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1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras

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Maria Cristina Bandera<br />

lungo periodo il cortile <strong>di</strong> via Fondazza sarà per il pittore la sola occasione <strong>di</strong> pittura <strong>di</strong> questo<br />

‘genere’.<br />

La scelta espositiva <strong>di</strong> un Cortile <strong>di</strong> via Fondazza deg<strong>li</strong> anni quaranta è caduta su quello del 1947,<br />

V. 590, cat. 53, già selezionato per la grande Mostra del centenario del 1990. In questo caso, la<br />

visione è ancora <strong>più</strong> ravvicinata <strong>di</strong> quella <strong>che</strong> caratterizza i <strong>paesaggi</strong> precedenti e il quadro ci appare<br />

come una zooomata sulle case <strong>di</strong> fronte alla finestra della sua stanza <strong>che</strong>, in parte nascoste dalla<br />

barriera deg<strong>li</strong> alberi, sconfinano dalla tela con i loro volumi appiattiti, sia <strong>di</strong> lato <strong>che</strong> nella parte alta,<br />

così da lasciare un solo piccolo tassello per il cielo. An<strong>che</strong> la pittura appare abbreviata e quasi<br />

sfocata, ma segnata dai colpi <strong>di</strong> luce <strong>che</strong> cadono sulle cime delle piante e dalla luminosità aranciata<br />

e intensa della finestrella <strong>di</strong> destra. Seguono, per il decennio successivo, due ‘corti<strong>li</strong>’ del 1954, V.<br />

926, cat. 54, e V. 927, cat. 55, ‘varianti’ <strong>di</strong> uno stesso tema, assai simi<strong>li</strong> tra loro, costruiti entro telai<br />

quasi quadrati e ugua<strong>li</strong> solo all’apparenza, volutamente appaiati nell’esposizione. Per la ‘<strong>di</strong>scrasia’,<br />

a suo tempo sotto<strong>li</strong>neata da Ragghianti 143 , tra la muta, piatta parete rischiarata dalla luce <strong>che</strong> fa da<br />

quinta apparente sul lato sinistro e lo scenario <strong>più</strong> articolato e prospettico in un incastro <strong>di</strong> volumi<br />

dal color del mattone <strong>che</strong> si squaderna sul lato simmetrico, appaiono tra le opere <strong>più</strong> enigmati<strong>che</strong> <strong>di</strong><br />

Moran<strong>di</strong>. Ancora una volta sono l’inquadratura e la conseguente variata proporzione <strong>di</strong> cielo e le<br />

ombre <strong>più</strong> o meno accentuate <strong>che</strong> segnano la <strong>di</strong>fferenza tra i due <strong>di</strong>pinti. Quello appartenuto a Luigi<br />

Magnani (cat. 55), <strong>più</strong> contrastato nei colori, si <strong>di</strong>fferenzia an<strong>che</strong> per un segno <strong>che</strong> interrompe la<br />

nu<strong>di</strong>tà del muro. A questo proposito si sa <strong>che</strong>, al quesito posto dal futuro destinatario del quadro su<br />

<strong>che</strong> cosa fosse quella chiazza, Moran<strong>di</strong> rispose in modo <strong>di</strong>sarmante e forse an<strong>che</strong> provocatorio: “ma<br />

non vede <strong>che</strong> è la macchia d’umi<strong>di</strong>tà <strong>che</strong> sta qui sul muro” 144 . Ancora una volta il pittore aveva fatto<br />

cadere i “<strong>di</strong>aframmi”, cioè le “immagini convenziona<strong>li</strong>” <strong>che</strong> si ponevano tra lui e la realtà. Di fatto,<br />

abbiamo già scritto, in una lettura <strong>che</strong> ci aveva permesso <strong>di</strong> sotto<strong>li</strong>neare la conoscenza dell’arte<br />

dell’estremo oriente da parte <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, come piuttosto in entrambe le tele “quel muro sulla<br />

sinistra <strong>che</strong> spartisce in senso verticale il <strong>di</strong>pinto in due parti, sebbene non simmetri<strong>che</strong>, <strong>che</strong> per<br />

essere coincidente con la superficie, per estendersi fino ai bor<strong>di</strong> della tela e ancor <strong>più</strong> per<br />

l’intonazione avorio, perde ogni senso <strong>di</strong> concretezza e, lungi dal sembrare una quinta oltre la quale<br />

spicca lo scorcio prospettico delle case battute dalla luce e dalle fronde deg<strong>li</strong> alberi in primo piano,<br />

sembra suggerire una sensazione <strong>di</strong> vuoto e alludere a un’oasi <strong>di</strong> silenzio”. Parimenti la macchia del<br />

tempo sul muro viene a perdere ogni riferimento con la realtà e sembra piuttosto un “segno<br />

cal<strong>li</strong>grafico” 145 .<br />

An<strong>che</strong> il <strong>di</strong>pinto del 1956, V. 1019, cat. 56, rappresenta uno scorcio del Cortile <strong>di</strong> via Fondazza, un<br />

tema <strong>che</strong> Moran<strong>di</strong> affrontò in <strong>più</strong> occasioni nello stesso anno senza mai ripetersi. Di primo acchito<br />

vi troviamo un <strong>di</strong>fferente formato nettamente orizzontale, così da intendere come il pittore avesse<br />

sottoposto lo stesso <strong>paesaggi</strong>o a una inquadratura mutata. Come nelle tele precedenti il soggetto con<br />

il suo incastro <strong>di</strong> volumi e <strong>di</strong> quinte frondose – e si noti come la cima <strong>di</strong> un albero superi ora il tetto<br />

e si stag<strong>li</strong> contro il cielo – è riconoscibile e, come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, esso è indagato nelle prime ore<br />

meri<strong>di</strong>ane. Ma, nella costante ricerca <strong>di</strong> esiti sempre nuovi, è la pittura <strong>che</strong> nelle opere <strong>di</strong> questo<br />

ultimo decennio tende ad alleggerirsi, a <strong>di</strong>minuire fisicamente <strong>di</strong> spessore, a lasciare spazi in cui,<br />

soprattutto tra g<strong>li</strong> alberi, si intravedono sia la tela sia le tracce della matita <strong>che</strong> ne suggeriva la<br />

composizione. An<strong>che</strong> noi, come certamente deve avere fatto Moran<strong>di</strong> dall’affaccio della finestra<br />

alla ricerca <strong>di</strong> un tag<strong>li</strong>o prospettico non ripetitivo e dopo una introspezione prolungata, potremmo<br />

sostare a lungo a scrutare an<strong>che</strong> questa tela, in apparenza meno innovativa, e cog<strong>li</strong>ere la tona<strong>li</strong>tà<br />

azzurrognola <strong>che</strong> lo pervade e l’incanto <strong>di</strong> quella firma stesa, al centro in basso, con tona<strong>li</strong>tà<br />

<strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong> ver<strong>di</strong>, così da mimetizzarsi con le fronde deg<strong>li</strong> alberi.<br />

È notissimo, ma non poteva mancare, il Cortile <strong>di</strong> via Fondazza del 1958, V. 1116, cat. 57, un<br />

quadro <strong>che</strong> non ha corrispondenti. Prendendo a prestito le parole <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> riferite ai <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong><br />

143 C.L. Ragghianti, Moran<strong>di</strong> o l’architettura della visione, cit. 1982, p. 246.<br />

144 L. Magnani, Il mio Moran<strong>di</strong>, cit. 1982 p. 44.<br />

145 M.C. Bandera, Miscellanea per Moran<strong>di</strong>, cit. 2006 p. 53.<br />

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