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Ottavo Convegno di Analisi e Teoria Musicale<br />

Rimini, 4-6 Novembre 2010<br />

Istituto di Alta Formazione Artistica e Musicale "G. Lettimi"<br />

ABSTRACTS DELLE RELAZIONI PRESENTATE<br />

ENRICO BIANCHI<br />

Grana vocale e popular music<br />

La storia della popular music è caratterizzata dal crescente sfoggio del corpo vocale. Gli strumenti della<br />

tecnologia, a partire dalla riproduzione meccanica, hanno permesso di mettere in primo piano ogni<br />

dettaglio della vocalità e orientato l’attenzione dell’ascoltatore verso la corporeità del suono. Secondo tale<br />

prospettiva è indubbio che il corpo vocale acquista grande importanza come oggetto di ricerca.<br />

Il presente contributo trae origine da una riflessione critica riguardante il concetto di “grana della voce”<br />

coniato da Roland Barthes. La teoria Barthesiana della “grana” è nel contempo una teoria dei piaceri<br />

musicali e semiologica che si basa sulla distinzione tra i concetti di significato e significanza, ovvero tra<br />

due diversi livelli di senso in musica. Barthes intende per significato tutto ciò che in un’esecuzione<br />

rimanda alla comunicazione, espressione e rappresentazione per ingenerare il “plaisir” (piacere)<br />

dell’ascolto; mentre considera significanza la percezione di un elemento puramente materiale della voce,<br />

in grado di entrare direttamente in contatto col corpo dell’ascoltatore suscitandone “juissance”<br />

(godimento) [Barthes 1972].<br />

L’obbiettivo principale della presente ricerca consiste nel prendere in esame il concetto di “grana della<br />

voce” per verificare se, e in che modo, esso possa essere uno strumento valido per indagare le<br />

manifestazioni vocali nella popular music. La recente musicologia ha sottolineato come la musica, nel suo<br />

aspetto ritmico, abbia un legame stretto con il corpo e messo in evidenza in che modo tale relazione<br />

costituisca uno degli aspetti più significativi del fenomeno popular [Middleton 1990]. Ci riferiamo<br />

ovviamente non solo al ritmo in senso stretto, ovvero alle durate, ma a tutte le forme di periodicità che<br />

legano l’evento musicale al corpo umano. Da più parti è stato infatti evidenziato come tutti i parametri<br />

musicali siano riconducibili a principi ritmici in grado di entrare in risonanza col corpo umano e con i<br />

sistemi periodici che lo regolano. Sono note le ricerche riguardanti le “ritmicità testurali” e le figure<br />

gestuali profonde che le accompagnano [Cotner 2002], i cosiddetti somatemi, mentre forse non sono<br />

ancora indagati a sufficienza gli aspetti materiali e simbolicogestuali riguardanti il corpo vocale, anche<br />

per la scarsità di strumenti adatti a rilevare gli elementi più significativi del fenomeno. Per non correre il<br />

rischio di considerare la musica un fattore pre-cognitivo, va rimarcato che ogni legame tra musica e corpo<br />

è mediato dalla rappresentazione simbolica, come è riconosciuto dallo stesso Barthes che colloca<br />

l’affiorare della significanza in un ambito chiaramente simbolico: “quando il testo viene letto (o scritto)<br />

come un teatro mutevole di significanti, senza che sia possibile fare riferimento a uno o più significanti<br />

fissi” [Barthes 1977, 10].<br />

Verranno inizialmente sottoposte a vaglio critico le affermazioni di Barthes, in particolare mettendo in<br />

discussione alcuni assunti ideologici del suo ragionamento. Gia Middleton [1990] ha sottolineato come<br />

sia difficile operare una distinzione netta tra significato e significanza, poiché i due livelli sono<br />

inscindibilmente intrecciati. In altre parole sembra improbabile poter separare gli effetti dovuti ai<br />

significati più espliciti e quelli dovuti alla “grana”, tuttavia è certo che alcuni esecutori esibiscono più di<br />

altri il proprio corpo vocale e di conseguenza in questi casi l’attenzione dell’ascoltatore tende a dirigersi


verso informazioni veicolate dalle caratteristiche materiali della voce. Chiunque abbia provato ad<br />

esempio l’effetto piacevole generato da passaggi vocali in un linguaggio nonsense, in cui le parole del<br />

testo vengono trattate come elementi puramente musicali, probabilmente riconosce con certezza il<br />

livello significante di cui si sta trattando.<br />

In una ulteriore fase verrà proposta l’analisi comparata della vocalità di due cantanti (Céline Dion e<br />

Björk) per mostrare come queste interpreti personifichino due atteggiamenti antitetici in quanto a “grana”.<br />

Principale oggetto di questa indagine, condotta attraverso i mezzi dell’elettroacustica, saranno l’aspetto<br />

fonetico della pronuncia, micro-variazioni nell’altezza e nell’intensità, modulazioni e oscillazioni nel<br />

timbro di due performances vocali; essa mira all’individuazione di unità sonore confrontabili che possono<br />

adempiere a specifiche funzioni morfologiche. Sarà possibile ad esempio stimare lo sfruttamento del<br />

potenziale fonetico della pronuncia del testo, svelando le relazioni che intercorrono in alcuni casi tra i<br />

fonemi ed elementi del groove ritmico. Infine, riferendoci a studi che hanno approfondito gli aspetti<br />

simbolici del suono [Cano 1985] [Lacasse 2002], verrà considerato il profilo semantico delle vocalità<br />

prese in esame per porre in evidenza gli effetti di senso che le singole identità sonore rilevate potrebbero<br />

evocare.<br />

Il presente studio intende inserirsi nel dibattito riguardante il ruolo del Sound nelle espressioni musicali<br />

contemporanee, a partire da una constatazione: sono numerose le analisi che si concentrano sull’aspetto<br />

formale dei parametri tradizionali, mentre più rare quelle che tengono nel dovuto conto gli aspetti formali<br />

e simbolici delle dimensioni sonore percettivamente rilevanti.<br />

ESEMPIO: Björk, All is full of love, One Little Indian, cd singolo/1999, relazioni che intercorrono in tra i<br />

fonemi ed elementi del Groove ritmico. (in nero: Elementi del groove; in rosso: consonanti)<br />

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

BARONI M. (1996), Analisi musicale e giudizio di valore nella musica leggera, in R. Dalmonte (cur.),<br />

Analisi e canzoni, Università degli Studi di Trento, Trento, pp. 81-102.


BARTHES R. (1972), La grain de la Voix, “Musique en jeu”, 9, 57-63 (trad. it., La grana della voce, in<br />

L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Torino 1985, 257-266).<br />

BARTHES R. (1977), Image-music-text, London.<br />

CIFARIELLO CIARDI F. (1998), La connotazione dell'evento sonoro: un parametro musicale?, in<br />

Psicologia Cognitiva e Composizione musicale: intersezioni e prospettive comuni, edizioni Kappa, Roma.<br />

COTNER J.S. (2002), Il ritmo testurale in Careful with that axe, Eugene in “Rivista di Analisi e Teoria<br />

musicale”, vol. VIII/II, 133-155.<br />

CAMILLERI L. (2005), Il peso del suono, Apogeo, Milano.<br />

CANO C. (1985), Simboli sonori, Franco Angeli Libri, Milano.<br />

DELALANDE F. (2003), Les sons des musiques, INA- Buchet Chastel, Paris.<br />

FABBRI F. (1996), Il suono in cui viviamo, Feltrinelli, Milano.<br />

LACASSE S. (2002) Messa in scena vocale e funzione narrativa in Front row di Alanis Morisette, in<br />

“Rivista di Analisi e Teoria musicale”, vol. VIII/II, 157- 179.<br />

MIDDLETON R. (1990), Studying popular music, Open University Press, Buckingham (trad. it. Studiare<br />

la popular music, Feltrinelli, Milano 1994).<br />

STEFANI G. (1998), Musica: dall’esperienza alla teoria, Ricordi, Milano.<br />

STEFANI G. e MARCONI L. (1992), La melodia, Bompiani, Milano.<br />

DISCOGRAFIA<br />

BJORK, All is full of love, One Little Indian, cd singolo/1999<br />

CELINE DION, Falling into You, Columbia-Epic cd album/1996<br />

ALESSANDRO BRATUS – FEDERICO ZUOLO<br />

Etica della produzione o etica della ricezione? “The Diamond Sea” dei Sonic Youth tra noise e<br />

improvvisazione<br />

Il genere musicale definito come noise rappresenta probabilmente uno degli ambiti più interessanti nella<br />

recente storia della popular music anglo-americana, soprattutto perché è un ambito di confine in cui idee<br />

provenienti dalle ricerche d’avanguardia trovano un fertile terreno di incontro con le pratiche compositive<br />

popular. In questi esempi, come ha spesso sottolineato la letteratura critica che si è occupata di tale stile,<br />

la ricerca sull’utilizzo strutturale ed espressivo del rumore sviluppa, a partire da presupposti tratti<br />

dall’ambito della musica eurocolta, un proprio percorso di sperimentazione tanto sulle forme, quanto sulle<br />

sonorità del rock. Coerentemente con l’impostazione semiologica dei pochi contributi che sino stati<br />

prodotti sulla materia, l’attenzione per questo genere musica si è appuntata in particolar modo sul valore<br />

comunicativo implicito nell’uso di suoni dotati di significati potenziali ambigui e diversissimi, che<br />

drammatizzano l’esperienza dell’ascolto mettendo in crisi l’ascolto passivo e a la fruizione nonproblematica<br />

dell’evento musicale.<br />

In un tentativo, presentato per la prima volta in quest’occasione, di far convivere riflessione filosofica e<br />

analisi musicale, il paper si propone di affrontare il brano The Diamond Sea dei Sonic Youth (dall’album<br />

Washing Machine, 1995) dal punto di vista sia dei suoi possibili presupposti estetici, quanto della<br />

struttura formale e della tecnica. Si cercherà di dimostrare come in questo brano, molto rappresentativo<br />

della produzione globale del gruppo newyorkese, venga a crearsi una fusione tra due concetti diversi di<br />

improvvisazione e quindi di comunicazione nei confronti del pubblico. Da un lato l’idea di<br />

un’espressione estemporanea assolutamente libera da vincoli formali, dall’altro quella di<br />

un’estemporizzazione basata sulla ripetizione di elementi musicali minimi che permettono ai musicisti<br />

una concentrazione sulla trasformazione e sperimentazione sul suono come elemento centrale della<br />

composizione. Per approcciare il problema si farà riferimento a due presupposti fondamentali: l’idea


sviluppata da Cornelius Cardew di improvvisazione “etica”, in quanto assolutamente “democratica” dal<br />

punto di vista della performance ma al tempo stesso problematica nelle sue potenzialità comunicative, e<br />

quella di Jon Elster legata al concetto di limite nell’arte come generatore di valore artistico e della<br />

possibilità di un reale interscambio tra musicista e ascoltatori. The Diamond Sea, con la sua alternanza di<br />

sezioni riconducili alla forma canzone e lunghe parti improvvisative centrate sull’uso del rumore sembra<br />

voler conciliare queste due idee, nel tentativo di raggiungere un’espressione che concili l’etica<br />

individualista della free-improvisation con quella, etica anch’essa sotto il profilo della ricezione, della<br />

comunità degli ascoltatori. Si profila quindi in questa musica una convivenza tra principi apparentemente<br />

opposti che opera in maniera ambivalente, evitando di fare uso dei tratti più banali e triti della produzione<br />

della popular music anglo-americana ma senza per questo negare al proprio pubblico gli elementi minimi<br />

per una possibile condivisione del discorso portato avanti dalla canzone.<br />

A partire da un’analisi formale di The Diamond Sea e da una ricognizione dei meccanismi di ripetizione e<br />

variazione alla base del lungo sviluppo del brano, si tenterà infine di discutere tale tentativo nel quadro<br />

della contrapposizione tra individuo e collettività. La dimensione etica può infatti essere declinata sia<br />

come un’etica individuale, in quanto integrità e coerenza del soggetto rispetto ai propri principi (in linea<br />

con la visione di Cardew), sia come impegno alla comprensibilità collettiva del messaggio musicale. La<br />

sintesi dell’etica individuale espressiva e dell’esigenza di comprensibilità collettiva fornisce la cifra<br />

estetica dell’improvvisazione dei Sonic Youth. Dal punto di vista storiografico la posizione del gruppo,<br />

soprattutto per il suo tentativo di far convivere organicamente idee di avanguardia con sonorità e<br />

consuetudini compositive e d’ascolto tipiche della popular music, verrà definita sia sotto il profilo di una<br />

possibile ‘avanguardia popular’, sia della sua collocazione nel panorama musicale contemporaneo.<br />

Bibliografia essenziale<br />

Àlvarez Fernández, Miguel<br />

2007 Dissonance, Sex and Noise: (Re)Building (Hi)Stories of Electroacoustic Music, «Hz», 9,<br />

(consultato il 28 agosto 2010).<br />

Caporaletti, Vincenzo<br />

2005 I processi improvvisativi della musica. Un approccio globale, Lucca, LIM.<br />

2007 Out-Bloody-Rageous (Soft Machine, "Third",1970). La logica dialettica della musica audiotattile,<br />

“Philomusica on-line”, numero speciale (Atti del Convegno internazionale "Composizione e<br />

sperimentazione nel rock britannico 1966-1976", a cura di Gianmario Borio e Serena Facci),<br />

