nell’organizzazione della veduta, risultano ancora <strong>più</strong> accentuati. Guardando opere come questa<br />
colpisce la <strong>li</strong>bertà espressiva raggiunta da Moran<strong>di</strong> <strong>che</strong>, a questa data, appare an<strong>che</strong> superiore e<br />
maggiormente sperimentale rispetto a quella delle nature morte.<br />
Una strada so<strong>li</strong>taria, <strong>che</strong> come s’intuisce si snoda a gran<strong>di</strong> curve per concludersi <strong>di</strong> contro a una<br />
macchia marrone all’interno <strong>di</strong> un <strong>paesaggi</strong>o deserto e silenzioso in una prospettiva <strong>che</strong> pare letta<br />
18
Maria Cristina Bandera<br />
dall’alto, è il soggetto della realtà trasfigurata <strong>che</strong> compone il Paesaggio tra<strong>di</strong>zionalmente riferito al<br />
1935 circa, V. 205, cat. 26. In esso la perfezione dell’inquadratura, il sentimento poetico e<br />
l’armonia dei toni con le tante dec<strong>li</strong>nazioni <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>, <strong>di</strong> gial<strong>li</strong> e <strong>di</strong> bruni <strong>che</strong> organizzano il <strong>paesaggi</strong>o<br />
pezzato, la luce <strong>che</strong> con maestria regola i rapporti <strong>di</strong> forma e colore non riescono, in ogni caso, ad<br />
alleggerire l’acuto senso <strong>di</strong> inquietu<strong>di</strong>ne <strong>che</strong> deriva dall’atempora<strong>li</strong>à della percezione e dal bianco<br />
sporco e gessoso <strong>di</strong> una strada so<strong>li</strong>taria e senza meta.<br />
Risalente alla metà deg<strong>li</strong> anni trenta è an<strong>che</strong> un altro Cortile <strong>di</strong> via Fondazza, V. 204, cat. 25, dove<br />
all’interno <strong>di</strong> un inso<strong>li</strong>to tag<strong>li</strong>o verticale, si incastrano piatte e sinteti<strong>che</strong> facciate <strong>di</strong> case dalle<br />
tona<strong>li</strong>tà del mattone, le cui forme allungate, <strong>che</strong> paiono sospinte verso il cielo dall’infittirsi delle<br />
piante della fascia inferiore, ben si adattano al formato della tela. Il tema prende il nome dallo<br />
spazio racchiuso – per Moran<strong>di</strong> quasi un personale paradeisos – <strong>che</strong> dava sull’affaccio della<br />
camera-stu<strong>di</strong>o della propria abitazione ubicata in una vecchia via porticata <strong>di</strong> Bologna, <strong>che</strong> per<br />
questo ha ormai assunto risonanza nella storia dell’arte. Moran<strong>di</strong> nel corso deg<strong>li</strong> anni, e soprattutto<br />
con particolare frequenza neg<strong>li</strong> anni cinquanta, avrebbe continuato a scrutarlo, a osservarlo con<br />
attenzione meticolosa, a trasformarlo in immagine mentale e ad armonizzarlo con i colori sulla tela.<br />
Soprattutto avrebbe perseverato nell’indagarlo attraverso la finestra <strong>che</strong> avrebbe assolto la funzione<br />
<strong>di</strong> de<strong>li</strong>mitare l’impaginatura della composizione identificandosi con la cornice della tela, così <strong>che</strong> la<br />
superficie <strong>di</strong>pinta può essere considerata come la “finestra aperta” <strong>di</strong> cui argomenta <strong>Le</strong>on Battista<br />
Alberti nel suo rinascimentale trattato Sulla pittura, oppure, in un’ottica <strong>più</strong> moderna, essere vista<br />
come la porzione <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o inquadrata entro i <strong>li</strong>miti <strong>di</strong> un obiettivo fotografico o<br />
cinematografico. Si tratta <strong>di</strong> un proce<strong>di</strong>mento <strong>che</strong> il pittore aveva sempre messo in atto an<strong>che</strong> per<br />
scrutare g<strong>li</strong> spazi senza confine <strong>di</strong> Grizzana <strong>che</strong> venivano osservati attraverso un personale<br />
‘obiettivo’, una finestrina <strong>di</strong> pochi centimetri – 5 x 5 – aperta in un cartoncino poco <strong>più</strong> grande 115 ,<br />
conservato nella sua casa appenninica, dove i numeri segnati a matita in<strong>di</strong>cano le misure dei telai<br />
<strong>che</strong> dovevano essere preparati in funzione <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>versa inquadratura.<br />
Dovette rappresentare un grande impegno il quadro <strong>di</strong> notevo<strong>li</strong> <strong>di</strong>mensioni <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> lasciò<br />
incompiuto, ma <strong>che</strong> volle sempre conservare. Rintracciato da Maria Teresa Moran<strong>di</strong> alla morte del<br />
fratello arrotolato in un ripostig<strong>li</strong>o, fu da lei destinato al museo bolognese a questi intitolato. Privo<br />
<strong>di</strong> data, è riferito dal Vita<strong>li</strong> al 1935-1936, V. 211, cat. 27, an<strong>che</strong> se non se ne conoscono i<br />
presupposti <strong>che</strong> possono essere solo quel<strong>li</strong> derivati da un’in<strong>di</strong>cazione ricevuta a suo tempo<br />
dall’artista oppure dalle sorelle <strong>di</strong> questi al momento <strong>di</strong> re<strong>di</strong>gere il catalogo dei <strong>di</strong>pinti. Nonostante<br />
l’incompiutezza ci appare come un capolavoro – e per questo siamo grati al Museo Moran<strong>di</strong> an<strong>che</strong><br />
per questo prestito – in cui il pittore rende omaggio a Cézanne 116 , tanto l’impianto della veduta<br />
palesa il suo debito nei confronti del maestro <strong>di</strong> Aix. Nè c’è da stupirsi. Nella preziosa intervista<br />
concessa nel 1960 a Ro<strong>di</strong>ti, il nostro <strong>di</strong>chiara con orgog<strong>li</strong>o i suoi precoci orientamenti: “Se c’era in<br />
Ita<strong>li</strong>a un giovane pittore della mia generazione <strong>che</strong> seguiva con passione i nuovi sviluppi dell’arte<br />
francese, quello ero io. Nei primi vent’anni <strong>di</strong> questo secolo, pochissimi ita<strong>li</strong>ani erano interessati<br />
quanto me all’opera <strong>di</strong> Cézanne, Monet e Seurat” 117 . Già Fergonzi 118 ha messo in relazione il<br />
<strong>di</strong>pinto con la Montagne Sainte-Victoire au grand pin, 1887 (Londra, Courtauld Gallery) <strong>di</strong><br />
Cézanne per l’analogia dell’albero <strong>di</strong> sinistra e per lo stendersi del ramo nella parte alta e fino al<br />
lato opposto. Tuttavia, in una sinergia <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>tazioni, è da credere <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> fosse venuto a<br />
conoscenza, tramite riviste o foto <strong>che</strong> circolavano, an<strong>che</strong> <strong>di</strong> altre opere del francese. In particolare la<br />
grig<strong>li</strong>a deg<strong>li</strong> alberi <strong>che</strong> funge da inquadratura in cui si incunea il <strong>paesaggi</strong>o fa pensare a La mer à<br />
l’Estaque, 1878-1879 (Parigi, Museo Picasso), dove spicca an<strong>che</strong> la lunga ciminiera <strong>che</strong>, come s’è<br />
115 Il cartoncino, le cui misure esterne sono 11 x 9,7 cm, è ritag<strong>li</strong>ato da una scatola <strong>di</strong> cartone <strong>di</strong> pastina Barilla e<br />
conservato nella Casa-Museo <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> a Grizzana.<br />
116 In particolare si veda J. Hirsh, For the Love, and Fear, of Painting: Cézanne, Moran<strong>di</strong>, and Ita<strong>li</strong>an Modernism, in<br />
Cézanne and Beyond, catalogo della mostra (Philadelphia Museum of Art), a cura <strong>di</strong> J.J. Rishel e K. Sachs, Philadelphia<br />
2009, pp. 351-371 e per il Paesaggio 1935-1936, V. 211, cat. 27, pp. 364-365.<br />
117 In E. Ro<strong>di</strong>ti, Giorgio Moran<strong>di</strong> [1960], ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 200, p. 352.<br />
118 F. Fergonzi, On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 54-55.<br />
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Maria Cristina Bandera<br />
visto, è un motivo presente nel Paesaggio, 1925, V. 112, cat. 11, del bolognese. In questa <strong><strong>di</strong>re</strong>zione,<br />
l’albero dal lungo tronco senza rami, ma dalla cima frondosa, posto in posizione quasi centra<strong>li</strong>zzata<br />
e arretrato rispetto alla superficie della tela e <strong>che</strong> assolve a una funzione <strong>di</strong> elemento verticale,<br />
ricorda quello del Mont Sainte-Victoire and the Viaduct of the Arc River Valley, 1882-1885, (New<br />
York, Metropo<strong>li</strong>tan Museum of Art) del francese. Tuttavia il colore steso a gran<strong>di</strong> tessere, an<strong>che</strong> se<br />
solo abbozzato, e soprattutto la rappresentazione meno natura<strong>li</strong>stica e <strong>più</strong> bi<strong>di</strong>mensionale dello<br />
spazio fanno intendere la modernità dell’interpretazione <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Data l’importanza, ci verrebbe<br />
la tentazione <strong>di</strong> pensare <strong>che</strong> sia questo il <strong>di</strong>pinto a cui fa riferimento Piero Bargel<strong>li</strong>ni<br />
accompagnando l’intervista a Moran<strong>di</strong> apparsa nel 1937 su “Frontespizio”, <strong>che</strong> abbiamo già<br />
ricordato: “Sul cavalletto c’è un <strong>paesaggi</strong>o. È cominciato da due anni. Superfici quasi piane <strong>di</strong> rari<br />
colori. Una ricerca severissima <strong>di</strong> un’armonia pittorica <strong>che</strong> ha veramente del sub<strong>li</strong>me” 119 . Queste<br />
parole fanno da commento a quelle assai laconi<strong>che</strong> espresse dal pittore circa le proprie notizie<br />
biografi<strong>che</strong>. Incalzato dall’intervistatore si <strong>li</strong>mitò ad aggiungere: “prima <strong>di</strong> morire vorrei condurre a<br />
fine due quadri. Quello <strong>che</strong> importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose”. Naturalmente non<br />
siamo certi <strong>che</strong> questo sia uno dei due quadri, ma non vi è dubbio <strong>che</strong> l’intento <strong>che</strong> l’artista si era<br />
prefisso, in<strong>di</strong>pendente dall’opera cui fa riferimento, rappresenta per noi una imprescin<strong>di</strong>bile chiave<br />
