Il Canto di Tradizione Orale Il Canto di Tradizione Orale
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DOTT.SSA LAURA RUZZA<br />
<strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> <strong>Canto</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione Tra<strong>di</strong>zione <strong>Orale</strong><br />
<strong>Orale</strong><br />
Appunti del Corso <strong>di</strong> Antropologia della Musica<br />
presso il Conservatorio C. Pollini <strong>di</strong> Padova<br />
A.A. 2006-2007<br />
http://www.utenti.lycos.it/lauraruzza/<br />
E-mail: musiclan<strong>di</strong>a@tiscali.it<br />
Cell. 3336470115
INTRODUZIONE<br />
1- VIAGGIO NELLA VOCALITA'<br />
"E ovvio che il percorso non può essere lineare, né l'obiettivo chiaro quando ci si<br />
lascia orientare dall'orecchio: l'organo più provato dai rumori del nostro tempo,<br />
una volta lasciato libero, sceglie a suo gusto senza chiedersi il perché".<br />
(R. Dalmonte, Parole <strong>di</strong> musica e poesia, in Phonè semantikè.)<br />
R. Dalmonte si fa, in luogo mio, l'autorevole portavoce del <strong>di</strong>sagio che si prova nell'accingersi a questa<br />
ricerca e nel realizzare la presenza <strong>di</strong> una povertà <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> specifici sulla vocalità, sede del realizzarsi<br />
dell'incontro tra Musica e Parola.<br />
"Chi ha tentato davvero <strong>di</strong> penetrare nel labirinto dei rapporti tra suono e senso,<br />
ovvero fra musica e linguaggio verbale? Non ci si lasci ingannare da titolo<br />
come Testo e musica, La musica e il linguaggio, Poesia e musica, e da<br />
innumerevoli altre analoghe declinazioni dei due campi artistico-concettuali.<br />
Questi libri contengono sempre altro rispetto a quello che promettono. <strong>Il</strong> più<br />
della volte si tratta della storia dei "generi" cui musica e poesia hanno dato vita:<br />
storia del madrigale, del melodramma, della canzone, del lied, eccetera eccetera.<br />
In qualche caso si avverte una tensione verso il mistero <strong>di</strong> quei rapporti, che si<br />
traduce nell'impegno a chiedere alla musica la chiave dei suoi sensi e quin<strong>di</strong> la<br />
base delle sue affinità con la poesia ... <strong>Il</strong> pensiero logico si arrende a fatica a<br />
constatare che un prodotto dell'uomo non riesce ad essere spiegato al suo stesso<br />
produttore, e sempre <strong>di</strong> nuovo ritenta. ... Si tratta <strong>di</strong> gettare uno sguardo nella<br />
stanza da un piccolissimo pertugio."<br />
Definire il senso dello stile vocale, come esito del rapporto tra musica e parola, luogo <strong>di</strong> incontro,<br />
momento attualizzante-vitale, partendo dal presupposto che la voce detiene un proprio potere <strong>di</strong> senso<br />
ed è essa stessa metafora e forma simbolica dell'Essere, costituisce l'arduo obiettivo <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o.<br />
<strong>Il</strong> termine "rapporto" nel suo uso i<strong>di</strong>omatico denota qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>retto e attivo, <strong>di</strong> <strong>di</strong>namico ed<br />
energetico. "Fissa l'attenzione sul modo in cui le cose confluiscono l'una nell'altra, sui loro contrasti e le<br />
loro unioni, sul modo in cui esse si appagano e si deludono, si promuovono e si ritardano, si eccitano e si<br />
inibiscono scambievolmente" . I rapporti sono mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> interazione, <strong>di</strong>alettiche sempre latenti. Si tratta <strong>di</strong><br />
oggetti e sensi in movimento: la materia presa dalla natura <strong>di</strong>scutibilmente amorfa e priva <strong>di</strong> senso; il<br />
linguaggio come sistema co<strong>di</strong>ficato <strong>di</strong> riferimento e il personale uso che trova nella trasgressione la<br />
rivelazione e il nuovo; il <strong>di</strong>abolico e ambiguo gioco metaforico <strong>di</strong> ogni esprimersi umano che vorrebbe<br />
essere specchio fedele ma che allontana l'oggetto dando solo l'illusione <strong>di</strong> un possesso.<br />
Vi è un luogo squisitamente umano, in cui le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> un rapporto che sembra sfuggire ad una<br />
spiegazione in<strong>di</strong>scutibilmente univoca, si realizzano, cioè si attualizzano rivelando le energie potenziali e<br />
della parola e della musica: la voce.<br />
2
La parola è suono pronunciato che nella scrittura trova un modo cadaverico <strong>di</strong> vincere il tempo, ma che<br />
riprende vita nella voce umana. La parola non si riduce ad un senso che <strong>di</strong>fficilmente si può astrarre dalla<br />
sua pronuncia. La parola è sempre parola intonata. La parola è sempre parola nella musica. La musica<br />
ospita e accoglie una espressione della propria natura <strong>di</strong>alogando <strong>di</strong>aletticamente con le sue modalità<br />
semantiche in uno strumento (la voce) che arricchisce ulteriormente il gioco dei sensi perché esso stesso<br />
sede <strong>di</strong> senso.<br />
<strong>Il</strong> testo, la voce, la musica s'incontrano <strong>di</strong>aletticamente sul territorio del linguaggio inteso come sistema<br />
co<strong>di</strong>ficato e sono tanto più significativi quanto più creano uno "scarto" nei confronti <strong>di</strong> questo.<br />
Nelle pagine introduttive si cercherà <strong>di</strong> dare una definizione <strong>di</strong> linguaggio e <strong>di</strong> vedere quali sono le<br />
problematiche coinvolte nell'interazione fra Musica e Parola; in tale rapporto si darà una collocazione<br />
alla vocalità e successivamente si passeranno in rassegna alcune espressioni vocali particolarmente<br />
significative. Alla luce <strong>di</strong> queste premesse, verranno analizzate alcune opere delle avanguar<strong>di</strong>e musicali<br />
nel tentativo <strong>di</strong> mostrare il rapporto musica - testo - esito vocale.<br />
3
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7
LE PROBLEMATICHE DEL RAPPORTO PAROLA-MUSICA<br />
" Formulo, esteticamente a mio rischio, questa conclusione: che la Musica e le<br />
Lettere sono il volto alterno ora proteso verso l'oscuro, ora scintillante con ogni<br />
certezza, <strong>di</strong> un fenomeno, il solo, L'Idea, cosí lo chiamavo. Uno dei mo<strong>di</strong> piega<br />
verso l'altro e scomparendovi, ne riemerge arricchito: due volte, si raffina,<br />
facendo oscillare un genere intero". (Mallarmé, citato da P. Boulez,<br />
in Punti <strong>di</strong> riferimento).<br />
La scelta della Sfinge<br />
Nel mare magnum delle riflessioni secolari sul linguaggio, due sono gli orientamenti che si possono<br />
riscontrare. La loro co-esistenza è in<strong>di</strong>ce del <strong>di</strong>-lemma e dell'aporia ineliminabile che sta alla base del<br />
processo <strong>di</strong> significazione.<br />
1) E<strong>di</strong>po: cioè la possibilità <strong>di</strong> una conoscenza come co<strong>di</strong>ficazione ( dal "paradosso" <strong>di</strong> Saussure che<br />
tenta <strong>di</strong> definire il "segno" come unione <strong>di</strong> significato e significante pur avvertendone l'estrema<br />
insufficienza , fino agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> semiotica e semiologia <strong>di</strong> un Eco che riconduce il segno a formule<br />
matematiche in un'evidenza che vuole porsi come incontestabile);<br />
2) Sfinge: cioè l'affermazione "enigmatica" e negativa <strong>di</strong> un significante che si avvicina al suo oggetto<br />
tenendolo indefinitamente a <strong>di</strong>stanza; affermazione <strong>di</strong> una "barriera resistente alla significazione", <strong>di</strong> una<br />
"<strong>di</strong>slocazione" interna alla stessa struttura del significare; consapevolezza dell'impossibilità per il segno <strong>di</strong><br />
prodursi nella pienezza della presenza e quin<strong>di</strong> la proprietà del segno <strong>di</strong> svelare nel momento in cui si<br />
mostra, la propria lontananza, la connaturata scissione, l'eterno processo metaforico <strong>di</strong> qualcosa che<br />
in<strong>di</strong>ca senza possedere, l'incanto <strong>di</strong> un'immagine riflessa nello specchio e trattenuta vivente in assenza<br />
dell'oggetto che riflette .<br />
Si tratta ora <strong>di</strong> prendere una posizione, <strong>di</strong> operare la scelta che con<strong>di</strong>zionerà meto<strong>di</strong> e conclusioni <strong>di</strong><br />
questo stu<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> indossare le lenti attraverso le quali si guarderà il problema. E<strong>di</strong>po o la Sfinge? La<br />
chiarezza <strong>di</strong> una co<strong>di</strong>ficazione che "<strong>di</strong>vide le acque dalle terre", o il potere dell'"enigmatico" che tenta <strong>di</strong><br />
spiegare qualcosa sapendo della sua inaccessibilità?<br />
"Che cos'è dunque la verità? Una moltitu<strong>di</strong>ne in movimento <strong>di</strong> metafore, <strong>di</strong><br />
antropomorfismi, in breve: una somma <strong>di</strong> relazioni umane che sono state<br />
poeticamente elevate, trasposte, ornate e che, dopo un lungo uso, sembrano a<br />
un popolo ferme, canoniche e vincolanti... Mentre ogni metafora dell'intuizione è<br />
in<strong>di</strong>viduale e senza pari e, per questo, sa sempre sfuggire a ogni<br />
determinazione, il grande e<strong>di</strong>ficio dei concetti mostra la rigida regolarità <strong>di</strong> un<br />
colombario romano e esala nella logica la severità e la freddezza che sono propri<br />
della matematica. Chi sarà impregnato <strong>di</strong> questa freddezza, crederà <strong>di</strong>fficilmente<br />
che il concetto, osseo e ottagonale come un dado e, come questo, inamovibile,<br />
non è invece altro che il residuo <strong>di</strong> una metafora... Solo attraverso l'oblio <strong>di</strong><br />
questo mondo primitivo delle metafore, solo attraverso l'irrigi<strong>di</strong>mento e la<br />
cristallizzazione <strong>di</strong> ciò che era in origine una massa <strong>di</strong> immagini sorgenti, in un<br />
fiotto ardente, dalla capacità primor<strong>di</strong>ale della fantasia umana, solo attraverso la<br />
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credenza invincibile che questo sole, questa finestra, questa tavola sia una verità<br />
in sé, in breve, solo perché l'uomo si <strong>di</strong>mentica in quanto soggetto e, in<br />
particolare, in quanto soggetto della creazione artistica, egli può vivere un po'; <strong>di</strong><br />
riposo e <strong>di</strong> sicurezza..." .<br />
"<strong>Il</strong> residuo <strong>di</strong> una metafora", ecco il punto <strong>di</strong> partenza per la definizione <strong>di</strong> linguaggio che si cercherà<br />
<strong>di</strong> dare in questa sede, consapevoli dell'illusionarietà <strong>di</strong> posizioni che seppur estremamente rigorose nelle<br />
metodologie, hanno la presunzione <strong>di</strong> costringere alla scientificità matematica verità che vogliono<br />
sfuggire.<br />
Per una definizione <strong>di</strong> linguaggio: l'aspetto materico<br />
<strong>Il</strong> linguaggio è, alla prima evidenza e innegabilmente, "materia". Prima <strong>di</strong> essere "significante", (usando<br />
il termine caro a Soussure), o "espressione", (per <strong>di</strong>rla invece come Eco seguace <strong>di</strong> Hjemslev), il<br />
linguaggio è nel caso specifico, concretezza sonora.<br />
Emerge subito quin<strong>di</strong> una prima analogia tra i linguaggi in questione: il linguaggio-Parola (L. P.) e il<br />
linguaggio-Musica (L. M.) si costituiscono <strong>di</strong> suoni.<br />
" <strong>Il</strong> suono (è) l'elemento più sottile e più duttile del concreto" .<br />
<strong>Il</strong> suono è l'unità "atomica" per il formarsi e l'articolarsi del linguaggio, punto <strong>di</strong> partenza fisico e<br />
sensibile; un'unità che non è unica e necessariamente pura e che per le sue intrinseche proprietà<br />
(altezza, intensità, timbro e durata) già mette <strong>di</strong> fronte la necessità/possibilità <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> selezioni e<br />
combinazioni, già comporta cioè quella "resistenza" della materia necessaria affinché l'intelligenza<br />
umana si <strong>di</strong>spieghi in un lavoro produttivo e creativo.<br />
I suoni, che come è stato detto sono unità complesse, vengono dall'operare umano, organizzati.<br />
Una prima definizione <strong>di</strong> linguaggio a livello "immanente" potrebbe dunque essere quella <strong>di</strong> materia<br />
organizzata, quin<strong>di</strong> un materiale strutturato in un sistema in cui vigono leggi e norme vincolanti. <strong>Il</strong><br />
sistema rende necessaria la conoscenza <strong>di</strong> una "tecnica" come "insieme <strong>di</strong> valori saputi" per una sua<br />
comprensione e una sua utilizzazione e rende lecito e possibile un'analisi formale.<br />
"Organizzare i suoni" significherà operare delle scelte <strong>di</strong> relazione e cioè stabilire un or<strong>di</strong>ne, stabilire<br />
gerarchie, stabilire meccanismi <strong>di</strong> funzionamento, strutture sintattiche, grammatica e lessico.<br />
A questo punto il problema in questione del rapporto tre L. P. e L. M., comincia a prendere forma e a farsi<br />
complesso: se il fatto <strong>di</strong> essere costituiti della medesima materia permette una fusione perfetta <strong>di</strong> suoni<br />
con i suoni, la <strong>di</strong>fferenza, o meglio la similarità (ma non uguaglianza) dei sistemi <strong>di</strong> organizzazione e<br />
funzionamento pone delle <strong>di</strong>fficoltà.<br />
Si parla <strong>di</strong> accento, frase, ritmo, metro, grammatica e sintassi in entrambi i campi , ma il ritmo della<br />
lingua ad esempio, non sempre s'incarna perfettamente in quello musicale: talora impone le proprie<br />
accentazioni, talora si deve adattare a un procedere musicale stabilito. Quale linguaggio deve avere<br />
priorità imponendo la propria <strong>di</strong>namica?<br />
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Le <strong>di</strong>fficoltà aumentano quando si consideri l'aspetto semantico, cioè le <strong>di</strong>verse modalità in cui la materia<br />
sonora si carica <strong>di</strong> significati.<br />
Per una definizione <strong>di</strong> linguaggio: il linguaggio come forma simbolica<br />
<strong>Il</strong> linguaggio non è solo materia organizzata in sistema, ma coinvolge anche il processo <strong>di</strong> significazione.<br />
<strong>Il</strong> linguaggio comporta sempre organizzazione, intesa come necessaria conseguenza della presenza<br />
umana agente sulla materia, forma, come necessità <strong>di</strong> un mezzo con cui e in cui tradurre tramite un<br />
lavoro attivo e <strong>di</strong>namico l'espressione, intesa sia come impulso, atto liberatorio cosciente , sia come<br />
contenuto recepibile.<br />
<strong>Il</strong> linguaggio è sempre organizzato, formale, ed espressivo.<br />
Si può definire il linguaggio come una forma simbolica, cioè un'attività <strong>di</strong> libertà me<strong>di</strong>ante la quale si<br />
rappresenta obiettivamente in una forma la forma mentis, ossia il meccanismo <strong>di</strong> funzionamento e i<br />
contenuti della coscienza e dell'inconscio personale e collettivo.<br />
L'affermazione fatta vuole chiarimenti.<br />
<strong>Il</strong> linguaggio è "un'attività <strong>di</strong> libertà". Questa espressione intende mettere in luce la realtà <strong>di</strong> linguaggio<br />
come operazione <strong>di</strong> volontà e creatività umana e quin<strong>di</strong> espressione della sua libertà. <strong>Il</strong> linguaggio esiste<br />
in quanto esiste l'uomo agente, esiste come attività squisitamente umana, come affermazione dell'uomo<br />
del suo desiderio <strong>di</strong> esprimersi, conoscersi, relazionarsi con gli altri e con il reale.<br />
"Me<strong>di</strong>ante la quale". <strong>Il</strong> linguaggio è strumento, me<strong>di</strong>um tra sé e sé, tra sé e gli altri, tra sé e il mondo.<br />
Interme<strong>di</strong>ario tra <strong>di</strong>mensione interiore, spirituale e realtà esterna; mezzo <strong>di</strong> conoscenza; <strong>di</strong><br />
comunicazione; ma anche strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>letto personale, <strong>di</strong> go<strong>di</strong>mento. Tramite e anche fine <strong>di</strong> bisogni<br />
umani, me<strong>di</strong>ante cui e in cui si concretizza l'essere uomo.<br />
" forma mentis e contenuti della coscienza e dell'inconscio personale e collettivo": si tratta della struttura<br />
mentis, cioè delle modalità <strong>di</strong> funzionamento della psiche, delle modalità <strong>di</strong> percezione, ricezione,<br />
memoria, ed emotività, e del mondo dei significati, <strong>di</strong> quello che viene variamente definito come idee,<br />
concetti, "immagini", pensieri, sapere conscio e sapere rimosso o cancellato (la definizione <strong>di</strong> inconscio<br />
secondo Freud), sapere umano universale ere<strong>di</strong>tato ma non sempre consapevole (la definizione <strong>di</strong><br />
inconscio collettivo secondo Jung). Tali contenuti necessariamente (nel senso che la nostra mente non<br />
può non, e non conosce altro modo <strong>di</strong>) si obiettivano tramite un processo <strong>di</strong> ra-ppresentazione, tramite<br />
cioè un processo che rende presente l'assente in una forma.<br />
<strong>Il</strong> linguaggio è un proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> tra-duzione, nel senso etimologico <strong>di</strong> "ducere trans", da una forma<br />
all'altra, dalla forma mentis coi suoi contenuti (l'assente, intangibile, invisibile) ad una forma esteriore e<br />
concreta a cui rimane strettamente legata. Un processo <strong>di</strong> tras-formazione in cui "la cosa" cambia forma<br />
pur rimanendo e rappresentando sempre se stessa.<br />
<strong>Il</strong> linguaggio non solo è specchio , è "specchio-de-formante", rimanda l'immagine sotto altra forma.<br />
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<strong>Il</strong> linguaggio è "metafora" delle "strutture mentali" , cioè dei contenuti e delle modalità <strong>di</strong><br />
funzionamento della mens.<br />
Forma, metafora e simbolo.<br />
<strong>Il</strong> mondo dei significati che si considera come contenuto della psiche nella sua duplicità <strong>di</strong> Luce e Ombra,<br />
<strong>di</strong> coscienza (cioè sapere acquisito e consapevole) e inconscio (cioè presenza <strong>di</strong> saperi, complessi e<br />
archetipi , che agisce senza consapevolezza), esiste come semplice funzione, operante prima che venga<br />
posta la forma rappresentante.<br />
La Forma è un'unità chiusa, complessa, e sensibile nella quale e con la quale necessariamente si presenta<br />
a noi il mondo dei significati. Come sostiene E. Cassirer quin<strong>di</strong>, cessa <strong>di</strong> contrapporsi mundus sensibilis<br />
e mundus intelligibilis, (e quin<strong>di</strong> non ha più senso una "netta" separazione tra significato e significante,<br />
contenuto ed espressione) perché i significati non possono presentarsi alla nostra coscienza se non in<br />
forma sensibile . Nulla ha significato al <strong>di</strong> fuori delle forme che rappresentano il significato stesso . <strong>Il</strong><br />
segno costituisce il mezzo per l'espressione <strong>di</strong> un senso che non può trovarsi al <strong>di</strong> fuori del segno stesso.<br />
Questo che appare un paradosso <strong>di</strong>mostra la complessità del linguaggio che non si risolve nella semplice<br />
relazione significato/significante, S/s. Come <strong>di</strong>ce Agamben, occorre porre l'attenzione sulla "barriera /",<br />
consapevoli delle ancora misteriose "stonature" implicite al processo <strong>di</strong> significazione. Una <strong>di</strong> queste è<br />
"l'equivocità" , per cui ad uno stesso linguaggio possono corrispondere <strong>di</strong>verse realtà, cosí come a una<br />
stessa realtà possono corrispondere <strong>di</strong>versi linguaggi . Per in<strong>di</strong>care lo stesso oggetto esistono <strong>di</strong>versi<br />
segni, tutti ugualmente veri, e tutti ugualmente <strong>di</strong>stanti dall'oggetto stesso, che ha subíto il passaggio <strong>di</strong><br />
tras-formazione da oggetto o fenomeno concreto alla <strong>di</strong>mensione del segno del linguaggio, con<br />
conseguente per<strong>di</strong>ta e acquisto <strong>di</strong> sensi-connotanti. Questo stato <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta-acquisto che si verifica nel<br />
processo tras-formante è quello che avviene nella metafora. La metafora è una figura in cui si in<strong>di</strong>ca un<br />
oggetto non con il termine che gli è proprio (il significato "denotante", cioè il primo dato nei vocabolari),<br />
ma con un'espressione che lo evoca secondo principi analogici. Posso ad esempio in<strong>di</strong>care l'oggetto<br />
"capigliatura" come "crine fluente" oppure come "fili dorati". In entrambi i casi si realizza una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />
denotazione in quanto manca la precisione offerta dal termine che sarebbe proprio dell'oggetto; ma<br />
l'oggetto stesso si carica <strong>di</strong> connotati: nel primo caso, "crine fluente", il termine "crine" porta con sé<br />
l'immagine della criniera, quin<strong>di</strong> del cavallo, <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> selvaggio, <strong>di</strong> libero, che si <strong>di</strong>spiega nel vento,<br />
concetto rafforzato dall'aggettivo "fluente", che scivola tra le <strong>di</strong>ta, acquoso, quin<strong>di</strong> ondulato come il mare,<br />
ecc...; nel secondo caso, si mette in evidenza della capigliatura, l'aspetto filiforme, <strong>di</strong> sottigliezza<br />
estrema, del particolare della singolarità dei capelli, unito alla proprietà del colore, in questo caso non<br />
solo biondo ma anche lucente, proprio come l'oro.<br />
I contesti richiamati dalle parole coinvolte si arricchiscono reciprocamente.<br />
La metafora rappresenta l'oggetto fissando l'attenzione su alcune proprietà dell'oggetto stesso. Al<br />
medesimo modo, le varietà <strong>di</strong> linguaggi selezionano una serie <strong>di</strong> proprietà dell'oggetto, a seconda degli<br />
stimoli percepiti che variano da cultura a cultura, da uomo a uomo, ma che possono esistere anche come<br />
forme universali (questione citata in note come degli "universalia") , riflettendo nel segno le "marche<br />
semantiche" selezionate perché sentite come espressive e significative.<br />
11
"Non esistono tante realtà quante sono le lingue: la realtà biologica è una sola,<br />
ma vi è un ampio margine <strong>di</strong> fluttuazione nei mo<strong>di</strong> in cui la guar<strong>di</strong>amo: ...il<br />
pensiero stabilisce connessioni, metafore che ci consentono <strong>di</strong> conoscere<br />
qualcosa <strong>di</strong> nuovo in quanto simile a qualcosa <strong>di</strong> già noto. Ma tutto ciò non<br />
sarebbe possibile se la lingua (il linguaggio) stesso non possedesse la metafora<br />
in forma <strong>di</strong> costruzione lessicale... "<br />
<strong>Il</strong> segno può però anche allontanarsi dall'oggetto in<strong>di</strong>cato cosí da <strong>di</strong>venire simbolo, forma in cui i tratti<br />
analogici possono celarsi o non riscontrarsi.<br />
Nella teoria vichiana riguardo alla nascita e allo sviluppo del linguaggio espressa nella Scienza Nuova,<br />
questo è un processo evolutivo e <strong>di</strong> allontanamento dall'oggetto. Ma il simbolo, a partire soprattutto dalla<br />
fine dell'Ottocento e in ambito decadente, vuole affermarsi come quella forma che proprio perché allude e<br />
non in<strong>di</strong>ca, proprio perché si allontana da contaminazioni ctonie e assume connotazioni polisemiche,<br />
permette <strong>di</strong> raggiungere il vero e primor<strong>di</strong>ale senso delle cose che si è perduto per un uso e abuso<br />
quoti<strong>di</strong>ano del linguaggio. In questa prospettiva, il L. M. <strong>di</strong>viene per eccellenza il segno simbolico ed<br />
evocatore , perché libero dai denotanti che caratterizzano il L. P., strumento della quoti<strong>di</strong>ana esistenza<br />
e del pensiero cosciente.<br />
La musica è quin<strong>di</strong> un linguaggio, in quanto materia organizzata in sistema significativo e in quanto<br />
forma simbolica, anche se si caratterizza per una semanticità indeterminata e intraducibile,<br />
"indeterminatezza che non equivale a non significatività ma ad una plurivalenza" .<br />
La parola, considerando la <strong>di</strong>mensione semantica, può costituire un con<strong>di</strong>zionamento alla produzione<br />
musicale; può venire in aiuto conferendole una senso preciso; può sposarsi perfettamente recuperando la<br />
propria <strong>di</strong>mensione evocatrice-magica-incantatoria; può essere trattata come mero materiale fonico,<br />
come qualsiasi prodotto <strong>di</strong> strumento musicale.<br />
<strong>Il</strong> rapporto conflittuale Musica-Parola non è solo a livello <strong>di</strong> materiali sensibili dai meccanismi affini, ma<br />
anche a livello <strong>di</strong> segni significanti, <strong>di</strong> forme rappresentanti, cioè attualizzanti, in modalità e forme<br />
<strong>di</strong>verse, lo spirito umano.<br />
Linguaggio e arte<br />
La questione <strong>di</strong> "cos'è l'arte" è ancor più complessa della definizione <strong>di</strong> linguaggio. Sicuramente tenendo<br />
presente ciò che è stato detto precedentemente è possibile affermare che l'arte è un linguaggio. Sono<br />
presenti nell'arte tutti gli elementi che determinano un linguaggio: materia, lavoro umano su <strong>di</strong> essa,<br />
principio <strong>di</strong> organizzazione, espressività e forma simbolica. Anche l'arte è frutto della libera attività<br />
umana e specchio de-formante della mens. Anche l'arte trova nella Forma il mezzo e il senso, tanto che<br />
non è possibile sottrarre alcunché da una poesia o da un quadro senza che anche il senso dell'opera si<br />
mo<strong>di</strong>fichi.<br />
Viceversa però il linguaggio <strong>di</strong>viene artistico nel momento in cui gli si attribuisce tale valore. L'arte è<br />
quin<strong>di</strong> un linguaggio con valore artistico. Apparentemente tautologico.<br />
12
L'artistico è un Valore, variabile e relativo. L'arte è la Dimensione in cui il soggetto o la cultura colloca<br />
l'opus, cosa o acca<strong>di</strong>mento prodotto, in base a principi vari che possono essere il contemplativo, il bello,<br />
la maestria tecnica, l'espressione <strong>di</strong> sentimenti, l'elevazione spirituale, la comunicazione <strong>di</strong> verità<br />
trascendenti, e cosí via. Come <strong>di</strong>ce Molino riferendosi alla musica, "il musicale è il sonoro costruito e<br />
riconosciuto da una cultura" .<br />
Implicato in una definizione <strong>di</strong> arte è il <strong>di</strong>scorso sull'Opera d'arte. Se si parla <strong>di</strong> "Opera d'arte" e non <strong>di</strong><br />
"opera <strong>di</strong> linguaggio", è perché il linguaggio, forma strutturata e significante che si riferisce ad un sistema<br />
solo virtualmente assoluto perché dal carattere <strong>di</strong>namico e storicamente metamorfico , <strong>di</strong>viene lo<br />
strumento per la creazione irripetibile <strong>di</strong> un'unità-testo riconosciuta validamente artistica dal soggetto e/o<br />
dalla comunità.<br />
Si deve a questo punto fissare l'attenzione sull'elemento dell'"irrepetibilità" per arrivare alla definizione <strong>di</strong><br />
Opera nel senso etimologico <strong>di</strong> Opera =plurale <strong>di</strong> opus =le opere. L'Opera è quella nell'intenzione<br />
dell'artista, è quella a livello immanente, è quella percepita.<br />
Come sostiene Nattiez seguendo fedelmente la tripartizione <strong>di</strong> Molino, l'opera è costituita non solo dal<br />
testo o dalle strutture, ma anche dai processi compositivi (momento poietico) e dagli atti percettivi e<br />
interpretativi che determina (momento estesico). Ne consegue che l'opera ha carattere molteplice e<br />
comporta una <strong>di</strong>namica attiva sia da parte dell'autore sia da parte della ricezione, trovando nel caso della<br />
comunicazione, intesa come invio <strong>di</strong> messaggio e co<strong>di</strong>fica, un caso particolare ed eccezionale . Questo<br />
vuol <strong>di</strong>re che una volta uscita dalle mani del suo autore, come i personaggi pirandelliani l'opera ha vita<br />
propria ed è sempre comunicativa e interpretabile anche al <strong>di</strong> fuori delle intenzioni del creatore con le<br />
quali sole l'opera non può coincidere.<br />
Riassumendo<br />
"L'opera d'arte... è una forma, e cioè un movimento concluso, che è come <strong>di</strong>re<br />
un infinito raccolto in una definitezza; la sua totalità risulta da una conclusione, e<br />
quin<strong>di</strong> esige <strong>di</strong> essere considerata non come la chiusura <strong>di</strong> una realtà statica e<br />
immobile, ma come l'apertura <strong>di</strong> un infinito che si è fatto intero raccogliendosi in<br />
una forma. L'opera perciò ha infiniti aspetti, che non ne sono soltanto "parti" o<br />
frammenti, perché ciascuno <strong>di</strong> essi contiene l'opera tutt'intera, e la rivela in una<br />
particolare prospettiva... Gli infiniti punti <strong>di</strong> vista degli interpreti e degli infiniti<br />
aspetti dell'opera si rispondono e si incontrano e si chiariscono a vicenda, sí che<br />
un determinato punto <strong>di</strong> vista riesce a rivelare l'opera intera solo se la coglie in<br />
quel determinatissimo aspetto, e un aspetto particolare dell'opera, che la sveli<br />
intera sotto una nuova luce, deve attendere il punto <strong>di</strong> vista capace <strong>di</strong> captarlo e<br />
prospettarlo" .<br />
<strong>Il</strong> linguaggio è una libera creazione umana che traduce, con un processo metaforico e in parte ancora<br />
enigmatico, in una forma necessariamente sensibile, le strutture e i meccanismi della psiche e i suoi<br />
contenuti, consci e inconsci. <strong>Il</strong> linguaggio è quin<strong>di</strong> sempre forma sensibile ed espressiva.<br />
13
<strong>Il</strong> linguaggio esiste virtualmente come materiale sistematizzato e regolarizzato a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> una<br />
comunità ma si realizza nell'uso soggettivo. <strong>Il</strong> linguaggio <strong>di</strong>viene artistico quando l'opus creata me<strong>di</strong>ante<br />
lo stesso viene riconosciuta come artistica dal soggetto e/o dalla cultura.<br />
<strong>Il</strong> L. P. e il L. M. interagiscono a livello materico, a livello <strong>di</strong> sistemi organizzati, a livello semantico. A<br />
livello materico entrambi i linguaggi si costituiscono <strong>di</strong> suoni; a livello <strong>di</strong> sistemi, possiedono meccanismi<br />
affini ma non coincidenti; a livello semantico il L. P. per lo più denota, il L. M. connota ed evoca.<br />
<strong>Il</strong> L. P. e il L. M. però incontrandosi danno vita ad un nuovo linguaggio, ad una forma simbolica che ha<br />
caratteri peculiari, musicali e linguistici, denotanti e polisemici allo stesso tempo.<br />
14
LA VOCALITA NEL RAPPORTO MUSICA-PAROLA<br />
LA VOCE COME "INTERPRETE"<br />
" La musica,..., si accompagna il più delle volte alla parola, per una serie <strong>di</strong><br />
motivi alquanto <strong>di</strong>vergenti, la meno importante delle quali non è il ruolo<br />
preponderante del fenomeno vocale." (P. Boulez, Punti <strong>di</strong> riferimento, p.147)<br />
P. Zumthor nella prefazione a Flatus Vocis: metafisica e antropologia della voce, <strong>di</strong> C. Bologna, opera una<br />
<strong>di</strong>stinzione tra "oralità", funzionamento della voce in quanto portatrice <strong>di</strong> linguaggio (qui inteso come<br />
lingua); e "vocalità", l'insieme delle attività e dei valori che le sono propri, in<strong>di</strong>pendentemente dal<br />
linguaggio.<br />
La voce è una forza archetipica nell'inconscio umano: è un'immagine primor<strong>di</strong>ale e dotata <strong>di</strong> un potente<br />
<strong>di</strong>namismo creatore. "Energia e configurazione <strong>di</strong> tratti che predeterminano, attivano e strutturano in<br />
ciascuno <strong>di</strong> noi le esperienze primarie, i sentimenti, i pensieri". Luogo <strong>di</strong> articolazione delle parole e delle<br />
frasi, la voce ne travalica, con tutta la sua potenza esistenziale, la materialità e il significato.<br />
La voce è quin<strong>di</strong> essa stessa una forma simbolica espressiva anche in assenza <strong>di</strong> articolazioni fonetiche<br />
significative. Rappresentazione, Ri-Presentazione, che forma nel corso dei secoli un'ere<strong>di</strong>tà culturale<br />
trasmessa col, nel, dal linguaggio e gli altri co<strong>di</strong>ci che il gruppo umano elabora.<br />
La voce è materia non ancora organizzata, significante puro e libero che sgorga alludendo e accennando<br />
senza <strong>di</strong>re. "La voce si <strong>di</strong>ce nel momento in cui <strong>di</strong>ce": è pura esigenza. <strong>Il</strong> grido inarticolato, il gemito<br />
puro, il vocalizzo senza parole, il grido <strong>di</strong> guerra ...sono esplosioni dell'essere che si identifica con la<br />
propria voce: la voce è "voler <strong>di</strong>re e volontà <strong>di</strong> esistere" .<br />
Una <strong>di</strong>stinzione tra lingua = nominazione = memoria e coscienza come presenza a sé, e vocalità pura è<br />
quin<strong>di</strong> un'astrazione, in quanto la potenza mitica, archetipica, magica della voce è sempre latente anche<br />
durante l'"oralità". Ed è soprattutto nelle composizioni poetiche e canore che questa potenzialità emerge<br />
e la voce recuperando una primor<strong>di</strong>ale sonorità riporta alla luce miti e archetipi ad essa legati.<br />
La voce costituisce un sostrato ineliminabile che non ha luogo proprio: il testo linguistico non la esaurisce<br />
e non determina la sua origine.<br />
"La voce canta "sotto" il testo" . "C'è un canto oscuro nascosto nella parola<br />
oratoria e nel verso recitato" .<br />
"La voce accade sempre accanto al linguaggio, insieme al linguaggio, nonostante<br />
il linguaggio" .<br />
"<strong>Il</strong> linguaggio è impensabile senza la voce" .<br />
La voce è flatus, respiro, soffio vitale, spirito, testimonianza <strong>di</strong> una presenza, la propria presenza e vita,<br />
perché la nostra voce "si sente", è il "dentro" fuori <strong>di</strong> noi, "chiave psicologica della conoscenza<br />
dell'interiorità".<br />
La voce è me<strong>di</strong>um, ci permette <strong>di</strong> relazionarci con gli altri facendo sentire i nostri bisogni; ci relaziona<br />
con il reale aprendoci la via alla conoscenza (si pensi alla sacra primor<strong>di</strong>ale nominazione <strong>di</strong> Adamo<br />
15
nell'Eden); ci relaziona con noi stessi: è strettamente legata al nostro corpo, abita nel silenzio del nostro<br />
corpo, da cui è generata e morfologicamente caratterizzata, e a cui ritorna come eco.<br />
Quin<strong>di</strong> è affermazione dell'identità dell'in<strong>di</strong>viduo; ci mette in comunione con l'Assoluto perché vibrazione<br />
ed energia che circola dentro e fuori <strong>di</strong> noi (si pensi ai suoni prodotti nelle pratiche <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione)...<br />
"La voce modula gli influssi cosmici che ci attraversano e ne capta i segnali: è<br />
risonanza infinita, che fa cantare ogni sorta <strong>di</strong> materia, come attestano le tante<br />
leggende sulle piante e sulle pietre incantate che, un giorno, furono docili" .<br />
La voce seduce, incute paura, sfoga il dolore, ...la voce esprime e coincide con l'Essere e in particolare<br />
con l'essere uomo.<br />
La presenza <strong>di</strong> miti, archetipi, nonché l'esistenza <strong>di</strong> fonosimbolismi vocali (che spesso costituiscono una<br />
conseguenza dei primi), sono elementi che non devono essere trascurati nel rapporto Musica _Parola,<br />
anzi sono operanti e talora con<strong>di</strong>zionanti le scelte artistiche, sia poetiche che musicali.<br />
La lingua non vede significazione solo a livello lessicale o proposizionale , ma porta inevitabilmente con<br />
sé tutta una serie <strong>di</strong> significati legati alla vocalità, che agiscono a livello microscopico dei fonemi (fattori<br />
fonosimbolici) a quello macroscopico della frase (fattori soprasegmentali o paralinguistici), a livello<br />
fonico-timbrico (fattori antropologici legati alla voce) . Questa significazione complessa lungi dal costituire<br />
un ostacolo all'interazione con la musica costituisce il punto <strong>di</strong> incontro con la <strong>di</strong>namica semantica<br />
propria della musica.<br />
"La significanza è per sua natura in<strong>di</strong>cibile. Non si può <strong>di</strong>re razionalmente, se<br />
non per metafore e illuminazioni parziali. L'inspiegabilità è l'essenza della libertà,<br />
la licenza impellente dell'immaginazione e del pensiero. La letteratura, l'arte e la<br />
musica sono il compattamento voluto <strong>di</strong> questa libertà. La loro apertura alla<br />
comprensione o al malinteso, all'accoglienza o al rifiuto, la loro inesauribilità,<br />
sono i migliori accessi all'alterità, alla libertà, vivificante e abissale, della vita<br />
stessa."<br />
Per F. Frasne<strong>di</strong> la voce viva e corporea, si misura con la polisemia e l'infinità della significanza<br />
traducendo valori <strong>di</strong> significanza nel suo universo tattile e sonoro. La voce è "l'orizzonte nel quale<br />
l'infinitezza del senso incontra l'in<strong>di</strong>cibilità della significanza". La voce limita l'infinitezza dell'orizzonte e la<br />
rende percepibile; pone un limite rivelatore. Ridà corpo al testo riportandolo alla sua origine<br />
squisitamente sonora e musicale. La corporeità della voce conduce l'ascoltatore su vie del senso nascoste<br />
rivelandole.<br />
La forza archetipica e l'ere<strong>di</strong>tà culturale della voce reagisce incontrando la polisemia della musica e il<br />
senso della scrittura, incanalando l'infinità della significanza, rendendo sensibile il senso.<br />
La voce è un interprete: attualizza e restringe privilegiando certi significati su altri.<br />
La voce me<strong>di</strong>a la soggettività della personalità <strong>di</strong> cui è espressione e l'oggettività del co<strong>di</strong>ce.<br />
La voce è un linguaggio, è un interprete, ed è la voce dell'interprete.<br />
"Insomma su un fondo comune ed umano, in quanto siamo tutti forniti <strong>di</strong> un<br />
apparato atto alla fonazione e portati ad usarlo per comunicare, si innesta una<br />
16
mimica vocale imposta dalla società e insieme trova modo <strong>di</strong> manifestarsi<br />
l'in<strong>di</strong>viduo con la particolarità della sua voce, espressione del suo corpo e della<br />
sua psiche. La voce è in parte uguale a tutti gli altri, in parte uguale ad alcuni<br />
altri, in parte uguale a nessun altro" .<br />
La vocalità costituisce quin<strong>di</strong> in un'opera musicale vocale, una vera e propria scelta artistica,<br />
con<strong>di</strong>zionante l'esito formale, i giochi <strong>di</strong> sensi e la ricezione.<br />
La prospettiva <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o, in definitiva, conferisce il primato nel rapporto Musica-Parola, non al<br />
testo, non alle scelte musicali, ma all'esecuzione vocale, alla performance <strong>di</strong> una voce che <strong>di</strong>ce-canta-<br />
interpreta.<br />
Di seguito saranno illustrati quelli che sono gli aspetti principali che caratterizzano la vocalità, allo scopo<br />
<strong>di</strong> offrire oggetti <strong>di</strong> riflessione e strumenti per una delle possibili analisi del problema parola-musica, con<br />
l'avvertenza al lettore della giovinezza degli stu<strong>di</strong> scientifici sull'argomento e insieme l'ammissione <strong>di</strong><br />
una possibile generalità.<br />
17
LO STILE VOCALE: parametri per un'analisi<br />
La definizione <strong>di</strong> stile vocale viene data dallo stu<strong>di</strong>oso I. Fonagy nel suo trattato <strong>di</strong> psicofonetica .<br />
Lo stile vocale è una modalità, una serie <strong>di</strong> possibilità, un modo particolare <strong>di</strong> pronunciare; una scelta<br />
prettamente vocale, fra le possibili, che comporta messaggi più o meno involontari. Esso è dunque uno<br />
dei mo<strong>di</strong> possibili dell'espressione che profitta dei meccanismi propri del linguaggio e <strong>di</strong> ogni sistema<br />
semiotico per quanto riguarda il rapporto significato-significante, i quali come visto, si occultano e si<br />
svelano a vicenda.<br />
<strong>Il</strong> principio fondamentale per indagare i sensi dello stile vocale (in aggiunta ad un'analisi formale-<br />
acustica) il cui problema <strong>di</strong> fondo è il fatto <strong>di</strong> non sembrare concreto e tangibile , è quello<br />
dell'isomorfismo;<br />
"Quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna ubbi<strong>di</strong>re alle leggi<br />
dell'analogia."<br />
Per descrivere la voce...<br />
"occorre spesso riferirsi a ciò che cade sotto l'attenzione <strong>di</strong> sensi <strong>di</strong>versi<br />
dall'u<strong>di</strong>to: <strong>di</strong> una voce si può <strong>di</strong>re che è scura, calda, dolce, e cosí via."<br />
...cioè considerare la voce come una forma metaforica nell'accezione precedentemente esposta <strong>di</strong> tra-<br />
duzione del mondo dei significati in nuove forme-vesti, me<strong>di</strong>ante la scelta <strong>di</strong> marche analogiche.<br />
" Per questo la voce è essenzialmente una metafora, <strong>di</strong> cui tutto può<br />
"esternamente" essere detto (tono, timbro, frequenza, altezza, vivacità, colore,<br />
profon<strong>di</strong>tà, registro, ampiezza, livello ecc.), mentre nulla può venir descritto<br />
pienamente circa la sua "sostanza interna", che è quella del flusso, del brivido,<br />
del sospiro."<br />
La voce è metafora sonora del "vento interiore", o anima, principio dell'Essere; sinonimo <strong>di</strong> psiche "nel<br />
senso originario <strong>di</strong> respiro e insieme <strong>di</strong> anima, spirito pensante" ; "sa function première est l'expression<br />
de la vie intériorieure" e nulla può <strong>di</strong>rsi dell'anatomia dell'interiorità <strong>di</strong>rettamente,<br />
"giacché la voce può u<strong>di</strong>rsi solo come voce, e la voce può pronunciarsi solo<br />
attraverso le parole, che occultano la sonorità originaia <strong>di</strong>etro il corpo ombroso<br />
del significato"<br />
Quin<strong>di</strong> la voce apre vie metaforiche per la comprensione dell'uomo e dell'Essere riecheggiando, cioè<br />
ospitando solo come eco, sonorità ancestrali.<br />
Da un lato (aspetto antropologico) deve esistere una "griglia referenziale", cosí come esiste un reticolo <strong>di</strong><br />
rapporti fra il tono, il timbro, il registro della voce ed i sentimenti, le emozioni, che generano le parole.<br />
La voce denuncia la verità dell'anima, "lascia spirare il cuore messo a nudo". Sono parole <strong>di</strong> C. Bologna,<br />
che, come I. Fonagy e recenti stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> L. Anolli e R. Ciceri , propone una scienza della vocalità che apra<br />
la strada alla comprensione dell'uomo attraverso la sua espressione vocale .<br />
18
<strong>Il</strong> legame voce-personalità-messaggio veritiero, viene evidenziato anche nell'opera <strong>di</strong> G. Giuliani: la voce<br />
"è giu<strong>di</strong>cata più degna <strong>di</strong> fiducia rispetto al <strong>di</strong>scorso intenzionale ritenuto più suscettibile <strong>di</strong> controllo" .<br />
Anche Zumthor <strong>di</strong>ce che " più ancora che dallo sguardo o dall'espressione del viso, possiamo essere<br />
tra<strong>di</strong>ti dalla voce" .<br />
Dall'altro, (aspetto metafisico) il potere d'eco della voce porta con sé forze archetipiche che riportano<br />
l'uomo alla intuizione della sua origine, ma anche trascendenti l'umanità stessa, capaci <strong>di</strong> condurre<br />
l'uomo in contatto con realtà metafisiche .<br />
Ma vi è anche un aspetto storico-sociale che deve essere tenuto presente e che giustifica quella che J.<br />
Potter definisce "vocal authority", l'egemonia <strong>di</strong> uno stile vocale sopra un altro.<br />
La vocalità è con<strong>di</strong>zionata ed è riflesso, dalla particolare struttura sociale e culturale <strong>di</strong> un popolo in un<br />
dato momento storico: è il motivo del successo <strong>di</strong> uno stile piuttosto che un altro, della sua popolarità o<br />
viceversa del suo carattere elitario, del suo potere conservatore o eversivo, insomma, del suo peso<br />
ideologico. Lo stile vocale è una norma e uno scarto dalla norma.<br />
Per poter operare un'analisi dello stile vocale, è necessario fissare criteri <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione formali e<br />
definirne la portata semantica.<br />
Si intendono offrire al lettore strumenti e prospettive <strong>di</strong> definizioni al fine <strong>di</strong> una miglior comprensione<br />
delle analisi successive.<br />
Le marche proprie della voce sono:<br />
- La presenza e la moltiplicazione delle pause<br />
- La <strong>di</strong>stribuzione e la qualità degli accenti<br />
- <strong>Il</strong> tempo<br />
- Le <strong>di</strong>namiche<br />
- <strong>Il</strong> timbro<br />
- L'intonazione<br />
- L'articolazione dei suoni e dei fonemi<br />
- Elementi vocali non linguistici<br />
Questi caratteri combinandosi in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi danno quin<strong>di</strong> vita a stili vocali <strong>di</strong>fferenti.<br />
<strong>Il</strong> respiro e la pausa<br />
Per vivere è inevitabile respirare. La respirazione è l'atto vitale per eccellenza. Scomponibile in<br />
inspirazione ed espirazione, la respirazione insieme con il battito car<strong>di</strong>aco, segnano il ritmo costante della<br />
nostra esistenza e costituiscono l'insieme <strong>di</strong> quelle attività necessarie-vitali che agiscono al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> una<br />
volontà cosciente continuamente in atto.<br />
19
Inspirare ed espirare. Due movimenti dunque naturali, biologici e scontati, non pensati nella vita<br />
quoti<strong>di</strong>ana, mantenuti al minimo dello sforzo e della capacità; scopo della respirazione è portare ai<br />
polmoni l'aria che ricarica i globuli rossi <strong>di</strong> ossigeno e liberare gli stessi dal gas carbonio. Questo processo<br />
quin<strong>di</strong> assicura un apporto nutritivo e purificante.<br />
"L'aria che respiriamo è anche il primo nutrimento, la prima energia che<br />
preleviamo al nostro biotopo; un'inspirazione atrofizzata compromette<br />
l'approvvigionamento <strong>di</strong> base in energia vitale" .<br />
S'impone la necessità <strong>di</strong> un'inspirazione piena e profonda come rinascita ad ogni istante <strong>di</strong> un essere<br />
sereno, padrone <strong>di</strong> sé e generoso. Lo yoga afferma che l'espirazione è generosità. L'espirazione, il<br />
momento del buttare fuori, è un donarsi.<br />
La voce risiede e viaggia sul fiato che è in uscita. La voce è un uscire all'esterno e il canto, che della voce<br />
esprime le possibili libertà, è piena generosità.<br />
<strong>Il</strong> respiro è dunque una necessità biologica-vitale che può essere condotta con l'esercizio sotto controllo e<br />
quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>venire attività cosciente, e la con<strong>di</strong>tio sine qua non, della generosità della voce.<br />
Ma il respiro nel momento dell'inspirazione e in quel vertice cruciale che è quasi apnea prima della<br />
<strong>di</strong>scesa espirante, è luogo <strong>di</strong> silenzio.<br />
<strong>Il</strong> silenzio è altra con<strong>di</strong>tio che l'espressione vocale porta con sé. Ma come il respiro, seppur inevitabile, il<br />
momento <strong>di</strong> silenzio può essere sottoposto a controllo, guidato coscientemente. Fonagy parla <strong>di</strong><br />
"strategie <strong>di</strong> silenzi" .<br />
