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Il Canto di Tradizione Orale Il Canto di Tradizione Orale

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DOTT.SSA LAURA RUZZA<br />

<strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> <strong>Canto</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione Tra<strong>di</strong>zione <strong>Orale</strong><br />

<strong>Orale</strong><br />

Appunti del Corso <strong>di</strong> Antropologia della Musica<br />

presso il Conservatorio C. Pollini <strong>di</strong> Padova<br />

A.A. 2006-2007<br />

http://www.utenti.lycos.it/lauraruzza/<br />

E-mail: musiclan<strong>di</strong>a@tiscali.it<br />

Cell. 3336470115


INTRODUZIONE<br />

1- VIAGGIO NELLA VOCALITA'<br />

"E ovvio che il percorso non può essere lineare, né l'obiettivo chiaro quando ci si<br />

lascia orientare dall'orecchio: l'organo più provato dai rumori del nostro tempo,<br />

una volta lasciato libero, sceglie a suo gusto senza chiedersi il perché".<br />

(R. Dalmonte, Parole <strong>di</strong> musica e poesia, in Phonè semantikè.)<br />

R. Dalmonte si fa, in luogo mio, l'autorevole portavoce del <strong>di</strong>sagio che si prova nell'accingersi a questa<br />

ricerca e nel realizzare la presenza <strong>di</strong> una povertà <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> specifici sulla vocalità, sede del realizzarsi<br />

dell'incontro tra Musica e Parola.<br />

"Chi ha tentato davvero <strong>di</strong> penetrare nel labirinto dei rapporti tra suono e senso,<br />

ovvero fra musica e linguaggio verbale? Non ci si lasci ingannare da titolo<br />

come Testo e musica, La musica e il linguaggio, Poesia e musica, e da<br />

innumerevoli altre analoghe declinazioni dei due campi artistico-concettuali.<br />

Questi libri contengono sempre altro rispetto a quello che promettono. <strong>Il</strong> più<br />

della volte si tratta della storia dei "generi" cui musica e poesia hanno dato vita:<br />

storia del madrigale, del melodramma, della canzone, del lied, eccetera eccetera.<br />

In qualche caso si avverte una tensione verso il mistero <strong>di</strong> quei rapporti, che si<br />

traduce nell'impegno a chiedere alla musica la chiave dei suoi sensi e quin<strong>di</strong> la<br />

base delle sue affinità con la poesia ... <strong>Il</strong> pensiero logico si arrende a fatica a<br />

constatare che un prodotto dell'uomo non riesce ad essere spiegato al suo stesso<br />

produttore, e sempre <strong>di</strong> nuovo ritenta. ... Si tratta <strong>di</strong> gettare uno sguardo nella<br />

stanza da un piccolissimo pertugio."<br />

Definire il senso dello stile vocale, come esito del rapporto tra musica e parola, luogo <strong>di</strong> incontro,<br />

momento attualizzante-vitale, partendo dal presupposto che la voce detiene un proprio potere <strong>di</strong> senso<br />

ed è essa stessa metafora e forma simbolica dell'Essere, costituisce l'arduo obiettivo <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o.<br />

<strong>Il</strong> termine "rapporto" nel suo uso i<strong>di</strong>omatico denota qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>retto e attivo, <strong>di</strong> <strong>di</strong>namico ed<br />

energetico. "Fissa l'attenzione sul modo in cui le cose confluiscono l'una nell'altra, sui loro contrasti e le<br />

loro unioni, sul modo in cui esse si appagano e si deludono, si promuovono e si ritardano, si eccitano e si<br />

inibiscono scambievolmente" . I rapporti sono mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> interazione, <strong>di</strong>alettiche sempre latenti. Si tratta <strong>di</strong><br />

oggetti e sensi in movimento: la materia presa dalla natura <strong>di</strong>scutibilmente amorfa e priva <strong>di</strong> senso; il<br />

linguaggio come sistema co<strong>di</strong>ficato <strong>di</strong> riferimento e il personale uso che trova nella trasgressione la<br />

rivelazione e il nuovo; il <strong>di</strong>abolico e ambiguo gioco metaforico <strong>di</strong> ogni esprimersi umano che vorrebbe<br />

essere specchio fedele ma che allontana l'oggetto dando solo l'illusione <strong>di</strong> un possesso.<br />

Vi è un luogo squisitamente umano, in cui le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> un rapporto che sembra sfuggire ad una<br />

spiegazione in<strong>di</strong>scutibilmente univoca, si realizzano, cioè si attualizzano rivelando le energie potenziali e<br />

della parola e della musica: la voce.<br />

2


La parola è suono pronunciato che nella scrittura trova un modo cadaverico <strong>di</strong> vincere il tempo, ma che<br />

riprende vita nella voce umana. La parola non si riduce ad un senso che <strong>di</strong>fficilmente si può astrarre dalla<br />

sua pronuncia. La parola è sempre parola intonata. La parola è sempre parola nella musica. La musica<br />

ospita e accoglie una espressione della propria natura <strong>di</strong>alogando <strong>di</strong>aletticamente con le sue modalità<br />

semantiche in uno strumento (la voce) che arricchisce ulteriormente il gioco dei sensi perché esso stesso<br />

sede <strong>di</strong> senso.<br />

<strong>Il</strong> testo, la voce, la musica s'incontrano <strong>di</strong>aletticamente sul territorio del linguaggio inteso come sistema<br />

co<strong>di</strong>ficato e sono tanto più significativi quanto più creano uno "scarto" nei confronti <strong>di</strong> questo.<br />

Nelle pagine introduttive si cercherà <strong>di</strong> dare una definizione <strong>di</strong> linguaggio e <strong>di</strong> vedere quali sono le<br />

problematiche coinvolte nell'interazione fra Musica e Parola; in tale rapporto si darà una collocazione<br />

alla vocalità e successivamente si passeranno in rassegna alcune espressioni vocali particolarmente<br />

significative. Alla luce <strong>di</strong> queste premesse, verranno analizzate alcune opere delle avanguar<strong>di</strong>e musicali<br />

nel tentativo <strong>di</strong> mostrare il rapporto musica - testo - esito vocale.<br />

3


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7


LE PROBLEMATICHE DEL RAPPORTO PAROLA-MUSICA<br />

" Formulo, esteticamente a mio rischio, questa conclusione: che la Musica e le<br />