<strong>di</strong> lettura della sua arte.<br />
Apre la serie dei <strong>paesaggi</strong> deg<strong>li</strong> anni quaranta, per i qua<strong>li</strong> Longhi spese le proprie autorevo<strong>li</strong> parole<br />
<strong>che</strong> ne acclarano l’importanza, una teletta, V. 277, cat. 29, da subito destinata allo storico dell’arte.<br />
Rappresenta una col<strong>li</strong>na ridotta ai suoi elementi essenzia<strong>li</strong>, costruita con un sovrapporsi <strong>di</strong> fasce<br />
orizzonta<strong>li</strong> entro una tavolozza sobria, resa immobile da una luce ferma e zenitale <strong>che</strong> non produce<br />
ombre. Per la “sintesi prospettica <strong>di</strong> forma-colore” e per l’inso<strong>li</strong>ta porzione <strong>di</strong> tela grezza <strong>che</strong> ne<br />
de<strong>li</strong>mita i bor<strong>di</strong> abbiamo notato, in precedenti occasioni 120 , il collegamento <strong>di</strong> questo Paesaggio con<br />
l’illustrazione del “Particolare del Paese” del Battesimo <strong>di</strong> Cristo pre<strong>di</strong>sposto da Longhi alla tavola<br />
IX della sua monografia su Piero della Francesca. Un accostamento <strong>che</strong> motiva, pour cause, la<br />
destinazione del <strong>di</strong>pinto.<br />
I due <strong>paesaggi</strong> del 1940, V. 279, cat. 30 e V. 280, cat. 31, <strong>che</strong> abbiamo la possibi<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> vedere<br />
accostati, noti an<strong>che</strong> in altre varianti, s’impongono per alcune indubbie considerazioni <strong>di</strong> carattere<br />
sti<strong>li</strong>stico. A un primo colpo d’occhio colpisce l’analogia del ‘motivo’, pur nella leggera <strong>di</strong>versità del<br />
sottinsù. Soprattutto, a ben guardare, si nota come nel secondo, appartenuto a Cesare Gnu<strong>di</strong>,<br />
l’inquadratura sia <strong>più</strong> ravvicinata. Ma ciò <strong>che</strong> <strong>li</strong> <strong>di</strong>versifica è soprattutto l’elaborazione pittorica.<br />
Quello <strong>di</strong> collezione privata si caratterizza, oltre <strong>che</strong> per la solarità, per una costruzione a stesure <strong>di</strong><br />
colore <strong>più</strong> omogenee e geometrizzanti, giocate su incastri <strong>di</strong> terre e <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>, mentre quello donato al<br />
Museo Moran<strong>di</strong> dallo storico dell’arte bolognese è sottoposto a una pittura <strong>più</strong> frammentaria e<br />
inquieta resa in una sinfonia <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>. Per una <strong>più</strong> accentuata sperimenta<strong>li</strong>tà è da credere <strong>che</strong> sia<br />
stato quest’ultimo quello visto e guardato con interesse da Ardengo Soffici tanto da chiederne “una<br />
rep<strong>li</strong>ca”. Su <strong>di</strong> esso si apre un <strong>di</strong>alogo per corrispondenza tra i due pittori <strong>che</strong> suggerisce a noi<br />
posteri, talora desiderosi <strong>di</strong> volere sciog<strong>li</strong>ere ogni nodo riguardante il modus operan<strong>di</strong> del<br />
bolognese, <strong>di</strong> rispettare il ‘mistero’ <strong>che</strong> riguarda le sue <strong>di</strong>verse moda<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> approccio alla realtà<br />
visibile, piuttosto <strong>che</strong> <strong>di</strong> volere approdare a certezze. D’altronde non è sufficiente basarsi sulla<br />
necessità <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> <strong>di</strong> lavorare ‘sul motivo’, così da pensarlo unicamente con il cavalletto posto<br />
all’aperto. S’è già visto, infatti, <strong>che</strong> è necessario tenere conto del rapporto <strong>di</strong> complementarietà,<br />
an<strong>che</strong> se non sempre <strong>di</strong> contiguità cronologica, tra i <strong>di</strong>pinti e le incisioni. Quest’ultime, infatti, “a<br />
volte <strong>li</strong> precedono nell’invenzione <strong>di</strong> temi compositivi, a volte invece ritornano su opere<br />
cronologicamente ormai lontane” 121 . Inoltre, non va <strong>di</strong>menticato <strong>che</strong> in alcuni casi i ‘motivi’ sono<br />
119 P. Bargel<strong>li</strong>ni, Artisti ita<strong>li</strong>ani: Giorgio Moran<strong>di</strong> [1937], in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 348.<br />
120 Inizialmente M.C. Bandera, in La Collezione <strong>di</strong> Roberto Longhi dal Duecento a Caravaggio a Moran<strong>di</strong>, catalogo<br />
della mostra (Alba, Fondazione Ferrero), a cura <strong>di</strong> M. Gregori e G. Romano, Savig<strong>li</strong>ano, 2007, pp. 194-195 e da ultimo,<br />
Ead., in Memorie dell’Antico, cit. 2009, p. 176.<br />
121 G. Romano, Moran<strong>di</strong> incisore, in Moran<strong>di</strong>. L’arte dell’incisione, catalogo della mostra (Ferrara, Palazzo dei<br />
Diamanti), Ferrara 2009, p. 43.<br />
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Maria Cristina Bandera<br />
visti e inquadrati dalla finestra e <strong>che</strong>, in entrambi i casi per sparig<strong>li</strong>are le carte tra le vicinanze e le<br />
lontananze, Moran<strong>di</strong> si serviva <strong>di</strong> un binocolo, così da rendere <strong>più</strong> ambigua la spazia<strong>li</strong>tà della<br />
visione. Ora, lo scambio epistolare <strong>che</strong> riteniamo prenda spunto dal Paesaggio Gnu<strong>di</strong>, apre un<br />
ulteriore spirag<strong>li</strong>o circa le moda<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> lavoro dell’artista, pronto a nuove sperimentazioni e <strong>di</strong>sposto<br />
a interrompere momentaneamente lo stu<strong>di</strong>o dal vero. Il 10 ottobre 1941, a estate conclusa,<br />
rivolgendosi a Moran<strong>di</strong> ormai rientrato in via Fondazza e certo conoscendone le consuetu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />
prassi pittorica, Soffici g<strong>li</strong> scrive: “Mi è tanto piaciuto il <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong> cui ti pregai <strong>di</strong> farmi una<br />
rep<strong>li</strong>ca l’anno prossimo, <strong>che</strong> ripensandoci qui mi è venuta un’idea <strong>che</strong> ti sottometto. È un’idea<br />
curiosa <strong>che</strong> può far ridere o esser presa in considerazione, secondo il temperamento. Si tratta <strong>di</strong><br />
questo. Ho pensato <strong>che</strong> forse tu potresti accontentarmi prima, facendomi, non una copia ma una<br />
<strong>li</strong>bera traduzione dello stesso <strong>paesaggi</strong>o. Vog<strong>li</strong>o <strong><strong>di</strong>re</strong> <strong>che</strong> mettendoti il <strong>di</strong>pinto davanti tu potresti<br />
farne un altro come ritraendolo dal vero, e cioè senza bisogno né <strong>di</strong> ripetere l’elaborazione tecnica,<br />
le pennellate ecc[.], né puntualmente le forme. Ho visto per esperienza <strong>che</strong> un tal lavoro è possibile.<br />
Potrebbe an<strong>che</strong> darsi <strong>che</strong> ti riuscisse piacevole e fe<strong>li</strong>ce pel risultato. Ne uscirebbe un’opera nuova<br />
sullo stesso tema o s<strong>che</strong>ma, e per me, mi basterebbe <strong>che</strong> ne restasse an<strong>che</strong> un’ombra. Non ti<br />
costerebbe né sforzi antipatici e te<strong>di</strong>osi né molto tempo. / Pensaci, e perdonami se la mia idea ti<br />
paresse grottesca o insulsa” 122 . Con solo un po’ <strong>di</strong> ritrosia, il 14 ottobre Moran<strong>di</strong> risponde: “Se cre<strong>di</strong><br />
mi <strong>di</strong>spiace infinitamente <strong>di</strong> aver già impegnato quel quadro <strong>che</strong> ti interessa e <strong>che</strong> ti avrei dato tanto<br />
volentieri. Io mi proverò a farne una rep<strong>li</strong>ca come tu mi <strong>di</strong>ci ma temo non verrà fuori nulla <strong>di</strong><br />
buono. Ti scriverò presto in proposito.” Poco <strong>più</strong> <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci giorni dopo, il 2 novembre, ecco la<br />
conferma della nuova sperimentazione: “Ho già pronto il tuo paese. Non so sarà <strong>di</strong> tua<br />
sod<strong>di</strong>sfazione. / Non mi è possibile mandartelo subito perchè il colore, in questa stagione, stenta<br />
molto ad asciugare. / Se sarà possibile te lo porterò io oppure te lo spe<strong>di</strong>rò”. Dalla lettera del 7<br />
novembre sappiamo <strong>che</strong> sarà consegnato il giorno15: “Io dovrò venire a Firenze sabato 15 corr[.]<br />
[...]. Se il <strong>di</strong>pinto, come spero, sarà asciutto lo porterò. Se non ti fosse possibile trovarti a Firenze<br />
lascerò il quadro al Signor Ammirando<strong>li</strong> in Piazza della Signoria”. Deve trattarsi del Paesaggio,<br />
non a caso catalogato dal Vita<strong>li</strong> con la data 1940-1941, V. 285, ricordato come appartenente a<br />
Soffici e poi, purtroppo, <strong>di</strong> ubicazione ignota. D’altronde come poteva Moran<strong>di</strong> non dare ascolto a<br />
Soffici <strong>che</strong> per primo, già nel 1908, g<strong>li</strong> aveva in<strong>di</strong>cato la via <strong>di</strong> Cézanne quando il “profeta” non era<br />
ancora riconosciuto come tale nemmeno in Francia? A colui <strong>che</strong> con i suoi scritti, pervenuti in<br />
un’Ita<strong>li</strong>a antecedente la sferzata futurista e in una Bologna provinciale, g<strong>li</strong> aveva in<strong>di</strong>cato la via,<br />
così da guardare al francese e, come lui, subor<strong>di</strong>nare, nella resa dei <strong>paesaggi</strong>, “la verità esterna alla<br />
verità della sua visione interiore [...] non preoccupandosi se le proporzioni natura<strong>li</strong> verranno<br />
sforzate per obbe<strong><strong>di</strong>re</strong> al suo spirito, e imprimendo così alla sua opera quell’aspetto <strong>di</strong> vastità reale e<br />
ideale <strong>che</strong> fa assurgere il fatto <strong>più</strong> volgare alla <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> simbolo perpetuo della vita” 123 ?<br />
Diversamente non vi possono essere dubbi sulla ‘presa <strong><strong>di</strong>re</strong>tta’ della tela del 1941, V. 326, cat. 34,<br />