La pausa oltre che rispondere ad una necessità biologica, scan<strong>di</strong>sce il farsi del senso, del pensiero e del<br />
moto emotivo, pone in rilievo ed enfatizza, esercitando il proprio potere <strong>di</strong> separazione e <strong>di</strong> sospensione.<br />
Ne consegue che nel passaggio dal testo scritto alla voce attualizzante, entreranno in gioco strategie<br />
retoriche interagenti con le pause sintattiche e i segni <strong>di</strong> punteggiatura, che tras-formeranno il <strong>di</strong>scorso<br />
rivelando sensi celati. Si deve però sottolineare che le strategie riguardano la presenza e la <strong>di</strong>stribuzione<br />
<strong>di</strong> pause e non la loro durata. Pause <strong>di</strong> durata <strong>di</strong>fferente possono avere la medesima funzione (ad es.<br />
pausa <strong>di</strong> attesa).<br />
L'accento<br />
L'accento è la sottolineatura vocale <strong>di</strong> sillabe o gruppi <strong>di</strong> sillabe, oppure <strong>di</strong> consonanti soprattutto<br />
consonanti iniziali. L'accento articola e organizza le parole (accento lessicale). Divide la catena parlata<br />
continua in sequenze o gruppi ritmici stabilendo una certa gerarchia semantica all'interno della frase<br />
(accento fraseologico).<br />
Da un'analisi fisiologica si viene a conoscenza <strong>di</strong> come le sillabe accentate siano prodotte da uno sforzo<br />
particolare dei muscoli fonatori, delle labbra, della lingua, dei muscoli della glottide, e soprattutto da una<br />
forte contrazione dei muscoli respiratori, intercostali interni e addominali. <strong>Il</strong> senso dell'accentazione e la<br />
sua efficacia sono strettamente legati alla modalità articolatoria <strong>di</strong> produzione. La produzione<br />
20
dell'elemento accentato richiede lo scoppio <strong>di</strong> una pressione . Chi percepisce rivive secondo un principio<br />
isomorfico, lo sforzo articolatorio della persona parlante.<br />
La <strong>di</strong>stribuzione degli accenti (che non avrebbe senso senza implicare l'alternanza con momenti <strong>di</strong><br />
rilassamento come il movimento binario del respiro precedentemente visto) crea movimento, ritmo,<br />
<strong>di</strong>namiche corporee.<br />
L'accento enfatico in particolare serve retoricamente ad evidenziare accanto agli accenti grammaticali,<br />
certe prominenze <strong>di</strong> senso che si richiamano, per i meccanismi fisiologici coinvolti (come l'attività<br />
particolarmente vigorosa dei muscoli respiratori e un'iperventilazione o getto violento d'aria all'esterno),<br />
allo stato fisico-psico-emotivo della collera e dell'uomo che si prepara al combattimento tramite una<br />
simulazione della battaglia.<br />
"L'accento si carica <strong>di</strong> vibrazioni significative ed emotive (lo stupore, l'esultanza,<br />
la collera, lo slancio passionale...), emergendo sopra il tessuto delle altre<br />
parole."<br />
Gli accenti metrici (accento ritmico) costanti <strong>di</strong> certa poesia invece, richiamano un andamento<br />
altalenante, ninnante, <strong>di</strong> danza; danno la sicurezza <strong>di</strong> un ritmo che ritorna sempre uguale, circolare. V.<br />
Mathieu sottolinea come il ritmo circolare sia un tentativo <strong>di</strong> sottrarsi al <strong>di</strong>venire e quin<strong>di</strong> alla morte, un<br />
tentativo <strong>di</strong> rinchiudere l'infinito e avere la illusione <strong>di</strong> poter controllare quello che segue, il futuro.<br />
La <strong>di</strong>stribuzione degli accenti e la qualità dell'accentazione, più o meno marcata, costante o meno,<br />
costituisce quin<strong>di</strong> un ulteriore in<strong>di</strong>catore d'analisi dello stile vocale.<br />
<strong>Il</strong> tempo<br />
Mai come nel Novecento si è messa in <strong>di</strong>scussione la <strong>di</strong>mensione temporale, relativizzandola.<br />
Con Einstein il tempo è <strong>di</strong>ventato una coor<strong>di</strong>nata e una variabile; con Bergson si è riflettuto su un tempo<br />
interiore che possiede un proprio flusso e un proprio ritmo.<br />
Esiste un tempo "naturale" dovuto all'incessante ritorno del giorno e della notte, delle stagioni, delle<br />
maree. Esiste un tempo artificiale e convenzionato: i secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> un orologio per esempio. Esiste un tempo<br />
interiore: il tempo dei ricor<strong>di</strong>, il tempo delle emozioni, il tempo onirico, ...assolutamente elastici.<br />
La modalità <strong>di</strong> misurazione della velocità dell'eloquio (come avviene ad esempio in I. Fonagy o nello<br />
stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> L. Anolli e R. Ciceri) del parlato calcolata in funzione della durata delle pause e della velocità <strong>di</strong><br />
articolazione delle sillabe e al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare le <strong>di</strong>fferenze in relazione ai <strong>di</strong>versi stati psico-emotivi,<br />
deve essere affiancato da altre considerazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne percettivo.<br />
Affermando come in<strong>di</strong>ssolubile il legame tra un fenomeno sonoro e la percezione <strong>di</strong> esso, ossia l'uno<br />
esiste solo se esiste l'altro, non si può prescindere dal considerare l'aspetto percettivo oltre a quello<br />
fisico.<br />
Durante il canto ad esempio la velocità d'eloquio fisicamente si <strong>di</strong>lata, e viene percepito <strong>di</strong>versamente in<br />
situazioni <strong>di</strong>verse.<br />
21
Come esempio, sia perché chiaro, sia perché ampiamente stu<strong>di</strong>ato, riporto quello del melodramma. <strong>Il</strong><br />
melodramma si struttura in un alternarsi <strong>di</strong> arie e recitativi. Durante il recitativo, che è una sorta <strong>di</strong><br />
declamato, <strong>di</strong> parlato intonato, l'azione scenica procede: scorre il tempo dell'eloquio parimenti al tempo<br />
reale dell'azione. <strong>Il</strong> momento dell'aria rappresenta invece una pausa nello sviluppo drammaturgico, ma<br />
ospita la manifestazione <strong>di</strong> "azioni interiori", che si palesano in forme puramente musicali e non in eventi<br />
scenici. L'aria è quin<strong>di</strong> una sospensione temporale dell'azione del dramma, ma apre le porte alla scena<br />
dei moti interiori, conduce ad un'altra <strong>di</strong>mensione dove i tempi sono <strong>di</strong>latati, elastici, relativi.<br />
In linea generale, gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> L. Anolli e R. Ciceri hanno <strong>di</strong>mostrato che gli stati emotivi ad alto livello <strong>di</strong><br />
attivazione psicofisiologica (come paura, collera e gioia), presentano una durata <strong>di</strong> frase più breve e una<br />
velocità <strong>di</strong> eloquio maggiore. Viceversa emozioni come il <strong>di</strong>sprezzo o la tristezza sono caratterizzate da<br />
velocità d'espressione più lenta. Naturalmente l'unità <strong>di</strong> confronto è "la durata della frase standard" ,<br />
che è stata scientificamente calcolata e che costituisce il punto <strong>di</strong> riferimento in base al quale ogni scarto<br />
sarà significativo e denotante.<br />
Le <strong>di</strong>namiche<br />
Un altro parametro caratteristico dello stile vocale è l'intensità. Percepita come volume, è<br />
fisiologicametne dovuta alla pressione ipolaringea e alla forza fonoespiatoria. Le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> volume<br />
vengono descritte da G. Cardona in termini <strong>di</strong> rapporti spaziali e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanze.<br />
"Per <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> confidenziale abbassiamo la voce, anche se questo non è<br />
sempre strettamente necessario; è un segnale per ridurre fisicamente la cerchia<br />
degli interessati; è come se ci avvicinassimo all'interlocutore, costringendolo a<br />
fare altrettanto ed escludendo gli altri. Alla stessa finalità risponde la qualità <strong>di</strong><br />
voce usata tra confessore e confessando; anche se la confessione avvenisse in<br />
una chiesa vuota, e dunque al riparo da orecchie in<strong>di</strong>screte, il tono sarebbe pur<br />
sempre basso; e il confessionale tra<strong>di</strong>zionale, "preconciliare", era costruito in<br />
modo che, effettivamente assai vicini, confessando e confessore potessero<br />
parlarsi all'orecchio. L'effetto inverso suggeriamo se alziamo la voce come se<br />
stessimo gridando; richiameremo un interlocutore assente o spaesato usando un<br />
tono <strong>di</strong> voce speciale, che simula l'eco <strong>di</strong> un richiamo a <strong>di</strong>stanza. Poiché quel<br />
richiamo e quella intonazione sarebbero appropriati solo se dovessimo farci<br />
sentire da lontano, è come far capire che l'interlocutore non è lí davanti a noi,<br />
ma altrove, su una nuvola magari, o nel mondo della luna; e da questi mon<strong>di</strong><br />
deve essere richiamato: "Ooh mi senti? Guarda che parlo a te!"".<br />
Inoltre il volume della voce viene gestito dal soggetto come una possibilità <strong>di</strong> incisività negli eventi:<br />
necessità <strong>di</strong> far sentire ed evidenziare la propria presenza; colpire l'altro col proprio tono, usando la voce<br />
come materia per aggre<strong>di</strong>re e per dare valenza alla propria persona (ad esempio in un rimprovero o in un<br />
litigio).<br />
Lo sforzo fisiologico per una grande intensità si richiama allo sforzo impiegato per l'esecuzione <strong>di</strong> una<br />
maggior accentazione, che come visto prevede uno scoppio <strong>di</strong> tensione. Anche in questo caso il volume<br />
22
può aumentare <strong>di</strong>etro esplosioni <strong>di</strong> tensioni come collera, ma anche gioia: l'entusiasmo, l'esultanza non<br />
ha mai voce sussurrata.<br />
<strong>Il</strong> timbro<br />
<strong>Il</strong> timbro è il colore <strong>di</strong> fondo personale e irripetibile che ogni voce reca con sé, e anche il modo<br />
inconfon<strong>di</strong>bile che ogni voce ha <strong>di</strong> pronunciare le vocali, <strong>di</strong> articolare le consonanti.<br />
<strong>Il</strong> timbro <strong>di</strong>pende e coincide con la fonte che lo produce: il timbro è il nostro corpo, anatomicamente cosí<br />
fatto, è la nostra persona e personalità cosí costituita. <strong>Il</strong> timbro è il parametro maggiormente con-forme<br />
al nostro Essere e che per questo più <strong>di</strong>fficilmente possiamo accomodare. Si può parlare in modo più<br />
lento o più veloce, più o meno forte, ma non possiamo mutare la sostanza della nostra voce.<br />
<strong>Il</strong> timbro è il segno <strong>di</strong> un'in<strong>di</strong>vidualità che per F. Frasne<strong>di</strong> vuol <strong>di</strong>re "creazione <strong>di</strong> un nuovo orizzonte <strong>di</strong><br />
significanza" . In<strong>di</strong>vidualità significa prospettiva, quin<strong>di</strong> interpretazione, e cioè scelta tra i possibili<br />
sensi: orizzonte=limite dell'infinità propria del significare. <strong>Il</strong> testo-scrittura possiede varie potenzialità<br />
significanti; la voce che lo attualizza, lo interpreta anche solo con il proprio colore, con il proprio tessuto<br />
.<br />
<strong>Il</strong> timbro e il registro della voce ne costituiscono dunque il corpo, la stoffa, il colore, la presenza.<br />
"Accanto alla "voce-<strong>di</strong>-miele" avremo allora quella "<strong>di</strong> velluto", quella "tagliente",<br />
quella "metallica", quella "<strong>di</strong> bronzo" e cosí via. Gli antichi per i quali la mitologia<br />
aveva anche (come Jung ha ben visto) un senso psicologico, oltre che sacrale,<br />
affabularono con ricchezza attorno ai timbri vocali: quin<strong>di</strong> Eco ha, come la maga<br />
seduttrice Circe, voce "<strong>di</strong>vina"; Stentore (il cui nome si riallaccia alla ra<strong>di</strong>ce del<br />
sanscrito stanah, donde il gr. "mugghiare" detto del mare, "gemere e sospirare"<br />
<strong>di</strong> esseri umani, ed il lat. tonare) ha voce bronzea: da Omero si <strong>di</strong>rà "stentorea"<br />
ogni voce dal forte timbro. Voce inu<strong>di</strong>bile e variata, anzi, "voci <strong>di</strong> ogni specie e in<br />
numero illimitato" emanano le cento teste serpentiformi <strong>di</strong> Tifeo, figlio della<br />
Terra, secondo Esiodo. Altrettanto variabile <strong>di</strong> timbro e <strong>di</strong> registro è la voce del<br />
trickster o buffone sacro: per questo l'asino dal raglio tremante e spezzato ne<br />
sarà il totem (e in America, il coyote)." .<br />
Nel timbro giacciono gli strati più intimi e profon<strong>di</strong> della corporeità vocale: a ciascun sentimento, come ha<br />
<strong>di</strong>mostrato Fonagy, corrisponde un livello timbrico-musicale: ad esempio il timbro "chiaro" e squillante è<br />
proprio della gioia; la voce riflette un'articolazione in avanti, la sua sonorità e la sua pienezza, e il<br />
rilassamento dei muscoli della laringe e della faringe. Per questo motivo nell'insegnamento del canto si fa<br />
spesso riferimento ad un atteggiamento "sorridente" per portare il suono in avanti e renderlo chiaro,<br />
cristallino.<br />
<strong>Il</strong> timbro vocale è relazionabile ai sentimenti, ma soprattutto alla personalità. La voce è espressione<br />
dell'in<strong>di</strong>viduo e della sua personalità, nonché specchio e risultato della sua integrazione nella società e del<br />
suo ruolo in essa.<br />
23
D. W. Ad<strong>di</strong>ngton (1968, 1970)ha stilato un elenco delle qualità della voce in relazione alla personalità .<br />
"Una voce aspirata (brethness) viene associata a caratteristiche <strong>di</strong> giovanilità e<br />
femminilità. Nella voce femminile l'aspirazione viene percepita come propria <strong>di</strong><br />
una donna effervescente, minuta, graziosa e ipersensibile, Nella voce maschile<br />
richiama aspetti <strong>di</strong> creatività e omosessualità. La voce esile (thinness) viene<br />
associata nel parlato femminile a persone fisicamente, emozionalmente e<br />
mentalmente immature, dotate tuttavia <strong>di</strong> senso dello humor e molto sensibili.<br />
La voce piatta (flatness) è legata, per entrambi i sessi, ad attribuzioni <strong>di</strong><br />
mascolinità e <strong>di</strong> lentezza; viene inoltre ritenuta prerogativa <strong>di</strong> persone scostanti<br />
e fredde. La voce nasale (nasality) è associata a pigrizia, scarsa intelligenza e<br />
noiosità. È quin<strong>di</strong>, una qualità vocale indesiderabile. La voce tesa (tenseness)<br />
viene percepita negli uomini come in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> anzianità, <strong>di</strong> scarsa flessibilità e <strong>di</strong><br />
arrendevolezza; per contro, nelle donne viene associata a giovinezza ed<br />
emotività. La voce gutturale (throatiness) è associato allo stereotipo dell'uomo<br />
maturo e sofisticato, curato nell'aspetto e dotato <strong>di</strong> realismo. Nelle donne,<br />
all'opposto, viene associata a mascolinità, scarsa intelligenza e sensibilità,<br />
rozzezza. La voce altisonante (orotun<strong>di</strong>ty), chiara e forte, viene considerata<br />
propria <strong>di</strong> un uomo energico, interessante, sofisticato, creativo e orgoglioso. Ad<br />
essa è associata la figura <strong>di</strong> un uomo espressivo, aperto e leader. Nelle donne<br />
una voce altisonante è connessa ad una persona gregaria, anche se briosa e con<br />
spiccato senso estetico."<br />
Si pensi ad esempio all'utilizzazione che è stata fatta della caratterizzazione vocale nel melodramma<br />
ottocentesco per in<strong>di</strong>viduare stereotipi <strong>di</strong> personaggi: voce <strong>di</strong> basso, scura, profonda, virile, tellurica per il<br />
malvagio oppure per persona matura, come il ruolo <strong>di</strong> padre: l'autorevolezza è ra<strong>di</strong>cata alla terra, salda,<br />
con ra<strong>di</strong>ci profonde come la voce; voce tenorile per l'eroe della storia, il giovane amante; voce <strong>di</strong><br />
soprano, leggera, celestiale, acuta e sottile come quella <strong>di</strong> un bambino (simbolo <strong>di</strong> innocenza) per la<br />
giovane amata; voce <strong>di</strong> mezzosoprano (o contralto) invece come segno <strong>di</strong> ruolo interme<strong>di</strong>o o maturità .<br />
Proprio perché il timbro è riflesso dell'in<strong>di</strong>viduo e della sua particolare personalità, è proprio sul timbro<br />
che si esercita la pressione normalizzatrice e neutralizzatrice della cultura, mirata al controllo dell'eccesso<br />
<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduale pulsione (che è insieme esistenziale ed erotico-sovversiva) se<strong>di</strong>mentato nella voce. Gli<br />
stessi timbri "naturali" della voce umana verranno cosí per via culturale contraffatti, imitati, incanalati in<br />
co<strong>di</strong>ci socialmente fruibili e trasmissibili artificialmente. All'estremo <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>scorso si trova la voce a-<br />
timbrica, artificiale, sintetica, <strong>di</strong> robots e computers: una voce spersonalizzata, senza carne e senza<br />
emozioni.<br />
L'intonazione<br />
Difficilmente quando l'uomo si esprime vocalmente, tiene la medesima nota, cioè la medesima altezza del<br />
suono, per tutta l'esposizione. Anche quando parla, l'uomo in-tona la propria pronuncia, <strong>di</strong>segnando<br />
curve melo<strong>di</strong>che, seppur minime.<br />
24
L'interrogazione, l'affermazione, il comando, hanno curve melo<strong>di</strong>che proprie e socialmente co<strong>di</strong>ficate<br />
(sospesa per l'interrogazione che attende risposta e quin<strong>di</strong> attende una conclusione; ascendente e poi<br />
<strong>di</strong>scendente, quin<strong>di</strong> dal tracciato completo e conclusivo per l'affermazione; solo <strong>di</strong>scendente, gesto<br />
incisivo e penetrante, per il comando).<br />
Cosí come le emozioni generano intonazioni caratteristiche .<br />
La curva melo<strong>di</strong>ca della collera ad esempio, è rigida, angolare, interrotta da bruschi salti <strong>di</strong> quarta e<br />
quinta, in corrispondenza delle sillabe accentate. Riflette una forte contrazione muscolare, una posizione<br />
del corpo tesa, come quella <strong>di</strong> un uomo pronto a precipitarsi sull'avversario per scagliare un colpo. Gli<br />
scarti bruschi <strong>di</strong> tono costituiscono i colpi.<br />
La tenerezza, all'opposto, ha una melo<strong>di</strong>a ondulata e corrisponde a movimenti lenti, graduali, roton<strong>di</strong>:<br />
l'equivalente <strong>di</strong> una carezza. Nella <strong>di</strong>dattica del canto si fa spesso riferimento alla voce "carezzevole" per<br />
in<strong>di</strong>care uno stato <strong>di</strong> rilassatezza corporea che permette la fuoriuscita <strong>di</strong> una voce dolce, capace <strong>di</strong><br />
volteggiare nell'aria e posarsi con estrema delicatezza e piacere all'orecchio dell'ascoltatore, dando<br />
proprio l'impressione <strong>di</strong> una carezza. Fonagy parla della voix caressante come <strong>di</strong> in-canto, quello stato<br />
<strong>di</strong> ipnosi "materna", restaurazione dello stato edenico perduto che l'infante ritrova sul seno materno. La<br />
voce carezzevole non è tale solo per il timbro dolce e suadente, ma anche per il carico <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>osità che<br />
possiede. La voce della tenerezza è una voce che molto si avvicina al canto.<br />
La voce cantata si <strong>di</strong>stingue da quella parlata per l'indugio sui singoli suoni e la regolarità della curva<br />
melo<strong>di</strong>ca, cioè per il livello tonale relativamente costante nell'intervallo <strong>di</strong> una sillaba, che produce una<br />
sensazione <strong>di</strong> piacevolezza. "Un ingegnere ad esempio, dovrà fare 250 volte più misure per determinare<br />
lo spettro <strong>di</strong> una vocale parlata che per quello <strong>di</strong> una vocale cantata." La percezione <strong>di</strong> un suono<br />
"musicale" è dunque più piacevole <strong>di</strong> quella del rumore o della voce parlata perché la sua co<strong>di</strong>fica esige<br />
molto meno sforzo.<br />
"La voce cantante sta al principio <strong>di</strong> piacere come la voce parlata sta al principio<br />
<strong>di</strong> realtà; voce melo<strong>di</strong>osa, voce <strong>di</strong> piacere. ... Come il percorso del parlato,<br />
fittamente articolato <strong>di</strong> consonanti, sta al movimento articolato del camminare,<br />
cosí il decorso fluido, facile e scorrevole, <strong>di</strong>steso e <strong>di</strong>stensivo, libero da inciampi,<br />
della voce melo<strong>di</strong>osa sta al movimento continuo del volo. Volo e sogno: desiderio<br />
e piacere che sfugge la dura realtà, movimento al rallentatore, ampio e fluido,<br />
potenza che non conosce ostacoli. Cantare come volare. Per questa via, la<br />
melo<strong>di</strong>a musicale si fa simbolo delle stesse delle stesse realtà profonde investite<br />
nel volo sogno. " .<br />
<strong>Il</strong> fattore intonazione è quin<strong>di</strong> strettamente legato alla presenza e alla qualità della melo<strong>di</strong>cità. Questa<br />
comporta uno stato fisiologico <strong>di</strong> rilassamento e completa <strong>di</strong>stensione, una facilità estrema <strong>di</strong> emissione e<br />
articolazione del suono: fattori che <strong>di</strong>vengono riflesso, causa o conseguenza, <strong>di</strong> stati psico-emotivi che<br />
inducono piacevolezza e <strong>di</strong>s-tensione. Viceversa, un procedere asmatico, una curva melo<strong>di</strong>ca spezzata da<br />
bruschi salti, o sospesa, o poco fluida, <strong>di</strong>spone il nostro corpo e la nostra mente a <strong>di</strong>namiche tese e non<br />
rilassate.<br />
25
L'articolazione dei suoni e dei fonemi<br />
La questione dell'articolazione dei suoni e dei fonemi (cioè <strong>di</strong> quei suoni significativi all'interno del<br />
linguaggio) si collega alla questione <strong>di</strong>scussa dell'origine del linguaggio. Questo perché non è ancora certo<br />
se le parole, o suoni articolati significativi, siano frutto del caso combinatorio, <strong>di</strong> una co<strong>di</strong>ficazione<br />
arbitraria, o <strong>di</strong> principi analogici secondo cui la nostra mente richiama fra <strong>di</strong> loro realtà che percepisce<br />
affini. Lo stu<strong>di</strong>o riassuntivo <strong>di</strong> precedenti ricerche sull'argomento <strong>di</strong> F. Dogana <strong>di</strong>mostra la portata<br />
simbolica dei singoli suoni articolabili dall'uomo.<br />
<strong>Il</strong> principio da cui parte Dogana per sostenere le sue tesi, è il principio imitativo, secondo il quale la<br />
mente umana procederebbe, nel suo rapportarsi al reale, per analogie.<br />
Alcuni suoni sono imitazioni <strong>di</strong>rette della natura, onomatopee (fonosimbolismo ecoico); altri rispecchiano<br />
caratteristiche articolatorie ed evocano elementi pertinenti ad altre modalità sensoriali (fonosimbolismo<br />
sinestesico); altri suoni evocano caratteristiche emotive e psicologiche (fonosimbolismo fisiognomico).<br />
<strong>Il</strong> fonema /i/ ad esempio, viene associato a qualcosa <strong>di</strong> acuto, pungente, sottile e chiaro. <strong>Il</strong> suono /i/<br />
viene articolato e risuona infatti in posizione avanzata e alta. All'opposto, il fonema /o/ viene invece<br />
associato a qualcosa <strong>di</strong> scuro, <strong>di</strong> grave, <strong>di</strong> profondo, grosso, e tondeggiante. <strong>Il</strong> suono /m/ è pronunciato<br />
con le labbra serrate come in un bacio o nell'atteggiamento <strong>di</strong> suzione del neonato; al suono è permesso<br />
vibrare e risuonare a lungo; /m/ è un suono dolce come il M-iele, è il suono dell'a-M-ore, della M-<br />
aternità; suggerisce unione, calore, tenerezza.<br />
Gli esempi sarebbero <strong>di</strong>versi. Rimando allo stu<strong>di</strong>o citato <strong>di</strong> Dogana e al particolare delle analisi musicali<br />
successive in questa ricerca.<br />
Elementi vocali non linguistici<br />
Si tratta <strong>di</strong> quell'insieme <strong>di</strong> suoni-rumori che gli organi fonatori umani sono in grado <strong>di</strong> produrre,<br />
espressivi <strong>di</strong> stati fisico-emozionali, spesso <strong>di</strong> carattere irrazionale. Per questo motivo, per il fatto <strong>di</strong> non<br />
essere concreto possesso <strong>di</strong> una ratio cosciente, manifestano un mondo <strong>di</strong> significati inconsci, profon<strong>di</strong>,<br />
ancora inesplorati.<br />
<strong>Il</strong> gemito, il pianto, il riso, il grido.<br />
"La scaturigine della Voce è nelle profon<strong>di</strong>tà del corpo, proprio là dove i limiti<br />
della voce sono velati dal pianto e fanno cenno verso il naufragio dell'in<strong>di</strong>cibile.<br />
Le nostre lacrime, ha scritto Valéry, sono l'espressione della nostra impotenza ad<br />
esprimere, cioè a <strong>di</strong>sfarci attraverso la parola dell'oppressione <strong>di</strong> quello che<br />
siamo. Solo nell'abolirsi della parola per restituirsi al silenzio del linguaggio<br />
sovrannaturale o al grido inarticolabile dell'animalità, la voce in<strong>di</strong>ca la barriera<br />
della propria origine: esperienza <strong>di</strong> Dio, dell'Amore, del Nulla sono nel pensiero<br />
europeo da sempre coniugate in uno stesso gesto, che in<strong>di</strong>vidua il limite e lo<br />
trasgre<strong>di</strong>sce, pretendendo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re l'in<strong>di</strong>cibile , ossia <strong>di</strong> significare il solo<br />
significante vuoto e puro." .<br />
26
Conclusioni<br />
Sono stati elencati e spiegati in maniera sintetica, i fattori che caratterizzano lo stile vocale.<br />
La voce, per quanto possa sembrare invisibile, impalpabile ed inafferrabile, è un corpo. Dice Lucrezio (De<br />
rerum natura, IV, vv. 526-527)<br />
"Corpoream quoque enim vocem constare fatendumst Et sonitum, quoniam<br />
possunt impellere sensus."<br />
La voce è un corpo danzante, un corpo in movimento, un corpo capace <strong>di</strong> atteggiarsi nelle <strong>di</strong>verse<br />
situazioni. Un corpo <strong>di</strong> cui si subisce il fascino, capace <strong>di</strong> comunicare con la sua stessa presenza viva.<br />
La vocalità è un linguaggio umano universale .<br />
Lo stile vocale è il particolare uso che della voce viene fatto, variando i <strong>di</strong>versi fattori in gioco (timbro,<br />
intensità, accentazioni, ecc.).<br />
Questi fattori non sono solo parametri fisico-acustici-articolatori, ma assumono valori simbolici. Valori che<br />
trascendono il dato reale, seppur ad esso legato e da esso con<strong>di</strong>zionato, per rendersi portatori <strong>di</strong><br />
significati che riguardano l'espressione, la manifestazione, la rivelazione dell'Essere Uomo.<br />
27
SULLE VOCALITA: OSSERVAZIONI ANTROPOLOGICHE<br />
Si è cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come la voce sia speculum dell'Essere Uomo e possa quin<strong>di</strong> a ragione dare<br />
importanti informazioni e sull'uomo universale e sull'uomo particolare. La voce porta con sé: archetipi<br />
collettivi, cioè memorie <strong>di</strong> un passato originario, fatto <strong>di</strong> sostrati comuni; ed ere<strong>di</strong>tà culturali <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong><br />
uomini particolari.<br />
La percezione, l'ascolto, che non si possono scindere dal fenomeno sonoro , sono me<strong>di</strong>ati e con<strong>di</strong>zionati<br />
da questa duplice ere<strong>di</strong>tà, dell'umanità universale (l'essere uomo in quanto tale) e dell'umanità<br />
particolare (società-cultura).<br />
Ogni vocalità porta inevitabilmente con sé delle valenze, che si ripropongono nell'immaginario<br />
dell'ascoltatore .<br />
Potenza ancestrale della voce, potenza vibratoria e ri-creatrice, che s'incontra con l'ambiente culturale<br />
me<strong>di</strong>atore delle percezioni.<br />
Le valenze del grido<br />
La voce è la prima manifestazione dell'Essere uomo.<br />
<strong>Il</strong> neonato grida al momento della nascita la propria presenza viva: lo grida al mondo, lo grida a se<br />
stesso, testimoniando energicamente, cioè sotto forma <strong>di</strong> flusso energico e con un'ampiezza respiratoria<br />
purificatrice, l'inizio della propria alterità dalla madre. La forza <strong>di</strong> questo grido è una "violenza<br />
inaugurale", la manifestazione energica dell'inizio della vita.<br />
<strong>Il</strong> grido informe e inarticolato è il più puro segno <strong>di</strong> Vita. Secondo antiche cosmogonie che M. Schneider<br />
passa in rassegna nel suo celebre testo <strong>Il</strong> significato della musica , all'origine del cosmo starebbe<br />
proprio il grido. Esplosione <strong>di</strong> energia creatrice.<br />
Grido - vita - lode - morte.<br />
"<strong>Il</strong> canto <strong>di</strong> lode della Morte, il grido o la risata rappresentano la musica<br />
primor<strong>di</strong>ale che partorisce il cosmo" .<br />
<strong>Il</strong> grido ha in sé la duplicità vita-morte, il loro strettissimo legame, la loro <strong>di</strong>pendenza.<br />
"<strong>Il</strong> canto della morte è l'atto creativo da cui si sprigiona la vita" .<br />
Da una sillaba mistica cantata, grido o suono primor<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> lode, che la Morte esala, nasce il cosmo. Nel<br />
vocabolario ve<strong>di</strong>co il canto <strong>di</strong> lode a polmoni gonfi (ark) è sinonimo <strong>di</strong> "gonfiare" o "crescere" e perciò la<br />
nota primor<strong>di</strong>ale risuonando crea il mondo intero materializzandosi poco a poco.<br />
Secondo il sistema filosofico Vedanta ogni morte trapassa nella vita e ogni vita nella morte me<strong>di</strong>ante uno<br />
sfregamento o sacrificio per superare il dualismo dell'universo.<br />
La vita umana nasce dalle urla della madre sofferente che deve affrontare il sacrificio <strong>di</strong> un doloroso<br />
travaglio.<br />
28
<strong>Il</strong> grido creatore è doloroso e liberatorio. Offre e "butta fuori". Cosí si spiegano i gri<strong>di</strong> alti sacrificali a<br />
squarciagola dell'udgitha o della saeta d'Andalusia. Poiché il suono rappresenta la sostanza primor<strong>di</strong>ale<br />
del mondo l'offerta del suono è il sacrificio più alto. Secondo il già citato G. Cardona la voce gridata serve<br />
per colmare gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanze e raggiungere l'altro: nelle offerta sacrificali la <strong>di</strong>stanza è tra cielo e terra. <strong>Il</strong><br />
grido sacro è il mezzo con cui le supplici si rivolgono alla <strong>di</strong>vinità, ma è anche il modo in cui si esprimono<br />
le profetesse invasate: "la profetessa invasata non parla, strepita col fragore dell'urlo <strong>di</strong> dolore, musicale<br />
come il suono che emana dalla terra. L'urlo è il contatto della lingua umana con la voce sovrannaturale."<br />
.<br />
Cosí in latino jubilare è tanto il grido guerriero del rapace trionfante (jubilat milus) quanto il giubilo del<br />
canto rituale. <strong>Il</strong> grido è "l'espressione <strong>di</strong> un rapporto funzionale tra due poli" : l'estremo della sofferenza e<br />
del sacrificio, e l'estremo della vita, della luce e della gioia. <strong>Il</strong> grido comprende in sé tanto il pianto quanto<br />
il riso.<br />
<strong>Il</strong> grido è espressione <strong>di</strong> sentimenti cosí dolorosi da essere incontenibili all'interno del corpo: è l'urlo<br />
isterico, il pianto al massimo della sua sonorità, la forma sonora del delirio.<br />
" <strong>Il</strong> giorno del funerale, nel momento in cui la bara fu fatta uscire dalla finestra<br />
del soggiorno, mia madre gettò un grido, uno solo- il lungo urlo <strong>di</strong> un animale<br />
straziato." .<br />
L'urlo <strong>di</strong>viene l'espressione sonora della lacerazione, del corpo fatto a pezzi, della carne straziata, della<br />
privazione violenta.<br />
Contemporaneamente possiede un potere liberatorio. Già <strong>di</strong> per sé, la voce è un uscire dall'interno del<br />
corpo all'esterno. Un uscire materiale, concreto, che porta con sé delle cose, delle energie interiori.<br />
L'entusiasmo, l'uscire da sé per una gioia tale che non si può contenere e che può trovare espressione<br />
solo nel giubilo informale, senza parole e spinto con forza verso l'alto dalla passione che tra-bocca.<br />
Nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una "liberazione della voce e del corpo", il grido, insieme ad altre manifestazioni <strong>di</strong><br />
"eruttazione" <strong>di</strong> suoni informali e violenti (come scoppi <strong>di</strong> riso, pianto, borborigmi), viene utilizzato dal<br />
metodo <strong>di</strong> insegnamento <strong>di</strong> S. Wilfart: il grido, lo scoppio <strong>di</strong> risata, pianti, mimiche infantili, sono<br />
fenomeni <strong>di</strong> liberazione vocale che sbloccano la "memoria corporea". <strong>Il</strong> grido che si origina nel ventre e<br />
nelle parti basse del corpo e lo attraversa interamente, conduce il corpo stesso a quella originaria<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vibrazione totale, che si riscontra nello sta<strong>di</strong>o infantile prelinguistico, permettendo <strong>di</strong><br />
recuperare tutte quelle potenzialità ed energie che nella crescita si sono perdute a favore <strong>di</strong> un'eccessiva<br />
intellettualizzazione ove tutto è determinato e con<strong>di</strong>zionato dalla sola mente. Wilfart propone<br />
un'educazione che non elimini il grido ma che insegni a gestirlo, come sta<strong>di</strong>o fondamentale <strong>di</strong> liberazione<br />
dalle tensioni e <strong>di</strong> costruzione dell'e<strong>di</strong>ficio sonoro vibrante del corpo, come parte essenziale del nostro<br />
essere.<br />
Stu<strong>di</strong> scientifici <strong>di</strong> musicoterapia hanno <strong>di</strong>mostrato il potere terapeutico dell'urlo come liberazione da ogni<br />
tensione.<br />
Ma il grido possiede un'altra caratteristica che è quella <strong>di</strong> essere tagliente, <strong>di</strong> ferire come una freccia.<br />
Viene lanciato come una freccia.<br />
29
Nella mistica indù, la sillaba OM, ritenuta forza che pervade lo spazio dell'universo col fiato, sillaba<br />
primor<strong>di</strong>ale, significa "freccia" e viene designata come saetta vibrante capace <strong>di</strong> penetrare ogni cosa.<br />
Disparar una saeta , cantare la melo<strong>di</strong>a alta eseguita in falsetto dell'Andalusia, è come scoccare una<br />
saetta. Nel libro quarto del De rerum natura <strong>di</strong> Lucrezio, il grido <strong>di</strong> un ven<strong>di</strong>tore perciet auris, percuote le<br />
orecchie .<br />
Nella vita quoti<strong>di</strong>ana una voce gridata è una voce che si vuole imporre, che colpisce per attirare<br />
l'attenzione o per offendere volutamente; per sovrastare l'altro in una <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong>mostrando, come in<br />
una lotta, la propria superiorità fisica (per la quantità d'aria che si deve gestire nell'urlo) e <strong>di</strong> personalità<br />
(la voce in<strong>di</strong>vidua la persona e il suo essere). La voce è il senso che agisce, attivo rispetto alla passività<br />
dell'u<strong>di</strong>re o del vedere . <strong>Il</strong> grido cosí si definisce un'azione violenta, <strong>di</strong>retta, informale, che aggre<strong>di</strong>sce<br />
l'altro.<br />
La voce sussurrata<br />
Si è già visto come G. Cardona interpreta il sussurro in termini <strong>di</strong> spazialità. La voce sussurrata è una<br />
voce che crea ed esige intimità, vicinanza dell'altro, confidenza, confessione. Una voce prossima al<br />
silenzio, che <strong>di</strong>ce e non vorrebbe <strong>di</strong>re: confessione <strong>di</strong> segreti.<br />
Una voce senza voce: nell'emissione della voce sussurrata le corde vocali non vengono interessate, non<br />
sono fatte vibrare. Viene articolato il puro fiato.<br />
Le preghiere cristiane devono essere sussurrate, quasi silenziose, per creare una forte intimità col <strong>di</strong>vino,<br />
perché la parola quasi si eclissi nel puro suono "mantrico" e ripetitivo che conduce all'estasi, all'"uscire-<br />
fuori-<strong>di</strong>-sé", per incontrare la <strong>di</strong>mensione trascendente.<br />
Anche certe formule magiche vengono sussurrate, perché il nemico non possa sentire e "rubare" la parola<br />
potente, il suono che crea ed agisce.<br />
Grazie alla tecnologia, la voce sussurrata paradossalmente è <strong>di</strong>ventata u<strong>di</strong>bile a <strong>di</strong>stanza: la voce<br />
dell'intimità è stata amplificata; il suono del fiato, quale vento interiore, si è palesato con tutte le sue<br />
sfumature ed è stato utilizzato da cantanti, soprattutto del genere jazzistico, a fini estetici, per creare una<br />
nuova comunicatività intima con un pubblico vasto.<br />
<strong>Il</strong> sussurro rivela i nostri segreti, i nostri pensieri più profon<strong>di</strong>, i sentimenti più intimi, ci avvicina<br />
all'altro.<br />
<strong>Il</strong> parlato<br />
La voce parlata si basa sul principio fondamentale <strong>di</strong> risparmio energetico al fine della massima<br />
funzionalità comunicativa: il parlato articola i suoni con rapi<strong>di</strong>tà, senza cioè soffermarsi, nella pronuncia,<br />
su sillabe o parole; le pause sono fisiologiche e funzionali al senso; l'intensità è pressoché costante. Non<br />
ci sono indugi <strong>di</strong> sorta, tutto è mirato alla efficacia della comunicazione, alla necessità del <strong>di</strong>re. Ogni<br />
scarto rispetto all'"eloquio standard" è significativo al fine comunicativo.<br />
30
" <strong>Il</strong> parlato non utilizza che una piccola parte delle risorse della voce... <strong>Il</strong> ruolo<br />
dell'organo vocale consiste nell'emettere dei suoni u<strong>di</strong>bili che rispondano alle<br />
regole <strong>di</strong> un sistema fonematico che non <strong>di</strong>pende da esigenze fisiologiche, me<br />
costituisce una pura negatività. La voce resta in <strong>di</strong>sparte. ... <strong>Il</strong> linguaggio detto<br />
sottomette la voce." .<br />
La voce parlata è il frutto del "corpo sociale" che co<strong>di</strong>fica la forma del vivere e del comunicare.<br />
L'or<strong>di</strong>ne politico e sociale implicano l'or<strong>di</strong>ne nella rappresentazione del sé: <strong>di</strong>sciplinare il particolare,<br />
co<strong>di</strong>ficare gesti al fine <strong>di</strong> un senso imme<strong>di</strong>atamente comprensibile e totalmente significativo nella<br />
circolazione sociale.<br />
La voce entra come parte essenziale dell'educazione: non urlare, piegare la voce al silenzio o alla parola,<br />
adeguandola ad una gestualità controllata, ecc.<br />
Numerosi sono gli esempi che si potrebbero riportare soprattutto in alcune società altamente cerimoniali,<br />
come quella fra XVI e XVII secolo: compaiono veri e propri manuali del parlar corretto in società a<br />
<strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> come il parlare sia specchio dell'inserimento perfetto dell'in<strong>di</strong>viduo nella società .<br />
Ma anche certa precettistica religiosa, ad esempio quella del car<strong>di</strong>nale Bona, De <strong>di</strong>screzione spiritum<br />
(1677), in<strong>di</strong>ca come educare la voce perché sia specchio <strong>di</strong> un'interiorità integra e non "sibilo del<br />
serpente infernale".<br />
C. Bologna parla <strong>di</strong> questa voce parlata come <strong>di</strong> voce da Salotto, luogo simbolico <strong>di</strong> conversazioni<br />
misurate e ben educate. Sarà nelle pagine <strong>di</strong> Montaigne che si troverà la congiunzione tra Salotto e<br />
Anima, non solo la voce della società artificiale, ma la voce dell'Io: "la voce significa tutto il mio essere<br />
(mon sens), <strong>di</strong>ce Montaigne, sta a me in<strong>di</strong>rizzarla pour me representer" .<br />
Verso una valorizzazione non solo dell'or<strong>di</strong>ne ma anche degli scarti rispetto a questo.<br />
La voce parlata è quin<strong>di</strong> la voce della misura, dell'economia funzionale, della <strong>di</strong>sciplina, del rispetto delle<br />
norme, della comunicazione, dell'essere sociale, ma è anche il canale dell'anima in<strong>di</strong>viduale, dell' "Io<br />
<strong>di</strong>co", strumento per "<strong>di</strong>re"la propria persona.<br />
La voce recitata<br />
La voce non si concentra solo sul principio <strong>di</strong> economia comunicativa e rispetto delle norme: la voce si<br />
alza, la scansione proso<strong>di</strong>ca si fa più dettagliata (accenti tonici e grammaticali, durate a senso, marcatura<br />
dell'interpunzione): siamo alla proclamazione, all'annuncio.<br />
"<strong>Il</strong> professore <strong>di</strong> matematica che enuncia un teorema, il ban<strong>di</strong>tore, il cantastorie,<br />
il ven<strong>di</strong>tore ambulante, l'annunciatore ferroviario, il lettore od orante pubblico in<br />
una liturgia, sono altrettante situazioni <strong>di</strong> enunciazione pubblica informativa e<br />
neutra, senza coinvolgimento personale, in cui il parlante si fa semplice<br />
portavoce della parola. " .<br />
31
L'emissione ha tendenzialmente altezza e intensità costante, e articolazione ritmica minima. <strong>Il</strong> risultato è<br />
uno stile cantilenante, monotono, in cui la parola è sovrana sugli elementi musicali ridotti al minimo.<br />
I recitativi liturgici, i recitativi operistici, o certe pratiche cultuali che si ispirano a questo stile vocale,<br />
denunciano uno stretto legame con la <strong>di</strong>mensione vocale del parlato e quin<strong>di</strong> la necessità funzionale <strong>di</strong><br />
dare rilievo alle parole.<br />
La voce alta e sonora , la voce solenne del <strong>di</strong>re , dell'annunciare, del richiedere è anche la voce della<br />
Persuasione, del Potere, la voce dal pulpito, la voce che rapisce l'ascolto per la sua potenza e la sua<br />
fermezza.<br />
<strong>Il</strong> recitativo è una voce legata al parlato per la scansione e l'articolazione dei suoni delle parole, ma<br />
risulta voce "intonata", voce che implica un <strong>di</strong>spiego maggiore <strong>di</strong> energia in fatto <strong>di</strong> fiato, <strong>di</strong> potenza e <strong>di</strong><br />
sonorità allo scopo <strong>di</strong> rendere maggiormente incisivo il proprio <strong>di</strong>re.<br />
La voce cantata<br />
"Nel canto i formanti, pure senza essere neutralizzati (ad essi è infatti affidata la<br />
comprensibilità semantica delle parole) passano in secondo piano, mentre il<br />
ruolo primario viene assunto dalle fondamentali. Esse acquistano pertanto una<br />
funzione strutturale, dal momento che a <strong>di</strong>stinguere un segmento melo<strong>di</strong>co<br />
dall'altro è appunto l'altezza specifica alla quale essi sono situati. ... <strong>Il</strong> profilo<br />
melo<strong>di</strong>co complessivo dell'enunciazione, che nel parlato aveva un <strong>di</strong>segno<br />
approssimato e si sovrapponeva come componente marginale alla sequenza<br />
fonetica, acquista qui contorni chiaramente definiti e si propone come<br />
costituente fondamentale del messaggio. Lo stesso avviene per le durate, che<br />
nel canto acquistano valori esatti e reciprocamente proporzionali." .<br />
<strong>Il</strong> canto porta con sé un vasto immaginario.<br />
Si è già potuto notare come si accompagna all'idea <strong>di</strong> volo e <strong>di</strong> sogno; quin<strong>di</strong> all'idea <strong>di</strong> liberazione.<br />
V. Cuomo lega l'origine del canto al carattere liberatorio del grido e si è visto come l'urlo per Wilfart è<br />
preparazione fondamentale ad una buona educazione canora.<br />
<strong>Il</strong> canto per A. Tomatis , è sorgente <strong>di</strong> energia: fornisce nutrimento metabolico al cervello in termini <strong>di</strong><br />
profonda ossigenazione e quin<strong>di</strong> rigenerazione, e fornisce sollecitazioni <strong>di</strong>namiche per le necessità<br />
espressive e creative del cervello stesso.<br />
<strong>Il</strong> canto permette <strong>di</strong> esplorare il proprio corpo, suo strumento, e l'ambiente circostante facendolo con-<br />
vibrare, permettendo una completa fusione del soggetto col tutto che lo circonda.<br />
<strong>Il</strong> canto è "uno dei mezzi più raffinati <strong>di</strong> donare sé stessi": è un conoscersi e un mostrarsi, un aprirsi<br />
all'altro, il canale della propria interiorità.<br />
A <strong>di</strong>fferenza del parlato che per Zumthor sottomette la voce, il canto ne <strong>di</strong>spiega ed esalta la potenza: "i<br />
valori mitici della voce vengono esaltati nel canto". Mentre nel parlato "la presenza fisica del locutore<br />
32
tende in misura maggiore o minore ad attenuarsi, a fondersi con le circostanze", nel canto essa si<br />
afferma, riven<strong>di</strong>cando la totalità del suo spazio.<br />
"<strong>Il</strong> canto è la manifestazione insigne della magie della voce, Orfeo archetipico,<br />
accolto in tutte le nostre mitologie, ivi comprese quelle del più quoti<strong>di</strong>ano. Per gli<br />
amerin<strong>di</strong> Montagnais, il canto è un sogno sonoro, che apre un passaggio verso il<br />
mondo da cui proviene. ...<strong>Il</strong> canto concilia gli opposti e domina il tempo".<br />
33
LA TECNICA VOCALE.<br />
La tecnica è il complesso <strong>di</strong> norme da seguire nella pratica <strong>di</strong> un'arte; proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> lavorazione che<br />
implica un uso pratico <strong>di</strong> strumenti, quin<strong>di</strong> implica una padronanza, cioè la conoscenza <strong>di</strong> ciò che lo<br />
strumento può dare, può fare, e la conoscenza del "come" fare per ottenere risultati voluti. Nel caso<br />
nostro, lo strumento è la voce:<br />
"La voce, ove la si voglia utilizzare, costringe quasi subito all'articolazione; il solo<br />
vocalizzo stanca abbastanza presto, in quanto tutti lo sentono, sia pure<br />
inconsciamente, come un'utilizzazione molto sommaria, sicuramente incompleta,<br />
dell'apparato vocale che è capace <strong>di</strong> prodezze più raffinate. Questa reazione è, in<br />
certo qual modo, un segno <strong>di</strong> umano rispetto: articolare dei suoni che preservino<br />
la qualità propria dell'uomo".<br />
P. Boulez tratta delle problematiche relative al rapporto Parola e Musica, fissando l'attenzione in<br />
particolare sulla possibilità "<strong>di</strong> un incontro privilegiato e durevole" tra i due linguaggi me<strong>di</strong>ante il concetto<br />
<strong>di</strong> struttura.<br />
L'incontro è possibile e duraturo perché avviene sul campo comune della struttura, che prevede gli<br />
aspetti fondamentali del tempo, della forma e della tecnica vocale.<br />
La tecnica vocale, (la proso<strong>di</strong>a, l'accentazione, l'intonazione, nei sensi più lati), è quin<strong>di</strong> uno dei terreni<br />
comuni <strong>di</strong> musica e <strong>di</strong> poesia.<br />
"A seconda che ci si allontani più o meno dalla trascrizione <strong>di</strong>retta, si passa per le <strong>di</strong>verse categorie che<br />
portano dal parlato al cantato, ossia, da un'assenza <strong>di</strong> convenzione, alla convenzione assoluta".<br />
Seguendo la trattazione <strong>di</strong> Boulez, si è provato a tracciare le varie tappe <strong>di</strong> questo processo, passando<br />
sinteticamente in rassegna le principali tecniche vocali.<br />
<strong>Il</strong> parlato puro è fondamentalmente eterogeneo rispetto alle strutture musicali: <strong>di</strong>fferiscono<br />
nell'utilizzazione degli intervalli, nei valori ritmici e nel tempo, gerarchizzati e organizzati nella musica,<br />
istintivi nel parlato. "Corpi estranei in presenza l'uno dell'altro, la cui mescolanza è soltanto fisica, si<br />
percepiscono su piani <strong>di</strong>fferenti".<br />
La declamazione ritmata permette invece, <strong>di</strong> unire, grazie ad una <strong>di</strong>stribuzione organizzata <strong>di</strong> accenti, i<br />
