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ALBERTO BURGIO*<br />

SIMONE OGGIONNI**<br />

* DEPUTATO DEL PRC-SE<br />

** CAPOREDATTORE DEL SITO<br />

WWW.ESSERECOMUNISTI.IT<br />

SECONDA PARTE<br />

PACE E GUERRA<br />

<strong>il</strong> business delle armi<br />

nell’escalation bellica<br />

Questi numeri sono enormi. Dimostrano meglio di qualsiasi<br />

altra cosa che [...] la nostra non è la coalizione dei volenterosi<br />

ma è la coalizione dei pagatori.<br />

Peter Singer, docente in diverse università statunitensi<br />

di Studi di politica internazionale e direttore del 21st<br />

Century Defense Initiative presso la Brookings Institution,<br />

commentando <strong>il</strong> sorpasso del numero complessivo<br />

di contractors privati presenti in Iraq (180.000) rispetto<br />

ai soldati Usa (160.000), «Los Angeles Times», 4 luglio<br />

2007.<br />

La specificità degli armamenti<br />

Sullo sfondo <strong>della</strong> persistente centralità <strong>della</strong> guerra nell’agenda politica degli<br />

Stati capitalistici – tema affrontato nella prima parte di questo lavoro – si<br />

colloca <strong>il</strong> tema specifico <strong>della</strong> spesa per armamenti.<br />

Per l’industria bellica la guerra è indispensab<strong>il</strong>e per due ordini di ragioni:<br />

sul piano economico, costituisce <strong>il</strong> momento del consumo <strong>della</strong> mercearmi,<br />

rialimentandone costantemente la domanda, e offre un terreno<br />

ideale di sperimentazione sul quale si sv<strong>il</strong>uppa a sua volta una costante<br />

dinamica di concorrenza tecnica che, decidendo <strong>della</strong> rapida obsolescenza<br />

dei sistemi d’arma, rende inevitab<strong>il</strong>i nuovi e massicci investimenti; sul<br />

piano politico, la guerra costituisce <strong>il</strong> terreno di verifica dell’efficacia<br />

delle macchine belliche degli Stati, cioè di un elemento-chiave ai fini<br />

<strong>della</strong> determinazione delle gerarchie di potenza globali. In questo senso<br />

<strong>il</strong> susseguirsi delle guerre tiene in vita e alimenta un immenso, macabro<br />

supermercato.<br />

Ciò si lega a un’altra peculiarità delle armi: la propria condizione di merce<br />

che non solo non satura <strong>il</strong> mercato di consumo (nella misura in cui corrisponde,<br />

in forza di nuovi conflitti, a un uso sempre possib<strong>il</strong>e), ma che genera<br />

anche sempre nuove opportunità di crescita (e dunque di investimento<br />

e accumulazione) grazie alle politiche di «ricostruzione». La mercearmi,<br />

dunque, assolve – all’interno di un contesto che potremmo definire<br />

di «keynesismo di guerra» (incremento <strong>della</strong> spesa pubblica m<strong>il</strong>itare a<br />

fronte di una compressione <strong>della</strong> spesa pubblica sociale) – una funzione<br />

economica intimamente razionale: risolve, o quantomeno appiana, le crisi<br />

di sovrapproduzione o di sottoconsumo e interviene positivamente nelle<br />

fasi di stagnazione, innescando un circuito perverso tra la crescita dei profitti<br />

del m<strong>il</strong>itare-industriale e la moltiplicazione degli scenari di guerra.<br />

Ma quali sono stati e quali sono, in cifre, <strong>il</strong> peso e l’incidenza del commercio<br />

di armamenti nel contesto dell’economia di guerra? Ci possono<br />

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