un’opera <strong>che</strong>, per la forte sperimentazione, testimonia la vita<strong>li</strong>tà della stagione paesistica <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong> neg<strong>li</strong> anni della guerra. Anzi, la pittura rapida e abbreviata <strong>che</strong> ne caratterizza la superficie<br />
ricoperta <strong>di</strong> colore, ormai quasi <strong>più</strong> senza tema, se quello spicchio <strong>di</strong> cielo non lo qua<strong>li</strong>ficasse, fa<br />
ritenere <strong>che</strong> sia stata <strong>di</strong>pinta <strong>di</strong> getto, sul motivo, quasi certamente in una sola seduta.<br />
Ricompare, ma in forma <strong>di</strong> semp<strong>li</strong>ficazione estrema, la muta struttura geometrica delle case, ridotte<br />
a picco<strong>li</strong> so<strong>li</strong><strong>di</strong>, in altri <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> questi fervi<strong>di</strong>ssimi anni. Moran<strong>di</strong> attua questa ulteriore ricerca<br />
ricordandosi <strong>di</strong> Corot e della sua organizzazione e “impassibi<strong>li</strong>tà” 124 della visione – come nel caso<br />
del Paesaggio, V. 333, cat. 35 – , ma, da uomo colto, appoggiandosi an<strong>che</strong> al padre della scienza<br />
moderna, con un orientamento tanto <strong>più</strong> consequenziale se si pensa <strong>che</strong> faceva del cannocchiale un<br />
122 La corrispondenza tra Soffici e Moran<strong>di</strong> riguardante questo episo<strong>di</strong>o è riportata in L. Cavallo,“A Prato per vedere i<br />
Corot” cit. 1989, pp. 127-129. Nella chiosa a p. 130 si apprende <strong>che</strong> Mario Ammirando<strong>li</strong>, legato d’amicizia con Soffici,<br />
aveva rilevato la Farmacia Bizzarrini in Piazza della Signoria a Firenze.<br />
123 A. Soffici, Paul Cézanne, in “Vita d’arte”, I, I, p. 328.<br />
124 F.Fergonzi, Giorgio Moran<strong>di</strong> Criticism Cities Sources Series, in Moran<strong>di</strong> Master of Modern Still Life, catalogo della<br />
mostra (Phil<strong>li</strong>p Collection), a cura <strong>di</strong> F. Fergonzi e E. Barisoni, Washington 2009, p. 28.<br />
21
Maria Cristina Bandera<br />
‘mezzo’ privilegiato d’indagine del visibile. Lo <strong>di</strong>chiara a Peppino Magravite nel 1955 125 : “Come<br />
ricordava Ga<strong>li</strong>leo nel suo <strong>li</strong>bro <strong>di</strong> filosofia, il <strong>li</strong>bro della natura è scritto in caratteri estranei al nostro<br />
alfabeto. Questi caratteri sono triango<strong>li</strong>, quadrati, cerchi, sfere, pirami<strong>di</strong>, coni e altre figure<br />
geometri<strong>che</strong>. Sento il pensiero ga<strong>li</strong>leiano vivo nella mia antica convinzione <strong>che</strong> le immagini e i<br />
sentimenti suscitati dal mondo visibile, <strong>che</strong> è un mondo formale, sono esprimibi<strong>li</strong> so<strong>li</strong> con grande<br />
<strong>di</strong>fficoltà [...] in quanto sono determinati appunto dalle forme, dallo spazio e dalla luce”.<br />
Un’asserzione <strong>che</strong>, obb<strong>li</strong>gatoriamente, doveva essersi confrontata con quella celebre <strong>di</strong> Cézanne:<br />
“Tout dans la nature se modèle selon la sphère, le cone et le cy<strong>li</strong>ndre. Il faut s’apprendre à peindre<br />
sur ces figures siples, on pourra ensuite faire tout ce qu’on voudra”. È questo il caso dei plumbei e<br />
quasi monocromi e<strong>di</strong>fici ammantati <strong>di</strong> neve, <strong>che</strong> vivono per i chiarori smorzati <strong>di</strong> questa <strong>che</strong><br />
riescono a farci intuire il colore ambrato dell’intonaco, del Paesaggio, anzi un Cortile <strong>di</strong> via<br />
Fondazza innevato del 1940, cat. 32, un’opera dalla qua<strong>li</strong>tà altissima inserita nel percorso<br />
espositivo della mostra, davvero epocale, Natura ed espressione nell’arte bolognese-emi<strong>li</strong>ana,<br />
curata nel 1970 da Francesco Arcange<strong>li</strong>, cui questo “Paesaggio con la neve” pare “un capolavoro:<br />
un muro tacito, desolato, immoto, un mondo chiuso per sempre in questa perfetta materia tonale” 126 .<br />
Di fatto, la geometria piana con cui le case sono definite quasi ‘in negativo’, rafforzata dal<br />
misterioso quadrato colpito dalla luce e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> tona<strong>li</strong>tà <strong>più</strong> chiara, è interrotta solo dai ra<strong>di</strong> rami<br />
s<strong>che</strong>letrici deg<strong>li</strong> alberi. O, ancora, del superbo Paesaggio, 1040-1941, V. 286, cat. 33, già <strong>di</strong><br />
collezione Jucker e tra i capolavori della mostra curata da Giu<strong>li</strong>ano Briganti nel 1984 127 , <strong>che</strong> per il<br />
misurato rapporto <strong>di</strong> quadrati, triango<strong>li</strong> e rettango<strong>li</strong> ci appare come un teorema matematico costruito<br />
su principi geometrici e regolato da un esatto vocabolario cromatico <strong>di</strong> pochi toni fortemente<br />
ribassati.<br />
Ancora entro il 1941 è da collocarsi il Paesaggio, V. 334, cat. 36, privo <strong>di</strong> vicissitu<strong>di</strong>ni umane. Ha<br />
come unico tema una casa dall’intonaco rosa, collocata con una prospettiva ambigua <strong>di</strong> contro a una<br />
col<strong>li</strong>na pezzata <strong>di</strong> bruni sor<strong>di</strong> e variati, <strong>che</strong> si estende comprimendo il cielo, ridotto ad un<br />
picco<strong>li</strong>ssimo angolo. Dello stesso anno è quello noto an<strong>che</strong> come La strada bianca, V. 341, cat. 37,<br />
un <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> cui esistono altre varianti. La sua derivazione da un’incisione del 1933, V. inc. 104, e<br />
il suo non essere in controparte, pone, an<strong>che</strong> in questo caso, il quesito sulla prassi pittorica del<br />
pittore. Come unico commento ce<strong>di</strong>amo la parola a Giorgio Bassani e alla sua breve <strong>li</strong>rica, Per un<br />
quadro <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>: “O tu cui lenta abbraccia la col<strong>li</strong>na accaldata, / casa persa nel verde, esile volto<br />
e bianco, / solo tu durerai, muto, eroico pianto, / non resterai <strong>che</strong> tu, e la luce assonnata” 128 .<br />
Sebbene non si sappia a quale <strong>paesaggi</strong>o si sia ispirato lo scrittore ferrarese, <strong>che</strong> frequentò Moran<strong>di</strong><br />
a partire dai suoi stu<strong>di</strong> universitari compiuti a Bologna, il fatto <strong>che</strong> si sia servito <strong>di</strong> una ‘variante’,<br />
V. 340, dell’opera in esame per la copertina delle sue Storie ferraresi 129 contribuisce alla loro<br />
relazione.<br />
Parallelamente alla ricerca pittorica messa in atto nella Strada bianca, an<strong>che</strong> in altri <strong>paesaggi</strong> del<br />
1942 ora in mostra – P. 2000, 1942/2, cat. 38, V. 396, cat. 42, V. 397, cat. 43 (quest’ultimo<br />
appartenuto all’ar<strong>che</strong>ologo Ranuccio Bianchi Ban<strong>di</strong>nel<strong>li</strong> <strong>che</strong> nel 1935 fondò con Carlo Ludovico<br />
Ragghianti la “Critica d’Arte”, con<strong><strong>di</strong>re</strong>tta dal 1938 al 1940 an<strong>che</strong> da Roberto Longhi) – alberi e<br />
case posti lungo una strada <strong>di</strong> campagna <strong>di</strong>ventano l’equivalente delle bottig<strong>li</strong>e e delle scatole <strong>che</strong><br />
Moran<strong>di</strong> era so<strong>li</strong>to ‘mettere in posa’ nel suo stu<strong>di</strong>o per le nature morte. Ma a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> queste,<br />
125<br />
Moran<strong>di</strong> nell’intervista ra<strong>di</strong>ofonica concessa a P. Magravite [1955] ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p.<br />
350.<br />
126<br />
F. Arcange<strong>li</strong>, in Natura ed Espressione nell’arte bolognese-emi<strong>li</strong>ana: catalogo critico, VIII Mostra Biennale d’Arte<br />
Antica, catalogo della mostra a cura <strong>di</strong> F. Arcange<strong>li</strong> (Bologna, Palazzo dell’Archiginnasio), Bologna 1970, ristampa<br />
anastatica con saggio introduttivo <strong>di</strong> Mi<strong>che</strong>la Scolaro, Bologna 2003, p. 300. Significativa la de<strong>di</strong>ca anteposta<br />
dall’al<strong>li</strong>evo: “Alla memoria / del mio maestro / Roberto Longhi” da poco scomparso.<br />
127<br />
I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> cit. 1984, pp. 43-44.<br />
128<br />
La <strong>li</strong>rica è contenuta nella raccolta Te lucis ante del 1947: G. Bassani, Opere, a cura <strong>di</strong> R. Cotroneo, Milano 1998, p.<br />
1396.<br />
129<br />
G. Bassani, Storie ferraresi, Torino 1956. Il <strong>di</strong>pinto compare nella sovracoperta dell’e<strong>di</strong>zione deg<strong>li</strong> “Struzzi”<br />
Einau<strong>di</strong>.<br />
22
Maria Cristina Bandera<br />
nelle tele <strong>di</strong> Grizzana ci si accorge come i triango<strong>li</strong> sfuggenti – quel<strong>li</strong> dei prati e dei cespug<strong>li</strong> in<br />
controluce, quello del cielo, quello ocra dorato delle case <strong>che</strong> fanno tutt’uno con il campo <strong>di</strong> grano<br />
falciato, quello della strada battuta dal sole – siano osservati da <strong>di</strong>fferenti punti <strong>di</strong> vista, così da<br />
avvertire nella sequenza delle composizioni quasi la sperimentazione <strong>di</strong> un senso <strong>di</strong> movimento. È<br />
quasi pleonastico ripetere <strong>che</strong> si tratta <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti superbi an<strong>che</strong> per la scala cromatica e per la<br />
texture, evidentissima, con cui il colore è steso, così da non fare mai <strong>di</strong>menticare come, per l’artista,<br />
il lavoro <strong>di</strong> pittore e quello <strong>di</strong> incisore fossero complementari, anzi reciproci. Inoltre, va menzionata<br />
la relazione con i <strong>di</strong>segni. Del Paesaggio, P. 1942/ 2, cat. 38, già <strong>di</strong> collezione Rol<strong>li</strong>no, va ricordato,<br />
infatti, un <strong>di</strong>segno, T. P. 1942/7, <strong>di</strong> impianto analogo <strong>che</strong> testimonia l’audacia compositiva e la<br />