due piani su una superficie comune.<br />
Lo Sprechgesang aggiunge a tutto questo "l'approccio" degli intervalli in un ambito ristretto.<br />
<strong>Il</strong> canto, <strong>di</strong>stribuendo gli intervalli su una tessitura più estesa, "guida alla coincidenza della voce e dello<br />
strumento", raggiunta, infine, dalla soppressione della parola o dalla <strong>di</strong>stensione dell'articolazione, in<br />
quanto la voce estrae dalle parole la loro sonorità.<br />
La proso<strong>di</strong>a passa <strong>di</strong> conseguenza, dalla totale servitù alla totale in<strong>di</strong>pendenza dal testo: "da<br />
un'elocuzione naturale a una declamazione convenzionale". Una stessa gradazione si ritrova nel modo in<br />
cui la voce viene accompagnata o si inserisce nel blocco strumentale, facendone parte.<br />
Zumthor tiene a precisare che non è propriamente una questione <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> movimento dal parlato al<br />
cantato non conosce né tappe né scale. Abitu<strong>di</strong>ni, pregiu<strong>di</strong>zi collettivi, ideologie finiscono per con<strong>di</strong>zionare<br />
34
la capacità degli esecutori come degli ascoltatori <strong>di</strong> sentire una netta separazione tra le due arti. L'ere<strong>di</strong>tà<br />
culturale con<strong>di</strong>ziona la percezione che ciascuno ha delle <strong>di</strong>fferenze in questione. Ogni società fissa quin<strong>di</strong><br />
gli stili e le tecniche e i confini tra <strong>di</strong> esse.<br />
Ma mai come nell'ultimo secolo, il Novecento, si è potuto vedere realizzato l'ideale <strong>di</strong> sperimentazione e<br />
ricerca, l'apertura totale e incon<strong>di</strong>zionata, verso le infinite possibilità della voce.<br />
Queste innumerevoli possibilità, portano a scritture, forme, generi <strong>di</strong>versi; a <strong>di</strong>alettiche sempre vere e<br />
vive, ma più o meno celate, più o meno rivelate.<br />
<strong>Il</strong> testo sarà, nelle varie tecniche vocali, in-conoscibile o ri-conoscibile, "centro e assenza", e "incrocio<br />
dell'insieme"<br />
"volto alterno dell'Idea, ora protesa verso l'oscuro ora scintillante, con ogni<br />
certezza"! (Mallarmé).<br />
35
Fig. 1<br />
2-L’apparato fonatorio<br />
I suoni del linguaggio vengono normalmente prodotti me<strong>di</strong>ante l’espirazione,<br />
con un flusso <strong>di</strong> aria egressivo: l’aria fluisce dai polmoni attraverso i bronchi e<br />
la trachea, e raggiunge la laringe [fig. 1].<br />
Nella laringe, che è un organo a forma piramidale, si trova la glottide che, a<br />
sua volta, contiene le corde vocali. Queste ultime sono costituite da due<br />
membrane che durante la normale respirazione rimangono separate e rilassate, mentre nella<br />
fonazione possono contrarsi e tendersi, avvicinandosi e allontanandosi una dall’altra e<br />
bloccando in tal modo il passaggio dell’aria. Queste vibrazioni cicliche e velocissime delle corde<br />
vocali determinano i cosiddetti suoni "sonori".<br />
<strong>Il</strong> flusso d’aria passa poi attraverso la faringe ed entra nella cavità orale.<br />
All’interno della cavità orale vi è una serie <strong>di</strong> organi, mobili o fissi, che giocano un ruolo<br />
fondamentale nella caratterizzazione fisica dei suoni.<br />
L’organo mobile più importante è senza dubbio la lingua, ove <strong>di</strong>stinguiamo una "ra<strong>di</strong>ce", un<br />
"dorso" e un "apice". Gli altri organi della cavità orale sono: il velo (o "palato molle"), il palato,<br />
gli alveoli (la zona imme<strong>di</strong>atamente retrostante i denti superiori), i denti e le labbra.<br />
Oltre che attraverso la cavità orale, l’aria che fluisce dalla faringe può passare attraverso la<br />
cavità nasale, in seguito all’abbassamento del velo palatino. Vengono così prodotti i suoni<br />
cosiddetti "nasali".<br />
In ognuno dei punti compresi fra la glottide e le labbra, l’aria che fluisce dai polmoni può subire<br />
delle costrizioni da parte degli organi della fonazione, ottenendo così i <strong>di</strong>versi "segmenti <strong>di</strong><br />
suono" che costituiscono la sostanza fisica delle parole.<br />
Oltre ai suoni polmonari egressivi (che sono i più <strong>di</strong>ffusi tra le lingue del mondo), esistono altri<br />
due tipi <strong>di</strong> flussi d’aria che possono dar luogo a fonazione: il flusso ingressivo e quello<br />
glottidale.<br />
Nel primo caso, il suono viene realizzato me<strong>di</strong>ante inspirazione (e dunque l’aria proviene<br />
dall’esterno), mentre nel secondo l’aria proviene dalla glottide (invece che dai polmoni),<br />
producendo dei suoni cosiddetti avulsivi ("schioccanti", interiettivi e <strong>di</strong> incitamento), tipici delle<br />
lingue dell’Africa centrale o meri<strong>di</strong>onale.<br />
36
3-La Fonetica<br />
La fonetica è quella branca della glottologia rivolta allo stu<strong>di</strong>o dei suoni linguistici in<strong>di</strong>pendentemente<br />
dalla lingua a cui appartengono. I suoi principali temi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o riguardano la produzione e la percezione<br />
dei suoni linguistici da parte dell’uomo, e le loro caratteristiche acustiche, viste sia dal lato dell’emittente,<br />
il parlante, che da quello del ricevente, l’ascoltatore; in base dell’argomento, privilegiato nello stu<strong>di</strong>o, si<br />
possono <strong>di</strong>stinguere tre tipi <strong>di</strong> branche fonetiche:<br />
• La fonetica articolatoria o fisiologica che descrive il processo <strong>di</strong> produzione dei suoni<br />
linguistici, detti più propriamente foni, riferendosi agli organi preposti alla fonazione, i quali nel<br />
complesso prendono il nome d’apparato fonatorio, della loro fisiologia, ovvero del processo <strong>di</strong><br />
fonazione, e dei criteri <strong>di</strong> classificazione.<br />
• La fonetica sperimentale o strumentale, lo stu<strong>di</strong>o della produzione dei suoni linguistici<br />
attraverso l'utilizzo <strong>di</strong> determinati strumenti.<br />
• La fonetica acustica o descrittiva che descrive le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici e la<br />
loro propagazione nel mezzo, in questo caso l’aria.<br />
• La fonetica u<strong>di</strong>tiva, lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> come i suoni linguistici vengano percepiti dall'apparato u<strong>di</strong>tivo<br />
umano.<br />
• La fonetica naturale, quel tipo d’analisi e d’introspezione dei suoni linguistici e dell’intonazione,<br />
che si possono fare da soli, senza costose e complicate apparecchiature.<br />
• La fonetica strutturale si identifica con la fonologia.<br />
Se si usa la parola 'fonetica' senza specificazioni ulteriori si intende solitamente la fonetica articolatoria.<br />
Si <strong>di</strong>stingue dalla fonologia che stu<strong>di</strong>a i sistemi linguistici basandosi sulle unità linguistiche astratte dette<br />
fonemi. Raramente la morfologia tocca lo stu<strong>di</strong>o della fonetica, e ancor meno la semantica (lo stu<strong>di</strong>o del<br />
significato delle parole) e la sintassi. Invece la pragmatica può benissimo venir considerata quando si<br />
tratta del livello acustico<br />
Fonetica articolatoria<br />
La fonetica articolatoria stu<strong>di</strong>a i suoni <strong>di</strong> una lingua sotto l'aspetto della loro produzione attraverso<br />
l'apparato fonatorio, descrive quali organi intervengano nella produzione dei suoni, in quale posizione<br />
s'incontrino e come queste posizioni interferiscano con il percorso dell'aria in uscita dai polmoni<br />
attraverso la bocca, il naso o la gola per produrre suoni <strong>di</strong>fferenti.<br />
Non si occupa <strong>di</strong> tutte le attività che intervengono nella produzione <strong>di</strong> un suono, ma seleziona solamente<br />
quelle che attengono al luogo <strong>di</strong> articolazione. I simboli fonetici sono solo abbreviazioni della descrizione<br />
articolatoria <strong>di</strong> un suono, nonché una sua approssimazione in determinate classi detti foni, dal momento<br />
che nessuno è in grado <strong>di</strong> riprodurre due volte lo stesso identico suono. I simboli più utilizzati sono quelli<br />
dell'AFI, l'Associazione fonetica internazionale, conosciuta anche come IPA.<br />
Gli organi che intervengono nel processo <strong>di</strong> fonazione possono essere mobili o fissi. Sono organi mobili le<br />
labbra, la man<strong>di</strong>bola, la lingua e le pliche vocali ("corde vocali"), chiamati anche gli organi articolatòri o<br />
37
semplicemente gli articolatóri. Variando la posizione <strong>di</strong> questi, il parlante mo<strong>di</strong>fica il flusso dell'aria<br />
polmonare. Sono invece organi fissi i denti, la ra<strong>di</strong>ce dei denti, il palato duro e il palato molle (velo<br />
palatino). I suoni si producono quando si portano in contatto due articolatóri, per esempio il (fono)<br />
bilabiale [p], che si produce col contatto <strong>di</strong> entrambe le labbra; così quando si pongono in contatto due<br />
organi articolatòri il suono che si ottiene si nomina con gli organi che si avvicinano o si congiungono in un<br />
punto d'articolazione particolare: per esempio [f] si definisce fono labiodentale, perché il labbro inferiore<br />
entra in contatto con gli incisivi superiori. Quando l'organo mobile è la lingua non si fa in genere<br />
riferimento ad essa (tranne in casi particolari, come per i rari foni linguolabiali) per denominare il fono,<br />
così [t], che si produce quando la punta della lingua tocca la parte posteriore (in inglese piuttosto la<br />
ra<strong>di</strong>ce, gli "alveoli") degli incisivi superiori si chiama semplicemnete dentale (alveolare in inglese).<br />
<strong>Il</strong> modo d'articolazione si determina per la <strong>di</strong>sposizione degli articolatóri mobili nella cavità buccale e<br />
come impe<strong>di</strong>scono o restringono il passaggio dell'aria. Questa azione può consistere nell'interruzione<br />
istantanea e completa del passaggio dell'aria, con i foni cosiddetti occlusivi che sono <strong>di</strong> tipo momentaneo.<br />
Nei foni cosiddettinasali ugualmente si ha interruzione completa del flusso dell'aria nella bocca ma viane<br />
aperta il passo nasale per fare uscire il flusso nella cavità nasale ottenendo così un fono continuo. Nei foni<br />
cosiddetti laterali la lingua si accosta solo alla parte centrale della cavità buccale lasciando passare l'aria<br />
dalle parti o anche da una parte sola (foni unilaterali). Nei foni vibranti la lingua vibra ripetutamente<br />
(almeno più <strong>di</strong> tre volte) creando una serie <strong>di</strong> brevissime occlusioni. Nei foni vibrati il meccanismo è<br />
interme<strong>di</strong>o tra quello occlusivo e quello vibrante: consiste <strong>di</strong> una rapi<strong>di</strong>ssima singola occlusione, <strong>di</strong><br />
articolazione assai più instabile che negli occlusivi veri e propri. Nei foni costrittivi gli articolatóri non<br />
chiudono il passaggio ma provocano un restringimento per l'aria che produce una caratteristica frizione (e<br />
si chiamano per questo anche fricativi benché il termine non sia articolatorio ma piuttosto acustico). Se il<br />
passaggio è più largo, la frizione non si produce e il fono si <strong>di</strong>ce approssimante il passaggio dell'aria è<br />
continuo ma in qualche modo alterato e reso instabile dalla posizione degli articolatóri. Tutti questi mo<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> articolazione si chiamano contoi<strong>di</strong>. Nei vocoi<strong>di</strong> invece, il passaggio dell'aria è completo, continuo,<br />
stabile e senza nessun restringimento.<br />
Ci sono alcune articolazioni particolari. I contoi<strong>di</strong> cosiddetti semiocclusivi (acusticamente affricati) hanno<br />
due fasi strettamente legate l'una all'altra: una fase occlusiva e una costrittiva. Entrambe sono<br />
omorganiche, cioè devono avere lo stesso punto d'articolazione; inoltre l'occlusione rimane in qualche<br />
modo presente anche nella fase <strong>di</strong> rilascio costrittiva: per questi sono stati definiti anche: foni occlusivi<br />
con rilascio u<strong>di</strong>bile costrittivo. Questa è anche la ragione per cui scriverli con due simboli è errato: si deve<br />
usare il monogramma (presente nelle estensioni fonetiche <strong>di</strong> Unicode anche se non previsto ufficialmente<br />
nelle ultime revisioni dell'IPA) oppure il <strong>di</strong>gramma con legatura (SAMPA: [-\]). Esistono altre notazioni<br />
non ufficiali IPA: per esempio, il simbolo dell'occlusiva con un circonflesso sopra come in esperanto,<br />
oppure l'uso <strong>di</strong> caratteri usate nelle lingue slave o baltiche che utilizzano l'alfabeto latino c per [t-\s], č<br />
per [t-\S]. Esistono poi particolarti "contoi<strong>di</strong> sillabici" (intensi e generalmente allungati) che possono<br />
costituire apice sillabico (SAMPA: [=]) e al contrario vocoi<strong>di</strong> asillabici (più brevi e meno forti <strong>di</strong> quelli<br />
comuni) che possono solo essere elementi (asillabici) <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ttongo (SAMPA: [_^]).<br />
I vocoi<strong>di</strong> si <strong>di</strong>stinguono per la varie posizone della lingua: in particolare il punto me<strong>di</strong>ano del dorso è<br />
spesso preso come punto <strong>di</strong> riferimento. A seconda dell'altezza (la posizione rispetto al palato) e<br />
dell'(anteriorità-)posteriorità (la posizione rispetto al palato anteriore e al velo palatino) si <strong>di</strong>stinguono<br />
vocoi<strong>di</strong> alti, me<strong>di</strong> e bassi secondo l'asse verticale (sono necessari spesso gra<strong>di</strong> interme<strong>di</strong>, come me<strong>di</strong>o-<br />
bassi, me<strong>di</strong>o -alti e simili) e anteriori (o palatali), centrali e posteriori (o velari) sull'asse orizzontale<br />
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(anche qui spesso sono necessari gra<strong>di</strong> interme<strong>di</strong> come antero-centrali e postero-centrali secondo il grado<br />
<strong>di</strong> precisone richesto). A seconda della presenza o meno dell'arrotondamento labiale poi si <strong>di</strong>stinguono<br />
vocoi<strong>di</strong> arrotondati (procheili) e non-arrotondati (aprocheili). I vocoi<strong>di</strong> più frequenti nelle varie lingue<br />
sono [a], [i] e [u], che rappresentano anche il massimo degli spostamenti del punto me<strong>di</strong>ano del dorso<br />
della lingua sui due assi (orizzonatale e verticale). In particolare [a] è <strong>di</strong> gran lunga il fono più frequente<br />
ed è presente nella maggior parte delle lingue del mondo.<br />
Fonetica sperimentale<br />
La fonetica sperimentale stu<strong>di</strong>a i suoni secondo un approccio fisico, sia usando strumenti particolari<br />
per determinare con precisione la posizione dei vari organi articolatòri sia prestando attenzione al<br />
risultato del processo fonatorio. Unendo i dati si sono scoperte caratteristiche importanti sull'articolazione<br />
dei suoni linguistici. essa utilizza strumenti come i raggi x per determinare la posizione degli articolatóri e<br />
il chimografo che traccia le linee d'intensità. Lo stu<strong>di</strong>o congiunto <strong>di</strong> questi dati risulta tanto più preciso e<br />
significativo quanto sono più perfezionati gli strumenti usati.<br />
Fonetica acustica<br />
La fonetica acustica tratta l'onda sonora come il prodotto <strong>di</strong> un qualsiasi risonatore. In pratica equipara<br />
l'apparato fonatorio umano a un qualsiasi altro sistema d'emissione e riproduzione <strong>di</strong> suoni. Nella<br />
comunicazione le onde sonore hanno un'importanza maggiore che la semplice articolazione (e<br />
produzione) dei suoni, poiché un determinato pubblico ascolta i suoni prodotti dal'apparato fonatorio<br />
come quelli riprodotti da un qualsiasi altro mezzo. Per deco<strong>di</strong>ficare le caratteristiche salienti dell'onda<br />
sonora prodotta si utilizza lo spettrografo: con questo strumento si possono identificare determinate<br />
bande chiamate formanti che sono risultate essere importanti per la comprensione dei suoni linguistici e<br />
hanno anche mostrato una certa relazione con alcuni processi articolatori. Inoltre si è manipolata l'onda<br />
sonora per capire quali fossero le frequenze che contenevano i dati fondamentali, necessari e sufficienti<br />
per identificare i suoni delle varie lingue, cancellando alcune parti dell'onda e riproducendone le altre.<br />
Fonetica u<strong>di</strong>tiva<br />
La fonetica u<strong>di</strong>tiva è probabilmente il ramo della fonetica a tutt'oggi meno esplorato e tratta <strong>di</strong> come i<br />
suoni linguistici vengano recepiti dall'apparato u<strong>di</strong>tivo umano: per questo stu<strong>di</strong>a in particolare come<br />
funziona il canale u<strong>di</strong>tivo. Un altro campo d'investigazione riguarda le possibili interferenze acustiche che<br />
si possono determinare nell'ascolto dei suoni linguistici. Recentissimi sono gli stu<strong>di</strong> in campo cognitivo,<br />
correlati alla percezione effettiva dei suoni. La fonetica u<strong>di</strong>tiva utilizza strumenti come la camera<br />
insonorizzata per isolare la persona da sperimentare concentrandosi solo sul suono linguistico in quanto<br />
tale. Anche le statistiche su come vengano percepiti i suoni nelle <strong>di</strong>verse situazioni comunicative<br />
(soprattutto nei <strong>di</strong>versi ambienti, in particolare rumorosi) è un campo stu<strong>di</strong>ato dalla fonetica u<strong>di</strong>tiva.<br />
Fonetica naturale canIPA<br />
39
<strong>Il</strong> principale esponente <strong>di</strong> questa "corrente" è il fonetista e linguista italiano Luciano Canepari. Per avere<br />
un'applicazione pratica nell'appren<strong>di</strong>mento e/o insegnamento della pronuncia, ma anche come base<br />
convincente per qualsiasi successiva speculazione e teorizzazione astratta, la fonetica dovrebbe essere<br />
‹naturale›, nel senso che dovrebbe esser possibile farla senza altri strumenti che il proprio apparato<br />
articolatorio e le proprie orecchie. Dovrebbe basarsi sulla nostra innata capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere i suoni,<br />
che tutti posse<strong>di</strong>amo, o perlomeno possedevamo, prima d'essere, per così <strong>di</strong>re, ‹corrotti› dalle<br />
convenzioni ortografiche della nostra madrelingua. Quando da piccoli scrivevamo scenza al posto <strong>di</strong><br />
scienza o anno per hanno, coerentemente con la loro effettiva pronuncia, stavamo facendo fonetica in<br />
modo naturale (o Fonetica naturale). Quin<strong>di</strong>, la Fonetica naturale can IPA è un metodo per riattivare quella<br />
capacità che da bambini possedevamo istintivamente. Piú scientificamente, potremmo <strong>di</strong>re che la<br />
Fonetica naturale mira a cogliere l'essenza dei suoni linguistici: determinandone l'esatta articolazione per<br />
mezzo della cinestesía (la coscienza <strong>di</strong> ciò che succede nella nostra bocca mentre li produce); mostrandoli<br />
con accurati <strong>di</strong>agrammi articolatori (orogrammi, vocogrammi, labiogrammi, palatogrammi,<br />
dorsogrammi), e u<strong>di</strong>tivi (principalmente tonogrammi); rappresentandoli con simboli fonetici appropriati<br />
(che non devono essere troppo vaghi, pena l'inutilità).<br />
40
4-André Schaeffner, Maurice Merleau-Ponty,<br />
Demetrio Stratos.<br />
Dialogo a tre voci sul luogo della risonanza<br />
L’obiettivo <strong>di</strong> questa ipotesi <strong>di</strong> confronto è approfon<strong>di</strong>re il rapporto tra il luogo della risonanza e<br />
l’emissione sonora attraverso una considerazione ravvicinata e articolata del tema del corpo, che balza in<br />
primo piano contestualmente allo spostamento dell’attenzione sulla fisicità della materia del suono. La<br />
profonda inter<strong>di</strong>pendenza dei concetti <strong>di</strong> concavo e risonante ci mette infatti sulla via <strong>di</strong> quell’idea dello<br />
strumento-corpo [1] così fortemente presente nalla riflessione <strong>di</strong> Piana. La voce umana, nella forma del<br />
risuonatore boccale e polmonare, è uno strumento da suonare e allo stesso modo l’intero corpo viene<br />
coinvolto, con modalità <strong>di</strong>fferenti, nel desiderio <strong>di</strong> espressione sonora. Le <strong>di</strong>namiche che stanno alla base<br />
<strong>di</strong> questa tendenza del corpo a “fare musica” coincidono con un’esplorazione materiale delle sue concrete<br />
possibilità sonore e con una rivalutazione delle sue concavità per l’istituzione <strong>di</strong> una organologia musicale<br />
<strong>di</strong> matrice corporea. È in questa prospettiva teorica che si inseriscono le indagini etnomusicologiche <strong>di</strong><br />
André Schaeffner (1895-1980) che, nel volume Origine des instruments de musique [2] , propone una<br />
“fenomenologia della risonanza sui generis” [3] , svolta attraverso lo stu<strong>di</strong>o del ruolo della superficie<br />
concava nell’emissione del suono in uno strumento musicale fino alla ricostruzione della genealogia del<br />
risuonatore. L’opera dell’etnomusicologo francese compare in un panorama <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> dominato dall’opera<br />
<strong>di</strong> C. Sachs, un’importante riflessione sull’origine della musica strutturata sul modello vocale della<br />
melo<strong>di</strong>a a picco. Schaffner da parte sua presenta dei contributi fortemente originali rispetto alla<br />
tra<strong>di</strong>zionale ed istituzionalizzata classificazione degli strumenti musicali, novità che riguardano<br />
principalmente la teoria delle origini corporali della musica (che scopre un alternativo modello percussivo<br />
e una grande attenzione riservata al materico) ed il criterio tassonomico per materiali.<br />
<strong>Il</strong> suono strumentale viene allora inserito in un contesto comunicativo <strong>di</strong> tipo orale: all’origine dello<br />
strumento si trova un’istanza espressiva che, canalizzata in un gesto o un’articolazione cinesica, si muove<br />
nello spazio e si <strong>di</strong>rige ad una superficie. Sono in particolare le superfici concave che, nel sistema<br />
tassonomico <strong>di</strong> Schaeffner, svolgono un ruolo rivoluzionario. La considerazione e l’utilizzo <strong>di</strong> cavità<br />
naturali e <strong>di</strong> cavità artificiali mo<strong>di</strong>ficano l’immagine dell’oggetto sonoro. Lo stu<strong>di</strong>o del risuonatore infatti<br />
mette in crisi molte categorie musicali tra<strong>di</strong>zionali, prime fra tutte quelle interne alla classificazione<br />
organologica, e istituisce invece un concetto trasversale nel quale confluiscono le più <strong>di</strong>fferenti famiglie <strong>di</strong><br />
strumenti. La scoperta delle superfici concave, quali fondamentali <strong>di</strong>spositivi per la generazione sonora,<br />
introduce una riflessione sul materico <strong>di</strong> grande importanza: i risuonatori “sono imprescin<strong>di</strong>bili dalla<br />
materia in sé, dai materiali che determinano il ‘mistero timbrico’ che è alla base degli strumenti musicali”<br />
[4] . La figura della cavità risonante e l’importanza della sua costituzione materiale attraversano l’intera<br />
tassonomia <strong>di</strong> Schaeffner e hanno la forma <strong>di</strong> universalia organologiche [5] dal sapore lievemente<br />
strutturalista.<br />
<strong>Il</strong> libro <strong>di</strong> Schaeffner mostra la musica come un’arte continuamente presente nel quoti<strong>di</strong>ano,<br />
“necessariamente mischiata alla nostre azioni, che si realizza a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> tutto e con una fantasia o con<br />
una temerarietà <strong>di</strong> mezzi materiali che ci confonde” [6] : assistiamo qui ad un chiaro allargamento del<br />
41
senso e del contenuto del musicale, dove lo strumento viene ora concepito come oggetto–<strong>di</strong>spositivo<br />
sonoro del quale riconosciamo il suo essere musicale o meno. È con queste premesse che l’autore<br />
approccia il tema del corpo: esso viene indagato, come ogni altro strumento, per le sue proprietà <strong>di</strong><br />
emissione sonora e musicale. In questo senso il corpo è una cavità risonante che emette ed amplifica<br />
suoni e rumori: il gioco sonoro della materia corporea lascia la traccia <strong>di</strong> una carne vibrante, <strong>di</strong> una pelle<br />
tesa, del sangue che scorre, del vuoto interno che agisce. In questo modo completamente nuovo <strong>di</strong><br />
incontrare e <strong>di</strong> abitare il corpo ci interroghiamo sulla possibilità che esso abbia una forza espressiva non<br />
verbale: la voce e ogni altra modalità <strong>di</strong> stimolazione sonora del corpo, sono già <strong>di</strong> per sé segni, tracce<br />
del corpo stesso; la voce annuncia la materia <strong>di</strong> una presenza, <strong>di</strong> un’unicità incarnata. Questa primor<strong>di</strong>ale<br />
musicalità che scaturisce naturalmente dal corpo corrisponde ad una volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>rsi, <strong>di</strong> farsi sentire e <strong>di</strong><br />
sod<strong>di</strong>sfare quin<strong>di</strong> una urgenza espressiva. <strong>Il</strong> completamento <strong>di</strong> tali fini comunicativi scorre lungo un<br />
complesso percorso esplorativo del materiale sonoro offerto dal corpo che porterà il corpo stesso a<br />
configurarsi come un oggetto sonoro, articolato in varie regioni timbriche nelle quali è possibile modulare<br />
un’infinità <strong>di</strong> gesti espressivi. “Appare evidente che l’origine della musica sia da ricercarsi nel corpo<br />
umano. E così anche nella danza. Quest’ultima è però unica mentre la musica si <strong>di</strong>vide in vocale e<br />
strumentale. Da una parte il canto, prodotto, così come il linguaggio, dall’apparato vocale; dall’altra la<br />
musica strumentale, nata, con la danza, dal movimento del corpo.” [7] <strong>Il</strong> libro apre <strong>di</strong>rettamente con<br />
questa <strong>di</strong>chiarazione programmatica nella quale si fanno chiari gli intenti dell’analisi dell’autore. I<br />
principali sno<strong>di</strong> concettuali del volume muoveranno infatti dalla preliminare collocazione dell’origine della<br />
musica nel corpo umano. Nella culla <strong>di</strong> questa scaturigine corporea prende vita anche la <strong>di</strong>visione<br />
originaria tra musica vocale, il canto dell’apparato fonatorio, e musica strumentale, <strong>di</strong> matrice cinetica. È<br />
proprio il movimento che si porrà a fondamento della progressiva indagine dei portati sonori del corpo. A<br />
proposito <strong>di</strong> questa partizione del musicale, Schaeffner si affretta a specificare che non c’è nessuno<br />
squilibrio derivato dalla precedenza <strong>di</strong> una delle due forme musicali sull’altra ma che al contrario si tratta<br />
<strong>di</strong> una coppia simmetrica dove non si pone problema <strong>di</strong> una maggiore o minore originarietà o <strong>di</strong> vincoli <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>pendenza dell’una rispetto all’altra. Questo è il motivo che spinge l’autore ad in<strong>di</strong>viduare un primo<br />
obiettivo polemico in quelle teorie che propongono una <strong>di</strong>pendenza della musica strumentale da quella<br />
vocale. “La teoria assai <strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong> una musica strumentale nata dall’imitazione del canto è poco<br />
sostenibile. Infatti nulla prova che con gli strumenti si è cercato <strong>di</strong> imitare la voce umana” [8] . In questa<br />
ipotesi Schaeffner riconosce un abuso del concetto <strong>di</strong> imitazione che ha un effetto estremamente falsante<br />
del quadro dell’arte musicale. Esso propone una forma <strong>di</strong> musicalità strumentale modellata sullo stile<br />
vocale, conclusione assai imprudente. La musica strumentale in realtà sostiene una linea <strong>di</strong> sviluppo<br />
autonoma rispetto a quella del canto: pur ammettendo che la musica ha una precedenza <strong>di</strong> comparsa (le<br />
prime capacità musicali <strong>di</strong> cui l’uomo si accorge sono quelle vocali), esso non gode <strong>di</strong> priorità strutturali<br />
che gli avrebbero permesso <strong>di</strong> influenzare lo sviluppo del filone strumentale. Lo strumentale si sottrae da<br />
questo presunto potere formativo del vocale e si rende in<strong>di</strong>pendente; ciò nonostante, i due ambiti restano<br />
comunque comunicanti, lasciando aperta una valvola <strong>di</strong> reciproca interferenza. “La musica strumentale si<br />
sarebbe così modellata su una cosa <strong>di</strong>versa dalla voce umana; anche nel caso <strong>di</strong> una ipotetica afasia<br />
originaria il corpo umano ha potuto conoscere i ru<strong>di</strong>menti della musica guidato dai suoi primi movimenti<br />
<strong>di</strong> danza e <strong>di</strong> lavoro” [9] . La musica strumentale nelle sue forme primitive è sempre danza, presuppone<br />
cioè il coinvolgimento originario del corpo, più precisamente del corpo in movimento. Essa ha sempre<br />
un’origine cinetica. L’uomo batte il suolo con i pie<strong>di</strong> e le mani, percuote il proprio corpo con le mani, agita<br />
il corpo per animare gli ornamenti sonori che porta addosso. Battere, percuotere, agitare hanno una forte<br />
42
componente gestuale che risiede in regioni corporee <strong>di</strong>fferentemente localizzate: obiettivo <strong>di</strong> Schaeffner è<br />
anche quello <strong>di</strong> sfuggire ad una teoria che proponga come fondamento della musica una “azione<br />
restrittiva delle mani, dei pie<strong>di</strong>, o <strong>di</strong> qualsiasi altra parte del corpo umano” [10] e che reifichi il ruolo <strong>di</strong> tali<br />
appen<strong>di</strong>ci, rischiando <strong>di</strong> cadere nella “tesi inversa <strong>di</strong> un’origine manuale <strong>di</strong> tutti gli strumenti” [11] , insi<strong>di</strong>osa<br />
tanto quanto l’ipotesi imitativa. Una conseguenza <strong>di</strong> questa chiara impostazione è l’inquadramento dei<br />
fenomeni vocali nel panorama gestuale <strong>di</strong> quei movimenti corporei con una qualche valenza espressiva:<br />
l’urlo e canto, i rumori gutturali, il respiro cadenzato hanno tutti una matrice nel desiderio comunicativo,<br />
pur venendo poi a ricoprire in ambito sacro e religioso una importante funzione evocativa e simbolica <strong>di</strong><br />
tipo rituale. A questo proposito Schaeffner squaderna una vasta fenomenologia <strong>di</strong> espressioni vocali a<br />
testimonianza dell’innata elasticità dell’apparato vocale, capace <strong>di</strong> un’infinità <strong>di</strong> timbri, <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />
risonanze ed effetti: accanto alla voce nasalizzata o a quella <strong>di</strong> testa, ai bassi profon<strong>di</strong> o ai registri<br />
sovracuti, il mezzo vocale annette al suo ambito canoro “suoni a bocca chiusa, singhiozzi, ansiti,<br />
chiocciolii, squittii, sibilii, strane grida” [12] . La <strong>di</strong>mensione del vocale si apre ad una nuova interrogazione<br />
della sua materia sonora, che la rende strumentale: questa commistione <strong>di</strong> vocale e strumentale si gioca<br />
sul terreno comune che i due ambiti lasciano sempre <strong>di</strong>sponibile per una possibile comunicazione e<br />
deformazione. L’indagine dell’etnomusicologo mira al chiarimento <strong>di</strong> come la voce persegua “un certo fine<br />
strumentale” [13] : in questo slittamento del vocale verso lo strumentale si riconosce un’ab<strong>di</strong>cazione, un<br />
ce<strong>di</strong>mento della funzione linguistica a quella espressivo-musicale che inaugura la progressiva<br />
configurazione del corpo come oggetto sonoro. Un esempio particolarmente eloquente della comparsa<br />
dello strumento-corpo è il percuotimento della gola con la mano; Schaeffner riporta la testimonianza <strong>di</strong><br />
alcune pratiche vocali del Turkestan in cui “la mano destra, con dei piccoli colpi sul pomo d’Adamo,<br />
produce un vibrato artificiale dai tratti patetici” [14] . Questo tipo <strong>di</strong> manifestazione musicale chiarisce come<br />
un intervento e una manipolazione del corpo secondo un fine sonoro aprono la strada alla considerazione<br />
strumentale della voce e del corpo intero: il canto si presta ad altri effetti sonori e lo fa convertendo i<br />
suoni vocali alle forme della percussione. Sotto questo impulso l’uomo si trova a forzare le capacità<br />
espressive del proprio corpo e ad allargare i suoi margini strumentali, approfondendo le possibilità<br />
musicali <strong>di</strong> varie regioni corporee. Schaeffner trova per esempio nel fischio, che propone un ine<strong>di</strong>to uso<br />
della lingua e delle sue proprietà sonore, un’autentica materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />
È a questo punto della trattazione che l’etnomusicologo propone la sua originale teoria del risuonatore:<br />
è la cavità che dà al suono vocale un timbro tipicamente strumentale, cioè è la decisone <strong>di</strong> usare il corpo,<br />
in virtù della sua natura concava, come strumento per l’amplificazione che lo avvicina ad un principio <strong>di</strong><br />
tipo strumentale. “ Ora, logicamente, dovremo capovolgere i ruoli e considerare la bocca non più nel suo<br />
legame con l’apparato vocale, ma nelle sue possibilità <strong>di</strong> rafforzare i suoni che vibrano all’interno della<br />
sua cavità naturale […] Da questo momento essa non ‘parla’ o parla appena” [15] . La considerazione del<br />
corpo come una naturale cassa <strong>di</strong> risonanza lo inserisce in una gioco con la materia sonora che impone <strong>di</strong><br />
interrogarlo nelle sue potenzialità sonore e musicali: si percuote la cassa toracica dentro la quale si odono<br />
risuonare i colpi, si percuotono i bicipiti, i gomiti piegati, le ascelle, il ventre, si battono i pie<strong>di</strong> a terra, le<br />
mani una contro l’altra e si schioccano le <strong>di</strong>ta. Tutta questa gestualità sonora confluisce e trova un’unità,<br />
anche simbolica, nell’immagine del tamburo umano che compare nel testo Schaeffner: è nella forza <strong>di</strong><br />
questo simbolo che sta il senso dell’esperienza musicale corporea: il corpo, “il primo luogo <strong>di</strong> una<br />
musicalità che nasce dal desiderio d’espressione” [16] , è un tamburo, una pelle tesa sopra una caverna<br />
che risuona, capace <strong>di</strong> emissioni musicali se sollecitato adeguatamente.<br />
Un’ulteriore evoluzione nella costruzione del corpo sonoro è rappresentata dal coinvolgimento nel gioco<br />
43
sonoro <strong>di</strong> elementi esterni al corpo, in modo che non siano solo le sue parti a risuonare: dal<br />
percuotimento dell’acqua con le mani o del suolo con i pie<strong>di</strong> si passa all’applicazione <strong>di</strong> ornamenti sonori<br />
che accompagnano la kinesis corporea e la arricchiscono <strong>di</strong> sfumature timbriche e ritmiche. Qui la musica<br />
si <strong>di</strong>rige verticalmente verso l’essenza cinetica del musicale: “Ora, che questi strumenti vengano applicati<br />
alle gambe, alla cintura o alle braccia, il problema resta sempre lo stesso: dal movimento generale o dai<br />
movimenti parziali del corpo, abilmente guidati, e non più dalla percussione, risulta un rumoreggiare<br />
continuo, ornamento sonoro della danza. <strong>Il</strong> corpo, così, si copre <strong>di</strong> musica” [17] . Si tratta allora <strong>di</strong> rivelare<br />
lo spessore filosofico <strong>di</strong> tali conclusioni e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care quanto può essere fruttuoso per il filosofo la<br />
considerazione attenta <strong>di</strong> questo materiale antropologico. <strong>Il</strong> calpestio del suolo è certamente il modo più<br />
primitivo <strong>di</strong> produrre un rumore e riporta alle origini della musica come danza: questo risalimento<br />
originario rivela però anche una profonda “istanza metafisica: la musica sembra nascere dal piede che<br />
batte sul terreno, ed in un autore che mostra un così grande interesse per la musica del novecento come<br />
l’etnomusicologo francese, questo <strong>di</strong>scorso nasconde forse una riflessione sull’essenza del musicale come<br />
struttura ritmica e danzante” [18] . <strong>Il</strong> movimento del corpo induce il gesto verso una sonorità e la musica<br />
che ne scaturisce è qualcosa che aderisce completamente al corpo: nell’ambito della musica corporale si<br />
introduce una gestualità interamente motivata dal suono. Da ciò si deduce che “ la musica ha chiesto<br />
all’uomo <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire con la danza uno dei suoi strumenti, non il più mobile […] ma il più affascinante per il<br />
suo gioco concreto e libero.” [19] <strong>Il</strong> corpo del danzatore è uno strumento musicale autonomo, un sonaglio<br />
vivente che scarica il suo ritmo in complessi agglomerati sonori attraverso una gestualità ine<strong>di</strong>ta: i gesti<br />
del corpo <strong>di</strong>ventano intimamente musicali e capaci <strong>di</strong> trasformare ogni movimento e agitazione in un fine<br />
sonoro. Ogni impulso gestuale ricerca un “contatto sonoro” [20] con le mani, i pie<strong>di</strong> o qualsiasi altro<br />
oggetto per poterne trarre dei suoni: dove c’è gesto c’è manifestazione sonora.<br />
<strong>Il</strong> ruolo fondamentale sostenuto dalle forme cave appare trasversalmente in tutte le famiglie <strong>di</strong> strumenti<br />
e ad ogni grado della loro evoluzione, a partire dai sonagli dove funge da recipiente o da semplice cavità<br />
vuota, fino ai tubi sonori riempiti <strong>di</strong> semi o nella quale si sospinge una colonna d’aria attraverso il soffio.<br />
L’utilizzazione delle cavità naturali e delle cavità artificiali rappresenta una rivelazione eclatante per<br />
l’organologia: se prima era evidente che l’urto <strong>di</strong> due oggetti pieni, come potevano essere il piede ed il<br />
suolo, poteva produrre un suono o una rumore, ora, con l’interesse rivolto verso le potenzialità della<br />
superficie concava, l’esplorazione sonora consisterà nel mettere in vibrazione una parete sottile incavata<br />
o l’aria presente in essa. Già nelle forme <strong>di</strong> musica corporale più originarie si inizia ad intravedere<br />
un’inconsapevole ed istintivo impiego delle “risorse sonore <strong>di</strong> ogni cavità più o meno chiusa: utilizzazione<br />
della bocca come risuonatore; percuotimento della gola o del petto; battuta delle mani <strong>di</strong>sposte a coppa;<br />
impiego musicale dello scudo o <strong>di</strong> una superficie similare, sia cantando davanti alla sua faccia concava,<br />
sia percuotendo la convessa […]; calpestio <strong>di</strong> un suolo sospeso, o <strong>di</strong> una parete che più o meno ricopre<br />
una fossa <strong>di</strong> risonanza.[…] In modo confuso e con <strong>di</strong>verso significato, questi esempi mostrano fin dalle<br />
forme più semplici <strong>di</strong> musica strumentale il senso infallibile che ha portato l’uomo primitivo a cogliere, e a<br />
mettere a frutto il valore sonoro <strong>di</strong> ogni parte cava. Sembra che le più piccole cavità scoperte in natura o<br />
prodotte dall’ingegnosità umana siano state, senza eccezione, incamerate nella musica.” [21] La cavità<br />
appare in queste prime descrizioni come una parete che racchiude e che ha universalmente,<br />
prescindendo dai vari mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vibrazione, percussione, scuotimento, insufflazione, la funzione <strong>di</strong><br />
risuonatore, <strong>di</strong> amplificare cioè la vibrazione del corpo sonoro. In ultima istanza si potrebbe ipotizzare che<br />
la cavità risponda al bisogno <strong>di</strong> rafforzare un processo sonoro ancora allo stato elementare. Corpo sonoro<br />
e risuonatore, che spesso intrattengono un rapporto <strong>di</strong> sovrapposizione, sono infatti inter<strong>di</strong>pendenti:<br />
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l’amplificazione è ottenuta dal corpo vibrante e viceversa il corpo vibrante comunica sempre con il suo<br />
risuonatore, ottenendo così un rafforzamento della sua sonorità. Attraversando questa riflessione sulla<br />
cavità ci accorgiamo, ancora una volta, che uno dei motivi più ricorrenti è la comparsa del corpo umano<br />
come <strong>di</strong>spositivo o supporto della produzione sonora: emblematico <strong>di</strong> questo luogo comune della<br />
risonanza è lo scacciapensieri, uno strumento ru<strong>di</strong>mentale che corrisponde al principio <strong>di</strong> far vibrare una<br />
lamina <strong>di</strong> ferro entro una cavità, in particolare quella orale, e che, comparendo in tra<strong>di</strong>zioni musicali<br />
profondamente <strong>di</strong>stanti, ripropone quelle universalia organologiche a cui accennavamo e giustifica “una<br />
interpretazione poligenetica e strutturale del fenomeno” [22] . L’antica intuizione che sta alla base dello<br />
scacciapensieri è quella <strong>di</strong> pizzicare una lamella metallica posizionando lo strumento davanti alle labbra<br />
socchiuse, in modo che la bocca formi una cavità <strong>di</strong> risonanza: il corpo si atteggia ad una funzione<br />
strumentale poiché accoglie una vibrazione e, costituendosi come risuonatore, offre la possibilità <strong>di</strong><br />
rafforzare i suoni che vibrano al suo interno. Anche questo esempio contribuisce a riba<strong>di</strong>re “l’importanza<br />
universale del risuonatore. Siamo propensi a credere che si collochi, assieme ai gesti corporali, all’origine<br />
<strong>di</strong> tutta la musica strumentale. […] Un buco in terra, una bocca socchiusa e l’uomo pensò <strong>di</strong> utilizzarne le<br />
qualità sonore battendo, pizzicando, grattando qualche oggetto postovi davanti” [23]<br />
L’idea <strong>di</strong> un’organologia musicale che ha fondamento nelle importanti potenzialità sonore della concavità<br />
e della convessità del corpo umano anticipa alcuni spunti riflessivi presenti, seppur ancora in potenza,<br />
nell’ultima fase della riflessione <strong>di</strong> Merleau-Ponty. Si tratta del pensiero del creux [cavità], un’istanza<br />
teorica che il filosofo intendeva sviluppare in seno al problema della soggettività e che avrebbe segnato<br />
l’avvenuta archiviazione del soggetto autocoscienziale. È prorio l’idea fondamentale della cavità che, nella<br />
complessità dei suoi riman<strong>di</strong> e delle sue implicazioni, sta alla base dei due percorsi, ciò che ci permette <strong>di</strong><br />
tessere delle fini relazioni <strong>di</strong> vicinanza tra l’etnomusicologo ed il filosofo. Entrambe le riflessioni vanno<br />
infatti nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un ripensamento del soggetto e del ruolo del corpo: il primo, l’etnomusicologo,<br />
nell’ambito dell’organologia musicale e il secondo, il filosofo, su un terreno ontologico più ampio e<br />
generale.<br />
L’idea del creux merleau-pontiano è contenuta nelle Note <strong>di</strong> lavoro de <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, degli appunti<br />
tracciati dall’autore in modo non sistematico e con l’intento <strong>di</strong> figurarsi lo sviluppo futuro del lavoro. <strong>Il</strong><br />
pensiero del creux è uno <strong>di</strong> quei centri tematici che, relegato ad un destino <strong>di</strong> non sviluppo, lascia delle<br />
tracce in <strong>di</strong>versi passaggi <strong>di</strong> questi appunti: esso lascia presagire un terreno <strong>di</strong> riflessione estremamente<br />
fecondo che avrebbe forse portato a compimento il senso profondo dell’impresa filosofica che stava alla<br />
base <strong>di</strong> un’opera cruciale come <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile. “Nelle pagine che ci rimangono, e nelle note <strong>di</strong><br />
lavoro che le accompagnano, <strong>di</strong>viene manifesta l’intenzione <strong>di</strong> riprendere le vecchie analisi sulla cosa, sul<br />
corpo, sulla relazione fra il vedente e il visibile, per <strong>di</strong>ssipare la loro ambiguità, e per mostrare che esse<br />
acquistano il loro senso solo al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> un’interpretazione psicologica, collegate a una nuova ontologia.<br />
Soltanto quest’ultima può adesso fondarne la legittimità, così come soltanto essa permetterà collegare le<br />
critiche rivolte alla filosofia riflessiva, alla <strong>di</strong>alettica e alla fenomenologia – critiche sino ad ora <strong>di</strong>sperse e<br />
apparentemente tributarie <strong>di</strong> descrizioni empiriche - , svelando l’impossibilità ormai <strong>di</strong> mantenere il punto<br />
<strong>di</strong> vista della coscienza” [24] . La nozione <strong>di</strong> creux si pone proprio in questo terreno <strong>di</strong> ripensamento<br />
dell’ontologia e <strong>di</strong> svelamento delle ingenuità della prospettiva metafisica: essa, sublimando l’Essente e<br />
considerandolo come un’identità piena e positiva dal carattere assoluto, oscura la <strong>di</strong>mensione dell’essere<br />
carnale che offre il vero rapporto con l’Essere. <strong>Il</strong> nuovo concetto merleau-pontiano si fa invece portatore<br />
del negativo e attraverso esso tenta <strong>di</strong> istallarlo in quell’orizzonte <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza tra attività e passività,<br />
45
per smascherare la presunzione <strong>di</strong> una soggettività in senso assoluto. Già in alcune pagine della<br />
Fenomenologia della percezione, il filosofo rendeva chiara un’esigenza <strong>di</strong> questo tipo: “Abbiamo<br />
l’esperienza <strong>di</strong> un Io, non nel senso <strong>di</strong> una soggettività assoluta, in<strong>di</strong>visibilmente <strong>di</strong>sfatto e rifatto dal<br />
fluire del tempo. L’unità del soggetto o quella dell’oggetto non è una unità reale, ma un’unità presuntiva<br />
all’orizzonte dell’esperienza, ed è necessario ritrovare, al <strong>di</strong> qua dell’idea del soggetto e dell’idea<br />
dell’oggetto, il fatto della mia soggettività e l’oggetto allo stato nascente, il sostrato primor<strong>di</strong>ale dal quale<br />
nascono sia le idee che le cose” [25] . È però l’impostazione che Merleau-Ponty dà alla teoria dell’ideazione<br />
che rende decisivo l’adozione <strong>di</strong> un nuovo concetto <strong>di</strong> soggettività: “La genesi dell’idea consisterebbe<br />
allora in un accoglierla che a sua volta configura la soggettività come ‘cavità [creux]’ nella quale l’idea<br />
avviene, così come, per parte sua, la melo<strong>di</strong>a si canta. Occorre però precisare subito che quella cavità<br />
non risulta mero ricettacolo dell’idea, ma fa anzi tutt’uno con il sua avvento: ‘attività e passività<br />
accoppiate’” [26] Lo smantellamento del soggetto assoluto e autoriflessivo passa attraverso il<br />
riconoscimento della “passività della nostra attività”, proprio perché il pensare non è “un’attività<br />
dell’anima, né una produzione <strong>di</strong> pensieri al plurale, e io non sono nemmeno l’autore <strong>di</strong> quella cavità che<br />
si forma in me per il passaggio del presente alla ritenzione, non sono io a farmi pensare più <strong>di</strong> quanto sia<br />
io a far battere il mio cuore” [27] . La cavità, cioè la soggettività che ha svelato il suo lato passivo, è<br />
creatrice <strong>di</strong> idee: in essa l’idea avviene “perché vi viene passivamente – cioè in modo fungente –<br />
creata.” [28] Merleau-Ponty osserva che la cavità istituisce un “negativo fecondo” [29] nella carne: dove il<br />
cavo si contrappone al pieno, il negativo si contrappone al positivo. L’idea <strong>di</strong> una soggettività così<br />
configurata permette allora <strong>di</strong> realizzare che “ né io né l’altro siamo dati come positivi, come soggettività<br />
positive. Si tratta <strong>di</strong> due antri, <strong>di</strong> due aperture, <strong>di</strong> due scene in cui accadrà qualcosa, - e che<br />
