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ORFEO 9. - Zona Editrice

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26. RENATO ZERO, E ALTRI NUMERI<br />

Ogni diversa base era stata registrata in ordine sparso, non cronologico, secondo<br />

piani di pura convenienza pratica. Quando ognuna ebbe avuto la sua serie di<br />

sovrapposizioni (archi, fiati, eventuali strumenti solisti anche elettronici e coro) la<br />

mezza dozzina di nastri multitraccia che contenevano il nostro lavoro vennero spediti<br />

a Roma via corriere. Si trattava di pizze di nastro magnetico di altezza spropositata.<br />

Una la vedete inserire su un registratore all’inizio del film. Ed erano a sole<br />

otto piste. In seguito sarebbero arrivati quelle a sedici, alte il doppio, poi a ventiquattro...<br />

Tecnologia analogica che oggi pare arcaica ma che catturava il suono con<br />

una pienezza e completezza che l’odierno digitale fatica ad eguagliare. I nastri approdarono<br />

alla collina Fleming, una zona residenziale romana sopra corso Francia,<br />

dove in fondo a via Bevagna, in un fabbricato indipendente a un solo piano, avevo<br />

visto per tutta la mia adolescenza una farmacia. Ora – sorpresa! – la farmacia era<br />

diventata uno studio di registrazione. Si trovava al numero civico 38, quindi non<br />

l’avevano battezzato né Studio 37 né Studio 3<strong>9.</strong> Non era un granché ma per incidere<br />

le voci andava bene. In un futuro non lontano sarebbe diventatato la sala preferita<br />

della casa discografica IT di Vincenzo Micocci, già impegnato in quei giorni nella<br />

costruzione del movimento chiamato Scuola Romana. I primi passi di Francesco<br />

De Gregori, di Antonello Venditti e di Richard Cocciante, poi di Rino Gaetano e tanti<br />

altri, sarebbero stati mossi da lì. E infine gli uffici stessi della IT si sarebbero<br />

spostati del tutto, fisicamente, in quelle stanze, sostituendosi ai registratori e ai<br />

microfoni, e questa è ancora la situazione al momento in cui scrivo. Ma nei primi<br />

mesi del ’72 eravamo ancora in uno studio di registrazione che puzzava vagamente<br />

di medicinali. E qui ci preparavamo a sovrapporre il canto alle basi.<br />

La ricerca dei nostri protagonisti era andata di pari passo con le registrazioni<br />

milanesi. Mi ero prima di tutto chiesto quanti del cast del Sistina potessero passare<br />

a questa fase. Non era facile. Dovevo tenere presente che il prodotto finale era un<br />

film. Chi interpretava un ruolo principale su nastro volevo lo facesse anche su<br />

pellicola. Non era tanto per la polemica in atto sul cosiddetto “voce-volto”, che in<br />

quei giorni agitava il mondo del cinema come reazione all’eccesso di bei faccini<br />

imbranati doppiati (e salvati) da attori professionisti. Era proprio che ci credevo:<br />

volevo che il pubblico sapesse che i talenti completi erano tali. Niente trucchi.<br />

Quindi, per esempio, non me la sentii di confemare Giovanni Ullu nella parte dell’autostoppista.<br />

Aveva – ed ha – una voce splendida, suonava e suona una chitarra<br />

classica magistrale, ma non era un attore. Così preferii spostarlo all’inizio della<br />

storia, come voce solista d’apertura. Essendo un ruolo minore, si poteva tollerare<br />

che il volto non fosse il suo. A sostituirlo nella Coppia chiamai Roberto Bonanni,<br />

uno splendido attore-cantante che avevo conosciuto sul palcoscenico di Hair,<br />

dove aveva interpretato Claude per lunghi periodi. In realtà veniva dal teatro di

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