Lettere sono il volto alterno ora proteso verso l'oscuro, ora scintillante con ogni<br />

certezza, <strong>di</strong> un fenomeno, il solo, L'Idea, cosí lo chiamavo. Uno dei mo<strong>di</strong> piega<br />

verso l'altro e scomparendovi, ne riemerge arricchito: due volte, si raffina,<br />

facendo oscillare un genere intero". (Mallarmé, citato da P. Boulez,<br />

in Punti <strong>di</strong> riferimento).<br />

La scelta della Sfinge<br />

Nel mare magnum delle riflessioni secolari sul linguaggio, due sono gli orientamenti che si possono<br />

riscontrare. La loro co-esistenza è in<strong>di</strong>ce del <strong>di</strong>-lemma e dell'aporia ineliminabile che sta alla base del<br />

processo <strong>di</strong> significazione.<br />

1) E<strong>di</strong>po: cioè la possibilità <strong>di</strong> una conoscenza come co<strong>di</strong>ficazione ( dal "paradosso" <strong>di</strong> Saussure che<br />

tenta <strong>di</strong> definire il "segno" come unione <strong>di</strong> significato e significante pur avvertendone l'estrema<br />

insufficienza , fino agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> semiotica e semiologia <strong>di</strong> un Eco che riconduce il segno a formule<br />

matematiche in un'evidenza che vuole porsi come incontestabile);<br />

2) Sfinge: cioè l'affermazione "enigmatica" e negativa <strong>di</strong> un significante che si avvicina al suo oggetto<br />

tenendolo indefinitamente a <strong>di</strong>stanza; affermazione <strong>di</strong> una "barriera resistente alla significazione", <strong>di</strong> una<br />

"<strong>di</strong>slocazione" interna alla stessa struttura del significare; consapevolezza dell'impossibilità per il segno <strong>di</strong><br />

prodursi nella pienezza della presenza e quin<strong>di</strong> la proprietà del segno <strong>di</strong> svelare nel momento in cui si<br />

mostra, la propria lontananza, la connaturata scissione, l'eterno processo metaforico <strong>di</strong> qualcosa che<br />

in<strong>di</strong>ca senza possedere, l'incanto <strong>di</strong> un'immagine riflessa nello specchio e trattenuta vivente in assenza<br />

dell'oggetto che riflette .<br />

Si tratta ora <strong>di</strong> prendere una posizione, <strong>di</strong> operare la scelta che con<strong>di</strong>zionerà meto<strong>di</strong> e conclusioni <strong>di</strong><br />

questo stu<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> indossare le lenti attraverso le quali si guarderà il problema. E<strong>di</strong>po o la Sfinge? La<br />

chiarezza <strong>di</strong> una co<strong>di</strong>ficazione che "<strong>di</strong>vide le acque dalle terre", o il potere dell'"enigmatico" che tenta <strong>di</strong><br />

spiegare qualcosa sapendo della sua inaccessibilità?<br />

"Che cos'è dunque la verità? Una moltitu<strong>di</strong>ne in movimento <strong>di</strong> metafore, <strong>di</strong><br />

antropomorfismi, in breve: una somma <strong>di</strong> relazioni umane che sono state<br />

poeticamente elevate, trasposte, ornate e che, dopo un lungo uso, sembrano a<br />

un popolo ferme, canoniche e vincolanti... Mentre ogni metafora dell'intuizione è<br />

in<strong>di</strong>viduale e senza pari e, per questo, sa sempre sfuggire a ogni<br />

determinazione, il grande e<strong>di</strong>ficio dei concetti mostra la rigida regolarità <strong>di</strong> un<br />

colombario romano e esala nella logica la severità e la freddezza che sono propri<br />

della matematica. Chi sarà impregnato <strong>di</strong> questa freddezza, crederà <strong>di</strong>fficilmente<br />

che il concetto, osseo e ottagonale come un dado e, come questo, inamovibile,<br />

non è invece altro che il residuo <strong>di</strong> una metafora... Solo attraverso l'oblio <strong>di</strong><br />

questo mondo primitivo delle metafore, solo attraverso l'irrigi<strong>di</strong>mento e la<br />

cristallizzazione <strong>di</strong> ciò che era in origine una massa <strong>di</strong> immagini sorgenti, in un<br />

fiotto ardente, dalla capacità primor<strong>di</strong>ale della fantasia umana, solo attraverso la<br />

8


credenza invincibile che questo sole, questa finestra, questa tavola sia una verità<br />

in sé, in breve, solo perché l'uomo si <strong>di</strong>mentica in quanto soggetto e, in<br />

particolare, in quanto soggetto della creazione artistica, egli può vivere un po'; <strong>di</strong><br />

riposo e <strong>di</strong> sicurezza..." .<br />

"<strong>Il</strong> residuo <strong>di</strong> una metafora", ecco il punto <strong>di</strong> partenza per la definizione <strong>di</strong> linguaggio che si cercherà<br />

<strong>di</strong> dare in questa sede, consapevoli dell'illusionarietà <strong>di</strong> posizioni che seppur estremamente rigorose nelle<br />

metodologie, hanno la presunzione <strong>di</strong> costringere alla scientificità matematica verità che vogliono<br />

sfuggire.<br />

Per una definizione <strong>di</strong> linguaggio: l'aspetto materico<br />

<strong>Il</strong> linguaggio è, alla prima evidenza e innegabilmente, "materia". Prima <strong>di</strong> essere "significante", (usando<br />

il termine caro a Soussure), o "espressione", (per <strong>di</strong>rla invece come Eco seguace <strong>di</strong> Hjemslev), il<br />

linguaggio è nel caso specifico, concretezza sonora.<br />

Emerge subito quin<strong>di</strong> una prima analogia tra i linguaggi in questione: il linguaggio-Parola (L. P.) e il<br />

linguaggio-Musica (L. M.) si costituiscono <strong>di</strong> suoni.<br />

" <strong>Il</strong> suono (è) l'elemento più sottile e più duttile del concreto" .<br />

<strong>Il</strong> suono è l'unità "atomica" per il formarsi e l'articolarsi del linguaggio, punto <strong>di</strong> partenza fisico e<br />

sensibile; un'unità che non è unica e necessariamente pura e che per le sue intrinseche proprietà<br />

(altezza, intensità, timbro e durata) già mette <strong>di</strong> fronte la necessità/possibilità <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> selezioni e<br />

combinazioni, già comporta cioè quella "resistenza" della materia necessaria affinché l'intelligenza<br />

umana si <strong>di</strong>spieghi in un lavoro produttivo e creativo.<br />

I suoni, che come è stato detto sono unità complesse, vengono dall'operare umano, organizzati.<br />

Una prima definizione <strong>di</strong> linguaggio a livello "immanente" potrebbe dunque essere quella <strong>di</strong> materia<br />

organizzata, quin<strong>di</strong> un materiale strutturato in un sistema in cui vigono leggi e norme vincolanti. <strong>Il</strong><br />

sistema rende necessaria la conoscenza <strong>di</strong> una "tecnica" come "insieme <strong>di</strong> valori saputi" per una sua<br />

comprensione e una sua utilizzazione e rende lecito e possibile un'analisi formale.<br />