(consultato il 28 agosto 2010).<br />

Elster, Jon<br />

2004 Ulisse liberato: razionalità e vincoli, Bologna, Il Mulino.<br />

Cardew, Cornelius<br />

2006 Toward an Ethic of Improvisation, in Cornelius Cardew. A Reader, ed. by E. Prevòst, Harlow,<br />

Copula, pp.125-133.<br />

Hegarty, Paul<br />

2001 Full with Noise: Theory and Japanese Noise Music, «Ctheory.net»,<br />

(consultato il 28 agosto 2010).<br />

2002 General Ecology of Sound: Japanese Noise Music as Low Form,<br />


DUILIO D'ALFONSO<br />

Il significato cognitivo dei livelli strutturali nell’analisi schenkeriana<br />

Un aspetto fondamentale dell’analisi schenkeriana è il seguente:<br />

(1) il processo analitico, altamente non-deterministico, non porta a una caratterizzazione “composizionale”<br />

delle strutture della sintassi tonale.<br />

La ragione di (1) sta in ciò: i patterns musicali (lineari o contrappuntistici), o singoli elementi di essi,<br />

assumono valori differenti a differenti livelli strutturali. In altri termini, le valenze strutturali dei patterns<br />

mutano con il processo di stratificazione dei livelli strutturali; essi non conservano la funzione che hanno<br />

al livello strutturale al quale emergono, bensì, con il sovrapporsi di livelli sempre più prossimi alla<br />

superficie del testo musicale, mutano il loro significato strutturale, entrando a far parte di nuove<br />

configurazioni, spesso emerse successivamente al loro apparire (si potrebbe dire che più che mutare la<br />

loro funzione originale, tali patterns acquistano nuove funzioni, ma entrambi i modi di esprimersi sono<br />

qui equivalenti).<br />

Da ciò segue che non è possibile, nel corso del processo analitico, assegnare una funzione a un<br />

determinato pattern una volta per tutte, con l’ulteriore conseguenza che non si può individuare un ambito<br />

di “località” in base a un qualche criterio generalmente valido. Il metodo analitico schenkeriano è<br />

essenzialmente “olistico”. La natura olistica dell’analisi schenkeriana è legata, a mio avviso, a una<br />

caratteristica basilare della teoria schenkeriana della tonalità: un brano di musica tonale è concepito come<br />

il risultato di un processo di stratificazione di livelli “rappresentazionali”. Tra la struttura fondamentale e<br />

il testo in notazione musicale si colloca una serie (ordinata) di livelli strutturali intermedi, ognuno dei<br />

quali rappresenta la struttura tonale del brano a una determinata profondità/astrazione. Ogni<br />

rappresentazione strutturale è caratterizzata dalla presenza di determinati patterns musicali, tra i quali<br />

occorre introdurre una distinzione di fondo, in base a quella che potremmo chiamare la valenza<br />

epistemica (o cognitiva) che li contraddistingue.<br />

La distinzione è tra patterns che hanno una rilevanza percettiva – che chiamerò patterns percettivi o<br />

“fenomenologici”, e patterns che, pur avendo una inequivocabile rilevanza teoricoconcettuale, non<br />

mostrano una evidente valenza percettiva – che chiamerò patterns proiettivi o “concettuali”. Ora,<br />

l’olisticità della concezione schenkeriana della tonalità è legata al fatto che patterns percettivi e patterns<br />

proiettivi non si ordinano secondo una organizzazione “molecolare” e cumulativa, bensì spesso emergono<br />

come nuove “Gestalten”, ad una certo livello strutturale, determinando un “rimescolamento” delle<br />

configurazioni dei livelli precedenti. Accade, ad esempio, che un elemento costituente di un pattern<br />

percettivo venga selezionato come elemento costituente di un pattern proiettivo di livello strutturale più<br />

profondo, così distinguendosi dagli altri elementi del pattern percettivo di cui continua a essere parte.<br />

Casi di tali “stratificazioni interpretative” sono comunissimi nell’analisi schenkeriana.<br />

Il punto è che la valenza strutturale profonda, e quindi concettuale più che percettiva, di un elemento che<br />

a un qualche livello rappresentazionale è parte di una configurazione percettivamente rilevante è<br />

individuabile solo ad una analisi che procede “top‒down”, aprioristicamente orientata dalla struttura<br />

fondamentale. Di qui la necessità della distinzione tra patterns percettivi, empiricamente rilevabili<br />

sottoponendo il testo a un processo di “riduzione” dal basso (“bottomup”), riduzione analitica la cui base<br />

giustificativa resta ancorata al dato empirico e patterns proiettivi, emergenti dalla ricostruzione del<br />

processo generativo di espansione della struttura fondamentale.<br />

Al fine di caratterizzare in modo più formale la distinzione, informalmente introdotta, tra patterns<br />

fenomenologici e patterns concettuali, al fine anche di approfondirne gli aspetti teorici e metodologici, si<br />

procederà all’introduzione di alcune definizioni, il cui scopo principale è quello di fornire una<br />

terminologia e un piccolo bagaglio concettuale. Tali definizioni vanno perciò intese come aventi un<br />

carattere “strumentale” più che teoretico. La distinzione tra patterns percettivi e proiettivi verrà poi<br />

illustrata attraverso esempi di analisi. Verranno poi svolte alcune considerazioni sul valore teorico di tale<br />

distinzione, particolarmente in relazione al significato cognitivo dei livelli strutturali in cui<br />

tradizionalmente si articola l’analisi schenkeriana: i livelli profondo, medio ed esterno. In un quadro


teorico in cui l’analisi musicale è concepita come il compito di ricondurre un testo musicale alla<br />

grammatica che lo ha generato, l’Ursatz schenkeriano può essere reinterpretato come lo stato<br />

rappresentazionale iniziale di un processo generativo, il cui stato finale è il brano in notazione musicale.<br />

Tale processo consiste nella applicazione di operatori (attinti da un repertorio finito) a livelli rappresentazionali<br />

(che possiamo chiamare “descrittori strutturali”). Schematicamente:<br />

dove s0 è l’Ursatz, sk è il testo rappresentabile in notazione musicale, di è un operatore che applicato al<br />

livello si produce il livello si+1 . Nella grammatica della tonalità l’Ursatz è il livello rappresentazionale s0<br />

da cui ha origine ogni processo generativo, processo che consiste in una sequenza s0Lsk di stati<br />

rappresentazionali, che chiamerò “derivazione”, il cui stato finale sk è il brano musicale. L’Ursatz è,<br />

dunque, innanzitutto un pattern che ha un ruolo “concettuale”, pertanto è un pattern proiettivo, secondo la<br />

distinzione introdotta. Definendo formalmente l’analisi di un brano come il processo volto ad individuare<br />

una derivazione s0Lsk tale che s0 è l’Ursatz e sk è il brano in partitura (processo di parsing), si sosterrà<br />

che se un livello è derivabile dal testo musicale attraverso un processo di “riduzione” esclusivamente<br />

basato sul dato empirico, tale livello è percettivamente rilevante ed è costituito da patterns<br />

percettivamente efficaci.<br />

Bibliografia essenziale<br />

Cadwallader A., Gagné D. (2007) Analysis of Tonal Music – A Schenkerian Approach, Oxford<br />

University Press.<br />

Hepokoski J., Darcy W. (2006) Elements of Sonata Theory, Oxford University Press.<br />

Novack S. (1990) Foregruond, Middlegruond, and background: their significance in the history of<br />

tonality, in Hedi Siegel, (a c. di),“Schenker Studies”, Cambridge University Press.<br />

Schenker H. (1935) Der freie Satz, Trans. and ed. by Ernst Oster (Free Composition), Pendragon<br />

Press, 2001.<br />

SARA DIECI – AURELIO BIANCO<br />

Una ‘ritrovata’ raccolta di Biagio Marini: Madrigali et Symfonie op. II (1618)<br />

Il compositore e violinista bresciano Biagio Marini è comunemente riconosciuto come una delle più<br />

singolari e interessanti personalità della tradizione strumentale barocca. Rappresentante modello del<br />

professionismo itinerante seicentesco, conobbe impieghi in prestigiose istituzioni musicali non solo in<br />

Italia ma anche a Nord delle Alpi. Si ricordano in primo luogo i due periodi passati nella cappella della<br />

basilica di S. Marco a Venezia e quello trascorso al servizio del duca Wolfgang Wilhelm a Neuburg e a<br />

Düsseldorf.<br />

Sin dalla primissima riscoperta dell’opera di Marini l’attenzione della critica si è essenzialmente<br />

indirizzata alla produzione strumentale del musicista lombardo. In sintesi, due sono i meriti che gli<br />

vengono riconosciuti: aver partecipato ad una prima definizione del genere della sonata a tre e aver<br />

contribuito in maniera determinante allo sviluppo della tecnica del proprio strumento tanto in area italiana<br />

quanto in area tedesca. Tre sono le antologie ancora oggi note di Marini interamente dedicate a generi<br />

strumentali: i celebri Affetti musicali opera I, le altrettanto famose Curiose et moderne invenzioni op. VIII<br />

e infine le Sonate da chiesa e da camera op. XXII. Nel catalogo a stampa di Marini la parte strumentale<br />

riveste dunque, perlomeno sotto il profilo quantitativo, un ruolo relativamente marginale. La produzione


vocale del compositore bresciano copre al contrario un ventaglio di composizioni e stili assai ampi che<br />

ben corrispondono alle differenti tipologie musicali dei primi cinquant’anni del Seicento: brani monodici<br />

sul modello del recitativo fiorentino, canzonette a una o più voci, madrigali che richiamano tanto la<br />

tradizione tardo cinquecentesca quanto stilemi tipici dell’ottavo libro di madrigali di Monteverdi, messe e<br />

mottetti con o senza strumenti concertati. Brani autonomi di musica strumentale di Marini sono<br />

comunque presenti oltre che nelle tre già citate raccolte anche in pubblicazioni contenenti composizioni<br />

vocali: le opere II, III, XV e XVI. Tra questi ultimi libri a stampa, i Madrigali et symfonie opera seconda<br />

si segnalano non solo per essere la prima pubblicazione di Marini in cui compaiono brani vocali ma anche<br />

per essere l’unica tra quelle di questo tipo in cui la musica strumentale rivesta ancora un ruolo niente<br />

affatto secondario.<br />

Con questo intervento s’intende porre l’attenzione su questa poco indagata raccolta del musicista<br />

bresciano. Il libro fu dato alle stampe nel 1618 durante il primo soggiorno veneziano di Marini,<br />

immediatamente dopo la pubblicazione degli Affetti musicali. I Madrigali et symfonie ci sono<br />

malauguratamente pervenuti in maniera incompleta. Della raccolta si conservano oggi solo i fascicoli del<br />

Canto primo, del Canto secondo e della linea del Basso vocale, mentre il libro-parte del basso continuo è<br />

da considerarsi perduto. Situazione che evidentemente giustifica la scarsa attenzione riservata dalla critica<br />

alla pubblicazione.<br />

Attraverso la ricostruzione delle parti mancanti si vuole proporre una lettura di brani campione della<br />

raccolta nonché definire il contenuto e il carattere della pubblicazione nel suo insieme. A metà strada tra<br />

la produzione vocale e strumentale di Marini, questo libro si rivela in effetti un’importante tappa per<br />

seguire le strategie stilistico/compositive ed editoriali del musicista bresciano intorno agli anni Venti del<br />

Seicento. La disamina della silloge definisce anzitutto la duttilità di un compositore agli esordi della<br />

propria carriera: la parte strumentale rinvia per esempio a tipologie musicali e a strutture formali<br />

caratteristiche del milieu in cui fu pubblicato il libro (si vedano le canzoni da sonare) ma anche a generi<br />

non propriamente tipici del contesto musicale veneziano (si vedano le suites di danza). Non diversamente,<br />

anche per quanto riguarda le intonazioni di testi poetici, i modelli di riferimento di Marini corrispondono<br />

tanto a una scelta dei differenti generi e stili musicali dominanti all’epoca quanto ai versi dei più<br />

frequentati poeti d’inizio Seicento (Tasso, Marino, Achillini, etc.).<br />

Bibliografia<br />

Fonti storiche (selezione)<br />

Per la ricostruzione della parte mancante di basso continuo ci si è avvalsi del confronto con opere<br />

cronologicamente attigue del medesimo autore e di altri, oltre ad opere di carattere teorico:<br />

Adriano Banchieri, Moderna pratica musicale, Venezia, Giacomo Vincenti 1613.<br />

Alessandro Grandi, Cantade et arie a voce sola, Venezia, Alessandro Vincenti 1620.<br />

Biagio Marini, Affetti musicali […] Symfonie, canzon, balletti, […] op. 1, Venezia, 1617.<br />

Id., Arie Madrigali et Corenti A 1. 2. 3. […] Opera Terza, Venezia, Bartolomeo Magni 1620.<br />

Id., Corona melodica ex diversis sacrae musicae floribus concinnata, duabus, tribus, quatuor, quinque,<br />

sex et pluribus vocibus ac instrumentis distincta, Antwerp, Eredi di Pierre Phalèse 1644.<br />

Id., Concerto terzo delle musiche da camera del cavalier Biagio Marini a 3.4.5.6. e piu voci con due<br />

violini, et altri stromenti opera XVI, Milano, Carlo Camagno 1649.<br />

Bibliografia critica (selezione)<br />

Stephen Bonta, The Use of Instruments in Sacred Music in Italy 1560-1700, «Early Music», Vol. 18, No.<br />

4, Nov., 1990, pp. 519-535.<br />

Georg Brunner, Biagio Marini (1597–1665) Die Revolution in der Instrumentalmusik, Schrobenhausen<br />

Verlag Bickel, 1997.<br />

Willene D. Clark, The Vocal Music of Biagio Marini, diss., Yale University, 1966.<br />

John Daverio, In Search of the sonata da Camera before Corelli, «Acta Musicologica», Vol. 57, Fasc. 2,<br />

Jul. - Dec., 1985, pp. 195-214.


