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1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras

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Maria Cristina Bandera<br />

visto, è un motivo presente nel Paesaggio, 1925, V. 112, cat. 11, del bolognese. In questa <strong><strong>di</strong>re</strong>zione,<br />

l’albero dal lungo tronco senza rami, ma dalla cima frondosa, posto in posizione quasi centra<strong>li</strong>zzata<br />

e arretrato rispetto alla superficie della tela e <strong>che</strong> assolve a una funzione <strong>di</strong> elemento verticale,<br />

ricorda quello del Mont Sainte-Victoire and the Viaduct of the Arc River Valley, 1882-1885, (New<br />

York, Metropo<strong>li</strong>tan Museum of Art) del francese. Tuttavia il colore steso a gran<strong>di</strong> tessere, an<strong>che</strong> se<br />

solo abbozzato, e soprattutto la rappresentazione meno natura<strong>li</strong>stica e <strong>più</strong> bi<strong>di</strong>mensionale dello<br />

spazio fanno intendere la modernità dell’interpretazione <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>. Data l’importanza, ci verrebbe<br />

la tentazione <strong>di</strong> pensare <strong>che</strong> sia questo il <strong>di</strong>pinto a cui fa riferimento Piero Bargel<strong>li</strong>ni<br />

accompagnando l’intervista a Moran<strong>di</strong> apparsa nel 1937 su “Frontespizio”, <strong>che</strong> abbiamo già<br />

ricordato: “Sul cavalletto c’è un <strong>paesaggi</strong>o. È cominciato da due anni. Superfici quasi piane <strong>di</strong> rari<br />

colori. Una ricerca severissima <strong>di</strong> un’armonia pittorica <strong>che</strong> ha veramente del sub<strong>li</strong>me” 119 . Queste<br />

parole fanno da commento a quelle assai laconi<strong>che</strong> espresse dal pittore circa le proprie notizie<br />

biografi<strong>che</strong>. Incalzato dall’intervistatore si <strong>li</strong>mitò ad aggiungere: “prima <strong>di</strong> morire vorrei condurre a<br />

fine due quadri. Quello <strong>che</strong> importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose”. Naturalmente non<br />

siamo certi <strong>che</strong> questo sia uno dei due quadri, ma non vi è dubbio <strong>che</strong> l’intento <strong>che</strong> l’artista si era<br />

prefisso, in<strong>di</strong>pendente dall’opera cui fa riferimento, rappresenta per noi una imprescin<strong>di</strong>bile chiave<br />

<strong>di</strong> lettura della sua arte.<br />

Apre la serie dei <strong>paesaggi</strong> deg<strong>li</strong> anni quaranta, per i qua<strong>li</strong> Longhi spese le proprie autorevo<strong>li</strong> parole<br />

<strong>che</strong> ne acclarano l’importanza, una teletta, V. 277, cat. 29, da subito destinata allo storico dell’arte.<br />

Rappresenta una col<strong>li</strong>na ridotta ai suoi elementi essenzia<strong>li</strong>, costruita con un sovrapporsi <strong>di</strong> fasce<br />

orizzonta<strong>li</strong> entro una tavolozza sobria, resa immobile da una luce ferma e zenitale <strong>che</strong> non produce<br />

ombre. Per la “sintesi prospettica <strong>di</strong> forma-colore” e per l’inso<strong>li</strong>ta porzione <strong>di</strong> tela grezza <strong>che</strong> ne<br />

de<strong>li</strong>mita i bor<strong>di</strong> abbiamo notato, in precedenti occasioni 120 , il collegamento <strong>di</strong> questo Paesaggio con<br />

l’illustrazione del “Particolare del Paese” del Battesimo <strong>di</strong> Cristo pre<strong>di</strong>sposto da Longhi alla tavola<br />