appartengono entrambi allo stesso mondo, alla scena dell’Essere” [30] . <strong>Il</strong> creux appare come una linea <strong>di</strong><br />
confine dove si effettua la conversione io-altro, il punto <strong>di</strong> rivoltamento tra interno ed esterno, quin<strong>di</strong><br />
l’unico vero luogo del negativo: “non c’è identità, né non-identità o non-coincidenza, c’è interno ed<br />
esterno che ruotano l’uno attorno all’altro- <strong>Il</strong> mio nulla ‘centrale’ è come la punta della spirale<br />
stroboscopica, che non si sa dov’è, che è ‘nessuno’” [31] . Con queste premesse Merleau-Ponty imposta il<br />
problema del medesimo e dell’altro per giungere alla conclusione che il medesimo non è che l’altro<br />
dell’altro e l’identità <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza. Tali formulazioni sono possibili a patto che vengano collocate<br />
sullo sfondo del chiasma e della reversibilità, per cui ogni percezione è doppiata da una contro-<br />
percezione; solo questo contesto teorico permette <strong>di</strong> evidenziare la circolarità della percezione e la<br />
conseguente uguaglianza <strong>di</strong> attività e passività. Appare chiaro che il concetto <strong>di</strong> creux è interno<br />
all’orizzonte dalla chair a cui è intimamente connesso per il fatto che apre ad essa la <strong>di</strong>mensione del<br />
negativo. <strong>Il</strong> filosofo spiega questo ruolo della soggettività attraverso una riflessione sulla percezione: “La<br />
carne del mondo è qualcosa <strong>di</strong> Essere-visto, i.e. è un essere che è eminentemente percipi, e grazie a essa<br />
si può comprendere il percipere […] in fin dei conti tutto ciò è possibile significa qualcosa solo perché c’è<br />
L’Essere, ma non l’Essere in sé, identico a sé, nella notte, ma l’Essere che contiene anche la sua<br />
negazione” [32] . È con questo prototipo <strong>di</strong> essere che si misura Merleau-Ponty: siamo partiti dalla<br />
<strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Lefort che vedeva nelle pagine de <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile un tentativo <strong>di</strong> sottrarsi al punto<br />
<strong>di</strong> vista coscienzialistico e alla sua ingenuità (“cecità della coscienza”). Ecco l’opportunità <strong>di</strong> concepire la<br />
soggettività come creux, un concetto capace <strong>di</strong> dare ragione del negativo dell’essere e sottrarlo alle<br />
falsificazioni “positiviste”: mondo e anima non si danno come due sostanze positive tra cui si istituisce un<br />
parallelismo ma si organizzano nell’apertura della Weltichkeit. <strong>Il</strong> loro legame “è da comprendere come il<br />
legame del convesso e del concavo, della volta solida e della cavità che essa forma […]. L’anima, il per<br />
46
sé, è una cavità e non un vuoto, non non-essere assoluto in rapporto a un Essere che sarebbe pienezza e<br />
nucleo compatto.” [33] . Abbiamo notato come la cavità contribuisce all’introduzione “negativo fecondo”<br />
nella filosofia merleau-pontiana. In una nota precedente a quella sopra citata, Merleau-Ponty respinge la<br />
formulazione sartriana per cui il nulla (non-essere) debba esser concepito come un buco [hole]. <strong>Il</strong><br />
negativismo <strong>di</strong> Sartre è inaccettabile proprio perché, nella prospettiva avviata dalla nozione <strong>di</strong> chair, il<br />
nulla è sempre un altrove [34] : questo altrove corrisponde alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo orizzonte <strong>di</strong> senso che<br />
non è nella forma della negazione assoluta ma che consiste nel taglio <strong>di</strong> una “altra <strong>di</strong>mensionalità” [35] , <strong>di</strong><br />
un profondo che si scava <strong>di</strong>etro il positivo ma che resta “racchiuso nell’Essere come <strong>di</strong>mensionalità<br />
universale” [36] . Le teorie sartriane escludo l’esistenza <strong>di</strong> un profondo come sdoppiamento dell’essere,<br />
come il suo rovescio, poiché istituiscono un nulla che è abisso assoluto dove non si da profon<strong>di</strong>tà proprio<br />
perché non c’è fondo. In Merleau-Ponty invece “il problema della negatività è il problema della<br />
profon<strong>di</strong>tà” [37] : la cavità del soggetto è questo spazio accogliente in cui si accomoda l’Essere e dove<br />
trova la sua risonanza. Ricaviamo allora da questa suggestione musicale un’identità <strong>di</strong> tipo relazionale<br />
che si scopre sulla scena intersoggettiva: è nell’intersoggettivo, nella <strong>di</strong>fferenza, che si scopre il<br />
soggettivo. La scoperta dell’identità si gioca tutta in un contesto <strong>di</strong> relazioni e non <strong>di</strong> categorie.<br />
L’in<strong>di</strong>vidualità nasce con l’atto espressivo e da esso viene gettata nel mondo laddove il sonoro rivela<br />
un’unicità volitiva che si comunica. La soggettività si costituisce come un polo <strong>di</strong> mondo al quale è<br />
profondamente integrata e la comparsa <strong>di</strong> tale polo è una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> emersione dal presoggettivo. È<br />
qui che il concetto statuario <strong>di</strong> soggetto entra in crisi perché viene inserito in un orizzonte gestuale dove il<br />
mondo è un suo correlato inseparabile ed il corpo il garante e l’attivatore <strong>di</strong> questa correlazione<br />
ineliminabile: in questo contesto l’identità non è più derivabile dall’autoaffezione e dall’autocoscienza. <strong>Il</strong><br />
soggetto cartesiano dai tratti fortemente narcisistici che si pensa e pensa il suo pensiero aveva la<br />
presunzione <strong>di</strong> ricavare la sua esclusività da una razionale considerazione <strong>di</strong> se stesso. È un soggetto<br />
tondo su cui scivola la sua autoriflessione. <strong>Il</strong> creux merleau-pontiano invece ci suggerisce un’idea <strong>di</strong><br />
soggetto alternativa: il cavo permette soltanto una risonanza, una produzione sonora canalizzata verso<br />
l’altrove. Sono necessari dei nuovi <strong>di</strong>spositivi che assicurino identità, legati a una nozione <strong>di</strong> unicità<br />
corporea ottenuta dalla <strong>di</strong>fferenza. <strong>Il</strong> corpo è infatti al primo posto nella determinazione della <strong>di</strong>fferenza e<br />
nella voce esso si esprime come timbro, la stoffa <strong>di</strong> un respiro e <strong>di</strong> un grido unico.<br />
Giunge finalmente il momento in cui questo simposio fantastico tra pensatori necessita <strong>di</strong> un momento <strong>di</strong><br />
confronto empirico, <strong>di</strong> verifica sul campo. La decisione <strong>di</strong> integrare la riflessione con materiale<br />
extrafilosofico corrisponde in larga parte allo spirito merleau-pontiano <strong>di</strong> considerare l’arte e la letteratura<br />
come intimamente legati alla pratica filosofica: nel mondo dell’arte si replica con strumenti <strong>di</strong>versi<br />
quell’interrogazione del mondo e dell’Essere che trova origine nella <strong>di</strong>mensione filosofica. Ed è<br />
esattamente qui che una voce estremamente autorevole entra in gioco a completare il nostro <strong>di</strong>alogo. Si<br />
tratta del’esperienza musicale <strong>di</strong> Demetrio Stratos (1945-1979), una personalità coraggiosa le cui<br />
sperimentazioni vocali (in lavori come Metrodora del ‘76 o Cantare la voce del ‘78 fino alla collaborazione<br />
con J. Cage) offrono una fine e strepitosa ricerca musicale che lo vedrà trattare la sua voce come un<br />
campo <strong>di</strong> indagine e il suo corpo come un vero e proprio laboratorio per lo stu<strong>di</strong>o delle potenzialità<br />
espressive e delle qualità del mezzo vocale. Contemporaneamente a ricerche nel campo della poesia<br />
fonetica e sperimentale, Stratos aveva iniziato da molto tempo un percorso mirato a liberare la voce da<br />
qualsiasi <strong>di</strong>pendenza dalle tecniche sterilizzanti del canto occidentale così da restituirle uno spessore<br />
adeguato. La straor<strong>di</strong>naria malleabilità del mezzo a sua <strong>di</strong>sposizione gli permise <strong>di</strong> adottarlo come luogo<br />
privilegiato <strong>di</strong> sperimentazione così da incrinare tutti quei registri che avevano archiviato la voce in<br />
47
stilemi tecnici ed espressivi castranti. <strong>Il</strong> primo passo verso un ine<strong>di</strong>to uso della voce fu quello <strong>di</strong><br />
considerare le corde vocali come strumenti musicali: “Oggi si parla dello strumento voce come <strong>di</strong> uno<br />
strumento <strong>di</strong>fficile da suonare ma contrariamente a qualsiasi altro strumento che può essere riposto dopo<br />
l’uso, la voce non si separa mai dal suo proprietario e quin<strong>di</strong> è qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> uno strumento.<br />
L’ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai <strong>di</strong>versi aspetti della<br />
vocalità, isolandolo nel recinto <strong>di</strong> determinate strutture linguistiche.” [38] In queste poche righe si prefigura<br />
quella che Stratos concepisce come una vera e propria liberazione della voce dagli automatismi della<br />
comunicazione quoti<strong>di</strong>ana, che l’hanno a lungo andare sterilizzata e confinata in una insignificante<br />
neutralità. Inaugurare una “nuova vocalità” significa allora ridare fecon<strong>di</strong>tà allo strumento voce e alla sua<br />
musica, riabilitare cioè una vocalità piena, in grado <strong>di</strong> dare spazio ad una completa espressività corporea.<br />
L’effetto sconcertante che provoca la musica vocale <strong>di</strong> Stratos ad un primo ascolto è forse imputabile<br />
proprio a questa nostra estraneità ad una vocalità così energica, dove insieme all’u<strong>di</strong>bile viene<br />
musicalmente riattivato anche l’inu<strong>di</strong>bile: “<strong>di</strong> solito quando una persona parla non sentiamo i suoi respiri,<br />
ma questi sono la parte più importante della voce” [39] . Lo spazio musicale si apre volontariamente ad una<br />
massiccia componente rumoristica, condensa suono e rumore in un unico corpus espressivo, dove il flatus<br />
vocis continua a svolgere un ruolo decisivo. “La voce <strong>di</strong> Stratos agisce nella prospettiva del rumore” [40] :<br />
questo è vero nel momento in cui il grande rumorismo dell’emissione vocale va nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un<br />
recupero <strong>di</strong> quelle caratteristiche istintive della voce, delle sue inflessioni grezze e selvagge, della sua<br />
natura materica e somatica, tutti elementi soffocati nell’interazione quoti<strong>di</strong>ana o nella voce musicalmente<br />
conformata. Quello che risulta è un’espressività che lascia spazio ad ampi agglomerati <strong>di</strong> suoni spuri ed<br />
erotizzanti (grida, gemiti, suoni gutturali), a tutti quei suoni non <strong>di</strong>screti del corpo sonoro: il pharmakon<br />
musicale libera la voce e con essa libera anche il corpo. <strong>Il</strong> desiderio <strong>di</strong> rivitalizzare la vocalità si completa<br />
con la conseguente esigenza <strong>di</strong> intervenire anche sulla pratica dell’ascolto musicale: “Se una nuova<br />
vocalità può esistere, deve essere vissuta da tutti e non da uno solo: un tentativo <strong>di</strong> liberarsi dalla<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ascoltatore e spettatore a cui la cultura e la politica si hanno abituato. Questo lavoro non va<br />
assunto come un ascolto da subire passivamente” [41] . Stratos ha in mente una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ascolto<br />
patico, partecipativo e creativo, quasi rituale, in cui la <strong>di</strong>stanza tra ascoltatore ed esecutore è stata<br />
abbattuta in favore <strong>di</strong> una “flui<strong>di</strong>ficazione del soggetto” [42] : l’esperienza musicale non ha più un carattere<br />
lirico ma si è completamente estraniata dalla logica della rappresentazione e quello che prima veniva<br />
in<strong>di</strong>cato come soggetto scorre ora in un’intima comunicazione e correlazione <strong>di</strong> corpi. La rivoluzione della<br />
tecnica vocale operata da Stratos conduce alla <strong>di</strong>ssimulazione del carattere convenzionale delle pretese<br />
tessiture naturali della voce umana arrivando a superarle e cambiarne il timbro. <strong>Il</strong> risalimento a tecniche<br />
complesse quali <strong>di</strong>fonie, triplofonie, quadrifonie dalle armoniche chiare e dense permette infatti a Stratos<br />
<strong>di</strong> rimuovere in un solo colpo l’arida mono<strong>di</strong>a vocale e <strong>di</strong> aprire la via a delle vere e proprie<br />
microorchestazioni, in cui si scorgono continue variazioni <strong>di</strong> timbro ed una finissima polifonia. <strong>Il</strong> lavoro<br />
sull’uso della voce che si incontra in opere come Metrodora, primo <strong>di</strong>sco solista <strong>di</strong> Stratos del 1976, e nel<br />
già citato Cantare la voce si configura come un’analisi sperimentale delle qualità espressive dello<br />
strumento vocale attraverso la sua scomposizione strutturale ma anche dei suoi portati psicoanalitici ed<br />
etnomusicologici. Le acrobazie tecniche interne alla <strong>di</strong>plofonia mongola, pratica vocale <strong>di</strong> cui Stratos si<br />
serve in questi lavori, non sono una pura esibizione virtuosistica ma rientrano in un progetto <strong>di</strong><br />
comprensione profonda <strong>di</strong> questo strumento attraente e pericoloso. “La complessità <strong>di</strong> questo lavoro è<br />
capire l’interiorità delle proprie espressioni vocali. È un lavoro <strong>di</strong> curiosità interiore.” [43]<br />
La tecnica <strong>di</strong>plofonica mongola [44] (che nei lavori <strong>di</strong> Stratos non si incontra nelle sua forma originaria<br />
48
quanto piuttosto mo<strong>di</strong>ficata e integrata) propone un tipo <strong>di</strong> vocalità fisicamente molto impegnativa<br />
proprio perché richiede un coinvolgimento globale <strong>di</strong> tutto l’apparato fonatorio: la tecnica addominale, il<br />
movimento della lingua, l’atteggiamento della labbra e dei denti, l’intervento della laringe che strozza le<br />
vocali devono essere gestiti in modo tale che, all’emissione della nota fondamentale (bordone)<br />
corrisponda la possibilità <strong>di</strong> lavorare sui suoi armonici e sulle loro combinazioni melo<strong>di</strong>che. <strong>Il</strong> respiro viene<br />
spinto alternativamente in una serie <strong>di</strong> risuonatori naturali e questo coinvolgimento nell’emissione vocale<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti agenti fonatori (nasale, labiale, palatale, della glottide o della cavità toracica) permette una<br />
<strong>di</strong>fferenziazione timbrica locale in base al risuonatore impiegato. Tale tecnica <strong>di</strong> emissione che fa ricorso a<br />
molti luoghi <strong>di</strong> risonanza propone un campionario <strong>di</strong> possibilità espressive estremamente <strong>di</strong>verse tra loro<br />
e profondamente legate al luogo <strong>di</strong> formazione della voce stessa. La pratica <strong>di</strong>plofonica permette alla<br />
voce <strong>di</strong> essere sviscerata nelle sue enormi potenzialità sonore e strutturali: il suono circola nelle parti<br />
vuote del corpo seguendo un percorso metamorfico e viene scomposto nelle sue componenti armoniche<br />
per poi essere in qualche modo ricomposto sulla struttura fondamentale del bordone. Nota fondamentale<br />
e suoni concomitanti sono espressione cangiante della medesima entità sonora: gli armonici trascolorano<br />
l’uno nell’altro ma in un unico orizzonte sonoro dove la nota fondamentale viene adombrata dai suoni<br />
secondari, producendo un effetto <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong> contrasto ed integrazione. <strong>Il</strong> bordone e le sue filiazioni<br />
armoniche vengono a formare un corpo sonoro massiccio anche se internamente stratificato e sincretico:<br />
la fondamentale infatti, si mantiene sempre su un fondale percettivo che agisce mascherato sotto una<br />
potente armonia contingente, garantendo così l’identità della voce a se stessa. La flui<strong>di</strong>tà del reciproco<br />
trapassamento dei suoni nell’ambito del metamorfismo materico della voce <strong>di</strong>plofonica richiama quella<br />
che viene definita aquaticità del suono e comporta frequenti passaggi dal suono musicale più o meno<br />
<strong>di</strong>screto al rumore. L’esecuzione polifonica <strong>di</strong> motivi e frammenti <strong>di</strong> essi, le <strong>di</strong>plofonie, triplofonie o<br />
quadrifonie <strong>di</strong> armonici, la commistione tra rumore e suoni puri, la sovrapposizione e l’interazione <strong>di</strong> un<br />
bordone e <strong>di</strong> una voce <strong>di</strong> superficie realizzano una multifonia molto fitta. Le relazioni tra gli elementi ed il<br />
gioco motivico tra i vari strati del flusso vocale (un’arte della variazione per cui l’identico non ritorna mai)<br />
confluiscono tutti in una simultaneità densa e destabilizzante che “fa esplodere il tempo della voce,<br />
spazializzandola e conferendole un volume quasi labirintico” [45] . <strong>Il</strong> risultato non è una scansione<br />
temporale lineare o circolare ma un tempo rituale condensato. L’ascolto dei lavori <strong>di</strong> Stratos sull’uso della<br />
voce è un’inquietante alternarsi <strong>di</strong> gorgoglii criptici, quasi fossero il ribollire <strong>di</strong> un corpo profondo ed<br />
umido. Proprio per questo una tale esperienza musicale riesce a comunicare con estrema limpidezza<br />
l’origine corporea della voce, cioè la sua provenienza calda, organica e salivare. Tra i gorgogli gutturali in<br />
cui il fiato sembra fuoriuscire come fosse spinto e forzato dentro cunicoli del cavo faringeo, <strong>di</strong>etro lo<br />
strozzamento e la compressone della materia sonora che produce sibilii e fischi, si riesce a percepire una<br />
carne vibrante ed una cavità carnosa tesa sopra un vuoto carico <strong>di</strong> fiato. <strong>Il</strong> flusso corporeo della voce<br />
viene interrotto e alimentato dal respiro che, oscillando e ritirandosi, irrompe nell’esecuzione come<br />
scansione ritmica e temporale. <strong>Il</strong> corpo trova voce e prende voce, la carne si esprime come presenza<br />
massiccia. La funzione semiologia della voce è qui chiara nella sua natura <strong>di</strong> rinvio segnico ad un corpo.<br />
La circolazione del suono vocale nelle cavità corporee produce una tensione della voce stessa che,<br />
sempre protesa verso un nuovo spostamento e una nuova mutazione timbrica, oscilla tra l’espansione e<br />
lo sprofondamento del suo spazio <strong>di</strong> esistenza. Sotto la pressione del respiro, sospinto verso le pareti<br />
cavernose dell’apparato fonatorio, si percepisce la fatica <strong>di</strong> un corpo forzato al limite delle sue possibilità<br />
espressive, <strong>di</strong>rei che quasi si sente il corpo: la carne sembra sull’orlo dello sfibramento e della<br />
<strong>di</strong>latazione. In queste deformazioni della tessitura naturale e del consueto uso dello strumento voce ci si<br />
49
accorge della sua inespressa potenza: essa, entità immateriale invisibile, fantasma sonoro riesce a<br />
sottomettere il corpo massiccio. La componente eminentemente timbrica della pratica vocale <strong>di</strong> Stratos ci<br />
ha permesso <strong>di</strong> osservare come la localizzazione corporea della voce ne influenzi ra<strong>di</strong>calmente la sua<br />
natura: se il gesto vocale, per il suo implicito carattere relazionale, proietta l’emittente verso un “là fuori”<br />
<strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne sociale, è il corpo che garantisce l’identità vocale <strong>di</strong> un “qui dentro”, che si costituisce come il<br />
rimbalzo dell’azione della voce. [46] Nell’ambito <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>namica tra interno ed esterno il momento del<br />
rimbalzo ha una potenza formativa molto forte, soprattutto a livello immaginativo: è il fuori che<br />
costituisce retrospettivamente il dentro. Come la voce prende vita all’esterno, essa inizia ad esistere<br />
anche all’interno. La cavità, spazio <strong>di</strong> esistenza del dentro, possiede un coefficiente assiologico molto<br />
particolare e molto ambiguo: la bocca e tutto l’apparato fonatorio rappresentano, oltre che un’uscita, una<br />
<strong>di</strong>scesa in sé. Questa <strong>di</strong>scesa è accompagnata da una qualità termica, un calore dolce e lento, per nulla<br />
bruciante ed estraneo: esso è il calore dell’intimità. Lo schema <strong>di</strong>scensionale ha inoltre una densità<br />
cromatica tipicamente notturna. La fenomenologia della cavità [47] , che ha inizio dal ventre materno, il<br />
primo cavo ad essere avvalorato positivamente, si lega, attraverso queste caratterizzazioni tipicamente<br />
materne e protettive, alla simbolica dell’intimità. L’isomorfismo tra la bocca ed il ventre chiarisce come la<br />
profon<strong>di</strong>tà del nostro corpo è sempre ed imme<strong>di</strong>atamente intima. <strong>Il</strong> simbolismo del corpo, nel suo<br />
richiamo ad un profondo dentro che si apre al fuori, traduce nell’immaginario un’intimità che si svela. La<br />
voce è un farsi avanti, un venire in presenza o piuttosto “un operare <strong>di</strong> essa un rafforzamento ” [48] sulla<br />
scena intersoggettiva: come tutti i suoni annunciano la cosa materiale <strong>di</strong> cui sono vibrazione e riverbero,<br />
anche la voce richiama ad un’esistenza carnale nell’atto espressivo <strong>di</strong> rivelarsi.<br />
È certo inoltre che alla base della pratica vocale <strong>di</strong> Stratos si trova una questione ancora più originaria del<br />
metamorfismo timbrico, il problema dell’intonazione. Con il termine intonazione ci riferiamo a quell’abito<br />
<strong>di</strong> risposta ad un’istanza volitiva <strong>di</strong> tipo espressivo, a quel gesto che comporta un’uscita da sé, il<br />
superamento del confine dell’interiorità e quin<strong>di</strong> una risonanza. Si tratta in ultima istanza della voce che<br />
cerca espressione, <strong>di</strong> un’intenzionalità che si completa secondo fini sonori. E proprio in questo si<br />
intravede il senso del gesto vocale (e non soltanto ad un livello artistico ma anche internamente ad un<br />
più comune commercio quoti<strong>di</strong>ano): intonare significa modellare la concreta materia vocale, selezionare il<br />
tessuto sonoro e fonico per precisi fini comunicativi e per precise configurazioni <strong>di</strong> senso.<br />
Nell’iperbole musicale <strong>di</strong> Stratos l’intonazione è l’indagine stessa, essa è l’interrogazione forte della<br />
ricchezza articolatoria della voce. La deformazione del materiale sonoro attraverso il respiro corrisponde<br />
infatti ad un preciso progetto espressivo: la gestione e l’intervento sul respiro apre ad una <strong>di</strong>mensione<br />
nuova in cui prolifera materiale sonoro nuovo e variamente sperimentabile. La deformazione costituisce<br />
allora una riserva <strong>di</strong> materiale fonico interrogabile. Ed è proprio con questo materiale che Stratos realizza<br />
una profon<strong>di</strong>ssima riflessione sulla natura del suono: sul suono come materialità, sul suono come entità<br />
che si muove, sulla sua <strong>di</strong>namicità e la sua transitività. In definitiva, sul suono come fenomeno.<br />
50
[1] G. Piana, Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano, 1991, p. 83. [2] A. Schaeffner, Origine des instruments<br />
de musique. Introduction ethnologique à l'histoire de la musique instrumentale, Paris, Payot, 1936, rééd. par Mouton &<br />
Co et Maison des Sciences de l'Homme, 1959, traduzione italiana a cura <strong>di</strong> D. Carpitella, Origine degli strumenti<br />
musicali, Sellerio, Palermo, 1978.<br />
[3] C. Serra, La voce e il riferimento. Una <strong>di</strong>scussione su “À l’écoute” <strong>di</strong> Jean-Luc Nancy, in "De musica", VIII, 2004,<br />
Internet, http://users.unimi.it/~gpiana/demus.htm, p. 14.<br />
[4] D. Carpitella, Introduzione all’e<strong>di</strong>zione italiana <strong>di</strong> A. Schaeffner, Origine degli strumenti musicali, cit., p. 12.<br />
[5] Ibidem.<br />
[6] A. Schaeffner, op. cit., p. 23.<br />
[7] A. Schaeffner, op.cit., p. 25.<br />
[8] Ibidem.<br />
[9] Ibidem, p. 26.<br />
[10] Ibidem.<br />
[11] Ibidem.<br />
[12] Ibidem, p. 27.<br />
[13] Ibidem, p. 28.<br />
[14] Ibidem, p. 33.<br />
[15] Ibidem, pp. 38-39.<br />
[16] C. Serra, op. cit., p. 15.<br />
[17] A. Schaeffner, op. cit. , p. 47.<br />
[18] C. Serra, op.cit., pp. 14-15.<br />
[19] A. Schaeffner, op. cit., p. 49.<br />
[20] Ibidem, p. 50.<br />
[21] Ibidem, p. 60.<br />
[22] D. Carpitella, op.cit., p. 12.<br />
[23] A. Schaeffner, op. cit., p. 161.<br />
[24] C. Lefort, Postilla all’e<strong>di</strong>zione italiana <strong>di</strong> M. Merleau-Ponty, <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, cit., p. 295.<br />
[25] M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris, 1945, tr. it. <strong>di</strong> A. Bonomi, Fenomenologia<br />
della percezione, Bompiani, Milano, 2003, p. 297.<br />
[26] M. Carbone, Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili, Quodlibet, Macerata, 2004, p. 46<br />
[27] M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, texte établi par C. Lefort, Gallimard, Paris, 1964, tr. it. <strong>di</strong> A. Bonomi<br />
riveduta da M. Carbone, <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, nuova e<strong>di</strong>zione italiana a cura <strong>di</strong> M. Carbone, Bompiani, Milano, 1993,<br />
p 235.<br />
[28] M. Carbone, op. cit., p. 46<br />
[29] M. Merleau-Ponty, <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, cit., p. 274.<br />
[30] Ibidem.<br />
[31] Ibidem, p. 275.<br />
[32] Ibidem, p. 262.<br />
[33] Ibidem, pp. 246-247.<br />
[34] Ibidem, p. 212.<br />
[35] Ibidem, p. 249.<br />
[36] Ibidem.<br />
[37] Ibidem.<br />
[38] D. Stratos, <strong>di</strong>chiarazione reperita in http://www.demetriostratos.com/stratofonia.htm.<br />
[39] D. Stratos, Diplofonie ed altro, originariamente apparso in “<strong>Il</strong> piccolo Hans – rivista <strong>di</strong> analisi materialistica”, n. 24,<br />
ottobre-<strong>di</strong>cembre 1976. <strong>Il</strong> testo è stato reperito in J. El Houli, Demetrio Stratos. Alla ricerca della voce musica,<br />
Au<strong>di</strong>torium E<strong>di</strong>zioni, Milano, 1999, p. 25.<br />
[40] J. El Houli, op. cit., p. 95.<br />
[41] Demetrio Stratos, note <strong>di</strong> copertina per Metrodora, Cramps Records, Milano, 1976.<br />
[42] J. El Houli, op. cit., p. 62.<br />
[43] D. Stratos, <strong>di</strong>chiarazione reperita in http://www.demetriostratos.com/stratofonia.htm<br />
[44] Per una più ampia analisi delle tecniche <strong>di</strong>plofoniche mongole cfr. C. Serra, La voce e lo spazio, E<strong>di</strong>zioni Spazio<br />
Temporaneo, Milano, 2005.<br />
[45] D. Charles, Omaggio a Demetrio Stratos, Milano, intervento al Convegno “Cantare la voce”, 29-30 maggio 1989).<br />
[46] La terminologia è presa dal testo <strong>di</strong> C. Sini, La mente e il corpo. Filosofia e psicologia, Jaca Book, Milano 2004, pp.<br />
100-101.<br />
[47] Per una più precisa analisi dei portati immaginativi della cavità, cfr. G. Durand, Le strutture antropologiche<br />
dell’immaginario: introduzione all’archetipologia generale, Dedalo, Bari, 1972.<br />
[48] G. Piana, Riflessioni sul luogo in Id. La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione, Guerini e<br />
Associati, Milano, 1988, p. 266.
5-<strong>Il</strong> canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale a Cosola<br />
<strong>Il</strong> rimpianto per un mondo caratterizzato da durezze e povertà, ma anche da momenti <strong>di</strong><br />
convivialità e socializzazione oggigiorno quasi inconcepibili, si traduce sempre più spesso nella<br />
volontà <strong>di</strong> valorizzarne gli aspetti positivi. Gli abitanti <strong>di</strong> Còsola in alta val Borbera, non<br />
<strong>di</strong>versamente dai loro vicini delle valli confinanti, benché costretti dal corso degli eventi a<br />
vivere e lavorare altrove, hanno conservato un forte legame affettivo per il loro paese, come<br />
pure per quel ricchissimo patrimonio <strong>di</strong> canti che un tempo risuonavano in ogni momento della<br />
giornata: si cantava nell'aperto dei pascoli, accudendo le bestie o sfalciando i campi,<br />
trebbiando il grano o scartocciando il granturco, nel calore delle stalle, tra il fumo dell'osteria<br />
come tra l'incenso della chiesa. E si cantava nei momenti rituali del matrimonio e del<br />
carnevale, quando risuonavano anche le note del piffero. Un tempo il piffero era anche<br />
utilizzato per accompagnare la melo<strong>di</strong>a degli stranôt, canti rituali o narrativi, <strong>di</strong>ffusi in tutte le<br />
valli delle Quattro Province. A Cosola era attivo lo stimato pifferaio Damiano Figiacone che si<br />
<strong>di</strong>stingueva anche come cantore. <strong>Il</strong> canto religioso rappresenta un importante capitolo nella<br />
tra<strong>di</strong>zione canora locale, passata e<br />
presente. Quasi tutti i canterini del paese<br />
sono anche esecutori <strong>di</strong> canti liturgici.<br />
A Cosola, come altrove nelle valli delle<br />
Quattro Province, convivevano il canto a<br />
terze (basato cioè su intervalli <strong>di</strong> terza),<br />
<strong>di</strong>ffuso in varie modalità in tutta l'Italia<br />
settentrionale, e il trallalero ligure, canto<br />
genovese dalla caratteristica<br />
impostazione contrappuntistica. Si ritiene<br />
che questo stile <strong>di</strong> canto sia stato portato<br />
dai primi villeggianti genovesi, anche se determinante potrebbe essere stata la presenza <strong>di</strong><br />
squadre <strong>di</strong> trallalero nella vicina valle Scrivia, e il passaggio dei mulattieri che portavano merci<br />
dal genovesato verso l'entroterra e viceversa. Gli stessi cantori eseguivano entrambi i<br />
repertori, anche se il trallalero era considerato un canto più esclusivo e "professionale", mentre<br />
più libero, conviviale e alla portata <strong>di</strong> tutti era considerato il canto locale.<br />
Nella squadra <strong>di</strong> trallalero, come <strong>di</strong> consueto, si avvicendavano vari canterini, anche se si<br />
possono in<strong>di</strong>care alcuni membri pressoché stabili del gruppo: Ivo Burrone, Sergio Negro,<br />
Biagio Novelli "Biazen", il figlio Luigi Novelli, Cornelio Callegari, Giovanni Negro "Péveri",<br />
Davide Novelli "Dolu". In particolare, il baritono (cuntrubassu) Sergio Negro è stato attivo per<br />
alcuni anni anche nella squadra <strong>di</strong> Grondona ed ha preso parte alle registrazioni effettuate nel<br />
1982 da Mauro Balma per il suo stu<strong>di</strong>o de<strong>di</strong>cato alla polivocalità della montagna pavese [La<br />
polivocalità della montagna pavese / Mauro Balma (( Pavia e il suo territorio -- Silvana : Milano<br />
: 1990].
Sull'onda della ricerca e dell'interesse folkrevivalistico degli anni Sessanta, i canterini cosolani<br />
hanno preso parte nel 1968 alle celebrazioni per l'ottavo centenario della fondazione della città<br />
<strong>di</strong> Alessandria. La prematura scomparsa <strong>di</strong> gran parte dei componenti del gruppo e la parziale<br />
<strong>di</strong>sgregazione del tessuto comunitario hanno purtroppo posto termine all'esperienza <strong>di</strong> una<br />
squadra prestigiosa. <strong>Il</strong> trallalero cosolano resta documentato da sei tracce registrate nel 1958<br />
da Pietro Negro "Pidron", un cosolano immigrato in Argentina, mentre esempi del canto<br />
tra<strong>di</strong>zionale locale sono contenuti in un nastro registrato dal parroco del paese don Romolo<br />
Boccardo, alla vigilia della partecipazione dei canterini alla manifestazione <strong>di</strong> Alessandria,<br />
presso l'Albergo del Ponte: la prima<br />
voce è quella <strong>di</strong> Battista Negro, zio<br />
<strong>di</strong> Giovanna e Romana.<br />
Accanto alla pratica del canto<br />
polivocale esisteva a Cosola un<br />
vastissimo repertorio lirico-<br />
narrativo, spesso su melo<strong>di</strong>e<br />
arcaiche, talvolta in forma <strong>di</strong><br />
stranôt. Si tratta <strong>di</strong> un repertorio<br />
facilmente riconducibile, pur nelle<br />
varianti locali, alla classificazione operata dal Nigra (1828-1907), il <strong>di</strong>plomatico canavesano<br />
che realizzò la prima raccolta sistematica <strong>di</strong> canti popolari piemontesi [Canti popolari del<br />
Piemonte / Costantino Nigra -- Torino : 1974]. Di questi canti erano spesso depositarie le<br />
donne, e a Cosola è rimasta una preziosa documentazione del repertorio <strong>di</strong> Mafalda e Maria<br />
Negro, raccolto intorno alla fine degli anni Settanta dai ricercatori del Centro <strong>di</strong> Cultura<br />
popolare "G. Ferraro" <strong>di</strong> Alessandria. Le due sorelle, dotate <strong>di</strong> una memoria pro<strong>di</strong>giosa, sono<br />
tuttora fonte <strong>di</strong> trasmissione orale per alcuni dei canterini protagonisti <strong>di</strong> questa raccolta.<br />
L'esperienza della monda è unanimemente riconosciuta come una delle principali fonti <strong>di</strong><br />
arricchimento del patrimonio canoro della comunità, e il repertorio lirico-narrativo è per lo più<br />
caratterizzato dall'utilizzo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>aletto che potremmo definire<br />
"letterario", ma sicuramente più vicino ai <strong>di</strong>aletti parlati in Lomellina<br />
e nel Vercellese. Nel repertorio locale entrarono anche i canti della<br />
Grande guerra, ma non sembra ne sia rimasta traccia<br />
considerevole, come pure legati alla contingenza storica sono<br />
rimasti i canti della Resistenza.<br />
Impossibile ricordare in questo spazio limitato tutti i cosolani che si<br />
<strong>di</strong>stinsero nella quoti<strong>di</strong>ana pratica del canto tra<strong>di</strong>zionale. Ci<br />
limitiamo ad un cenno a quei suonatori che furono protagonisti delle<br />
innumerevoli occasioni festive e rituali che animavano la vita del<br />
borgo appenninico, come il bravissimo fisarmonicista Mario Negro, i<br />
fisarmonicisti Luciano Burrone e il figlio Silvano. Anche il clarinettista Giovanni Burrone, detto
"Giuanen dee clarinettu", è ricordato con stima e affetto, sia a Cosola che nei paesi delle vicine<br />
valli.<br />
Alcuni Brani<br />
1: Vieni oi bella<br />
Quando Afro<strong>di</strong>te arriva a Cipro, la terra rinver<strong>di</strong>sce sotto i suoi pie<strong>di</strong>. Al ritorno <strong>di</strong> Persefone<br />
dall'Ade, la terra trema, spuntano fiori e crescono frutti. Non è solo un'immagine poetica, ma<br />
anche l'antichissimo archetipo della donna portatrice <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà. Vi si sono ispirati i poeti<br />
d'ogni tempo e lo ritroviamo in questa serenata dagli spiccati toni lirici.<br />
2: Angiolina bella Angiolina<br />
Questo canto cela un piccolo enigma linguistico, tutto locale, per risolvere il quale occorre<br />
pensare alle caratteristiche del <strong>di</strong>aletto parlato nell'alta val Borbera: chi sono i "piemontesi con<br />
la lingua dei genovesi" esperti nell'arte amatoria? <strong>Il</strong> <strong>di</strong>battito è aperto.<br />
3: Lei mi voleva bene<br />
<strong>Il</strong> giar<strong>di</strong>no e la fonte, promesse d'amore. La canzone popolare, come sempre, è custode <strong>di</strong><br />
simboli antichissimi. L'origine più prossima è ancora nella lirica me<strong>di</strong>evale, che pullula <strong>di</strong><br />
giar<strong>di</strong>ni e fontane in prossimità delle quali accade qualcosa <strong>di</strong> fatale.<br />
4: Cosetta<br />
La drammatica storia <strong>di</strong> Cosetta era tra le preferite dai mulattieri <strong>di</strong> Bogli, paese della<br />
confinante val Boreca dalla prestigiosa tra<strong>di</strong>zione canora. Si fermavano a mangiare e bere nelle<br />
osterie <strong>di</strong> Cosola, e cantavano. A Cosola era rimasto solo un ricordo frammentario <strong>di</strong> questa<br />
canzone, ricostruita grazie alla memoria <strong>di</strong> Maria Negro e dei fratelli Marco e Pio Negro.<br />
5: Perché piangi<br />
<strong>Il</strong> canto è eseguito dalla voce solista <strong>di</strong> Romana Negro.<br />
Un canto <strong>di</strong> lontananza, tema sentimentale eterno, qui<br />
contestualizzato nel dramma moderno della partenza<br />
per il servizio militare.<br />
6: Dimmi che növa<br />
È uno stranôt entrato nel ciclo matrimoniale al pari <strong>di</strong><br />
Sposina. "Dimmi che növa" è un canto lirico, molto<br />
toccante, che, contrariamente a "Sposina", non presenta<br />
accenti drammatici. La melo<strong>di</strong>a da piffero plasma ampie<br />
campiture che evocano gli spazi aperti <strong>di</strong> una sera<br />
d'estate al <strong>di</strong> sotto del solito fatale balcone.
7: Tutte le lettere<br />
Possiamo immaginare che molte ragazze si siano riconosciute in questo canto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sarmante<br />
semplicità, dove la collera per l'abbandono da parte dell'amato si stempera in malinconia e<br />
dolcezza. <strong>Il</strong> genere della lettera d'amore, improntata al dolore per l'abbandono e al ricordo<br />
della felicità trascorsa, nasce probabilmente con le Eroi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o (43 a.C. - 17 d.C.). Conosce<br />
poi l'enorme fortuna dell'età "ovi<strong>di</strong>ana", tra il 12' e 14' secolo e si <strong>di</strong>ffonde nel Rinascimento in<br />
tutte le letterature europee. In Francia, scrive Gabriella Leto, "nel secolo 18', si <strong>di</strong>ffuse un<br />
genere <strong>di</strong> lettera lacrimosa e galante, elaborata sul modello delle Heroides" [Le Eroi<strong>di</strong>. p 9 /<br />
Ovi<strong>di</strong>o ; G Leto -- Torino : 1966].<br />
8: Maiulin<br />
"L'infanticida condannata è argomento <strong>di</strong> canto popolare in quasi tutti i paesi", scrive il Nigra a<br />
proposito <strong>di</strong> quei canti da lui stesso riuniti sotto il titolo <strong>di</strong> "Infanticida alla forca" [Nigra. 10].<br />
La versione cosolana presenta un testo semplificato rispetto a quelle riportate dal Nigra, dove<br />
fa la sua apparizione il consueto gentil galant che chiede <strong>di</strong> vedere la bella prigioniera. Gli vien<br />
risposto che la vedrà sì, ma in compagnia del boia che si appresta a giustiziarla. Però il tema<br />
simbolico centrale, il bambino gettato nell'acqua, è presente nella nostra canzone, ed è forse<br />
questo il nucleo più antico, mitologico o leggendario, della storia, che nelle versioni anglosassoni<br />
e germaniche si evolve nel salvataggio del bimbo da parte degli angeli e nel suo<br />
ritorno, dopo sette anni, a visitare la madre in prigione. <strong>Il</strong> salvataggio del bimbo affidato alle<br />
acque è uno dei temi più antichi della storia dell'umanità ed è superfluo qui ricordarne gli<br />
esempi.<br />
9: La strada nel bosco<br />
Un altro viaggio nella natura assunta a simbolo dei piaceri amorosi. Terra, mare e cielo<br />
risuonano in cosmica congiunzione nei tratti essenziali del canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione. La spontaneità<br />
ed originarietà della poesia popolare è come sempre sicuro antidoto al cattivo gusto.<br />
10: Bosch ad Dâi<br />
La più cosolana delle canzoni qui raccolte. Se ne ricorda<br />
l'autore, soprannominato Sataturnu, che la compose per<br />
celebrare il suo matrimonio forse anomalo, che<br />
presumibilmente suscitò commenti sarcastici nei compaesani.<br />
Lo sposo annuncia il suo arrivo al paese dell'amata con una<br />
"brugida", ovvero un grido animalesco, poco convenzionale,<br />
ma in pieno spirito carnevalesco. Che i carnevali tra<strong>di</strong>zionali<br />
abbiano nella paro<strong>di</strong>a del matrimonio uno dei loro temi<br />
centrali è infatti cosa risaputa e non estranea alla cultura<br />
tra<strong>di</strong>zionale delle Quattro Province. L'arrivo a Cosola del<br />
corteo nuziale è annunciato dal suono <strong>di</strong> piffero e cornamusa<br />
(quest'ultima segnalata dall'uso dell'espressione "sgunfiai i<br />
suonatori" nella versione delle sorelle Mafalda e Maria Negro).<br />
Benché tutti sminuiscano le grazie e l'altezza della sposa,<br />
l'innamorato non recede e si ripropone <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are con "un<br />
paio <strong>di</strong> scarpettin ben alte <strong>di</strong> calcagno", e due anellini che<br />
certo accresceranno la bellezza della fanciulla <strong>di</strong> Daglio. La<br />
canzone richiama, per la melo<strong>di</strong>a e il motivo delle "scarpette<br />
ben alte <strong>di</strong> calcagno" la più nota "Sü e zü per San German".<br />
Quando sun stâ inti boschi d'Dâi
l'ü trâi d'üna brügida,<br />
la mê Tranquilla la m'â sentì<br />
e l'ê rimasta stramurtita.<br />
Quando sun stâ insela piana<br />
con una coppia <strong>di</strong> suonatori<br />
tüta la gente curivan lâ<br />
per vedere la mia sposa.<br />
Tutti mi <strong>di</strong>cevano che l'era piccolina<br />
ma mi la me pâr grânda,<br />
mi che sun 'ndâi aposta a Dâi<br />
per piâla bêla grânda!<br />
Ti comprerò un par de scarpettin<br />
un po' alti <strong>di</strong> calcagno.<br />
I scarpettin i te van ben ben, te stan proprio ben,<br />
ma sono alti, troppo alti.<br />
Ti comprerò un par <strong>di</strong> anellin<br />
che pendon giù d'in gloria<br />
e giù d'in gloria, e giù d'in ciel, cara la mia bella come ti voglio ben,<br />
e ti prego <strong>di</strong> non lasciarmi.<br />
11: Le carrozze<br />
Diffusissimo canto, entrato a far parte del rituale matrimoniale quasi con funzione <strong>di</strong>dattica. Lo<br />
si ritrova in varie zone del Nord Italia. Presenta un'interessante commistione <strong>di</strong> toni lirici,<br />
drammatici e realistici.<br />
12: Re Gilar<strong>di</strong>n<br />
Insegnata da Maria Negro al figlio Renzo<br />
Negruzzo e alla nuora Romana. Nigra ha<br />
titolato la canzone, nelle sue numerose<br />
varianti, "Morte occulta". <strong>Il</strong> <strong>di</strong>plomatico<br />
canavesano riporta quin<strong>di</strong> l'opinione <strong>di</strong><br />
Svend Grundtvig che, dopo aver<br />
analizzato in uno stu<strong>di</strong>o comparativo del<br />
1881 i canti popolari <strong>di</strong> varie regioni<br />
europee aventi attinenza con il contenuto<br />
della canzone, riconobbe alla stessa<br />
un'origine celtica. Forse il Grundtwig<br />
pervenne a tale conclusione avendo<br />
presente il tema del "re ferito", proprio<br />
dell'antica letteratura celtica. Romana<br />
racconta <strong>di</strong> aver appresa da bambina, in<br />
forma <strong>di</strong> fiaba, la storia narrata nella<br />
canzone e <strong>di</strong> averne imparato la melo<strong>di</strong>a solo successivamente, dalla voce della suocera, Maria<br />
Negro.<br />
13: <strong>Il</strong> fraticello<br />
<strong>Il</strong> <strong>di</strong>ffusissimo motivo popolare del frate tra<strong>di</strong>tore sfocia in una morale decisamente alternativa<br />
rispetto alla furiosa gelosia omicida del marito cornuto. Una morale improntata al buon senso,<br />
che potremmo definire "naturalistica", e alla quale viene altrettanto naturale aderire, anche se<br />
risulta <strong>di</strong>fficile pensare che la schiettezza della sposina abbia potuto placare le ire del consorte<br />
ingannato. Nigra titola "<strong>Il</strong> taglione" una canzone raccolta nel biellese dove si trova lo stesso<br />
atteggiamento da parte <strong>di</strong> una sposa infedele: "O piano, piano, marito caro, le mie ragioni<br />
lassêmie dì | Tu me l'hai fatta nel mez <strong>di</strong> marzo, e te la rendo nel mese d'avril | Tu me l'hai
fatta cun na villana, e te la rendo ch'un cita<strong>di</strong>n." Anche la nostra sposa "mal maritata" avrà<br />
avuto qualcosa da rimproverare al marito.<br />
14: Erano tre sorelle<br />
<strong>Canto</strong> <strong>di</strong>ffusissimo, presente nella tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> varie regioni del nord e del sud d'Italia. È<br />
pervaso da un'atmosfera onirica e denso <strong>di</strong> simbolismi. <strong>Il</strong> tema è quello dell'iniziazione<br />
all'amore, simboleggiata dalla caduta in mare dell'anello. Le <strong>di</strong>verse versioni presentano esiti<br />
altrettanto <strong>di</strong>fferenziati, proprio come nella vita. Nigra, che titola la canzone "La pesca<br />
dell'anello" [66], riporta un'opinione dotta secondo la quale il motivo della pesca dell'anello<br />
avrebbe "qualche lontana relazione con la leggenda dell'uomo-pesce, incarnata nel pugliese,<br />
messinese, o catanese Nicola-Pesce, detto Cola-Pesce, la quale, per suggerimento <strong>di</strong> Goethe,<br />
fornì a Schiller l'argomento d'una delle sue celebri ballate" (Nigra, p. 415). Va detto che il<br />
motivo delle tre sorelle in attesa <strong>di</strong> scoprire l'amore sulla riva del mare si ritrova in un'anonima<br />
poesia provenzale del 12'-13' secolo, il cui incipit recita: "Trois sereurs seur rive mer |<br />
chantent cler" ("Tre sorelle sulla riva del mare | cantano con voci chiare") [cfr. Poesia dell'età<br />
cortese. p 422 / A Roncaglia -- Milano : 1961]. Chissà che una più attenta ricerca nella vasta<br />
materia della lirica me<strong>di</strong>evale non possa portare ad in<strong>di</strong>viduare più strette ascendenze.<br />
15: Son tornata dalla Francia<br />
<strong>Canto</strong> d'amore sublimato o semplicemente<br />
impossibile; lei non è "né montanara né citta<strong>di</strong>na",<br />
è invece una creatura soprannaturale, immacolata<br />
come un giglio, forse scaturita da qualche antica<br />
leggenda celtica. Anche qui il riferimento alla<br />
poesia me<strong>di</strong>evale (un altro anonimo del 11'-12'<br />
secolo) è certo, anche se frammentario. Vi si trova<br />
il tema dell'incontro, la provenienza dalla Francia,<br />
il riferimento alla veste (che nell'antica poesia è<br />
descritta nel dettaglio), e infine la <strong>di</strong>chiarazione delle origini soprannaturali della fanciulla: "La<br />
seraine ele est ma mere, qui chantent in la mer salee | Et plus haut rivage" ("La sirena è mia<br />
madre, | Che canta nel mare salso | Dove più fonda è la costa") [cfr. Roncaglia. p 417].<br />
16: Adré la riva de lu mâr<br />
L'incontro tra la pastorella e il cavaliere è il più classico esempio dell'ascendenza me<strong>di</strong>evale dei<br />
canti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione del Nord Italia. Già il Nigra ne in<strong>di</strong>cava la sicura corrispondenza con il<br />
Carmen 119 dei celebri Carmina Burana (12'-13' secolo) reperiti nel monastero <strong>di</strong><br />
Bene<strong>di</strong>ktbeuren (da cui il nome della raccolta) in Baviera. <strong>Il</strong> finale della canzone è invece<br />
analogo ad altri due carmi della stessa raccolta (120 e 52). Stranamente incruenta la punizione<br />
paventata per l'eventuale infedeltà della pastora. <strong>Il</strong> canto affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nel repertorio <strong>di</strong><br />
quegli scolari vagabon<strong>di</strong> "vestiti da chierici, che nel 12' secolo e seguente, col nome <strong>di</strong> Goliar<strong>di</strong>,<br />
giravano da scuola a scuola, da Bologna a Parigi, da Colonia a Pavia, da Toledo a Salerno..."<br />
[Nigra. p 421-434]. <strong>Il</strong> motivo dell'uccisione del lupo e della profferta amorosa è al centro anche<br />
del componimento <strong>di</strong> Adam de la Halle (13' sec.). La comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Robin e Marion, mentre il<br />
tentativo <strong>di</strong> seduzione della pastorella da parte del cavaliere era motivo <strong>di</strong>ffusissimo che dal<br />
trovatore Marcabru, vissuto nel 12' secolo ("L'autrier jost'una sebissa | trobei pastora<br />
mestissa..."), è pervenuto nelle ballate lirico-narrative dell'Italia settentrionale. <strong>Il</strong> canto è qui<br />
eseguito in forma <strong>di</strong> stranòt, con la melo<strong>di</strong>a del canto che si svolge parallelamente a quella del<br />
piffero esaltando le doti vocali della canterina.