"Organizzare i suoni" significherà operare delle scelte <strong>di</strong> relazione e cioè stabilire un or<strong>di</strong>ne, stabilire<br />

gerarchie, stabilire meccanismi <strong>di</strong> funzionamento, strutture sintattiche, grammatica e lessico.<br />

A questo punto il problema in questione del rapporto tre L. P. e L. M., comincia a prendere forma e a farsi<br />

complesso: se il fatto <strong>di</strong> essere costituiti della medesima materia permette una fusione perfetta <strong>di</strong> suoni<br />

con i suoni, la <strong>di</strong>fferenza, o meglio la similarità (ma non uguaglianza) dei sistemi <strong>di</strong> organizzazione e<br />

funzionamento pone delle <strong>di</strong>fficoltà.<br />

Si parla <strong>di</strong> accento, frase, ritmo, metro, grammatica e sintassi in entrambi i campi , ma il ritmo della<br />

lingua ad esempio, non sempre s'incarna perfettamente in quello musicale: talora impone le proprie<br />

accentazioni, talora si deve adattare a un procedere musicale stabilito. Quale linguaggio deve avere<br />

priorità imponendo la propria <strong>di</strong>namica?<br />

9


Le <strong>di</strong>fficoltà aumentano quando si consideri l'aspetto semantico, cioè le <strong>di</strong>verse modalità in cui la materia<br />

sonora si carica <strong>di</strong> significati.<br />

Per una definizione <strong>di</strong> linguaggio: il linguaggio come forma simbolica<br />

<strong>Il</strong> linguaggio non è solo materia organizzata in sistema, ma coinvolge anche il processo <strong>di</strong> significazione.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio comporta sempre organizzazione, intesa come necessaria conseguenza della presenza<br />

umana agente sulla materia, forma, come necessità <strong>di</strong> un mezzo con cui e in cui tradurre tramite un<br />

lavoro attivo e <strong>di</strong>namico l'espressione, intesa sia come impulso, atto liberatorio cosciente , sia come<br />

contenuto recepibile.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio è sempre organizzato, formale, ed espressivo.<br />

Si può definire il linguaggio come una forma simbolica, cioè un'attività <strong>di</strong> libertà me<strong>di</strong>ante la quale si<br />

rappresenta obiettivamente in una forma la forma mentis, ossia il meccanismo <strong>di</strong> funzionamento e i<br />

contenuti della coscienza e dell'inconscio personale e collettivo.<br />

L'affermazione fatta vuole chiarimenti.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio è "un'attività <strong>di</strong> libertà". Questa espressione intende mettere in luce la realtà <strong>di</strong> linguaggio<br />

come operazione <strong>di</strong> volontà e creatività umana e quin<strong>di</strong> espressione della sua libertà. <strong>Il</strong> linguaggio esiste<br />

in quanto esiste l'uomo agente, esiste come attività squisitamente umana, come affermazione dell'uomo<br />

del suo desiderio <strong>di</strong> esprimersi, conoscersi, relazionarsi con gli altri e con il reale.<br />

"Me<strong>di</strong>ante la quale". <strong>Il</strong> linguaggio è strumento, me<strong>di</strong>um tra sé e sé, tra sé e gli altri, tra sé e il mondo.<br />

Interme<strong>di</strong>ario tra <strong>di</strong>mensione interiore, spirituale e realtà esterna; mezzo <strong>di</strong> conoscenza; <strong>di</strong><br />

comunicazione; ma anche strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>letto personale, <strong>di</strong> go<strong>di</strong>mento. Tramite e anche fine <strong>di</strong> bisogni<br />

umani, me<strong>di</strong>ante cui e in cui si concretizza l'essere uomo.<br />

" forma mentis e contenuti della coscienza e dell'inconscio personale e collettivo": si tratta della struttura<br />

mentis, cioè delle modalità <strong>di</strong> funzionamento della psiche, delle modalità <strong>di</strong> percezione, ricezione,<br />

memoria, ed emotività, e del mondo dei significati, <strong>di</strong> quello che viene variamente definito come idee,<br />

concetti, "immagini", pensieri, sapere conscio e sapere rimosso o cancellato (la definizione <strong>di</strong> inconscio<br />

secondo Freud), sapere umano universale ere<strong>di</strong>tato ma non sempre consapevole (la definizione <strong>di</strong><br />

inconscio collettivo secondo Jung). Tali contenuti necessariamente (nel senso che la nostra mente non<br />

può non, e non conosce altro modo <strong>di</strong>) si obiettivano tramite un processo <strong>di</strong> ra-ppresentazione, tramite<br />

cioè un processo che rende presente l'assente in una forma.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio è un proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> tra-duzione, nel senso etimologico <strong>di</strong> "ducere trans", da una forma<br />

all'altra, dalla forma mentis coi suoi contenuti (l'assente, intangibile, invisibile) ad una forma esteriore e<br />

concreta a cui rimane strettamente legata. Un processo <strong>di</strong> tras-formazione in cui "la cosa" cambia forma<br />

pur rimanendo e rappresentando sempre se stessa.<br />

<strong>Il</strong> linguaggio non solo è specchio , è "specchio-de-formante", rimanda l'immagine sotto altra forma.<br />

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<strong>Il</strong> linguaggio è "metafora" delle "strutture mentali" , cioè dei contenuti e delle modalità <strong>di</strong><br />

funzionamento della mens.<br />

Forma, metafora e simbolo.<br />

<strong>Il</strong> mondo dei significati che si considera come contenuto della psiche nella sua duplicità <strong>di</strong> Luce e Ombra,<br />

<strong>di</strong> coscienza (cioè sapere acquisito e consapevole) e inconscio (cioè presenza <strong>di</strong> saperi, complessi e<br />

archetipi , che agisce senza consapevolezza), esiste come semplice funzione, operante prima che venga<br />

posta la forma rappresentante.<br />

La Forma è un'unità chiusa, complessa, e sensibile nella quale e con la quale necessariamente si presenta<br />

a noi il mondo dei significati. Come sostiene E. Cassirer quin<strong>di</strong>, cessa <strong>di</strong> contrapporsi mundus sensibilis<br />

e mundus intelligibilis, (e quin<strong>di</strong> non ha più senso una "netta" separazione tra significato e significante,<br />

contenuto ed espressione) perché i significati non possono presentarsi alla nostra coscienza se non in<br />

forma sensibile . Nulla ha significato al <strong>di</strong> fuori delle forme che rappresentano il significato stesso . <strong>Il</strong><br />

segno costituisce il mezzo per l'espressione <strong>di</strong> un senso che non può trovarsi al <strong>di</strong> fuori del segno stesso.<br />

Questo che appare un paradosso <strong>di</strong>mostra la complessità del linguaggio che non si risolve nella semplice<br />

relazione significato/significante, S/s. Come <strong>di</strong>ce Agamben, occorre porre l'attenzione sulla "barriera /",<br />

consapevoli delle ancora misteriose "stonature" implicite al processo <strong>di</strong> significazione. Una <strong>di</strong> queste è<br />