geometrizzazione delle forme messe in atto da Moran<strong>di</strong>, oltre allo stu<strong>di</strong>o rigoroso deg<strong>li</strong> effetti <strong>di</strong><br />
luce e <strong>di</strong> ombra. Lo stesso fog<strong>li</strong>o può essere messo in rapporto con il Paesaggio, anch’esso risalente<br />
al 1942, V. 396, cat. 42, ora alla Pinacoteca <strong>di</strong> Bari, ma <strong>che</strong> è transitato an<strong>che</strong> nella collezione<br />
torinese <strong>di</strong> Riccardo Gua<strong>li</strong>no <strong>che</strong> è da credere lo acquistò su in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Lionello Venturi.<br />
Infine, ancora entro il 1942, com’è evidente nel Paesaggio Zani<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, V. 399, cat. 44, già nella<br />
raccolta <strong>di</strong> José Luis e Beatriz Plaza, si assiste a un ulteriore processo <strong>di</strong> semp<strong>li</strong>ficazione. In questo<br />
capolavoro assoluto il <strong>paesaggi</strong>o, sebbene riconoscibile, ha perso qualsiasi valore rappresentativo e<br />
si è <strong>di</strong>ssolto in zone <strong>di</strong> puro colore. Scansioni geometri<strong>che</strong> <strong>di</strong> forme – quelle del cielo e della col<strong>li</strong>na<br />
quasi speculari –, contrasti e modulazioni <strong>di</strong> toni sono ora <strong>di</strong>venuti i veri soggetti del <strong>di</strong>pinto.<br />
Tra i <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> questo fervido periodo, tutti <strong>di</strong> qua<strong>li</strong>tà altissima e <strong>di</strong> singolarità espressiva, merita<br />
una menzione particolare il Paesaggio, 1942, P. 1942/3, cat. 39, <strong>che</strong> Antonio Paolucci,<br />
acquisendolo per il polo museale fiorentino, ha definito “mozzafiato” 130 . Questa è la sola tela in cui<br />
Moran<strong>di</strong> ha voluto aggiungere la de<strong>di</strong>ca – all’amico e storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti –<br />
alla firma, permettendo <strong>che</strong> entrambe <strong>di</strong>venissero parte integrante della composizione pittorica.<br />
Nella sintesi stringata della rappresentazione e nell’intonazione solare <strong>che</strong> la sovraintende, l’opera è<br />
da vedersi come il <strong>più</strong> rispettoso omaggio ai <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Cézanne e, <strong>di</strong> pari passo, come il riflesso<br />
della costante ammirazione per Piero della Francesca. Parallelamente, l’accentuata bi<strong>di</strong>mensiona<strong>li</strong>tà<br />
della rappresentazione e un nuovo criterio <strong>di</strong> proporziona<strong>li</strong>tà ne attestano l’interpretazione moderna,<br />
così da ritenere <strong>che</strong> è stata un’opera come questa – esposta alla retrospettiva <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> al<br />
Metropo<strong>li</strong>tan Museum nel 2008 – a suggerire a Peter Schjeldahl <strong>di</strong> scrivere: “Go look at a Cézanne<br />
after seeing this show. It will seem old-fashioned” 131 .<br />
Ancora entro il 1942, una sequenza concitata <strong>di</strong> alberi sfibrati dal vento, quinta per una casa <strong>che</strong><br />
appena s’intravede (V. 392, cat. 40, V. 395, cat. 41), o la vegetazione vorticosa <strong>di</strong> un pen<strong>di</strong>o al cui<br />
apice è posto un lungo casolare <strong>che</strong> si uniforma con la tona<strong>li</strong>tà ambrata dei campi (V. 404, cat. 45),<br />
occupano la scena <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>pinti dal raro e accentuato formato orizzontale e <strong>di</strong>ventano l’occasione<br />
per un’espressività basata unicamente sul colore, <strong>che</strong> ci appare eroso e steso con pennellate rapide e<br />
riassuntive. Opere <strong>che</strong> testimoniano l’“importante accelerazione <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> imprime alla sua<br />
pittura in questo giro <strong>di</strong> anni” 132 , la cui espressività, e se ne può capire la ragione, aveva fatto<br />
spendere ad Arcange<strong>li</strong> il nome <strong>di</strong> Morlotti, accostandone g<strong>li</strong> esiti <strong>di</strong> opere risalenti a quei medesimi<br />
anni.<br />
Seguono i <strong>paesaggi</strong> selezionati per rappresentare il fecondo momento <strong>di</strong> attività nei lunghi mesi –<br />
dal giugno 1943 al settembre 1944 – in cui Moran<strong>di</strong>, costretto a sfollare dalla città a seguito dei<br />
bombardamenti, lavorò a Grizzana, dove vi giunse dopo avere risa<strong>li</strong>to “lento e nero l’erta<br />
bombardata [....], come una rampa <strong>di</strong> purgatorio” 133 . È un periodo <strong>di</strong> esi<strong>li</strong>o forzato e <strong>di</strong> doloroso<br />
<strong>di</strong>stacco dag<strong>li</strong> amici, ma an<strong>che</strong> <strong>di</strong> rifugio dal caos del mondo. Sono, infatti, da riferirsi all’estate del<br />
1943 i <strong>paesaggi</strong> V. 456, cat. 46, V. 462, cat. 48 (quest’ultimo dato dal Vita<strong>li</strong> come <strong>di</strong> ubicazione<br />
130 A. Paolucci, Arriva alla Galleria <strong>di</strong> Pitti un Moran<strong>di</strong> mozzafiato, in “La Repubb<strong>li</strong>ca-Firenze”, 3 febbraio 2006.<br />
131 P. Schjeldahl, Tables for one. Giorgio Moran<strong>di</strong>’s still-<strong>li</strong>fes, in “The New Yorker”, 22 settembre 2008, ora in M.C.<br />
Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> al Metropo<strong>li</strong>tan Museum of Art, in “Paragone”, 83, Gennaio 2009, p. 61.<br />
132 F. D’Amico, in Immagini. Arte ita<strong>li</strong>ana dal 1942 ai nostri giorni, catalogo della mostra (European Central Bank,<br />
Frankfurt am Main), a cura <strong>di</strong> F. D’Amico, Roma 2000, p. 28.<br />
133 R. Longhi, Giorgio Moran<strong>di</strong>, [1945], ora in Scritti sull’Otto e Novecento, cit. 1984, p. 94.<br />
23
Maria Cristina Bandera<br />
ignota, ma poi esposto a Milano nel 1990 134 ), <strong>di</strong>fferenti nella composizione e nel soggetto, ma<br />
entrambi caratterizzati dalla presenza <strong>di</strong> un cielo ampio e luminoso <strong>che</strong>, da “vero protagonista” 135 ,<br />
rischiara il <strong>paesaggi</strong>o col<strong>li</strong>nare <strong>di</strong>sseminato <strong>di</strong> piccole case e <strong>di</strong> alberel<strong>li</strong>, in<strong>di</strong>cati in modo allusivo<br />
da tocchi <strong>di</strong> colore. Paesaggi <strong>che</strong>, come quello <strong>di</strong> collezione Giovanar<strong>di</strong>, V. 461, cat. 47, appaiono<br />
ormai privi <strong>di</strong> una rete prospettica, destrutturati, rimanendo esclusivamente fe<strong>li</strong>ci occasioni <strong>di</strong> colori<br />
<strong>che</strong> trapassano l’uno nell’altro, ricchi e sfaldati, stesi con una pittura rapida, lontani da qualsiasi<br />
vincolo descrittivo. Sono <strong>paesaggi</strong> <strong>che</strong> per essere tra i <strong>più</strong> straor<strong>di</strong>nari brani <strong>di</strong> pittura del XX secolo<br />
suggeriscono <strong>di</strong> ricordare con quanta cura Moran<strong>di</strong> si app<strong>li</strong>casse a rintracciare i colori prima ancora<br />
<strong>di</strong> ‘lavorar<strong>li</strong>’ sulla tavolozza e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuir<strong>li</strong> sulla tela. S’è già detto <strong>di</strong> come da giovane ricercasse le<br />
terre e fosse so<strong>li</strong>to macinarle. In seguito si affidò ai colori Wibert, <strong>Le</strong>franc e a quel<strong>li</strong> inglesi Winsor<br />
and Newton. Quando neg<strong>li</strong> anni del secondo conf<strong>li</strong>tto bel<strong>li</strong>co g<strong>li</strong> vennero a mancare incaricò g<strong>li</strong><br />
amici Cesare Bran<strong>di</strong> e Luigi Magnani <strong>di</strong> procurarg<strong>li</strong>e<strong>li</strong> in occasione dei loro viaggi all’estero e<br />
<strong>di</strong>ede loro in<strong>di</strong>cazioni accurate. Al primo, nel settembre 1941, scrive: “La ringrazio tanto delle<br />
boccette <strong>di</strong> vernice. Mi saprà poi <strong><strong>di</strong>re</strong> quanto <strong>Le</strong> devo. Per ora non me ne occorre altra perchè da<br />
Milano me ne hanno già procurato della Wibert. Riguardo ai colori <strong>Le</strong>franc non mi occorre <strong>che</strong> il<br />
giallo <strong>di</strong> cromo scuro. Ma solo se si tratta <strong>di</strong> colori fini non da decorazione. Come pure mi<br />
occorrerebbe, ma sarà <strong>di</strong>ffici<strong>li</strong>ssimo, del Vert de Crome sempre <strong>di</strong> <strong>Le</strong>franc. / Nel caso trovasse<br />
questo colore, è bene fare attenzione <strong>che</strong> sotto l’in<strong>di</strong>cazione del colore vi è segnata la composizione<br />
chimica e cioè oxide de crome. <strong>Le</strong> <strong>di</strong>co questo perchè sotto lo stesso nome viene smerciato altro<br />
prodotto <strong>che</strong> non ha nulla a <strong>che</strong> fare con ciò <strong>che</strong> mi occorre” 136 . “Prestigiosi” an<strong>che</strong> i nomi dei colori<br />
<strong>di</strong> cui fornì l’elenco al musicologo, così come questi <strong>li</strong> riporta: “bianco d’argento, giallo brillante <strong>di</strong><br />
Napo<strong>li</strong>, terra <strong>di</strong> Siena, lacca <strong>di</strong> garanza, verde smeraldo, cobalto azzurro d’oltre mare, blu <strong>di</strong> Prussia<br />
ecc.” 137<br />
Ma i mesi della guerra sono an<strong>che</strong> quel<strong>li</strong> in cui il pittore si ritira nelle due stanze messe a sua<br />
<strong>di</strong>sposizione all’ultimo piano <strong>di</strong> Casa Veggetti al Campiaro dalle cui finestre poteva scrutare quel<br />
<strong>paesaggi</strong>o <strong>che</strong> avrebbe trasformato nelle sue tele. Da ciò è nato l’equivoco <strong>di</strong> un Moran<strong>di</strong> intento al<br />
lavoro sempre indagando la realtà attraverso la finestra, un frainten<strong>di</strong>mento a cui eg<strong>li</strong> contribuì in<br />
prima persona raccontando a Bran<strong>di</strong> 138 e a Magnani <strong>che</strong> aveva la consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> servirsi <strong>di</strong> un<br />