17: Era figlia <strong>di</strong> un fittavolo<br />
Drammatica storia <strong>di</strong> abbandono e crudeltà, una figlia affranta e un padre <strong>di</strong>sumano. Le mura<br />
del convento, destino <strong>di</strong> segregazione per tante giovani vite, si ergono con la stessa cupezza<br />
anche nella canzone Vorrei essere come una formica.La storia potrebbe basarsi su <strong>di</strong> un fatto<br />
reale e rientrare nel repertorio dei cantastorie.<br />
18: Signor capitano<br />
<strong>Il</strong> dramma della lontananza dall'amata, dell'incontro mancato. <strong>Il</strong> bacio alla fanciulla amata<br />
oramai morta è un tratto macabro <strong>di</strong> ascendenza me<strong>di</strong>evale, esemplarizzato da Shakespeare in<br />
Romeo e Giulietta, rinvigorito dal gusto romantico, ben ra<strong>di</strong>cato nella sensibilità popolare.<br />
19: Stornelli della monda<br />
Ben viva nella memoria permane l'immagine del camion che partiva verso le risaie della<br />
Lomellina e del Vercellese, portando alla stagione della monda, verso un guadagno sudato,<br />
magro ma sicuro, le donne cosolane. Partivano le ragazze lasciando il moroso, e partivano le<br />
donne lasciando marito e figli. Vi era chi piangeva, ma le più cantavano, e se per la partenza<br />
c'era un canto, ce n'era uno anche per il ritorno, magari imparato proprio tra le acque<br />
limacciose delle risaie, grande mescita <strong>di</strong> canti tra<strong>di</strong>zionali che lì confluivano da <strong>di</strong>verse aree<br />
geografiche.<br />
20: Vorrei essere come una formica<br />
<strong>Il</strong> tema della metamorfosi ebbe fortuna immensa e duratura nella sensibilità popolare ed è<br />
ampiamente documentato. Ancora una volta il pensiero vola ad Ovi<strong>di</strong>o, alle sue "Metamorfosi",<br />
l'opera che più d'ogni altra illustra la forza dei sentimenti e delle passioni che travalica i limiti<br />
imposti dalla natura. In questo canto, sotteso al quale echeggia il suono dell'antico oboe<br />
popolare, il chiarore solare dei lunghi capelli contrasta con la cupezza delle alte mura che<br />
separano dal mondo la fanciulla segregata. Romana ha appreso questo canto dallo sconfinato<br />
repertorio della suocera Maria.<br />
21: Mâma mia mi vöi maridâm<br />
Tutta la <strong>di</strong>ffidenza del mondo conta<strong>di</strong>no nei confronti <strong>di</strong> pretendenti<br />
al matrimonio troppo blasonati. L'inganno è in agguato e la<br />
<strong>di</strong>ffidenza d'obbligo. Ma soprattutto erano le <strong>di</strong>fferenze tra i ranghi<br />
sociali a non lasciare speranza <strong>di</strong> esito positivo ad una scelta<br />
matrimoniale che avesse voluto infrangerne i confini. La melo<strong>di</strong>a<br />
lenta ed arcaica è <strong>di</strong> una ninna nanna, ed ogni ninna nanna, oltre ad<br />
indurre la bene<strong>di</strong>zione del sonno, rivestiva funzioni esorcistiche e<br />
<strong>di</strong>dattiche. Era la prima forma <strong>di</strong> insegnamento, destinato ad<br />
imprimersi negli strati più profon<strong>di</strong> della coscienza. Zulema Negro ha<br />
appreso questo canto dolcissimo dalla nonna Pinotta.
22: Margherita de la Piev del Cairo (Sposina)<br />
Nigra riporta varie versioni <strong>di</strong> questa canzone, o <strong>di</strong> canti aventi un tema analogo, provenienti<br />
dal Novarese, dal basso Monferrato, dalla collina <strong>di</strong> Torino, dal Canavese e dal Monferrato<br />
["Sposa per forza": 37]. "<strong>Il</strong> tema della maritata a malincuore, che muore <strong>di</strong> cordoglio, è<br />
specialmente caro alla poesia popolare della bassa Bretagna" (Nigra, p. 243). Della<br />
lunghissima e bellissima ballata, che testimonia anche lo stile antico del canto epico-narrativo,<br />
riportiamo la parte che, scorporata dal resto della canzone, entrò a far parte del rituale<br />
matrimoniale. Alla gioiosità <strong>di</strong> "Bella növa" e al lirismo venato <strong>di</strong> crudezza <strong>di</strong> "Le carrozze",<br />
"Sposina" contrappone la descrizione drammatica <strong>di</strong> una realtà costante del mondo conta<strong>di</strong>no<br />
(ma non solo) del passato, ovvero il matrimonio per forza o per convenienza. Ma la poesia del<br />
canto è tutta dalla parte <strong>di</strong> lei, come per compensare una secolare ingiustizia.<br />
23:L'usignolo<br />
24: Paloma<br />
Nel 1958 un emigrato cosolano in America, Pietro Negro detto Pidròn, registrò sei brani <strong>di</strong><br />
trallalero eseguiti dalla squadra <strong>di</strong> canto <strong>di</strong> Cosola. I <strong>di</strong>schi, gentilmente concessi in prestito<br />
dalla proprietaria Elsa Callegari "Adele", sono stati masterizzati e, nei limiti del possibile,<br />
restaurati. La bassa qualità della registrazione nulla toglie al valore documentario <strong>di</strong> questi<br />
esempi <strong>di</strong> "trallalero montanaro". Dei due brani riportati il primo rientra a pieno titolo nello stile<br />
del trallalero, mentre il secondo è una elaborazione polivocale <strong>di</strong> un brano non <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />
locale.
6-Appunti per una ricerca etnomusicologica<br />
nel territorio <strong>di</strong> Paluzza<br />
Un ra<strong>di</strong>cato luogo comune vuole che “oramai” la musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale sia del tutto<br />
scomparsa (o comunque in via <strong>di</strong> rapida sparizione) e solo interrogando qualche arzillo<br />
vecchietto con buona memoria sia possibile, forse, “ricostruire” le “antiche melo<strong>di</strong>e del<br />
popolo”. Al riguardo probabilmente i lettori ricorderanno la grottesca caricatura presentata nel<br />
film <strong>di</strong> Mario Monicelli, Speriamo che sia femmina, dove il personaggio interpretato da Paolo<br />
Hendel, alla ricerca <strong>di</strong> “arcaiche testimonianze del mondo conta<strong>di</strong>no” va a registrare dei canti<br />
da una vecchina in letto <strong>di</strong> morte, salvo poi scoprire — dopo che i suoi “preziosi” nastri<br />
finiscono <strong>di</strong>strutti — che quei canti nella zona li conoscevano tutti, anche la sua giovane<br />
fidanzata (Giuliana De Sio). In realtà basta andare in giro con le “orecchie ben aperte” per<br />
trovare ancora oggi in tutta Italia un notevole patrimonio <strong>di</strong> canti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale. Canti<br />
conosciuti non solo dagli anziani ma anche da numerosi giovani (1) che vengono eseguiti<br />
normalmente, soprattutto nelle occasioni in cui una comunità si incontra, nelle feste e nelle<br />
ricorrenze pubbliche e private. Certamente i canti che oggi si ascoltano sono ben <strong>di</strong>versi da<br />
quelli del passato. È questo un assunto che deve essere ben chiaro onde evitare<br />
frainten<strong>di</strong>menti. La tra<strong>di</strong>zione orale non è qualcosa <strong>di</strong> immutabile: essa cambia con il<br />
succedersi delle generazioni, mo<strong>di</strong>ficando ed adattando i repertori alle nuove realtà della vita<br />
sociale, abbandonandone definitivamente altri, man mano che vengono meno i contesti e le<br />
funzioni cui erano connessi. Così ad esempio è del tutto normale che certi canti corali legati ai<br />
lavori agricoli del passato siano del tutto scomparsi con la <strong>di</strong>ffusione delle macchine: che senso<br />
avrebbe (e come si potrebbe) cantarli oggi, che so, sul trattore? D'altra parte le trasformazioni<br />
nella musica tra<strong>di</strong>zionale non sono certo una novità della nostra epoca. Di esse, ad esempio, si<br />
lagnava più <strong>di</strong> un secolo fa il folklorista trentino Nepomuceno Bolognini il quale <strong>di</strong>chiarava <strong>di</strong><br />
raccogliere i testi dei canti del popolo che secondo lui «a poco a poco vanno scomparendo,<br />
soffocati e rimpastati dall'invadente affratellamento dei popoli che viene, viene a corsa sfrenata<br />
nei posti <strong>di</strong> terza classe delle ferrovie e dei tram a vapore o a cavalli che sia»! (2)<br />
Al contrario <strong>di</strong> ciò che spesso si pensa, l’etnomusicologo non ha il compito <strong>di</strong> “ricostruire” il<br />
passato o attribuire “etichette” <strong>di</strong> autenticità a quanto viene ancor oggi eseguito. Egli,<br />
piuttosto, si propone <strong>di</strong> registrare e stu<strong>di</strong>are i cambiamenti in corso ed interpretarli alla luce<br />
delle o<strong>di</strong>erne <strong>di</strong>namiche della nostra società. (3). Quello che segue è un progetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />
etnomusicologico sulla musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale dell'Arco Alpino. Obiettivo <strong>di</strong> tale iniziativa è<br />
infatti la definizione dell'o<strong>di</strong>erna <strong>di</strong>namica della musica etnica alpina, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are cioé cosa,<br />
quando e come viene oggi eseguito nei paesi e nelle <strong>di</strong>verse comunità valligiane, con<br />
particolare riguardo al canto polivocale, (4) ritenuto — come <strong>di</strong>rò tra poco — una delle sue più<br />
importanti espressioni. In questo contesto lo scrivente, insieme con un gruppo <strong>di</strong> studenti ha
avviato uno stu<strong>di</strong>o specifico sul repertorio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale nel territorio <strong>di</strong> Paluzza. Tale<br />
repertorio presenta infatti numerosi motivi <strong>di</strong> interesse che tra l'altro possono essere<br />
considerati rappresentantivi, per molti aspetti, <strong>di</strong> certi meccanismi più generali caratterizzanti<br />
la cultura musicale alpina nel suo complesso. Fra questi, in primo luogo, il fatto che nello<br />
stesso territorio comunale convivano comunità abitative <strong>di</strong>verse fra <strong>di</strong> loro, ciascuna con una<br />
specifica e spiccata identità culturale. Ne consegue che lo stu<strong>di</strong>o comparato della pratica<br />
musicale delle <strong>di</strong>verse località che compongono il comune <strong>di</strong> Paluzza può offrire in piccolo una<br />
immagine <strong>di</strong> come anche nell'ambito <strong>di</strong> territori relativamente ristretti si siano potute<br />
sviluppare ed attualmente persistano identità etno-musicali <strong>di</strong>fferenti fra <strong>di</strong> loro. Identità che<br />
pur presentando una comune struttura musicale rivelano elementi stilistico-espressivi alquanto<br />
<strong>di</strong>versi e chiaramente caratterizzanti. Lo stu<strong>di</strong>o è stato avviato ovviamente con una prima fase<br />
<strong>di</strong> ricognizione della documentazione bibliografica e sonora realizzata nel passato. In<br />
particolare è stato possibile conoscere alcune registrazioni effettuate in paese negli anni<br />
Settanta da Pietro Sassu e Piero Arcangeli, nonché i materiali raccolti e presentati in una prima<br />
trascrizione da Clau<strong>di</strong>o Noliani nella sua importante raccolta Anima della Carnia che sono stati<br />
rieseguiti negli anni Cinquanta dalla corale Birchebner <strong>di</strong> Topogliano <strong>di</strong>retta da G.... Famea. (5)<br />
Quin<strong>di</strong> si è proceduto alla trascrizione su pentagramma delle registrazioni realizzate a Cleulis<br />
da Valter Colle e Lino Straulino alcuni anni fa (..... ). Attraverso tali trascrizioni — realizzate<br />
con criteri corrispondenti alla più moderna etnomusicologia (6) — sono emersi una serie <strong>di</strong><br />
spunti <strong>di</strong> analisi e stu<strong>di</strong>o. Fra questi la cosiddetta questione delle varianti, fondamentale per<br />
qualsiasi indagine sulla musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale. Si è infatti verificato come, benché la<br />
struttura dei canti <strong>di</strong> Cleulis (come la quasi totalità dei canti tra<strong>di</strong>zionali del Nord Italia) sia <strong>di</strong><br />
tipo strofico (stessa musica per tutte le strofe del testo verbale), succede <strong>di</strong> norma che un<br />
cantore (o un gruppo <strong>di</strong> cantori) realizzi delle varianti notevoli nel corso dell'esecuzione,<br />
mo<strong>di</strong>ficando continuamente lo stile e l'agogica del canto, ma anche elementi minimi della<br />
melo<strong>di</strong>a e del ritmo (che comunque risultano sempre chiaramente riconoscibili). Ciò è ben<br />
rappresentato dal seguente esempio musicale in cui viene confrontata da prima e la quarta e<br />
ultima strofa <strong>di</strong> un canto eseguito a voce sola dalla signora Anita Puntala <strong>di</strong> Cleulis. Preciso che<br />
i criteri <strong>di</strong> notazione utilizzati mirano ad evidenziare l’articolazione della strofa in versi musicali,<br />
ciascuno dei quali occupa un singolo rigo. Non viene esplicitata la struttura metrica ma essa<br />
risulta comunque facilmente ricavabile alla lettura. <strong>Il</strong> raggruppamento dei valori ritmici intende<br />
suggerire l’articolazione base del fraseggio musicale. La sillabazione del testo verbale non tiene<br />
in considerazione le convenzioni ortografiche dell’italiano bensì mira a rappresentare il rapporto<br />
nota-sillaba così come effettivamente esso si presenta. (7)<br />
I segni <strong>di</strong>acritici utilizzati sono i seguenti:
Si osservi, fra l’altro, come la prima strofa sia articolata in quattro versi mentre la quarta<br />
strofa presenti la ripetizione degli ultimi due versi. (8) Casi del genere sono piuttosto frequente<br />
nella musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale e rientrano fra quei meccanismi performativi attraverso cui il<br />
cantore ha la possibilità <strong>di</strong> apportare ogni volta delle mo<strong>di</strong>fiche alla propria esecuzione<br />
(allungandone o accorciandone <strong>di</strong> conseguenza la durata).
testo verbale<br />
Benedetis ches promesis<br />
c'a son da<strong>di</strong>s tantis <strong>di</strong> cûr<br />
profon<strong>di</strong>tis son talmenti<br />
che nissun lis gjava fûr<br />
Benedeta sei la tier<br />
(e) che al pescje il gior plevan<br />
benedeta che zornade<br />
c'a mi met la vera in man<br />
Benedeta sei che mari<br />
c'a mi a dat chel biel fantat<br />
ie ie lade lontanone<br />
a toli (cjoli) su chel biel ritrat<br />
Che travierse qualchelade<br />
ches cjalzutis a colors<br />
chel cjapel plen <strong>di</strong> curdelis<br />
ue (i) nuviz ce bien splendôr<br />
chel cjapiel plen de curdelis<br />
ue (i) nuviz ce bien splendôr<br />
Accanto alle questioni generali relative alla verifica dei meccanismi <strong>di</strong> formalizzazione musicale<br />
(le varianti, le <strong>di</strong>verse formazioni delle strofe, il rapporto ritmo musicale - metro poetico<br />
eccetera) le trascrizioni degli studenti hanno evidenziato anche altri motivi <strong>di</strong> interesse, più<br />
specifici alla realtà <strong>di</strong> Paluzza. È infatti emersa con tutta evidenza la grande varietà e<br />
l’ampiezza dei repertori documentati nel territorio comunale: dalle villotte in friulano, ai canti<br />
propri della Carnia nell’i<strong>di</strong>oma locale e a quelli nella lingua <strong>di</strong> Timau (propri cioé della<br />
minoranza etnico-linguistica che ivi risiede); dalle ballate e dai canti narrativi in italiano ai<br />
repertori infantili; dalle memorie dei canti <strong>di</strong> guerra a quelle delle forme connesse al lavoro, e<br />
così via, a cui si aggiungono pure <strong>di</strong>versi repertori per varii organici strumentali (che<br />
comunque in questa fase iniziale della ricerca non sono stati ancora specificamente<br />
considerati).<br />
Pertanto, dopo questo preliminare ascolto “da lontano” si è organizzato un primo rilevamento<br />
su campo nei giorni 15 e 16 novembre 1997 nelle località <strong>di</strong> Cleulis e Timau. Tale rilevamento<br />
(condotto con l'aiuto <strong>di</strong> Lino Staulino, <strong>di</strong> due studenti dell’Università <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne — Clau<strong>di</strong>o e ....,<br />
...., e con la guida e l’ospitalità offerti da Valter Colle) (9) è servito soprattutto ad una presa <strong>di</strong><br />
contatto con la realtà del territorio <strong>di</strong> Paluzza e con una serie <strong>di</strong> cantori in vista <strong>di</strong> un ben più<br />
articolato soggiorno che si svolgerà nella prossima primavera. Nonostante il carattere<br />
preliminare, tale rilievamento ha permesso <strong>di</strong> raccogliere una importante documentazione ed<br />
una ricca messe <strong>di</strong> informazioni su <strong>di</strong>versi aspetti del repertorio locale. Fra l’altro una specifica<br />
attenzione è stata rivolta alla pratica polivocale, pratica che senza dubbio costituisce ancora
oggi l'espressione più significativa del patrimonio musicale <strong>di</strong> Paluzza.<br />
In particolare la polivocalità <strong>di</strong> Cleulis che abbiamo avuto modo <strong>di</strong> ascoltare in vivo nel corso <strong>di</strong><br />
due <strong>di</strong>versi incontri con altrettanti gruppi <strong>di</strong> cantori risulta imperneata su due parti vocali nel<br />
registro me<strong>di</strong>o che si muovono per moto parallelo a <strong>di</strong>stanza intervallare <strong>di</strong> terza. A queste nel<br />
caso <strong>di</strong> gruppi misti si aggiunge una parte maschile al grave che ripropone sul proprio registro<br />
la melo<strong>di</strong>a e/o ribatte le note più importanti della scala con lo stesso ritmo delle due voci<br />
superiori. Una ulteriore aggiunta si può avere invece all’acuto me<strong>di</strong>ante un raddoppio all’ottava<br />
superiore <strong>di</strong> una delle due parti vocali femminili. <strong>Il</strong> numero delle voci che cantano una è<br />
in<strong>di</strong>pendente rispetto a quello delle altre. Ad esempio nel corso della prima registrazione (la<br />
sera del 16 novembre) si sono ascoltate esecuzioni quasi sempre a tre parti vocali: la superiore<br />
femminile era svolta da due donne; l’inferiore femminile da quattro donne (una delle quali in<br />
certi canti raddoppiava all’ottava superiore aggiungendo una quarta parte) mentre la parte<br />
maschile era svolta da un solo cantore. Nelle registrazioni del secondo incontro (17 mattina) si<br />
sono avute invece esecuzioni a due parti maschili ciascuna realizzata da due o tre cantori.<br />
Tale struttura esecutiva costituisce la norma del canto corale <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> tutto l’Arco<br />
Alpino e più in generale dell’Italia centro settentrionale e <strong>di</strong> una ampia zona del continente<br />
europeo a ridosso della stessa regione alpina e verso oriente fin quasi verso gli Urali. (10)<br />
Va precisato al riguarda che cantare a più voci non è qualcosa <strong>di</strong> “spontaneo” ma una pratica<br />
che presuppone l'esistenza <strong>di</strong> una particolare competenza dei partecipanti che debbono in<br />
qualche modo collaborare reciprocamente. Ogni cantore ha piena consapevolezza della parte<br />
vocale che può concorrere a realizzare, se cioè sa far <strong>di</strong> "primo", <strong>di</strong> "secondo" o <strong>di</strong> "basso".<br />
Una volta avviata l'esecuzione (normalmente l'attacco è realizzato da una sola voce) tutte i<br />
cantori si <strong>di</strong>stribuiscono nell'ambito delle due o più parti vocali parallele: un processo frutto<br />
della profonda conoscenza della struttura formale del repertorio (e mai dovuto alle in<strong>di</strong>cazioni<br />
<strong>di</strong> un "maestro" o <strong>di</strong> un "<strong>di</strong>rettore"), risultato dei meccanismi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato tra<strong>di</strong>zionali<br />
ancora operanti. Una competenza <strong>di</strong> questo tipo deve essere considerata come un elemento<br />
specifico della cultura <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale alpina. Per intenderci: se ad esempio un gruppo<br />
qualsiasi <strong>di</strong> siciliani, <strong>di</strong> calabresi, <strong>di</strong> toscani o <strong>di</strong> altre regioni centro meri<strong>di</strong>onali canta in coro il<br />
risultato è in genere il raddoppio all'unisono <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a. La capacità nel <strong>di</strong>stribuirsi in più<br />
parti separate <strong>di</strong>mostrata dagli uomoni e dalle donne <strong>di</strong> Cleulis costituisce l'espressione <strong>di</strong> una<br />
norma <strong>di</strong>ffusa in tutto l'arco alpino, il risultato <strong>di</strong> una specializzazione nell'ambito della<br />
tra<strong>di</strong>zione orale. Non si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una capacità "naturale" bensì <strong>di</strong> una competenza<br />
acquisita.<br />
Per questa ragione nel corso dell'incontro con i cantori <strong>di</strong> Cleulis la registrazione dei canti è<br />
stata integrata da lunghe interviste — o meglio chiaccherate — durante le quali si sono<br />
ricavate delle prezione informazioni sulla loro competenza musicale.<br />
Per dare un'idea del tipo <strong>di</strong> ricerca effettuato e dell’attenzione verso i meccanismi <strong>di</strong><br />
elaborazione polivocale propongo nell'esempio seguente il confronto fra due versioni della<br />
stessa villotta: la prima è solista ed è stata eseguita dalla signora Anita Puntala <strong>di</strong> Cleulis,
egistrata da Valter Colle e Lino Straulino nel ... ; la seconda invece è a più parti vocali ed<br />
stata realizzata dal gruppo dei cantori nel nostro primo incontro a Cleulis il pomeriggio del 16<br />
novembre. Entrambe le trascrizioni sono state realizzate da Boris Ferrari.
testo verbale:<br />
Ducj i moros a mia mi plasin<br />
a le moro ancje il gno ben<br />
lui al mi puarte peraulis dolcis<br />
ogni sere (in) quanc'al ven<br />
soi impensade <strong>di</strong> la muinie<br />
su la puarte dal convent<br />
soi impensade da gno giovin<br />
soi colade in sveniment.<br />
Un altro interessante repertorio polivocale documentato dal rilevamento a Cleulis è quello<br />
narrativo cantato in italiano. Si tratta come è noto <strong>di</strong> una componente importante del<br />
patrimonio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale del nostro Paese, che affonda le proprie ra<strong>di</strong>ci in epoca<br />
me<strong>di</strong>evale. (11) Inoltre, gran parte dei temi narrativi presentati dal repertorio italiane si<br />
ricollegano <strong>di</strong>rettamente ad un più vasto corpus <strong>di</strong> ballate <strong>di</strong>ffuso in tutta Europa, dalla Scozia<br />
alla Puglia, dai Pirenei agli Urali (sebbene cantato in forme musicalmente <strong>di</strong>ssimili da una zona<br />
all’altra), uno dei più straor<strong>di</strong>nario fenomeno della cultura <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale del Vecchio
Continente.<br />
Fra i canti narrativi documentati a Cleulis nel secondo incontro (domenica 17 novembre) vi è<br />
La Barbiera Francese - Nigra 33 (denominazione corrispondente al titolo convenzionale<br />
attribuita dalla fondamentale raccolta <strong>di</strong> Costantino Nigra), (12) un canto conosciuto in tutto il<br />
Nord Italia e che ha precisi riferimenti con altri canti <strong>di</strong> analogo contenuto narrativo<br />
documentati nella Francia Meri<strong>di</strong>onale e in forse anche in Catalalogna. (13) Riporto la<br />
trascrizione realizzata dallo scrivente della terza strofa dell’esecuzione citata.<br />
testo verbale:<br />
O barbiera bella<br />
barbiera vorre-<br />
sti farmi vorre- sti farmi la<br />
barba a mi<br />
Io sì che io te la<br />
faria ma ho<br />
paura ma ho<br />
paura del mio marì<br />
Mio marito l'è anda-<br />
to in Francia con la<br />
speranza con la<br />
speranza <strong>di</strong> ritornar<br />
Oi che torni o che<br />
non torni ma la<br />
tua barba ma la<br />
tua barba la voglio tagliar<br />
E mentre l'acqua la si<br />
scaldava barbié-<br />
barbiera filà-<br />
barbiera filava il rasun<br />
E la tua barba l'è ri-<br />
ccia e bionda ma la<br />
parìa ma la<br />
parìa del mio marì.<br />
Decisamente importanti sono state anche le esecuzioni dei canti rituali proposte dagli stessi<br />
cantori <strong>di</strong> Cleulis. Fra questi, soprattutto, alcuni brani previsti in periodo natalizio come Puer<br />
Natus che come ci è stato riferito viene ancora eseguito durante i riti all'interno della chiesa.<br />
Anche questo canto ha una amplissima attestazione in tutto l’Arco Alpino a cui sovente
corrispondono delle precise similitu<strong>di</strong>ni relative alle condotte melo<strong>di</strong>che e alle modalità <strong>di</strong><br />
esecuzione. (14) Riporto la prima strofa<br />
della esecuzione a tre parti vocali misti<br />
registrata la sera del 16 novembre nella<br />
trascrizione realizzata dallo scrivente.
testo verbale:<br />
Puer Natus in Bethlem<br />
in Bethlem<br />
Unde gaudet Hierusalem<br />
unde gaudet Hierusalem<br />
Allelluja<br />
Allelluja<br />
Allelluja<br />
Ave Maria gratia plena<br />
Hic jacet in praesepio<br />
in praesepio<br />
Qui regnat sine termino<br />
qui regnat sine termino<br />
Allelluja<br />
Allelluja<br />
Allelluja<br />
Ave Maria gratia plena<br />
Al <strong>di</strong> là delle notizie sui canti polivocali nel corso del rilevamento a Cleulis sono state richieste<br />
informazioni anche sui repertori mono<strong>di</strong>ci. In particolare sono state richieste alle <strong>di</strong>verse donne<br />
incontrate delle esecuzioni <strong>di</strong> ninna-nanne e <strong>di</strong> canti infantili: ed anche in questo caso la<br />
documentazione raccolta è stata <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimo rilievo sia dal punto <strong>di</strong> vista quantitativo che<br />
qualitativo. Una <strong>di</strong> queste ninna-nanne, eseguita ancora una volta dalla signora Anita Puntala<br />
(con sovrapposizione dalla seconda strofa in poi <strong>di</strong> una parte superiore realizzata dalla signora<br />
Giovanna....) la sera del 16 novembre è riportata nell’esempio seguente. La trascrizione è <strong>di</strong><br />
Sandra Matuella.
Sempre nel corso dei due giorni <strong>di</strong> rilevamento si è effettuata anche una preliminare presa <strong>di</strong><br />
contatto con la specifica realtà musicale <strong>di</strong> Timau, grazie all'aiuto della signora Velia Plozner. In<br />
particolare si è realizzata una seduta <strong>di</strong> registrazione a casa della signora Margherita Primus, la<br />
quale ha proposto l'esecuzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi brani nella lingua timavese e ha offerto delle preziose<br />
testimonianze sulla realtà musicale della località e su altri elementi culturali.<br />
Fra i brani raccolti un particolare interesse ha suscitato una ninna nanna, trascritta dallo<br />
scrivente nel seguente esempio musicale, che presenta un profilo melo<strong>di</strong>co rapportabile con<br />
altri canti dello stesso genere registrati in altre vallate alpine. (15) È evidente in questo caso<br />
come tale documentazione risulti importante sia come testimonianza sulla circolazione delle<br />
melo<strong>di</strong>e tra<strong>di</strong>zionali del passato sia come attestazione del valore simbolico che l'uso della<br />
lingua nei canti tra<strong>di</strong>zionali ha conservato ancora oggi in quanto elemento <strong>di</strong> identificazione<br />
etnica.<br />
testo verbale (a cura dell’assessora Vera Plozner)<br />
Miar saim af dear olm<br />
miar ckouckn guaz muas<br />
miar prauchn ckaan roudl<br />
miar riarn min vuas<br />
jullari, jullari, jollari ah<br />
jullari, jullari, jollari ah<br />
Dein schiacklan<br />
Deing schtimpflan<br />
Deing schaug niit oon<br />
Deing schaug laii main piablan<br />
Da aigalan oon
jullari, jullari, jollari ah<br />
jullari, jullari, jollari ah<br />
Afta griana bisa<br />
Hona<strong>di</strong> gevrogt<br />
Hosmi du nouch libe<br />
Io host duu gesogt<br />
Unt in para<strong>di</strong>se<br />
Var dos himbl scheen<br />
Afta griana bisa ie, ie, ie, ie<br />
Miar saim a bla zbaa chindarlan<br />
Chindarlan, chindarlan<br />
Miar saim a bla zbaa....<br />
Come si sarà capito nel corso della trattazione, l'impegno a Paluzza del laboratorio<br />
etnomusicologico dell'Università <strong>di</strong> Trento non finisce qui. Nuovi e più articolati rilevamenti<br />
sono stati già programmati per i prossimi mesi primaverili parallelamente allo stu<strong>di</strong>o “da<br />
tavolino” <strong>di</strong> tutta la documentazione <strong>di</strong>sponibile. Un impegno che mira in tempi ragionevoli a<br />
proporre uno stu<strong>di</strong>o monografico su tale importante realtà etnomusicologica alpina.<br />
Desidero in chiusura, sottolineare la grande <strong>di</strong>sponibilità, la cortesia e la pazienza che i cantori<br />
<strong>di</strong> Cleulis e <strong>di</strong> Paluzza hanno avuto nel corso del nostro rilevamento ed anche un certo clima <strong>di</strong><br />
reciproca simpatia e <strong>di</strong> rispetto che mi pare si sia creato e che costituisce la base<br />
in<strong>di</strong>spensabile per qualsiasi ulteriore sviluppo del lavoro.<br />
Note<br />
1) La tendenza delle giovani generazioni a riappropriarsi del patrimonio <strong>di</strong> canti tra<strong>di</strong>zionali è oramai un dato in<br />
crescita in tutta Italia: lo <strong>di</strong>mostra , se non altro, il moltiplicarsi <strong>di</strong> gruppi musicali a tutti i livelli (da quelli cosiddetti<br />
folk a quelli popolari e perfino alle formazioni pop e rock e alla recente esplosione dello pseudo rap ) e soprattutto il<br />
crescere <strong>di</strong> iniziative <strong>di</strong> ricerca a carattere locale a cura <strong>di</strong> associazioni giovanili e amministrazioni comunali.<br />
2) Nepomuceno Bolognini, Usi e costumi del Trentino, 1882-1892 (ristampa anastatica, ed. Forni, Bologna 1979, pag.<br />
2). Lagnanze <strong>di</strong> questo tipo si ritrovano anche più in<strong>di</strong>etro nel tempo: cfr. Ignazio Macchiarella, Continuità e<br />
trasformazione della musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, in «Avi<strong>di</strong> Lumi. Quadrimestrale <strong>di</strong> culture musicali del teatro Massimo<br />
<strong>di</strong> Palermo», n. 2, 1997. Va detto per inciso che nostalgiche invettive contro «il progresso tecnologico» si ritrovano<br />
ancora oggi come corollario <strong>di</strong> certi stu<strong>di</strong> sulla musica etnica: nessun etnomusicologo (e comunque nessuna persona <strong>di</strong><br />
buon senso), però, può effettivamente rammaricarsi per la scomparsa <strong>di</strong> un mondo fatto <strong>di</strong> miseria e <strong>di</strong> vessazioni per le<br />
classi più umili, per quanto importante possa essere stato il bagaglio musicale che in questo modo è andato perso. Altra<br />
cosa è invece il rammarico verso certe con<strong>di</strong>zioni che hanno limitato nel nostro paese l'avvio della documentazione<br />
etnomusicologica fin quasi agli anni '60 (ve<strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, L'altra musica, Giunti-Ricor<strong>di</strong> 1991) compromettendo in<br />
questo modo la conoscenza in vivo <strong>di</strong> molti repertori in seguito scomparsi.<br />
3) Sugli obbiettivi dell'etnomusicologia nella cultura <strong>di</strong> massa si veda ad esempio M. Peter Baumann, (a cura <strong>di</strong>) World<br />
Music. Musics of the World, Florian Noetzel Verlag, Wilhelmshaven, 1992.<br />
4) Con il termine polivocalità in etnomusicologia si in<strong>di</strong>ca qualsiasi esecuzione realizzata da più cantori sia essa o meno<br />
articolata in parti <strong>di</strong>stinte. Ve<strong>di</strong>: Ignazio Macchiarella, <strong>Il</strong> canto a più voci <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale in R. Ley<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>),<br />
Guida alla musica popolare in Italia, LIM, Lucca 1996.<br />
5) Ve<strong>di</strong> Anima della Carnia, a cura <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Noliati, Società Filologia Friulana, U<strong>di</strong>ne 1980. Alcuni brani delle
iesecuzioni del coro Birchebner sono depositati nell’Archivio della Discoteca <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma: ve<strong>di</strong> Etnomusica, a<br />
cura <strong>di</strong> S. Biagiola, Roma, ed. Discoteca <strong>di</strong> Stato, 1986. Sul relativo valore documentario che hanno riesecuzioni corali<br />
<strong>di</strong> questo tipo si veda Diego carpitella, Musica e tra<strong>di</strong>zione orale, Flaccovio, Palermo 1973, nonché Ignazio<br />
Macchiarella, Introduzione allo stu<strong>di</strong>o del canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale nel Trentino, in corso <strong>di</strong> stampa.<br />
6) Sull'uso della trascrizione in etnomusicologia ve<strong>di</strong> Bela Bartok,Scritti sulla musica popolare, Torino, Boringhieri,<br />
1977; Giovanni Giuriati, Trascrizione in M. Agamennone et al., Grammatica della musica etnica, Bulzoni, Roma 1991<br />
e Ignazio Macchiarella, Introduzione alla trascrizione della musica popolare, Bologna, Dipartimento <strong>di</strong> Musica e<br />
Spettacolo, 1989.<br />
7) Su questi aspetti ve<strong>di</strong> Macchiarella, Introduzione allo stu<strong>di</strong>o del canto ..., op. cit., Appen<strong>di</strong>ce III-nota alle<br />
trascrizioni.<br />
8) Delle quattro strofe che compongono l’esecuzione in questione solo l’ultima ha la ripetizione dei versi finali, mentre<br />
le altre due sono ciascuna <strong>di</strong> quattro versi.<br />
9) Gli studenti trentini che vi hanno preso parte sono stati Massimo Bolognini, Boris Ferrari, Sandra Matuella, Sonia<br />
Parisi, Dennis Pisetta, Clau<strong>di</strong>o Todeschini, tutti frequentanti il seminario teorico-pratico nell’ambito del Laboratorio<br />
etnomusicologico della Facoltà <strong>di</strong> Lettere.<br />
10) Sull’argomento ve<strong>di</strong> Ernest Emsheimer, Some Remarks on Europea Folk Polyphony, «Journal of International Folk<br />
Music Council», XVI 1964.<br />
11) Sulla ballata in Italia e sui rapporti con il patrimonio tra<strong>di</strong>zionale europeo ve<strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, Sentite buona gente<br />
.... in Canti popolari (a cura <strong>di</strong> R. Ley<strong>di</strong>), Electa, Milano 1990 e l'ampia introduzione <strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, Canté bergera,<br />
Diakronia, Vigevano 1992.<br />
12) Ve<strong>di</strong> Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, Roux-Frassati, Torino 1888. Sull’importanza <strong>di</strong> questa<br />
raccolta nello stu<strong>di</strong>o del canto narrativo in Italia ve<strong>di</strong> R. Ley<strong>di</strong> , Canté Bergera, cit., pp. 7 sgg.<br />
13) Sulla possibile derivazione dall'estero del testo verbale del canto ve<strong>di</strong> Nigra, Canti popolari, cit., pagg. 224 sgg. Per<br />
altre attestazioni del canto nell'Italia Settentrionale ve<strong>di</strong> Renato Morelli, Identità musicale della Val dei Mocheni,<br />
Istituto Culturale Mocheno-Cimbro, Palù (Trento) 1997, pag. 233.<br />
14) Ve<strong>di</strong> Morelli, Identità Musicali , op. cit., pagg. 137 sgg. ; e Roberto Starec, .<br />
15) Su altre attestazioni <strong>di</strong> repertori cantati in lingue derivate dal tedesco si veda Gerlinde Haid, Apporti <strong>di</strong> area<br />
germanofona nel canto e nella musica popolare della Val <strong>di</strong> Fassa , in Fabio Chiocchetti, Musiche e canti popolari in<br />
Val <strong>di</strong> Fassa , Institut Cultural La<strong>di</strong>n, Vigo <strong>di</strong> Fassa 1997, con relativi rinvii bibliografici.
7-I Canti <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione <strong>Orale</strong> nel Trentino<br />
INTRODUZIONE<br />
Secondo un luogo comune molto ra<strong>di</strong>cato, anche perché alimentato da tante becere<br />
trasmissioni televisive, il canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale dalle nostre parti sarebbe oramai scomparso<br />
o in via <strong>di</strong> rapida sparizione. Soltanto pochi anziani - si crede - "ricordano qualche antico<br />
canto" che eccezionalmente sono in grado <strong>di</strong> rieseguire. Altrimenti, se si vuole conoscere<br />
l'ere<strong>di</strong>tà della tra<strong>di</strong>zione vocale <strong>di</strong> montagna, bisogna in<strong>di</strong>rizzarsi verso i cori alpini organizzati<br />
(modello SAT/SOSAT) e le relative armonizzazioni delle "melo<strong>di</strong>e <strong>di</strong> una volta".<br />
In realtà le cose non stanno affatto così: ancora oggi in Trentino - così come in tutto l'Arco<br />
Alpino - esiste un ricco e articolato patrimonio <strong>di</strong> canti trasmessi per tra<strong>di</strong>zione orale - ed<br />
in<strong>di</strong>pendentemente dai cori alpini organizzati - che la ricerca etnomusicologica stu<strong>di</strong>a<br />
attivamente. Certamente, tali canti sono ben <strong>di</strong>versi e meno numerosi rispetto a quelli del<br />
passato. La musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, del resto, non è mai conservatrice né immutabile, bensì<br />
si trasforma continuamente, mo<strong>di</strong>ficando ed adattando le sue espressioni alle nuove realtà<br />
della vita sociale. È dunque normale che certi canti siano stati abbandonati (per esempio: che<br />
senso avrebbero oggi, nell'epoca della meccanizzazione dell'agricoltura, quei canti legati ai<br />
lavori manuali nei campi <strong>di</strong> una volta?) così come è normale che vi siano nuove occasioni per<br />
cantare e che il repertorio tra<strong>di</strong>zionale abbia acquisito nuovi significati sociali. Tali processi <strong>di</strong><br />
trasformazioni sono sempre avvenuti: già cento venti e più anni fa, ad esempio, l'eru<strong>di</strong>to<br />
trentino Nepomuceno Bolognini si lamentava a modo suo della per<strong>di</strong>ta del canto e delle<br />
tra<strong>di</strong>zioni popolari che "a poco a poco vanno scomparendo, soffocate e rimpastate<br />
dall'invadente affratellamento dei popoli che viene, viene a corsa sfrenata nei posti <strong>di</strong> terza<br />
classe delle ferrovie e dei tram a vapore o a cavalli che sia"! <strong>Il</strong> patrimonio musicale <strong>di</strong><br />
tra<strong>di</strong>zione orale del Trentino è caratterizzato dalle forme <strong>di</strong> canto polifonico , a due o più parti<br />
vocali, quasi sempre senza accompagnamento strumentale.<br />
Tra<strong>di</strong>zione orale e coralità alpina<br />
Nel Trentino, come un po' in tutto l'Arco Alpino, la coralità organizzata è oggi un fenomeno<br />
musicale molto importante. Questa si caratterizza per l'esecuzione <strong>di</strong> brani fissati dalla<br />
scrittura su pentagramma (spesso armonizzazioni <strong>di</strong> linee melo<strong>di</strong>che ricavate da canti <strong>di</strong><br />
tra<strong>di</strong>zione orale) e per la presenza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore, <strong>di</strong>plomato al conservatorio ed esperto<br />
conoscitore della teoria musicale "colta". Va però osservato che anche all'interno dei cori
organizzati la trasmissione orale e l'appren<strong>di</strong>mento attraverso l'ascolto rivestono ancora una<br />
basilare importanza. Non tutti i coristi sanno leggere la musica - anzi in alcuni dei più famosi<br />
cori della regione si contano sulle punta delle <strong>di</strong>ta i cantori che possiedono queste capacità - e i<br />
canti vengono insegnati dal maestro attraverso delle strategie assai prossime a quelle della<br />
tra<strong>di</strong>zione orale (ascolto/imitazione, passaggio "bocca-orecchio"). Ogni coro trentino<br />
me<strong>di</strong>amente ha in repertorio <strong>di</strong>verse decine <strong>di</strong> canti. Pertanto ciascun corista - che come si è<br />
detto nella maggior parte dei casi non conosce o non usa la scrittura musicale - deve ricordare<br />
un numero altrettanto elevato <strong>di</strong> linee melo<strong>di</strong>che. Basta questa semplice osservazione per<br />
<strong>di</strong>mostrare il legame essenziale fra la coralità organizzata e la polivocalità tra<strong>di</strong>zionale: solo<br />
delle armonizzazioni fortemente ra<strong>di</strong>cate nel bagaglio culturale dei coristi possono essere<br />
memorizzate in questo modo. Se ciò non fosse l'uso della scrittura sarebbe in<strong>di</strong>spensabile. Se<br />
cioè le armonizzazioni non rispettassero in certo modo le basi <strong>di</strong> quella competenza polivocale<br />
<strong>di</strong> cui abbiamo parlato (e fossero realizzate, per esempio, sui modelli della musica d'arte<br />
barocca, o romantica o comunque lontana della musica etnica) certamente non sarebbe<br />
possibile la loro memorizzazione per dei cantori non professionisti come sono quelli dei cori<br />
alpini.<br />
Del resto Silvio Pedrotti (che gentilmente mi ha parlato della sua attività musicale nel corso <strong>di</strong><br />
un lungo incontro nel febbraio 1997) mi ha raccontato che la commissione del coro SAT ha<br />
richiesto ed ottenuto che niente meno Arturo Benedetti Michelangeli correggesse le proprie<br />
armonizzazioni in alcuni punti in cui esse risultavano <strong>di</strong>fficilmente eseguibili, cioè -<br />
verosimilmente - lontane dal modello standard.<br />
Al <strong>di</strong> là del fatto tecnico-musicale il mondo della coralità organizzata è interessante anche per<br />
la <strong>di</strong>mensione sociale comunque compresa nella sua attività. Far parte <strong>di</strong> un coro è<br />
essenzialmente motivo <strong>di</strong> aggregazione comunitaria: il concerto o l'incisione <strong>di</strong>scografica - al<br />
contrario <strong>di</strong> quanto pensano alcuni stu<strong>di</strong>osi - sono solo un pretesto per l'attività corale, non il<br />
suo scopo primario, che è invece, stare insieme, ritrovarsi dopo il lavoro. Al <strong>di</strong> fuori dei concerti<br />
e delle relative prove preparatorie, i coristi si ritrovano spesso, cantando insieme brani del<br />
repertorio specifici del coro <strong>di</strong> cui fanno parte, brani <strong>di</strong> altri cori o brani tra<strong>di</strong>zionali e non<br />
armonizzati. È in tali occasioni informali che si manifesta pienamente la sostanziale<br />
competenza tra<strong>di</strong>zionale (polifonia trentina) con<strong>di</strong>visa da tutti i coristi trentini: per esempio<br />
nella capacità (che ho <strong>di</strong>rettamente rilevato) <strong>di</strong> eseguire canti <strong>di</strong> cui non sono note le parti o <strong>di</strong><br />
proporre imme<strong>di</strong>atamente l'accompagnamento a più voci <strong>di</strong> una linea melo<strong>di</strong>ca appena<br />
ascoltata. Basta che qualcuno intoni una melo<strong>di</strong>a e subito c'è chi la raddoppia una terza sopra<br />
(o sotto) e chi aggiunge una parte <strong>di</strong> basso secondo lo schema della musica tra<strong>di</strong>zionale prima<br />
citato.<br />
D'altra parte se si analizzasse la struttura profonda dei repertori utilizzati dai <strong>di</strong>versi cori,<br />
sfrondandola degli artifici e dei manierismi superficiali, sono certo che emergerebbe<br />
chiaramente l'ossatura base della polivocalità alpina - magari volutamente inquadrata dentro
un contesto armonico pienamente tonale. Del resto anche ad uno sguardo superficiale appare<br />
evidente la sostanziale omoritmia delle parti e il ruolo fondante dell'intervallo armonico <strong>di</strong><br />
terza. (Ciò al <strong>di</strong> là della bravura degli armonizzatori, capaci <strong>di</strong> variare e "vivificare" il modello<br />
base: argomento questo che ci porterebbe al <strong>di</strong> là degli obbiettivi dell'incontro o<strong>di</strong>erno e che<br />
pertanto tratteremo in una apposita occasione più avanti). A queste ragioni si associano anche<br />
motivi simbolici e <strong>di</strong> indentità etnica che si rispecchiano anche nella scelta dei testi, o nella<br />
avvertita <strong>di</strong>versità stilistica.<br />
D'altra parte il mondo della coralità organizzata non può non influenzare la pratica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />
orale. Numerosi sono ad esempio i brani eseguiti nelle occasioni <strong>di</strong> incontro collettive (contesti<br />
esecutivi) che adattano secondo la prassi esecutiva tra<strong>di</strong>zionale, (polifonia trentina) i più<br />
famosi canti del repertorio della coralità alpina.<br />
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 142 BRANO 9<br />
«In alto i cor / com'è dolce l'u<strong>di</strong>r» Katzenau (versione cantata del brano Fior <strong>di</strong> roccia<br />
<strong>di</strong> Giacomo Sartori, 1914; parole <strong>di</strong> Romano Joris 1919) - per altre informazioni su<br />
questo brano ve<strong>di</strong> Mirko Saltori, Giacomo Sartori, il circolo mandolinistico trentino, Tesi<br />
<strong>di</strong> Laurea in Etnomusicologia, Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia <strong>di</strong> Trento, A.A. 1999-2000)<br />
Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e due donne originari <strong>di</strong> Faedo. Registrazione<br />
realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio Macchiarella.<br />
Allo stesso tempo le convenzioni esecutive apprese facendo parte <strong>di</strong> un coro alpino hanno<br />
riflesso anche nella pratica tra<strong>di</strong>zionale. È il caso, ad esempio, delle esecuzioni in cui si notano<br />
moti obliqui (o contrari) fra le parti che producono cadenze chiaramente <strong>di</strong> tipo tonale, oppure<br />
i casi in cui la parte maschile ribatte alcune note (<strong>di</strong> solito primo e quinto grado della scala)<br />
omoritmicamente con le due (o più) superiori, determinando una sorta <strong>di</strong> effetto pedale<br />
mobile. Ciò è soprattutto evidente nel pratica polifonica dei gruppi maschili, che spesso<br />
de<strong>di</strong>cano una particolare attenzione perfino alla <strong>di</strong>namica (cosa poco comune nella tra<strong>di</strong>zione<br />
orale). Ad<strong>di</strong>rittura secondo alcuni cantori cembrani una continua variazione del volume<br />
qualifica il «bel canto» e la cura della <strong>di</strong>namica è comunque in<strong>di</strong>spensabile per la buona riuscita<br />
dell'esecuzione: «a far bene, sostiene uno dei cantori cembrani, bisogna alternare sempre<br />
piano e forte».<br />
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 106 BRANO1<br />
«Siete turchi lo sapete» (I scalini della scala). Frammento. Registrazione realizzata a<br />
Cembra il 26/7/1999 da Ignazio Macchiarella, Sandra Matuella e Boris Ferrari.<br />
La polifonia femminile, invece, sono più "fedeli" alla tra<strong>di</strong>zione e meno proclivi ad accettare<br />
innovazioni o influenze della coralità alpina organizzata. L'andamento polifonico è<br />
rigorosamente a due parti vocali, anch'esse definite prima e seconda, le quali procedono<br />
omoritmicamente, con minime variazioni <strong>di</strong>namiche ed agogiche. In qualche caso vengono<br />
realizzati dei raddoppi all'ottava superiore in fase <strong>di</strong> cadenza. Le strofe sono piuttosto brevi e<br />
regolari, formate da due-quattro versi musicali.
