02.06.2013 Views

Capitolo XII – Situazione morale e religiosa della Slavia cividalese

Capitolo XII – Situazione morale e religiosa della Slavia cividalese

Capitolo XII – Situazione morale e religiosa della Slavia cividalese

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>XII</strong> <strong>–</strong> SITUAZIONE MORALE E RELIGIOSA DELLA SLAVIA CIVIDALESE - 277<br />

opinione. Nelle competizioni private si fa ancora troppo spesso ricorso alle liti ed agli<br />

avvocati, fonti d’odio e causa di miseria (Ivi, p. 19)».<br />

Più che carattere questo è il tipico stile delle popolazioni che in passato disponevano di<br />

istituzioni locali assai più coinvolgenti e decisionali delle cosiddette elezioni politiche sia in<br />

campo civile che religioso. Sulla parlata locale: «Queste varianti però non impediscono che i<br />

canebolesi comprendano la parlata <strong>della</strong> Val Natisone, oppure del Caporettano ed altre<br />

località in cui si insegna e scrive in sloveno». Il catechismo sempre in sloveno; anche i preti<br />

friulani in cura lo hanno imparato. Le Litanie lauretane furono insegnate da pre Andrea Zani<br />

da Faedis in sloveno. Le disposizioni ecclesiastiche «richiedono che si continui a dispensare<br />

la divina parola nella lingua del popolo... senza timori di conseguenze politiche, perché la<br />

Chiesa insegna sempre ed ovunque l’ubbidienza alle autorità ed alle leggi: Deum time, regem<br />

honora...». Don Leone Mulloni, parroco di Faedis, una volta al mese a Canebola predica in<br />

italiano: «Io le dico francamente, confessa un uomo al cappellano, che non capisco nulla di<br />

quanto predica il Parroco e dire che ne ho fatto di viaggi attraverso il Friuli e per Udine<br />

quand’ero giovane. A S. Giovanni si capisce ancora qualche cosa, perché è sempre la stessa<br />

storia e si sa già prima come la va a finire (Ivi, p. 22)».<br />

Questo prete ha le idee più chiare del necessario, perché coltiva un ideale e si identifica<br />

con una tradizione eccellente che meritano la sua cordiale condivisione. Perché deprimerli,<br />

perché non favorirli? Non si tratta forse di una ricchezza da mettere a disposizione di tutti,<br />

proteggendola da un nazionalismo becero in piena virulenza? In realtà la sua perorazione<br />

punta a salvaguardare un diritto naturale più che insistere sulla presunta urgenza funzionale<br />

magari al servizio <strong>della</strong> fede.<br />

Subito sotto, inserito più tardi da don Antonio Vidimar, vi è una sintesi dello studio<br />

storico: Faedis, notizie storiche, del dott. don G. Pierini, 1934, p. 75: «Da parecchi lustri il<br />

Pievano di Faedis usa ora la lingua italiana anche nelle predicazioni che tiene nelle chiese<br />

delle borgate slovene e viene ascoltato con piacere dalla popolazione, la quale, fatta eccezione<br />

di qualche vecchierella e dei bambini che non hanno frequentato le scuole, comprende bene<br />

tanto il friulano che l’italiano. Anzi è tale in queste filiali il vincolo di unione alla Pieve che<br />

non accettarono mai di esserne divise, nemmeno quando la divisione fu loro offerta<br />

dall’autorità ecclesiastica (Ivi, p. 46)».<br />

E così quello che sostiene il cappellano è contraddetto dallo storico. Bisogna collocarsi<br />

sulla difesa di un diritto naturale! Don Antonio Vidimar proviene da Vernassino. Al suo<br />

arrivo, nel 1928, deve affrontare un crisi dei cantori a seguito di un’ubriacatura generale presa<br />

alla festa da ballo. Il cappellano è severo contro il ballo e per ostacolarlo sospende le<br />

processioni: si ripete la ribellione dei cantori con ballo fino all’alba e ubriacature solenni.<br />

Rileva inoltre una strana abitudine: giovani ed uomini assistono alla messa in sacrestia o nel<br />

campanile, con il cappello in testa e con il sigaro in bocca in cicalecci. La strategia<br />

pedagogica gli suggerisce di pazientare per due anni e poi invita alla “normalità”. «Alcuni<br />

obbedirono subito altri non si piegarono se non quando il cappellano ritardando per protesta<br />

la S. Messa era in procinto di farne noto il motivo a tutti i fedeli in Chiesa». Altro abuso:<br />

canzoni dei giovani davanti alla chiesa: proibito. «Speriamo che il noce, in località Ruobija,<br />

come anticamente, di nuovo accolga benigno alla sua ombra i giovanotti per le loro cantate<br />

(Ivi, p. 59)».<br />

Una volta i giovani cantavano, ora indossano le cuffie.<br />

Il vero problema era il ballo, “innocente” diversivo popolare, “infernale” occasione di<br />

peccato per i preti. La festa del titolare, S. Giovanni Battista, 24 giugno: i giovani suonano le<br />

campane per richiamare la gioventù dei dintorni. Ma non giunge la licenza; sono convinti che<br />

c’è lo zampino dello zelo indiscreto del cappellano; sciopero dal canto e dal servizio alla<br />

processione. «Da notare che alla sagra di quest’anno, mentre le danze fervevano, verso le 7,30<br />

pomeridiane si scatenò un furioso temporale con una terribile grandinata da compromettere<br />

quasi completamente il raccolto specialmente nella località Breg e oltre il cimitero Parveok.<br />

Quale la causa del flagello?». Per i giovani punizione al prete e viceversa (Ivi, p. 59) .

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!