1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras
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Maria Cristina Bandera<br />
a Roma si era parlato an<strong>che</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> e dei suoi bel<strong>li</strong>ssimi quadri a Palazzo Caetani, dalla<br />
Principessa <strong>di</strong> Bassiano” 110 .<br />
Una strada bianca e polverosa <strong>che</strong> s’incurva rapidamente con un leggero pen<strong>di</strong>o, affiancata dalle<br />
macchie larghe e color ocra <strong>di</strong> un campo dalla forma abbreviata e dal verde spento nei gial<strong>li</strong> e a<br />
stesure piatte deg<strong>li</strong> alberi, è il tema del Paesaggio del 1929, V. 153, cat. 14. Appartenne a Giuseppe<br />
Bottai 111 <strong>che</strong> sarebbe <strong>di</strong>venuto ministro della cultura <strong>di</strong> Musso<strong>li</strong>ni e <strong>che</strong> neg<strong>li</strong> anni in cui aveva<br />
frequentato il <strong>li</strong>ceo Tasso a Roma, nel 1914, fu al<strong>li</strong>evo del giovane Roberto Longhi <strong>che</strong> impartiva le<br />
sue lezioni innovative 112 . È un <strong>di</strong>pinto nato dall’osservazione <strong><strong>di</strong>re</strong>tta <strong>di</strong> quei calanchi <strong>che</strong> per<br />
Moran<strong>di</strong> rappresentavano il <strong>paesaggi</strong>o pre<strong>di</strong>letto, tanto da lamentarsi quando la stagione non g<strong>li</strong><br />
permetteva <strong>di</strong> lavorare all’aperto 113 . L’interpretazione pittorica, sebbene esito <strong>di</strong> una profonda<br />
rime<strong>di</strong>tazione interiore, non ne preclude la riconoscibi<strong>li</strong>tà, così <strong>che</strong> an<strong>che</strong> g<strong>li</strong> amici dell’epoca –<br />
com’è ricordato ne La Tribuna del 20 agosto 1930 – salendo in corriera verso Grizzana potevano<br />
identificare i <strong>paesaggi</strong> con i quadri a loro noti: “Oh! Guarda: questo è il <strong>paesaggi</strong>o <strong>che</strong> s’è visto<br />
venti giorni fa in casa <strong>di</strong> Antonio Bal<strong>di</strong>ni [cat. 11], e quello ce l’ha Saffi, quello Bottai [cat. 14],<br />
quell’altro Longanesi [1930, V. 161]” 114 .<br />
Non si può, naturalmente, d’ora in poi, ripercorrere puntualmente ogni singolo <strong>di</strong>pinto esposto, dal<br />
momento <strong>che</strong> questi sono ormai l’esito <strong>di</strong> una maturità raggiunta e <strong>di</strong> una autonomia espressiva <strong>che</strong><br />
prosegue in un costante processo <strong>di</strong> ricerca, ma senza strappi, lungo quel cammino perseguito da<br />
Moran<strong>di</strong> sempre in modo emozionato. Questo sarà compito delle s<strong>che</strong>de. È doveroso, tuttavia, data<br />
l’importanza dei <strong>di</strong>pinti e an<strong>che</strong> per motivarne la scelta, fare alcune sotto<strong>li</strong>neature.<br />
Rappresentano all’incirca la stessa porzione <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o e sono entrambi caratterizzati dall’assenza<br />
del cielo i due <strong>paesaggi</strong> del 1932 <strong>che</strong> rispondono alla fase sperimentale <strong>di</strong> intenso lavoro <strong>di</strong> ricerca<br />
sulla materia pittorica <strong>che</strong> caratterizza g<strong>li</strong> anni trenta con esiti <strong>di</strong> drammaticità profonda. Nel primo,<br />
V. 174, cat. 16, la fiancata <strong>di</strong> una col<strong>li</strong>na è vista in una posizione ravvicinata e incombente, così da<br />
