1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras

Maria Cristina Bandera
ignota, ma poi esposto a Milano nel 1990 134 ), differenti nella composizione e nel soggetto, ma
entrambi caratterizzati dalla presenza di un cielo ampio e luminoso che, da “vero protagonista” 135 ,
rischiara il paesaggio collinare disseminato di piccole case e di alberelli, indicati in modo allusivo
da tocchi di colore. Paesaggi che, come quello di collezione Giovanardi, V. 461, cat. 47, appaiono
ormai privi di una rete prospettica, destrutturati, rimanendo esclusivamente felici occasioni di colori
che trapassano l’uno nell’altro, ricchi e sfaldati, stesi con una pittura rapida, lontani da qualsiasi
vincolo descrittivo. Sono paesaggi che per essere tra i più straordinari brani di pittura del XX secolo
suggeriscono di ricordare con quanta cura Morandi si applicasse a rintracciare i colori prima ancora
di ‘lavorarli’ sulla tavolozza e di distribuirli sulla tela. S’è già detto di come da giovane ricercasse le
terre e fosse solito macinarle. In seguito si affidò ai colori Wibert, Lefranc e a quelli inglesi Winsor
and Newton. Quando negli anni del secondo conflitto bellico gli vennero a mancare incaricò gli
amici Cesare Brandi e Luigi Magnani di procurarglieli in occasione dei loro viaggi all’estero e
diede loro indicazioni accurate. Al primo, nel settembre 1941, scrive: “La ringrazio tanto delle
boccette di vernice. Mi saprà poi dire quanto Le devo. Per ora non me ne occorre altra perchè da
Milano me ne hanno già procurato della Wibert. Riguardo ai colori Lefranc non mi occorre che il
giallo di cromo scuro. Ma solo se si tratta di colori fini non da decorazione. Come pure mi
occorrerebbe, ma sarà difficilissimo, del Vert de Crome sempre di Lefranc. / Nel caso trovasse
questo colore, è bene fare attenzione che sotto l’indicazione del colore vi è segnata la composizione
chimica e cioè oxide de crome. Le dico questo perchè sotto lo stesso nome viene smerciato altro
prodotto che non ha nulla a che fare con ciò che mi occorre” 136 . “Prestigiosi” anche i nomi dei colori
di cui fornì l’elenco al musicologo, così come questi li riporta: “bianco d’argento, giallo brillante di
Napoli, terra di Siena, lacca di garanza, verde smeraldo, cobalto azzurro d’oltre mare, blu di Prussia
ecc.” 137
Ma i mesi della guerra sono anche quelli in cui il pittore si ritira nelle due stanze messe a sua
disposizione all’ultimo piano di Casa Veggetti al Campiaro dalle cui finestre poteva scrutare quel
paesaggio che avrebbe trasformato nelle sue tele. Da ciò è nato l’equivoco di un Morandi intento al
lavoro sempre indagando la realtà attraverso la finestra, un fraintendimento a cui egli contribuì in
prima persona raccontando a Brandi 138 e a Magnani che aveva la consuetudine di servirsi di un
cannocchiale, così da avere sia la precisione ottica sia il trapasso delle lontananze. In particolare,
abbiamo già ricordato l’aneddoto riguardante il Paesaggio, 1943, V. 464, cat. 49, folto di
vegetazione, denso di materia e dal cielo invisibile, di proprietà del musicologo, così come questi lo
riporta. Ugualmente dipinto con l’ausilio di un cannocchiale sembra essere, ancora nella stessa
estate, il Paesaggio, V. 471, cat. 50, tanto il quadrato bianco del muro di una casa senza finestre
incombe in primo piano, proiettato, in virtù di scansione geometrica che regola tutta l’opera, sulla
superficie del dipinto anticipando le case, che ci appariranno spogli parallelepipedi, dei paesaggi
degli ultimi anni.
In realtà, grazie alla fondamentale appendice documentaria selezionata da Marilena Pasquali nel
catalogo della mostra I paesaggi di Morandi negli anni di guerra 1940-1944 da lei curata nel 1994,
e diversamente da quanto riportato da tutti i suoi commentatori fino a quella data, Morandi
avvertiva l’urgenza di dipingere en plein air anche durante quei terribili mesi in cui il cielo di
Grizzana era attraversato dalle raffiche della contraerea. Ne fanno fede le pressanti richieste a
Francesco Arcangeli affinché questi, in virtù dell’essere “funzionario della Soprintendenza”, possa
“con più facilità” fargli ottenere il permesso per poter dipingere “all’aperto”, rilasciato dal
Comando Regionale dell’Esercito Italiano. In questa corrispondenza si avverte l’intenso rammarico
del pittore di un forzato distacco dal lavoro – “Mi seccherebbe assai di dover rimanere inattivo tutta
134 Morandi e Milano cit. 1990, cat. n. 50 e p. 174.
135 L. Vitali, Giorgio Morandi pittore, cit. 1964, p. 37.
136 Lettera di Morandi a Brandi, datata 14 settembre 1941, in C. Brandi, Morandi, cit. 2008, pp. 245-246.
137 L. Magnani, Il mio Morandi, cit. 1982, pp. 42-44.
138 C. Brandi, Morandi merita un museo nel cuore di Bologna, in “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1983, ora in
Morandi, cit. 2008, p. 147: “Mi disse una volta che andai a trovarlo lassù che dipingeva i suoi paesaggi col binocolo”.
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