Thomas D. Dunn (ed.), Biagio Marini, Madrigali et Symfonie, Op. 2 (selections), «Web Library of<br />

Seventeenth Century Music», n. 3, http://aaswebsv.aas.duke.edu/wlscm/Marini/Op2Index.html.<br />

Id., The instrumental music of Biagio Marini, Diss., University of Yale, 1969.<br />

Fabio Fano, Biagio Marini violinista in Italia e all’estero, «Chigiana» 22, 1965, pp. 47–57.<br />

Nigel Fortune, Italian Secular Monody from 1600 to 1635: An Introductory Survey, «The Musical<br />

Quarterly», 39, n. 2, Apr. 1953, pp. 171-195.<br />

Vittorio Gibelli, La musica strumentale di Biagio Marini, in La musica a Milano, in Lombardia e oltre,<br />

vol. 2, a cura di Sergio Martinotti, Milano, Vita e Pensiero 200, pp. 5-11.<br />

Don Harran, Towards a definition of the Early Secular Dialogue, «Music and Letters», li, 1, Jan 1970, pp.<br />

37-50.<br />

Dora Iselin, Biagio Marini: sein Leben und seine Instrumentalwerke, Hildburghausen, Gadow 1930.<br />

Massimo Ossi, "Pardon Me, but Your Teeth Are in My Neck": Giambattista Marino, Claudio Monteverdi,<br />

and the bacio mordace, «The Journal of Musicology», Vol. 21, No. 2 (Spring, 2004), pp. 175-200.<br />

John Whenham, Duet and dialogue in the age of Monteverdi, PhD diss., University of Oxford, 1978.<br />

EMANUELE FERRARI<br />

Ermeneutica musicale e didattica dell’ascolto<br />

I termini in gioco<br />

Il nesso tra didattica ed ermeneutica musicale è fortissimo ma non sempre adeguatamente esplicitato nella<br />

prassi. Una riflessione teorica sui presupposti ermeneutici di una didattica dell’ascolto (universitaria, in<br />

questo caso) getta luce su entrambi i termini, consentendo da un lato di saggiare la solidità<br />

dell’ermeneutica di riferimento, dall’altro di rendere la didattica più consapevole delle proprie<br />

implicazioni.<br />

Il taglio della ricerca<br />

L’intervento ripercorre l’esperienza didattica del relatore non in forma di diario critico, bensì<br />

delineandone una parabola ideale, un modello che ne espliciti i presupposti, gli obiettivi e i problemi<br />

chiave, in modo da trasformare quest’esperienza personale in un oggetto chiaramente delineato che possa<br />

essere discusso e criticato, contribuendo alla crescita della conoscenza.<br />

Il criterio teorico<br />

L’intervento enuclea, seleziona e mette in relazione fra loro i punti fondamentali che stanno al crocevia<br />

tra ermeneutica e didattica. L’approccio non è dunque sistematico ma metodico: l’obiettivo non è la<br />

completezza ma l’individuazione di una catena di problemi che fanno da cerniera tra i due termini<br />

indicati nel titolo.<br />

L’articolazione espositiva<br />

1 La corporeità dell’udito e la dimensione incarnata dell’ascolto (Cavarero): la musica come carne del<br />

mondo (Merleau-Ponty).<br />

2 Emozioni e immaginazione (facoltà inscindibili dalla corporeità) come possibili organi di conoscenza<br />

della musica. I paradossi dell’”ascetismo” nella fruizione (Hanslick, Adorno, Geiger).<br />

3 L’approccio indiziario alla decifrazione espressiva di un brano (Baroni): la “rifrazione” del mondo in<br />

musica (Stravinsky).<br />

4 L’esperienza del presente come avvio del circolo ermeneutico nella didattica (Gadamer).<br />

5 Dubbi scettici sulla distanza storica e loro risoluzione (Eliot).<br />

6 la didattica dell’ascolto come costruzione di un punto di vista (Deleuze, Leibniz).<br />

7 La seconda metà del circolo: gli effetti di retroazione di un ascolto musicale.


7a crescita della conoscenza<br />

b sottigliezza del pensiero<br />

c precisione immaginativa<br />

d specificazione delle emozioni<br />

8 Una questione imprevista e problematica: estetica e moralità nella didattica (Kant, Stravinsky).<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ADORNO T.W., Einleitung in die Musiksoziologie, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag 1962; tr. it. di<br />

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di R. Dalmonte, Musicologia generale e semiologia, Torino, E.D.T. 1989.<br />

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Editore 2008.<br />

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presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea in filosofia, a.a.<br />

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STRAVINSKY I., Themes and Conclusions, London, Faber & Faber 1972.<br />

DOMENICO GIANNETTA<br />

Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy: tonalità ed interferenze modali<br />

L’interpretazione armonica della musica di Claude Debussy rappresenta una vera sfida per lo studioso.<br />

Una lettura di tipo funzionale, infatti, è destinata a naufragare in partenza, rivelandosi completamente<br />

inadeguata a spiegare la relazione che si instaura fra le diverse armonie. Ma anche un approccio<br />

esclusivamente modale, che tenga conto della presenza di particolari sistemi sonori cari al compositore<br />

francese (scala per toni interi, pentafonia ecc…), non basta da solo a far luce sulla complessità del suo<br />

linguaggio musicale.<br />

Gli studiosi, a tal proposito, hanno coniato il concetto di ‘armonia defunzionalizzata’ per sottolineare il<br />

fatto che la relazione fra i diversi aggregati sonori, piuttosto che ubbidire alle regole che sovrintendono<br />

alla scienza armonica dei secc. XVIII–XIX, sembra scaturire da esigenze puramente sonoriali: il moto<br />

delle parti, ed in particolare gli scivolamenti per grado congiunto, producono quasi incidentalmente degli<br />

aggregati sonori che si giustappongono o si contrappongono a seconda dei casi.<br />

In realtà Debussy non rinuncia mai del tutto al potere unificatore della tonalità, e segnatamente a quei<br />

moti cadenzali codificati dalla tradizione che producono un senso di appagamento nell’ascoltatore:<br />

assistiamo spessissimo, infatti, a successioni al basso che richiamano la cadenza perfetta V–I, oppure a<br />

percorsi armonici più articolati che potremmo tranquillamente analizzare con la classica simbologia<br />

funzionale. Ma allo stesso tempo nella sua musica vi è un continuo alternarsi di strutture scalari sempre<br />

diverse, grazie alle quali il linguaggio armonico si arricchisce enormemente ed assume un carattere<br />

cangiante e molto personale.<br />

La vera essenza della musica debussyana, quindi, sembra fondarsi proprio sulla perfetta coesistenza fra<br />

due procedimenti molto diversi: tanto centripeto, in quanto basato sulla tonica e sulla logica armonica<br />

tradizionale, il primo, quanto invece centrifugo e vòlto a creare atmosfere suggestive ed inaspettate il<br />

secondo.<br />

Questo modus operandi raggiunge la sua massima efficacia allorquando Debussy riesce a conciliare gli<br />

opposti, ed in particolare a far convivere il sistema tonale con la scala per toni interi, ovvero con il<br />

sistema sonoro che più di ogni altro sembrerebbe contraddire le esigenze dell’armonia tonale: come<br />

sappiamo, infatti, la tonalità si basa sulle relazioni di quinta, ed in particolare sull’opposizione tonica–<br />

dominante, mentre invece in un sistema sonoro di tipo esatonale non sono presenti intervalli di quinta<br />

giusta, ed anzi al suo interno vige una sostanziale equiparazione ed indifferenziazione funzionale fra i<br />

diversi gradi della scala.<br />

L’integrazione fra tonalità e modalità, poi, diventa ancora più evidente nel caso dei modi pentatonici,<br />

anch’essi molto frequenti nella musica di Debussy: la loro peculiarità, infatti, è quella di essere<br />

‘contenuti’ nei modi eptafonici diatonici, e quindi possono essere sfruttati per entrare e uscire dalla<br />

tonalità, o per effettuare una transizione fra diversi centri tonali. Un'altra perfetta sintesi fra tonalità e


modalità si ottiene, infine, con gli effetti di ripieno, ovvero con quei procedimenti, così definiti da De la<br />

Motte, che consistono nello spostamento parallelo, o quasi parallelo, di più voci.<br />

Come va dunque considerata la musica di Debussy: tonale o modale? O forse sarebbe più appropriato<br />

parlare di tonalità modale?<br />

Per cercare di dare una risposta, quantomeno parziale, al quesito precedente, viene analizzato il primo<br />

libro dei Préludes per pianoforte (1909–10), ed in particolare gli episodi che evidenziano la compresenza<br />

di procedimenti tonali e modali.<br />

La scelta di occuparsi di composizioni pianistiche, piuttosto che di una partitura sinfonica, è stata dettata<br />

sia dall’esigenza di avere una maggior semplicità di lettura degli esempi musicali utilizzati, sia dal<br />

bisogno di avere dei dati non condizionati dalla particolare tecnica di orchestrazione debussyana, la quale<br />

prevede spesso una stratificazione di più eventi sonori vòlta a creare particolari effetti sonoriali (testure<br />

stratificate, fasce sonore ecc...).<br />

Bibliografia essenziale:<br />

Constantin Brailoiu, Pentatonic in Debussy’s Music, «Studia Memoriae Belae Bartok Sacra», Boosey &<br />

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Bärenreiter, München-Kässel 1976]<br />

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Allen Forte, Debussy and the Octatonic, «Music Analysis», x/3 1991, pp. 125–69<br />

Domenico Giannetta, I Nocturnes di Claude Debussy. Uno studio analitico, LIM, Lucca 2007<br />

Domenico Giannetta, Il mondo è fatto a scale: studio teorico sulle relazioni possibili fra scale e modi,<br />

«Rivista di Analisi e Teoria Musicale», XIV/1 2008, 59–86<br />

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Domani», n. 149 (dicembre 2008), pp. 20–21 (nella rubrica “Prove di Analisi” curata da Susanna<br />

Pasticci)<br />

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Hans R. Zeller, Von den Sirenen zu '...La serenade interrompue’, «Musik-Konzepte», i/2 1977, pp. 96–<br />

113


MARIACHIARA GRILLI<br />

Studio delle possibilità combinatorie e metamorfiche di un tema:<br />

la Toccata di Petrassi come sintesi esemplare di tradizione e modernità<br />

Allo stato attuale, il lavoro che affronta con taglio analitico il brano in modo più approfondito è quello di<br />

Alfonso Alberti (in: Musiche del Novecento Italiano, CD + CD ROM, Milano, Stradivarius 2004) in cui<br />

compaiono spunti interessanti per un’analisi sia da un punto di vista contrappuntistico che armonico.<br />

Il mio studio, avente come obiettivo la dimostrazione dell’unità di fondo del brano ottenuta mediante<br />

l’uso di elementi ricorrenti da un punto di vista motivico, ritmico, armonico e contrappuntistico-imitativo,<br />

è diviso in:<br />

- analisi formale;<br />

- analisi armonica: organizzazione modale del brano, tipologie di accordi, formule cadenzali;<br />

- analisi contrappuntistica: criteri di ammissibilità nella condotta delle parti, strutture imitative;<br />

- derivazione motivica: individuazione e descrizione delle relazioni sia all’interno di uno stesso soggetto, sia<br />

tra motivi diversi;<br />

- elaborazione tematica: sia da un punto di vista motivico che ritmico<br />

- studio dei rapporti motivico-armonici tra le diverse sezioni del brano al fine di dimostrarne il carattere<br />

unitario<br />

- note per l’interpretazione.<br />

Metodologia di lavoro<br />

Come punto di partenza si è considerato l’aspetto contrappuntistico-imitativo, iniziando con<br />

l’individuazione e la classificazione di tutti i temi, attribuendo a ciascuno la sua funzione sintattica,<br />

proseguendo con un’analisi delle strutture imitative nelle sezioni a carattere contrappuntistico. Ciò ha<br />

condotto ad una precisazione della struttura formale del brano, sebbene questa fosse piuttosto chiara sin<br />

dal primo ascolto. Successivamente si è potuto riconoscere l’uso di frammenti di carattere tematico anche<br />

nelle parti virtuosistiche. Da qui l’idea di esaminare come fosse utilizzato il materiale tematico in tutto il<br />

brano, passando poi a studiare l’elaborazione di ciascun motivo in ogni sezione; esame che ha rilevato<br />

possibili diverse interpretazioni di alcuni passaggi e/o situazioni inizialmente non chiaramente definibili,<br />

conducendo a una più attenta considerazione del materiale intervallare costitutivo dei motivi, definendone<br />

con la massima precisione le caratteristiche e catalogandone le variazioni che ricorrevano più<br />

frequentemente rispetto all’originale. Si è potuto così evidenziare sia la presenza, nei tre frammenti<br />

costituenti il soggetto principale, di molte caratteristiche intervallari ricorrenti, sia la presenza di forti<br />

legami tra i diversi motivi impiegati.<br />

Queste ultime constatazioni hanno consentito di effettuare un confronto tra tutti i temi (derivazione<br />

tematica) verificandone le affinità strutturali e intervallari. Pur utilizzando numerosi motivi, la presenza di<br />

molti elementi in comune contribuisce a dare al brano un forte senso di unità armonico-motivica. A<br />

seguire, relativamente ai due soggetti principali, si è tentata anche un’analisi dell’elaborazione ritmica. A<br />

margine di quest’indagine si è potuto individuare l’impiego frequente di strutture ritmiche speculari.<br />

Ultimo aspetto esaminato è quello armonico. Al fine di individuare i mezzi con cui Petrassi ottiene una<br />

sonorità di tipo modale, sono state empiricamente classificate le armonie utilizzate, notando la ricorrenza<br />

di armonie dalla tipica sonorità modale e allo stesso tempo l’assenza di accordi con forte senso tonale,<br />

quali settime di dominante e settime diminuite. Da qui l’analisi delle formule cadenzali: di nuovo è<br />

emersa l’adozione di procedimenti che evitano successioni con un forte senso tonale (cadenza autentiche


e simili), con un impiego predominante di formule riferibili alle cadenze frigia e plagale, tipiche di ambiti<br />

modali o modaleggianti.<br />

Dall’esame del soggetto principale e della sezione iniziale del brano, si è notato il suo svilupparsi in un<br />

ambito modale con l’impiego dei modi: eolio, ossia minore naturale, dorico e frigio.<br />

