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Maria Cristina Bandera furono in molti casi anche i collezionisti. La successione cronologica con cui questi passi sono riproposti serve a verificare il variare interpretativo con lo scorrere degli anni, ma anche il differente orientamento critico 21 . Riccardo Bacchelli, il letterato de “La Ronda”, vicino a Morandi per essere il fratello del pittore Mario, suo compagno di studi all’Accademia, presentandolo come s’è detto su “Il Tempo” nel 1918, cita il paesaggio del 1913, V. 11, cat. 4. Lo descrive come “un folto di un verde faticoso, come dice Dino Campana, con due linee di colline scendenti, con rami sospesi” per il quale avanza un confronto – che sarà meglio spiegato in un’intervista televisiva rilasciata a decenni di distanza 22 – con “il gran nome di Giotto”. Un parallelo che è da vedersi come l’eco del dibattito tra artisti in riferimento al recupero della “pura plasticità” dell’antico pittore toscano 23 . Dopo questa prima citazione, Carlo Carrà, il maestro considerato come punto di riferimento 24 e il compagno di strada della breve stagione metafisica, nel 1925, annota come tra le opere di Morandi vi siano “sue pitture che portano l’impronta d’un temperamento estremamente delicato e unitario, d’una potenza ingenita e feconda; fra le quali non esito a mettere la maggior parte dei suoi paesaggi dell’ultimo e più recente periodo” 25 . Tre anni dopo, sarà ancora una volta un pittore, Mino Maccari, a evidenziare la qualità della materia cromatica e il raggiungimento poetico dei suoi dipinti: “Nella pittura del bolognese la pasta del colore, ricchissima, densa, lavorata, non è mai una concessione alla materia né un’esibizione di virtuosismo, ma un elemento che dovendo servire a un’idea sempre poetica non può essere trascurato [...]. I quadri di Morandi [...] rivelano la bellezza e la poesia di quelle cose che per essere umili e modeste hanno bisogno di essere capite, interpretate o descritte da un artista perchè il mondo si accorga di loro. Sono nature morte, paesi, campi, angoli solitari della natura non «pittoresca», né orrida, né smagliante, ma comune, semplice, senza eccessi di linee, di colori e di contrasti. [...] Morandi è un poeta” 26 . Tralasciando l’interpretazione antimoderna, in direzione strapaesana, che caratterizza il testo di Leo Longanesi pubblicato su “L’Italiano”, il settimanale da lui diretto, nel dicembre 1928, perchè per questo si rimanda al saggio in catalogo di Barbara Cinelli, a seguire va ricordato Ardengo Soffici. L’amico di tutta una vita, colui che con i suoi scritti vociani sull’impressionismo francese e sul Doganiere Rousseau ha dissodato il terreno orientandolo verso l’avanguardia anziché verso la tradizione, sottolinea l’inclinazione autonoma e aggiornata di Morandi in un testo uscito nel numero monografico de “L’Italiano” a lui dedicato nel 1932 27 : “Cominciamo intanto con l’osservare che fin dai suoi primi saggi l’arte di questo pittore, a differenza di quanto avviene ordinariamente, reca i segni di una coscienza e di una consapevolezza [...]. Mi riferisco ai paesi e ai ritratti che risalgono al 1911-13-14-16. È facile vedere che in questi dipinti il loro autore, figlio genuino del tempo suo, operato già in sé l’assorbimento – e quindi superatine i principî – del naturalismo e 21 Per i critici di Morandi si veda M.C. Bandera, Giorgio Morandi: non solo “Grandi Inquisitori”, in Memorie dell’Antico nell’Arte del Novecento, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti), a cura di O. Casazza e R. Gennaioli, Firenze 2009, pp.50-55. 22 Intervista televisiva rilasciata ad Anna Zanoli per il programma “Io e....”, con la regia di Luciano Emmer, andato in onda il 22 marzo 1972 sulla RAI TV. Significativo, a questo proposito, è il fotogramma che inquadra il particolare con la “schiena dei monti” e le “linee di contorno e di forza” della scena con la Fuga in Egitto affrescata da Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova. Il testo è riportato e commentato da M.C. Bandera, Miscellanea per Morandi, in “Paragone”, 67, maggio 2006, p. 37-42. 23 M.C. Bandera, Miscellanea per Morandi, cit. 2006, p. 39-40. 24 “Dei [pittori] moderni ritengo Corot, Courbet, Fattori e Cézanne gli eredi più legittimi della gloriosa tradizione italiana”, così Morandi nella propria ‘autobiografia’: Giorgio Morandi in Autobiografie di scrittori e di artisti del tempo fascista, in “L’Assalto”, 18 febbraio 1928, ora in Giorgio Morandi 1890-1964, cit. 2008, p. 346. 25 C. Carrà, Giorgio Morandi, in “L’Ambrosiano”, Milano, 25 giugno 1925, ora in C. Carrà, Segreto professionale, a cura di M. Carrà, Vallecchi, Firenze 1962, pp. 344-247. 26 M. Maccari, Giorgio Morandi, in “Il Resto del Carlino”, Bologna, 8 giugno 1928, poi in L. Vitali, Giorgio Morandi pittore, cit. 1964, p. 46. 27 A. Soffici, G. Morandi, in “L’Italiano”, VII, 10, Bologna marzo 1932, poi in L. Vitali, Giorgio Morandi pittore, cit. 1964, p. 48, e in L. Cavallo,“A Prato per vedere i Corot” corrispondenza Morandi-Soffici per un’antologica di Morandi, Galleria d’Arte Moderna Farsetti, Firenze 1989, p. 60-61. 4
