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56<br />
fascismo possa replicare, «nelle condizioni attuali», <strong>il</strong><br />
«movimento» realizzato, nel secolo precedente, dal «liberalismo<br />
moderato e conservatore» [1227-8]. L’idea,<br />
più precisamente, è che, tramite <strong>il</strong> fascismo, la borghesia<br />
italiana intenda sì introdurre elementi di modernizzazione<br />
(e prima fra tutti, una qualche forma di pianificazione<br />
pubblica, che fosse stata capace di prevenire i rovesci finanziari<br />
ed economici che in quel periodo si accavallavano<br />
l’uno sull’altro), ma in un quadro di sostanziale conservazione<br />
delle gerarchie sociali tradizionali.<br />
È chiaro che la plausib<strong>il</strong>ità di questo disegno deve non<br />
poco all’incapacità delle «forze antagonistiche» di «organizzare<br />
a loro profitto» <strong>il</strong> «disordine di fatto» generato<br />
dalla crisi economica [912-3], un’incapacità che rimanda<br />
a quella che afflisse durante <strong>il</strong> Risorgimento <strong>il</strong><br />
Partito d’azione dei mazziniani e dei garibaldini, che<br />
proprio per ciò furono sistematicamente «diretti» da<br />
Cavour e dai «moderati» [2010 ss.]. Ma ciò non toglie<br />
che, agli occhi di Gramsci, <strong>il</strong> fascismo, malgrado la sua<br />
essenza reazionaria, possa mettere capo a trasformazioni<br />
relativamente «progressive» e che, di conseguenza,<br />
possa anch’esso assolvere alla funzione di realizzare la<br />
transizione da una formazione sociale a un’altra: lo rivela<br />
<strong>il</strong> suo giudizio sulla funzione potenzialmente decisiva<br />
per <strong>il</strong> processo produttivo degli istituti sorti in quel<br />
torno di tempo dalla fantasia «creativa» di Alberto Beneduce,<br />
grazie ai quali lo Stato veniva a concentrare «<strong>il</strong><br />
risparmio da porre a disposizione dell’industria e dell’attività<br />
privata, come investitore a medio e lungo termine»<br />
[2175-6].<br />
È proprio l’importanza attribuita a codesto controllo sul<br />
risparmio privato che induce Gramsci a rispondere negativamente<br />
alla questione concernente l’eventualità<br />
che, «una volta assunta questa funzione», lo Stato possa<br />
poi «disinteressarsi dell’organizzazione <strong>della</strong> produzione<br />
e dello scambio», lasciandola come prima all’iniziativa<br />
privata:<br />
Se ciò avvenisse, la sfiducia che oggi colpisce l’industria e <strong>il</strong> commercio<br />
privato, travolgerebbe anche lo Stato; <strong>il</strong> formarsi di una<br />
situazione che costringesse lo Stato a svalutare i suoi titoli (con l’inflazione<br />
o in altra forma) come si sono svalutate le azioni private,<br />
diventerebbe catastrofica [...]. Lo Stato è così condotto ne ces -<br />
sariamente a intervenire per controllare se gli investimenti avvenuti<br />
per <strong>il</strong> suo tramite sono bene amministrati [...]. Ma <strong>il</strong> puro controllo<br />
non è sufficiente. Non si tratta infatti solo di conservare l’apparato<br />
produttivo così come è in un momento dato; si tratta di riorganizzarlo<br />
per sv<strong>il</strong>upparlo parallelamente all’aumento <strong>della</strong> popolazione<br />
e dei bisogni collettivi. [2176]<br />
Sta qui <strong>il</strong> motivo che spinge Gramsci a chiedersi con insistenza<br />
se gli anni Trenta debbano considerarsi «un periodo<br />
di “restaurazione-rivoluzione”» e se l’Italia fascista<br />
possa avere nei confronti dell’Urss «la stessa relazione<br />
che la Germania [e l’Europa] di Kant-Hegel con la<br />
Francia di Robespierre-Napoleone» [1209]. Domande<br />
certamente sensate, se pensiamo che la prima vera legislazione<br />
a tutela del lavoro, le prime moderne forme di<br />
previdenza sociale, <strong>il</strong> primo disciplinamento <strong>della</strong> produzione<br />
industriale e <strong>della</strong> funzione creditizia (vero<br />
cuore pulsante <strong>della</strong> «distruzione creatrice» del capitalismo,<br />
come diceva Schumpeter) si ebbero appunto nel<br />
Ventennio, che sotto questo prof<strong>il</strong>o si connotò per una<br />
«costituzione economica» altrettanto «mista» di quella<br />
delle nazioni europee che furono teatro <strong>della</strong> «modernizzazione<br />
passiva» del periodo 1815-1870.<br />
Nondimeno, <strong>il</strong> discorso gramsciano è complesso e cautelato.<br />
A quanti scorgono nel corporativismo «la premessa<br />
per l’introduzione in Italia dei sistemi americani<br />
più avanzati nel modo di produrre e di lavorare» [2153],<br />
Gramsci obietta che <strong>il</strong> corporativismo è piuttosto originato<br />
non tanto<br />
dalle esigenze di un rivolgimento delle condizioni tecniche dell’industria<br />
e neanche da quelle di una nuova politica economica,<br />
ma piuttosto dalle esigenze di una polizia economica, esigenze aggravate<br />
dalla crisi del 1929 e ancora in corso. [2156]<br />
Nondimeno, aggiunge, è pur vero che, «nel quadro concreto<br />
dei rapporti sociali italiani», la soluzione «corporativa»<br />
propugnata dal fascismo<br />
potrebbe essere l’unica soluzione per sv<strong>il</strong>uppare le forze produttive<br />
dell’industria sotto la direzione delle classi dirigenti tradizionali,<br />
in concorrenza con le più avanzate formazioni industriali di<br />
paesi che monopolizzano le materie prime e hanno accumulato<br />
capitali imponenti. [1228]<br />
Il punto di fondo, però, è che l’intervento statuale nell’economia<br />
capitalistica possiede un’ambivalenza insopprimib<strong>il</strong>e.<br />
Sicuramente, dice Gramsci,<br />
si avrebbe una rivoluzione passiva nel fatto che per l’intervento<br />
legislativo dello Stato e attraverso l’organizzazione corporativa,<br />
nella struttura economica del paese verrebbero introdotte modificazioni<br />
più o meno profonde per accentuare l’elemento «piano<br />
di produzione», verrebbe accentuata cioè la socializzazione e cooperazione<br />
<strong>della</strong> produzione senza per ciò toccare (o limitandosi<br />
solo a regolare e controllare) l’appropriazione individuale e di<br />
gruppo del profitto. [ibid.]