A questo punto si è tentato di condurre uno studio sulla combinazione e applicazione della scrittura<br />

modale a passaggi che presentavano un impiego evidente di armonie costruite invece per quarte e quinte<br />

sovrapposte. Notando talvolta delle deroghe al sistema modale vigente, si è tentato di individuarne la<br />

ragione, rilevando così come l’aspetto contrappuntistico-imitativo abbia spesso il sopravvento sull’aspetto<br />

armonico-modale. Infine, si è proceduto ad individuare analogie e rapporti tra le diverse sezioni:<br />

relativamente all’uso dei centri armonici, alle funzioni svolte quindi da ciascuna sezione anche in<br />

considerazione dell’articolazione formale inizialmente individuata, all’uso e all’elaborazione di elementi<br />

tematici e ritmici.<br />

L’individuazione di schemi e tecniche ricorrenti ha consentito di svolgere considerazioni probabilmente<br />

utili ai fini di un’interpretazione del brano coerente e consapevole.<br />

Rispetto allo stato attuale delle conoscenze il mio lavoro consente un approfondimento di spunti<br />

preesistenti, nonché l’acquisizione di nuove conoscenze in merito ad aspetti precedentemente poco o per<br />

nulla considerati.<br />

Bibliografia essenziale<br />

MONOGRAFIE, SAGGI<br />

LYA DE BARBERIIS, in Testimonianze per Goffredo Petrassi, Milano, Edizioni Suvini Zerboni 2003, p. 20;<br />

PIERO RATTALINO, Il pianoforte di Petrassi, in Petrassi, a cura di Enzo Restagno, Torino, Edizioni di<br />

Torino 1992 2 , (Biblioteca di cultura musicale. Autori e opere);<br />

GIULIANO ZOSI, Ricerca e sintesi nell’opera di Goffredo Petrassi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura<br />

1978;<br />

JOHN S. WEISSMANN, Goffredo Petrassi, Milano, Edizioni Suvini Zerboni 1957.<br />

PERIODICI<br />

COSTARELLI NICOLA, la Toccata di Goffredo Petrassi e la musica pura, «Musica d’oggi», XIX, [Milano],<br />

1973, pp.48-50;<br />

OLGA STONE, Goffredo Petrassi’s Toccata for Piano: A Study of twentieth Century Toccata Style, «The<br />

Music Review», XXXVII, 1976, pp. 45-51.<br />

CD - CD ROM<br />

ALFONSO ALBERTI, Goffredo Petrassi, Toccata in Musiche del Novecento Italiano, a cura della Società<br />

Italiana di Musicologia, (1 compact disc, 1 CD-ROM), comprende1: Musiche del Novecento<br />

italiano/[contiene biografie, note storico-critiche, analisi musicali, partiture e ascolti con partitura di:]<br />

Casella, Respighi, Petrassi, Dallapiccola, Berio, Castiglioni, Donatoni; 2: Musiche del Novecento<br />

Italiano/[contiene musiche di:] Casella, Respighi, Petrassi, Dallapiccola, Berio, Castiglioni, Donatoni,<br />

Milano, Stradivarius 2004.<br />

EDIZIONI MODERNE CONSULTATE<br />

GOFFREDO PETRASSI, Toccata per pianoforte, Selecta - BMG Publications, rist., San Giuliano Milanese<br />

(MI), Ricordi 1962.


SELEZIONE DI ESEMPI MUSICALI<br />

Per la parte riguardante lo studio contrappuntistico della Toccata:<br />

Es. 1 – Condotta delle parti<br />

Es. 2 – Motivo a (soggetto principale)<br />

Es. 3 – Motivo b<br />

Es. 4 – Motivo c (soggetto secondario)<br />

Es. 5 – elemento d<br />

Es. 6 – motivo e


Es. 7 – Motivo f<br />

Es. 8 – Imitazioni ravvicinate (b. 20)<br />

Es. 9 – Interpolazioni di a (bb. 71-72)<br />

Es. 10 – combinazioni del tema a con tetracordi<br />

Per la parte relativa alla derivazione motivica:


Es. 11 – Relazioni all’interno del soggetto<br />

Es. 12 – Relazioni tra a e b<br />

Es. 13 – Relazioni tra a e c<br />

Es. 14 – Relazioni tra a e d


Es. 15 – Relazioni tra a ed f<br />

Es. 16 – Relazioni tra b e c<br />

Es. 17 – Relazioni tra c e d<br />

Es. 18 – Relazioni tra c ed e


Es. 20 – Relazioni tra c e f<br />

Es. 21 – Relazioni tra e e f<br />

Per la parte sull’elaborazione motivica mi limito a riportare alcuni esempi dell’elaborazione del soggetto<br />

principale a. Per la parte relativa all’elaborazione ritmica cito di seguito solo un paio di esempi relativi al<br />

motivo a.<br />

Es. 22 – Elaborazione motivica di a nella sezione A.1


Es. 23 – Elaborazione motivica di a nella sezione A.2<br />

Es. 24 – Elaborazione motivica di a nella sezione A.3


Es. 25 – Elaborazione motivica di a nella sezione B.1.1<br />

Es. 26 – Elaborazione motivica di a nella sezione B.1.2


Es. 27 – Elaborazione motivica di a nella sezione B.3<br />

Es. 28 – Elaborazione motivica di a nelle sezioni C.1.1 e C.1.2


Es. 29 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.1.3<br />

Es. 30 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.2


Es. 31 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.3.1<br />

Es. 32 – Elaborazione motivica di a nella sezione C.3.2


Es. 32 – Elaborazione motivica di a nella sezione D


Es. 33 – Elaborazione ritmica di a nella sezione B.2<br />

Es. 34 – Elaborazione ritmica di a nella sezione D (prima parte)


Es. 35 – Elaborazione ritmica di a nella sezione D (segue)<br />

Es. 35 – Impiego di figure ritmiche speculari (bb. 16-17)<br />

Per quanto riguarda l’aspetto armonico:<br />

Es. 36 – Segmentazione modale del soggetto principale


MARCO MONTAGUTI<br />

La ‘musique concrète instrumentale’<br />

Il termine ‘musique concrète instrumentale’ – non a caso coniato in francese, derivando da ‘musique<br />

concrète’ di P. Schaeffer - è stato creato, già negli anni Sessanta del XX secolo, dal compositore tedesco<br />

Helmut Lachenmann per definire la sua musica, una musica che parte dal ripensamento degli strumenti<br />

tradizionali, considerati innanzitutto come oggetti - sonori, beninteso - da ‘riscoprire’, o semplicemente<br />

da scoprire fino in fondo, perchè essi non hanno ancora svelato tutte le loro possibilità, sia come singoli<br />

che in gruppi, fino alla grande orchestra.<br />

Determinante, nella concezione della ‘musique concrète instrumentale’, è la centralità, via via conquistata<br />

nel corso degli anni, del ‘suono’, centralità che ha generato un nuovo rapporto con esso e con gli<br />

strumenti in particolare, sia da parte degli esecutori che dei compositori. In un tempo relativamente breve,<br />

infatti, se si pensa alla portata della novità, grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie, il rapporto<br />

dei compositori con la musica passa da speculativo a fisico, da astratto a concreto – non si parlerà allora<br />

più di altezze, di intervalli, di grappoli di note, di accordi ecc., ma di ‘suoni’: la nuova concezione<br />

arriverà dunque ad investire, a condizionare, e anche a generare completamente il pensiero; il rapporto tra<br />

compositore e strumentista diventa allora simbiotico, arrivando anche all’esclusività.<br />

In questo contesto non cadono comunque nell’obsolescenza gli strumenti ‘tradizionali’ della tecnica<br />

compositiva, che anzi trovano nuova linfa vitale: il contrappunto non è allora più di linee, ma diventa di<br />

atteggiamenti, di situazioni, magari conviventi nella stessa parte strumentale – ad esempio il movimento<br />

delle due mani di uno strumentista ad arco -, la verticalità non è più una sovrapposizione di parti, ma un<br />

nuovo suono, prodotto da un nuovo strumento (la somma di quelli che in quel momento intervengono).<br />

Tale musica impone quindi un ascolto ‘nuovo’ - una rimessa in gioco del fruitore fin nel profondo,<br />

momento per momento -, un ascolto che non solo impone a chi lo pratica di ripensare il proprio<br />

approccio con la musica – colta o non -, ma anche di riconsiderare criticamente la propria inclinazione (o<br />

tendenza) a cercare di cogliere, fors’anche per comprenderla – e magari anche ad analizzarla – meglio,<br />

nella musica di oggi, più gli elementi di continuità con la tradizione (innegabili, peraltro), trascurando<br />

invece quelli innovativi, soprattutto di pensiero, che la originano.<br />

Come è poi facile intuire, la ‘musique concrète instrumentale’ propone anche problemi di grafia, la<br />

soluzione dei quali è strettamente legata alla sua comprensione prima, ed esecuzione poi. In un periodo in<br />

cui la grafia sembrava aver trovato un ‘lessico’ comune, anche grazie alla conclusione delle<br />

sperimentazioni a tutto campo, la ‘musique concrète instrumentale’ riapre il discorso. Osservando infatti<br />

le legende delle opere di Lachenmann, che possiamo considerare parte integrante della partitura, si<br />

possono reperire indicazioni, precisissime e dettagliatissime, che, molto più che semplici ‘note per<br />

l’esecuzione’, vanno considerate esemplificazioni del pensiero del compositore. La parte finale<br />

dell’intervento sarà dedicata alle intuizioni di Giacinto Scelsi - che va visto a mio avviso come un<br />

precursore del posizionamento dell’interesse dei compositori sulla centralità del suono. Egli, infatti,<br />

focalizzando il suo interesse per la ‘fisicità’ sonora in un epoca assai precedente a quella in cui, ad<br />

esempio, le nuove tecnologie avranno il loro sviluppo, cominciò a procurarsi gli strumenti per tradurla in<br />

musica: nuove modalità esecutive – sia vocali che strumentali – richieste agli interpreti, utilizzi inediti<br />

degli strumenti (si pensi ad esempio alla chitarra usata come strumento a percussione in Ko-tha), ma<br />

anche accostamenti inusuali (flauto in sol, gong e piccolo campanaccio in Hyxos).<br />

Naturalmente l’operazione di Scelsi va adeguatamente contestualizzata, poichè, se Helmut Lachenmann<br />

perviene all’elaborazione del suo pensiero e della sua poetica compositiva da uomo pienamente inserito<br />

nella sua epoca, non solo come musicista, ma anche come intellettuale in senso lato – in questo senso<br />

particolarmente significativa è l’opera Das Mädchen und den Schwefelhölzern –, il compositore ligure, di<br />

famiglia aristocratica e di formazione, sia culturale che musicale, extrascolastica, denuncia una forte<br />

attitudine al misticismo e la sua visione della musica è fortemente improntata a ciò.<br />

La trattazione, supportata da esemplicazioni audio e video, ha quindi l’obiettivo di mettere a fuoco<br />

un approccio al suono che, non avendo finora purtroppo suscitato, se non indirettamente, grande<br />

interesse nei compositori contemporanei del nostro Paese, è rimasto anche ai margini degli studi e<br />

delle ricerche compiuti su tale repertorio.


Bibliografia essenziale<br />

Biasutti, M. –LA POETICA DEL SUONO IN GIACINTO SCELSI. Analisi di Ko-Lho per flauto e<br />

clarinetto, in ‘Zeta – nn.14-15-16’. Udine, Campanotto, 1991<br />

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13’. Udine, Campanotto, 1991<br />

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Saarbrücken, Pfau, 2005<br />

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Sommer 2005’ - “Neuland”, programma del concerto n°6<br />

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Dissonante Resonanzen. Kunstsemiotik als Kulturtheorie’. Weilerswist, Velbrück, 2009<br />

Sandner, W.: ES GEHT NICHT UM NEUE KLÄNGE, ES GEHT UM ANDERE FORMEN DER<br />

WAHRNEHMUNG. Conversazione con H. Lachenmann, in ‘Programmmheft der alten Oper Frankfurt’ –<br />

“Auftakt 2005”, concerto del 16 settembre 2005<br />

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Isabella Scelsi – n°4, Roma 1993<br />

Scelsi, G. – SON ET MUSIQUE. Roma/Venezia, Le parole gelate,1953-54 - in ‘La Musica - n°17’, Roma,<br />

Edipan ,VI 1988<br />

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SCHEN TRADITION DER EUROPÄISCHEN MODERNE, in ‘A. Wellmer – Versuch über Musik und<br />

Sprache‘ Munchen, Henser, 2009<br />

Wellmer, A.: ÜBERSCHREITUNGSFIGUREN IM FELD DER NEUEN MUSIK, in ‘A. Wellmer – op.<br />

cit.’<br />

GIUSEPPE MASIIMO RIZZO<br />

Stile musicale e prestigio sociale nei processi trasformativi delle Martinjade dell'isola di Krk<br />

Nel mio intervento mi focalizzerò sul rapporto che intercorre tra l'elaborazione uno stile personale e<br />

l'acquisizione di prestigio sociale nel contesto di pratiche strumentali dell'isola di Krk, la più grande isola<br />

dell'adriatico, collocata nel golfo del Quarnaro oggi appartenente alla regione amministrativa Litoraneo-<br />

Montana della Croazia.<br />

La musica oggetto di analisi è parte di una micro-area dotata di caratteristiche specifiche appartenente a


quella che Roberto Leydi ipotizzava fosse la grande sub-area nord-adriatica - che si collocava in entrambe<br />

le sponde del mar Adriatico, percorrendo quasi tutto l'arco veneto e friulano - caratterizzata da pratiche<br />

musicali diafoniche eseguite a due parti (LEYDI 2001).<br />

La micro-area di pratiche musicali dell'isola di Krk è nidificata al di sotto di una serie di stratificazioni<br />

culturali e musicali presenti nella penisola istriana e nel litorale quarnerino, da secoli al centro di molti<br />

scambi e contatti socio-culturali. Tale sub-area è caratterizzata dall'uso di alcuni generi musicali suonati<br />

sulle sopile, un aerofono ad ancia doppia di cui esistono due versioni, uno in registro grave, l'altro acuto,<br />

dall'intonazione non temperata, su cui vengono eseguite – esclusivamente in coppia - delle diafonie dallo<br />

stile molto asciutto ed essenziale ad uso di danze, celebrazioni, ecc. La letteratura etnomusicologica,<br />

coltivata più che altro in ambito jugoslavo e croato, offre ai giorni nostri un quadro etnografico piuttosto<br />

completo delle attività musicali isolane nella forma di collezioni di brani o analisi scalari ed<br />

organologiche. (MATETIĆ 1939; KARABAIĆ 1956; ŽGANEC 1963; BESIĆ 1976, 1981; BONIFAČIĆ<br />