Polifonia trentina<br />
È indubbio che la polifonia rappresenti l'espressione maggiormente caratterizzante del<br />
patrimonio etnomusicologico trentino, anzi, si potrebbe sostenere che ne costituisca il<br />
fondamento, il car<strong>di</strong>ne essenziale. Cantare a più voci (ve<strong>di</strong> canto polifonico) è una pratica che<br />
nella tra<strong>di</strong>zione orale non ha finalità estetiche (come avviene invece nel caso della coralità<br />
alpina organizzata). Si tratta <strong>di</strong> una azione connaturata allo stare insieme e che perciò<br />
presuppone l'esistenza <strong>di</strong> precise occasioni <strong>di</strong> incontro collettivo quali sono, ancor oggi, le<br />
serate in osteria, le feste paesane o private, le gite, eccetera (ve<strong>di</strong> contesti esecutivi). In tali<br />
occasioni il canto è <strong>di</strong> norma eseguito con il concorso <strong>di</strong> tutti i partecipanti e risulta articolato<br />
almeno in due parti vocali: ogni parte viene realizzata da più cantori all'unisono. Per cantare<br />
insieme a più parti è necessaria comunque una particolare competenza dei partecipanti che<br />
debbono in qualche modo collaborare reciprocamente. Ciò si deve ammettere anche nel caso in<br />
cui il risultato musicale sia il più semplice possibile: il raddoppio <strong>di</strong> una linea melo<strong>di</strong>ca ad una<br />
costante <strong>di</strong>stanza intervallare. Ogni cantore ha piena consapevolezza della parte (o delle parti)<br />
che può concorrere a realizzare, se cioè sa far <strong>di</strong> "primo", <strong>di</strong> "secondo" o <strong>di</strong> "basso".<br />
Normalmente l'attacco è realizzato da una sola voce. Una volta avviata l'esecuzione tutte le<br />
voci si <strong>di</strong>stribuiscono nell'ambito delle due o più parti: un processo frutto della profonda<br />
conoscenza della struttura formale del repertorio (e mai dovuto alle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> un maestro o<br />
<strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore), risultato dei meccanismi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato tra<strong>di</strong>zionali ancora operanti.<br />
«<strong>Canto</strong> <strong>di</strong> càneva». Polifonia maschile della Val <strong>di</strong> Cembra. Foto realizzata durante una<br />
registrazione nel febbraio 2002.<br />
Una competenza <strong>di</strong> questo tipo deve essere considerata come un elemento specifico della<br />
cultura trentina e, più in generale, alpina. Per intenderci: se ad esempio un gruppo qualsiasi <strong>di</strong>
siciliani, <strong>di</strong> calabresi, <strong>di</strong> toscani o <strong>di</strong> altre regioni centro-meri<strong>di</strong>onali canta in coro il risultato è<br />
in genere il raddoppio all'unisono <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a. La capacità nel <strong>di</strong>stribuirsi in più parti<br />
separate, che in Trentino costituisce la norma, è il risultato <strong>di</strong> una specializzazione nell'ambito<br />
della tra<strong>di</strong>zione orale. Non si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una capacità naturale bensì <strong>di</strong> una competenza<br />
acquisita. È perciò quanto mai inopportuno definire spontaneo il canto polivocale tra<strong>di</strong>zionale<br />
(come invece hanno fatto - e fanno tuttora - alcuni stu<strong>di</strong>osi della musica trentina). Del resto<br />
l'etnomusicologia ha chiaramente <strong>di</strong>mostrato che nessun canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, per quanto<br />
semplice possa apparire, si può considerare frutto della spontaneità! L'aggettivo spontaneo (ed<br />
altri analoghi come "genuino", "naturale", "primor<strong>di</strong>ale") che viene applicato alla musica <strong>di</strong><br />
tra<strong>di</strong>zione orale riflette approcci <strong>di</strong> tipo romantico che nulla hanno a che fare con la ricerca<br />
etnomusicologica.<br />
Per quanto riguarda la struttura musicale, la polivocalità trentina rientra pienamente nella<br />
tipologia caratteristica dell'area alpina, variante del più generale modello <strong>di</strong>ffuso nell'Italia<br />
settentrionale e in tutta l'Europa centro-orientale. Si tratta <strong>di</strong> un impianto melo<strong>di</strong>co-lineare,<br />
imperniato su due parti parallele alle quali si possono aggiungere una terza ed una quarta<br />
parte, al grave e/o all'acuto. Le due parti fondamentali procedono omoritmicamente, nota<br />
contro nota, ad una costante <strong>di</strong>stanza intervallare costituita <strong>di</strong> norma da una terza. Le parti<br />
eventualmente aggiunte <strong>di</strong> solito raddoppiano all'ottava, inferiore e/o superiore, le due<br />
fondamentali. Ciascuna parte può essere eseguita da più <strong>di</strong> un cantore. <strong>Il</strong> numero delle voci<br />
che cantano l'una è in<strong>di</strong>pendente rispetto a quello delle altre. L'esecuzione è solitamente<br />
avviata da una sola voce. L'entrata delle altre, e quin<strong>di</strong> della seconda parte, ha luogo <strong>di</strong> solito<br />
al primo accento forte nel caso vi sia attacco con anacrusi, evenienza decisamente or<strong>di</strong>naria<br />
nel Trentino. Tutte le parti cantano il testo verbale. Nel corso dell'esecuzione il rigido<br />
parallelismo può essere interrotto da note <strong>di</strong> volta, ritar<strong>di</strong> o anticipazioni realizzate da una delle<br />
due parti. Si tratta, comunque, sempre <strong>di</strong> passaggi transitori e con carattere ornamentale che<br />
spesso sono in<strong>di</strong>cative <strong>di</strong> rapporti con la coralità organizzata (tra<strong>di</strong>zione orale e coralità alpina).<br />
Di norma il canto è a cappella. Solo in alcuni casi si sono ascoltate esecuzioni con<br />
l'accompagnamento <strong>di</strong> strumenti musicali (fisarmonica soprattutto) che si limitano a proporre<br />
un ulteriore raddoppio della linea melo<strong>di</strong>ca (sostenuto, nel caso della fisarmonica, dagli accor<strong>di</strong><br />
sui gra<strong>di</strong> fondamentali della scala).
Polifonia femminile a Cembra. Fotografia scattata durante una registrazione nell'agosto 2001.<br />
Al degli aspetti tecnico-formali, la polifonia trentina assume soprattutto dei valori simbolici,<br />
valori attraverso cui si esprime il piacere dello stare e del cantare insieme che sono ancora<br />
molto avvertiti (e non soltanto nelle valli o nei paesini isolati), riaffermando con forza la<br />
specificità e l'identità culturale della provincia.<br />
Contesti esecutivi<br />
Nel complesso il Trentino possiede un vasto patrimonio <strong>di</strong> canti trasmessi per tra<strong>di</strong>zione orale<br />
che facilmente si può documentare girando per le vallate. Un patrimonio che rappresenta<br />
un'espressione musicale viva, conosciuta ed eseguita da una fascia piuttosto ampia <strong>di</strong><br />
popolazione. Un'espressione piacevole per chi la realizza, che possiede dei precisi significati<br />
sociali e veicola dei valori collettivi: attraverso il canto tra<strong>di</strong>zionale una comunità si riconosce e<br />
si manifesta come tale.<br />
Nella o<strong>di</strong>erna realtà del Trentino i contesti esecutivi più importanti sono indubbiamente<br />
costituiti dalle numerose occasioni <strong>di</strong> incontro collettivo extralavorativo. È il caso soprattutto<br />
degli incontri fra uomini e donne nelle se<strong>di</strong> dei circoli ricreativi, delle associazioni culturali, delle<br />
società alpinistiche e così via. Contesti assai importanti sono i festeggiamenti legati alle<br />
ricorrenze del calendario annuale, religiose o profane, oppure le innumerevoli sagre paesane e<br />
feste sociali, promosse delle società alpinistiche, dalle pro-loco, dai circoli ANA, dalle<br />
associazioni cattoliche e così via, che ravvivano ciascun paese della provincia soprattutto nei<br />
mesi primaverili-estivi. In queste occasioni, al <strong>di</strong> là della programmazione ufficiale (spesso<br />
imperniata su un concerto <strong>di</strong> uno o più cori alpini organizzati) gli uomini e le donne, i giovani e
gli anziani <strong>di</strong> un paese si ritrovano insieme - magari con il pretesto <strong>di</strong> un banchetto in piazza o<br />
<strong>di</strong> una bevuta <strong>di</strong> vino ed un assaggio <strong>di</strong> prodotti alimentari "tipici" - finendo, <strong>di</strong> norma, per<br />
intonare dei canti tra<strong>di</strong>zionali alla cui esecuzione possono prendere parte tutti i convenuti.<br />
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 33 BRANO 2<br />
«Sento il fischio del vapore». (brano appartenente al genere canzone tra<strong>di</strong>zionale ve<strong>di</strong><br />
Principali Repertori) Esecuzione contestuale effettuata durante un banchetto dei<br />
membri <strong>di</strong> un'associazione privata. Registrazione realizzata a Storo il 1/3/1996 da<br />
Ignazio Macchiarella.<br />
"Cembra 1999: si canta al termine <strong>di</strong> un banchetto<br />
Accanto alle occasioni <strong>di</strong> incontro collettivo pubbliche vi sono quelle a carattere privato-<br />
familiare, connesse a cerimonie celebrative (ad esempio banchetti <strong>di</strong> nozze, battesimi,<br />
compleanni) o senza una specifica motivazione (cene in campagna, riunioni tra amici e<br />
parenti). In tali circostanze l'esecuzione dei repertori tra<strong>di</strong>zionali può durare a lungo e,<br />
soprattutto in estate, può protrarsi fino a tarda notte. In tutti i casi fin qui citati il canto ha<br />
funzione <strong>di</strong> intrattenimento collettivo, espressione del piacere del ritrovarsi insieme. Esso<br />
inoltre costituisce un fondamentale strumento <strong>di</strong> identificazione sociale, al pari del <strong>di</strong>aletto:<br />
attraverso l'esecuzione musicale (che non ha bisogno <strong>di</strong> prove o <strong>di</strong> specifica preparazione) <strong>di</strong><br />
brani a tutti noti, i partecipanti ad un incontro si riconoscono imme<strong>di</strong>atamente come membri <strong>di</strong><br />
una stessa comunità.
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 142 BRANO 8<br />
«In riva al mare/ C'è un prât fiorito». Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e due donne<br />
originari <strong>di</strong> Faedo che ogni tanto, privatamente, si ritrovano insieme, in città.<br />
Registrazione realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio Macchiarella.<br />
Per il resto, scomparsi del tutto i contesti esecutivi connessi alle attività lavorative manuali del<br />
passato, vi sono ancora alcune feste del calendario annuale in occasione delle quali hanno<br />
luogo rituali che prevedono l'esecuzione <strong>di</strong> specifici repertori tra<strong>di</strong>zionali. È il caso del<br />
Carnevale che in alcuni paesi prevede lo svolgimento <strong>di</strong> articolate rappresentazioni in<br />
maschera, oppure del Natale e dell'Epifania quando si svolgono delle questue rituali.<br />
Particolare importanza ha il cosiddetto canto dei Tre re, <strong>di</strong>ffuso in <strong>di</strong>verse varianti, che<br />
accompagna il rituale della Stela, una questua rituale <strong>di</strong> fine/inizio d'anno incentrata su un<br />
canto il cui testo è documentato in fonti a stampa del XVI secolo (ve<strong>di</strong> Renato Morelli, Dolce<br />
felice notte ... Sacri canti <strong>di</strong> Giovan Battista Michi, Quaderni <strong>di</strong> Trentino Cultura, Trento 2001).<br />
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 71 BRANO 9<br />
«Noi siamo i tre re dell'Oriente» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Esecuzione contestuale.<br />
Registrazione effettuata a Palù - Val dei Mocheni, il 31/12/1997 da Sandra Matuella e<br />
Boris Ferrari.<br />
Rituale della Stela, Palù - Val dei Mocheni, il 31/12/1997<br />
Negli ultimi anni il <strong>Canto</strong> dei tre re con il rituale della Stela sono oggetto <strong>di</strong> una notevole<br />
revival in numerosi paesi della provincia. A Faedo, ad esempio, per iniziativa <strong>di</strong> alcuni uomini
(soprattutto dei fratelli Bruno e Giovanni Filippi) viene organizzato una articolata<br />
manifestazione, con la presenza <strong>di</strong> vari figuranti che coinvolge praticamente l'intero paese.<br />
L'esempio sonoro si riferisce all'e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> quest'anno.<br />
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 141 BRANO 1<br />
«Noi siamo i tre re» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Esecuzione gruppo <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci uomini circa.<br />
Registrazione contestuale realizzata a Faedo il 5/1/2002 da Ignazio Macchiarella e<br />
Dennis Pisetta.<br />
Revival <strong>di</strong> questo tipo vengono sempre più documentati in provincia anche a proposito <strong>di</strong> altri<br />
rituali e <strong>di</strong> altre forme <strong>di</strong> canto e <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> stare insieme tra<strong>di</strong>zionali. Si tratta <strong>di</strong> interessanti<br />
segnali che si inseriscono entro più generali processi <strong>di</strong> riappropriazione della musica e più in<br />
generale della cultura tra<strong>di</strong>zione da parte delle giovani generazioni, in Italia ed un po' in tutta<br />
Europa: una riscoperta delle micro-specificità culturali a carattere locale che si oppone, più o<br />
meno esplicitamente o consapevolmente, alla tendenze all'omologazione della società <strong>di</strong> massa<br />
(per lo specifico italiano ve<strong>di</strong> Ignazio Macchiarella, Voix d'Italie, Cité de la musique/Actes Sud,<br />
Paris 1999).<br />
Raduno <strong>di</strong> "stellari" della Val Rendena a Vermiglio. Dicembre 2000<br />
L'ambiente familiare, infine, costituisce ancora, in <strong>di</strong>versi casi, il contesto esecutivo per<br />
repertori privati come ninna-nanne, filastrocche eccetera. Tali contesti, tuttavia, sono assai<br />
<strong>di</strong>fficilmente documentabili in vivo proprio perché appartenenti alla sfera più intima della vita<br />
domestica. Non mancano comunque le testimonianze da parte <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse donne che riferiscono<br />
<strong>di</strong> eseguire spesso tali repertori ai propri figli o nipoti (v. ad esempio la tesi <strong>di</strong> laurea in<br />
etnomusicologia <strong>di</strong> Saba Terzi, Ninnananne e canti infantili del Trentino, Facoltà <strong>di</strong> Lettere e<br />
Filosofia <strong>di</strong> Trento, Anno Accademico 1999-2000, relatore prof. Rossana Dalmonte - i materiali<br />
raccolti per la realizzazione <strong>di</strong> questa tesi sono depositati presso l'Archivio del Laboratorio <strong>di</strong><br />
Etnomusicologia - raccolte 93-97)
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 93 BRANO 1<br />
«Izo izo cavalizo». Registrazione effettuata a Tione il 30/4/1999 da Saba Terzi<br />
ESEMPIO SONORO RACCOLTA 95 BRANO 2<br />
«Din don campanon». Registrazione effettuata a Vigo Rendena il 26/5/1999 da Saba<br />
Terzi<br />
Bambini partecipanti al raduno <strong>di</strong> "stellari" della Val Rendena a Vermiglio. Dicembre 2000<br />
Documenti Documenti sonori sonori originali originali proposti proposti all'ascolto::<br />
all'ascolto::<br />
RACCOLTA 15 BRANO 1<br />
«Faghe la ninna nanna». Registrazione realizzata a Faedo nel novembre-<strong>di</strong>cembre<br />
1993 da Bruno Filippi, Roberto Gianotti e Renato Morelli. Copia del documento sonoro<br />
originale donato da Bruno Filippi al Laboratorio <strong>di</strong> Etnomusicologia nel 1996.<br />
RACCOLTA 16 BRANO 1<br />
«Teresina va ti vesti» (Bella al ballo). Frammento. Registrazione realizzata a Faedo nel<br />
novembre-<strong>di</strong>cembre 1993 da Bruno Filippi, Roberto Gianotti e Renato Morelli. Copia del<br />
documento sonoro originale donato da Bruno Filippi al Laboratorio <strong>di</strong> Etnomusicologia<br />
nel 1996.<br />
RACCOLTA 31 BRANO 1<br />
Trato marzo. Frammento. (esecuzione non contestuale, su richiesta del ricercatore).<br />
Registrazione realizzata a Storo il 1/3/1996 da Ignazio Macchiarella.<br />
RACCOLTA 33 BRANO 2<br />
«Sento il fischio del vapore». Frammento. Esecuzione contestuale durante un<br />
banchetto dei membri <strong>di</strong> un'associazione privata. Registrazione realizzata a Storo il<br />
1/3/1996 da Ignazio Macchiarella.<br />
RACCOLTA 36 BRANO 12<br />
«La vien giù dalle montagna» (Casto rifiuto). Frammento. Registrazione realizzata a<br />
Con<strong>di</strong>no il 11/3/1996 da Ignazio Macchiarella.
RACCOLTA 47 BRANO 11<br />
«El villano che zappa la terra» (Volta la carta). Frammento. Esecuzione <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />
anziani frequentanti i corsi dell'Università della III età. Registrazione realizzata a<br />
Trento il 28/11/1996.<br />
RACCOLTA 71 BRANO 9<br />
«Noi siamo i tre re dell'Oriente» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Frammento. Esecuzione<br />
contestuale. Registrazione effettuata a Palù - Val dei Mocheni, il 31/12/1997 da Sandra<br />
Matuella e Boris Ferrari.<br />
RACCOLTA 93 BRANO 1<br />
«Izo izo cavalizo». Registrazione effettuata a Tione il 30/4/1999 da Saba Terzi<br />
(materiale documentario per la realizzazione <strong>di</strong> una tesi <strong>di</strong> laurea in etnomusicologia)<br />
RACCOLTA 94 BRANO 6<br />
«La bella inglesina» (L'inglesina). Esecuzione <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong> Vermiglio<br />
durante una lezione <strong>di</strong> etnomusicologia presso la facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />
dell'Università <strong>di</strong> Trento (17 maggio 1998, aula 3)<br />
RACCOLTA 94 BRANO 1<br />
«Carezze», Valzer. Autore Francesco Riccar<strong>di</strong>. Frammento. Esecuzione <strong>di</strong> un gruppo<br />
strumentale a plettro <strong>di</strong> Meano-Gazza<strong>di</strong>na durante una lezione <strong>di</strong> etnomusicologia<br />
presso la facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia dell'Università <strong>di</strong> Trento (17 maggio 1998, aula<br />
3)<br />
RACCOLTA 95 BRANO 2<br />
«Din don campanon». Registrazione effettuata a Vigo Rendena il 26/5/1999 da Saba<br />
Terzi (materiale documentario per la realizzazione <strong>di</strong> una tesi <strong>di</strong> laurea in<br />
etnomusicologia)<br />
RACCOLTA 106 BRANO1<br />
«Siete turchi lo sapete» (I scalini della scala). Frammento. Registrazione realizzata a<br />
Cembra il 26/7/1999 da Ignazio Macchiarella, Sandra Matuella e Boris Ferrari.<br />
RACCOLTA 108 BRANO 2<br />
«E lassù sulle montagne» (La pastora e il lupo). Esecuzione gruppo <strong>di</strong> sei donne.<br />
Registrazione realizzata a Cembra il 17 agosto 1999 da Ignazio Macchiarella, Sandra<br />
Matuella e Boris Ferrari.<br />
RACCOLTA 141 BRANO 1<br />
«Noi siamo i tre re» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Frammento. Esecuzione gruppo <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci uomini<br />
circa. Registrazione contestuale realizzata a Faedo il 5/1/2002 da Ignazio Macchiarella<br />
e Dennis Pisetta.<br />
RACCOLTA 142 BRANO 8<br />
«In riva al mare/ C'è un prât fiorito». Frammento. Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e<br />
due donne originari <strong>di</strong> Faedo. Registrazione realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio<br />
Macchiarella.<br />
RACCOLTA 142 BRANO 9<br />
«In alto i cor / com'è dolce l'u<strong>di</strong>r» Katzenau. Frammento. (versione cantata del brano<br />
Fior <strong>di</strong> roccia <strong>di</strong> Giacomo Sartori, 1914; parole <strong>di</strong> Romano Joris 1919) - per altre<br />
informazioni su questo brano ve<strong>di</strong> Mirko Saltori, Giacomo Sartori, il circolo<br />
mandolinistico trentino, Tesi <strong>di</strong> Laurea in Etnomusicologia, Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />
<strong>di</strong> Trento, A.A. 1999-2000) Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e due donne originari <strong>di</strong><br />
Faedo. Registrazione realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio Macchiarella.
8-La Musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale in Abruzzo<br />
La trascrizione <strong>di</strong> un brano <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale sul pentagramma, un arrangiamento,<br />
un’orchestrazione, una libera trasposizione per pianoforte, ha causato un così forte impoverimento<br />
delle caratteristiche proprie della musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale (da un punto <strong>di</strong> vista demoantropologico<br />
e musicologico) da determinarne la sua quasi totale estinzione. Epitaffio la tarantella per pianoforte.<br />
Dall’altro lato molti stu<strong>di</strong>osi delle tra<strong>di</strong>zioni, seguendo un istinto romantico hanno trascritto i testi<br />
senza il loro contesto musicale, finendo cosi <strong>di</strong> smembrare quel corpus in<strong>di</strong>ssolubile cui musica e<br />
canto partecipano. Insensibilmente si è passati da folklore/musica tra<strong>di</strong>zionale a folklorismo/musica<br />
popolare che non sono sinonimi. I folklorismi sono rappresentazioni più o meno artistiche e infedeli<br />
o ad<strong>di</strong>rittura inventate della tra<strong>di</strong>zione, manifestate in mo<strong>di</strong> e luoghi remoti rispetto alla tra<strong>di</strong>zione.<br />
In questo passaggio sono stati accantonati centinaia <strong>di</strong> brani musicali, canti e <strong>di</strong> balli mentre un<br />
unico motivo globalizzante, apocrifo, agiografico, vola vola vola (composta da Albanese -<br />
Dommarco, 1922), trionfava ignaro del <strong>di</strong>sastro, nel 1953 vincitore <strong>di</strong> un festival europeo ad<br />
epitaffio della tra<strong>di</strong>zione musicale abruzzese. Un altro esempio é reginella campagnola <strong>di</strong> C.<br />
Bruno e Eldo Di Lazzaro (1939), composizione che nulla ha a che fare con lo stile e i contenuti della<br />
musica e del canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale abruzzese. Nel secolo appena passato, il cambio culturale ha<br />
agito profondamente e rapidamente spostando la proprietà della musica, del canto e della danza dal<br />
popolo ad Enti impersonali come le case e<strong>di</strong>trici, la SIAE, la RAI, le emittenti ra<strong>di</strong>ofoniche, i gestori<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>scoteche, le multinazionali.<br />
<strong>Il</strong> risultato ultimo è la decontestualizzazione e defunzionalizione della musica tra<strong>di</strong>zionale in<br />
opposizione al sincretismo culturale della musica abruzzese che consiste nella sua tracciabilità<br />
filologica e ontologica sia in linea cronologica che in linea trasversale quando <strong>di</strong>venta, anzi è<br />
sempre, parte integrante della cultura tra<strong>di</strong>zionale, della storia, ballo, rito magico o religioso, cibo,<br />
poesia come espressione dei sentimenti umani, senza filtri estetici, morali o manierismi. Non si<br />
cantava ne a coro e a solo esisteva solo il cantare assieme e solo durante le fasi salienti della vita.<br />
Nella tra<strong>di</strong>zione non esiste una netta <strong>di</strong>fferenza tra musica, canto e ballo e resta sempre il fatto che<br />
spesso la voce e le semplici percussioni fatte con parti del corpo od oggetti comuni sostituiscono lo<br />
strumento musicale.<br />
Pochi frammenti ancora casualmente affiorano nella memoria degli abruzzesi e magari degli<br />
emigranti che ritornano per la festa del paese, ma è solo una pallida realtà rispetto all’originale. Dal<br />
dopoguerra ai giorni nostri cito il lavoro <strong>di</strong> Bruni, Nataletti, Lomax, Carpitella, Profeta, Gandolfi, De<br />
Silvestre, Giancristofaro, Gala e Di Virgilio.<br />
Domenico Di Virgilio ha cercato <strong>di</strong> riproporre lo scavo archeologico delle tra<strong>di</strong>zioni musicali<br />
abruzzesi, ma per essere creduto ha dovuto usare l’arido linguaggio del purista, del fonetista, del<br />
musicologo tecnico, ponendoci il dubbio se la <strong>di</strong>stanza che c’è tra noi e la musica tra<strong>di</strong>zionale non<br />
sia ormai troppo grande.<br />
Pino Gala ha fatto un opera unica <strong>di</strong> salvataggio e raccolta <strong>di</strong> dati etnocoreologici che ancora deve
trovare un adeguato contesto e riconoscimento ufficiale in Abruzzo.<br />
Emiliano Giancristofaro e in minor misura Lomax hanno raccolto anzi mietuto l’unica poca messe<br />
rimasta tra gli anni 50 e 60, consegnandoci un repertorio misto ormai irrecuperabilmente marcato<br />
da un leggibile folklorismo.<br />
Un esempio Scura Maje. Scura Maje è molto conosciuto ed in realtà è una paro<strong>di</strong>a del canto funebre<br />
abruzzese, veniva cantato dalla vedova del Carnevale, la più importante festa in Abruzzo, un<br />
maschio en travestì, durante il corteo funebre grottesco del carnevale. Una versione probabilmente<br />
poco rimaneggiata ce l’ha lasciata Lomax e cantata dal celebre Giuseppillo <strong>di</strong> Scanno mentre<br />
Giancristofaro riporta una versione tangata, su cui esistono ipotesi tanto esotiche quanto<br />
inverosimili, e cantata dalla celebre solista Antonietta D’Angeloantonio del gruppo folkloristico <strong>di</strong><br />
Vasto. <strong>Il</strong> lamento funebre è la forma mono<strong>di</strong>ca più arcaica <strong>di</strong> ritualizzazione del dolore. Troppo lungo<br />
il tempo richiesto per declinare tutti i vari tipi <strong>di</strong> canti e circostanze della vita associati al canto<br />
mono<strong>di</strong>co (ninnananne, canti a suspitte, alcune ballate, le ottave improvvisate). Invece lu avete e lu<br />
basse sono la base del canto bivocalico (tipico dei canti <strong>di</strong> questua: Pasquetta, San’Antonio,<br />
Passione). Quasi sempre un canto bivocalico si traduce in polivocalità se sono presenti più <strong>di</strong> tre<br />
persone come nell’esecuzione della celebre ballata la fija <strong>di</strong> Caitanelle, o le funtanelle. La<br />
polivocalità è la costruzione musicale indefinibile basata su un ingresso ad libitum dettato dall’uso e<br />
dall’abitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> più voci intorno al basso ma anche in duplicazione in sor<strong>di</strong>na all’avete. Non esiste<br />
musica tra<strong>di</strong>zionale polifonica tranne forse che nel caso dei Tenores sar<strong>di</strong>!<br />
Prima caratteristica della Musica <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione orale è il Timbro espressivo che è la qualità più<br />
importante. Ben si sposa foneticamente con il <strong>di</strong>aletto. In fatti il <strong>di</strong>aletto ha potenzialità vocali<br />
enormemente maggiori dell’Italiano che vengono <strong>di</strong> solito arrangiate in strummotti (<strong>di</strong>stico <strong>di</strong><br />
endecasillabi). <strong>Il</strong> timbro tra<strong>di</strong>zionale ha una frequenza formantica intorno a 2000-4000 Hz ma ha<br />
parziali elevatissimi fino ad oltre i 16.000 hertz. Una simile performance richiede un atteggiamento<br />
fonetico ed anatomico tipico, detto a Gola Tesa e deriva dal fatto <strong>di</strong> dover conciliare il canto col<br />
lavoro, col camminare, col farsi sentire, con la fatica fisica in generale. Infatti, nel canto spesso non<br />
esiste battuta e metrica precisi ma è il movimento a dare la scanzione, se il movimento rallenta<br />
anche il dettato musicale si allunga asimmetricamente. Oppure se il cantore non se lo ricorda e<br />
improvvisa. Altri esempio sono i canti processionali. Altre caratteristiche tecniche della musica <strong>di</strong><br />
tra<strong>di</strong>zione orale è non solo la non mensurabilità ma anche appoggiature in e (eeEEE), i portamenti,<br />
la vocalizzazione al termine della frase melo<strong>di</strong>ca e lo stop glottale. La voltata è un cambiamento del<br />
modulo melo<strong>di</strong>co e ritmico che <strong>di</strong>viene mensurabile e determina un sensibile cambio dell’atmosfera<br />
musicale si trova con frequenza come ad esempio ne la partenza, etc<br />
Che <strong>di</strong>re poi dei pregi/<strong>di</strong>fetti? del canto tra<strong>di</strong>zionale, gioia degli antropologi e dolore dei maestri <strong>di</strong><br />
corali, non è temperato e manifesta sfrontatamente un numero <strong>di</strong> “note” maggiore <strong>di</strong> quante se ne<br />
possono scrivere nel pentagramma. E' per questo che il canto tra<strong>di</strong>zionale quasi mai si avvale <strong>di</strong><br />
strumenti e comunque il passaggio all’uso <strong>di</strong> strumenti con note fisse rappresenta già un<br />
impoverimento musicale cosi come il passaggio dall’uso <strong>di</strong> strumenti a toni non fissi e suono<br />
variabile come la scupine a strumenti come la dubbotte che ne rappresenta la più facile
continuazione (con per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> richhezza espressiva). Già abbiamo parlato all’inizio <strong>di</strong> altre<br />
usurpazioni.<br />
Perchè la musica è sincretismo storico, riporto il caso della Cotte, musica e ballo <strong>di</strong> origine spagnole<br />
(jota) abruzzesizzati in un contesto storico e sociale preciso. Più recentemente un numero <strong>di</strong> brani<br />
tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> origine nord italiana sono arrivati in Abruzzo con i ragazzi del ’99 ma si sono<br />
sincretizzati assumendo le modalità polivocali e tonali del canto abruzzese.<br />
bibliografia essenziale<br />
Domenico Di Virgilio (2000) LA MUSICA DI TRADIZIONE ORALE IN ABRUZZO. Quaderni Rivista<br />
Abruzzese, 35,pp 208.<br />
Emiliano Giancristofaro (2002) CANTI POPOLARI ABRUZZESI. Quadreni Rivista Abruzzese, 42,<br />
1pp. 57.<br />
Carlo <strong>di</strong> Silvestre (1994) IL CANTO LIRICO NELLA TRADIZIONE ORALE ABRUZZESE: La<br />
partenza della sposa. I Tascabili d' Abruzzo 66, pp. 96.<br />
Canti Tra<strong>di</strong>zionali <strong>Il</strong> repertorio abruzzese è legato in parte ai folklorismi, agli arrangiamenti, alla<br />
contaminazione, cosi <strong>di</strong>fficile resistergli cosi <strong>di</strong>fficili da eliminare. Facciamo il massimo sforzo per<br />
tornare alla realtà storica. Sussiste inoltre il problema della <strong>di</strong>slocazione, della globalizzazione e<br />
dell'anacronismo delle tra<strong>di</strong>zioni ma tutto questo è quasi impossibile da eliminare anche se<br />
cerchiamo sempre <strong>di</strong> adattare le nostre partecipazioni al ciclo calendariale, alle circostanze e alla<br />
storia locale.<br />
Canti a suspitte adatti a varie situazioni ma soprattutto durante momenti allegri e <strong>di</strong> banchetto.<br />
si tratta <strong>di</strong> competizioni poetico-canore <strong>di</strong> strofe cantate spesso sul tempo <strong>di</strong> saltarella che<br />
umoristicamente trattano <strong>di</strong> varie situazioni oppure invocano la buona sorte o esprimono<br />
esortazioni amorose, la Cumbagnie li esegue accompagnati dalla musica del Du'bbotte e del<br />
tamburello. Maria Nicole, Fra Gaeta, Lu primme ammore sono quelli più popolari e ancora in<br />
voga....<br />
Maitinate Nella tra<strong>di</strong>zione il Natale non è quella festa consumistica ed eclatante che oggi<br />
conosciamo. il canto delle maitinate si esegue nel periodo dell'epifania, che è il tempo per<br />
l'omaggio al bambino Gesù e in alcune zone d'Abruzzo si accompagna anche al canto della<br />
pasquetta (pasqua-epifania) soprattutto nel Teramano. sia le maitinate che la pasquetta culminano<br />
con un canto <strong>di</strong> questua. Da questo momento fino a Maggio, i canti <strong>di</strong> questua proliferano!<br />
Sant'Antonio <strong>Il</strong> Sant'Antonio è un evento tra i più importanti tra i riti del solstizio invernale, il<br />
canto rievoca in vario modo la vita <strong>di</strong> Sant'Antonio spesso in maniera caricata e con vari spunti<br />
comici, avvolte invece è molto serio. la nostra versione è quella della zona <strong>di</strong> Chieti-francavilla ma<br />
molto <strong>di</strong>ffusa anche altrove. al fuoco delle farchie il Sant'Antonio viene cantato <strong>di</strong> casa in casa.<br />
Sant'Antonio accompagnato da due rumiti è intento alle solite faccende domestiche ma viene<br />
assalito e tormentato da 4 <strong>di</strong>avoli (li ciuce) due rossi e due neri. uno <strong>di</strong> loro è travestito da donzella<br />
peccaminosa e procace. l'Arcangelo Gabriele interviene a ripristinare l'or<strong>di</strong>ne. altre figure sono i
pastori omaggianti e l'immancabile pecorella <strong>di</strong>spettosa. tutti i personaggi sono rigorosamente<br />
interpretati da maschi mentre le femmine cantano in coro.<br />
La Scura Majë e il carnevale Satira del lamento funebre abruzzese che per altro è un genere<br />
interessantissimo e molto commovente tuttavia la Scura Maje ha spunti comici in quanto si tratta<br />
del canto funebre della vedova del Carnevale chepiangendo si lamenta della morte del marito che<br />
l'ha lasciata povera, senza un soldo e con dei figli perennemente affamati. Le strofe sono infinite e<br />
lasciano spazio all'improvvisazione, più sono tante le <strong>di</strong>sgrazie della povera vedova più aumentano<br />
le strofe. Si accompagna al rito del carnevale abruzzese con angeli, <strong>di</strong>avoli e personaggi umoristici<br />
tra cui il carnevale che viene portato in corteo e poi bruciato come si fa in tante altre parti del<br />
mondo a rappresentare il carnevale pagano in cui l'anno vecchio fa posto al nuovo.<br />
Le ballate Di gusto gotico la ballata comprende innumerevoli storie <strong>di</strong> santi, eroi o anche semplici<br />
personaggi che vivono storie d'amore contrastate. Questo è anche il caso della ancora molto<br />
<strong>di</strong>ffusa Fije <strong>di</strong> Gaitanelle, Le Fundanelle, etc. Rientra nel genere il San Giorgio e il Drago che narra<br />
la vita <strong>di</strong> S.Giorgio con particolare riferimento alla lotta con il Dragone. San Giorgio e il Dragone<br />
sono strumenti <strong>di</strong>vini per operare la conversione al cristianesimo dei miscredenti. Si tratta <strong>di</strong> canti<br />
polivocalici in cui alla voce solista subentra il coro.<br />
La partenza La serenata che lo sposo accompagnato da fisarmonica, ddu' botte e comitiva <strong>di</strong><br />
amici, portava alla sposa la notte prima del matrimonio. La comitiva si radunava sotto il balcone o<br />
la finestra della camera da letto della sposina e con il canto la invitavano ad affacciarsi alla finestra.<br />
Esistono <strong>di</strong>verse versioni <strong>di</strong> Partenze, ma il filo conduttore è sempre il <strong>di</strong>stacco (la "partenza") della<br />
figlia dalla sua famiglia <strong>di</strong> origine (soprattutto dalla mamma e sorelle) e nello stesso tempo<br />
l'augurio alla sposa <strong>di</strong> trovare nella sua futura famiglia amore con il marito e concor<strong>di</strong>a con la<br />
suocera. Non mancano spunti a doppio senso e ironici specie da parte dei fratelli che vedono<br />
alleggerito il patrimonio familiare della spese degli sponsali e per il necessario corredo.<br />
<strong>Il</strong> Majo e il canto dei mesi <strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> dei Mesi è una antica drammatizzazione popolare in cui i<br />
mesi dell'anno venivano personificati da figure in maschera e rappresentati con le loro<br />
caratteristiche riguardanti il lavoro, i prodotti dei campi, la vita domestica. La recitazione veniva<br />
eseguita dal periodo <strong>di</strong> carnevale fino a maggio (Majo) da do<strong>di</strong>ci attori che impersonavano ciascuno<br />
il ruolo <strong>di</strong> un mese, spesso con l'aggiunta <strong>di</strong> un tre<strong>di</strong>cesimo che rappresentava il capodanno o il<br />
'tempo'.
Ninnananne Ne esistono tantissime! Evidentemente<br />
prima i bambini non avevano molto sonno... Ricor<strong>di</strong>amo<br />
la famosa "lu lope sa magnate la picurelle" e altre in cui<br />
una sfilza <strong>di</strong> Santi insieme alla Madonna compaiono bene<br />
auguranti e apportatori <strong>di</strong> sonno... Come le filastrocche e<br />
i lamenti funebri sono in genere mono<strong>di</strong>e. Un elemento<br />
imprescin<strong>di</strong>bile delle veglie <strong>di</strong> lavoro sono i racconti, un<br />
patrimonio ricchissimo <strong>di</strong> favole e<strong>di</strong>ficanti o spaventose.<br />
Canti <strong>di</strong> lavoro La raccolta del lino, delle olive, la mietitura. Spesso si tratta <strong>di</strong> canti a doppio<br />
senso erotico, o che esprimono la rivalsa verso il padrone, o semplicemente la durezza della fatica.<br />
Sono spesso canti con una voce solista e un coro ritmato sui tempi del gesto <strong>di</strong> lavoro.<br />
Filastrocche Come le ninnananne rappresentavano un modo gioioso <strong>di</strong> intrattenete i piccoli,<br />
spesso fanno riferimento a situazioni e<strong>di</strong>ficanti, esprimono affetto o scherzo ma anche sono ricche<br />
<strong>di</strong> frasi senza senso e onomatopeiche che rievocano situazioni fantasiose o buffe.<br />
saltarella cantata<br />
brin<strong>di</strong>si<br />
e se ce l'avema fa facemecele mo ca mo teneme lu tempe e ddumane nin si sa!<br />
canto processionale
La musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale abruzzese il canto a serenata<br />
Nel quadro della musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale in Abruzzo il canto<br />
presenta evidenti elementi stilistici meri<strong>di</strong>onali, come l’uso <strong>di</strong><br />
impianti prettamente melo<strong>di</strong>ci ricchi <strong>di</strong> decorazioni e <strong>di</strong> melismi,<br />
pur se emergono tratti settentrionali quali la polivocalità per<br />
terze e la <strong>di</strong>ffusione del genere epico-lirico. Lo stile vocale più<br />
arcaico è caratterizzato da un’emissione a gola chiusa, da note<br />
appoggiate, dai cromatismi, dalle cesure e dalle cadenze a note<br />
lunghe che concludono spesso con stop glottali. Le melo<strong>di</strong>e,<br />
basate su un sistema scalare non sempre temperato, sono<br />
costruite per lo più nell’ambito <strong>di</strong> cinque note e ci rimandano sia<br />
alle tonalità maggiori e minori <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione euro-occidentale e sia al sistema modale legato alla<br />
cultura musicale me<strong>di</strong>terranea. <strong>Il</strong> canto lirico è caratterizzato dagli stornelli (strufette) e dalle<br />
serenate che assumono varie connotazioni a seconda della funzione-occasione.<br />
La struttura poetica si basa su una sequenza <strong>di</strong> due versi <strong>di</strong> endecasillabi a rima baciata o<br />
assonanti cantati a tenzone o a <strong>di</strong>spetto (strufette a suspette). L’esecuzione vede due o più<br />
cantori che si sfidano enunciando a turno una strofetta ciascuno; è abilità dell’esecutore non<br />
far cadere il filo del <strong>di</strong>scorso scegliendo tra le strofette memorizzate dalla tra<strong>di</strong>zione quella più<br />
consona.<br />
I processi <strong>di</strong> trasformazione della cultura tra<strong>di</strong>zionale avvenuti in questi ultimi cinquant’anni<br />
hanno defunzionalizzato le serenate e gli stornelli con i quali un tempo i cantori esprimevano<br />
pensieri che non potevano esser detti schiettamente in situazioni <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana; cosicché il<br />
canto dava modo all’innamorato <strong>di</strong> esternare senza inibizione il proprio sentimento alla donna<br />
amata anche in presenza <strong>di</strong> parenti e amici rendendo così ufficiale la <strong>di</strong>chiarazione d’amore.<br />
La partenza – il canto del <strong>di</strong>stacco<br />
Nell’ambito della poesia popolare italiana la serenata “La partenza” si colloca nel genere lirico-<br />
monostrofico, pur se la sua struttura strofica, <strong>di</strong>versamente dalle serenate generiche e dagli<br />
stornelli, non risulta libera bensì vincolata ad una <strong>di</strong>sposizione logica dei <strong>di</strong>stici. Una<br />
successione <strong>di</strong> motivi tematici in<strong>di</strong>pendenti ma al tempo stesso consequenziali in riferimento ad<br />
una logica temporale degli acca<strong>di</strong>menti stessi. Legata al ciclo della vita umana, La partenza si<br />
identifica come canto del <strong>di</strong>stacco in quanto affronta il tema dell'allontanamento della sposa<br />
che lascia i suoi cari, la casa paterna e il vicinato per iniziare una nuova vita al fianco del suo<br />
amore. <strong>Il</strong> testo riassume gli aspetti nostalgici legati alla vita passata e futura della sposa<br />
evidenziando i vecchi valori legati al concetto <strong>di</strong> famiglia patriarcale in cui la figura femminile<br />
assume (sia prima che dopo il matrimonio) un ruolo subalterno e <strong>di</strong> soggezione. <strong>Il</strong> contenuto<br />
poetico affronta i temi ricorrenti quali il saluto, il perdono, la bene<strong>di</strong>zione ed altri ancora in cui
la figura femminile appare quasi turbata e ferita moralmente per il fatto che si accinge a<br />
lasciare la sua famiglia privandola della sua compagnia e del suo aiuto fisico. Lei è debitrice<br />
verso il padre e la madre ai quali deve la sua educazione; è debitrice verso i fratelli con i quali<br />
ha con<strong>di</strong>viso la sua infanzia e verso i vicini che l'hanno considerata come una figlia. Al<br />
rimpianto del passato si aggiunge il timore che la sposa ha nei confronti della sua nuova vita; il<br />
timore <strong>di</strong> non adattarsi ad una nuova realtà a lei estranea. <strong>Il</strong> testo è ricco <strong>di</strong> particolari<br />
situazioni che coinvolgono la sposa, i familiari, i parenti, il vicinato e quanti vivono<br />
profondamente tale circostanza. Colorito risulta l'intreccio tematico in cui si alternano ora<br />
motivi scherzosi, ora patetici, ora riflessivi tali da provocare nello stato d'animo <strong>di</strong> chi ascolta<br />
fasi <strong>di</strong> rilassamento e <strong>di</strong> tensione. La musica che accompagna La partenza, eseguita da un<br />
gruppo <strong>di</strong> affiatati cantori e suonatori <strong>di</strong> chitarra, fisarmonica e organetto, presenta una<br />
melo<strong>di</strong>a dolce e pacata ma al tempo stesso solenne e ricca <strong>di</strong> espressività e <strong>di</strong>namismo.<br />
E tutta al ballo è data la notte che precede il dì delle nozze…..<br />
…. se non che, inoltratasi <strong>di</strong> una buona metà, tace la festa in casa dello sposo che con i<br />
suonatori ed amici muovono per la casa della fidanzata. Sotto alla finestra al suono del violino<br />
e della chitarra si canta la Partenza che come tocca al suo termine, la brigata è in via, e torna<br />
dov’era partita, che il giorno la sorprende per strada. Là son presenti altri parenti, i cavalli<br />
sellati, si monta, e <strong>di</strong> nuovo a casa della sposa, dove nuovi parenti e nuovi cavalli ingrossano la<br />
equestre compagnia; e via in città a porre l’anello. Primi della compagnia sono i pedestri<br />
sonatori <strong>di</strong> violino e chitarra, vien dopo il mulo che porta due grosse casse, con entro la<br />
biancheria della sposa, sulla quale si <strong>di</strong>stende la coltre nuziale con sopra i cuscini, cosicché dà<br />
vista <strong>di</strong> un letto ambulante. Al collo poi dell’animale è avvolto una rete, alla quale stanno<br />
connessi spessissimi campanelli, che con il loro tintinnio compiscono la musica. Appresso lo<br />
sposo e la sposa sopra i cavalli dalle cui teste sventolano fazzoletti bianchi, e finalmente la folla<br />
<strong>di</strong> amici e parenti. Finito il pranzo, va la sposa a por commiato dai suoi: il padre poi<br />
l'accompagna per mano fin fuori la porta <strong>di</strong> casa, ove intrecciano un balletto ed è <strong>di</strong> rito;<br />
perocché significa l’ad<strong>di</strong>o che il padre dà alla figlia. Ne vanno quin<strong>di</strong> alla casa dello sposo dove<br />
tutti scavalcano meno la sposa. <strong>Il</strong> fratello, il nipote o altro parente <strong>di</strong> lei non permette che la<br />
smonti senza una grossa mancia: ella rimane spettatrice vergognosa e mortificata tra quei che<br />
non vuoi cedere, ed i parenti dello sposo che la domandano. Finalmente viene il regalo e la<br />
sposa è ceduta e viene portata come in trionfo alla casa. E <strong>di</strong> nuovo a darsi sul mangiare e sul<br />
bere. I suonatori, durante il pranzo, uniti ad un cantore girano intorno alla tavola sonando e<br />
cantando lor poesia chiamata «firlinghina». Sono saluti, epigrammi, felicitazioni, lo<strong>di</strong>, auguri,<br />
amenità che vanno facendo a ciascun commensale; e scrosci <strong>di</strong> risa e battimenti <strong>di</strong> mano.<br />
Chiude la festa il donativo che ciascun parente fa alla sposa”.
i canti <strong>di</strong> questua del solstizio<br />
<strong>Il</strong> calendario agricolo scan<strong>di</strong>sce i momenti rituali tra<strong>di</strong>zionali della civiltà conta<strong>di</strong>na, spesso<br />
segnati da caratteri pre-cristiani a testimonianza <strong>di</strong> quanto profonde siano le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa<br />
ritualità.<br />
<strong>Il</strong> periodo invernale, che dalle feste solstiziali conduce all’equinozio primaverile, è<br />
caratterizzato da cerimonie <strong>di</strong> segno <strong>di</strong>verso: alcune orgiastiche, come il Carnevale e la<br />
Mezzaquaresima, altre purificatorie e penitenziali come la Candelora, il mercoledì delle<br />
Ceneri e la Quaresima; altre, invece, rammentano, come Sant’Antonio Abate, antichi riti per<br />
propiziare gli dèi preposti alla fecon<strong>di</strong>tà e alla fertilità. Riti ed usanze che, provenienti dalle<br />
arcaiche religioni italiche e celtiche nonché da tra<strong>di</strong>zioni orientali, sono sopravvissuti<br />
all’opera <strong>di</strong> evangelizzazione della Chiesa. <strong>Il</strong> lungo periodo che preludeva alla primavera,<br />
ovvero all’antico Capodanno nell’arcaica religione romana, era segnato da cerimonie per<br />
purificare uomini, animali e campi e per favorire, propiziando gli dèi, il rinnovo del cosmo.<br />
Alla fine <strong>di</strong> Gennaio s’in<strong>di</strong>cevano le Ferie sementine e si offriva a Cerere e a Terra una<br />
pozione <strong>di</strong> latte e mosto cotto sacrificando loro una scrofa gravida accompagnata dall’offerta<br />
<strong>di</strong> farro, mentre le giovenche venivano inghirlandate e lasciate a riposo. Nel calendario<br />
o<strong>di</strong>erno sono molte le feste che, sotto il velo <strong>di</strong> un santo, hanno funzione lustrale e<br />
fecondante. La più importante è quella <strong>di</strong> Sant’Antonio Abate (17 gennaio) che a poco a<br />
poco ha assunto le caratteristiche delle <strong>di</strong>vinità pagane. In molti paesi il 17 gennaio era<br />
usanza bene<strong>di</strong>re gli animali sul sagrato delle chiese; i sacerdoti ricevevano doni in natura e<br />
<strong>di</strong>stribuivano in cambio immagini del Santo da appendere nelle stalle in segno <strong>di</strong> protezione.