"l'equivocità" , per cui ad uno stesso linguaggio possono corrispondere <strong>di</strong>verse realtà, cosí come a una<br />

stessa realtà possono corrispondere <strong>di</strong>versi linguaggi . Per in<strong>di</strong>care lo stesso oggetto esistono <strong>di</strong>versi<br />

segni, tutti ugualmente veri, e tutti ugualmente <strong>di</strong>stanti dall'oggetto stesso, che ha subíto il passaggio <strong>di</strong><br />

tras-formazione da oggetto o fenomeno concreto alla <strong>di</strong>mensione del segno del linguaggio, con<br />

conseguente per<strong>di</strong>ta e acquisto <strong>di</strong> sensi-connotanti. Questo stato <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta-acquisto che si verifica nel<br />

processo tras-formante è quello che avviene nella metafora. La metafora è una figura in cui si in<strong>di</strong>ca un<br />

oggetto non con il termine che gli è proprio (il significato "denotante", cioè il primo dato nei vocabolari),<br />

ma con un'espressione che lo evoca secondo principi analogici. Posso ad esempio in<strong>di</strong>care l'oggetto<br />

"capigliatura" come "crine fluente" oppure come "fili dorati". In entrambi i casi si realizza una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

denotazione in quanto manca la precisione offerta dal termine che sarebbe proprio dell'oggetto; ma<br />

l'oggetto stesso si carica <strong>di</strong> connotati: nel primo caso, "crine fluente", il termine "crine" porta con sé<br />

l'immagine della criniera, quin<strong>di</strong> del cavallo, <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> selvaggio, <strong>di</strong> libero, che si <strong>di</strong>spiega nel vento,<br />

concetto rafforzato dall'aggettivo "fluente", che scivola tra le <strong>di</strong>ta, acquoso, quin<strong>di</strong> ondulato come il mare,<br />

ecc...; nel secondo caso, si mette in evidenza della capigliatura, l'aspetto filiforme, <strong>di</strong> sottigliezza<br />

estrema, del particolare della singolarità dei capelli, unito alla proprietà del colore, in questo caso non<br />

solo biondo ma anche lucente, proprio come l'oro.<br />

I contesti richiamati dalle parole coinvolte si arricchiscono reciprocamente.<br />

La metafora rappresenta l'oggetto fissando l'attenzione su alcune proprietà dell'oggetto stesso. Al<br />

medesimo modo, le varietà <strong>di</strong> linguaggi selezionano una serie <strong>di</strong> proprietà dell'oggetto, a seconda degli<br />

stimoli percepiti che variano da cultura a cultura, da uomo a uomo, ma che possono esistere anche come<br />

forme universali (questione citata in note come degli "universalia") , riflettendo nel segno le "marche<br />

semantiche" selezionate perché sentite come espressive e significative.<br />

11


"Non esistono tante realtà quante sono le lingue: la realtà biologica è una sola,<br />

ma vi è un ampio margine <strong>di</strong> fluttuazione nei mo<strong>di</strong> in cui la guar<strong>di</strong>amo: ...il<br />

pensiero stabilisce connessioni, metafore che ci consentono <strong>di</strong> conoscere<br />

qualcosa <strong>di</strong> nuovo in quanto simile a qualcosa <strong>di</strong> già noto. Ma tutto ciò non<br />

sarebbe possibile se la lingua (il linguaggio) stesso non possedesse la metafora<br />

in forma <strong>di</strong> costruzione lessicale... "<br />

<strong>Il</strong> segno può però anche allontanarsi dall'oggetto in<strong>di</strong>cato cosí da <strong>di</strong>venire simbolo, forma in cui i tratti<br />

analogici possono celarsi o non riscontrarsi.<br />

Nella teoria vichiana riguardo alla nascita e allo sviluppo del linguaggio espressa nella Scienza Nuova,<br />

questo è un processo evolutivo e <strong>di</strong> allontanamento dall'oggetto. Ma il simbolo, a partire soprattutto dalla<br />

fine dell'Ottocento e in ambito decadente, vuole affermarsi come quella forma che proprio perché allude e<br />

non in<strong>di</strong>ca, proprio perché si allontana da contaminazioni ctonie e assume connotazioni polisemiche,<br />

permette <strong>di</strong> raggiungere il vero e primor<strong>di</strong>ale senso delle cose che si è perduto per un uso e abuso<br />

quoti<strong>di</strong>ano del linguaggio. In questa prospettiva, il L. M. <strong>di</strong>viene per eccellenza il segno simbolico ed<br />

evocatore , perché libero dai denotanti che caratterizzano il L. P., strumento della quoti<strong>di</strong>ana esistenza<br />

e del pensiero cosciente.<br />

La musica è quin<strong>di</strong> un linguaggio, in quanto materia organizzata in sistema significativo e in quanto<br />

forma simbolica, anche se si caratterizza per una semanticità indeterminata e intraducibile,<br />

"indeterminatezza che non equivale a non significatività ma ad una plurivalenza" .<br />

La parola, considerando la <strong>di</strong>mensione semantica, può costituire un con<strong>di</strong>zionamento alla produzione<br />

musicale; può venire in aiuto conferendole una senso preciso; può sposarsi perfettamente recuperando la<br />

propria <strong>di</strong>mensione evocatrice-magica-incantatoria; può essere trattata come mero materiale fonico,<br />

come qualsiasi prodotto <strong>di</strong> strumento musicale.<br />

<strong>Il</strong> rapporto conflittuale Musica-Parola non è solo a livello <strong>di</strong> materiali sensibili dai meccanismi affini, ma<br />

anche a livello <strong>di</strong> segni significanti, <strong>di</strong> forme rappresentanti, cioè attualizzanti, in modalità e forme<br />

<strong>di</strong>verse, lo spirito umano.<br />

Linguaggio e arte<br />

La questione <strong>di</strong> "cos'è l'arte" è ancor più complessa della definizione <strong>di</strong> linguaggio. Sicuramente tenendo<br />

presente ciò che è stato detto precedentemente è possibile affermare che l'arte è un linguaggio. Sono<br />

presenti nell'arte tutti gli elementi che determinano un linguaggio: materia, lavoro umano su <strong>di</strong> essa,<br />

principio <strong>di</strong> organizzazione, espressività e forma simbolica. Anche l'arte è frutto della libera attività<br />

umana e specchio de-formante della mens. Anche l'arte trova nella Forma il mezzo e il senso, tanto che<br />

non è possibile sottrarre alcunché da una poesia o da un quadro senza che anche il senso dell'opera si<br />

mo<strong>di</strong>fichi.<br />

Viceversa però il linguaggio <strong>di</strong>viene artistico nel momento in cui gli si attribuisce tale valore. L'arte è<br />

quin<strong>di</strong> un linguaggio con valore artistico. Apparentemente tautologico.<br />