IX della sua monografia su Piero della Francesca. Un accostamento <strong>che</strong> motiva, pour cause, la<br />

destinazione del <strong>di</strong>pinto.<br />

I due <strong>paesaggi</strong> del 1940, V. 279, cat. 30 e V. 280, cat. 31, <strong>che</strong> abbiamo la possibi<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> vedere<br />

accostati, noti an<strong>che</strong> in altre varianti, s’impongono per alcune indubbie considerazioni <strong>di</strong> carattere<br />

sti<strong>li</strong>stico. A un primo colpo d’occhio colpisce l’analogia del ‘motivo’, pur nella leggera <strong>di</strong>versità del<br />

sottinsù. Soprattutto, a ben guardare, si nota come nel secondo, appartenuto a Cesare Gnu<strong>di</strong>,<br />

l’inquadratura sia <strong>più</strong> ravvicinata. Ma ciò <strong>che</strong> <strong>li</strong> <strong>di</strong>versifica è soprattutto l’elaborazione pittorica.<br />

Quello <strong>di</strong> collezione privata si caratterizza, oltre <strong>che</strong> per la solarità, per una costruzione a stesure <strong>di</strong><br />

colore <strong>più</strong> omogenee e geometrizzanti, giocate su incastri <strong>di</strong> terre e <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>, mentre quello donato al<br />

Museo Moran<strong>di</strong> dallo storico dell’arte bolognese è sottoposto a una pittura <strong>più</strong> frammentaria e<br />

inquieta resa in una sinfonia <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>. Per una <strong>più</strong> accentuata sperimenta<strong>li</strong>tà è da credere <strong>che</strong> sia<br />

stato quest’ultimo quello visto e guardato con interesse da Ardengo Soffici tanto da chiederne “una<br />

rep<strong>li</strong>ca”. Su <strong>di</strong> esso si apre un <strong>di</strong>alogo per corrispondenza tra i due pittori <strong>che</strong> suggerisce a noi<br />

posteri, talora desiderosi <strong>di</strong> volere sciog<strong>li</strong>ere ogni nodo riguardante il modus operan<strong>di</strong> del<br />

bolognese, <strong>di</strong> rispettare il ‘mistero’ <strong>che</strong> riguarda le sue <strong>di</strong>verse moda<strong>li</strong>tà <strong>di</strong> approccio alla realtà<br />

visibile, piuttosto <strong>che</strong> <strong>di</strong> volere approdare a certezze. D’altronde non è sufficiente basarsi sulla<br />

necessità <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> <strong>di</strong> lavorare ‘sul motivo’, così da pensarlo unicamente con il cavalletto posto<br />

all’aperto. S’è già visto, infatti, <strong>che</strong> è necessario tenere conto del rapporto <strong>di</strong> complementarietà,<br />

an<strong>che</strong> se non sempre <strong>di</strong> contiguità cronologica, tra i <strong>di</strong>pinti e le incisioni. Quest’ultime, infatti, “a<br />

volte <strong>li</strong> precedono nell’invenzione <strong>di</strong> temi compositivi, a volte invece ritornano su opere<br />

cronologicamente ormai lontane” 121 . Inoltre, non va <strong>di</strong>menticato <strong>che</strong> in alcuni casi i ‘motivi’ sono<br />

119 P. Bargel<strong>li</strong>ni, Artisti ita<strong>li</strong>ani: Giorgio Moran<strong>di</strong> [1937], in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 348.<br />

120 Inizialmente M.C. Bandera, in La Collezione <strong>di</strong> Roberto Longhi dal Duecento a Caravaggio a Moran<strong>di</strong>, catalogo<br />

della mostra (Alba, Fondazione Ferrero), a cura <strong>di</strong> M. Gregori e G. Romano, Savig<strong>li</strong>ano, 2007, pp. 194-195 e da ultimo,<br />

Ead., in Memorie dell’Antico, cit. 2009, p. 176.<br />

121 G. Romano, Moran<strong>di</strong> incisore, in Moran<strong>di</strong>. L’arte dell’incisione, catalogo della mostra (Ferrara, Palazzo dei<br />

Diamanti), Ferrara 2009, p. 43.<br />

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