I canti <strong>di</strong> questua<br />
per Sant’Antonio Abate<br />
In onore <strong>di</strong> Sand’Andonje<br />
or si canta questa storia<br />
La pratica questuante, ossia l’uso <strong>di</strong> fare la questua <strong>di</strong> casa in casa da parte <strong>di</strong> squadre <strong>di</strong> cantori e<br />
suonatori, rappresenta uno degli aspetti rituali tra i più vivi e ra<strong>di</strong>cati in Abruzzo attraverso cui si<br />
celebrano, nel periodo del solstizio, la Natività, il Capodanno, l’Epifania e Sant’Antonio Abate. Un tempo,<br />
la questua rappresentava per la squadra l’occasione <strong>di</strong> raccogliere beni alimentari; in pratica vi era lo<br />
scambio tra i poteri magico-propiziatori portati dalle squadre <strong>di</strong> suonatori e l’offerta <strong>di</strong> beni alimentari,<br />
oggi mutata in piccole somme <strong>di</strong> denaro, elargita dai padroni <strong>di</strong> casa. La squadra, in genere costituita<br />
da uomini la cui età è compresa tra i trenta ed i settant’anni, segue le <strong>di</strong>rettive del più anziano in<br />
qualità <strong>di</strong> detentore affidabile della tra<strong>di</strong>zione orale; è sua premura trasmettere ai più giovani quanto<br />
appreso in passato. <strong>Il</strong> rito augurale del ritorno della nuova stagione si manifesta in Abruzzo in modo<br />
evidente la vigilia del 17 gennaio con la questua ed il canto del Sant’Antonio Abate, in cui si racchiude<br />
tutta l’espressione popolare ricca <strong>di</strong> elementi religiosi e pagani, <strong>di</strong> espressioni arcaiche e moderne che<br />
testimoniano la <strong>di</strong>namicità del canto orale rapportato alla società o<strong>di</strong>erna. Alcuni giorni prima del 17<br />
gennaio i componenti <strong>di</strong> una squadra, appartenenti ad una stessa comunità nella quale rivestono spesso<br />
il ruolo <strong>di</strong> animatori tra<strong>di</strong>zionali per le <strong>di</strong>verse celebrazioni collettive, si organizzano per riconfermare o<br />
variare, se necessario, sia l’organico che il canto da eseguire per l’occasione. La formazione vocale-<br />
strumentale presente nelle valli del Fino, Piomba, Mavone e Vomano (zona teramano-pescarese) è<br />
composta da un organetto, una grancassa, un tamburo, i piatti, un tamburo a frizione. Tante sono le<br />
località abruzzesi nelle quali ancora oggi il canto <strong>di</strong> questua rimane vivo nella tra<strong>di</strong>zione: Piane Vomano,<br />
Montegualtieri, Cellino, Cermignano, Poggio delle Rose, San Massimo Colledoro, Befaro nel teramano;<br />
Civitella Casanova, San Valentino, Piana delle Castagne nell’area pescarese; Fara Filiorum Petri,<br />
Roccamontepiano, Palmoli nel chietino; Villavallelonga e Collelongo nell’aquilano.<br />
I testi e le musiche per Sant’Antonio Abate<br />
La maggior parte dei motivi tematici presenti nei canti <strong>di</strong> Sant’Antonio – <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione orale – ci rimandano alla<br />
Historia Sancti Antoni, storia me<strong>di</strong>evale che, contenuta nel Co<strong>di</strong>ce Corsiniano del 1485 e pubblicata dal Monaci<br />
– forse composta agli inizi del trecento da un giullare della Lombar<strong>di</strong>a per e<strong>di</strong>ficazione e <strong>di</strong>letto dei conterranei<br />
suoi –, giunse in Abruzzo. Da qui derivano le analogie con i motivi comici e burleschi inerenti i sotterfugi con<br />
cui Sant’Antonio sconfigge il <strong>di</strong>avolo. La Historia Sancti Antoni risulta da una contaminazione della biografia<br />
classica con le leggende me<strong>di</strong>evali appartenenti al “ciclo delle novelle e dei fabliaux”. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>avolo travestito da<br />
donzella, il bambino concepito nel peccato e promesso a “lo nemico”, le vicende da portinaio dell’inferno, i<br />
<strong>di</strong>avoli che piangono per le percosse e tutte le altre furberie del Santo, sono gli elementi che ritroviamo ancor<br />
oggi nei testi largamente <strong>di</strong>ffusi in Abruzzo. La figura del Santo che emerge nei canti è circondata sia da<br />
sentimenti religiosi <strong>di</strong> grande devozione e <strong>di</strong> rispetto, e sia da un clima tipicamente giullaresco che ci rimanda<br />
alla cultura popolare me<strong>di</strong>evale, dove spesso valori ed immagini della cultura religiosa ufficiale volgono nel<br />
grottesco e nella paro<strong>di</strong>a. Alcuni canti, invece, rimandano all’orazione in onore <strong>di</strong> Sant’Antonio <strong>di</strong>ffuso da
Campli lungo il versante orientale del Gran Sasso (zona teramano-pescarese) o all’orazione de “<strong>Il</strong> miracolo del<br />
glorioso Sant’Antonio da Padova” il cui testo trovò <strong>di</strong>ffusione su foglio volante stampato dal “Premiato<br />
Stabilimento Tipografico Giuseppe Campi <strong>di</strong> Foligno”. Nell’immaginario conta<strong>di</strong>no, le due figure coincidono<br />
tanto che alcune squadre, per l’occasione del 17 gennaio, eseguono in<strong>di</strong>stintamente i canti riferiti all’uno o<br />
all’altro santo. La quasi totalità dei canti presenta nel testo poetico una traccia cronologica espositiva così<br />
schematizzata: saluto della compagnia e presentazione del fatto che si sta per narrare; illustrazione della vita<br />
penitente e contemplativa del santo; tentazioni e vittoria del santo; questua con richiesta <strong>di</strong> beni alimentari;<br />
commiato con bene<strong>di</strong>zione, saluti ed auguri. Una particolarità dei canti <strong>di</strong> questua <strong>di</strong> Sant’Antonio – come per il<br />
canto <strong>di</strong> questua del Giovedì Santo - è quella <strong>di</strong> poter intonare le strofe su due tracce esecutive: la doppië e la<br />
sdoppië. <strong>Il</strong> modo doppië si caratterizza per l’andamento più lento e per lo sviluppo strofico con ripetizioni degli<br />
ultimi due versi o <strong>di</strong>stici; il modo sdoppië si basa su un ritmo terzinato più veloce e la strofa poetica non subisce<br />
<strong>di</strong>latazioni nella fase esecutiva. A seconda dei casi e della fretta che i suonatori hanno – “…cchiù facemë prestë<br />
a candà e cchiù casë giremo…!”- si sceglie al momento la formula da adottare. I canti sono eseguiti su ritmi<br />
binari puntati o su ritmi ternari.<br />
<strong>Canto</strong> <strong>di</strong> questua<br />
Squadra <strong>di</strong> Palmoli<br />
E dumane è cullu gran Sandë<br />
A Palmoli (Ch), la tra<strong>di</strong>zione questuante risale, al ricordo dei più anziani, agli inizi del novecento ma le sue<br />
ra<strong>di</strong>ci sono ben più remote. La squadra <strong>di</strong> Palmoli oggi è composta da soli uomini <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse generazioni,<br />
con<strong>di</strong>zione ideale questa per la conservazione spontanea della cultura orale. I protagonisti sono: Venanzio Tilli,<br />
Angelo Marulli, Clau<strong>di</strong>o De Sanctis, Felice Meo (fisarmonica), Ferrara Marco, Donato Ferraina, Andrea Ferrara,<br />
Rodolfo De Sanctis (grancassa), Massimo Ricci (piatti). Gli elementi tematici descrivono: l’eremitaggio del<br />
santo; Gesù che lo chiama dalla croce assieme alla Madonna che prega San Michele; la bene<strong>di</strong>zione del Santo<br />
alla famiglia visitata; la richiesta <strong>di</strong> doni alimentari. L’esecuzione lenta ed in forma corale all’unisono ricreano<br />
un clima <strong>di</strong> grande me<strong>di</strong>tazione e coinvolgimento religioso. Di particolare rilievo sono le cesure (respiri) a metà<br />
parola poste a fine verso, elemento esecutivo ricorrente nel canto tra<strong>di</strong>zionale.<br />
1- E dumane è cullu gran Sandë<br />
e dumane è cullu gran Sandë<br />
e dumane è cullu gran Sandë<br />
è Sand’Andunji Sandë<br />
è Sand’Andunji Sandë<br />
2- Sand’Anduji s’è misse in gammine<br />
jave vistutë da pellegrina<br />
3- Chi nu cambanelle in manë<br />
jave Gesù che richiamavë<br />
4- Li chiamava a yalda voce
javë Gesù ma su ‘lla crocijë<br />
5- E ‘na croce e ‘na corona<br />
javi Gesù ‘nghë la Madonnë<br />
6- La Madonni sajë in gieli<br />
pe’ riprëgà San<strong>di</strong> Micchelë<br />
7- San Micchele fu prigate<br />
da la Madonne ‘ngoronata<br />
8- Io ci endr’in guesta casë<br />
ca ci li trove moglijë e marite<br />
Sand’Andonje la bbene<strong>di</strong>ca<br />
9- Si cë avete nu fiijë maschjë<br />
cavalier lë putete fajë<br />
10- Si cë avete ‘na figlia femmënë<br />
li putetë maritajë<br />
11- e nu galle e ‘na galline<br />
e l’anne chi vvé e ‘na ven<strong>di</strong>në<br />
12- si cë avete ‘na picurellë<br />
e l’anni chi vvè na particellë<br />
13- canda vacchë e nu vove<br />
e l’anne chi vè è <strong>di</strong>ciannove<br />
14- si cë avete na vin<strong>di</strong>ricinë<br />
Sand’Andunjë mo s’avvicin<br />
15- si cë avete ‘na vindresche<br />
Sand’Andonje mo s’arinfresche<br />
16- si cë avete nu prusuttë<br />
Sand’Andunjë si piglia tuttë<br />
17- Sand’Andunjë ‘ngim’all’aldare<br />
li guardava lu maiale<br />
18- Sand’Andunje ‘ngim’a lu tettë<br />
li guardava lu purquett<br />
19- Nu purquettë e nu majale<br />
si li mangiamë stu Carnevale<br />
20- Tocca tocchë za’ Mari’<br />
va caccijë nu pochë <strong>di</strong> vinë bbone<br />
ca mo vè lë Sand’Andunje<br />
21- Dopo che ce l’hai date<br />
vale pi Sand’Andunje Abbate.
<strong>Il</strong> Bufù molisano<br />
Nel Molise, la notte <strong>di</strong> San Silvestro è "la notte dei bufù", durante la quale si eseguono le<br />
maitunate, i canti augurali e <strong>di</strong> questua intonati per il Capodanno. Maitunata (o maitenata) sta<br />
per "mattinata"; fare cioè festa nell'attesa del mattino, del nuovo giorno e del nuovo anno.<br />
Infatti, l'incipit <strong>di</strong> molte maitunate era Bonnì e Bonnanne, corruzione <strong>di</strong>alettale <strong>di</strong> Buon dì e<br />
Buon anno. Ecco, in proposito, i versi iniziali d'una maitunata improvvisata: Che ru bondì e che<br />
ru bonanne/ puozza campà tanta anne/ pe quante pese i' che tutte re panne.<br />
Alberto M. Cirese, nel secondo volume de I canti popolari del Molise (1957), scrive che le<br />
maitunate, avevano "un tempo (e ancora un secolo fa) un certo carattere ufficiale, <strong>di</strong> cui si<br />
trova traccia anche negli atti amministrativi, e costituivano uno dei compiti che i bidelli e i<br />
ban<strong>di</strong>tori municipali dovevano assolvere; ma sono oggi affidati solo all'iniziativa <strong>di</strong> singoli o <strong>di</strong><br />
gruppi (un tempo anche femminili, e qualche volta ancora adesso a carattere semi<br />
professionale) senza altro obbligo che quello che nasce dalla tra<strong>di</strong>zione".<br />
Le maitunate molisane si eseguivano, a seconda dei paesi, con l'accompagnamento <strong>di</strong> vari<br />
strumenti. È stato documentato l'uso <strong>di</strong> zampogne, chitarre, tamburi, tamburelli, organetti,<br />
mandolini. Molto usati anche alcuni oggetti paramusicali: strucuratora (stropicciatoio per i<br />
panni), coperchi per tegami, casseruole e altro. Ma lo strumento tipico delle maitunate<br />
molisane è il bufù, che ancora oggi contrad<strong>di</strong>stingue la notte tra San Silvestro e Capodanno in<br />
varie località della regione. In alcuni casi si tratta <strong>di</strong> vere bande <strong>di</strong> suonatori e cantori,<br />
composte da gruppetti <strong>di</strong> esecutori (le cosiddette "squadre") che girano per le strade e le case<br />
del paese intonando strofette d'augurio e chiedendo donativi.<br />
<strong>Il</strong> bufù<br />
Nel Molise è detto bufù il "tamburo a frizione", cioè lo strumento musicale monopelle costituito<br />
da un contenitore col fondo chiuso e col lato superiore aperto e intorno a cui è tesa una<br />
membrana, al centro della quale è inserito un bastone. Lo strumento produce suono quando il<br />
bastone viene 'frizionato' dal suonatore con le mani inumi<strong>di</strong>te oppure munite d'uno straccio<br />
bagnato, mettendo in tal modo in vibrazione la pelle che, utilizzando quale camera <strong>di</strong> risonanza<br />
il contenitore, produce un rumore cupo, così caratteristico per il bufù da avergli dato, per<br />
onomatopea, il nome. Nel secolo scorso l'uso campobassano del bufù venne documentato in un<br />
articolo <strong>di</strong> Flaminio Pellegrini (<strong>Il</strong> capo d'anno nel Molise, "Rivista delle tra<strong>di</strong>zioni popolari<br />
italiane", I, 2, 1894): "A Capo d'anno girano per Campobasso compagnie più o meno<br />
numerose <strong>di</strong> ragazzi e d'uomini, munite dei più <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> istrumenti […]. Caratteristico è il così<br />
detto bufù, composto con un piccolo barile, sfondato da una delle due parti e ricoperto <strong>di</strong> pelle<br />
tesa…".<br />
Nella nostra regione, ancora oggi la tra<strong>di</strong>zione musicale del bufù è viva in non poche località,<br />
tra cui Sepino, Casacalenda, Ferrazzano, Pietracatella, Gambatesa. Lo strumento si compone <strong>di</strong>
più parti: - il recipiente che è solitamente un barile. Non a caso il poeta Giuseppe Altobello<br />
scriveva: Cu nu varile viecchie haj'accurdate/ nu piezze de bufù pe cunte mije. <strong>Il</strong> varile è<br />
spesso <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e <strong>di</strong>mensioni, ma può essere anche un piccolo barilotto d'uso domestico oppure<br />
una grande e panciuta botte da cantina. In talune tra<strong>di</strong>zioni, in sostituzione del classico barile<br />
viene utilizzata la tina per la raccolta del mosto. Meno frequentemente possono essere<br />
impiegati quale 'cassa <strong>di</strong> risonanza' pure recipienti in metallo o <strong>di</strong> terracotta e quant'altro può<br />
servire all'uso. - la membrana, che negli strumenti grossi è una pelle <strong>di</strong> capra o agnello,<br />
mentre in quelli piccoli e moderni può essere <strong>di</strong> altra natura, anche sintetica. Quando la pelle<br />
viene sistemata sulla circonferenza superiore del barile, il suo pelo è rivolto verso l'interno del<br />
risuonatore (camera <strong>di</strong> risonanza);- la fune con la quale si lega la pelle al recipiente. La fune,<br />
soprattutto nei gran<strong>di</strong> bufù, viene ulteriormente stretta e tenuta in massima tensione con una<br />
mazza-tirante;<br />
- il bastone, realizzato in legno oppure con una solida canna <strong>di</strong> grossezza proporzionata alle<br />
<strong>di</strong>mensioni del bufù. Nei gran<strong>di</strong> strumenti (come ad esempio i bufù sepinesi) il bastone è<br />
piuttosto lungo e robusto, mentre nei bufù <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni inferiori è più sottile e breve. <strong>Il</strong><br />
bastone viene allacciato al centro della pelle dello strumento con un semplice sistema<br />
d'assemblaggio: si preme una estremità della mazza sulla membrana ottenendo una sacca<br />
d'alloggiamento, quin<strong>di</strong> con un laccio si serra la sacca intorno alla mazza. Affinché la legatura<br />
sia stabile i costruttori intaccano con un coltello il bastone, ottenendo così delle scanalature<br />
intorno alle quali il laccio trova un saldo appiglio. <strong>Il</strong> tamburo a frizione è <strong>di</strong> due tipi: stanziale e<br />
portativo. È stanziale quello costruito con una grossa cassa <strong>di</strong> risonanza, le cui considerevoli<br />
<strong>di</strong>mensioni consentono <strong>di</strong> suonarlo solo 'a posto fisso', cioè stando fermi in un luogo. Questo<br />
tipo <strong>di</strong> strumento deve essere frizionato a mani doppie, ovvero si fanno scivolare lungo il suo<br />
bastone entrambe le mani. Invece, è portativo il tamburo a frizione che può essere suonato<br />
mentre viene trasportato; il suonatore, infatti, lo tiene con un braccio e ne friziona il bastone<br />
con la mano dell'altro braccio. Nel Molise sono usati entrambi i tipi, con una prevalenza <strong>di</strong><br />
quello stanziale.<br />
Le maitunate<br />
La nostra regione conserva un ricchissimo repertorio <strong>di</strong> maitunate <strong>di</strong> Capodanno (che in taluni<br />
luoghi vengono dette capodannare). Molti testi sono stati documentati in pubblicazioni, altri<br />
sono affidati solo alla tra<strong>di</strong>zione orale. Una delle componenti fondamentali <strong>di</strong> questo repertorio<br />
cantato è l'improvvisazione. I cantori, infatti, sovente creano al momento dell'esecuzione nuovi<br />
versi, sia essi d'augurio, <strong>di</strong> scherno, <strong>di</strong> richiesta <strong>di</strong> cibarie. L'improvvisazione si rende<br />
necessaria anche per il fatto che i canti si in<strong>di</strong>rizzano, <strong>di</strong> volta in volta, a determinati<br />
personaggi del paese (autorità, amici, parenti) e vanno quin<strong>di</strong> adattati al nome <strong>di</strong> detti<br />
personaggi e a fatti e circostanze <strong>di</strong> cui durante l'anno essi sono stati protagonisti. Ecco un<br />
esempio che parla <strong>di</strong> un tale Giovanni <strong>di</strong>venuto papà: Chesta maitunata la faceme a cumpare<br />
Giuvanne/ ca la mugliera ze figliate propria auanne. Eccone un altro che allude al vizio del
ere: Ru bone capedanne a don Nicola Carline/ ca sta sempe appise a la buttiglia de vine.<br />
Una non secondaria caratteristica delle maitunate è la questua, cioè la richiesta e la raccolta <strong>di</strong><br />
cibi <strong>di</strong> stagione, dolci, vino e, in certi casi, denaro. Ecco la parte finale d'una maitunata<br />
documentata all'inizio del Novecento (O. Conti, Letteratura popolare capracottese, Napoli<br />
1911):<br />
'Ncicce e 'ncicce<br />
damme nu poche de salsiccia<br />
nen me ne dà tanta poche<br />
ca se struie pe ru foche<br />
ma na cosa iustamente<br />
sant'Antuone ze cuntenta<br />
ca se la casa perze à l'use<br />
l'anne che vè<br />
pozza sta chiusa.<br />
Come si vede, oltre la richiesta <strong>di</strong> cibo (salsicce) si avverte il padrone <strong>di</strong> casa che, nel caso ci<br />
sia un rifiuto o un'offerta troppo modesta, il canto <strong>di</strong>verrebbe male augurante, laddove la<br />
chiusura della casa sottintende la morte del padrone.
9-IL CANTO DI TRADIZIONE ORALE IN SICILIA<br />
Le Origini<br />
In principio era il melos… così potrebbe <strong>di</strong>rsi del canto popolare siciliano <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale,<br />
del canto spontaneo che si è congiunto, mescolato, con la poesia popolare nata in Sicilia e<br />
trasmessa oralmente. <strong>Il</strong> popolo ha creato e riconosciuto una melo<strong>di</strong>a propria sulla quale adatta<br />
la poesia ere<strong>di</strong>tata dai padri, la lingua parlata che sa fondersi docilmente con la forma ritmica<br />
della sua musica, una melo<strong>di</strong>a che sicuramente la Sicilia ha prodotto, assorbendo nei secoli gli<br />
apporti <strong>di</strong> tutti i popoli che ne hanno calcato il suolo e facendone sue le espressioni artistiche<br />
estranee con le quali e’ venuta in contatto.<br />
Come osserva il grande musicologo Alberto Favara, nell’isola si sono succedute tante civiltà<br />
dalle tipiche manifestazioni musicali; il popolo siciliano, ascoltò il nomos greco, il maqam<br />
arabo, l’inno bizantino, la canzone cortese dei Trovatori, fino all’opulenta polifonia cinque-<br />
secentesca, un insieme <strong>di</strong> stili da cui è <strong>di</strong>fficile rintracciare l’inizio della musica popolare<br />
siciliana, ma da cui è possibile ipotizzare, come l’armonia del nostro canto popolare sia posta<br />
su fondamenta antiche.<br />
Come nasce il canto<br />
L’arte popolare è sempre in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ricettività; se un canto creato dal singolo veniva<br />
apprezzato ed adottato, <strong>di</strong>ventava nel tempo, oggetto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione.<br />
<strong>Il</strong> canto che nasceva da rustici poeti <strong>di</strong> paesi e villaggi sconosciuti, <strong>di</strong>ventava il canto <strong>di</strong> tutti; il<br />
popolo premiava il loro merito col tramandare questa melo<strong>di</strong>a, con l’impararla, col passarla <strong>di</strong><br />
bocca in bocca da questo a quel paese, dalla montagna alla marina, dal campo al mercato.<br />
Via via si andava ritoccando, prendeva il colore locale, si creavano le varianti.<br />
In poco tempo si espandeva, veniva ripetuto in ogni dove, passava confini <strong>di</strong> paesi fino ad<br />
entrare a far parte del patrimonio comune, custo<strong>di</strong>to, tramandato, ripetuto. <strong>Il</strong> commercio, le<br />
comunicazioni, i pellegrinaggi, le guerre, le gran<strong>di</strong> feste religiose, <strong>di</strong>ffondevano i canti che<br />
venivano adottati, abbelliti, accolti, mo<strong>di</strong>ficati, secondo le abitu<strong>di</strong>ni ed il carattere del popolo.<br />
Spesso accadeva che alcuni canti superassero i confini dell’isola assumendo altre forme<br />
<strong>di</strong>alettali, <strong>di</strong>venendo canti toscani, lombar<strong>di</strong>, veneti.
<strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> popolare<br />
"Ogni genere <strong>di</strong> poesia popolare deve andar preso quale rivelazione del sentimento speciale dell’in<strong>di</strong>viduo del<br />
popolo"<br />
"I canti popolari - <strong>di</strong>ce Herder - sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione,<br />
della vita dei suoi padri, dei fasti della sua storia, l’espressione del cuore, l’immagine del suo interno, nella<br />
gioia e nel pianto, presso il letto della sposa ed accanto al sepolcro".<br />
Nei canti popolari, i siciliani hanno documentato la loro vita <strong>di</strong> tutti i giorni, la vita quoti<strong>di</strong>ana del popolo; essi<br />
sono <strong>di</strong>ventati un documento storico e filosofico, morale e religioso.<br />
Scrive così Alberto Favara.<br />
"Nelle nostre canzoni popolari, la composizione poetica, sotto l’influenza <strong>di</strong>retta della melo<strong>di</strong>a si sviluppa in<br />
una serie <strong>di</strong> immagini che si legano tra <strong>di</strong> loro, al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ogni nesso logico, una sintassi libera che ha tutti<br />
i caratteri dell’improvvisazione, una grande ricchezza <strong>di</strong> parole arcaiche, nella cui scelta la sonorità ha grande<br />
importanza, una lingua vincente in continuo <strong>di</strong>venire, sotto l’alito creatore della musica. <strong>Il</strong> testo poetico è<br />
come un materiale grezzo che il cantore <strong>di</strong>spone sotto la melo<strong>di</strong>a come gli pare, con l’espressione dei<br />
sentimenti umani fondamentali; quando l’esecutore ha reso quel sentimento, con un inciso melico<br />
caratteristico, ha reso in pieno il sentimento del popolo."<br />
Un patrimonio <strong>di</strong> sentimenti affidato a melo<strong>di</strong>e accorate, vario nei temi, inesauribile, immenso che trova voce<br />
nella cantilena solitaria del carrettiere, nel lamento del carcerato, nel canto d’amore ricco <strong>di</strong> sfumature, nella<br />
poesia dei cantastorie, veicolato da una vocalità elementare ricca <strong>di</strong> passioni.<br />
I CANTI<br />
<strong>Il</strong> popolo ha cantato: Canzuni, Ciuri, Arii, Diesilli, Razioni, Storii, Canzuni <strong>di</strong> naca, Jocura,<br />
Romanze <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale.<br />
La canzuna e’ chiamata strambottu in Caltanissetta, sturnettu all’Etna, in S.Agata e’ detta<br />
barcarola, marinara; è detta a la furnarisca, a la campagnola, a la vicariota, a la carrittera
perché cantate alla maniera dei carcerati, dei conta<strong>di</strong>ni, delle tessitrici (carere), dei carrettieri<br />
che ne cantavano tantissime.<br />
<strong>Il</strong> metro della canzuna siciliana è l’ottava <strong>di</strong> endecasillabi, con alterne rime.<br />
I CIURI sono gli stornelli da due a tre versi detti anche ciuretti o muttetti.<br />
<strong>Il</strong> ciuri, componimento non molto pregiato, era comunissimo in carcere e nei chiassi.<br />
LE ARIE o ARIETTI, si cantavano con accompagnamento <strong>di</strong> chitarre, quando si facevano<br />
serenate o mattinate alla bella.<br />
LE STORII sono le leggende, narrazione cantata <strong>di</strong> avvenimenti che colpirono l’immaginazione<br />
popolare.<br />
LI JOCURA sono i giochi fanciulleschi, le filastrocche etc…<br />
LE ORAZIONI sono brevi leggende sacre, endecasillabo è il loro verso, ottave, sestine,<br />
quartine le strofe che venivano cantate la sera lungo le vie o davanti le case <strong>di</strong> devoti, cantate<br />
da ciechi cantastorie, che celebravano le ricorrenze dei santi venerati dal popolo. I mercoledì <strong>di</strong><br />
San Giuseppe, i Venerdì della Passione, le Novene <strong>di</strong> Natale, dell’Immacolata, della Madonna<br />
del Carmine, delle Anime dei corpi decollati, la tre<strong>di</strong>cina in onore <strong>di</strong> S.Antonio ecc…<br />
Tra i canti sacri ci sono pure le <strong>di</strong>esille per suffragare le anime dei defunti.<br />
I Sentimenti dei Canti Popolari<br />
I gran<strong>di</strong> folkloristi dell’Ottocento, osservarono e stu<strong>di</strong>arono la Sicilia, con lo sguardo nostalgico<br />
del passato, il mito romantico <strong>di</strong> una terra in cui la poesia si fonde con la natura:<br />
così scrive l’insigne folklorista Giuseppe Pitrè a proposito dei sentimenti contenuti nei canti<br />
tra<strong>di</strong>zionali antichi: "La terra dà il carattere spiccato del canto: le montagne, gli scogli, i<br />
macigni, danno l’inflessibilità dell’indole, la tenacia nei propositi; le amene convalli, le ridenti<br />
pianure, ispirano gentilezza e cortesia; dal sorriso <strong>di</strong> questo cielo limpi<strong>di</strong>ssimo riflesso sulle<br />
nostre donne, nasce l’amore vivo, ardente come il sole delle nostre contrade, e dall’Etna, che<br />
alla nostra terra meritò il titolo <strong>di</strong> Isola del fuoco, provengono i pronti corrucci, le facili ire gli<br />
eterni rancori, ed i subiti ar<strong>di</strong>menti, i sospetti senza fondamento, le irragionevoli gelosie… quel<br />
misto <strong>di</strong> bollore e <strong>di</strong> quiete, <strong>di</strong> senno e <strong>di</strong> precipitazione, <strong>di</strong> malinconia e <strong>di</strong> brio, <strong>di</strong><br />
mansuetu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> fierezza che nel canzoniere son doti particolari"<br />
L’amore, la fede, lo stoicismo, la religione, il pianto, la felicità, la satira civile e politica, le<br />
massime astiose, piene <strong>di</strong> bile, sono la gamma innumerevole dei sentimenti che il popolo canta<br />
nelle sue canzoni.
Dipinto <strong>di</strong> Gioacchino Cappello<br />
I canti parlano dei tanti sentimenti dell’animo umano;<br />
il primo fra tutti e’ l’amore: l’amante siciliano cantava la sua ammirazione per la bellezza della<br />
donna con pregiate metafore; la donna è un <strong>di</strong>amante raro, palazzo <strong>di</strong> pietre preziose, vascello<br />
navigante; lei dalle trecce d’oro, dalla fronte fine, archi trionfali, le ciglia, coralli le labbra; bella<br />
più che il sole e la luna…<br />
ecco alcuni esempi:<br />
Primo esempio Secondo esempio<br />
Quannu nascisti tu, scumidda<br />
d’uoru,<br />
Quando nascesti tu, spumetta dorata<br />
l’angili <strong>di</strong> lu cielu s’alligraru.<br />
si rallegrarono gli angeli del cielo<br />
Dimmillu, cu ti detti ssu trisoru?<br />
Dimmelo, chi ti <strong>di</strong>ede questi tesori?<br />
Novi tuorci d’argientu t’addumaru.<br />
nove torce d'argento ti accesero:<br />
Tu sula cci poi stari mmienzu l’uoru<br />
tu sola puoi stare in mezzo all'oro<br />
Mmienzu li stid<strong>di</strong> chi n’ cielu<br />
ngastaru.<br />
fra le stelle che in cielo sono<br />
incastonate<br />
(raccolto a Casteltermini)<br />
Auta donna, na Reggina siti,<br />
Altissima donna, una Regina siete<br />
ca bid<strong>di</strong>zzi nn’aviti nquantitati<br />
poichè bellezze ne avete in quantità,<br />
<strong>di</strong> la stidda Nniana figghia siti,<br />
della stella Diana siete figlia,<br />
la Luna soru, lu Suli v’è frati,<br />
della Luna sorella, iI Sole vi è<br />
fratello,<br />
li stid<strong>di</strong> pi ghiucari li tiniti<br />
le stelle tenete per giocarci<br />
e nta lu menzu dù torci addumati,<br />
nel mezzo due torce accese;<br />
quannu un pe<strong>di</strong> a la porta vui<br />
mintiti<br />
quando un piede alla porta mettete,<br />
ncielu v’accumpagnanu li Fati.<br />
in cielo vi accompagnano le Fate.<br />
(raccolto a Palermo)
Terzo esempio<br />
Stidda lucenti china <strong>di</strong> bid<strong>di</strong>zzi<br />
Stella lucente piena <strong>di</strong> bellezze<br />
Montagna tutta <strong>di</strong> cristallu e d’oru,<br />
montagna tutta <strong>di</strong> cristallo ed oro<br />
mi nni ‘nciammai <strong>di</strong> li tò bid<strong>di</strong>zzi,<br />
mi infiammai delle tue bellezze,<br />
quannu un ti viju <strong>di</strong> la pena moru:<br />
quando non ti vedo muoio <strong>di</strong> pena;<br />
dammi un capiddu <strong>di</strong> ssi bienni<br />
trizzi,<br />
dammi un capello <strong>di</strong> queste bionde<br />
trecce<br />
quantu lu ntrizzu c’un lazzettu<br />
d’oru:<br />
quanto l'intreccio con un laccetto<br />
d'oro;<br />
miatu dd’omu ca cerca bid<strong>di</strong>zzi!<br />
beato quell'uomo che cerca la<br />
bellezza,<br />
Ca cui pusse<strong>di</strong> a tia, teni un tisoru.<br />
chi ti possiede, tiene un tesoro.<br />
(raccolto a Termini)<br />
I Canti d’Amore<br />
Amore vuol <strong>di</strong>re cantare, il canto rivela gioie e dolori, gelosie, sdegno, corrucci, abbandono,<br />
<strong>di</strong>sperazione amorosa; numerosi sono i canti <strong>di</strong> "gilusia, spartenza e sdegnu"<br />
Esempio <strong>di</strong> "gilusia" Esempio <strong>di</strong> "spartenza"<br />
Donna, ca duni acqua a dui vadduna,<br />
Donna che dai acqua a due torrenti<br />
e un poi furmari mai ciumi correnti,<br />
e non puoi formare un fiume corrente,<br />
donna ca amannu vai a tanti patruna,<br />
donna che amando vai tanti padroni,<br />
e un li po’ fari a tutti mai cuntenti,<br />
e non puoi farli mai tutti contenti;<br />
amanni unu cu cori custanti,<br />
amane uno con cuore costante<br />
e l’autri levatilli <strong>di</strong> la menti;<br />
e gli altri levateli dalla mente:<br />
pirchì tu donna, pi amarinni a tanti<br />
perchè tu donna, per amarne tanti,<br />
t’abbruci, ti consumi, e nun fà nenti.<br />
ti bruci, ti consumi e non fai niente.<br />
(raccolto ad Alimena)<br />
Bedda chi mi ca<strong>di</strong>sti <strong>di</strong> lu cori,<br />
Bella, che mi cadesti dal cuore<br />
comu un panaru <strong>di</strong> mènnuli amari,<br />
come un paniere <strong>di</strong> mandorle amare,<br />
ti nn’hajiu a dari assà peni a ssù cori<br />
te ne darò assai, pene nel cuore<br />
p’anzina chi ti fazzu mpustimari.<br />
sino a che ti farò ammalare.<br />
( raccolto ad Alcamo)
Le serenate rappresentavano le modalità del corteggiamento mentre i canti <strong>di</strong> sdegno, la rottura del<br />
corteggiamento.<br />
Vurria cantari nta li matinati,<br />
Vorrei cantare all'alba<br />
allura chi su tutti addurmisciuti<br />
quando tutti dormono<br />
e nta ssu viancu lettu vi curcati<br />
e in questo bianco letto siete coricata<br />
e vi gu<strong>di</strong>ti lu sunnuzzu duci.<br />
e vi godete il dolce sonno.<br />
Eu vajiu cantannu pi li strati:<br />
Io vado cantando per le strade<br />
sona citarra e dammi bona vuci;<br />
suona, chitarra e dammi buona voce,<br />
s’hannu a jicari sti dù cori amati<br />
si uniranno questi due cuori amanti<br />
si lu Signori nni lassa ‘n saluti.<br />
se il Signore ci lascia vivere.<br />
(raccolto a Camporeale)<br />
I Canti della Vicaria<br />
Esempi <strong>di</strong> "serenate"<br />
Nun dormiti no no, nun tantu sonnu<br />
Non dormite, no, tanto sonno<br />
Chi lu tantu durmiri vi fa dannu,<br />
che il troppo dormire vi fa danno,<br />
ccà c’è lu vostru amanti a stu cuntornu<br />
qui in giro c'è il vostro amante,<br />
cu strumenti d’amuri e va sunannu;<br />
con strumenti d'amore và suonando;<br />
sona <strong>di</strong> prima sira sinu a jornu,<br />
suona da prima sera sino a giorno,<br />
sona pri quantu jorna cc’è tra un annu;<br />
suona per i giorni che sono in un anno;<br />
pri quantu bed<strong>di</strong> cc’è tra stu cuntornu,<br />
tra tante belle che sono nei <strong>di</strong>ntorni<br />
tu sula mi fa jiri pazziannu<br />
tu sola mi fai impazzire.<br />
Questi canti venivano eseguiti con o senza accompagnamento musicale;<br />
i canti della vicaria, raccontano la sofferenza dei condannati, con la piena degli affetti che<br />
irrompe, col sentimento della libertà perduta; la <strong>di</strong>sperazione è alle prese con il dolore, la vita<br />
in lotta con la morte.<br />
Esempio <strong>di</strong> canto<br />
Su carzaratu e a sti gra<strong>di</strong> m’appizzu<br />
Sono carcerato ed a queste grate mi afferro<br />
pi miraculu <strong>di</strong> Diu nun nesciu pazzu<br />
per miracolo <strong>di</strong> Dio non esco pazzo.<br />
haiu na petra dura pi capizzu<br />
ho una pietra dura per cuscino,<br />
setti parmi <strong>di</strong> terra è matarazzu.<br />
sette palmi <strong>di</strong> terra il materazzo.<br />
O Ancilu <strong>di</strong> Diu cercacci ngrizzu<br />
Oh, Angelo <strong>di</strong> Dio,trova il rime<strong>di</strong>o<br />
cu stu cuteddu ccà stissu m’ammazzu!
I Canti <strong>di</strong> Lavoro<br />
o con questo coltello qui stesso mi uccido.<br />
Mi votu, mi giriu, su sempri mpizzu,<br />
Mi volto, mi giro, sono sempre sull'orlo,<br />
veni la Morti, la strinciu e l’abbrazzu !<br />
viene la Morte, la stringo, l'abbraccio.<br />
Nata nei campi, o nelle piazze citta<strong>di</strong>ne, la canzone popolare e le sue espressioni musicali, era<br />
correlata al ciclo dell’anno e del lavoro: pescatori, conta<strong>di</strong>ni, carrettieri, fornai, artigiani,<br />
vanniatori, vantavano una cospicua produzione <strong>di</strong> canti relativi al loro mestiere.<br />
I canti del lavoro nascevano spontaneamente dall’esigenza <strong>di</strong> dovere coor<strong>di</strong>nare i lavori <strong>di</strong><br />
gruppo;<br />
gli antichi mestieri tra<strong>di</strong>zionali come la battitura del gesso, delle fibre, del frumento,<br />
avvenivano con movimenti <strong>di</strong> percussione, o <strong>di</strong> trazione in ambito marinaro, con le vele, la<br />
pesca, il trasporto del sale, la misurazione, con la pesa del frumento, del mosto del sale ecc… ;<br />
i movimenti ed i ritmi <strong>di</strong> questi mestieri, producevano spontaneamente un accompagnamento<br />
vocale che scaturiva dai gesti e dai ritmi propri <strong>di</strong> quei lavori.<br />
Vanniatine<br />
Frauli (fragole)<br />
Ora si ponnu manciari veri frauli, a<br />
trentadù grana calaru!<br />
Ora si potranno mangiare vere fragole...<br />
sono scese <strong>di</strong> prezzo...<br />
Cucuzza (Zucchina)<br />
Viera comu u mieli è! viera comu u<br />
mieli è!<br />
Veramente come il miele è, veramente<br />
come il miele è!<br />
Pumadoru (pomodori)<br />
Sciacquatu l'haiu, pumaramuri, a tri<br />
grana l'haiu!<br />
Persichi (pesche)<br />
Di Carini sta bedda persica<br />
giannulidda!<br />
Di Carini questa bella pesca giallina!<br />
Favi (fave)<br />
Chi bed<strong>di</strong> favi ca sunnu curti e chini<br />
La misuratine del frumento<br />
Nomu <strong>di</strong> Diu, avemu unu e unu e<br />
dui,<br />
avemu tri, e unu quattro, cincu<br />
avemu…<br />
..sei, setti, ottu,<br />
e novi e tagghiala!
e vi vinnu a sè grana sti favi!<br />
Che belle fave, sono corte e piene e ve<br />
le vendo a sei grani queste fave!<br />
I Canti dei Conta<strong>di</strong>ni<br />
I canti della tra<strong>di</strong>zione conta<strong>di</strong>na restano solo ancora nella memoria degli anziani.<br />
Questi canti venivano eseguiti durante il lavoro nei campi ma anche nelle riunioni conviviali,<br />
feste, serenate etc..<br />
Ed hanno anche loro delle forme <strong>di</strong>stinguibili: il canto alla viddanisca, detto anche alla<br />
campagnola e’ uno dei più <strong>di</strong>ffusi, con ottave <strong>di</strong> endecasillabi, con esecuzione mono<strong>di</strong>ca a volte<br />
con accompagnamento <strong>di</strong> marranzano.
Innumerevoli canti sono stati raccolti nel Corpus <strong>di</strong> musiche popolari <strong>di</strong> Alberto Favara, un<br />
universo musicale compatto e variegato delle forme musicali degli antichi lavoratori:<br />
conta<strong>di</strong>ni, zolfatari e carrettieri, partecipavano ad una comune tra<strong>di</strong>zione, influenzandosi<br />
nei repertori.<br />
Primo esempio Secondo esempio<br />
Guarda chi figghia teni stu viddanu!<br />
Pari ca fussi na spignidda d’oru<br />
Quannu si metti dd’aguglia a li manu<br />
Pari arricamassi sita e oru<br />
Quannu si metti ‘mmenzu ddu tilaru<br />
Fa ghiri dda navetta volu volu.<br />
(422 Corpus Favara)<br />
I Canti dei Carrettieri<br />
Dunni camini tu e li peri posi<br />
Nascinu ciuri <strong>di</strong> milli paisi<br />
Nascinu ciuri <strong>di</strong> milli paisi<br />
Balacu, gersumini, gigghi e rosi.<br />
Lu nomu Marianedda ti lu misi<br />
Nta stu pittuzzu to porti gran cosi<br />
Setti jar<strong>di</strong>na, ottu para<strong>di</strong>si<br />
Dipinto <strong>di</strong> Gioacchino Cappello<br />
Novi canti d’aceddu unni arriposi.<br />
(271 Corpus Favara)<br />
Profonde trasformazioni socioculturali hanno determinato la crisi irreversibile che ha investito la cultura<br />
tra<strong>di</strong>zionale siciliana.
<strong>Il</strong> carretto è un mezzo <strong>di</strong> lavoro ormai in <strong>di</strong>suso: è quasi scomparso così come scomparsi sono i suggestivi,<br />
elaborati ed arcaici canti che accompagnavano il duro lavoro del carrettiere.<br />
Fino a non molti decenni fa le merci venivano trasportate con il carretto: prodotti per la campagna, per<br />
l’e<strong>di</strong>lizia, il concime, il carbone, il sale, lunghi percorsi attraverso trazzere, "stratuna" in solitu<strong>di</strong>ne, a volte<br />
per <strong>di</strong>versi giorni, con l’unica compagnia il cavallo... e le canzoni, fino ai "fondaci", luoghi dove fermarsi per<br />
riposare, bere, con<strong>di</strong>videndo con altri carrettieri la fatica comune <strong>di</strong> un duro mestiere. E non solo: nel<br />
fondaco i carrettieri si sfidavano a chi sapesse il canto più bello, a chi aveva la migliore "carenzia" cadenza,<br />
una perfetta emissione vocale, il rispetto per il modello musicale tra<strong>di</strong>zionale, riscuotendo il rispetto dei<br />
compagni e la consacrazione naturale.<br />
I cantanti, tra l’entusiamo generale completavano il loro brano con le "chiamate" invitando altri a<br />
continuare il canto fra un bicchiere <strong>di</strong> vino e "favi a cunigghiu", un invito amichevole o anche<br />
provocatorio. Canti che venivano trasmessi per generazioni <strong>di</strong> padre in figlio, da zio a nipote.<br />
Motivo <strong>di</strong> vanto era a chi avesse il cavallo più potente ed abile, da qui le gare, l’ostentazione <strong>di</strong> qualche<br />
superiorità, durante le fiere, pellegrinaggi, feste. I contenuti dei canti l’amore, le pene, la gelosia, lo sdegno<br />
etc…<br />
Elementi <strong>di</strong> competizione erano la tecnica del canto, la resistenza fisica, la capacita <strong>di</strong> mangiare<br />
abbondantemente...<br />
Tutto il repertorio dei canti alla carrittera è complesso e raffinato nelle trame melismatiche.<br />
Oggi non ci sono più i carrettieri ma i loro canti costituiscono una delle espressioni più importanti della<br />
musica etnica siciliana.<br />
Primo esempio Secondo esempio<br />
Un ni lu fazzu cchiù lu carritteri<br />
Non lo faccio più il carrettiere<br />
Chi lu cavaddu un voli caminari<br />
il mio cavallo non vuole camminare<br />
Nta la scinnuta <strong>di</strong> Musulumeli<br />
nella <strong>di</strong>scesa <strong>di</strong> Misilmeri<br />
Si rumpi suttapanza e pitturali.<br />
si ruppe sottopancia e pettorali.<br />
(Corpus Favara)<br />
Gigghiu <strong>di</strong> novi pampini si natu<br />
Giglio <strong>di</strong> nove foglie sei nato<br />
Gigghiu adorni la pirsuna mia<br />
giglio che adorni la mia persona<br />
Catina chi mi teni ncatinatu<br />
catena che mi tiene incatenata<br />
Catina chi ncatini l’arma mia.<br />
catena che incatena l'anima mia;<br />
Beni ti vogghiu cchiù <strong>di</strong> lu mè ciatu<br />
bene ti voglio più che il mio respiro<br />
Accussì criu chi vò beni a mia<br />
così credo tu voglia bene a me;<br />
Lu sonnu <strong>di</strong> la notti m’ha rubatu<br />
il sonno della notte mi hai rubato<br />
Ti lu purtasti a dormiri cu tia.<br />
te lo sei portato a dormire con te.<br />
(Corpus Favara)
Le Novene <strong>di</strong> Natale<br />
Le Novene <strong>di</strong> Natale, canto narrativo sud<strong>di</strong>viso in 9 parti che narrano le vicende della natività<br />
sono eseguite per le 9 sere che precedono il Natale, ad opera <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> musicanti che<br />
suonano davanti ad e<strong>di</strong>cole sacre addobbate con frutta, alloro ed asparago ed eseguendo un<br />
vario e suggestivo repertorio commissionato da devoti che alla fine offriranno cibo e bevande a<br />
loro ed ai presenti; In <strong>di</strong>versi paesi, vengono accesi dei falò per "qua<strong>di</strong>ari lu Bammineddu".<br />
A Monreale, <strong>di</strong>verse coppie <strong>di</strong> zampognari (ciaramiddari) si esibiscono la mattina e la sera,<br />
dall’Immacolata all’Epifania con la zampogna " a chiave", o a Licata con quella "a paio" con il<br />
sostegno ritmico del cimmulu (cerchietto) munito <strong>di</strong> piattini e sonagli.<br />
La Novena da Madonna, a Novena <strong>di</strong> Natali, l’Ottava dell’Epifania, della Natività,<br />
dall’Annunciazione alla Nascita, alla fuga in Egitto ed il Triduo (triinu), che conclude i tre giorni<br />
dal 3 al 5 gennaio, sono alcuni degli antichi canti proposti nelle novene; i brani più richiesti e<br />
commissionati dai devoti sono Lu viaggiu dulurusu (lu caminu <strong>di</strong> San Giuseppi), A la<br />
notti <strong>di</strong> Natali, Ninu Ninu lu picuraru, Li tri re, Dinghi <strong>di</strong>nghi la campanedda, la Sarvi<br />
Regina <strong>di</strong> Natali, e melo<strong>di</strong>e strumentali come le Pasturali che sono l’esito <strong>di</strong> scambi tra la<br />
musica dotta e quella popolare; i Ballitti concludono le Novene. Temi ricorrenti sono<br />
l’adorazione dei pastori, le ninna nanne al Bambino.<br />
"Lu caminu <strong>di</strong> San Giuseppi" è un lungo testo in quartine <strong>di</strong> ottonari che narra le vicende<br />
evangeliche della nascita <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> cui fu autore un monaco monrealese Bini<strong>di</strong>ttu Annuleri,<br />
pseudonimo del canonico Antonio Di Liberto. Dal suo "Viaggio dulurusu <strong>di</strong> Maria<br />
Santissima e lu Patriarca San Giuseppi in Betlemmi", nacquero nei secoli molte varianti,<br />
<strong>di</strong>versi brani simili, con svariate combinazioni vocali e strumentali.<br />
Un’altra interessante novena è attribuita a Giacomo D’Orsa, celebre poeta popolare dei primi<br />
anni del Settecento, dal titolo "Curteggiu <strong>di</strong> li pasturi a lu Santu Bambinu Gesù, la ninna<br />
<strong>di</strong> la Gluriusa Virgini Maria"; da queste <strong>di</strong>scendono le numerose varianti riproposte ancora<br />
oggi.<br />
<strong>Il</strong> Pitrè testimonia <strong>di</strong> novene <strong>di</strong> Natale, eseguite con svariati strumenti: friscalettu,<br />
scacciapensieri, violino, contrabbasso e flauto. Alla fine dei canti, i cantanti ricevevano il<br />
compenso. "Fari u firriatu" cioè offrire ai suonatori ed ai presenti, vino, ceci, cucciddati, uva<br />
passa e fichi secchi dai devoti.<br />
"E’ nasciutu u Bammineddu: datici lu carrineddu!", o "la nuvena è terminata, datici li<br />
cucciddata".<br />
<strong>Il</strong> contenuto delle Novene, i personaggi trovano origine molto spesso, dai Vangeli apocrifi<br />
trasmessi nel tempo per via orale.
Esempio <strong>di</strong> novene<br />
Quannu Cesari iccau ddu gran bannu rigurusu,<br />
Quando Cesare proclamò quell'e<strong>di</strong>tto rigoroso,<br />
San Giuseppi si truvau ntra la chiazza rispittusu<br />
San Giuseppe si trovava nella piazza rispettoso:<br />
San Giuseppi era cunfusu-Comu fazzu cu Maria-<br />
San Giuseppe era confuso -come faccio con Maria-<br />
siddu senti chistu bannu, voli veniri cu mmia..-<br />
-se lei sente quest'e<strong>di</strong>tto vorrà venire con me.-..<br />
E Maria ci ha rispunnutu- fatta sia la vuluntati<br />
ma Maria gli rispose-fatta sia la volontà-<br />
giacchè Diu l’ha <strong>di</strong>spunutu, vegnu dunni mi purtati…<br />
-giacchè Dio l'ha <strong>di</strong>sposto, vengo dove mi portate.<br />
(Corpus Favara)<br />
Ora veni lu picuraru<br />
e nun ha chi ci purtari<br />
porta latti e nti la cisca<br />
cascavad<strong>di</strong> e tuma frisca.<br />
Arrivisciti o matri mia,<br />
ca nui semu a la campìa.<br />
E ninna hò, e ninna ahò<br />
e lu mè figghiu dormiri vò.<br />
(Corpus Favara)<br />
E la notti <strong>di</strong> Natali c’è la festa principali<br />
E la notte <strong>di</strong> Natale, c'è la festa principale,<br />
parturiu la gran Signora nna n’afflitta manciatura<br />
partorì la gran Signora in un'afflitta mangiatoia<br />
mmenzu l’oi e l’asineddu fici a Gesù bammineddu<br />
in mezzo al bue ed all'asinello fece a Gesù Bambinello,<br />
e ognirunu lu biniricia: chistu è lu fruttu chi fici Maria<br />
ed ognuno lo bene<strong>di</strong>ceva -questo è il frutto che fece Maria...<br />
(Corpus Favara)
I Trionfi<br />
I Triunfi sono tra le forme sonore della devozione popolare, il repertorio poetico-musicale <strong>di</strong><br />
maggiore interesse e rilevanza; tra i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione dei culti, importante era l’apporto<br />
della poesia popolare largamente utilizzata presso le classi del popolo, e ad essa si rifaceva il<br />
repertorio dei Triunfisti.<br />
I Triunfi composti da canti e suoni ballabili, sunati a complimento, con particolari interlu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
violino, che inframmezzano le strofe dai <strong>di</strong>versi cambi <strong>di</strong> tonalità, contenevano le storie sacre<br />
che venivano fatte in onore ed in ringraziamento per grazia ricevuta, <strong>di</strong> un Santo, della<br />
Vergine, o <strong>di</strong> Cristo.<br />
Venivano eseguiti durante la festa ricorrente , per devozione, da un gruppo <strong>di</strong> suonatori;<br />
anticamente erano gli Orbi, più recentemente gruppi <strong>di</strong> due o tre suonatori, del popolo, che in<br />
casa, per strada, davanti ad un’e<strong>di</strong>cola addobbata, o davanti ad un altarino con l’immagine del<br />
Santo, o davanti la porta <strong>di</strong> casa del devoto che chiama ad eseguire il trionfo, suonano il<br />
violino, la chitarra, a cui recentemente si è unita la fisarmonica e il mandolino, ricevendo in<br />
cambio del denaro. <strong>Il</strong> triunfo inizia con un brano allegro, poi racconta la vita del Santo, e si<br />
conclude con la sunata a complimento, e l’abballu <strong>di</strong> li Virgini.<br />
Anche in questo caso il devoto offre ai suonatori ed ai presenti, vino, dolci, favi a cunigghiu.<br />
TRIUNFU DI S.RUSULIA<br />
Una parte consistente del repertorio degli Orbi, arrivato fino ai giorni nostri, è costituita dal<br />
Triunfu <strong>di</strong> Santa Rusulia, una forma rituale che scaturisce da sentimenti <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne del<br />
popolo <strong>di</strong> Palermo, per grazia ricevuta, e che inizia con un prelu<strong>di</strong>o musicale molto vivace,
seguito dalla narrazione della storia della vita <strong>di</strong> Santa Rosalia; la chiamata <strong>di</strong>vina, la città<br />
sconvolta dalla peste, il miracolo della guarigione dal flagello, sono i quadri che vengono<br />
cantati; il triunfu si conclude con l’Abballu <strong>di</strong> li Virgini, una o più sunati a cumplimentu.<br />
Rusulia santa Vergini amurusa<br />
Gigghiu ad<strong>di</strong>vatu fusti all’acqui puri<br />
La <strong>di</strong>scinnenza tua fù priziusa<br />
Di Carlo Magno Re imperaturi<br />
Pi essiri a Diu la cilesti spusa<br />
Di ncelu nterra ci detti st’onuri<br />
Apposta nta stu munnu fù mannata<br />
Pi essiri <strong>di</strong> Palermu l’avvocata<br />
Essennu la Sicilia turmintata<br />
D’in<strong>di</strong>gni manigol<strong>di</strong> e saracini<br />
La santa liggi vineva <strong>di</strong>scacciata<br />
<strong>di</strong> chisti barbari in<strong>di</strong>gni er assassini…<br />
…sennu nata Santa Rusulia<br />
triunfu fici la corti riali<br />
tuttu lu populu gran festa ci facia<br />
pi li bid<strong>di</strong>zzi, nun c’eranu l’iguali<br />
la matri assai la figghia stimava<br />
la santa liggi ci misi a mparari<br />
e la mparava cu n’affettu piu<br />
e la Virginedda misi ad amari a Diu…etc…<br />
….un certu jornu vosi pittinari<br />
la cammarera a Santa Rusulia<br />
<strong>di</strong> perli e gioie la misi a ntricciari<br />
na li so bed<strong>di</strong> capid<strong>di</strong> c’havia<br />
ma pi cchiù megghiu falla ncapricciari<br />
ccà c’è lu specchiu guardati ci <strong>di</strong>cia<br />
mentri a lu specchiu si guardava fissu<br />
ci accumpariu Gesù Crocifissu….etc…<br />
I Canti della Settimana Santa<br />
Rosalia santa Vergine amorosa,<br />
giglio sei stata, allevata alle acque pure<br />
la tua <strong>di</strong>scendenza fù preziosa,<br />
da Carlo Magno, Re ed Imperatore..<br />
per essere <strong>di</strong> Dio celeste sposa<br />
dal cielo in terra le fù dato l'onore,<br />
apposta in questo mondo fù mandata,<br />
per essere <strong>di</strong> Palermo l'avvocata...<br />
essendo la Sicilia tormentata<br />
da indegni manigol<strong>di</strong> e saraceni<br />
la santa legge veniva <strong>di</strong>sprezzata<br />
da questi barbari indegni ed assassini...<br />
essendo nata Santa Rosalia,<br />
trionfo tenne la corte reale<br />
tutto il popolo faceva festa<br />
per la sua bellezza che non aveva uguali<br />
la madre assai stimava la figlia<br />
e la santa legge cominciò ad insegnarle<br />
gliela insegnava con pio affetto<br />
e la Verginella cominciò ad amare Dio...<br />
Un certo giorno volle la cameriera<br />
pettinare Santa Rosalia,<br />
<strong>di</strong> perle e gioie mise ad intrecciare<br />
quei bei capelli che lei aveva<br />
Ma per meglio farla scapricciare,<br />
- qui c'e' lo specchio, guardati...-<strong>di</strong>ceva...<br />
mentre allo specchio si guardava fisso<br />
le comparve Gesù Crocifisso...etc...<br />
<strong>Il</strong> dolore come sentimento è rappresentato nei canti della Settimana Santa; canti,<br />
lamintanzi, ladate, che accompagnano le processioni del Venerdì Santo, con rèpitu, chianti,<br />
triulu, lamentu.<br />
In quasi tutti i paesi si festeggia la Settimana Santa, un insieme <strong>di</strong> celebrazioni rituali con<br />
processioni, alcune molto suggestive ed intense come a Trapani dove sono rappresentati i<br />
"Misteri", con i "mortori, e le "scinnenze", o bizzarre come i giudei <strong>di</strong> S. Fratello o i<br />
Diavuluna <strong>di</strong> Prizzi.