12


L'artistico è un Valore, variabile e relativo. L'arte è la Dimensione in cui il soggetto o la cultura colloca<br />

l'opus, cosa o acca<strong>di</strong>mento prodotto, in base a principi vari che possono essere il contemplativo, il bello,<br />

la maestria tecnica, l'espressione <strong>di</strong> sentimenti, l'elevazione spirituale, la comunicazione <strong>di</strong> verità<br />

trascendenti, e cosí via. Come <strong>di</strong>ce Molino riferendosi alla musica, "il musicale è il sonoro costruito e<br />

riconosciuto da una cultura" .<br />

Implicato in una definizione <strong>di</strong> arte è il <strong>di</strong>scorso sull'Opera d'arte. Se si parla <strong>di</strong> "Opera d'arte" e non <strong>di</strong><br />

"opera <strong>di</strong> linguaggio", è perché il linguaggio, forma strutturata e significante che si riferisce ad un sistema<br />

solo virtualmente assoluto perché dal carattere <strong>di</strong>namico e storicamente metamorfico , <strong>di</strong>viene lo<br />

strumento per la creazione irripetibile <strong>di</strong> un'unità-testo riconosciuta validamente artistica dal soggetto e/o<br />

dalla comunità.<br />

Si deve a questo punto fissare l'attenzione sull'elemento dell'"irrepetibilità" per arrivare alla definizione <strong>di</strong><br />

Opera nel senso etimologico <strong>di</strong> Opera =plurale <strong>di</strong> opus =le opere. L'Opera è quella nell'intenzione<br />

dell'artista, è quella a livello immanente, è quella percepita.<br />

Come sostiene Nattiez seguendo fedelmente la tripartizione <strong>di</strong> Molino, l'opera è costituita non solo dal<br />

testo o dalle strutture, ma anche dai processi compositivi (momento poietico) e dagli atti percettivi e<br />

interpretativi che determina (momento estesico). Ne consegue che l'opera ha carattere molteplice e<br />

comporta una <strong>di</strong>namica attiva sia da parte dell'autore sia da parte della ricezione, trovando nel caso della<br />

comunicazione, intesa come invio <strong>di</strong> messaggio e co<strong>di</strong>fica, un caso particolare ed eccezionale . Questo<br />

vuol <strong>di</strong>re che una volta uscita dalle mani del suo autore, come i personaggi pirandelliani l'opera ha vita<br />

propria ed è sempre comunicativa e interpretabile anche al <strong>di</strong> fuori delle intenzioni del creatore con le<br />

quali sole l'opera non può coincidere.<br />

Riassumendo<br />

"L'opera d'arte... è una forma, e cioè un movimento concluso, che è come <strong>di</strong>re<br />

un infinito raccolto in una definitezza; la sua totalità risulta da una conclusione, e<br />

quin<strong>di</strong> esige <strong>di</strong> essere considerata non come la chiusura <strong>di</strong> una realtà statica e<br />

immobile, ma come l'apertura <strong>di</strong> un infinito che si è fatto intero raccogliendosi in<br />

una forma. L'opera perciò ha infiniti aspetti, che non ne sono soltanto "parti" o<br />

frammenti, perché ciascuno <strong>di</strong> essi contiene l'opera tutt'intera, e la rivela in una<br />

particolare prospettiva... Gli infiniti punti <strong>di</strong> vista degli interpreti e degli infiniti<br />

aspetti dell'opera si rispondono e si incontrano e si chiariscono a vicenda, sí che<br />

un determinato punto <strong>di</strong> vista riesce a rivelare l'opera intera solo se la coglie in<br />

quel determinatissimo aspetto, e un aspetto particolare dell'opera, che la sveli<br />

intera sotto una nuova luce, deve attendere il punto <strong>di</strong> vista capace <strong>di</strong> captarlo e<br />

prospettarlo" .<br />

<strong>Il</strong> linguaggio è una libera creazione umana che traduce, con un processo metaforico e in parte ancora<br />

enigmatico, in una forma necessariamente sensibile, le strutture e i meccanismi della psiche e i suoi<br />

contenuti, consci e inconsci. <strong>Il</strong> linguaggio è quin<strong>di</strong> sempre forma sensibile ed espressiva.<br />

13


<strong>Il</strong> linguaggio esiste virtualmente come materiale sistematizzato e regolarizzato a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> una<br />

comunità ma si realizza nell'uso soggettivo. <strong>Il</strong> linguaggio <strong>di</strong>viene artistico quando l'opus creata me<strong>di</strong>ante<br />

lo stesso viene riconosciuta come artistica dal soggetto e/o dalla cultura.<br />

<strong>Il</strong> L. P. e il L. M. interagiscono a livello materico, a livello <strong>di</strong> sistemi organizzati, a livello semantico. A<br />

livello materico entrambi i linguaggi si costituiscono <strong>di</strong> suoni; a livello <strong>di</strong> sistemi, possiedono meccanismi<br />

affini ma non coincidenti; a livello semantico il L. P. per lo più denota, il L. M. connota ed evoca.<br />

<strong>Il</strong> L. P. e il L. M. però incontrandosi danno vita ad un nuovo linguaggio, ad una forma simbolica che ha<br />

caratteri peculiari, musicali e linguistici, denotanti e polisemici allo stesso tempo.<br />

14


LA VOCALITA NEL RAPPORTO MUSICA-PAROLA<br />

LA VOCE COME "INTERPRETE"<br />

" La musica,..., si accompagna il più delle volte alla parola, per una serie <strong>di</strong><br />

motivi alquanto <strong>di</strong>vergenti, la meno importante delle quali non è il ruolo<br />

preponderante del fenomeno vocale." (P. Boulez, Punti <strong>di</strong> riferimento, p.147)<br />

P. Zumthor nella prefazione a Flatus Vocis: metafisica e antropologia della voce, <strong>di</strong> C. Bologna, opera una<br />

<strong>di</strong>stinzione tra "oralità", funzionamento della voce in quanto portatrice <strong>di</strong> linguaggio (qui inteso come<br />

lingua); e "vocalità", l'insieme delle attività e dei valori che le sono propri, in<strong>di</strong>pendentemente dal<br />

linguaggio.<br />

La voce è una forza archetipica nell'inconscio umano: è un'immagine primor<strong>di</strong>ale e dotata <strong>di</strong> un potente<br />

<strong>di</strong>namismo creatore. "Energia e configurazione <strong>di</strong> tratti che predeterminano, attivano e strutturano in<br />

ciascuno <strong>di</strong> noi le esperienze primarie, i sentimenti, i pensieri". Luogo <strong>di</strong> articolazione delle parole e delle<br />

frasi, la voce ne travalica, con tutta la sua potenza esistenziale, la materialità e il significato.<br />