cannocchiale, così da avere sia la precisione ottica sia il trapasso delle lontananze. In particolare,<br />
abbiamo già ricordato l’aneddoto riguardante il Paesaggio, 1943, V. 464, cat. 49, folto <strong>di</strong><br />
vegetazione, denso <strong>di</strong> materia e dal cielo invisibile, <strong>di</strong> proprietà del musicologo, così come questi lo<br />
riporta. Ugualmente <strong>di</strong>pinto con l’ausi<strong>li</strong>o <strong>di</strong> un cannocchiale sembra essere, ancora nella stessa<br />
estate, il Paesaggio, V. 471, cat. 50, tanto il quadrato bianco del muro <strong>di</strong> una casa senza finestre<br />
incombe in primo piano, proiettato, in virtù <strong>di</strong> scansione geometrica <strong>che</strong> regola tutta l’opera, sulla<br />
superficie del <strong>di</strong>pinto anticipando le case, <strong>che</strong> ci appariranno spog<strong>li</strong> parallelepipe<strong>di</strong>, dei <strong>paesaggi</strong><br />
deg<strong>li</strong> ultimi anni.<br />
In realtà, grazie alla fondamentale appen<strong>di</strong>ce documentaria selezionata da Marilena Pasqua<strong>li</strong> nel<br />
catalogo della mostra I <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> neg<strong>li</strong> anni <strong>di</strong> guerra 1940-1944 da lei curata nel 1994,<br />
e <strong>di</strong>versamente da quanto riportato da tutti i suoi commentatori fino a quella data, Moran<strong>di</strong><br />
avvertiva l’urgenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere en plein air an<strong>che</strong> durante quei terribi<strong>li</strong> mesi in cui il cielo <strong>di</strong><br />
Grizzana era attraversato dalle raffi<strong>che</strong> della contraerea. Ne fanno fede le pressanti richieste a<br />
Francesco Arcange<strong>li</strong> affinché questi, in virtù dell’essere “funzionario della Soprintendenza”, possa<br />
“con <strong>più</strong> faci<strong>li</strong>tà” farg<strong>li</strong> ottenere il permesso per poter <strong>di</strong>pingere “all’aperto”, rilasciato dal<br />
Comando Regionale dell’Esercito Ita<strong>li</strong>ano. In questa corrispondenza si avverte l’intenso rammarico<br />
del pittore <strong>di</strong> un forzato <strong>di</strong>stacco dal lavoro – “Mi sec<strong>che</strong>rebbe assai <strong>di</strong> dover rimanere inattivo tutta<br />
134 Moran<strong>di</strong> e Milano cit. 1990, cat. n. 50 e p. 174.<br />
135 L. Vita<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong> pittore, cit. 1964, p. 37.<br />
136 <strong>Le</strong>ttera <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> a Bran<strong>di</strong>, datata 14 settembre 1941, in C. Bran<strong>di</strong>, Moran<strong>di</strong>, cit. 2008, pp. 245-246.<br />
137 L. Magnani, Il mio Moran<strong>di</strong>, cit. 1982, pp. 42-44.<br />
138 C. Bran<strong>di</strong>, Moran<strong>di</strong> merita un museo nel cuore <strong>di</strong> Bologna, in “Corriere della Sera”, 23 <strong>di</strong>cembre 1983, ora in<br />
Moran<strong>di</strong>, cit. 2008, p. 147: “Mi <strong>di</strong>sse una volta <strong>che</strong> andai a trovarlo lassù <strong>che</strong> <strong>di</strong>pingeva i suoi <strong>paesaggi</strong> col binocolo”.<br />
24
Maria Cristina Bandera<br />
la primavera e l’estate”, scrive il 26 marzo del 1944” –, soprattutto nel momento in cui “il<br />
<strong>paesaggi</strong>o sta <strong>di</strong>ventando molto bello”, come si ricava nella lettera inviata al giovane storico<br />
dell’arte il 4 aprile 139 . A permesso ottenuto, dovette, tuttavia, essere troppo pericoloso uscire con il<br />
proprio cavalletto. Lo si apprende dalla lettera, datata 13 giugno, in cui Moran<strong>di</strong> se ne rammarica<br />
con Raimon<strong>di</strong>: “[....] Io non posso <strong>di</strong>pingere all’aperto perchè ogni giorno e <strong>più</strong> volte al giorno<br />
spara la contraerea e piovono s<strong>che</strong>gge da ogni parte. È un vero para<strong>di</strong>so” 140 . Ciò trova conferma nel<br />
catalogo generale dei <strong>di</strong>pinti, redatto da Lamberto Vita<strong>li</strong>, in cui sono presenti solo tre <strong>paesaggi</strong> con<br />
la data 1944, due dei qua<strong>li</strong> sono ora presenti nella rassegna. Il primo, V. 481, cat. 51, è davvero uno<br />
dei vertici della sua pittura. Rappresenta un episo<strong>di</strong>o meteorologico realmente accaduto, la nevicata<br />
caduta sui pen<strong>di</strong>i dell’Appennino bolognese nel marzo 1944 ed è costruito con lo stesso tag<strong>li</strong>o in<br />
<strong>di</strong>agonale, sebbene speculare, del Paesaggio del 1911, V. 2, cat. 2, ma, ormai privo <strong>di</strong> luce, a noi<br />
sembra piuttosto uno s<strong>che</strong>letro <strong>di</strong> terra umida e cupa ricoperto da <strong>li</strong>vide striature ob<strong>li</strong>que, immerso<br />
in un’atmosfera plumbea. Un’opera <strong>che</strong> risulta piuttosto essere il riflesso dell’animo angosciato del<br />
pittore <strong>che</strong>, già nell’ottobre precedente, aveva scritto a Longhi: “Speriamo <strong>che</strong> a questi giorni bui ne<br />
seguano altri mig<strong>li</strong>ori. Io lavoro, ma creda, con queste angustie continue mi costa molta fatica.<br />
Desidero rivederLa [...] 141 .<br />
Infine, ricompaiono i toni cal<strong>di</strong>, la luce, i campi gial<strong>li</strong> <strong>di</strong> grano e g<strong>li</strong> alberi frondosi, ma resi con una<br />
pittura compen<strong>di</strong>aria, nel Paesaggio, V. 483, cat. 52, risalente all’estate del 1944. In esso, in una<br />
composizione bilanciatissima, all’interno <strong>di</strong> un telaio pressoché quadrato, Moran<strong>di</strong> inquadra una<br />
casa con un leggero sottinsù e con una visione ravvicinata, aumentandone così la visione<br />
architettonica, con moda<strong>li</strong>tà pariteti<strong>che</strong> a quelle <strong>di</strong> cui si serviva quando scrutava da vicino g<strong>li</strong><br />
oggetti delle sue nature morte, dopo averne me<strong>di</strong>tato a lungo i rapporti <strong>di</strong> spazi e interspazi. Inoltre,<br />
non è certo un caso <strong>che</strong>, nel rispetto dell’equi<strong>li</strong>brio compositivo e cromatico, il pittore abbia apposto<br />
la propria firma in basso al centro, sull’asse visivo della casa, con un colore chiaro. Il quadro vanta<br />
una storia importante. Fu, infatti, donato dall’artista alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna <strong>di</strong><br />
Roma nel 1946, dopo le pressanti richieste <strong>di</strong> Palma Bucarel<strong>li</strong>. Subito dopo la mostra curata da<br />
Longhi al Fiore <strong>di</strong> Firenze, apertasi nell’aprile 1945, la <strong><strong>di</strong>re</strong>ttrice del museo, anch’essa concorde<br />
circa la grandezza del pittore e desiderosa <strong>di</strong> ottenerne un quadro, spinta dalle ristrettezze<br />
economi<strong>che</strong> in cui versava il museo, si rivolge al pittore con una lettera assai <strong>di</strong>plomatica. Questa<br />
merita <strong>di</strong> essere riletta an<strong>che</strong> per intendere come la fama <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> si fosse contemporaneamente<br />
estesa an<strong>che</strong> a Roma: “C’è stata in questi giorni [aprile-maggio 1945] allo ‘Stu<strong>di</strong>o Palma’, <strong>di</strong> Bar<strong>di</strong>,<br />
una splen<strong>di</strong>da mostra <strong>di</strong> Sue opere, ma nessuno dei collezionisti espositori è <strong>di</strong>sposto a vendere<br />
nulla, e poi per la esigua borsa della Galleria sono prezzi troppo alti. Essendo perciò impossibile<br />
averle in altro modo, mi rivolgo a <strong>Le</strong>i perchè vog<strong>li</strong>a assicurare qual<strong>che</strong> Sua opera importante alla<br />
Galleria considerato il posto <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne ch’Ella occupa nell’arte nostrana”. Moran<strong>di</strong><br />
acconsentirà inviando due opere: una Natura morta (1946, V. 537) e, significativamente, an<strong>che</strong><br />
questo Paesaggio, imponendo una clausola <strong>che</strong> ne rispecchia la consueta ritrosia: “Desidero<br />
vivamente non venga reso noto <strong>che</strong> offro i <strong>di</strong>pinti alla Galleria” 142 .<br />
Dopo il rientro a Bologna all’inizio <strong>di</strong> settembre del 1944 il pittore non farà <strong>più</strong> ritorno a Grizzana<br />
fino all’estate del 1959, dopo avervi fatto costruire una propria casa. Limiterà le sue vacanze estive<br />
a brevi soggiorni a Merano e a <strong>Le</strong>vico e si <strong>di</strong>raderanno, d’ora in poi, i <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>. Per un<br />
139<br />
Arcange<strong>li</strong> a Moran<strong>di</strong> nella lettera datata 4 aprile 1944, in Giorgio Moran<strong>di</strong>. L’immagine dell’assenza, cit. 1994, p.<br />
49.<br />
140<br />
Raimon<strong>di</strong> a Moran<strong>di</strong> nella lettera datata 13 giugno 1944, in Giorgio Moran<strong>di</strong>. L’immagine dell’assenza, cit. 1994,<br />
pp. 54-55 Moran<strong>di</strong>.<br />
141<br />
Moran<strong>di</strong> a Longhi nella lettera datata 2 ottobre 1943 in M.C. Bandera, in Moran<strong>di</strong> e Firenze, cit. 2005, p. 21. Nel<br />
saggio in cui si fa luce sul rapporto <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> e Longhi vengono pubb<strong>li</strong>cate altre lettere della loro corrispondenza.<br />
142<br />
La corrisponenza tra Palma Bucarel<strong>li</strong> e Moran<strong>di</strong> viene riportata da M. Margozzi, Doni e depositi. La po<strong>li</strong>tica <strong>di</strong><br />
Palma Bucarel<strong>li</strong> per accrescere le collezioni della Galleria Nazionale d’arte moderna, in Palma Bucarel<strong>li</strong>. Il Museo<br />
come Avanguar<strong>di</strong>a, catalogo della mostra (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna) a cura <strong>di</strong> M. Margozzi, Milano<br />
2009, pp. 29-30.<br />
25
Maria Cristina Bandera<br />
lungo periodo il cortile <strong>di</strong> via Fondazza sarà per il pittore la sola occasione <strong>di</strong> pittura <strong>di</strong> questo<br />
