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Quale Gramsci, allora, dopo la fine dell’Unione Sovietica,<br />
del «comunismo» e del suo partito? Cerchiamo di capire<br />
cos’è successo nella storia <strong>della</strong> fortuna di Gramsci<br />
dopo di allora, assumendo come emblematiche le date<br />
dei due decennali <strong>della</strong> morte del pensatore sardo, <strong>il</strong><br />
1997 e <strong>il</strong> 2007, tradizionali occasioni di pubblicazioni e<br />
convegni, ovvero di riflessione collettiva.<br />
1997: Gramsci senza Pci<br />
Il decennale gramsciano del 1997 è stato <strong>il</strong> primo dopo la<br />
fine del partito che fu di Gramsci. Il superamento del<br />
nesso forte Gramsci-Pci fu per certi versi positivo: servì<br />
a r<strong>il</strong>anciare gli studi più seri, meno preoccupati delle implicazioni<br />
politiche. Permise anche di focalizzare le letture<br />
non italiane. Tale superamento, che non ebbe solo<br />
implicazioni positive, si sposò con la fortuna ormai planetaria<br />
dell’autore dei Quaderni. Se ne ebbe una importante<br />
verifica con i maggiori convegni svoltisi in Italia in<br />
quell’anno, in primo luogo nel tradizionale appuntamento<br />
decennale organizzato dalla Fondazione Gramsci,<br />
tenutosi a Cagliari in apr<strong>il</strong>e 5 .<br />
Qui fu soprattutto l’impronta gramsciana nel campo<br />
degli studi di politica internazionale a trovare un’eco significativa.<br />
Le tematiche più dibattute furono quelle<br />
<strong>della</strong> «società civ<strong>il</strong>e internazionale» e dell’«egemonia<br />
internazionale», largamente presenti in ambito anglofono<br />
in un’ottica liberaldemocratica. La globalizzazione e la<br />
crisi dello Stato-nazione erano in questo quadro assunti<br />
come fenomeni ricchi di potenzialità positive. Paradigmatico<br />
<strong>il</strong> discorso di Robert Cox, <strong>il</strong> quale ammetteva che<br />
la progressiva perdita di peso dello Stato dovesse essere<br />
sì considerata una sconfitta per le masse subalterne, ma<br />
vedeva in ciò la possib<strong>il</strong>ità di un nuovo modo di essere sinistra:<br />
la «società civ<strong>il</strong>e» diveniva per Cox non <strong>il</strong> luogo<br />
delle contraddizioni di classe, ma <strong>il</strong> risultato, tutto letto<br />
in positivo, del «complesso delle azioni collettive autonome»<br />
dei ceti subalterni. Ong, volontariato, ecc. sareb-<br />
bero la gramsciana società civ<strong>il</strong>e, l’«ambito nel quale avvengono<br />
i cambiamenti culturali» 6 . Su tale base l’autore<br />
auspicava una «società civ<strong>il</strong>e globale»: un mix volontaristico<br />
non economicistico quale possib<strong>il</strong>e alternativa al<br />
dominio del capitale.<br />
Anche per Jean Cohen Gramsci era <strong>il</strong> teorico <strong>della</strong> autonomia<br />
<strong>della</strong> società civ<strong>il</strong>e rispetto allo Stato. Mentre per<br />
Stephen G<strong>il</strong>l erano gli intellettuali a ergersi quali portatori<br />
di una funzione di coscienza collettiva alternativa.<br />
Classi e partiti erano del tutto espunti da questo orizzonte.<br />
Fine dello Stato-nazione, orizzonte democratico postnazionale,<br />
centralità <strong>della</strong> società civ<strong>il</strong>e internazionale:<br />
veniva rimossa la tradizione panstatalista, nazionale e insieme<br />
classista in cui, lo si voglia o meno, Gramsci affonda<br />
le proprie radici. Usciva da questa lettura un Gramsci<br />
irriconoscib<strong>il</strong>e, non comunista, liberaldemocratico. O<br />
addirittura, per alcuni, liberale 7 . Indubbio <strong>il</strong> connotato<br />
politico di quel convegno che, pur in una comprensib<strong>il</strong>e<br />
ottica di confronto con le maggiori correnti interpretative<br />
di Gramsci fuori d’Italia, finiva soprattutto per offrire<br />
l’immagine di un Gramsci teorico di una «globalizzazione<br />
buona» (la «società civ<strong>il</strong>e globale») che certo non era<br />
nei suoi pensieri 8 .<br />
Il primo convegno <strong>della</strong> International Gramsci Society<br />
(Igs), che si svolse a Napoli nel settembre di quello stesso<br />
1997 9 , presentò un quadro abbastanza diverso, benché<br />
percorso anche da temi e problemi al centro del convegno<br />
cagliaritano. Esso si interrogava sulle condizioni di costruzione<br />
di una nuova egemonia in contesti così diversi<br />
come quelli dei tanti paesi rappresentati, e vide interventi<br />
appassionati di studiosi provenienti dal Bras<strong>il</strong>e e dall’Australia,<br />
dalla Germania e dal Giappone, dalla Francia e<br />
dagli Stati Uniti. Si andavano delineando – accanto a studi<br />
più tradizionali (come le riflessioni su «socialismo e democrazia»<br />
di Carlos Nelson Coutinho) – linee di ricerca<br />
nuove, legate al tema <strong>della</strong> nazione e dell’identità a fronte<br />
dei processi di globalizzazione. Fu anche una delle prime<br />
volte che nel nostro paese si sentì parlare di Gramsci in<br />
relazione ai cultural studies e a Stuart Hall (Giorgio Baratta)<br />
o a Edward Said (Joseph Buttigieg). Ma l’importanza<br />
politica di quell’incontro risiedeva soprattutto nel fatto<br />
che per la prima volta oltre cento studiosi di Gramsci provenienti<br />
dai cinque continenti si ritrovavano per ribadire<br />
non solo l’interesse per l’autore dei Quaderni, ma anche<br />
l’interesse per un Gramsci non subalterno alle correnti<br />
culturali dominanti a livello internazionale, anche nella<br />
cultura <strong>della</strong> sinistra liberal.<br />
In una direzione del tutto diversa rispetto a quella prevalente<br />
nel convegno di Cagliari voleva muoversi <strong>il</strong> conve-