La voce è quin<strong>di</strong> essa stessa una forma simbolica espressiva anche in assenza <strong>di</strong> articolazioni fonetiche<br />

significative. Rappresentazione, Ri-Presentazione, che forma nel corso dei secoli un'ere<strong>di</strong>tà culturale<br />

trasmessa col, nel, dal linguaggio e gli altri co<strong>di</strong>ci che il gruppo umano elabora.<br />

La voce è materia non ancora organizzata, significante puro e libero che sgorga alludendo e accennando<br />

senza <strong>di</strong>re. "La voce si <strong>di</strong>ce nel momento in cui <strong>di</strong>ce": è pura esigenza. <strong>Il</strong> grido inarticolato, il gemito<br />

puro, il vocalizzo senza parole, il grido <strong>di</strong> guerra ...sono esplosioni dell'essere che si identifica con la<br />

propria voce: la voce è "voler <strong>di</strong>re e volontà <strong>di</strong> esistere" .<br />

Una <strong>di</strong>stinzione tra lingua = nominazione = memoria e coscienza come presenza a sé, e vocalità pura è<br />

quin<strong>di</strong> un'astrazione, in quanto la potenza mitica, archetipica, magica della voce è sempre latente anche<br />

durante l'"oralità". Ed è soprattutto nelle composizioni poetiche e canore che questa potenzialità emerge<br />

e la voce recuperando una primor<strong>di</strong>ale sonorità riporta alla luce miti e archetipi ad essa legati.<br />

La voce costituisce un sostrato ineliminabile che non ha luogo proprio: il testo linguistico non la esaurisce<br />

e non determina la sua origine.<br />

"La voce canta "sotto" il testo" . "C'è un canto oscuro nascosto nella parola<br />

oratoria e nel verso recitato" .<br />

"La voce accade sempre accanto al linguaggio, insieme al linguaggio, nonostante<br />

il linguaggio" .<br />

"<strong>Il</strong> linguaggio è impensabile senza la voce" .<br />

La voce è flatus, respiro, soffio vitale, spirito, testimonianza <strong>di</strong> una presenza, la propria presenza e vita,<br />

perché la nostra voce "si sente", è il "dentro" fuori <strong>di</strong> noi, "chiave psicologica della conoscenza<br />

dell'interiorità".<br />

La voce è me<strong>di</strong>um, ci permette <strong>di</strong> relazionarci con gli altri facendo sentire i nostri bisogni; ci relaziona<br />

con il reale aprendoci la via alla conoscenza (si pensi alla sacra primor<strong>di</strong>ale nominazione <strong>di</strong> Adamo<br />

15


nell'Eden); ci relaziona con noi stessi: è strettamente legata al nostro corpo, abita nel silenzio del nostro<br />

corpo, da cui è generata e morfologicamente caratterizzata, e a cui ritorna come eco.<br />

Quin<strong>di</strong> è affermazione dell'identità dell'in<strong>di</strong>viduo; ci mette in comunione con l'Assoluto perché vibrazione<br />

ed energia che circola dentro e fuori <strong>di</strong> noi (si pensi ai suoni prodotti nelle pratiche <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione)...<br />

"La voce modula gli influssi cosmici che ci attraversano e ne capta i segnali: è<br />

risonanza infinita, che fa cantare ogni sorta <strong>di</strong> materia, come attestano le tante<br />

leggende sulle piante e sulle pietre incantate che, un giorno, furono docili" .<br />

La voce seduce, incute paura, sfoga il dolore, ...la voce esprime e coincide con l'Essere e in particolare<br />

con l'essere uomo.<br />

La presenza <strong>di</strong> miti, archetipi, nonché l'esistenza <strong>di</strong> fonosimbolismi vocali (che spesso costituiscono una<br />

conseguenza dei primi), sono elementi che non devono essere trascurati nel rapporto Musica _Parola,<br />

anzi sono operanti e talora con<strong>di</strong>zionanti le scelte artistiche, sia poetiche che musicali.<br />

La lingua non vede significazione solo a livello lessicale o proposizionale , ma porta inevitabilmente con<br />

sé tutta una serie <strong>di</strong> significati legati alla vocalità, che agiscono a livello microscopico dei fonemi (fattori<br />

fonosimbolici) a quello macroscopico della frase (fattori soprasegmentali o paralinguistici), a livello<br />

fonico-timbrico (fattori antropologici legati alla voce) . Questa significazione complessa lungi dal costituire<br />

un ostacolo all'interazione con la musica costituisce il punto <strong>di</strong> incontro con la <strong>di</strong>namica semantica<br />

propria della musica.<br />

"La significanza è per sua natura in<strong>di</strong>cibile. Non si può <strong>di</strong>re razionalmente, se<br />

non per metafore e illuminazioni parziali. L'inspiegabilità è l'essenza della libertà,<br />

la licenza impellente dell'immaginazione e del pensiero. La letteratura, l'arte e la<br />

musica sono il compattamento voluto <strong>di</strong> questa libertà. La loro apertura alla<br />

comprensione o al malinteso, all'accoglienza o al rifiuto, la loro inesauribilità,<br />

sono i migliori accessi all'alterità, alla libertà, vivificante e abissale, della vita<br />

stessa."<br />

Per F. Frasne<strong>di</strong> la voce viva e corporea, si misura con la polisemia e l'infinità della significanza<br />

traducendo valori <strong>di</strong> significanza nel suo universo tattile e sonoro. La voce è "l'orizzonte nel quale<br />

l'infinitezza del senso incontra l'in<strong>di</strong>cibilità della significanza". La voce limita l'infinitezza dell'orizzonte e la<br />

rende percepibile; pone un limite rivelatore. Ridà corpo al testo riportandolo alla sua origine<br />

squisitamente sonora e musicale. La corporeità della voce conduce l'ascoltatore su vie del senso nascoste<br />

rivelandole.<br />

La forza archetipica e l'ere<strong>di</strong>tà culturale della voce reagisce incontrando la polisemia della musica e il<br />

senso della scrittura, incanalando l'infinità della significanza, rendendo sensibile il senso.<br />

La voce è un interprete: attualizza e restringe privilegiando certi significati su altri.<br />

La voce me<strong>di</strong>a la soggettività della personalità <strong>di</strong> cui è espressione e l'oggettività del co<strong>di</strong>ce.<br />

La voce è un linguaggio, è un interprete, ed è la voce dell'interprete.<br />

"Insomma su un fondo comune ed umano, in quanto siamo tutti forniti <strong>di</strong> un<br />

apparato atto alla fonazione e portati ad usarlo per comunicare, si innesta una<br />

