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1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras

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Maria Cristina Bandera<br />

fotografia in bianco e nero. A Franco Solmi, ad esempio, sembra “un quadro ‘d’ate<strong>li</strong>er’: vi è fermo<br />

il tempo, e la stagione, come <strong>di</strong> primo inverno”. E a riprova <strong>di</strong> questo suo convincimento cita un<br />

testimonianza <strong>di</strong> Giuseppe Raimon<strong>di</strong>, il letterato amico assiduo dei primi anni <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, <strong>che</strong> ha<br />

scritto: “Il luogo <strong>di</strong> questo <strong>paesaggi</strong>o è fuori dalla geografia. È un ‘luogo’ <strong>che</strong> l’artista, una volta,<br />

immaginò, e così lo ritrasse. Noi credemmo, sui riferimenti an<strong>che</strong> atten<strong>di</strong>bi<strong>li</strong> e per l’effetto <strong>che</strong> ci fa<br />

velo quando pensiamo ai paesi dell’Emi<strong>li</strong>a, <strong>che</strong> fosse raggiungibile, <strong>che</strong> esistesse ‘in natura’... Noi<br />

guar<strong>di</strong>amo questo incre<strong>di</strong>bile ‘<strong>paesaggi</strong>o’, coperto dai segni <strong>di</strong> una volontà precisa, e quasi delle sue<br />

<strong>li</strong>vidure bluastre, [...] e non sappiamo <strong>che</strong> strada prendere per andare a ritrovarlo ‘dal vero’” 83 . Di<br />

contro, la puntuale in<strong>di</strong>cazione del mese <strong>di</strong> giugno nella data e i tocchi <strong>di</strong> colore <strong>che</strong> in<strong>di</strong>cano la<br />

vibrazione delle fog<strong>li</strong>e dei cespug<strong>li</strong> colpiti dalla luce, lasciano intendere <strong>che</strong> la tela è stata <strong>di</strong>pinta<br />

nella buona stagione quando all’artista era <strong>più</strong> agevole issare il cavalletto all’aperto. Non vi è<br />

dubbio, infatti, <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> parte sempre da un’immagine reale e non immaginata, da una<br />

osservazione <strong><strong>di</strong>re</strong>tta del mondo visibile, seguita da una fase <strong>di</strong> interiorizzazione e da un successivo<br />

processo <strong>di</strong> astrazione. Lo spiega eg<strong>li</strong> stesso: “ritengo <strong>che</strong> ciò <strong>che</strong> ve<strong>di</strong>amo sia una creazione,<br />

un’invenzione dell’artista qualora eg<strong>li</strong> sia capace <strong>di</strong> far cadere quei <strong>di</strong>aframmi, cioè quelle<br />

immagini convenziona<strong>li</strong> <strong>che</strong> si frappongono fra lui e la realtà. 84 ”<br />

I <strong>paesaggi</strong> <strong>che</strong> seguono nel percorso della mostra, <strong>di</strong>pinti ancora entro il 1916, anch’essi indubbi<br />

capolavori, sono la riprova dell’incessante ricerca <strong>di</strong> un’autonoma espressività e <strong>di</strong> un affinamento<br />

dello stile. Moran<strong>di</strong>, paragonandosi a un pianista, <strong>li</strong> ha definiti “esercizi a cinque <strong>di</strong>ta volti ad<br />

apprendere i principi dello stile <strong>di</strong> una precedente generazione, finché non si è abbastanza maturi da<br />

formulare uno stile proprio” 85 . Si tratta, in ogni caso, <strong>di</strong> esercizi <strong>di</strong> stile compiuti con sicurezza e<br />

perentorietà. L’influenza dominante è quella <strong>di</strong> Cézanne. Lo è nei due <strong>paesaggi</strong> del 1913, V. 10 e V.<br />