‘genere’.<br />
La scelta espositiva <strong>di</strong> un Cortile <strong>di</strong> via Fondazza deg<strong>li</strong> anni quaranta è caduta su quello del 1947,<br />
V. 590, cat. 53, già selezionato per la grande Mostra del centenario del 1990. In questo caso, la<br />
visione è ancora <strong>più</strong> ravvicinata <strong>di</strong> quella <strong>che</strong> caratterizza i <strong>paesaggi</strong> precedenti e il quadro ci appare<br />
come una zooomata sulle case <strong>di</strong> fronte alla finestra della sua stanza <strong>che</strong>, in parte nascoste dalla<br />
barriera deg<strong>li</strong> alberi, sconfinano dalla tela con i loro volumi appiattiti, sia <strong>di</strong> lato <strong>che</strong> nella parte alta,<br />
così da lasciare un solo piccolo tassello per il cielo. An<strong>che</strong> la pittura appare abbreviata e quasi<br />
sfocata, ma segnata dai colpi <strong>di</strong> luce <strong>che</strong> cadono sulle cime delle piante e dalla luminosità aranciata<br />
e intensa della finestrella <strong>di</strong> destra. Seguono, per il decennio successivo, due ‘corti<strong>li</strong>’ del 1954, V.<br />
926, cat. 54, e V. 927, cat. 55, ‘varianti’ <strong>di</strong> uno stesso tema, assai simi<strong>li</strong> tra loro, costruiti entro telai<br />
quasi quadrati e ugua<strong>li</strong> solo all’apparenza, volutamente appaiati nell’esposizione. Per la ‘<strong>di</strong>scrasia’,<br />
a suo tempo sotto<strong>li</strong>neata da Ragghianti 143 , tra la muta, piatta parete rischiarata dalla luce <strong>che</strong> fa da<br />
quinta apparente sul lato sinistro e lo scenario <strong>più</strong> articolato e prospettico in un incastro <strong>di</strong> volumi<br />
dal color del mattone <strong>che</strong> si squaderna sul lato simmetrico, appaiono tra le opere <strong>più</strong> enigmati<strong>che</strong> <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong>. Ancora una volta sono l’inquadratura e la conseguente variata proporzione <strong>di</strong> cielo e le<br />
ombre <strong>più</strong> o meno accentuate <strong>che</strong> segnano la <strong>di</strong>fferenza tra i due <strong>di</strong>pinti. Quello appartenuto a Luigi<br />
Magnani (cat. 55), <strong>più</strong> contrastato nei colori, si <strong>di</strong>fferenzia an<strong>che</strong> per un segno <strong>che</strong> interrompe la<br />
nu<strong>di</strong>tà del muro. A questo proposito si sa <strong>che</strong>, al quesito posto dal futuro destinatario del quadro su<br />
<strong>che</strong> cosa fosse quella chiazza, Moran<strong>di</strong> rispose in modo <strong>di</strong>sarmante e forse an<strong>che</strong> provocatorio: “ma<br />
non vede <strong>che</strong> è la macchia d’umi<strong>di</strong>tà <strong>che</strong> sta qui sul muro” 144 . Ancora una volta il pittore aveva fatto<br />
cadere i “<strong>di</strong>aframmi”, cioè le “immagini convenziona<strong>li</strong>” <strong>che</strong> si ponevano tra lui e la realtà. Di fatto,<br />
abbiamo già scritto, in una lettura <strong>che</strong> ci aveva permesso <strong>di</strong> sotto<strong>li</strong>neare la conoscenza dell’arte<br />
dell’estremo oriente da parte <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, come piuttosto in entrambe le tele “quel muro sulla<br />
sinistra <strong>che</strong> spartisce in senso verticale il <strong>di</strong>pinto in due parti, sebbene non simmetri<strong>che</strong>, <strong>che</strong> per<br />
essere coincidente con la superficie, per estendersi fino ai bor<strong>di</strong> della tela e ancor <strong>più</strong> per<br />
l’intonazione avorio, perde ogni senso <strong>di</strong> concretezza e, lungi dal sembrare una quinta oltre la quale<br />
spicca lo scorcio prospettico delle case battute dalla luce e dalle fronde deg<strong>li</strong> alberi in primo piano,<br />
sembra suggerire una sensazione <strong>di</strong> vuoto e alludere a un’oasi <strong>di</strong> silenzio”. Parimenti la macchia del<br />
tempo sul muro viene a perdere ogni riferimento con la realtà e sembra piuttosto un “segno<br />
cal<strong>li</strong>grafico” 145 .<br />
An<strong>che</strong> il <strong>di</strong>pinto del 1956, V. 1019, cat. 56, rappresenta uno scorcio del Cortile <strong>di</strong> via Fondazza, un<br />
tema <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> affrontò in <strong>più</strong> occasioni nello stesso anno senza mai ripetersi. Di primo acchito<br />
vi troviamo un <strong>di</strong>fferente formato nettamente orizzontale, così da intendere come il pittore avesse<br />
sottoposto lo stesso <strong>paesaggi</strong>o a una inquadratura mutata. Come nelle tele precedenti il soggetto con<br />
il suo incastro <strong>di</strong> volumi e <strong>di</strong> quinte frondose – e si noti come la cima <strong>di</strong> un albero superi ora il tetto<br />
e si stag<strong>li</strong> contro il cielo – è riconoscibile e, come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, esso è indagato nelle prime ore<br />
meri<strong>di</strong>ane. Ma, nella costante ricerca <strong>di</strong> esiti sempre nuovi, è la pittura <strong>che</strong> nelle opere <strong>di</strong> questo<br />
ultimo decennio tende ad alleggerirsi, a <strong>di</strong>minuire fisicamente <strong>di</strong> spessore, a lasciare spazi in cui,<br />
soprattutto tra g<strong>li</strong> alberi, si intravedono sia la tela sia le tracce della matita <strong>che</strong> ne suggeriva la<br />
composizione. An<strong>che</strong> noi, come certamente deve avere fatto Moran<strong>di</strong> dall’affaccio della finestra<br />
alla ricerca <strong>di</strong> un tag<strong>li</strong>o prospettico non ripetitivo e dopo una introspezione prolungata, potremmo<br />
sostare a lungo a scrutare an<strong>che</strong> questa tela, in apparenza meno innovativa, e cog<strong>li</strong>ere la tona<strong>li</strong>tà<br />
azzurrognola <strong>che</strong> lo pervade e l’incanto <strong>di</strong> quella firma stesa, al centro in basso, con tona<strong>li</strong>tà<br />
<strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>, così da mimetizzarsi con le fronde deg<strong>li</strong> alberi.<br />
È notissimo, ma non poteva mancare, il Cortile <strong>di</strong> via Fondazza del 1958, V. 1116, cat. 57, un<br />
quadro <strong>che</strong> non ha corrispondenti. Prendendo a prestito le parole <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> riferite ai <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong><br />
143 C.L. Ragghianti, Moran<strong>di</strong> o l’architettura della visione, cit. 1982, p. 246.<br />
144 L. Magnani, Il mio Moran<strong>di</strong>, cit. 1982 p. 44.<br />
145 M.C. Bandera, Miscellanea per Moran<strong>di</strong>, cit. 2006 p. 53.<br />
26
Maria Cristina Bandera<br />
Monet, il <strong>di</strong>pinto raggiunge “un’intensità emotiva alla quale reagiamo all’istante” 146 . Ci appare<br />
misterioso nella tensione tra l’apparente rea<strong>li</strong>smo delle antenne fi<strong>li</strong>formi della televisione e la sintesi<br />
astraente dei volumi e dei tetti delle case, abbag<strong>li</strong>ante e quasi irreale nei colori solo in apparenza<br />
verosimi<strong>li</strong>, il blu acceso del cielo, le facciate rosate con le finestre impenetrabi<strong>li</strong> profilate <strong>di</strong> bianco,<br />
le fiancate rabbuiate dall’ombra, il colpo <strong>di</strong> luce sull’antenna “<strong>che</strong> s’è incorporata al cielo come la<br />
polvere delle sue bottig<strong>li</strong>e” 147 , la “‘scia’ del reattore’, sdoppiata come una nebulosa” 148 . Ce ne parla,<br />
indubbiamente coinvolto, Francesco Arcange<strong>li</strong> cui la tela fu mostrata ancora fresca: “Ricordo <strong>che</strong><br />
un giorno [...] in un quadro il cielo si caricò d’un teso cobalto, le case parvero improvvisamente<br />
presenti a qual<strong>che</strong> evento estremo, e in alto era, lunga uguale incombente, la scia d’un reattore. Il<br />
<strong>di</strong>pinto, rea<strong>li</strong>zzato con una violenza trattenuta ma evidente e magra e forte, colmo d’una luce<br />
allucinata, uscì quasi sùbito dalle preferenze <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Eppure, quel giorno, Moran<strong>di</strong> ne era<br />
colpito quanto e <strong>di</strong>versamente s’intende, ne ero colpito io. ‘C’è qual<strong>che</strong> cosa <strong>di</strong> sinistro’, non poté<br />
fare a meno d’affermare” 149 .<br />
Nel 1959 la veduta del cortile <strong>di</strong> via Fondazza viene alterata dalla costruzione <strong>di</strong> un muro. Moran<strong>di</strong><br />
ne racconterà il trauma al prefetto <strong>di</strong> Bologna <strong>che</strong> era andato ad omaggiarlo dopo <strong>che</strong> aveva<br />
ricevuto il Rubenspreis nel 1962: “Una volta la finestra del mio stu<strong>di</strong>o si affacciava oltre la breve<br />
striscia del giar<strong>di</strong>no, su una <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> orti <strong>che</strong> formavano, nella buona stagione, una vasta oasi <strong>di</strong><br />
verde. Nel tardo autunno e in inverno, attraverso i rami spog<strong>li</strong> la vista arrivava fino alle case sul lato<br />
opposto <strong>che</strong>, così lontane, sembravano quasi un’altra città. Ricordo <strong>che</strong> quando non ero a Grizzana<br />
e avevo vog<strong>li</strong>a <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere un <strong>paesaggi</strong>o, non facevo <strong>che</strong> affacciarmi alla finestra e guardare. Ma<br />
anni fa i terreni furono venduti e ora i muri <strong>di</strong> nuove orribi<strong>li</strong> costruzioni si elevano a poco <strong>più</strong> <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>eci metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla finestra. Fu una trage<strong>di</strong>a. Pensai <strong>di</strong> cambiare casa e <strong>di</strong> ritirarmi per<br />
sempre a Grizzana. Oltre a cancellarmi il <strong>paesaggi</strong>o, quella casa mi avrebbe alterato la luce dello<br />
stu<strong>di</strong>o. Sa, Signor Prefetto, hanno avuto la gentile attenzione <strong>di</strong> chiedermi <strong>di</strong> <strong>che</strong> colore desideravo<br />