16


mimica vocale imposta dalla società e insieme trova modo <strong>di</strong> manifestarsi<br />

l'in<strong>di</strong>viduo con la particolarità della sua voce, espressione del suo corpo e della<br />

sua psiche. La voce è in parte uguale a tutti gli altri, in parte uguale ad alcuni<br />

altri, in parte uguale a nessun altro" .<br />

La vocalità costituisce quin<strong>di</strong> in un'opera musicale vocale, una vera e propria scelta artistica,<br />

con<strong>di</strong>zionante l'esito formale, i giochi <strong>di</strong> sensi e la ricezione.<br />

La prospettiva <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o, in definitiva, conferisce il primato nel rapporto Musica-Parola, non al<br />

testo, non alle scelte musicali, ma all'esecuzione vocale, alla performance <strong>di</strong> una voce che <strong>di</strong>ce-canta-<br />

interpreta.<br />

Di seguito saranno illustrati quelli che sono gli aspetti principali che caratterizzano la vocalità, allo scopo<br />

<strong>di</strong> offrire oggetti <strong>di</strong> riflessione e strumenti per una delle possibili analisi del problema parola-musica, con<br />

l'avvertenza al lettore della giovinezza degli stu<strong>di</strong> scientifici sull'argomento e insieme l'ammissione <strong>di</strong><br />

una possibile generalità.<br />

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LO STILE VOCALE: parametri per un'analisi<br />

La definizione <strong>di</strong> stile vocale viene data dallo stu<strong>di</strong>oso I. Fonagy nel suo trattato <strong>di</strong> psicofonetica .<br />

Lo stile vocale è una modalità, una serie <strong>di</strong> possibilità, un modo particolare <strong>di</strong> pronunciare; una scelta<br />

prettamente vocale, fra le possibili, che comporta messaggi più o meno involontari. Esso è dunque uno<br />

dei mo<strong>di</strong> possibili dell'espressione che profitta dei meccanismi propri del linguaggio e <strong>di</strong> ogni sistema<br />

semiotico per quanto riguarda il rapporto significato-significante, i quali come visto, si occultano e si<br />

svelano a vicenda.<br />

<strong>Il</strong> principio fondamentale per indagare i sensi dello stile vocale (in aggiunta ad un'analisi formale-<br />

acustica) il cui problema <strong>di</strong> fondo è il fatto <strong>di</strong> non sembrare concreto e tangibile , è quello<br />

dell'isomorfismo;<br />

"Quando si vuole nominare una realtà invisibile bisogna ubbi<strong>di</strong>re alle leggi<br />

dell'analogia."<br />

Per descrivere la voce...<br />

"occorre spesso riferirsi a ciò che cade sotto l'attenzione <strong>di</strong> sensi <strong>di</strong>versi<br />

dall'u<strong>di</strong>to: <strong>di</strong> una voce si può <strong>di</strong>re che è scura, calda, dolce, e cosí via."<br />

...cioè considerare la voce come una forma metaforica nell'accezione precedentemente esposta <strong>di</strong> tra-<br />

duzione del mondo dei significati in nuove forme-vesti, me<strong>di</strong>ante la scelta <strong>di</strong> marche analogiche.<br />

" Per questo la voce è essenzialmente una metafora, <strong>di</strong> cui tutto può<br />

"esternamente" essere detto (tono, timbro, frequenza, altezza, vivacità, colore,<br />

profon<strong>di</strong>tà, registro, ampiezza, livello ecc.), mentre nulla può venir descritto<br />

pienamente circa la sua "sostanza interna", che è quella del flusso, del brivido,<br />

del sospiro."<br />

La voce è metafora sonora del "vento interiore", o anima, principio dell'Essere; sinonimo <strong>di</strong> psiche "nel<br />

senso originario <strong>di</strong> respiro e insieme <strong>di</strong> anima, spirito pensante" ; "sa function première est l'expression<br />

de la vie intériorieure" e nulla può <strong>di</strong>rsi dell'anatomia dell'interiorità <strong>di</strong>rettamente,<br />

"giacché la voce può u<strong>di</strong>rsi solo come voce, e la voce può pronunciarsi solo<br />

attraverso le parole, che occultano la sonorità originaia <strong>di</strong>etro il corpo ombroso<br />

del significato"<br />

Quin<strong>di</strong> la voce apre vie metaforiche per la comprensione dell'uomo e dell'Essere riecheggiando, cioè<br />

ospitando solo come eco, sonorità ancestrali.<br />

Da un lato (aspetto antropologico) deve esistere una "griglia referenziale", cosí come esiste un reticolo <strong>di</strong><br />

rapporti fra il tono, il timbro, il registro della voce ed i sentimenti, le emozioni, che generano le parole.<br />

La voce denuncia la verità dell'anima, "lascia spirare il cuore messo a nudo". Sono parole <strong>di</strong> C. Bologna,<br />

che, come I. Fonagy e recenti stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> L. Anolli e R. Ciceri , propone una scienza della vocalità che apra<br />

la strada alla comprensione dell'uomo attraverso la sua espressione vocale .<br />

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<strong>Il</strong> legame voce-personalità-messaggio veritiero, viene evidenziato anche nell'opera <strong>di</strong> G. Giuliani: la voce<br />

"è giu<strong>di</strong>cata più degna <strong>di</strong> fiducia rispetto al <strong>di</strong>scorso intenzionale ritenuto più suscettibile <strong>di</strong> controllo" .<br />

Anche Zumthor <strong>di</strong>ce che " più ancora che dallo sguardo o dall'espressione del viso, possiamo essere<br />

tra<strong>di</strong>ti dalla voce" .<br />

Dall'altro, (aspetto metafisico) il potere d'eco della voce porta con sé forze archetipiche che riportano<br />

l'uomo alla intuizione della sua origine, ma anche trascendenti l'umanità stessa, capaci <strong>di</strong> condurre<br />

l'uomo in contatto con realtà metafisiche .<br />

Ma vi è anche un aspetto storico-sociale che deve essere tenuto presente e che giustifica quella che J.<br />

Potter definisce "vocal authority", l'egemonia <strong>di</strong> uno stile vocale sopra un altro.<br />

La vocalità è con<strong>di</strong>zionata ed è riflesso, dalla particolare struttura sociale e culturale <strong>di</strong> un popolo in un<br />

dato momento storico: è il motivo del successo <strong>di</strong> uno stile piuttosto che un altro, della sua popolarità o<br />

viceversa del suo carattere elitario, del suo potere conservatore o eversivo, insomma, del suo peso<br />

ideologico. Lo stile vocale è una norma e uno scarto dalla norma.<br />

Per poter operare un'analisi dello stile vocale, è necessario fissare criteri <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione formali e<br />

definirne la portata semantica.<br />

Si intendono offrire al lettore strumenti e prospettive <strong>di</strong> definizioni al fine <strong>di</strong> una miglior comprensione<br />

delle analisi successive.<br />

Le marche proprie della voce sono:<br />

- La presenza e la moltiplicazione delle pause<br />

- La <strong>di</strong>stribuzione e la qualità degli accenti<br />

- <strong>Il</strong> tempo<br />

- Le <strong>di</strong>namiche<br />

- <strong>Il</strong> timbro<br />

- L'intonazione<br />

- L'articolazione dei suoni e dei fonemi<br />

- Elementi vocali non linguistici<br />

Questi caratteri combinandosi in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi danno quin<strong>di</strong> vita a stili vocali <strong>di</strong>fferenti.<br />