11, cat. 3 e 4, in cui l’essenzia<strong>li</strong>tà e la severità strutturale in<strong>di</strong>cano, nello stesso tempo, la<br />

derivazione e l’in<strong>di</strong>pendenza dal modello. In entrambi l’attore principale è un albero collocato al<br />

centro della tela. Esile, lungo, <strong>di</strong> un solo tronco e dai pochi rami s<strong>che</strong>letrici, quello del <strong>paesaggi</strong>o<br />

invernale risalente ai primi mesi dell’anno, <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> ricorda <strong>di</strong> avere <strong>di</strong>pinto “con fatica,<br />

tenendo la tela poggiata a una siepe, i pie<strong>di</strong> gelati” 86 , esposto l’anno seguente con il titolo <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o<br />

alla II Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione a Roma e non si sa se an<strong>che</strong> alla mostra<br />

dell’Hotel Bag<strong>li</strong>oni a Bologna. Un albero <strong>che</strong> spartisce in due il campo visivo e sembra appiattirsi<br />

sul dosso, costruito entro uno s<strong>che</strong>ma quasi geometrico a toppe triangolari <strong>che</strong> s’incastonano tra <strong>di</strong><br />

loro, biancastre <strong>di</strong> neve e bordate dal marrone della terra umida, <strong>che</strong> lascia intravedere solo un<br />

sottile spirag<strong>li</strong>o <strong>di</strong> cielo dal colore intonato alla col<strong>li</strong>na. An<strong>che</strong> l’altro <strong>paesaggi</strong>o, quello della prima<br />

estate passata a Grizzana e ricordato da Bac<strong>che</strong>l<strong>li</strong>, prevede un albero in primo piano e al centro. Ma<br />

in questo caso i rami sono frondosi e incurvati: si aprono allargandosi e poi ripiegandosi, quasi a<br />

ventag<strong>li</strong>o, così da confondersi con i dec<strong>li</strong>vi delle col<strong>li</strong>ne e da annullare il reale lontano e quello<br />

ravvicinato, attestando la presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla lezione cézanniana e, nello stesso tempo,<br />

evidenziando con questa ambiguità spaziale una delle prerogative del ‘misteriso’ <strong>li</strong>nguaggio<br />

moran<strong>di</strong>ano.<br />

Rispondenze forma<strong>li</strong> memori <strong>di</strong> Cézanne sono rintracciabi<strong>li</strong> an<strong>che</strong> nel potente Paesaggio del 1914,<br />

V. 16, cat. 5, da sempre in raccolte prestigiose: inizialmente in quella bresciana <strong>di</strong> Pietro Ferol<strong>di</strong> e<br />

dal 1949 in quella milanese <strong>di</strong> Gianni Mattio<strong>li</strong>. Un’opera <strong>che</strong> godette dell’apprezzamento <strong>di</strong><br />

letterati. Come segnala Fergonzi, venne vista nel 1939 da Eugenio Montale <strong>che</strong> ne trasse uno dei<br />

suoi d’après 87 e, poco dopo ‘registrata’, da Guido Piovene 88 , com’è ricordato nella s<strong>che</strong>da qui in<br />

83<br />

F. Solmi, Giorgio Moran<strong>di</strong>: g<strong>li</strong> anni della formazione, in Moran<strong>di</strong> e il suo tempo, Quaderni moran<strong>di</strong>ani n. 1, Milano<br />

1985, p. 24.<br />

84<br />

Moran<strong>di</strong> rispondendo all’intervista ra<strong>di</strong>ofonica concessa a P. Magravite [1955] ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964,<br />

cit. 2008, p. 350.<br />

85<br />

G. Moran<strong>di</strong> nell’intervista concessa a E. Ro<strong>di</strong>ti nel 1958, in E. Ro<strong>di</strong>ti, Giorgio Moran<strong>di</strong>, in Dialogues on Art, London<br />

1960, ora in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1964, cit. 2008, p. 352.<br />

86<br />

Come ricorda F. Arcange<strong>li</strong>, Giorgio Moran<strong>di</strong>, cit. 1964, p. 33.<br />

87<br />

F. Fergonzi, La Collezione Mattio<strong>li</strong>. Capolavori dell’avanguar<strong>di</strong>a ita<strong>li</strong>ana, catalogo scientifico <strong>di</strong> F. Fergonzi,<br />

Milano 2003, fig. 15b a p. 281.<br />

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