La musica <strong>di</strong> queste processioni è a carattere mesto e luttuoso, con le lamentanze, i lamenti, o<br />
parti <strong>di</strong> la Simana Santa, cioè canti più voci o mono<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, <strong>di</strong> grande<br />
importanza e varietà.<br />
Questi lamenti per lo più vengono eseguiti il Venerdì Santo in forma polivocale, da parte <strong>di</strong><br />
squadre <strong>di</strong> cantori speciali detti lamentatori, con un cantore solista, ed un accompagnamento<br />
vocale a più voci.<br />
<strong>Il</strong> Miserere, lo Stabat Mater, il Gloria, Vexilla, il Magnificat, vengono proposti in libere<br />
volgarizzazioni dal latino storpiato, in italiano ed in siciliano; a volte sono accompagnati dalle<br />
traccole. I testi sono a carattere narrativo, raccontano la Passione <strong>di</strong> Gesù, il dolore <strong>di</strong> Maria.<br />
Foto tratta dal sito Panormus <strong>di</strong> Carlo Di<br />
Franco sui riti della pasqua a Palermo<br />
Maria ittoni na vuci supra un scogghiu<br />
Maria alzò la voce sugli scogli<br />
Dicennu – mè riparu e mè cunsigghiu...<br />
<strong>di</strong>cendo:-mio riparo e mio consiglio-,<br />
<strong>di</strong>cennu – mè riparu e mè cunsigghiu<br />
<strong>di</strong>cendo:-mio riparo e mio consiglio<br />
Maria scuntrau na putia nova<br />
Maria passò da una nuova bottega,<br />
lu mastru d’ascia la cruci facia<br />
il falegname faceva la croce<br />
cu tri rispuntatissimi tri chiova.<br />
con tre spuntatissimi tre chio<strong>di</strong>:<br />
Servinu pi lu figghiu <strong>di</strong> Maria.<br />
servono per il figlio <strong>di</strong> Maria...<br />
(Corpus Favara)<br />
E figliu ca ti partisti o comu gigliu,<br />
Figlio te ne sei andato come un giglio<br />
ora ti trovu tuttu fragillatu...<br />
ora ti trovo tutto flagellato...<br />
Vitti viniri lu populu armatu,<br />
Vi<strong>di</strong> venire la folla armata<br />
cu Giuda avanzi tra<strong>di</strong>tori misu,<br />
con Giuda davanti ai tra<strong>di</strong>tori<br />
e Cristu a li Giudei vosi spiari<br />
e Cristo agli Giudei volle chiedere<br />
ci <strong>di</strong>ssi a Giuda, chi vinisti a fari ?<br />
e <strong>di</strong>sse a Giuda,- che sei venuto a fare ?<br />
Chianci, chianci Maria, povera donna,<br />
Piange, piange, Maria, povera donna<br />
chi avi lu figghiu so a la cunnanna.<br />
che ha il figlio suo alla condanna...
Gli Strumenti della Musica Popolare<br />
Cunnanna un esti no, chi chiù nun torna,<br />
condanna non è, no, da non farlo tornare,<br />
e’ ncasa <strong>di</strong> Pilatu, ncasa torna...<br />
è in casa <strong>di</strong> Pilato, perciò a casa torna..<br />
L’intervento strumentale negli antichi canti popolari, dominio della pura vocalità, in origine è<br />
pressoché nullo in quanto la compiutezza melo<strong>di</strong>ca del canto, a giu<strong>di</strong>zio del popolo non lo<br />
richiede ; esso appare in un momento successivo, quando l’esecutore in circostanze speciali,<br />
vuol fare mostra <strong>di</strong> particolare abilità o durante le feste.<br />
Gli strumenti popolari siciliani rappresentano una componente essenziale nell’esecuzione della<br />
musica popolare oltre che un valore storico, psicologico, magico-rituale, e socio-culturale; il<br />
Pitrè ne fa una menzione nei giochi fanciulleschi e per certi ricorrenze religiose; il Salamone<br />
Marino, fa un semplice accenno parlando del Carnevale dei conta<strong>di</strong>ni. Qualche notizia ci viene<br />
dalla stu<strong>di</strong>osa catanese Carmelina Naselli, che parlò nel 1949, <strong>di</strong> strumenti da suono della<br />
musica siciliana.<br />
Vi sono alcune testimonianze che si possono trovare nella letteratura demologia del secolo<br />
scorso o nei resoconti dei viaggiatori stranieri in Sicilia, nel Settecento o nell’Ottocento che ci<br />
parlano della presenza <strong>di</strong> strumenti musicali popolari :-Non ci sono feste senza musica, canti e<br />
danze - scrive H’elèn Tuzet, riportando le note <strong>di</strong> viaggio <strong>di</strong> Barteìs,- i ballerini girano con<br />
grazia e <strong>di</strong>gnità… le danze sono accompagnate da flauti, cennamelle, ed altri strumenti a fiato…<br />
Anche Alexandre Dumas, in viaggio in Sicilia, ci lascia una testimonianza <strong>di</strong> una festa<br />
tra<strong>di</strong>zionale briosa: - Si danza da soli, in due, in quattro. In otto, come si vuole, un uomo con<br />
un altro, una donna con un’altra… l’orchestra si componeva <strong>di</strong> due soli musicisti, uno suonava il<br />
flauto, l’altro una specie <strong>di</strong> mandolino.<br />
Così scrive il Salamone Marino – due suonatori uno con il contrabbasso, l’altro con il violino, o<br />
lo zufolo, non mancano mai: la domenica si piantano in una piazza, dove non appena hanno<br />
dato l’aria a due note, veggonsi circondati da una folla <strong>di</strong> giovani villici…. Quei musici vi danno<br />
un pezzo (caddozzu) <strong>di</strong> fasola, o <strong>di</strong> tarantella, tutte musiche popolari un tempo accompagnate<br />
dal canto…<br />
- Né <strong>di</strong>fettano mai gli strambotti tra<strong>di</strong>zionali, ed i fiori o gli stornelli, - scrive sempre il<br />
Salamone Marino - quali sono cantati solitamente da giovani con accompagnamento <strong>di</strong>
scacciapensieri,(mariolu, ngannalarruni) o <strong>di</strong> zufolo, (friscalettu) strumenti che abitualmente<br />
essi portano in tasca.<br />
Gli strumenti più usati<br />
(clicca sul link per la pagina de<strong>di</strong>cata al singolo strumenti)<br />
• A corde (cordofoni): si tratta <strong>di</strong> strumenti muniti <strong>di</strong> corde, <strong>di</strong> nylon o metallo o <strong>di</strong><br />
budella <strong>di</strong> ovini (minugia) che possono venire: pizzicate, strofinate, percosse<br />
o violino<br />
o violoncello<br />
o mandolino<br />
o liuto<br />
o chitarra<br />
• A fiato (aerofoni): detti comunemente strumenti a fiato, gli aerofoni sono corpi cavi a<br />
forma <strong>di</strong> canna o tubo che producono il suono con la vibrazione della colonna d’aria in<br />
essi sospinta: quanto più lunga ed ampia è questa colonna d’aria, tanto più gravi sono i<br />
suoni che essa produce.<br />
o friscalettu (flauto <strong>di</strong> canna)<br />
o ciaramedda (zampogna)<br />
o bummulu<br />
• A percussione: sono strumenti adatti a sottolineare il ritmo <strong>di</strong> un brano musicale, ed<br />
hanno anche un’importante funzione coloristica ed espressiva; sono <strong>di</strong>stinti dal modo in<br />
cui vengono posti in vibrazione a seconda che siano percossi, strofinati, sbattiti,<br />
pizzicati, scossi etc…<br />
o mariolo (ngannalarruni, marranzano)<br />
o tammurinu tammureddu<br />
o circhettu,<br />
o timpanu<br />
o castagnette (scattagnetti, nacchere)<br />
o acciarinu
10-La Musica Popolare nel Gargano<br />
<strong>Il</strong> Gargano viene indagato per la prima volta nel 1954. La prima raccolta è la 24 b: fu<br />
effettuata da Alan Lomax e Diego Carpitella nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca sistematica in tutta la<br />
penisola, che li portò a registrare circa 3000 documenti sonori. La raccolta, che comprende 53<br />
documenti sonori, con vari organici vocali e strumentali, registrati nei comuni <strong>di</strong> Sannicandro<br />
Garganico, Cagnano Varano, Carpino e Monte Sant’Angelo), è tuttora conservata presso gli<br />
Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia <strong>di</strong> Roma (è la denominazione che l'etnomusicologo Diego Carpitella<br />
<strong>di</strong>ede nel 1989 al Centro Nazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Musica Popolare (CNSMP) dell'Accademia<br />
Nazionale <strong>di</strong> Santa Cecilia, quando fu nominato conservatore).<br />
Nel 1958 viene effettuata la seconda campagna <strong>di</strong> registrazioni, a cura <strong>di</strong> Diego Carpitella ed<br />
Ernesto De Martino. E’ la raccolta 43, anch’essa depositata presso gli Archivi <strong>di</strong><br />
Etnomusicologia, comprende 73 documenti registrati a Vico del Gargano, Ischitella, Peschici,<br />
Sannicandro Garganico e Cagnano Varano. Nel 1966 Remigio de Cristofaro realizza la terza ed<br />
ultima raccolta patrocinata da un ente pubblico. La raccolta 104, più estesa rispetto alle due<br />
precedenti, comprende 95 documenti registrati a Vieste, Peschici, Monte Sant’Angelo,<br />
Sannicandro Garganico, Vico del Gargano, Ro<strong>di</strong> Garganico, Ischitella, San Giovanni Rotondo,<br />
Rignano Garganico, Manfredonia, Mattinata. La raccolta interessa 11 paesi del Gargano e fu<br />
effettuata dall’etnomusicologo originario <strong>di</strong> Ischitella per conto della Rai con il mitico<br />
registratore “Geloso”. Anch’essa è depositata presso gli Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia.<br />
<strong>Il</strong> 10 <strong>di</strong>cembre 1966 Diego Carpitella e Roberto Ley<strong>di</strong>, che stavano preparando uno spettacolo<br />
a Milano con cantori e suonatori tra<strong>di</strong>zionali, si recano a Carpino per effettuare una raccolta <strong>di</strong><br />
canti del paesino garganico. In quest’occasione registrarono la cosiddetta Tarantella del<br />
Gargano, che tanto successo ebbe presso i gruppi <strong>di</strong> riproposta (fino ad oggi se ne contano più<br />
<strong>di</strong> una trentina <strong>di</strong> versioni). In realtà era un sonetto (sunèttë) nella forma <strong>di</strong> tarantella alla<br />
mundanarë. L’iniziatore <strong>di</strong> questa operazione fu Roberto De Simone nel 1972 con la Nuova<br />
Compagnia <strong>di</strong> <strong>Canto</strong> Popolare (LP lo guarracino , Ricor<strong>di</strong>, SMRL 6151, 1972).<br />
Dal 1990, dopo la scomparsa <strong>di</strong> Carpitella, l'attività degli Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia è <strong>di</strong>retta<br />
da un comitato scientifico che ha avviato un insieme <strong>di</strong> interventi <strong>di</strong> ampio raggio tra cui la<br />
ricognizione, inventariazione e catalogazione informatizzata del patrimonio sonoro conservato<br />
e la pubblicazione <strong>di</strong> scelte antologiche dalle più importanti raccolte. Insieme al lavoro <strong>di</strong><br />
ricognizione, dal 1993 è stata intrapresa la pubblicazione <strong>di</strong> un perio<strong>di</strong>co, "EM - Rivista degli<br />
Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale <strong>di</strong> Santa Cecilia", pubblicata dall'e<strong>di</strong>tore<br />
Squilibri <strong>di</strong> Roma. L'archivio fotografico dell'Accademia <strong>di</strong> Santa Cecilia conserva preziose<br />
immagini legate alla sua attività nel corso del Novecento. Si tratta <strong>di</strong> circa 12000 immagini. La<br />
documentazione fotografica offre, inoltre, le splen<strong>di</strong>de testimonianze dell'attività <strong>di</strong> ricerca<br />
svolta dal Centro Nazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> sulla Musica Popolare, particolarmente negli anni<br />
Cinquanta, immagini a supporto delle registrazioni oggi conservate nelle raccolte degli Archivi
<strong>di</strong> etnomusicologia. Bisognerebbe verificare se ci sono immagini scattate dagli etnomusicologi<br />
che hanno raccolto i documenti sonori del Gargano. Padre Remigio de Cristofaro ha trascritto<br />
recentemente i testi e le partiture dei “Canti del popolo <strong>di</strong> Ischitella”, da lui raccolti nella<br />
“campagna” del 1966. Nel convegno sulle “Tra<strong>di</strong>zioni popolari oggi ”, svoltosi a Monte<br />
Sant’Angelo nell’agosto 2004, ha sottolineato che questo lavoro è ancora da avviare per tutti<br />
gli altri 10 paesi del Gargano.
11-L Musica Popolare nel Lazio<br />
La musica popolare del Lazio è più affine a quella della Toscana, fra le regioni limitrofe, che a<br />
quella della Campania, questo sia per i comuni contatti con l'antico territorio etrusco, sia per<br />
l'affinità del paesaggio del Lazio con quello della Maremma Toscana.<br />
I loro canti hanno lo stesso carattere grave e melanconico <strong>di</strong> quelli delle regioni desertiche e<br />
pianeggianti.<br />
<strong>Il</strong> canto popolare del Lazio appare, nelle sue espressioni più genuine, influenzato dal<br />
gregoriano: in questo è da vedere la sopravvivenza dell'arte greco-romana.<br />
Una delle espressioni più tra<strong>di</strong>zionali del canto popolare in genere è costituita dalla ninna<br />
nanna, essa è molto presente nei canti romaneschi delle cui nenie con le quali le antiche madri<br />
romane addormentavano i figliuoli ci sono rimaste espressioni tipo "lalla, lalla, lalla, aut dormi<br />
aut lacta".<br />
La forma più <strong>di</strong>ffusa del canto popolare romanesco è costituita dallo stornello o ritornello,<br />
simile a quello toscano, e chiamato così perché nel canto si ripete il primo verso. Esso si<br />
<strong>di</strong>stingue in stornello "col fiore" e "senza fiore". Gli stornelli romaneschi presentano <strong>di</strong> solito<br />
una canzone piuttosto uniforme e sono meno agili <strong>di</strong> quelli toscani. Tra essi le "canzoni a<br />
intenne " rivelano il carattere fiero dell'antico popolo del Lazio, presso il quale ricorrenti erano<br />
le canzoni d'improperi e d'infamia. Esiste anche un tipo <strong>di</strong> stornello rustico e gioioso.<br />
Tra le danze va ricordato il saltarello: fino al secolo scorso era accompagnato dalla cornamusa<br />
e dal tamburello, oggi per lo più dalla fisarmonica ma il carattere ed il ritmo sono rimasti<br />
tuttora immutati in tutta la campagna romana.
12-<strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> con chitarra in Sardegna<br />
Nel ricco e variegato repertorio della musica sarda il canto con chitarra del Logudoro,<br />
dell'Anglona e della Gallura è il più <strong>di</strong>ffuso. Da circa un secolo trova la sua più alta<br />
affermazione, con strutture e stili musicali ben definiti, nella "gara" tra i più bravi cantori.<br />
La presenza della chitarra in Sardegna è attestata dalla fine del XVI secolo, ma le prime notizie<br />
del suo abbinamento alla voce sono dell'Ottocento e risultano prive <strong>di</strong> elementi che possano<br />
giustificare circostanziate congetture sulle forme musicali adottate. Siamo certi, però, che alle<br />
ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa espressione belcantista c'è la ricca tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> canti mono<strong>di</strong>ci a voce sola che,<br />
sino a circa vent'anni fà, era possibile u<strong>di</strong>re soprattutto dalla bocca delle donne come<br />
sopravvivenza <strong>di</strong> una pratica musicale molto <strong>di</strong>ffusa. Ma i motivi elaborati nel canto con<br />
chitarra, già allora, iniziavano a prevalere e venivano normalmente ripresi nei repertori<br />
femminili domestici e del lavoro all'aperto, sino a soppiantare quasi del tutto le antiche<br />
espressioni. Nonostante le imponenti trasformazioni sociali ed economiche delle comunità<br />
agricole, il canto con chitarra continua a conservare i due livelli che lo hanno sempre<br />
contrad<strong>di</strong>stinto: quello della comunicazione sociale <strong>di</strong> puro intrattenimento e quello<br />
professionale. <strong>Il</strong> livello <strong>di</strong> comune attività canora è detto <strong>di</strong> su buttighinu (la bettola), sede<br />
d'incontro ora sempre più rara e sostituita da luoghi privati, come le cantine o, specialmente in<br />
città, i "circoli": stanzoni a pianoterra del<br />
centro storico dove gruppi <strong>di</strong> amici si<br />
riuniscono a bere e a cantare. A Sassari <strong>di</strong><br />
"circoli" se ne contano <strong>di</strong>versi e alcuni <strong>di</strong> essi<br />
accolgono inurbati dal Logudoro con le stesse<br />
funzioni aggregative delle bettole <strong>di</strong> città<br />
(quasi del tutto scomparse) o <strong>di</strong> paese (in<br />
molti casi ancora attive). Accanto alle bettole<br />
si possono ancora trovare gli ultimi luoghi<br />
stagionali (zilleri) <strong>di</strong> mescita <strong>di</strong> vino<br />
contrassegnati, come ovunque, da una frasca<br />
fissata nell'architrave della porta d'ingresso. Bettola e zilleri possono ancora accogliere i<br />
principianti o chi, per puro <strong>di</strong>vertimento, si cimenta nel canto senza particolari ambizioni pur<br />
<strong>di</strong>mostrando notevole abilità. Ma anche chi aspira a <strong>di</strong>ventare un professionista trova in questo<br />
ambiente l'opportunità <strong>di</strong> imparare tutte le forme <strong>di</strong> canto e <strong>di</strong> affinare lo stile sino al punto <strong>di</strong><br />
poter essere incoraggiato dagli amici ad esibirsi "in palco", cioè in pubblico. Altre occasioni per<br />
eseguire informalmente i canti con chitarra sono i matrimoni, le feste, le sagre e gli incontri<br />
conviviali in campagna, mentre l'uso gentile <strong>di</strong> usarli come pezzi da serenata risulta del tutto<br />
tramontato.
Un aspetto niente affatto secondario è quello della scelta dei testi verbali. Quasi tutte le forme<br />
<strong>di</strong> canto (ad eccezione del mutu ) si avvalgono <strong>di</strong> poesie dei più celebrati poeti in lingua sardo-<br />
logudorese e il bravo cantore si fa vanto <strong>di</strong> non ripetersi proponendo testi sempre nuovi e<br />
rispettarne, pur nello sviluppo melismatico dei virtuosismi, gli accenti, la struttura metrica e il<br />
contenuto. Si preferiscono i poeti classici, ma possono essere accolti anche testi contemporanei<br />
purché incentrati sui temi consueti: l'amore e la natura. Nei canti <strong>di</strong> area gallurese, in parte<br />
accolti nelle "gare", prevale l'anonimato della matrice popolare ma per alcune forme più nobili,<br />
come la <strong>di</strong>sispirata, si ricorre a poeti della tra<strong>di</strong>zione locale, tra i quali spicca il settecentesco<br />
Gavino Pes. Si può <strong>di</strong>re, anzi, che il canto con chitarra e, in Barbagia il canto a tenore ,<br />
abbiano assolto al compito <strong>di</strong> dare larghissima <strong>di</strong>ffusione a una letteratura in lingua sarda che,<br />
se si valuta l'alto tasso <strong>di</strong> analfabetismo registrato sino alle soglie degli Anni Cinquanta,<br />
sarebbe rimasta quasi del tutto sconosciuta.<br />
Secondo l'opinione <strong>di</strong> Paolo Pillonca, il più<br />
accre<strong>di</strong>tato stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> poesia sarda<br />
improvvisata e <strong>di</strong> gare poetiche, la prima sfida<br />
pubblica dei "poeti a braccio" ha avuto luogo a<br />
Ozieri il 15 settembre 1896 in occasione della<br />
festa della Madonna del Rime<strong>di</strong>o. Risulta da<br />
interviste e testimonianze sparse che più o<br />
meno negli stessi anni, ma in forma più<br />
ru<strong>di</strong>mentale, ebbero inizio le prime sfide <strong>di</strong><br />
canto con chitarra. Non si svolgevano ancora<br />
sul palco, ma in una bettola o in piazza. In<br />
ciascun paese si davano convegno i più noti<br />
cantori del circondario e i giovani ancora<br />
sconosciuti per confrontarsi in estenuanti<br />
competizioni che duravano <strong>di</strong>verse ore e che<br />
potevano coinvolgere sino a una decina <strong>di</strong><br />
sfidanti. Era una gara vera e al vincitore<br />
(secondo una giuria designata dal comitato<br />
della festa) andava un premio in denaro. Ma ben presto la qualità spettacolare <strong>di</strong> queste sfide<br />
consigliò <strong>di</strong> scegliere un numero ristretto <strong>di</strong> cantori (da tre a quattro) e <strong>di</strong> portarli sullo stesso<br />
palco che ospitava le gare poetiche. Prima dell'inizio della sfida tra i poeti, aveva dunque luogo<br />
la "gara" <strong>di</strong> canto, ormai già intesa come confronto accademico poiché ai partecipanti veniva<br />
riconosciuta pari ricompensa. L'abbinamento con la sfida tra i poeti spiega il <strong>di</strong>radarsi delle<br />
gare <strong>di</strong> canto dal 1932 al 1938 quando, accogliendo lagnanze del clero e rimbrotti dei prefetti,<br />
si decretò il <strong>di</strong>vieto delle gare poetiche poiché i temi trattati e, soprattutto le argomentazioni in<br />
ottava degli improvvisatori, contenevano concetti giu<strong>di</strong>cati lesivi della religione o poco in linea<br />
con il regime fascista. Nel 1938, con il Testo Unico <strong>di</strong> Pubblica Sicurezza, le gare poetiche
vennero nuovamente ammesse, sia pure sotto la stretta vigilanza delle autorità civili e<br />
religiose. Ma intanto il canto con chitarra si era sviluppato enormemente, approdando anche ai<br />
<strong>di</strong>schi 78 giri con alcuni dei più celebri cantanti <strong>di</strong> quegli anni, tra i quali spiccava Gavino De<br />
Lunas, morto a Roma nella strage delle Fosse Ardeatine. La gara poetica e la gara <strong>di</strong> canto<br />
<strong>di</strong>ventarono dunque due eventi separati da collocare in serate <strong>di</strong>stinte. Certo è che l'una e<br />
l'altra esibizione, a partire dal secondo dopoguerra, <strong>di</strong>vennero irrinunciabili in tutte le sagre <strong>di</strong><br />
paese.<br />
La professionalità dei cantori si abbinava al ruolo crescente del chitarrista accompagnatore. Gli<br />
Strumenti più <strong>di</strong>ffusi sino alla seconda guerra erano <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni ridotte: denominati "terzina"<br />
molto raramente venivano costruiti da liutai sar<strong>di</strong>. Quasi tutte le chitarre infatti provenivano<br />
dalla Sicilia (soprattutto da Catania) e si scelsero ben presto strumenti dalla cassa molto<br />
grande, chiamati chitarre folk, ricchi <strong>di</strong> sonorità e adatti alle esecuzioni all'aperto. Sino agli<br />
Anni Sessanta infatti solo raramente venivano usati impianti <strong>di</strong> amplificazione che però<br />
<strong>di</strong>vennero ben presto <strong>di</strong> uso comune in tutte le esibizioni, comprese quelle delle sfide dei poeti<br />
a braccio. La sempre più ricca elaborazione dei canti e l'ampliamento del repertorio<br />
(soprattutto con brani provenienti dalla Gallura) vedeva la fioritura <strong>di</strong> cantori professionisti che<br />
abbinavano l'attività <strong>di</strong> cantante a quella <strong>di</strong> artigiano, o <strong>di</strong> lavoratore a giornata, per poter<br />
<strong>di</strong>sporre della più ampia possibilità <strong>di</strong> movimento nella stagione delle sagre, dalla fine<br />
dell'estate all'autunno, e negli spora<strong>di</strong>ci<br />
appuntamenti <strong>di</strong> altri perio<strong>di</strong> dell'anno. La lista<br />
<strong>di</strong> cantanti e <strong>di</strong> chitarristi che raggiunsero<br />
notorietà in<br />
tutta l'Isola<br />
è lunga e<br />
risulta<br />
ampiamente<br />
documentat<br />
a da <strong>di</strong>schi a 78 e a 45 giri e da musicassette.<br />
La spettacolazione della gara <strong>di</strong> canto ha avuto forti<br />
influenze sulla tecnica chitarristica. Quando si sente parlare<br />
<strong>di</strong> stile "all'antica" si allude ad un accompagnamento<br />
arpeggiato con due o tre <strong>di</strong>ta (più il pollice per la corda<br />
bassa), alternato ad accor<strong>di</strong> prodotti con leggerezza. Era la<br />
tecnica più <strong>di</strong>ffusa sino ai primi anni del dopoguerra e<br />
continuò ad essere applicata anche in seguito soltanto dal finissimo strumentista Adolfo<br />
Merella, da figlio Bruno e da pochi altri. Dopo si impose invece l'uso del plettro con Nicolino<br />
Cabitza e il figlio Aldo: la sonorità più ricca, la brillantezza timbrica e gli interlu<strong>di</strong> virtuosistici,<br />
la rudezza degli accor<strong>di</strong> strappati che ormai prevalevano sui ricami melo<strong>di</strong>ci che<br />
contrappuntavano la linea del canto, ebbero la meglio perché al pubblico apparivano <strong>di</strong> gusto
più attuale. Lo strumento comunque ha sempre mantenuto un'accordatura più bassa <strong>di</strong> quella<br />
consueta e ancora oggi l'esecutore non si attiene al <strong>di</strong>apason ufficiale ma si adatta alle<br />
possibilità vocali e all'estensione dei cantori, assestati normalmente nella tessitura <strong>di</strong> un tenore<br />
me<strong>di</strong>o.<br />
Nel ricco e variegato repertorio della musica sarda il canto con chitarra del Logudoro,<br />
dell'Anglona e della Gallura è il più <strong>di</strong>ffuso. Da circa un secolo trova la sua più alta<br />
affermazione, con strutture e stili musicali ben definiti, nella "gara" tra i più bravi cantori,<br />
organizzata nelle feste patronali dell'area settentrionale e in <strong>di</strong>verse località della provincia <strong>di</strong><br />
Nuoro. Anche nelle regioni meri<strong>di</strong>onali dell'isola, seppure più raramente, la chitarra<br />
accompagna il canto, ma con altre forme e, soprattutto, senza ricorrere alle "gare". La<br />
competizione, secondo l'impianto tra<strong>di</strong>zionale, consiste nel confronto tra due o tre cantori,<br />
accompagnati da un chitarrista, che a turno ripetono lo stesso componimento musicale (ma<br />
con testi verbali <strong>di</strong>versi) gareggiando in un crescendo <strong>di</strong> varianti melo<strong>di</strong>che e <strong>di</strong> fioriture<br />
sempre più complesse. Si tratta, in sostanza, <strong>di</strong> una<br />
gara <strong>di</strong> belcanto del tutto accademica poiché non<br />
vengono assegnati premi. La "gara" inizia con un<br />
prelu<strong>di</strong>o strumentale definito "invito" o "picchiata":<br />
è l'occasione per il chitarrista <strong>di</strong> mettere in luce le<br />
sue capacità; analogo ruolo ha la chiusura del pezzo<br />
dopo l'alternanza delle voci. Nelle gare del passato<br />
tra un'entrata e l'altra dei cantori al chitarrista<br />
rimaneva lo spazio minimo <strong>di</strong> qualche accordo: con<br />
l'uso del plettro e il nuovo protagonismo dei chitarristi<br />
l'esibizione <strong>di</strong> ciascun cantore è separata d brevi<br />
interlu<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> nuovo modo <strong>di</strong> gareggiare esclude<br />
definitivamente il vecchio criterio <strong>di</strong> curare la continuità<br />
del canto eludendo bruschi passaggi nella successione<br />
delle entrate dei cantori, chiamati in qualche modo a<br />
introdurre con gradualità un progressivo infittirsi delle<br />
variazioni e dei virtuosismi. Nelle "gare" più riuscite si<br />
ricava la percezione <strong>di</strong> un felice equilibrio tra lo spiccato protagonismo dei cantori e la cura<br />
della compattezza del <strong>di</strong>segno musicale complessivo. La "gara" strutturata secondo un<br />
programma che vede la successione <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> canto tra loro fortemente <strong>di</strong>fferenziate<br />
per il materiale melo<strong>di</strong>co e il carattere espressivo. Le forme classiche, ancora irrinunciabili,<br />
sono la boghe in re , la nuoresa e il mutu; si possono aggiungere canti galluresi (denominati<br />
anche "alla tiempesina", gradevoli ma <strong>di</strong> scarso impegno vocale, prima <strong>di</strong> passare a quelli che<br />
vengono considerati il vero banco <strong>di</strong> prova della bravura del cantore: il mi e la (o "alla bosana"<br />
e la <strong>di</strong>sispirata. In alcuni casi si aggiungono il si bemolle e il fa <strong>di</strong>esis, brani <strong>di</strong> notevole
impegno vocale riservati ai cantori <strong>di</strong> una scuola. Nella comune pratica musicale le forme più<br />
utilizzate sono le prime tre perché si adattano a gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> capacità dal principiante al<br />
grande professionista.<br />
Attualmente le "gare" <strong>di</strong> canto vedono quasi sempre, per l'accompagnamento delle voci,<br />
l'abbinamento della fisarmonica alla chitarra. Questa innovazione risale agli anni 60 e si deve<br />
all'ansia <strong>di</strong> rinnovamento <strong>di</strong> Nicolino Cabitza e, soprattutto, del figlio Aldo, che iniziò a farsi<br />
affiancare, nell'accompagnamento delle voci nelle "gare", dal fisarmonicista Peppino Pippia.
13-LA CORNAMUSA LOMBARDA " BAGHET "<br />
Un'antica tra<strong>di</strong>zione bergamasca<br />
Nella Roma imperiale era presente, anche se in maniera marginale, uno strumento ad ancia munito<br />
<strong>di</strong> sacco come riserva d'aria. Lo stesso Nerone era un suonatore <strong>di</strong> zampogna, secondo quanto<br />
riferisce lo storico Svetonio: "Verso la fine della sua vita egli aveva pubblicamente promesso che se<br />
avesse potuto conservare l' Impero, nei giochi per celebrare la sua vittoria si sarebbe esibito in una<br />
esecuzione sull'organo idraulico, con la choraula e " l' utricularium"; con quest' ultimo termine si<br />
in<strong>di</strong>ca un otre in cuoio, in sostanza una zampogna. Un altro storico coevo <strong>di</strong> Svetonio,<br />
Dione Crisostorno, sempre <strong>di</strong> Nerone afferma: "Sapeva come sonare la canna e come comprimere<br />
col braccio". La prima attestazione <strong>di</strong> zampogne me<strong>di</strong>oevali risale al IX secolo. Fino al 1300 si<br />
ritiene che queste fossero prive del bordone d'accompagnamento, anche se questo dato non era<br />
generalizzabile. Le zampogne me<strong>di</strong>oevali dell'Europa continentale erano generalmente costituite da<br />
una canna per il canto e un bordone basso. Gli strumenti con due bordoni sono probabilmente<br />
apparsi dopo quelli con un bordone. Sono invece post-me<strong>di</strong>oevali quelli con tre. Un<br />
<strong>di</strong>ffuso stereotipo vuole le zampogne relegate unicamente al mondo pastorale ed alla novena <strong>di</strong><br />
Natale. In realta, pur non perdendo il loro carattere <strong>di</strong> strumenti popolari che li vuole da sempre<br />
presenti nel carnevale, accompagnamento del ballo e del canto (e non riduttivamente solo nel<br />
Natale) la loro presenza nella cultura occidentale è delle più varie. Nel XX secolo le zampogne<br />
erano adoperate al servizio delle corti e delle libere citta. <strong>Il</strong> musicista raffigurato<br />
nelle fonti iconografiche è spesso un giullare.<br />
Riguardo la provincia <strong>di</strong> Bergamo <strong>di</strong>verse sono le attestazioni iconografiche e gli autori locali che<br />
hanno più volte ritratto una cornamusa, documentandone sia la struttura che il contesto sociale in<br />
cui questa veniva suonata.<br />
L'area dove più ra<strong>di</strong>cata era la tra<strong>di</strong>zione dei "baghet" tra<strong>di</strong>zione sopravvissuta fino a qualche<br />
decennio fa corrisponde alla me<strong>di</strong>a Val Seriana. Qui erano in uso due <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> strumenti, uno<br />
per la Val Gan<strong>di</strong>no e paesi limitrofi (Semonte, Gazzaniga) e uno per Cene. Trattandosi <strong>di</strong> due<br />
strumenti <strong>di</strong>versi come struttura, anche se identici come denominazione, vengono trattati in due<br />
<strong>di</strong>versi capitoli, iniziando dalla Val Gan<strong>di</strong>no, dove più consistenti sono i dati raccolti. La tra<strong>di</strong>zione<br />
del "baghèt" è sopravvissuta in loco all' incirca fino agli anni Trenta. I suonatori<br />
appartenevano quasi tutti al mondo conta<strong>di</strong>no, smentendo il luogo comune che vuole, anche per<br />
l'area bergamasca, legare la zampogna alla con<strong>di</strong>zione pastorale".<br />
E' mia opinione personale che il baghet possa essere messo in relazione con<br />
le popolazioni celtiche che erano presenti nelle Prealpi e valle Padana, la cui
influenza è stata notevole, lasciando tracce nella lingua e nei toponimi e con usi e costumi ancora<br />
presenti nel nord. <strong>Il</strong> conforto a questa mia opinione lo trovo nel libro " I celti in Italia " autore<br />
Gualtiero Ciola, Ed. Helvetia, dal quale cito : " La loro vita sociale è quella tipica dei popoli arii con<br />
la consueta tripartizione in sacerdoti guerrieri e lavoratori ; il potere spirituale era in mano<br />
alla casta sacerdotale ; i drui<strong>di</strong> amministravano il culto ; i vati svolgevano la funzione degli attuali<br />
sociologi, storiografi, scienziati ; i bar<strong>di</strong> erano i loro poeti cantori <strong>di</strong> miti e leggende con<br />
accompagnamento <strong>di</strong> cornamuse ed arpe. La cetra tirolese, l' alpehorn o corno delle alpi svizzere,<br />
le cornamuse scozzesi, irlandesi e bretoni ecc. nonché la zampogna italica sono sicuramente<br />
strumenti musicali derivati da quelli dei celti."<br />
<strong>Il</strong> suono del "baghèt" doveva essere fine e potente. Fine e penetrante quello della "<strong>di</strong>ana" potente e pieno quello dei<br />
bordoni che non per niente erano detti "orghegn " (come fossero canne d' organo), tanto da far rimbombare la stalla. <strong>Il</strong><br />
suono era così vigoroso che permetteva ai "baghetér" <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare" anche a <strong>di</strong>stanze considerevoli, come facevano il<br />
vecchio "Seri"ed il Fiaì"- Era infatti consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quest' ultimo, quando aveva terminato la sua giornata <strong>di</strong><br />
conta<strong>di</strong>no,<br />
<strong>di</strong> prendere lo strumento e <strong>di</strong> suonare nel campo dal "Casteli" nell"Agher"<strong>di</strong> Casnigo. Subito in risposta iniziava il<br />
"Seri"<br />
dalla sua cascina, che però si trovava <strong>di</strong> là dal fiume, sulle prime pen<strong>di</strong>ci dell'altro versante della Val Seriana, a<br />
Semonte.<br />
<strong>Il</strong> "baghèt" è strumento solìsta. Provvede da solo ad eseguire melo<strong>di</strong>a ed accompagnamento senza che altri sostengano<br />
la parte del canto. <strong>Il</strong> repertorio, oltre ai brani canonici come la " pastorella "<strong>di</strong> Natale ed i balli tra<strong>di</strong>zionali, traeva<br />
liberamente<br />
spunto da tutti quei canti popolari che per la loro estensione rientravano nelle possibilità dello strumento. Una delle<br />
caratteristiche del "baghèt" era proprio quella <strong>di</strong> accompagnare il canto. Unico vincolo era il rispetto del periodo in cui<br />
suonare. Con l'ultimo giorno <strong>di</strong> carnevale lo strumento andava riposto, per essere poi ripreso nell'inverno successivo.<br />
Nella esecuzione si faceva spesso uso <strong>di</strong> acciaccature superiori e inferiori e <strong>di</strong> glissati. Tutto ciò concorreva a creare uno<br />
stile melo<strong>di</strong>co dove la tessitura musicale fosse"vicina" come esecuzione al canto. Gli informatori hanno concordemente e<br />
insistentemente affermato che la " pia "doveva cantare, non avere un suono "sfacciato"da trombetta.<br />
La <strong>di</strong>ana, con sette fori sul davanti<br />
più uno alto sul retro per il pollice,<br />
ha l'estensíone <strong>di</strong> una ottava.<br />
Chiudendo tutto si ottiene la<br />
sensibile. La tonalità originale degli<br />
strumenti della Val Gan<strong>di</strong>no è il LA<br />
maggiore. I due bordoni sono così<br />
accordati: quello piccolo una<br />
ottava sotto la tonica della <strong>di</strong>ana,<br />
quello grande due ottave sotto la<br />
tonica.
Per suonare il baghèt si<br />
tiene il sacco sotto<br />
l'avambraccio sinistro, con<br />
il bordone superiore sopra<br />
la spalla sinistra e quello<br />
minore sull'avambraccio<br />
destro.<br />
ALCUNI BALLI E MUSICHE ESEGUITI CON IL BAGHET<br />
" LA PASTORELLA "<br />
Si tratta <strong>di</strong> uno dei brani più significativi del<br />
repertorio del "baghèt". Le pastorelle<br />
venivano eseguite nel periodo<br />
natalizio nei paesi <strong>di</strong> Gan<strong>di</strong>no, Casnigo,<br />
Semonte, dove vivevano i suonatori, ed anche<br />
al Santuario della Trinità <strong>di</strong><br />
Casnigo.
" BAL DEL MORT "<br />
<strong>Il</strong> "bal del mort"è un<br />
ballo tra<strong>di</strong>zionale,<br />
conosciuto dai vecchi<br />
"baghetér" ma che<br />
aveva nei "Seiì"i più<br />
importanti<br />
esecutori. Nella<br />
famiglia Maffeis era il<br />
padre che suonava il<br />
"baghèt", mentre i figli<br />
Carlo e Piero<br />
ballavano. Importante<br />
momento<br />
comunicativo della<br />
cultura popolare,<br />
carico <strong>di</strong> significati<br />
magico rituali, era già<br />
in crisi all' inizio del<br />
secolo, tanto<br />
che, come afferma il<br />
Ruggeri, non erano<br />
molte le persone che<br />
avevano ballato o<br />
anche solo visto, nelle<br />
stalle, il "bal del<br />
mort" Scomparsi poi<br />
gli ultimi anziani<br />
suonatori, questo<br />
costume è andato<br />
<strong>di</strong>menticato quasi<br />
totalmente.<br />
" CIAMELA NDRE CHE LA BACIUCHINA "<br />
Brano intitolato " Ciamela ndré chè la baciuchina " appartenente al repertorio dei vecchi "baghetér". Si tratta <strong>di</strong> un<br />
brano prettamente musicale, in quanto il testo è <strong>di</strong> scarso significato nel contesto della sonata: Va ciàmela 'ndré chèla<br />
baciuchina ciàmela 'ndrè ciàmela 'ndré va ciàmela 'ndre chèla baciuchina ciàmela 'ndré che la vegnerà. (Vai, chiamala<br />
in<strong>di</strong>etro quella ragazzina chiamala in<strong>di</strong>etro chiamala in<strong>di</strong>etro vai, chiamala in<strong>di</strong>etro quella ragazzina , chiamala in<strong>di</strong>etro<br />
che lei verrà).
" LA LAVANDINA "<br />
La lavan<strong>di</strong>na , oggi non più in uso, è <strong>di</strong>visa in due parti. Nella parte A le donne mimano il lavare, utilizzando un fazzoletto,<br />
inginocchiate ora su una gamba ora sull'altra, mentre gli uomini girano attorno seguendo il ritmo della musica. Nella parte<br />
B le donne sceglievano i cavalieri. <strong>Il</strong> fazzoletto veniva tenuto in mano mentre la coppia eseguiva dei passi simili allo<br />
scottisch, l' informatore parla <strong>di</strong> "marcia vecchia" con saltelli meno accentuati e pochi spostamenti. Succedeva spesso<br />
che le donne fossero in numero inferiore agli uomini. A questi toccava rimanere in <strong>di</strong>sparte fino a quando, seguendo il<br />
ritmo e i movimenti del ballo, riuscivano a sfilare il fazzoletto alla coppia, acquisendo perciò il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ballare con la<br />
dama.<br />
La parte B era eseguita tante volte quante decidevano i suonatori. <strong>Il</strong> ballo riprendeva poi con la parte A, dove si<br />
riprendeva a mimare il lavare.
In un area compresa tra Albino e la Val Gan<strong>di</strong>no è stata accertata la presenza <strong>di</strong> almeno tre<strong>di</strong>ci<br />
suonatori operanti in questo secolo. Tutti questi baghetér possedevano strumenti simili tra<br />
loro. Probabilmente <strong>di</strong>versi strumenti uscirono dalla stessa famiglia <strong>di</strong> costruttori, i Pezzera,<br />
detti Pi-ù, <strong>di</strong> Rova (frazione <strong>di</strong> Gazzaniga). Sud<strong>di</strong>videndo i suonatori per paese abbiamo:<br />
Albino. A Merano (frazione <strong>di</strong> Albino) suonava Pietro Pezzera (1890-1972), secondo la<br />
testimonianza del figlio Andrea (n. 1933) . <strong>Il</strong> padre, conta<strong>di</strong>no, suonava anche quando<br />
scendeva a Comenduno e smise in tempo <strong>di</strong> guerra, attomo al 1940. Aveva probabilmente<br />
acquistato lo strumento da giovane nel 1905 prima <strong>di</strong> sposarsi dai Pezzera <strong>di</strong><br />
Rova, suoi cugini. <strong>Il</strong> figlio Andrea ha riconosciuto con certezza lo strumento secondo lui<br />
identico a una copia del baghèt. Lo strumento dei padre <strong>di</strong>fferiva solo negli anelli <strong>di</strong><br />
abbellimento, costituiti nel suo caso da robusti anelli d'osso. Andrea Pezzera si ricorda ancora<br />
oggi come era costruita l'ancia doppia per la <strong>di</strong>ana, in quanto il padre<br />
aveva più volte tentato <strong>di</strong> insegnargli il proce<strong>di</strong>mento costruttivo. Tale ancia è identica a quelle<br />
approntate da Giacomo Ruggeri e descritte alla tavola 25.<br />
Rova (frazione <strong>di</strong> Gazzaniga) . Qui era presente la già menzionata famiglia dei Pezzera, Pi-ù,<br />
suonatori e costruttori.<br />
Semonte (frazione <strong>di</strong> Vertova). Originari <strong>di</strong> Semonte erano i Maffeis, Serì. Due erano i<br />
suonatori: Michele Guerino, conta<strong>di</strong>no, scomparso attorno al 1940 all'età <strong>di</strong> 72 anni, e il figlio<br />
Piero, prima conta<strong>di</strong>no e poi operaio, morto <strong>di</strong> silicosi nel 1959. Altro suonatore era Alessandro<br />
"Pescerì" Pezzera (1905 - 1976)<br />
Gan<strong>di</strong>no. Qui suonava Valentino Savoldelli, conta<strong>di</strong>no, detto Parécia (1859-1924), Quirino<br />
Picinali (1880-1962), falegname. Batistì de Ca da Pozz, conta<strong>di</strong>no. Di lui si ricorda Giuseppe<br />
Loverini al quale, allora bambino, è rimasto impresso il fatto che Batistì suonasse tenendo il<br />
sacco sotto il braccio destro, così che il bordone rimaneva penzolo. A questi va ad aggiungersi<br />
Gabriele Servalli, detto Bi-ili le Clapa, scomparso nel 1948, che terminò <strong>di</strong><br />
suonare all' incirca prima della grandeguerra. Lo strumento del Servalli fu ritrovato dai figli<br />
nascosto nel sottotetto, oramai però in completo <strong>di</strong>sfacimento, e <strong>di</strong> conseguenza fu gettato via.<br />
Casnigo. Nutrito era il gruppo <strong>di</strong> suonatorí <strong>di</strong> Casnigo. Troviamo il Cattaneo, detto Ruina,<br />
falegname, scomparso attorno al 1970, i due Fiaì, Luigi Zilioli (deceduto nel 1923 all'età <strong>di</strong> 67<br />
anni) ed il figlio Giacomo (1906-1974), entrambi conta<strong>di</strong>ni e infine Michele Imberti detto Nano<br />
Magrì, anche lui conta<strong>di</strong>no, morto nel 1929 all'età <strong>di</strong> 64 anni, il cui strumento passò al nipote<br />
Giacomo Ruggeri detto Fagòt (1905-1990), conta<strong>di</strong>no e unico suonatore da<br />
me conosciuto. Ben ra<strong>di</strong>cata era quin<strong>di</strong> la presenza <strong>di</strong> suonatori nella me<strong>di</strong>a Valle Seriana.<br />
Quasi uniformemente questa comunità <strong>di</strong> musicisti smise <strong>di</strong> suonare attorno agli anni '40. Da<br />
notare come la maggior parte fosse <strong>di</strong> estrazione conta<strong>di</strong>na. I pochi che non lo erano facevano<br />
<strong>di</strong> professione gli artigiani. Viene quin<strong>di</strong> smentito il luogo comune che vuole legare il baghèt<br />
alla <strong>di</strong>mensione sociale dei pastori. Conta<strong>di</strong>ni erano i suonatori e conta<strong>di</strong>na era<br />
la cultura che permeava l'espressività del baghèt, legato alle sere d' inverno trascorse nella<br />
stalla. Così pure l'ambito temporale in cui si adoperava la piva era conseguentemente legato a
questo mondo. Si iniziava a suonare all' inizio dell' inverno, quando, con l' arrivo dei primi<br />
fred<strong>di</strong>, il lavoro nei campi dava maggior respiro ai suonatori che potevano cosi, con pazienza,<br />
provvedere a rimettere in funzione lo strumento <strong>di</strong>smesso l' anno prima e si continuava<br />
asuonare fino a carnevale. Arrivata la primavera, con la ripresa dei lavori , la cornamusa era<br />
poi <strong>di</strong> nuovo riposta, adeguatamente avvolta in un telo, in attesa del successivo inverno.