<strong>che</strong> fosse la parete della casa <strong>che</strong> sorgeva davanti alla mia finestra. Una squisitezza non le pare?<br />
L’hanno <strong>di</strong>pinta <strong>di</strong> bianco per non privarmi della luce” 150 .<br />
Contemporaneamente, nel 1959, soggiornandovi in estate <strong>insieme</strong> alla sorella alla Pensione Ita<strong>li</strong>a<br />
per poterne seguire i lavori, Moran<strong>di</strong> fece costruire una casa a Grizzana, dalla forma <strong>di</strong> un semp<strong>li</strong>ce<br />
cubo, posta <strong>di</strong> fronte a Villa Veggetti e ai fieni<strong>li</strong> del Campiaro <strong>che</strong>, dall’anno successivo, sarebbero<br />
nuovamente <strong>di</strong>venute l’occasione della sua pittura <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o. Sono opere <strong>che</strong>, come le nature<br />
morte, testimoniano l’ultima, fe<strong>li</strong>cissima fase della sua arte, davvero senza precedenti: ora i volumi<br />
<strong>di</strong> casa Veggetti campeggiano nello spazio del <strong>di</strong>pinto e si fanno <strong>più</strong> incombenti, osservati talora <strong>di</strong><br />
spigolo, com’è evidente nei <strong>paesaggi</strong> del 1960, V. 1210, cat. 58, e del 1961, V. 1251, cat. 59.<br />
Sottoposti a una inquadratura ravvicinata, tendono ad espandersi in una estrema semp<strong>li</strong>ficazione<br />
compositiva, <strong>che</strong> tuttavia non abbandona i tag<strong>li</strong> <strong>di</strong>agona<strong>li</strong> – orizzonta<strong>li</strong> come nel primo caso o<br />
vertica<strong>li</strong> come nel secondo – <strong>che</strong> hanno caratterizzato buona parte della pittura <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o <strong>di</strong><br />
Moran<strong>di</strong>. An<strong>che</strong> la vegetazione perde una precisa definizione, quinta labile e sgranata nel<br />
Paesaggio del 1960, occasione <strong>di</strong> simmetrici contrasti <strong>di</strong> chiari e <strong>di</strong> scuri, <strong>di</strong> zone <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong><br />
ombra, in quello del 1961. Di pari passo la materia si fa scarna, leggera, smagrita a colpi <strong>di</strong> spatola<br />
e la tavolozza appena vibrata, <strong>li</strong>mitata a pochi colori.<br />
Nella ricerca senza sosta <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> “c’è ancora il tempo [...] per un’altra stagione del <strong>paesaggi</strong>o:<br />
complessa, ar<strong>di</strong>ta” 151 . Dipingerà ancora qual<strong>che</strong> ‘cortile <strong>di</strong> via Fondazza’ come quello, 1962, V.<br />
1296, in cui l’inquadratura ravvicinata isola una casa con una piccola rampa <strong>che</strong> scende verso il<br />
146 Moran<strong>di</strong> a Ro<strong>di</strong>ti, in E. Ro<strong>di</strong>ti, Giorgio Moran<strong>di</strong>, [1960] ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 359.<br />
147 C. Bran<strong>di</strong>, Appunti per un ritratto <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in “Palatina”, IV, gennaio-marzo 1960, ora in Moran<strong>di</strong>, cit. 2008, p.<br />
87.<br />
148 Cosi A. Trombadori, riportato nella s<strong>che</strong>da del <strong>di</strong>pinto redatta da M. Pasqua<strong>li</strong>, in Museo Moran<strong>di</strong>. Catalogo<br />
generale, Cinisello Balsamo, 2004, p. 212.<br />
149 F. Arcange<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1964, p. 323.<br />
150 Ricordato da E. Tavoni, in Moran<strong>di</strong>, amico mio. Appunti e memorie <strong>di</strong> Efrem Tavoni raccolti da G. Ruggeri, Milano<br />
1995, p. 44.<br />
151 F. D’Amico, Moran<strong>di</strong>, Milano 2004, p. 28.<br />
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Maria Cristina Bandera<br />
selciato abbacinato dal sole e un albero dalla chioma folta, ma reso con una pittura veloce.<br />
Appartenne a Valerio Zur<strong>li</strong>ni, uno dei registi – a partire dag<strong>li</strong> ita<strong>li</strong>ani Fel<strong>li</strong>ni e Antonioni <strong>che</strong> ne<br />
inserirono un’opera nel set della Dolce Vita e de La Notte sino all’americano Sidney Pollack <strong>che</strong> ha<br />
messo a confronto una sua Natura morta con un’architettura <strong>di</strong> Frank Gery – <strong>che</strong> amarono il<br />
maestro e ne intesero la pittura 152 , o come eg<strong>li</strong> stesso ricorda, il “professore” 153 , come preferiva<br />
essere chiamato.<br />
In questi ultimissimi anni Moran<strong>di</strong> tornerà soprattutto sui ‘motivi’ <strong>di</strong> Grizzana. <strong>Le</strong> case del<br />
Campiaro, viste <strong>di</strong> fronte nei due <strong>di</strong>pinti del 1962, V. 1287, cat. 60 e V. 1289, cat. 61, saranno<br />
sottoposte, unitamente alla col<strong>li</strong>na, ai campi e ag<strong>li</strong> alberi <strong>che</strong> abbiamo imparato a conoscere, a<br />
zoomate estreme <strong>che</strong> ne captano i motivi da varie <strong>di</strong>stanze e ne appiattiscono le forme fino a farle<br />
<strong>di</strong>venire coincidenti con la superficie della tela, così da notare una vera deformazione del reale,<br />
ormai <strong>di</strong>stinguibile a stento. Assistiamo a una sintesi della rappresentazione, <strong>di</strong>pinta in maniera<br />
<strong><strong>di</strong>re</strong>tta e audace con minime variazioni tona<strong>li</strong> e con una cromia sempre <strong>più</strong> attenuata: i ver<strong>di</strong> spenti<br />
nel giallo, i marroni leggeri, i colpi <strong>di</strong> luce trattenuti. Entrambe le vedute sono compresse entro un<br />
astraente telaio perfettamente quadrato, ma la composizione, regolata da scansioni geometrizzanti,<br />
rimane ca<strong>li</strong>bratissima, an<strong>che</strong> se bisogna aguzzare lo sguardo per accorgersi <strong>di</strong> come il cielo e la,<br />
ormai nota, strada bianca, unificati nel colore smorzato, siano ridotti a due minusco<strong>li</strong> spicchi<br />
simmetrici, nei due ango<strong>li</strong> opposti e speculari nella prima tela, sullo stesso lato <strong>di</strong> destra nella<br />
seconda.<br />
Con il piccolo Paesaggio dello stesso anno, V. 1290, cat. 62, siamo ormai <strong>di</strong> fronte a una pittura <strong>che</strong><br />
ha superato l’oggettività della rappresentazione. La natura e le case appaiono ora proiettate sulla<br />
superficie, ricomposte in forme piane e geometri<strong>che</strong>, sebbene dai contorni incerti, contrassegnate da<br />
cromia inso<strong>li</strong>ta e intensa, quasi azzardata, vibrante per i bianchi intensi delle facciate <strong>che</strong> <strong>di</strong>ventano<br />
pura occasione <strong>di</strong> luce <strong>che</strong> attraggono il nostro sguardo all’interno del quadro. Prima <strong>che</strong> fosse<br />
destinato dalle sue sorelle al museo a lui intitolato, dovettero essere state le spiccate novità del<br />
<strong>di</strong>pinto a suggerire a Moran<strong>di</strong> <strong>di</strong> tenerlo per sé.<br />
Il processo <strong>di</strong> smateria<strong>li</strong>zzazione della realtà nella luce è ancora <strong>più</strong> evidente nel Paesaggio V.<br />
1294, cat. 64, risalente all’ultima estate trascorsa da Moran<strong>di</strong> a Grizzana, quella del 1963. Qui<br />
l’immagine, benché non sia venuto meno un senso <strong>di</strong> raziona<strong>li</strong>tà strutturale, è ormai sottoposta a<br />
una ulteriore reductio della forma e trasferita sulla tela con un registro <strong>di</strong> toni sempre <strong>più</strong> ristretti.<br />
Per lo smag<strong>li</strong>arsi della composizione e il segno vibrato, ma abbreviato, essa appare sfuocata, quasi<br />
sottoposta ad un effetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssolvenza.<br />
Dall’esame <strong>di</strong> queste ultime opere appare evidente come, a partire dag<strong>li</strong> anni sessanta, le vedute<br />
fossero scelte e organizzate nello stesso modo con cui erano ‘composte’ le nature morte, e le forme<br />
e i colori fossero g<strong>li</strong> stessi per entrambi i generi <strong>di</strong> pittura. Solo l’aggressivo lavoro <strong>di</strong> pennello e <strong>di</strong><br />
spatola dei <strong>paesaggi</strong>, usato da Moran<strong>di</strong> per evocare la forma organica, <strong>di</strong>stingue questi dalle nature<br />
morte. Entrambi danno vita, incarnano e rea<strong>li</strong>zzano le parole dell’assunto per cui è <strong>di</strong>ventato<br />
famoso: “Non vi è nulla <strong>di</strong> <strong>più</strong> astratto del reale”.<br />
Per questo, per chiudere il percorso espositivo, abbiamo voluto accostare due opere dei due <strong>di</strong>versi<br />
generi: un Paesaggio del 1962, V. 1292, cat. 63 e una Natura morta del 1963, V. 1300, cat. 65,<br />
quest’ultima appartenuta a Carlo Volpe, storico dell’arte <strong>di</strong> spicco e al<strong>li</strong>evo <strong>di</strong> Longhi. In entrambe<br />
le tele il piccolo formato non impe<strong>di</strong>sce ai volumi <strong>di</strong> dominare la scena. <strong>Le</strong> case del Campiaro della<br />
prima, nella loro struttura ridotta all’essenzia<strong>li</strong>tà, sono ormai apparentate alle bottig<strong>li</strong>e persiane<br />
della seconda. <strong>Le</strong> case <strong>di</strong> pietra, muri senza porta e finestre, così come le bottig<strong>li</strong>e, cui la visione<br />
ravvicinata ha troncato il collo, hanno perso un preciso riferimento con la realtà e sembrano<br />
piuttosto i picco<strong>li</strong> parallelepipe<strong>di</strong> <strong>di</strong> cartone <strong>che</strong> troviamo costruiti da Moran<strong>di</strong> nel suo stu<strong>di</strong>o. La<br />
col<strong>li</strong>na ob<strong>li</strong>qua del <strong>paesaggi</strong>o e la striscia piatta e orizzontale del piano <strong>di</strong> posa della natura morta,<br />
sebbene una delle due bottig<strong>li</strong>e sia posta in <strong>di</strong>agonale, rinunciano ad assolvere a qualsiasi funzione<br />
152 M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> Today, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964 cit. 2008, pp. 34-35. Va ricordato <strong>che</strong> an<strong>che</strong><br />
