1 E dire che i paesaggi li amavo di più Le mostre, insieme a ... - Diras
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Maria Cristina Bandera<br />
cose inconci<strong>li</strong>abi<strong>li</strong> come la dolcezza e l’asperità; è stento, gramo, e pur fe<strong>li</strong>cemente luminoso; ha<br />
colori ridotti, tenui, perfino e de<strong>li</strong>cati, mai violenti, mai contrastanti; ombre <strong>di</strong>ffuse, non<br />
drammati<strong>che</strong>; [...] non è sacro come le gran<strong>di</strong> montagne, ma quoti<strong>di</strong>ano, intimo; non come quelle<br />
drammatico, ma essenziale, triste a volte” 70 .<br />
Ancora nello stesso arco <strong>di</strong> anni, Michael Semff, nel catalogo della Mostra del centenario, de<strong>di</strong>ca<br />
nel 1990 un contributo importante, an<strong>che</strong> se purtroppo pena<strong>li</strong>zzato dalla traduzione, ag<strong>li</strong> ‘ultimi<br />
<strong>paesaggi</strong>’ del pittore. In esso lo stu<strong>di</strong>oso pone l’accento su una fase cruciale <strong>di</strong> questi, fino a quella<br />
data trascurata, spingendosi a scrivere <strong>che</strong> nei <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o rea<strong>li</strong>zzati a partire dal 1960 il<br />
pittore “va alla ricerca <strong>di</strong> un’idea completamente astratta della superficie del quadro, in cui volumi<br />
de<strong>li</strong>mitanti non emergono <strong>più</strong> in rapporto contrario a un immaginario spazio-oggetto-colore, ma<br />
vengono iscritti dal tracciato della mano in una superficie piana continua <strong>che</strong> vive e respira” 71 .<br />
Infine, per concludere questa carrellata critica, può essere illuminante riportare l’autorevole parere<br />
formulato da Federico Zeri 72 , certo non un ‘contemporaneista’, ma senza dubbio una voce <strong>di</strong> spicco<br />
e un critico <strong>che</strong> può essere paragonato a Giorgio Moran<strong>di</strong> per l’intensità del suo sguardo indagatore:<br />
“Il fatto <strong>più</strong> curioso [...] è <strong>che</strong>, mentre tutti lo conoscono come autore <strong>di</strong> nature morte, pochi sono a<br />
conoscenza dell’altra sua attività, quella <strong>di</strong> pittore <strong>di</strong> <strong>paesaggi</strong>o. Moran<strong>di</strong> ha eseguito molti <strong>di</strong>pinti<br />
<strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni (<strong>più</strong> o meno come le nature morte) <strong>che</strong> raffigurano <strong>paesaggi</strong>. Io considero<br />
questi <strong>di</strong>pinti fra i <strong>più</strong> alti capolavori del <strong>paesaggi</strong>smo <strong>di</strong> tutti i tempi. In essi si sente un’affettuosa<br />
attenzione verso l’opera giovanile <strong>di</strong> Corot; talvolta si percepiscono riflessi molto me<strong>di</strong>ati e<br />
trasfigurati <strong>di</strong> Cézanne. Ne risultano <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> una intensità lacerante, soprattutto quando il<br />
campo figurativo viene occupato da alberi o da picco<strong>li</strong> muri <strong>di</strong> ville, e lì vengono racchiusi g<strong>li</strong><br />
incanti stagiona<strong>li</strong>, soprattutto estivi, nell’aria <strong>che</strong> vibra per il caldo, nel silenzio delle estati ita<strong>li</strong>ane<br />
in campagna, nell’ipnotica bellezza <strong>di</strong> quei momenti in cui tutto tace e il sole ardente batte e si<br />
riflette sulle vegetazioni e sug<strong>li</strong> intonaci. Il luogo dove Moran<strong>di</strong> traeva ispirazione per questo tipo <strong>di</strong><br />
<strong>paesaggi</strong> è la periferia bolognese, verso le col<strong>li</strong>ne. Quanto ai <strong>paesaggi</strong> con alberi, ville, muri <strong>di</strong><br />
