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3. PARTENZA DEL “PROGETTO-OMBRA”<br />
Nell’appartamento di Vigna Clara non ci saranno stati i mobili, ma c’era un<br />
impianto stereo. Comprato alla Rinascente! La novità più succosa nell’avvento<br />
dell’hi-fi era poter compiere le prime elementari operazioni di equalizzazione della<br />
musica, e la mia meditazione preferita diventava ogni giorno di più evidenziare con<br />
pazienza una linea di basso, o esagerare un volo di archi acuti esaltandone le frequenze<br />
estreme. Questo era consueto sui vinili del Rock, ma a me veniva spontaneo<br />
anche sulle vecchie registrazioni d’opera o sinfoniche che mi ero portato in<br />
dotazione per la convivenza. Così oltre alla musica di consumo corrente (incredibile<br />
oggi vedere come potessero incantarci allo stesso modo esperienze capitali<br />
come quelle dei Pink Floyd e meteore della scena pop come i Vanilla Fudge! Ma<br />
tant’è...) passavano per le montagne russe dei filtri del mio amplificatore generi e<br />
titoli di ogni sorta.<br />
La storia fra Penny e me era nata e cresciuta all’insegna della musica. Era della<br />
musicista in lei che mi ero innamorato, prima ascoltandola (e guardandola) cantare<br />
alla chitarra il repertorio storico di Joan Baez, più tardi scoprendo quanto profondamente<br />
avesse intuito i miei gusti e le mie possibilità. Mi presentava i dischi che<br />
amava riuscendo a indirizzare la mia attenzione su splendidi dettagli nascosti ma<br />
soprattutto sul legame perfetto tra musica e testo, primato di tutta la canzone<br />
anglosassone dell’epoca. E in questo contribuiva alla progressiva fusione, dentro<br />
di me, fra la narrazione in musica dei tempi gloriosi, quelli del Melodramma, e<br />
quella capacità di sintesi tipica del Rock anni Settanta, che nel giro di una canzone<br />
poteva far nascere dal nulla un vero e proprio piccolo episodio di drammaturgia<br />
musicale. E allora valanghe di Jimi Hendrix, Jefferson Airplane, Cream, o l’incredibile<br />
Frank Zappa, ma anche scoperte per me sorprendenti e ritardate come Ravi<br />
Shankar, la Missa Criolla, o la musica andina... E ovviamente i Beatles.<br />
Io non ricordo nulla di simile all’attesa – frenetica – dell’uscita di un album dei<br />
Beatles. Per quello che posso valutare, ci furono pochissimi casi, nella storia della<br />
Musica, di una vera fame del “prossimo episodio” come quella vissuta dalla mia<br />
generazione a partire dalla pubblicazione di Revolver. Era pari forse solo all’attesa<br />
del prossimo capolavoro di un Verdi o di un Puccini ai tempi d’oro dell’Opera. Si<br />
trascorrevano gli ultimi giorni prima dell’uscita del disco in uno stato di vera e<br />
propria euforia, insonnia, anticipazione. Una volta messe le mani sul vinile si partiva<br />
per un’esperienza di ascolto che era un ascolto assoluto, simile forse solo a<br />
quello che un vero critico musicale opera sui capolavori immortali. Ogni frase di<br />
quelle rapsodie dei nostri giorni veniva analizzata ed esplorata, alla ricerca di livelli<br />
più profondi, di significati più nascosti. Ogni battuta riconosciuta e collocata all’interno<br />
di strutture compositive di largo respiro, temi dominanti, variazioni, esattamente<br />
come accade con una sinfonia o un concerto classico. Quei testi e quelle<br />
melodie, quelle atmosfere e quegli arrangiamenti, quegli “effetti speciali” nel mixaggio