Vittorio De Sica e Carlo Ponti, oltre a Valerio Zur<strong>li</strong>ni e a Mi<strong>che</strong>langelo Antonioni ne collezionarono le opere (ibidem).<br />
153 V. Zur<strong>li</strong>ni, Pagine <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ario veneziano. G<strong>li</strong> anni delle immagini perdute, Fidenza 2009, p. 194.<br />
28
Maria Cristina Bandera<br />
prospettica e altro non sono <strong>che</strong> spazi vuoti e so<strong>li</strong>tari. Una semp<strong>li</strong>ficazione estrema del comporre<br />
cui corrisponde una essenziale spo<strong>li</strong>azione del colore, steso con pennellate rapide e sommarie,<br />
<strong>li</strong>mitato alle ocre e ai bianchi gessosi riscaldati da un viola appena filtrato.<br />
Si assiste a un rapporto intellettua<strong>li</strong>stico <strong>di</strong> pieni e <strong>di</strong> vuoti <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> porterà alle estreme<br />
conseguenze soprattutto neg<strong>li</strong> acquerel<strong>li</strong> <strong>che</strong> rappresentano uno deg<strong>li</strong> aspetti <strong>più</strong> sperimenta<strong>li</strong> della<br />
sua arte. In particolare, il rapporto si fa enigmatico ed emotivo in quel<strong>li</strong> deg<strong>li</strong> ultimi anni, an<strong>che</strong> in<br />
quel<strong>li</strong> <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o. In essi, in una progressiva <strong>di</strong>ssoluzione e in una veduta sempre <strong>più</strong> scorporata<br />
(cat. 66-71), il chiarore della carta <strong>di</strong>viene luce e si alterna a campiture <strong>li</strong>quide <strong>di</strong> colore, abbreviate<br />
in una assoluta riduzione della forma e ormai lontane da qualsiasi rappresentazione oggettiva,<br />
com’è evidentissimo nel fog<strong>li</strong>o (cat. 70), davvero bel<strong>li</strong>ssimo, appartenuto a Carlo Volpe, detentore<br />
raffinato <strong>di</strong> queste ‘ultime’ opere del pittore.<br />
Sin qui, commentandone le opere scelte per la rassegna, abbiamo voluto spiegare il motivo <strong>di</strong><br />
questa mostra <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>. Ma è Moran<strong>di</strong> in prima persona a fornire la risposta definitiva al quesito<br />
posto in apertura <strong>di</strong> saggio. La ricaviamo da una <strong>di</strong>chiarazione, stringata ma eloquente, rilasciata<br />
dall’amico Efrem Tavoni. Un’attestazione <strong>che</strong> lascia trasparire l’attenzione amorosa per i <strong>paesaggi</strong><br />
da lui in<strong>di</strong>viduati con una ricerca meticolosa e <strong>di</strong>pinti dopo avere stabi<strong>li</strong>to l’inquadratura <strong>più</strong><br />
opportuna e soprattutto dopo introspezioni prolungate: “È vero, ho fatto <strong>più</strong> nature morte <strong>che</strong><br />
<strong>paesaggi</strong> – e <strong><strong>di</strong>re</strong> <strong>che</strong> i <strong>paesaggi</strong> <strong>li</strong> <strong>amavo</strong> <strong>di</strong> <strong>più</strong>. Ma bisognava viaggiare e soffermarsi in un posto o<br />
nell’altro e ritornarvi per completare il lavoro. Percorrevo a pie<strong>di</strong> la valle del Savena sostando<br />
sull’una o l’altra sponda del fiume; oppure d’estate mi recavo a Roffeno o a Grizzana” 154 .<br />
Ora, in virtù dell’amore portato dal pittore per questo tema e con l’augurio <strong>che</strong> l’attenzione sui<br />
<strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> non si spenga, vi sono risposte <strong>più</strong> <strong>di</strong>ffici<strong>li</strong> <strong>che</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi deve dare dopo<br />
essersi posto <strong>di</strong> fronte a ogni singolo <strong>paesaggi</strong>o esposto e dopo aver<strong>li</strong> visti tutti <strong>insieme</strong> in una lunga<br />
sequenza – come uno scorrere appassionato e coinvolgente <strong>di</strong> tanti fotogrammi <strong>di</strong> sempre nuove<br />
me<strong>di</strong>tazioni <strong>di</strong> un unico film – nello snodarsi del percorso apprestato nelle sale della rassegna <strong>che</strong><br />
riflette quello intellettuale dell’artista.<br />
Abbandonata l’esegesi critica, utile e in<strong>di</strong>spensabile viatico <strong>di</strong> approccio, e <strong>di</strong>svelata la sua pittura<br />
dal bagag<strong>li</strong>o – ma Calvino avrebbe detto dalla “crosta” – delle parole, Giorgio Moran<strong>di</strong> si rivolge a<br />
noi, ci parla e ci interroga. È lui <strong>che</strong> ci pone delle domande.<br />
Abbiamo ‘aperto la nostra finestra’ sui suoi ‘paesi’? Abbiamo saputo <strong>di</strong>alogare con essi? Li<br />
abbiamo scrutati con attenzione interrogativa? Abbiamo compiuto quell’intimo esercizio, auspicato<br />
da Peter Schjeldahl 155 davanti ai suoi <strong>di</strong>pinti esposti due anni fa al Metropo<strong>li</strong>an Museum, <strong>di</strong> leggere<br />
an<strong>che</strong> questi <strong>paesaggi</strong> con l’occhio, la mente e l’animo? Siamo stati in grado <strong>di</strong> percepirne la magia<br />
silenziosa e <strong>di</strong> cog<strong>li</strong>erne l’universa<strong>li</strong>tà? Abbiamo inteso lo sviluppo <strong>di</strong> questo tema della sua arte da<br />
un avvio ‘stu<strong>di</strong>ato’ e poi proseguito con luci<strong>di</strong>tà percorrendo “una traiettoria ben tesa, una lunga<br />
strada” 156 <strong>che</strong> lo ha condotto a un esito sempre <strong>più</strong> personale e davvero senza confronti? Davanti<br />
alle sue tele, prendendo a prestito le parole <strong>di</strong> Mario Luzi, ci siamo resi pienamente conto della<br />
“luce <strong>che</strong> entra nella materia, ma <strong>più</strong> ancora fonda, statuisce, chiama in causa l’anima, la mente, il<br />
mondo” 157 ? Abbiamo percepito la vibrazione dei colori e l’insuperabile accordo dei toni con cui non<br />
descrive, ma evoca, con cui, insomma, trasfigura il silente Appennino bolognese o lo spazio<br />
circoscritto del placido cortile <strong>di</strong> via Fondazza? Abbiamo saputo cog<strong>li</strong>ere la sottile alchimia della<br />
sua pittura <strong>che</strong> ha fatto scrivere dal recensore del New Yorker <strong>che</strong> eg<strong>li</strong> “is a painter’s painter” 158 ?<br />
Siamo stati colpiti dal senso <strong>di</strong> mistero <strong>che</strong> pervade le sue opere, quello stesso <strong>che</strong> ha catturato uno<br />
154<br />
E. Tavoni, in Moran<strong>di</strong>, amico mio, cit. 1995, p. 26.<br />
155<br />
P. Schjeldahl, Tables for one [2008], ora in M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> al Metropo<strong>li</strong>tan cit. 2009, p. 59: “In my<br />
ideal world, the home of everyone who loves art would come equipped with a painting by Giorgio Moran<strong>di</strong>, as a<br />
gymnasium for daily exercise of the eye, mind, and soul”.<br />
156<br />
R. Longhi, Exit Moran<strong>di</strong>, in “L’Approdo <strong>Le</strong>tterario”, X, 26, aprile-giugno 1964, pp. 3-4, ora in R. Longhi, Scritti<br />
sull’Otto e Novecento, cit. 1984, pp. 215.<br />
157<br />
M. Luzi, La iniziazione a Moran<strong>di</strong>, cit. 1996, p. 19.<br />
158<br />
P. Schjeldahl, Tables for one [2008], ora in M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> al Metropo<strong>li</strong>tan cit. 2009, p. 62.<br />
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Maria Cristina Bandera<br />
scrittore come Don DeLillo <strong>che</strong> davanti alle sue nature morte ha scritto: “Erano gruppi <strong>di</strong> bottig<strong>li</strong>e,<br />
broc<strong>che</strong>, scatole <strong>di</strong> metallo per biscotti, nient’altro, ma c’era qualcosa nelle pennellate, o nei bor<strong>di</strong><br />
irregolari <strong>di</strong> vasi e baratto<strong>li</strong>, <strong>che</strong> sembrava contenere un mistero a cui non sapeva dare un nome, una<br />
sorta <strong>di</strong> introspezione, umana e oscura, <strong>di</strong>stante dalla luce stessa e dai colori del <strong>di</strong>pinto” 159 . È la<br />
stessa cifra segreta <strong>che</strong> possiamo captare nei <strong>paesaggi</strong>.<br />
Ci siamo accorti <strong>di</strong> queg<strong>li</strong> esi<strong>li</strong> e tremolanti bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> tela bianca <strong>che</strong> costellano il quadro, così da non<br />
bloccare la superficie <strong>di</strong>pinta, ma <strong>che</strong> piuttosto suscitano una sensazione <strong>di</strong> poetica e apparente<br />
precarietà, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> qualsiasi fotografia forzatamente riquadrata? Abbiamo compreso come<br />
Moran<strong>di</strong> sia non l’ultimo rappresentante della pittura figurativa, ma il poeta della sua crisi, capace<br />
<strong>di</strong> viverne e interpretarne il logoramento, ma an<strong>che</strong> <strong>di</strong> trovare soluzioni alternative? E soprattutto,<br />
per intendere questi ‘paesi’, siamo stati capaci <strong>di</strong> avvertire quel fondamentale processo <strong>di</strong><br />
interiorizzazione e <strong>di</strong> scavo, <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> riduzione della forma e <strong>di</strong> essenzia<strong>li</strong>tà <strong>che</strong> eg<strong>li</strong> seppe<br />
compiere davanti alla realtà visibile, così da fare dei suoi <strong>paesaggi</strong> una pittura forse non già in<br />
sintonia con i propri tempi, ma piuttosto una espressione artistica <strong>che</strong>, per quella sua lacerazione tra<br />
l’essere e l’apparenza, riflette l’inquietu<strong>di</strong>ne moderna? Abbiamo avvertito come questa sua pittura,<br />
enigmatica e talora sfuggente, sia anticipatrice e precorritrice della sensibi<strong>li</strong>tà dei nostri giorni, in<br />
grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare con l’oggi, così da essere <strong>più</strong> <strong>che</strong> mai attuale e universale? Insomma, ne abbiamo<br />
saputo cog<strong>li</strong>ere l’essenza?<br />
159 Don DeLillo, L’uomo <strong>che</strong> cade [Fal<strong>li</strong>ng Man, 2007], Torino, 2008, p. 14.<br />
Maria Cristina Bandera<br />
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