cinta, è comune rivedere an<strong>che</strong> lì certi luoghi dei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Bologna, verso l’Appennino”.<br />
Ecco, Moran<strong>di</strong> parte da qui. Dal suo errare, giovane al<strong>li</strong>evo dell’Accademia, alla ricerca <strong>di</strong> un<br />
motivo. Dalla periferia bolognese, dag<strong>li</strong> squarci innevati, dal greto del Savena, dall’abbraccio <strong>di</strong><br />
case <strong>di</strong> Chiesanuova, dallo spog<strong>li</strong>o Appennino <strong>li</strong>mitrofo, dalla “valle, piena d’assenza deg<strong>li</strong><br />
uomini” 73 con una “iniziazione [...] chiara e misteriosa” 74 . Lo ricorda Mario Luzi <strong>che</strong> con lui a<br />
partire dal 1938, all’epoca del suo trasferimento a Parma, aveva la consuetu<strong>di</strong>ne, “in certi pomeriggi<br />
nitidamente solari” <strong>di</strong> sa<strong>li</strong>re “su un tram extraubano” e <strong>di</strong> ripercorre i luoghi dove il pittore era<br />
venuto “in gioventù a <strong>di</strong>segnare e a <strong>di</strong>pingere”. Con un confronto <strong>che</strong> lascia intendere un <strong>di</strong>alogo<br />
intimo e colto, rammenta le val<strong>li</strong> “spog<strong>li</strong>e e deserti<strong>che</strong>, sotto i suoi occhi assorti, simile alle Tebai<strong>di</strong><br />
del nostri classici del 400”. Un parallelo <strong>che</strong> non può stupire se si pensa alla profonda cultura<br />
artistica <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> coralmente riconosciuta 75 e all’attenzione con cui già dai suoi primi anni – anzi<br />
<strong>più</strong> <strong>che</strong> mai nei primi due decenni <strong>di</strong> attività – eg<strong>li</strong> rime<strong>di</strong>tò l’antico, ma sempre con occhi moderni<br />
e persona<strong>li</strong>. Questo legame profondo con la tra<strong>di</strong>zione è testimoniato an<strong>che</strong> dal suo modo <strong>di</strong><br />
lavorare quasi da antica bottega, da quel suo scrivere nel 1919 a Carlo Carrà <strong>di</strong> avere trovato “in<br />
una mesti<strong>che</strong>ria g<strong>li</strong> ultimi pezzi <strong>di</strong> una bella terra rossa <strong>che</strong> veniva levata una volta nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong><br />
Assisi e <strong>che</strong> da molto tempo non si trova <strong>più</strong>. Mescolata al bianco dà un rosa molto bello come si<br />
vede neg<strong>li</strong> affreschi antichi. Se come faccio io <strong>Le</strong>i si macina i colori me lo <strong>di</strong>ca <strong>che</strong> g<strong>li</strong>ene manderò<br />
70<br />
Ivi, pp. 207-208.<br />
71<br />
M. Semff, G<strong>li</strong> ultimi <strong>paesaggi</strong> <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong> 1890-1990 mostra del centenario, catalogo della<br />
mostra (Bologna, Galleria comunale d’arte moderna), a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Milano 1990, pp. 52-54.<br />
72<br />
F. Zeri, Abecedario pittorico, a cura <strong>di</strong> M. Carminati, Brezzo <strong>di</strong> Bedero (Varese), 2007, pp. 173-175.<br />
73<br />
M. Luzi, citato da M. Pasqua<strong>li</strong>, L’immagine dell’assenza, in Giorgio Moran<strong>di</strong>. L’immagine dell’assenza cit. 1994, p.<br />
12.<br />
74<br />
M. Luzi, La iniziazione a Moran<strong>di</strong>, in Giorgio Moran<strong>di</strong>. Oggetti e stati d’animo, catalogo della mostra (Brescia,<br />
Palazzo Martinengo) a cura <strong>di</strong> M. Pasqua<strong>li</strong>, Milano, 1996, p. 19.<br />
75<br />
Lo ricorda lo stesso Luzi (Ivi, p. 19): “Nussun artista aveva la cultura artistica <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong>”.<br />
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