A. 1971; BONIFAČIĆ R. 1996, 2001; PRAŠELJ 2005).<br />

Basandomi sulla ricerca che svolgo sin dal 2006 sui processi musicali dell'isola nella mia comunicazione<br />

vorrei soffermarmi sul alcune caratteristiche del cambiamento musicale isolano legato ad un certo modo<br />

di far musica strumentale indicato dal termine mantinjada. Al di là dei significati attribuiti storicamente<br />

dall'etnografia a questo termine mi concentrerò sull'analisi comparata per verificare quali siano i<br />

cambiamenti formali in prospettiva diacronica e diacronica (es.1). Data la natura estremamente semplice<br />

degli strumenti, la cui intonazione è suscettibile di variazione nel corso degli anni ed a seconda di chi sia<br />

il costruttore, l'elaborazione di un criterio di trascrizione (es.2) attraverso cui produrre dati omogenei e<br />

comparabili è stato un requisito essenziale per poter condurre tale tipo di analisi.<br />

Il prodotto di quest'analisi è stato incrociato con i dati etnografici che ho raccolto e costruito sul campo<br />

(GALLINI e SATTA 2007) attraverso lezioni di strumento impartitemi da alcuni maestri locali, il dialogo<br />

diretto con i suonatori ed altri tipi di esperienze più astratte ed indirette.<br />

Ciò mi ha condotto all'elaborazione di una griglia interpretativa in cui l'apprendimento musicale, la<br />

crescita ed il percorso di emancipazione dei singoli suonatori concorrono direttamente alla formazione di<br />

uno stile personale nell'obiettivo, implicito, di acquisire un certo riconoscimento sociale nel contesto della<br />

comunità di suonatori isolana. Durante la mia comunicazione esporrò i dettagli e le fasi di questo<br />

processo con l'ausilio di trascrizioni ed esempi musicali atti a mostrarne la dimensione sonora e formale;<br />

contemporaneamente mostrerò un catalogo di analisi comparative più astratte atte ad illustrare la mia tesi.<br />

Le metodologie musicologiche da me utilizzate sono la ricerca sul campo (STOK 2004) - che mi ha<br />

permesso di colloquiare direttamente con i suonatori per lungo tempo inferendo da loro importanti nodi<br />

concettuali autoctoni (ZEMP 1978,1979; FELD 1982; AMES-KING 1971; STONE 1982) affinché<br />

potessi costruire la mia tesi interpretativa -, la pratica musicale (BAILY 2008)– che mi ha permesso di<br />

approfondire particolarità e significati non direttamente inferibili dall'analisi formale -, l'analisi<br />

informatizzata (MCADAMS, DEPALLE e CLARKE 2004) – importante per evidenziare le dimensioni<br />

acustiche di certi momenti musicali socialmente pregnanti -, ma, come si evince dalla lettura del<br />

paragrafo precedente, anche i più tradizionali lavori di trascrizione e comparazione paradigmatica.<br />

Tale ricerca intende esser prevalentemente un contributo allo studio del rapporto tra trasformazione<br />

musicale ed interazione sociale attraverso la pratica sonora e musicale, nonché a fornire un contributo di<br />

riflessione sulla funzione dell'analisi e della modellizzazione formale (POPLE 2004) nello studio<br />

contestualizzato delle culture musicali. Inoltre questo tipo di indagine, esclusivamente se condotta su<br />

lungo periodo, potrebbe fornire dati empiricamente interessanti dal punto di vista dello studio del<br />

rapporto tra pratiche musicali che fanno parte prolungata di profonda una narrazione culturale di area e<br />

modernità, che torna ad incalzare i rapporti sociali e musicali esistenti con le sue rinnovate narrazioni<br />

dello spazio, del tempo e del suono.


Bibliografia citata<br />

AMES, DAVID W E KING ANTHONY V., 1971Glossary of Hausa Music and Its Social Contexts.<br />

Northwestern University Press, Evanston Illinois.<br />

BAILY, JOHN 2008, “Ethnomusicology, Intermusability and Performance Pratice”, in The New<br />

(Ethno)musicologies. Europea: Ethnomusicologies and Modernities, a cura di Henry Stobart, pp. 117-<br />

133, The Scarecrow Press, Toronto<br />

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DUTIFA, pp.194-207<br />

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Krčki Zbornik, Vol.2, pp. 303 - 353<br />

BONIFAČIĆ, RUŽA 1996, "Tarankanje. A Disappearing Music Tradition". Narodna Umjetnost vol.33/1,<br />

pp.149-170<br />

BONIFAČIĆ, RUŽA 2001, "O Problematici Takozvane "Istarske Ljestvice". Narodna Umjetnost,<br />

vol.38/2, pp.73-95<br />

GALLINI, CLARA E SATTA, GINO 2007, Incontri Etnografici. Processi cognitivi e relazionali nella<br />

ricerca sul campo. Meltemi. Roma<br />

KARABAIĆ, NEDJELJKO 1956, Muzički folklor hrvatskog primora i Istre, Novi List, Rijeka<br />

LEYDI, ROBERTO 2001“Italy. Folk music”, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians,<br />

secondq edizione, a cura di Stanley Sadie, pp. 382-392, Macmillan Publishers<br />

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in Empirical Musicology. Aim, Methods, Prospects. A cura di Eric Clarke e Nicholas Cook, pp. 157196,<br />

Oxford University Press, New York<br />

POPLE, ANTHONY 2004, “Modeling Musical Structure”, in Empirical Musicology. Aim, Methods,<br />

Prospects. A cura di Eric Clarke e Nicholas Cook, pp. 127-156, Oxford University Press, New York<br />

PRAŠELJ, DUŠAN 2005, "Ivan Matetič-Ronjgov i Otok Krk". Krčki Festival 1935-2005, pp.45-46,<br />

Centar za Kulturu Grada Krka, Krk<br />

STOCK, JONATHAN P.J. 2004, “Documenting the musical event: Observation, Partecipation,<br />

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ZEBEC, TVRTKO 2005, Krcki tanci: plesno-etnoloska studija. Institut za etnologiju i folkloristiku,<br />

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ZEMP, HUGO 1978, "'Are'are classification of Musical Type and Instruments”. Ethnomusicology,<br />

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ZEMP, HUGO 1979, "Aspects of 'Are'Are Musica Theory”. Ethnomusicology, vol. 23/1, pp.5-48<br />

ŽGANEC, VINKO 1963, “La gamme istrienne dans la musique populaire yougoslave". Studia<br />

Musicologica Academiae Scientiarum Hungaricae, T. 4, Fasc. 1/2, pp. 101-128<br />

SIMONETTA SARGENTI<br />

Applicazione di metodi compositivi nelle opere di K. Stockhausen.<br />

Il compositore K. Stockhausen, considerato uno degli esponenti di maggior rilievo della musica del XX<br />

secolo, mise a punto intorno agli anni 70, dopo aver esperimentato la composizione con 12 suoni, un<br />

metodo compositivo basato su strutture definite, in parte derivate dalla stessa dodecafonia e in parte


“innovativi” rispetto ad essa, ottenendo ciò che egli chiama “formula” , una organizzazione di materiali<br />

nella quali si riuniscono gli elementi essenziali dell’intera composizione.<br />

In vari articoli, nei testi teorici e nelle note alle partiture ,egli stesso spiega in cosa consista questo metodo<br />

e come sia stato da lui applicato nelle varie composizioni, sottolineando la compresenza in esso di rigore<br />

e libertà.<br />

Egli applica la formula a partire dalle opere scritte negli anni 70 e successivamente continua a<br />

perfezionare ed estendere questo metodo fino alle opere più recenti.<br />

La presente proposta si inserisce nel lavoro che sto svolgendo da alcuni anni e prevede un confronto tra<br />

varie prospettive della musica del XX secolo, incentrato sullo studio di compositori importanti, tra cui<br />

principalmente Luigi Nono e Karlheinz Stockhausen, che rappresentano due visioni diverse della musica,<br />

entrambe assai influenti nel contesto del loro tempo. Fino ad oggi ho analizzato vari brani nei quali ho<br />

rilevato caratteri e intenzioni diverse tra questi due compositori che rappresentano a mio parere due linee<br />

importanti del pensiero musicale del 900. L’obbiettivo finale è di definire alcuni elementi chiave della<br />

musica recente, le connessioni con la visione più generale del mondo e l’importanza che eventualmente<br />

tutto ciò riveste ancora nella musica del presente, se vi siano degli elementi ancora significativi per chi<br />

opera attualmente. Se l’importanza che questi compositori hanno avuto per un periodo sia limitata a quel<br />

tempo o sia ancora oggi significativa.<br />

Nel contesto di questo stesso lavoro, lo scorso anno ho proposto al Convegno GATM l’analisi di una<br />

composizione di Nono che fa parte di questo progetto. Ora vorrei presentare un lavoro di Stockhausen<br />

con l’obbiettivo di analizzare alcune significative applicazioni della formula.<br />

La proposta per il Convegno è dunque quella di analizzare il significato della formula di Stockhausen e<br />

alcune sue applicazioni esponendo la tecnica della formula la sua genesi e significato. Le prime<br />

apparizioni del termine “formula” nella produzione di Stockhausen, elementi di rigore di libertà che il<br />

compositore stesso sottolinea.<br />

Alcuni accenni a come si costruisce una formula secondo i criteri di Stockhausen e come si può<br />

intervenire sulla struttura base. Quanto vi è di già previsto della successiva composizione e quanto invece<br />

può essere definito durante la creazione.<br />

Poiché Stockhausen applicherà questo metodo a vari brani, dai più brevi ai più complessi, vale la pena di<br />

evidenziare negli esempi le caratteristiche sia della micro forma, sia della macroforma.<br />

A tal fine propongo un breve accenno alla composizione In Freundschaft che Stockhausen compone<br />

originariamente per il clarinetto e trascrive poi per diversi strumenti, composizione che fornisce tra l’altro<br />

allo stesso compositore, lo spunto per una riflessione approfondita sul metodo compositivo.<br />

Successivamente vorrei incentrare il mio intervento su Mantra, per due pianoforti, una delle più note<br />

composizioni di Stockhausen e forse anche una delle maggiormente eseguite, pezzo che ancora oggi<br />

viene proposto in sale da concerto.<br />

Mantra rappresenta un esempio di come la formula sia utilizzata in tutta la durata del pezzo che è assai<br />

ampia e tuttavia vi sia una libertà di applicazione piuttosto ampia che rende difficile individuare con<br />

precisione quegli elementi rigorosi di cui l’autore parla. Poiché in questa composizione i vari elementi<br />

della formula originale vengono dilatati, è importante individuare quali siano i punti in cui ritroviamo gli<br />

elementi della formula e dove si trovino invece le elaborazioni di essa secondo i modelli di elaborazione<br />

dello stesso compositore.<br />

Verrà dunque mostrato uno schema riassuntivo delle principali elaborazioni della formula originale<br />

attraverso le modifiche di carattere ritmico, melodico, dinamico.<br />

L’analisi parte dunque con l’individuare gli elementi base che costituiscono la formula e le caratteristiche<br />

specifiche della formula di Mantra, così come lo stesso compositore indica nelle note alla partitura<br />

musicale. Successivamente verranno presi alcuni punti della composizione per vedere in che modo si<br />

ritrovino in essa gli elementi della formula e come vengono trattati. Infine si potranno indicare quali siano<br />

gli elementi caratterizzanti il metodo compositivo in questione.<br />

L’intervento è tratto dal lavoro più esteso riguardo a Stockhausen cui accennavo sopra, articolato<br />

schematicamente come segue:<br />

1- la tecnica della formula: genesi e significato.


2- elementi teorici: come si costruisce una formula. Elementi costitutivi di base ed elaborazioni<br />

melodiche , ritmiche, dinamiche.<br />

3.1- applicazioni della formula nella composizione: la micro forma, Tierkreis, In Freundschaft<br />

3.2- applicazioni della formula nella composizione: Mantra, Licht<br />

3.3- applicazioni della formula nella composizione: l’uso dell’elettronica: Kahinka’s Gesang<br />

4- testimonianze di esecutori<br />

5- conclusioni<br />

Bibliografia<br />

Essenzialmente sono stati utilizzati riferimenti bibliografici alle opere teoriche di Stockhausen, nonché<br />

alle note contenute nelle partiture pubblicate dalla Stockhausen Verlag.<br />

K. Stockhausen, Texte, vol. 1-4, Du Mont, Koeln 1963-1988<br />

K. Stockhausen, The art to listen, Stockhausen Verlag, Kuerten 1970<br />

K. Stockhausen, Wie die Zeit vergeht, in Texte zur elektronischer und instrumentalen Musik, Band 1 ,<br />

Koeln 1963<br />

Giuseppe SELLARI - Maria Grazia BELLIA - Mario BARONI<br />

La percezione della forma musicale nei bambini<br />

Introduzione<br />

Uno degli scopi fondamentali dell'analisi musicale è quello di sviluppare le capacità di<br />

comprendere all'ascolto il discorso musicale, sapendone seguire l'evoluzione e ricostruendone a<br />

orecchio la logica e l'organizzazione (M. Baroni 2004). È dunque importante che ogni soggetto<br />

abbia gli strumenti per ricostruire a orecchio l'articolazione formale, individuandone all'ascolto la<br />

mappa organizzativa e la trama sottile dei rimandi interni. Percepire la forma musicale<br />

significa: 1) segmentare il brano in micro/macro parti sulla base della percezione di ripetizioni e<br />

contrasti; 2) individuare gli elementi sonori fondamentali (temi, ritmi, rapporti fra strumenti, ecc.) e<br />

il loro ripresentarsi nel corso del brano; 3) cogliere le relazioni fra le diverse parti e la funzione di<br />

ciascuna all'interno del discorso musicale (introduzione, coda, presentazione di un nuovo<br />

elemento, sviluppo di un elemento già presentato, ecc.).<br />

In questa ricerca si è indagato sul livello di percezione della forma musicale da parte di bambini di<br />

età compresa tra gli otto e i dieci anni. Le riflessioni conclusive sono emerse dallo studio dei dati<br />

ottenuti dalle risposte che quattro gruppi di bambini, frequentanti rispettivamente lezioni di<br />

pianoforte, di danza classica, di ritmica Dalcroze e di canto corale hanno fornito dopo aver<br />

ascoltato alcuni brani di musica classica.<br />

Ipotesi di ricerca<br />

La segmentazione di un brano musicale secondo Michel Imberty avviene sulla base<br />

dell'identificazione di contrasti e rotture della continuità temporale che colpiscono l'attenzione<br />

dell'ascoltatore e lo inducono a operare la divisione in parti del pezzo ascoltato. Inoltre la<br />

costruzione genetica degli schemi d'ordine e di relazione d'ordine è basata innanzitutto su eventi<br />

dinamici che sono vissuti dal bambino a partire dal suo corpo, dalla sua motricità e dalla sua<br />

emotività (M. Imberty 2004). Alla luce di ciò la ricerca ha voluto verificare se e quanto l'abitudine al<br />

movimento e al canto nei bambini potesse influire nella percezione formale di un brano nei suoi<br />

momenti di contrasto, ripetizione e tensione.


