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ORFEO 9. - Zona Editrice

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8<br />

3. PARTENZA DEL “PROGETTO-OMBRA”<br />

Nell’appartamento di Vigna Clara non ci saranno stati i mobili, ma c’era un<br />

impianto stereo. Comprato alla Rinascente! La novità più succosa nell’avvento<br />

dell’hi-fi era poter compiere le prime elementari operazioni di equalizzazione della<br />

musica, e la mia meditazione preferita diventava ogni giorno di più evidenziare con<br />

pazienza una linea di basso, o esagerare un volo di archi acuti esaltandone le frequenze<br />

estreme. Questo era consueto sui vinili del Rock, ma a me veniva spontaneo<br />

anche sulle vecchie registrazioni d’opera o sinfoniche che mi ero portato in<br />

dotazione per la convivenza. Così oltre alla musica di consumo corrente (incredibile<br />

oggi vedere come potessero incantarci allo stesso modo esperienze capitali<br />

come quelle dei Pink Floyd e meteore della scena pop come i Vanilla Fudge! Ma<br />

tant’è...) passavano per le montagne russe dei filtri del mio amplificatore generi e<br />

titoli di ogni sorta.<br />

La storia fra Penny e me era nata e cresciuta all’insegna della musica. Era della<br />

musicista in lei che mi ero innamorato, prima ascoltandola (e guardandola) cantare<br />

alla chitarra il repertorio storico di Joan Baez, più tardi scoprendo quanto profondamente<br />

avesse intuito i miei gusti e le mie possibilità. Mi presentava i dischi che<br />

amava riuscendo a indirizzare la mia attenzione su splendidi dettagli nascosti ma<br />

soprattutto sul legame perfetto tra musica e testo, primato di tutta la canzone<br />

anglosassone dell’epoca. E in questo contribuiva alla progressiva fusione, dentro<br />

di me, fra la narrazione in musica dei tempi gloriosi, quelli del Melodramma, e<br />

quella capacità di sintesi tipica del Rock anni Settanta, che nel giro di una canzone<br />

poteva far nascere dal nulla un vero e proprio piccolo episodio di drammaturgia<br />

musicale. E allora valanghe di Jimi Hendrix, Jefferson Airplane, Cream, o l’incredibile<br />

Frank Zappa, ma anche scoperte per me sorprendenti e ritardate come Ravi<br />

Shankar, la Missa Criolla, o la musica andina... E ovviamente i Beatles.<br />

Io non ricordo nulla di simile all’attesa – frenetica – dell’uscita di un album dei<br />

Beatles. Per quello che posso valutare, ci furono pochissimi casi, nella storia della<br />

Musica, di una vera fame del “prossimo episodio” come quella vissuta dalla mia<br />

generazione a partire dalla pubblicazione di Revolver. Era pari forse solo all’attesa<br />

del prossimo capolavoro di un Verdi o di un Puccini ai tempi d’oro dell’Opera. Si<br />

trascorrevano gli ultimi giorni prima dell’uscita del disco in uno stato di vera e<br />

propria euforia, insonnia, anticipazione. Una volta messe le mani sul vinile si partiva<br />

per un’esperienza di ascolto che era un ascolto assoluto, simile forse solo a<br />

quello che un vero critico musicale opera sui capolavori immortali. Ogni frase di<br />

quelle rapsodie dei nostri giorni veniva analizzata ed esplorata, alla ricerca di livelli<br />

più profondi, di significati più nascosti. Ogni battuta riconosciuta e collocata all’interno<br />

di strutture compositive di largo respiro, temi dominanti, variazioni, esattamente<br />

come accade con una sinfonia o un concerto classico. Quei testi e quelle<br />

melodie, quelle atmosfere e quegli arrangiamenti, quegli “effetti speciali” nel mixaggio

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