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ORFEO 9. - Zona Editrice

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qualcosa a qualcuno. Ma un sì che fosse uno, lo avessi mai ricevuto. Eppure molti<br />

di quei progetti sono poi andati in porto, spesso con esito del tutto positivo, ma<br />

questo l’ho dovuto alla mia capacità – venuta col tempo – di stracciare la letterina<br />

di cortese rifiuto e rispondere (con la dovuta diplomazia) “del vostro no adesso vi<br />

dico che cosa ci dovete fare”. Gli eredi Gershwin scrivevano chiaro e tondo: “non<br />

ci pensate nemmeno”. Oggi so che spesso è un inizio consueto in quella sorta di<br />

trattative, e mira a rialzare il costo dei diritti; ma nel caso del capolavoro in questione<br />

il veto veniva da ragioni più sostanziali. Porgy and Bess, nella sua forma completa<br />

teatrale, è a tutt’oggi qualcosa di assolutamente intoccabile. A noi, feriti e<br />

messi nei guai da quel rifiuto, sembrò improvvisamente che l’esperimento di quel<br />

grande precursore della pop music – un esperimento operistico – avesse preso poi<br />

dell’Opera anche gli aspetti peggiori: chiusura, conservatorismo, musealità, routine,<br />

e tutto ciò improvvisamente usato contro di noi. Ma noi chi eravamo per<br />

pensare di scardinare queste barriere?<br />

Eravamo dei disperati, ecco chi eravamo. Ce ne tornammo al vecchio juke-box<br />

di un baretto del Lungotevere, Angelo ed io, luogo abituale delle nostre meditazioni<br />

più gravi. Su quello stesso juke-box proprio Angelo, anni prima, mi aveva fatto<br />

ascoltare a forza Bob Dylan, cambiando così la mia vita nel giro di una canzone.<br />

Ora la mia vita rischiava di cambiare di nuovo, e molto in peggio, dunque eccoci di<br />

nuovo seduti a quel baretto, fissi nel vuoto.<br />

Il fatto assurdo non consisteva tanto nel rifiuto incassato, ma nella surreale<br />

situazione di trovarci con il Teatro Sistina in mano, noialtri sbarbati, e non avere<br />

nulla da rappresentarci. Chi glielo andava a raccontare a Garinei & Giovannini?<br />

Come giustificavamo la leggerezza di avere – ancora un volta, a guardar bene,<br />

dopo il veto di Dylan all’“Opera Beat” – fatto i conti senza l’oste? Alla compagnia<br />

cosa raccontavamo? E soprattutto: come fare a non perdere il teatro? Generazioni<br />

di attori e registi avevano sognato invano di metter piede su quel palcoscenico, a<br />

noi veniva praticamente regalato, e dovevamo girare i tacchi, “arrivederci, abbiamo<br />

scherzato”? Chiesi a Angelo: “Se domattina ti fornisco un progetto alternativo,<br />

ci vai tu a presentarglielo?”.<br />

“Quale progetto alternativo? Dev’essere alternativo un sacco, per cavarci da<br />

questo casino”.<br />

”Non ho la minima idea. Penserò qualcosa. Devo pensare qualcosa”.<br />

Quella notte, passatemi l’ovvietà, io non la dimenticherò mai. Ero solo. Non<br />

pensatemi in una famiglia: dall’età di sedici anni vivevo praticamente in autonomia<br />

completa, con una tata e una cagnetta, niente genitori da cui rifugiarsi, nessun<br />

papà celebre vivente a cavarmi dai guai. Ero solo. E da solo nella mia camera, con<br />

la mia fantasia unico strumento a disposizione per risolvere un problema che a<br />

raccontarlo adesso può anche sembrare eccitante, ma che a viverlo lì e allora era<br />

di un’angoscia straziante, mi presi la testa fra le mani e mi persi in un vortice di sì<br />

e di no, di pro e di contro su qualsiasi cosa mi passasse per la testa. Credo di aver<br />

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