Impostazione e metodo della ricerca<br />

Soggetti: 4 gruppi di bambini di età compresa tra gli 8 e i 10 anni frequentanti rispettivamente<br />

lezioni di pianoforte secondo il metodo tradizionale, attività di danza classica, attività di ritmica<br />

Dalcroze, attività di canto corale. I campioni sono stati scelti a sorte fra tutti quelli che si sono resi<br />

disponibili alla ricerca.<br />

Procedimenti: I soggetti dei quattro gruppi sono stati invitati ad ascoltare due brani di musica<br />

classica nel seguente ordine: 1) L. van Beethoven, contraddanza per orchestra WoO 14 n. 3 in Re<br />

Maggiore; 2) J. S. Bach, minuetto in Sol Maggiore BWV anh. 114 (versione per pianoforte) tratto dal<br />

Libro di Anna Magdalena. Le consegne date ai quattro gruppi e le fasi del lavoro musicale sono state<br />

le stesse. All’ascolto i bambini dovevano riconoscere i momenti di contrasto, tensione e ripetizione<br />

presenti nei brani. In particolare si è voluto controllare quanto l’esperienza motoria o vocale abbia<br />

inciso su: 1) l’esistenza di una concezione “proporzionale” della forma; 2) la capacità di individuare<br />

segmentazioni; 3) la capacità di riconoscere somiglianze; 4) la capacità di memoria “formale”. Gli<br />

ascolti dei due brani sono stati proposti al computer attraverso il software “Segmenta” elaborato<br />

appositamente per le prove della ricerca.<br />

Materiali: computer portatile e cuffie, software “Segmenta”, files musicali, schede prestampate su<br />

fogli di carta in formato A4, penne e colori.<br />

Analisi dei dati: I dati relativi alle singole prove del test sono stati raccolti e analizzati facendo<br />

riferimento a uno schema (l’analisi fraseologica delle composizioni) elaborato appositamente per il<br />

confronto con le segmentazioni individuate dai bambini. In questo schema la forma dei singoli<br />

brani è stata descritta tenendo conto di due livelli gerarchici: la microforma e la macroforma. È<br />

stato inoltre proposto un questionario agli insegnanti dei bambini per avere informazioni riguardo<br />

ai propri metodi d’insegnamento e al livello di preparazione di ciascun allievo.<br />

Conclusioni<br />

Dai risultati della ricerca emergerebbe una maggiore capacità di segmentazione e di riconoscere<br />

somiglianze da parte dei bambini appartenenti al gruppo “Dalcroze”; mentre il gruppo<br />

“pianoforte” possiederebbe maggiori capacità di memoria formale e una maggiore concezione<br />

“proporzionale” della forma.<br />

Bibliografia essenziale<br />

Azzaroni Loris (a cura di), La teoria funzionale dell’armonia, Bologna, Clueb, 1991;<br />

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—, Meccanismi cognitivi nel riconoscimento dello stile, in Johannella Tafuri (a cura di), La<br />

comprensione degli stili musicali,<br />

—, L’organizzazione percettiva del tempo musicale, in Rosalba Deriu (a cura di), Capire la forma,<br />

Torino, EDT, 2004, pp. 32-52;<br />

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Whittal Arnold, voce Form, in The New Grove Dictionary of Music and Musiciants, London,<br />

MacMillan, 2001.<br />

FRANCESCO STUMPO<br />

Silvery Fox: un "audiomusical" di Paolo Conte<br />

Stato attuale delle conoscenze sull’argomento<br />

La popular music in quanto musica di tradizione orale o meglio di “oralità secondaria” (Ong), presenta<br />

non poche difficoltà nell’ essere analizzata con i metodi più praticati per la musica scritta. In Italia in<br />

particolare gli studi analitici sulla popular music risentono ancora di un notevole ritardo rispetto ad altri<br />

paesi europei come per esempio l’Inghilterra (Tagg,Middleton, Moore). Ciò dipende in gran parte dalla<br />

quasi assenza di sedi istituzionali di ricerca, soprattutto universitarie, dove questo genere venga studiato,<br />

in particolar modo considerando il grande consenso che ha nell’età giovanile e non solo. Tuttavia casi<br />

isolati di studiosi, primo fra tutti quello di Franco Fabbri ma anche Borio, Marconi, D’Agostino, non<br />

hanno mancato di arricchire il panorama di studi internazionale in questo settore e pregevoli sono i<br />

contributi che dopo il Secondo Convegno Europeo di Analisi Musicale di Trento del 1991 sono stati<br />

raccolti dal <strong>Gatm</strong> in modo specifico negli Incontri di Studio di Analitica (Stumpo, Capalbo, Brartus).<br />

Contenuti principali della comunicazione e obiettivi della ricerca, con eventuale divisione in parti e<br />

apporti del proprio contributo rispetto allo stato attuale delle conoscenze<br />

La canzone di Paolo Conte “Silvery fox” dall’album “Psiche” del 2008 si configura come un vero e<br />

proprio musical in tre minuti, e lo stesso autore la definisce “un collage americano”. In realtà, mancando<br />

l’elemento fondante della commedia musicale, la messa in scena, sarebbe opportuno parlare forse di<br />

“audio-musical”.<br />

Il tipo di Musical a cui Conte sembra far riferimento è quello degli anni venti-trenta che usa l’idioma<br />

afroamericano come tratto elettivo, piuttosto di quello rock dei decenni successivi. D’altra parte è risaputa<br />

l’inclinazione jazzistica di questo cantautore. I riferimenti sembrano i fratelli Gerschiwin, Berlin e Kern e<br />

l’ambiente musicale è sicuramente quello sincopato della pulsazione ritmica che fa da struttura portante<br />

all’innesto di cellule melodiche ben riconoscibili. Cosa conserva questa canzone delle convenzioni<br />

drammaturgiche del musical? Innanzitutto l’uso della lingua inglese e la particolare costruzione ritmcofonetica<br />

che non disdegna l’uso dei sillogismi e delle anafore linguistiche che confluiscono in<br />

un’articolazione ludica del testo, cosa tipica dei testi dei musical del periodo a cui il brano sembra<br />

riferirsi. In secondo luogo la ricchezza delle immagini visive che le parole evocano (ricordiamo che<br />

l’autore è anche pittore) che galleggiano in una fiabesca atmosfera da plenilunio. L’ambientazione<br />

fiabesca, popolata da boschi e da animali notturni è uno dei clichè del musical nel quale spesso vengono<br />

rivisitate le fiabe classiche che portano l’ascoltatore di ogni età ad una regressione in un mondo infantile


ed incantato e che Vinay indica come uno dei meccanismi fondamentali del musical. In questo caso<br />

protagonista è una volpe argentata che si dimena un po’scanzonata(che non sia l’autoproiezione del<br />

cantautore?) in un immaginifico paesaggio di fiori invernali e notti di luna piena. E l’anima si perde in<br />

questo paesaggio, confondendosi con la vita stessa. Si sa che la lingua inglese è molto ritmica e perciò la<br />

nascita dei temi musicali è spesso dovuta ad una trasmigrazione di piedi metrici a cellule musicali<br />

tematiche.<br />

Il contributo che la presente analisi può fornire allo stato attuale della ricerca consiste nell’ approccio<br />

analitico interdisciplinare della popular music, ovvero di come un ascolto spesso acusmatico apra delle<br />

prospettive sensoriali e simboliche che vanno dalla visibilità delle parole del testo, alla sua strutturazione<br />

significante in una siluetta grafica, all’evocazione immaginifica di uno spettacolo da vedere e sentire<br />

come il musical.<br />

Analisi<br />

Il metodo analitico impiegato si riferisce al solo ascolto della registrazione, ovvero senza prendere in<br />

considerazione la partitura.<br />

Divisione in parti<br />

Il testo lascerebbe pensare ad una struttura musicale tripartita A-B-A’, laddove B inizierebbe quando<br />

viene nominato il titolo (Silvey fox). E’ curiosa la siluetta grafica speculare, palindroma creata dalla<br />

versificazione che sembrerebbe alludere alla struttura antropomorfa o floriforme:<br />

Life is a bound<br />

The nights are very incredible<br />

Bound is a life<br />

The landscapes are memorable<br />

Soul is a life<br />

And a soul is a bound.<br />

Soul is a life<br />

And soul is a bound<br />

Ah, moonlight on winter flour<br />

Silent steps on sparkin’ hours<br />

Silvery fox is walkin’<br />

Here’s a real Queen<br />

Throught the black trees<br />

Another soul in the night<br />

Can be we talk?<br />

And can we talk?<br />

Give me a start<br />

Listen to the heart<br />

Life is a bound<br />

The nights are very incredible<br />

Bound is a life<br />

The landscapes are memorable<br />

Soul is a life<br />

And soul is a bound<br />

Ah, moonlight on winter flour<br />

Ah, moonlight on winter flour<br />

La vita è un limite, le notti sono incredibili<br />

Il limite è una vita, i paesaggi sono memorabili<br />

L’anima è una vita e l’anima è un limite.<br />

Ah,chiaro di luna in pieno inverno<br />

Passi silenti nelle scintillanti ore.<br />

La volpe argentate sta camminando<br />

Qui è proprio una regina<br />

Attraverso gli alberi neri<br />

C’è un’altra anima nella notte<br />

Possiamo essere amici?<br />

Possiamo parlare?<br />

Dammi il via<br />

Ascolta dal cuore.<br />

La vita è un limite, le notti sono incredibili<br />

Il limite è una vita, i paesaggi sono memorabili<br />

L’anima è una vita e l’anima è un limite.<br />

Ah,chiaro di luna in pieno inverno.


Testo e musica. Con l’ascolto della musica vediamo che tutto viene stravolto:<br />

Life is a bound<br />

The nights are very<br />

incredible<br />

Bound is a life<br />

The landscapes are<br />

memorable<br />

Soul is a life<br />

And a soul is a bound<br />

Soul is a life<br />

And soul is a<br />

bound<br />

a b b’ b’’ B D D’<br />

Ah, moonlight on<br />

winter flour<br />

Silent steps on<br />

sparkin’ hours<br />

A A’ E<br />

Silvery fox is<br />

walkin’<br />

Here’s a real<br />

Queen<br />

Throught the<br />

black trees<br />

Another soul in<br />

the night<br />

Can be we talk?<br />

And can we talk?<br />

Give me a start<br />

Listen to the heart<br />

D D’<br />

Il verse iniziale a è quasi un parlato su un accompagnamento del pianoforte che enuncia un tema<br />

melodico apparentemente insignificante. Quando viene proposta la frase soul is a life lo sfondo pianistico<br />

sta già annunciando un secondo tema melodico b il cui ritmo è ripreso dal piede dattilico del verso<br />

iniziale: life is a bound ( ---U U). Tale tema, prima in sfondo diventa una figura amplificata, cantata senza<br />

testo all’unisono con i fiati (b e B).<br />

A questo punto interviene un riff degli ottoni (D) con funzione di bridge (tipica struttura eight middle)<br />

che crea un contrasto con quanto ascoltato precedentemente. Questa parte conduce ai due episodi corali<br />

(chorus 1 e chorus 2).La cellula melodica del chorus 1 (A) nasce dal tema dell’accompagnamento<br />

pianistico iniziale. La cellula melodica del chorus 2 (E) nasce invece del piede metrico iniziale del<br />

canto (a), questa volta spostando gli accenti (UUU-----). Viene poi riproposto il bridge seguito dai due<br />

chorus: a questo punto la sorpresa, viene riproposta in tutta la sezione iniziale ma in forma inversa a<br />

partire dai chorus per regredire al verse iniziale che finisce con la cellula iniziale del pianoforte (ripresa<br />

dal chorus 1) questa volta cantata dal solista con cui finisce la canzone dando luogo ad una forma<br />

palindroma:<br />

Bridge 1°Chorus 2°Chorus Bridge<br />

Verse Eight middle Eight middle<br />

a b b’ b’’ B’<br />

D<br />

D’ A A’ E D D’<br />

A A’ E’


Verse (palindromo) 1° Chorus<br />

B’ b b’ a’ a’’<br />

In ultima analisi si può notare come in questo brano il rimando a quelle che abbiamo precedentemente<br />

indicato come le caratteristiche del musical degli anni venti-trenta, emergano non solo al solo ascolto in<br />

superficie (uso dell’inglese, idioma jazzistico, giochi di parola) ma anche in profondità dopo l’analisi,<br />

come ad esempio il significante visivo del testo (la siluetta) che rimanda a livello profondo ad alcuni<br />

significati letterari (il bosco, la volpe) e crea una forma visiva speculare trasfigurata nella forma<br />

palindroma della musica.<br />

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE<br />

AGOSTINI, ROBERTO<br />

2006, Origini prospettive e sviluppi degli studi sulla popular music in Italia in Popular music. Fare,<br />

ascoltare,insegnare a cura di Fabrizio Deriu e Massimo Privitera, Roma, Aracne.<br />

BORIO, GIAMMARIO<br />

2003, Musicologia storica e musica di consumo: una tavola rotonda, in Il Saggiatore Musicale n 2, Leo<br />

