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prosecuzione di un progetto che non poteva, non doveva esaurirsi nelle cinque<br />
recite programmate al Piper quando, soltanto una settimana prima, ancora nemmeno<br />
ci sognavamo un risultato del genere. Giancarlo Bornigia del resto era stato<br />
chiaro: “Io possiedo una sala da ballo, mica un Music Hall”, e aveva rifiutato<br />
qualsiasi proroga, infischiandosene coerentemente delle richieste di biglietti che<br />
arrivavano da tutta Italia.<br />
Attratto dal rumore dell’evento si era però presentato un impresario teatrale di<br />
una certa fama, offrendosi di organizzare una tournée. E a me tutto questo pareva<br />
naturale! Anni dopo avrei capito quanto quell’offrirsi spontaneo da parte di un<br />
pescecane dello show business fosse stato il segno della completa straordinarietà.<br />
Sul momento, invece, recensioni magnifiche, applausi, lodi e proposte non mi<br />
sorprendevano. Avevo fatto una cosa buona, come mi aspettavo era andata bene e<br />
adesso si poteva sfruttarla al meglio. Che c’era di strano?<br />
In realtà, ora lo so, avrei dovuto andare da Fabrizio Bogiankino, che dirigeva il<br />
Piper (lui aveva intuito immediatamente le potenzialità del progetto quando il suo<br />
sovreccitato presentatore – come detto, era il mio lavoro al Piper – glielo aveva<br />
descritto nel suo ufficio fumosissimo in una pausa fra un annuncio e l’altro), avrei<br />
dovuto buttargli le braccia al collo, e dirgli cento, mille volte grazie per avermi<br />
prodotto e sostenuto. Lo stesso valeva per Enrico Lucherini, un mago assoluto<br />
delle pubbliche relazioni che praticamente ci regalò il suo preziosissimo lavoro. Ma<br />
a vent’anni questo tipo di attenzioni non le hai ancora imparate e rischi di passar<br />
subito – giustamente – per uno che non è grato.<br />
“Dividiamoci la torta” avevo detto a Penny prendendo carta e matita per buttar<br />
giù qualche preventivo sulla ripresa dello show. Io ero ingenuo, lei era americana.<br />
Anche per lei un successo era qualcosa che doveva naturalmente trasformarsi in<br />
ricchezza e possibilità di lavoro ulteriore. Sbagliato. Non eravamo in America. Non<br />
fuori di noi.<br />
Venne un preventivo di cinquanta milioni di lire. Cinquanta milioni del 1967 da<br />
chiedere a un impresario disponibilissimo sbucato dal nulla. Fino a una settimana<br />
prima la mia paga di secondo assistente alla regia nel cinema era stata di trentamila<br />
lire a settimana, e da presentatore ne prendevo duemila ad annuncio. Ma ribadisco,<br />
mi pareva normale! Anche l’impresario fece finta di considerarlo normale, non<br />
voleva precludersi nessuna strada, hai visto mai. Disse che sì, come no, certamente,<br />
e disse anche che sarebbe tornato a giorni. Mi consigliò di mettere sotto<br />
contratto tutti gli elementi del cast. Così mi dannai l’anima per ottenere dalle madri<br />
di alcune ragazze sedicenni l’autorizzazione a portarle in tournée fra musicisti,<br />
cantanti e ballerini assatanati. Sulla base di un pezzo di carta dell’impresario – una<br />
lettera d’intenti tutta di suo pugno che è fra i miei poster preferiti – mi esposi<br />
personalmente e riuscii a chiudere tutti i contratti. A mio nome! Cercai il famoso<br />
impresario al telefono. Mai più visto o sentito.<br />
Non lo biasimo, d’altronde. A mente fredda, trascorso il furore mediatico scatenatosi<br />
sull’evento, si sarà chiesto come fare a vendere nella provincia italiana,