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stato vedovile - famigliaviva

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quale esiste appunto come maschio o come femmina (non si parla<br />

ancora di uomo e donna, come accadrà in Gen 2). L’uno non esiste<br />

come essere isolato (né tanto meno superiore), ma esiste solo nel<br />

suo incontro con l’altra, entrambi con la stessa dignità, complementari<br />

nella loro diversità. Dio li vuole e li crea così, e, ammirando<br />

la sua opera, afferma che, sì, è proprio cosa molto buona o bellissima<br />

(v. 31). Maschio e femmina, benedetti da Dio, ricevono una missione<br />

(vv. 28-29), partecipano dello stesso potere creatore di Dio:<br />

siate fecondi e moltiplicatevi.<br />

Nel secondo testo, Gen 2,4b-3,24, la creazione viene narrata<br />

in modo diverso. In Gen 2,7 Dio plasma l’essere umano (adam),<br />

traendolo dalla terra, dall’argilla (adamah), come poi gli animali<br />

(v. 19) e soffia nelle sue narici un alito di vita (nefes˘). Poi Dio pianta<br />

un giardino e vi pone l’uomo (v. 8), perché lo coltivi e lo custodisca<br />

(v. 15). Ma l’uomo è SOLO. E se in Gen 1,31, dopo aver creato l’essere<br />

umano (maschio e femmina), Dio aveva esclamato: «È cosa<br />

molto buona», in Gen 2,18 dice: «Non è bene che l’uomo sia solo!<br />

Voglio fare per lui un aiuto ( c ezer) che gli corrisponda (k e negdô)». E<br />

cioè qualcuno che possa stare di fronte a lui, un partner (non si<br />

esprime assolutamente una gerarchia).<br />

L’uomo ha bisogno di vivere in relazione, di completarsi e<br />

integrarsi. Non basta un qualsiasi essere vivente per colmare questa<br />

profonda aspirazione, non bastano gli animali a colmare questo<br />

vuoto, ma il libro della Genesi ci dice che l’uomo deve entrare in<br />

relazione con un essere in tutto e per tutto simile a lui. «Un aiuto<br />

che gli corrisponda» aveva detto Dio. E, per salvare l’uomo dalla<br />

solitudine, prende una costola dall’uomo, plasma la donna e Lui<br />

stesso la presenta all’uomo. Appena la vede adam prorompe in un<br />

grido di gioia e di stupore: «Questa sì è carne della mia carne, e osso<br />

delle mie ossa. La si chiamerà donna (is˘s˘à), perché è stata tolta dall’uomo<br />

(is˘). E per questo l’uomo (is˘) abbandonerà suo padre e suo<br />

madre e si unirà alla sua donna (is˘s˘â) e i due saranno una sola<br />

carne (basar)». L’uomo è visto ora nella sua individualità: si qualifica<br />

come is˘ (in greco anèr, in latino vir) e constata un fatto che non<br />

dipende da lui, ma solo da Dio. Sente che c’è comunione tra lui (is˘)<br />

e questa is˘s˘à ancora senza nome che gli sta davanti, che Dio stesso<br />

gli ha dato come aiuto per salvare la sua esistenza minacciata dalla<br />

solitudine. Questa comunione non è dovuta all’iniziativa dell’uomo,<br />

ma è voluta da Dio: una comunione profonda, totale, sia spirituale<br />

che fisica. È importante notare che l’espressione “si unirà a sua<br />

moglie” non si riferisce solo alla sfera sessuale. Il verbo che rende<br />

questa espressione nel testo ebraico (radice dabaq) indica una relazione<br />

interpersonale molto profonda: è usato infatti non solo per<br />

indicare fedeltà o attaccamento (come in 2Sam 20,2) o un legame<br />

d’amore (come in 1 Re 11,2), ma anche (nel Sal 63,9) per esprimere<br />

l’unione con Dio (“A te si stringe l’anima mia e la forza della tua<br />

STATO VEDOVILE: TRA PERDITA E RISORSA

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