essere irriconoscibile e da <strong>di</strong>venire null’altro <strong>che</strong> <strong>li</strong>nee e colori. La pittura scabra ed erosa e la<br />
sintesi de<strong>li</strong>neante la costruzione perfetta e misteriosa delle piatte bande orizzonta<strong>li</strong> e <strong>di</strong>agona<strong>li</strong> del<br />
terreno sotto una luce immota aggiungono enigmaticità al soggetto. Probabilmente fu proprio<br />
pensando a questo <strong>di</strong>pinto, <strong>di</strong> cui fu destinatario, <strong>che</strong> Longhi presentandolo alla mostra ‘Del Fiore’<br />
nel 1945 definì “inameni” i <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduando la “riduzione del soggetto <strong>che</strong> gira al<br />
minimo” come pecu<strong>li</strong>arità della sua pittura. Del <strong>di</strong>pinto si conosce una variante risalente allo stesso<br />
anno, V. 175, molto simile nel tag<strong>li</strong>o, ma <strong>più</strong> <strong>di</strong>stesa e soprattutto <strong>più</strong> ricca <strong>di</strong> materia pittorica.<br />
Quest’ultima, già nella collezione Jesi e poi passata alla Pinacoteca <strong>di</strong> Brera, è preceduta da un<br />
<strong>di</strong>segno, T. P. 1932/11, <strong>che</strong> senza dubbio è da vedersi in rapporto an<strong>che</strong> alla tela della collezione<br />
Longhi. Osservato da una stessa angolatura e sottoposto a una messa a fuoco ancora <strong>più</strong> ravvicinata<br />
è il Paesaggio, 1932, V. 176, cat. 17, donato nel 1964 dalle sorelle <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> a Paolo VI per la<br />
sezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Anch’esso, ugualmente ridotto ai suoi elementi<br />
essenzia<strong>li</strong> e caratterizzato solo dalla zona cupa del terreno e dalle sfuggevo<strong>li</strong> in<strong>di</strong>cazioni delle<br />
piante, riempie tutta la cornice. È caratterizzato dalla stessa pittura magra <strong>che</strong>, in un processo <strong>di</strong><br />
spo<strong>li</strong>azione del colore, sfiora la bicromia.<br />
Destinato al giovane Cesare Bran<strong>di</strong>, <strong>che</strong> sarebbe <strong>di</strong>venuto uno dei critici <strong>più</strong> importanti dell’artista,<br />
certamente influenzandone la riflessione critica, è il Paesaggio del 1934, V. 181, cat. 18,<br />
eccezionale an<strong>che</strong> nelle <strong>di</strong>mensioni. Qui Moran<strong>di</strong> usò la topografia estiva dell’Appennino<br />
110<br />
L. Magnani, Il mio Moran<strong>di</strong>, cit 1982 p. 42.<br />
111<br />
A Bottai fa riferimento an<strong>che</strong> la lettera, datata 4 aprile 1928, in cui Soffici informa Moran<strong>di</strong> <strong>che</strong> “S. E. [...]”le<br />
manderà 500= appena riceva tante stampe quante secondo lei possono entrare in tal prezzo”, pubb<strong>li</strong>cata in L.<br />
Cavallo,“A Prato per vedere Corot”, cit. 1989, p. 70.<br />
112<br />
<strong>Le</strong> <strong>di</strong>spense sarebbero uscite in un volume postumo: R. Longhi, Breve ma veri<strong>di</strong>ca storia della pittura ita<strong>li</strong>ana,<br />
Firenze, 1890.<br />
113<br />
<strong>Le</strong>ttera a Soffici 22 agosto 1930, pubb<strong>li</strong>cata in L. Cavallo,“A Prato per vedere Corot”, cit. 1989, p. 104.<br />
114<br />
S.Volta: ‘Villeggiature. Grizzana e il suo pittore-poeta’, La Tribuna (20 agosto 1930), p. 3. Riportato in F. Fergonzi,<br />
On Some of Giorgio Moran<strong>di</strong>’s Visual Sorces, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 49.<br />
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