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tutto, tranne che nel leggere quel riassunto di un antico mito, alla luce di un’abatjour,<br />
seduto allo stesso tavolino su cui avevo studiato fin dalle elementari, pallido di<br />
sonno e stress, mentre i primi uccelli cominciavano a cinguettare di fuori, un<br />
inaspettato senso di liberazione, di predestinazione avrebbe preso a riscaldarmi<br />
l’anima e a curare il mio terrore, la mia terribile solitudine di quella notte. Leggevo<br />
e mi dicevo, esattamente con l’imbambolamento stressato che state immaginando:<br />
“Ehi, ma questo non sta accadendo per caso... Ma questa storia qui ci rappresenta<br />
tutti... Ma questo è un messaggio dal passato remoto che però parla chiaramente<br />
di tutti noi, qui ed ora... Come è possibile che io ci sia arrivato in questo modo?”.<br />
Esatto, povero Tito sconvolto dalla disperazione: in altre parole si trattava di un<br />
mito, e come tale parlava di tutti noi, certo, qui ed ora, e sempre. E come tutti i miti<br />
aveva fatto il suo mestiere anche quella mattina, si era presentato nel momento<br />
della richiesta, della necessità, del vuoto, proprio come il responso che esce da I-<br />
Ching o dalla voce della Sibilla, come il qualcosa che non ha senso se non sei privo<br />
di senso, che non vuol dire nulla se non vuoi ascoltare.<br />
Bene. A quel punto avrei anche potuto credere di aver già fatto la metà di quel<br />
che mi spettava. Non avevo avuto l’idea? Nota dell’autore per chi possa essere<br />
interessato a questo tranquillo mestiere: l’idea non conta nulla, mai. Il cosa e il chi<br />
stanno a zero. Tutto dipende dal come. Non l’ho detto io, quindi dev’essere vero.<br />
Già, avuta la geniale idea cosa restava da organizzare, in fondo? Dettagli: convincere<br />
G&G a cambiare i cavalli in corsa sulla base di un progetto fatto solo di<br />
parole; trovare un autore che riscrivesse l’antica storia e inventasse un copione,<br />
no, peggio, un libretto; trovare un musicista che capisse di cosa stavo parlando<br />
quando dicevo “opera-rock”; frullare, cucinare, allestire, e badare che fosse una<br />
cosa buona. Il tutto in duecentosettanta giorni, un terzo dei quali nel periodo delle<br />
vacanze. E nel frattempo non morire di fame.<br />
Comunque se il progetto fosse andato avanti secondo quello schema, oggi<br />
avremmo forse un musical di successo, o forse un fallimento immediato e dimenticato,<br />
ma non certo quello che Orfeo 9 significò per me da subito, e più tardi per<br />
moltissime persone. Le cose andarono in tutt’altra maniera, e la causa fu che nel<br />
momento stesso in cui decisi di fare il primo passo (in quella stessa mattina pallida<br />
di freddo e di sole) vidi chiarissimo che per vincere a quel gioco pericolosissimo<br />
non potevo che fare una puntata estrema, e la posta dovevo essere io, tutto intero.<br />
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