S. Olschki, Firenze, 2003.<br />

DALMONTE, R. e BARONI,M. (a cura di)<br />

1990, Atti del 2° Convegno Europeo di Analisi Musicale, a cura di, Università degli Studi di Trento.<br />

MIDDLETON, RICHARD<br />

1994 Studiare la popular music, Milano, Feltrinelli (ed. or. Studying Popular Music, Buckingham, Open<br />

University Press, 1990).<br />

FABBRI, FRANCO<br />

2001, La canzone, in Enciclopedia della musica diretta da Jean Jaques Nattiez, vol. I, Il Novecento<br />

Torino, Einaudi<br />

VINAY, GIANFRANCO<br />

2001, Il Musical, in Enciclopedia della musica op. cit.<br />

PAOLO SULLO<br />

I solfeggi nella scuola di Nicola Zingarelli<br />

L’opera didattica di Nicola Zingarelli, direttore del Real Collegio di Musica di Napoli dal 1813 al<br />

1837, può essere considerata una preziosa testimonianza della tradizione didattica della scuola napoletana<br />

del XVIII secolo.<br />

Nicola Zingarelli, infatti, è stato allievo presso il Conservatorio di Santa Maria di Loreto nelle classi di<br />

Francesco Speranza, Pasquale Anfossi, Antonio Sacchini e di Fedele Fenaroli. Il legame forte con la<br />

scuola di Fenaroli e con la didattica del Settecento è ravvisabile in tutta l’opera didattica di Zingarelli che<br />

può essere innanzitutto ricondotta, al pari del suo maestro, all’esercizio del partimento. Per quanto<br />

riguarda la composizione di solfeggi, invece, stando all’analisi delle fonti che ci sono pervenute, la<br />

produzione di Zingarelli, messa a confronto con quella dei suoi maestri, risulta essere più copiosa ed<br />

articolata. Le poche testimonianze di solfeggi che ci sono pervenute riguardo Alessandro Speranza e<br />

Fedele Fenaroli, invece, sono costituite da brevi raccolte dedicate maggiormente alla sola voce di soprano<br />

dove i solfeggi erano dei brevi brani in forma d’aria simili nella costruzione ai solfeggi di Leonardo Leo.<br />

Sebbene, infatti, Francesco Florimo nella prefazione del proprio metodo di canto facesse risalire la<br />

prassi di scrivere solfeggi a tre caposcuola, ossia Francesco Durante, Alessandro Scarlatti e Nicola<br />

Porpora, ebbero grande diffusione nel XVIII e XIX secolo soprattutto i lavori di Leonardo Leo. Tali<br />

composizioni si presentano come brevi pezzi caratteristici pronti per l’esecuzione a una o più voci e basso


continuo in una forma musicale altamente standardizzata. A differenza dei solfeggi di Leonardo Leo, gli<br />

esercizi contenuti nelle raccolte composte da Francesco Durante vengono dedicati con maggiore<br />

frequenza alla voce di basso e privilegiano una scrittura fugata, dove l’ingresso delle voci avviene sempre<br />

in stretta imitazione. Tale procedimento, oltre a mostrare tutta la sapienza contrappuntistica di Durante,<br />

lascia intuire che forse tali solfeggi venissero eseguiti da due voci di basso senza alcun<br />

accompagnamento.<br />

A partire dai solfeggi di Leo e Durante è possibile individuare, quindi, due diversi modelli di scrittura,<br />

il primo caratterizzato maggiormente da un rigoroso modello formale e il secondo da una ricerca<br />

contrappuntistica, ai quali si sono allineati i compositori successivi.<br />

La presente ricerca, successivamente all’analisi dei differenti tipi di scrittura presenti nei solfeggi degli<br />

autori del XVIII secolo, cercherà di delineare le caratteristiche proprie della produzione di Nicola<br />

Zingarelli che, sebbene da un lato ha il merito di sintetizzare la tradizione didattica del secolo precedente,<br />

dall’altro rende l’esercizio del solfeggio una pratica dalla valenza spiccatamente multidisciplinare. Il<br />

solfeggio, infatti, appare attraverso l’analisi dell’intera produzione del maestro napoletano come un<br />

esercizio comune a tutti gli insegnamenti del conservatorio: non solo esercizio di canto, quindi, ma anche<br />

tappa obbligata per strumentisti e compositori. Le numerose fonti, a causa delle diverse finalità didattiche<br />

che il solfeggio poteva assumere, si presentano in maniera piuttosto eterogenea; sarà quindi possibile<br />

individuare dapprima i solfeggi dedicati agli alunni di canto, presenti nelle raccolte denominate Scale,<br />

salti e solfeggi, successivamente gli esercizi composti ad uso esclusivo degli allievi strumentisti che<br />

dovevano dapprima cantare e poi suonare i solfeggi secondo l’antica concezione che “chi canta suona”,<br />

ed infine i solfeggi che Nicola Zingarelli faceva comporre agli allievi di composizione. Numerosi sono,<br />

infatti, quaderni di esercitazione redatti sotto la guida del maestro napoletano da suoi alunni, tra cui<br />

Francesco Florimo, Francesco Rondinella e Nicola Fornasini, dove i solfeggi diventano un vero e proprio<br />

esercizio di scrittura inserito nella scuola di contrappunto e complementare alla pratica del partimento.<br />

L’analisi dei diversi solfeggi scritti da Nicola Zingarelli e dai suoi allievi, unitamente alle<br />

testimonianze coeve, fra cui quelle di Francesco Florimo e il Piano di riforma del Real Collegio di<br />

Musica di S. Sebastiano, una proposta di riforma didattica del Conservatorio redatta a Napoli nel 1816 e<br />

mai applicata, permetterà di riportare alla luce aspetti inediti della didattica napoletana di inizio Ottocento<br />

di cui Nicola Zingarelli sicuramente rappresenta uno dei massimi esponenti.<br />

(1) Per quanto riguarda l’analisi della forma nei solfeggi di Leonardo Leo cfr. Paolo Sullo, I Solfeggi di Leo e lo studio<br />

della forma nella Scuola Napoletana del Settecento, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», 1/2009, pp. 97-115<br />

PAOLO TEODORI,<br />

La forma di una musica narrativa: Hans Zimmer, Il parricidio, dalla colonna<br />

sonora del film Il gladiatore<br />

Fini dello studio<br />

Studi analitici sulla musica da film non esistono. Qui si vuole guardare alla forma di una musica in<br />

cui struttura, tempi, contenuti si devono adeguare a un oggetto esterno già confezionato.<br />

L’analisi sarà prettamente musicale, tenuto conto dello sfondo per il quale la musica è stata<br />

composta, della condizione emotiva generale e delle sue articolazioni nel corso della scena. Lo<br />

studio non ha per fine di analizzare il modo attraverso cui la musica si lega alla scena (studi del<br />

genere già esistono).<br />

La colonna sonora è originale, non si tratta di meri effetti di sonorizzazione (tipo cartone animato<br />

Tom e Jerry), né si tratta di musica di sottofondo appena udibile. Musica come questa, in altre<br />

parole, può essere apprezzata indipendentemente dal contesto per cui è stata creata.<br />

Lo scopo dello studio è di mostrare le ragioni e i modi della capacità di autonomia della musica, sia<br />

sul piano della forma che su quello dei significati.


Lo studio mostrerà quindi come la musica non accompagni meramente la scena, ma contribuisca a<br />

formarne e a interpretarne il significato; qualcosa di più rispetto a quel che Piovani afferma in una<br />

intervista, ovvero che la musica stia nel film a dire quel che sta dietro e che non si vede. I significati<br />

non sono tutti nella scena, benché nascosti, e la musica non si incarica solo di metterli in luce.<br />

Descrizione della scena<br />

L’analisi musicale deve essere preceduta necessariamente da una breve illustrazione della scena per<br />

cui la musica è composta, dalla osservazione del filmato relativo (se possibile) e dalla descrizione<br />

dell’articolazione della narrazione.<br />

• Quando la scena inizia, Commodo, figlio dell’imperatore Marco Aurelio, si avvicina al busto di …;<br />

l’inquadratura lo segue.<br />

• Entra Marco Aurelio: è anziano, annuncia a Commodo la sua intenzione di non indicarlo quale proprio<br />

successore come imperatore di Roma e di aver scelto, al suo posto, Massimo, generale dell’esercito romano.<br />

• La delusione di Commodo è devastante; dal dialogo si apprende che è la somma delle delusioni accumulate<br />

durante una vita, spesa in continui tentativi di compiacere il padre. Ma Commodo è ambizioso, non si arrende<br />

all’evidenza del giudizio paterno;<br />

• incanala il proprio livore represso in un proposito di violenza estrema: stringe il padre in un abbraccio<br />

ingannatore di affetto disperato, che diventa in pochi istanti un abbraccio di morte.<br />

• Morto Marco Aurelio, la scena chiude velocemente, sull’inquadratura dello stesso busto di … con cui si era<br />

aperta.<br />

Della scena, sono dunque determinanti le articolazioni – come passaggio da uno stato emotivo a<br />

quello successivo – e la condizione generale di attesa, di tensione repressa, di violenza ingannatrice.<br />

Va inoltre considerata la struttura ad arco dell’insieme: si inizia e si finisce con la stessa<br />

inquadratura, all’interno viene profilata un’onda crescente di tensione formata a sua volta di onde<br />

interne.<br />

È appena il caso di notare la somiglianza della struttura della scena con quella di molta musica,<br />

anche tradizionale.<br />

Analisi musicale<br />

Tenuto conto dell’articolazione della narrazione, l’analisi quindi sarà relativa a:<br />

• struttura armonica. L’armonia della musica è tonale, ben ancorata attorno ai cardini<br />

(Tonica/Dominante) della tonalità di Re minore, attraverso l’uso di note pedale, di cadenze,<br />

di giri armonici tradizionali. La tensione che gravita sulla scena è resa attraverso una<br />

prevalente sospensione dell’armonia sulla zona della Dominante, mentre nel momento<br />

dell’abbraccio parricida di Commodo, che rappresenta il culmine tragico della scena, vi è<br />

uno spostamento violento dalla Dominante verso la tonalità di Mi bemolle minore (salto di<br />

4ª aumentata!) Attraverso uno scivolamento cromatico repentino, cui i grandi salti della<br />

linea melodica conferiscono un aspetto di violenza incontrollata, si torna all’accordo di Re<br />

maggiore, su cui chiude la musica.<br />

Particolare attenzione sarà messa nella individuazione della struttura soggiacente; in<br />

particolare, sarà interessante rispondere alla domanda se essa sia Re La Re o Re Mi bemolle<br />

Re (è il movimento di nota di volta cromatica, in realtà, che costituisce la struttura profonda<br />

della struttura del brano e, insieme, il suo motivo caratterizzante a livello melodico).<br />

• motivo: è da mettere in rilievo assoluto la precipuità dell’invenzione motivica rispetto agli<br />

stati d’animo che vogliono essere evocati nella scena. Gli elementi melodici che<br />

caratterizzano la musica sono quello del movimento di semitono e del salto di 4ª aumentata.<br />

L’analisi della struttura melodica metterà in rilevo invece la particolarità dell’invenzione<br />

tematica della musica da film, in genere caratterizzata da una estrema essenzialità, in modo<br />

da favorire l’elaborazione dei disegni, consentendo gli allungamenti e gli accorciamenti (uso<br />

parole di Piovani) che servono ad adattare la musica elasticamente ai tempi della scena e alle<br />

pieghe dei significati da mettere in campo. Uso del Leitmotiv (due, nella musica esaminata):<br />

è un’altra caratteristica delle colonne sonore in genere, che viene messa in gioco anche nella<br />

musica esaminata; sarà interessante notare come i Leitmotiv usati si inseriscano<br />

naturalmente e senza soluzioni di continuità nella struttura melodica della musica.


• La tessitura (testura/arrangiamento) del suono ha una rilevanza straordinaria nella<br />

costruzione di musica da film attuale. Nel caso in esame, si tratta di musica per orchestra<br />

d’archi, nella quale è quasi irrilevante la presenza di suoni sintetici. È primaria l’importanza<br />

dell’orchestrazione (suoni pedale acuti e gravi con effetto di attesa e presenza; gestione<br />

accurata degli ambiti grave, medio e acuto in cui la melodia viene fatta migrare;<br />

armonizzazione e contrappunto essenziali e pertinenti); ma va messo in rilievo l’importanza<br />

di interventi in studio di registrazione per creare effetti di vicinanza/lontananza del suono,<br />

effetti di alone, di presenza non percepibile del suono (tecnica che viene dal pad della<br />

popular music).<br />

• Le articolazioni della struttura musicale sono ottenute solo in parte tradizionalmente,<br />

attraverso l’uso delle cadenze armoniche; il più delle volte la musica si articola attraverso la<br />

gestione dei motivi e della tessitura del suono.<br />

Conclusioni.<br />

Le regole della grammatica e della sintassi sono impiegate per significare: non c’è differenza tra<br />

forma e significati in un contesto nel quale vi sia la condivisione del codice, ovvero dove la capacità<br />

evocativa della musica e di sollecitare risposte emotive e stati d’animo non risponda a criteri<br />

meramente soggettivi, ma culturalmente condivisi. Dire si può attraverso regole condivise.<br />

Bibliografia<br />

BARONI M. (2002) L’ermeneutica musicale, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale»,<br />

Einaudi, Torino.<br />

COOK N. (2002) Forma e sintassi, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale», Einaudi,<br />

Torino.<br />

DALMONTE R. (2002) Musica e parole, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale», Einaudi,<br />

Torino.<br />

GAGNÉ D. (2009) La forma secondo una prospettiva schenkeriana, «Rivista di Analisi e Teoria<br />

Musicale», 2009/2, LIM, Lucca.<br />

MICELI S. (2009) Musica per film. Storia, estetica, analisi, tipologie. LIM, Lucca<br />

NATTIEZ J.-J. (1987) Il discorso musicale. Per una semiologia della musica, Einaudi, Torino<br />

NATTIEZ J.-J. (2002) Musica e significato, «Enciclopedia della musica – Il sapere musicale»,<br />

