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ORFEO 9. - Zona Editrice

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facce era in un ufficio di via del Corso. Man mano che incontravo attori e attrici le<br />

pareti si popolavano di foto e appunti. Si trattava di trovare prima di tutto i visi<br />

ideali da accoppiare alle voci dei personaggi minori e del coro. Poi (cosa tutt’altro<br />

che facile) bisognava che i selezionati dimostrassero di saper cantare in playback,<br />

ossia seguire la colonna sonora con totale disinvoltura sia nella recitazione (difficile)<br />

che nel sincrono delle labbra con la pronuncia dei cantanti (difficilissimo!).<br />

Alcune di queste tecniche potranno sembrare ovvie, ma di tanto in tanto vorrei<br />

ricordare che eravamo nei primi anni Settanta. La cultura e la preparazione degli<br />

attori italiani per quanto riguardava la commedia musicale, specie se filmata, era<br />

meno di zero. Non esisteva nulla di simile a quello che oggi chiamiamo videoclip a<br />

dare esempio corrente di come la musica potesse essere accoppiata alla narrazione.<br />

Il playback era specialità dei soli cantanti di musica leggera, alcuni dei quali si<br />

distinguevano per la loro abilità nel seguirlo con precisione. Tra gli addetti ai lavori<br />

si sapeva per esempio che mentre Rita Pavone aveva una capacità quasi magica di<br />

sincronizzare le labbra alla base registrata, altri, come Mina, trovavano serie difficoltà.<br />

In ogni caso restava un problema dei big della musica leggera e delle loro<br />

trasmissioni televisive, o molto raramente di qualche film musicale, sempre interpretato<br />

rigorosamente da un colosso della canzonetta. Un attore-cantante (o cantante-attore)<br />

al di fuori del giro Sanremo/Castrocaro/Studio Uno proprio non esisteva.<br />

Chi si prese la gatta da pelare fu Alfredo Muschietti. Era un ragazzo argentino,<br />

di professione montatore cinematografico, che non scelsi io per il semplice<br />

motivo che non lo conoscevo. Fu un contributo di Mario Orfini alla crescita di<br />

quell’equipe ottimale cominciata con la realizzazione della colonna sonora e che<br />

ora continuava e migliorava quasi per predestinazione. Infatti non potevo ancora,<br />

prima di girare, apprezzare le doti di Alfredo alla moviola, ma mi resi conto immediatamente<br />

che ero in presenza di un vero musicista. Muschietti era in grado di<br />

leggere una partitura e di seguirmi nel pensare il montaggio di un film in termini<br />

musicali, cosa che a parer mio dovrebbe essere non inconsueta ma addirittura<br />

obbligatoria. Insomma ci capimmo al volo. Lo incaricai di studiarsi per bene tutta<br />

l’opera e di prepararsi a mettere sotto torchio i futuri prescelti per sincronizzare le<br />

loro labbra alla base. La cosa mi preoccupava moltissimo. Il budget del film era di<br />

40 milioni, contro i 120 di un film a costo medio-basso dell’epoca. Da quei 40<br />

milioni erano già stati sottratti quelli necessari alla registrazione della colonna sonora<br />

(fatevi due conti), perciò avevamo una cifra ridottissima per le riprese, e, fra<br />

le diverse spese principali, per la pellicola. Avere degli attori a disagio col playback<br />

poteva significare dover ripetere le riprese più delle due o tre volte concesse,<br />

gettando pellicola preziosa, oppure accettare un sincrono rovinoso. Questo per<br />

me non era neanche immaginabile. Come contromisura accettai di girare in 16<br />

millimetri, un formato dai costi dimezzati (salvo poi la possibilità di gonfiare il film<br />

a 35 millimetri) e soprattutto spronai Muschietti al suo lavoro. I risultati si dimostrarono<br />

perfetti. Fateci caso, non c’è un vero “fuori sync” in tutti gli 80 minuti.<br />

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