Maria Cristina Bandera dell’impressionismo, orienta le sue ricerche nel senso di un’espressione infinitamente più libera, come allora si diceva, cioè essenziale, intendendo più puramente pittorica e plastica. Difatti, meglio che la rappresentazione delle cose e degli esseri, il pittore qui persegue ciò che di suggestivo, in un certo senso immateriale e musicale, promana dai loro aspetti; sì che dagli elementi della realtà visibile, più che una raffigurazione aneddotica sottoposta agli accidenti del momento e della posizione, risulta un insieme armonico di colori, forme, volumi, la cui sola legge sia l’unità e la bellezza degli accordi.” Notissime, ricorrenti e imprescindibili sono le parole di Roberto Longhi, così da assumere il significato di pietre miliari nella fortuna critica di Morandi. Dopo la segnalazione fulminea, che scosse l’uditorio nell’aula dell’università felsinea dove nel 1934 lo storico dell’arte, già famoso, teneva la propria prolusione eleggendo il bolognese “uno dei migliori pittori viventi d’Italia” 28 , poco più di dieci anni dopo, nell’aprile 1945, non conoscendone “la sorte incerta” e confidando di darne il “bentornato”, dopo il blackout della guerra che aveva interrotto i loro rapporti, raggruppò in una mostra memorabile 29 ventuno dipinti. Tra questi, sette sono nature morte, tre fiori e ben undici ‘paesi’ con una cadenza cronologica significativa: uno del 1932 e dieci compresi tra il 1940 e il 1943. Per l’occasione Longhi accompagnò le opere con un testo in cui si avvalse di un passo di Proust come “introduzione alla pittura di Morandi”, con un assunto riferito a tutti i ‘generi’ della sua pittura: “Che soltanto scavando dentro e attraverso la forma, e stratificando le ‘ricordanze’ tonali, si possa riescire alla luce del sentimento più integro e puro, ecco infatti la lezione intima di Morandi e il chiarimento immediato della sua riduzione del soggetto che gira al minimo; l’abolizione, in ogni caso, del soggetto invadente che parte in quarta e si divora l’opera e l’osservatore. Oggetti inutili, paesaggi inameni, fiori di stagione, sono pretesti più che sufficienti per esprimersi ‘in forma’; e non si esprime, si sa bene, che il sentimento” 30 . Di questi paesaggi spogli e severi, “inameni” appunto, Longhi tornerà a parlare nella lunga nota che accompagna il testo del 1945 riproposto per la “ricapitolazione delle opere” presentata dalla Biennale di Venezia nel 1966, la prima dopo la morte del pittore avvenuta due anni prima. Lo farà con nuovo slancio eleggendoli fra le espressioni più alte del “lungo e maestrevole percorso” dell’amico: “Morandi cresceva frattanto instancabilmente e io lo vidi salire fino al culmine, che mi pare forse il più alto da lui raggiunto, dei paesaggi del 1943” 31 . Un’asserzione che potrà essere verificata con questa mostra che vede affiancati ventidue paesaggi dipinti tra il 1940 e il 1943. Nel frattempo anche Cesare Brandi aveva rivolto la sua attenzione a Morandi, divenendone uno dei maggiori esegeti, anch’egli conquistato dai suoi paesaggi, tanto da essere convinto che essi “non costituiscono una testimonianza meno importante” 32 nella sua arte, e da ottenerne in dono quello bellissimo, del 1934, V. 181, cat. 18. Il critico si era soffermato su questi motivi di paese già nel suo primo saggio del 1939, uscito dopo la disavventura della Quadriennale di quello stesso anno in cui il pittore, che aveva personalmente selezionato le opere per la propria sala, si vide scavalcato da Saetti nell’ottenimento del premio: “Da quei paesaggi mai si avrà il senso del momento colto e sottratto alla natura, come nella fotografia o nella pittura macchiaiola […]. La subitaneità dell’apparizione […] non è istantaneità. La durata di questi paesi è infinita: la loro immagine si forma a un fuoco impreciso, è prima di tutto un’immagine mentale conservata e riattivata nella memoria. Paesaggio già riflesso nel tempo, che, senza residui utilitari, fisso e prestabilito nella sua casuale appartenenza, presta le sue macchie e i suoi prati, gli addensamenti delle ombre, i vuoti d’aria dei piani, ad una dialettica interna che li riadatta in una sequenza di colori semplici, li ridispone per relazioni spaziali diverse 33 ”. 28 R. Longhi nella prolusione (1934) pubblicata con il titolo Momenti della pittura bolognese, in “l’Archiginnasio”, XXX, nn. 1-3, 1935, p. 135, ora in R. Longhi, Lavori in Valpadana dal Trecento al primo Cinquecento 1934-1964, Firenze (Opere complete, VI) 1973, p. 205. 29 R. Longhi, Giorgio Morandi cit. 1945. 30 R. Longhi, Giorgio Morandi [1945], cit. 1984, p. 96. 31 R. Longhi, Giorgio Morandi [1966], cit. 1984, p. 93. 32 C. Brandi, Cammino di Morandi, 1939, ora in Morandi, cit. 2008, p. 43. 33 Ivi, p. 45. 5
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