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54<br />

qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli, a essere<br />

cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsab<strong>il</strong>e. L’elemento<br />

«volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in<br />

altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non<br />

siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati,<br />

si può intendere l’importanza che la manifestazione del<br />

voto può avere. [1625-6; corsivi miei]<br />

È inut<strong>il</strong>e fingere di non capire, come talvolta si fa, che<br />

qui Gramsci sta descrivendo <strong>il</strong> sistema elettorale vigente<br />

in Urss al tempo suo, e che <strong>il</strong> suo apprezzamento va per<br />

l’appunto al voto «differenziato», com’è chiaro dalla distinzione<br />

tra «avanguardia di lavoro attivo e responsab<strong>il</strong>e»<br />

e «comune cittadino legale». È noto del resto che in<br />

Urss furono attuati in epoca staliniana modelli di «voto<br />

plurale» volti a favorire le élites operaie 2 . È dunque ut<strong>il</strong>e<br />

affrontare, in quest’ottica più vasta, la questione del<br />

«diritto di voto». La distinzione di Gramsci tra «semplice<br />

cittadino legale» e «cittadino politicamente attivo»<br />

è più vicina a quella m<strong>il</strong>liana che risale, in ultima<br />

analisi, a quella platonica fondata sul criterio dei saperi.<br />

Tutte e tre sono lontanissime sia da quella meramente<br />

censitaria sia da quella puramente astratta dell’1=1 (la cui<br />

«altra faccia» è <strong>il</strong> principio di maggioranza).<br />

Ora che è evidente a tutti che <strong>il</strong> vero ma invisib<strong>il</strong>e governo<br />

è passato ai «tecnici» (in primis a quelli dell’economia), e<br />

che <strong>il</strong> suffragio uguale adoperato per eleggere i sempre più<br />

pleonastici Parlamenti è un comodo strumento per eleggere<br />

organismi che non possono in alcun modo controllare <strong>il</strong><br />

vero governo e, prima ancora, capirne l’azione. Ne consegue<br />

che un indistinto e (all’apparenza) onnipotente corpo civico<br />

«totale» è <strong>il</strong> migliore presupposto perché <strong>il</strong> vero potere<br />

resti a riparo e agisca a riparo.<br />

La rottura di questo sistema a suo modo perfetto (oligarchia<br />

camuffata da democrazia, ma sempre più apertamente<br />

«sistema misto») potrebbe avvenire – ora che l’ipotesi<br />

<strong>della</strong> rivoluzione «palingenetica» è fallita da un<br />

pezzo – attraverso un ritorno a un corpo civico esplicitamente<br />

differenziato, come intuì Platone nella Repubblica. Si potrebbe<br />

obiettare che ciò di fatto già accade. E invece non è<br />

propriamente così: una vasta e seriamente selezionata<br />

comunità di competenti che costituisca <strong>il</strong> corpo civico più<br />

«elevato», gravato perciò di responsab<strong>il</strong>ità maggiori e di<br />

vero potere di controllo, toglierebbe le élites «tecniche»<br />

dominanti (la cui bravura è fuori discussione ma che non<br />

possono essere lasciate senza controlli) dal loro priv<strong>il</strong>egiato e<br />

invisib<strong>il</strong>e e indisturbato arroccamento.<br />

Faccio osservare per incidens che, passata la fase palingenetica<br />

e utopistica, anche la società tardosovietica tendeva<br />

a costituirsi in questo modo. Mi riferisco in particolare<br />

alla cap<strong>il</strong>lare rete e al notevole potere delle «Accademie<br />

delle scienze». Ma proprio <strong>il</strong> fatto di dover far convivere<br />

questa realtà con la finzione dell’uguaglianza alla fine<br />

portò – insieme a molti altri fattori beninteso – al disastro.<br />

Né ci si deve nascondere che, nei nostri sistemi, proprio<br />

l’<strong>il</strong>lusoria onnipotenza dei corpi elettorali indiscriminatamente<br />

egualitari e non reclutati sulla base di un purchessia<br />

principio o criterio, da un lato concede ai veri gruppi<br />

dirigenti la serenità e la totale lontananza dal controllo politico-parlamentare,<br />

e, dall’altro, dà alle masse l’<strong>il</strong>lusione<br />

di decidere e di scegliere. (La vicenda euro è emblematica:<br />

calato dall’alto, ha dimezzato i salari senza colpo ferire).<br />

Capisco bene che questo geniale ritrovato – vigente in<br />

Occidente – che assicura contemporaneamente una (sostanziale)<br />

pace sociale da un lato e dall’altro l’indisturbato<br />

potere dei gruppi direttivi è talmente ben pensato e<br />

presenta nell’immediato talmente tanti vantaggi da far<br />

temere che intaccarlo o sostituirlo possa essere pericoloso,<br />

o almeno rischioso. Non è remora da poco. C’è però<br />

un più profondo rischio: che cioè quei gruppi, se totalmente<br />

indisturbati e autoreferenziali come oggi sono,<br />

possano davvero creare scenari sempre più irreparab<strong>il</strong>i.<br />

Non guerre classiche, certo, ma finte esportazioni <strong>della</strong><br />

democrazia, terrorismi più o meno fittizi, avventure finanziarie<br />

dalle implicazioni globali.<br />

Dunque <strong>il</strong> rimedio è pur sempre l’estensione <strong>della</strong> conoscenza<br />

degli arcana economici e finanziari e l’arruolamento<br />

(ma come?) e la costituzione di un ceto di «competenti»<br />

che non solo costituisca <strong>il</strong> retroterra «elettorale»<br />

dei gruppi direttivi (oggi unicamente cooptati) ma li<br />

controlli nel merito e li revochi se del caso. Ai parlamenti<br />

è riservato già ora un ruolo di contorno: li si lascia sfogare<br />

su fecondazione assistita, pacs etc. Ma non si completa<br />

la Salerno-Reggio Calabria perché la mafia conta<br />

troppo e non lo vuole. Una divisione di compiti c’è già,<br />

tanto vale prenderne coerentemente atto. Forse non sarebbe<br />

male dunque dare un assetto razionale ed esplicito,<br />

non sottinteso e senza regole, a una situazione di<br />

fatto, che solo così può essere sottoposta a controlli e verifiche,<br />

freni e redde rationem. <br />

1. Considerazioni sul governo rappresentativo (1861), cap. VIII, Bompiani,<br />

M<strong>il</strong>ano 1946, pp. 158 e 155.<br />

2. Cfr. A. Bavaj, Il principio rappresentativo nello Stato sovietico, Anonima<br />

Romana Editoriale, Roma 1933, pp. 108-11.

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