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1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras

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Maria Cristina Bandera<br />

prospettica e altro non sono <strong>che</strong> spazi vuoti e so<strong>li</strong>tari. Una semp<strong>li</strong>ficazione estrema del comporre<br />

cui corrisponde una essenziale spo<strong>li</strong>azione del colore, steso con pennellate rapide e sommarie,<br />

<strong>li</strong>mitato alle ocre e ai bianchi gessosi riscaldati da un viola appena filtrato.<br />

Si assiste a un rapporto intellettua<strong>li</strong>stico <strong>di</strong> pieni e <strong>di</strong> vuoti <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> porterà alle estreme<br />

conseguenze soprattutto neg<strong>li</strong> acquerel<strong>li</strong> <strong>che</strong> rappresentano uno deg<strong>li</strong> aspetti <strong>più</strong> sperimenta<strong>li</strong> della<br />

sua arte. In particolare, il rapporto si fa enigmatico ed emotivo in quel<strong>li</strong> deg<strong>li</strong> ultimi anni, an<strong>che</strong> in<br />

quel<strong>li</strong> <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o. In essi, in una progressiva <strong>di</strong>ssoluzione e in una veduta sempre <strong>più</strong> scorporata<br />

(cat. 66-71), il chiarore della carta <strong>di</strong>viene luce e si alterna a campiture <strong>li</strong>quide <strong>di</strong> colore, abbreviate<br />

in una assoluta riduzione della forma e ormai lontane da qualsiasi rappresentazione oggettiva,<br />

com’è evidentissimo nel fog<strong>li</strong>o (cat. 70), davvero bel<strong>li</strong>ssimo, appartenuto a Carlo Volpe, detentore<br />

raffinato <strong>di</strong> queste ‘ultime’ opere del pittore.<br />

Sin qui, commentandone le opere scelte per la rassegna, abbiamo voluto spiegare il motivo <strong>di</strong><br />

questa mostra <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>. Ma è Moran<strong>di</strong> in prima persona a fornire la risposta definitiva al quesito<br />

posto in apertura <strong>di</strong> saggio. La ricaviamo da una <strong>di</strong>chiarazione, stringata ma eloquente, rilasciata<br />

dall’amico Efrem Tavoni. Un’attestazione <strong>che</strong> lascia trasparire l’attenzione amorosa per i <strong>paesaggi</strong><br />

da lui in<strong>di</strong>viduati con una ricerca meticolosa e <strong>di</strong>pinti dopo avere stabi<strong>li</strong>to l’inquadratura <strong>più</strong><br />

opportuna e soprattutto dopo introspezioni prolungate: “È vero, ho fatto <strong>più</strong> nature morte <strong>che</strong><br />

<strong>paesaggi</strong> – e <strong><strong>di</strong>re</strong> <strong>che</strong> i <strong>paesaggi</strong> <strong>li</strong> <strong>amavo</strong> <strong>di</strong> <strong>più</strong>. Ma bisognava viaggiare e soffermarsi in un posto o<br />

nell’altro e ritornarvi per completare il lavoro. Percorrevo a pie<strong>di</strong> la valle del Savena sostando<br />

sull’una o l’altra sponda del fiume; oppure d’estate mi recavo a Roffeno o a Grizzana” 154 .<br />

Ora, in virtù dell’amore portato dal pittore per questo tema e con l’augurio <strong>che</strong> l’attenzione sui<br />

<strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> non si spenga, vi sono risposte <strong>più</strong> <strong>di</strong>ffici<strong>li</strong> <strong>che</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi deve dare dopo<br />

essersi posto <strong>di</strong> fronte a ogni singolo <strong>paesaggi</strong>o esposto e dopo aver<strong>li</strong> visti tutti <strong>insieme</strong> in una lunga<br />

sequenza – come uno scorrere appassionato e coinvolgente <strong>di</strong> tanti fotogrammi <strong>di</strong> sempre nuove<br />

me<strong>di</strong>tazioni <strong>di</strong> un unico film – nello snodarsi del percorso apprestato nelle sale della rassegna <strong>che</strong><br />

riflette quello intellettuale dell’artista.<br />

Abbandonata l’esegesi critica, utile e in<strong>di</strong>spensabile viatico <strong>di</strong> approccio, e <strong>di</strong>svelata la sua pittura<br />

dal bagag<strong>li</strong>o – ma Calvino avrebbe detto dalla “crosta” – delle parole, Giorgio Moran<strong>di</strong> si rivolge a<br />

noi, ci parla e ci interroga. È lui <strong>che</strong> ci pone delle domande.<br />

Abbiamo ‘aperto la nostra finestra’ sui suoi ‘paesi’? Abbiamo saputo <strong>di</strong>alogare con essi? Li<br />

abbiamo scrutati con attenzione interrogativa? Abbiamo compiuto quell’intimo esercizio, auspicato<br />

da Peter Schjeldahl 155 davanti ai suoi <strong>di</strong>pinti esposti due anni fa al Metropo<strong>li</strong>an Museum, <strong>di</strong> leggere<br />

an<strong>che</strong> questi <strong>paesaggi</strong> con l’occhio, la mente e l’animo? Siamo stati in grado <strong>di</strong> percepirne la magia<br />

silenziosa e <strong>di</strong> cog<strong>li</strong>erne l’universa<strong>li</strong>tà? Abbiamo inteso lo sviluppo <strong>di</strong> questo tema della sua arte da<br />

un avvio ‘stu<strong>di</strong>ato’ e poi proseguito con luci<strong>di</strong>tà percorrendo “una traiettoria ben tesa, una lunga<br />

strada” 156 <strong>che</strong> lo ha condotto a un esito sempre <strong>più</strong> personale e davvero senza confronti? Davanti<br />

alle sue tele, prendendo a prestito le parole <strong>di</strong> Mario Luzi, ci siamo resi pienamente conto della<br />

“luce <strong>che</strong> entra nella materia, ma <strong>più</strong> ancora fonda, statuisce, chiama in causa l’anima, la mente, il<br />

mondo” 157 ? Abbiamo percepito la vibrazione dei colori e l’insuperabile accordo dei toni con cui non<br />

descrive, ma evoca, con cui, insomma, trasfigura il silente Appennino bolognese o lo spazio<br />

circoscritto del placido cortile <strong>di</strong> via Fondazza? Abbiamo saputo cog<strong>li</strong>ere la sottile alchimia della<br />

sua pittura <strong>che</strong> ha fatto scrivere dal recensore del New Yorker <strong>che</strong> eg<strong>li</strong> “is a painter’s painter” 158 ?<br />

Siamo stati colpiti dal senso <strong>di</strong> mistero <strong>che</strong> pervade le sue opere, quello stesso <strong>che</strong> ha catturato uno<br />

154<br />

E. Tavoni, in Moran<strong>di</strong>, amico mio, cit. 1995, p. 26.<br />

155<br />

P. Schjeldahl, Tables for one [2008], ora in M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> al Metropo<strong>li</strong>tan cit. 2009, p. 59: “In my<br />

ideal world, the home of everyone who loves art would come equipped with a painting by Giorgio Moran<strong>di</strong>, as a<br />

gymnasium for daily exercise of the eye, mind, and soul”.<br />

156<br />

R. Longhi, Exit Moran<strong>di</strong>, in “L’Approdo <strong>Le</strong>tterario”, X, 26, aprile-giugno 1964, pp. 3-4, ora in R. Longhi, Scritti<br />

sull’Otto e Novecento, cit. 1984, pp. 215.<br />

157<br />

M. Luzi, La iniziazione a Moran<strong>di</strong>, cit. 1996, p. 19.<br />

158<br />

P. Schjeldahl, Tables for one [2008], ora in M.C. Bandera, Giorgio Moran<strong>di</strong> al Metropo<strong>li</strong>tan cit. 2009, p. 62.<br />

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