Einaudi, Torino.<br />

RINK J. (2007) Le analisi dei musicologi e le analisi degli esecutori. Paragoni possibili e forse utili,<br />

«Rivista di Analisi e Teoria Musicale», 2007/2, LIM, Lucca.<br />

PIERO VENTURINI<br />

Le funzioni formali nella musica postonale<br />

Una possibile applicazione delle teorie di Caplin in ambito non-tonale<br />

Introduzione e finalità della ricerca<br />

Nell’opera Classical forms, Caplin ha definito con molta precisione le funzioni formali di ogni<br />

singola parte della forma musicale classica: si parla di funzioni legate alle semifrasi (come, ad<br />

esempio, Idea base, Idea contrastante, Continuazione,ecc.), alle frasi (Antecedente, Conseguente,<br />

ecc.) e ai periodi. Ogni funzione è identificata da una o più caratteristiche peculiari: in questo modo<br />

non è possibile confondere, ad esempio, un’Idea base iniziale con una semifrase cadenzante.<br />

Questa ricerca, partendo dall’ipotesi che le funzioni formali descritte da Caplin possano essere<br />

presenti nelle musiche di ogni periodo storico (pur nel rispetto delle specificità stilistiche), si<br />

propone di verificarne l’esistenza nel repertorio postonale e di identificarne gli aspetti peculiari. In


pratica si cercherà di dare risposta alle seguenti domande:<br />

- le funzioni formali postonali sono le medesime descritte da Caplin o ve ne sono altre?<br />

- quali elementi differenziano una funzione formale da un’altra?<br />

L’approccio metodologico<br />

Oltre alla teoria di Caplin, la ricerca si avvarrà delle tesi sulla formazione delle frasi nella musica<br />

postonale di Hasty.<br />

Le fasi della ricerca<br />

La ricerca si articola in due parti:<br />

-analisi “a tavolino” (poietica)<br />

-studio esplorativo basato su un esperimento di ascolto (estesico), che rappresenta una prima<br />

verifica dei risultati ottenuti con l’analisi di tipo poietico.<br />

Prima parte: l’analisi poietica<br />

1) La ricerca parte dall’esame di un periodo mozartiano1 in cui risultino evidenti le funzioni di<br />

descritte da Caplin: come si può notare nell es.1 , è facilmente distinguibile l’Idea base (A) con uno<br />

dei suoi caratteri peculiari (il prolungamento dell’accordo di tonica), la Continuazione (B) (aumento<br />

del ritmo armonico), la Conclusione (B'') (melodia complessivamente discendente su una<br />

successione armonica cadenzale) e il raggruppamento delle semifrasi in una frase di Antecedente e<br />

di Conseguente.<br />

2) Si è poi individuato un brano postonale contenente un’unità periodica del tutto simile a quella<br />

sopra descritta, ossia le battute 1-5 dell’ op. 11 n. 1 di Anton Webern (es.2). Il brano presenta una<br />

struttura bipartita (batt. 1- 5 terza croma; 5-9) di tipo strofico: ogni parte inizia sempre nello stesso<br />

modo (un impulso singolo seguito da uno accordale, impulsi posti l’uno in posizione metrica debole<br />

e l’altro forte o viceversa): ognuna delle due parti contiene un “periodo” articolato in due frasi (in<br />

rapporto antecedente-conseguente) con la medesima struttura strofica, a loro volta suddivise in due<br />

semifrasi. L’esame dei set di base (es.3) evidenzia somiglianze e differenze tra le semifrasi A e B.<br />

In modo particolare si evidenzia come le semifrasi A', A'' e A''' siano divise in due elementi diversi<br />

(α e β) da pausa di differente durata: la successione impulso-accordo (o viceversa) ed un<br />

prolungamento rappresentato da una terzina di semicrome (β'), da una coppia di semicrome (β'') o<br />

da un accordo (β'''). I due elementi, pur situati all’interno di un’Idea base iniziale, hanno significati<br />

formali diversi: il primo (impulso-accordo) di chiusura della parte o della frase precedente, il<br />

secondo (il prolungamento) di riapertura e continuazione della frase; questa suddivisione è desunta<br />

dalla teoria di Hasty che dimostra come i procedimenti di inversione ( a livello di qualsiasi<br />

parametro) coincidano con la chiusura di un’unità metrica. In modo particolare, seguendo questa<br />

teoria si nota come la prima parte (l’impulso-accordo di batt.1) si concluda con la sua inversione<br />

(l’accordo- impulso sulle ultime due crome di di batt.5), che corrisponde all’arrivo sull’accordo<br />

conclusivo di tonica dell’esempio mozartiano. Questa considerazione sposta la fine della prima<br />

parte all’ elemento α'' che conclude la batt.5: considerazione fondamentale, come si vedrà, per<br />

stabilire un esatto confronto tra questo brano e l’esempio mozartiano.<br />

A questo punto si mettono a confronto le tre semifrasi di tipo A tra di loro e le tre semifrasi di tipo<br />

B per poter esaminare se esistano dei caratteri che caratterizzino un’Idea base e un’Idea<br />

Contrastante. Oltre a notare una tendenza ad un maggiore stabilità dinamica nelle semifrasi di tipo<br />

A, l’unica considerazione possibile nasce dal rapporto tra A e B: queste ultime sono dotata di una<br />

maggior complessità rispetto alle prime; la maggiore complessità va intesa nel senso della “somma<br />

di eventi” di Berry: nelle semifrasi B si nota non solo la presenza dell’evento impulso-accordo, ma<br />

anche una maggiore attività, soprattutto a livello della texture.<br />

A questo punto è già possibile formulare una prima risposta alle domande iniziali, che verrà<br />

sottoposta alla verifica nel successivo studio esplorativo: nel quadro dell’ es.4 sono descritte le<br />

funzioni formali desunte dall’analisi poietica. Come si può notare, le funzioni identificate da Caplin<br />

sussistono, ma con alcune sostanziali differenze:


1) tra Idea base e Idea Contrastante c’è una relazione di stretta dipendenza, in quanto la seconda è<br />

identificabile solo rapportandola alla prima; la terminologia di Idea Contrastante, dunque, appare, in<br />

questo contesto, inappropriata a definire la natura di questa funzione (si può propone il termine<br />

Intensificazione)<br />

2) la somma di funzioni formali è un evento senz’altro più frequente che nel linguaggio classico (si<br />

veda anche, come ulteriore esempio, la battuta conclusiva, in cui l’impulso-accordo tipico dell’Idea<br />

Base è unito al termine della semifrase di Continuazione).<br />

3) L’Idea base e la Conclusione, essendo l’una l’inversione dell’altra, lasciano intravedere la<br />

possibilità di una permutazione senza che il “senso” del periodo cambi.<br />

Seconda parte: lo studio esplorativo<br />

Lo studio esplorativo è stato condotto secondo il protocollo seguito negli analoghi esperimenti<br />

compiuti da Emmanuel Bigand: a 10 ascoltatori non-musicisti sono stati sottoposti tre ascolti per<br />

ogni brano, di cui uno rappresentava la versione originale e gli altri due delle permutazioni delle<br />

semifrasi nel seguente ordine:<br />

- Mozart: ascolto 1: originale; ascolto 2: B'-A- A'-B; ascolto 3: B- A- B'-A'<br />

-Webern: ascolto 1: originale; ascolto 2: B'-B-A'-A; ascolto 3: B'-A-A'- B. (Si ricordi che B'<br />

include l’elemento α'' di batt. 5 che corrisponde alla conclusione sulla tonica del periodo<br />

mozartiano).<br />

L’ordine delle permutazioni è stato scelto in modo che ogni ascolto inizi e si concluda in maniera<br />

diversa. Gli ascoltatori, cui è stato chiesto di indicare quali dei tre ascolti ritenessero dare l’impressione di<br />

senso compiuto, hanno risposto in questo modo:<br />

-Mozart ascolto 1: 9 scelte; ascolto 2: 0 scelte; ascolto 3: 1 scelta<br />

-Webern: ascolto 1: 5 scelte; ascolto 2: 4 scelte; ascolto 3: 1 scelta<br />

Dall’esito delle scelte appare chiaro come, nel caso di Mozart, sia impossibile invertire le funzioni<br />

formali senza che il senso del periodo venga irrimediabilmente compromesso. Nel caso di Webern,<br />

invece, è possibile invertire l’Idea Base e la Conclusione senza che il senso del periodo venga<br />

alterato; non è invece possibile invertire l’Idea base e l’Intensificazione senza snaturare il brano.<br />

In conclusione, dallo studio esplorativo si può dedurre che la cosidetta “forma polivalente”2 tipica<br />

della seconda metà del Novecento, in cui l’interprete può scegliere l’ordine delle battute da<br />

eseguire tra alcune combinazioni prestabilite, rappresenti un passo necessario e consequenziale<br />

nella storia dell’evoluzione del linguaggio compositivo novecentesco, contenuto “in potenza” nella<br />

produzione weberniana.<br />

NOTE<br />

1 l’esempio è tratto dalla Sonatina Viennese n. 4 K 439/b. L’esempio riportato è la trascrizione apocrifa<br />

per pianoforte di un movimento del Divertimento per Trio di fiati; la versione pianistica qui allegata è<br />

stata preferita all’originale per maggiore facilità di lettura.<br />

2 la definizione è di Stockhausen<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

-Agavu, Kofi: Theory and Practice: in the Analysis of the Nineteenth-century Lied”, Music analysis<br />

11/1, 1992<br />

-Berry, Wallace: Structural function in music, New York, Dover, 1987<br />

-Bigand, Emmanuel: L’organisation perceptive d’oeuvres musicales tonales, Paris, maison des<br />

Sciences de l’Homme, 1993<br />

- Caplin, William: Classical form, Oxford Unoversity Press, 1998<br />

-Clifford, Robert: Multi-level Symmetries in Webern’s op. 11 n. 1, Perspectives of new music 40/1<br />

- Forte, Allen, The atonal music of Anton Webern, Yale university press, 1998<br />

-Hasty, Christopher: Phrase formation in Post-tonal music, Journal of music theory, 28/2, 1984<br />

-Straus, Joseph: The problem of prolongation in Post Tonal music, Journal of music theory n.31/1,<br />

1987


ESEMPIO 1<br />

ESEMPIO 2<br />

ESEMPI ALLEGATI


ESEMPIO 3<br />

ESEMPIO 4


LEONARDO ZACCONE<br />

Un’analisi comparata di musica acusmatica con partiture: Studie II di Karl Heinz Stockhausen,<br />

Incontri di Fasce Sonore di Franco Evangelisti, Fontana Mix di John Cage<br />

La relazione proposta è parte della mia ricerca di Dottorato in Storia Scienze e Tecniche della Musica<br />

presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata” attualmente in fase<br />

conclusiva dal titolo “Esecuzione ed Interpretazione nella musica elettronica acusmatica”. Lo stesso<br />

tema è stato da me già trattato, sebbene con uno sguardo più storico e meno analitico, in due precedenti<br />

conferenze “Fontana Mix und Studie II: Akusmatik zwischen Aleatorik und Strukturalismus” presso la<br />

Technische Universität Berlin e “Gli Incontri di Fasce Sonore” all’interno dell’EMUFest del<br />

Conservatorio di S. Cecilia.<br />

Nella trattazione prenderò in esame questi tre brani acusmatici che per varie caratteristiche sia di<br />

somiglianza che di incongruenza reciproche, sono risultati topici: Studie II di Karl Heinz Stockhausen,<br />

Incontri di Fasce Sonore di Franco Evangelisti e Fontana Mix di John Cage.<br />

Numerose sono le analogie storiche e tecniche che accomunano questi brani, giacché ognuno di essi<br />

venne composto nel primo decennio della musica elettronica, in Europa, su nastro magnetico con<br />

procedure molto simili tra loro. Ma al di sopra di queste considerazioni, l’analisi comparata del processo<br />

esecutivo di questi tre brani ci offre essenziali spunti di ricerca per il particolare fatto che di ognuna di<br />

queste opere le “Edizioni Universal” pubblicarono una partitura e che i tre autori appartenessero a scuole<br />

di pensiero musicali molto diverse tra loro. Suddette partiture, scritte chiaramente non in notazione<br />

tradizionale ma attraverso procedimenti grafici appositamente sviluppati da ciascun autore e quindi<br />

diversi tra loro, risultano perfettamente efficaci tanto da permettere a chi possieda le competenze tecniche<br />

necessarie di poter realizzare nuovamente il brano, come io stesso ho fatto.<br />

All’interno del lavoro saranno analizzate in modo comparativo le divergenze che intercorrono tra i tre<br />

“testi musicali”, in questo caso composti dalla partitura e dal nastro, evidenziando in ciascuna opera un<br />

rapporto particolare e peculiare tra il pensiero compositivo dell’autore e il procedimento esecutivo che<br />

collaborano al risultato sonoro inciso sul nastro. Saranno confrontate pertanto le versioni degli stessi<br />

compositori con le mie personali riesecuzioni.<br />

Obiettivo principale del lavoro è quello di evidenziare come la presenza stessa di una partitura che<br />

permette nel dettaglio la ri-realizzazione del nastro, ovvero una riesecuzione del brano, non coincida con<br />

l’idea, che si vorrebbe palingenetica, dell’opera acusmatica come opera musicale finalmente senza<br />

esecutore né interprete.<br />

Tale considerazione resta particolarmente vera per Fontana Mix e per il pensiero estetico di John Cage<br />

che infatti non realizzò molti altri brani acusmatici, ma appare più discutibile per Stockhausen che invece<br />

compose moltissimi nastri di musica elettronica e sempre si curò di redigerne delle accurate partiture.<br />

Pertanto, come emerge chiaramente dal confronto di questi brani, attraverso essi sarà enucleato il pensiero<br />

di ciascuno dei tre autori, esponenti di massimo rilievo delle scuole compositive che rappresentano e di<br />

tutta l’avanguardia musicale del secondo novecento, riguardo al processo realizzativo, ovvero<br />

all’esecuzione della musica elettronica acusmatica, approccio ancor oggi trascurato nell’analizzare brani<br />

elettronici.

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