<strong>Il</strong> respiro e la pausa<br />

Per vivere è inevitabile respirare. La respirazione è l'atto vitale per eccellenza. Scomponibile in<br />

inspirazione ed espirazione, la respirazione insieme con il battito car<strong>di</strong>aco, segnano il ritmo costante della<br />

nostra esistenza e costituiscono l'insieme <strong>di</strong> quelle attività necessarie-vitali che agiscono al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> una<br />

volontà cosciente continuamente in atto.<br />

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Inspirare ed espirare. Due movimenti dunque naturali, biologici e scontati, non pensati nella vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana, mantenuti al minimo dello sforzo e della capacità; scopo della respirazione è portare ai<br />

polmoni l'aria che ricarica i globuli rossi <strong>di</strong> ossigeno e liberare gli stessi dal gas carbonio. Questo processo<br />

quin<strong>di</strong> assicura un apporto nutritivo e purificante.<br />

"L'aria che respiriamo è anche il primo nutrimento, la prima energia che<br />

preleviamo al nostro biotopo; un'inspirazione atrofizzata compromette<br />

l'approvvigionamento <strong>di</strong> base in energia vitale" .<br />

S'impone la necessità <strong>di</strong> un'inspirazione piena e profonda come rinascita ad ogni istante <strong>di</strong> un essere<br />

sereno, padrone <strong>di</strong> sé e generoso. Lo yoga afferma che l'espirazione è generosità. L'espirazione, il<br />

momento del buttare fuori, è un donarsi.<br />

La voce risiede e viaggia sul fiato che è in uscita. La voce è un uscire all'esterno e il canto, che della voce<br />

esprime le possibili libertà, è piena generosità.<br />

<strong>Il</strong> respiro è dunque una necessità biologica-vitale che può essere condotta con l'esercizio sotto controllo e<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>venire attività cosciente, e la con<strong>di</strong>tio sine qua non, della generosità della voce.<br />

Ma il respiro nel momento dell'inspirazione e in quel vertice cruciale che è quasi apnea prima della<br />

<strong>di</strong>scesa espirante, è luogo <strong>di</strong> silenzio.<br />

<strong>Il</strong> silenzio è altra con<strong>di</strong>tio che l'espressione vocale porta con sé. Ma come il respiro, seppur inevitabile, il<br />

momento <strong>di</strong> silenzio può essere sottoposto a controllo, guidato coscientemente. Fonagy parla <strong>di</strong><br />

"strategie <strong>di</strong> silenzi" .<br />

La pausa oltre che rispondere ad una necessità biologica, scan<strong>di</strong>sce il farsi del senso, del pensiero e del<br />

moto emotivo, pone in rilievo ed enfatizza, esercitando il proprio potere <strong>di</strong> separazione e <strong>di</strong> sospensione.<br />

Ne consegue che nel passaggio dal testo scritto alla voce attualizzante, entreranno in gioco strategie<br />

retoriche interagenti con le pause sintattiche e i segni <strong>di</strong> punteggiatura, che tras-formeranno il <strong>di</strong>scorso<br />

rivelando sensi celati. Si deve però sottolineare che le strategie riguardano la presenza e la <strong>di</strong>stribuzione<br />

<strong>di</strong> pause e non la loro durata. Pause <strong>di</strong> durata <strong>di</strong>fferente possono avere la medesima funzione (ad es.<br />

pausa <strong>di</strong> attesa).<br />

L'accento<br />

L'accento è la sottolineatura vocale <strong>di</strong> sillabe o gruppi <strong>di</strong> sillabe, oppure <strong>di</strong> consonanti soprattutto<br />

consonanti iniziali. L'accento articola e organizza le parole (accento lessicale). Divide la catena parlata<br />

continua in sequenze o gruppi ritmici stabilendo una certa gerarchia semantica all'interno della frase<br />

(accento fraseologico).<br />

Da un'analisi fisiologica si viene a conoscenza <strong>di</strong> come le sillabe accentate siano prodotte da uno sforzo<br />

particolare dei muscoli fonatori, delle labbra, della lingua, dei muscoli della glottide, e soprattutto da una<br />

forte contrazione dei muscoli respiratori, intercostali interni e addominali. <strong>Il</strong> senso dell'accentazione e la<br />

sua efficacia sono strettamente legati alla modalità articolatoria <strong>di</strong> produzione. La produzione<br />

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dell'elemento accentato richiede lo scoppio <strong>di</strong> una pressione . Chi percepisce rivive secondo un principio<br />

isomorfico, lo sforzo articolatorio della persona parlante.<br />

La <strong>di</strong>stribuzione degli accenti (che non avrebbe senso senza implicare l'alternanza con momenti <strong>di</strong><br />

rilassamento come il movimento binario del respiro precedentemente visto) crea movimento, ritmo,<br />

<strong>di</strong>namiche corporee.<br />

L'accento enfatico in particolare serve retoricamente ad evidenziare accanto agli accenti grammaticali,<br />

certe prominenze <strong>di</strong> senso che si richiamano, per i meccanismi fisiologici coinvolti (come l'attività<br />

particolarmente vigorosa dei muscoli respiratori e un'iperventilazione o getto violento d'aria all'esterno),<br />

allo stato fisico-psico-emotivo della collera e dell'uomo che si prepara al combattimento tramite una<br />

simulazione della battaglia.<br />

"L'accento si carica <strong>di</strong> vibrazioni significative ed emotive (lo stupore, l'esultanza,<br />

la collera, lo slancio passionale...), emergendo sopra il tessuto delle altre<br />

parole."<br />

Gli accenti metrici (accento ritmico) costanti <strong>di</strong> certa poesia invece, richiamano un andamento<br />

altalenante, ninnante, <strong>di</strong> danza; danno la sicurezza <strong>di</strong> un ritmo che ritorna sempre uguale, circolare. V.<br />

Mathieu sottolinea come il ritmo circolare sia un tentativo <strong>di</strong> sottrarsi al <strong>di</strong>venire e quin<strong>di</strong> alla morte, un<br />

tentativo <strong>di</strong> rinchiudere l'infinito e avere la illusione <strong>di</strong> poter controllare quello che segue, il futuro.<br />

La <strong>di</strong>stribuzione degli accenti e la qualità dell'accentazione, più o meno marcata, costante o meno,<br />

costituisce quin<strong>di</strong> un ulteriore in<strong>di</strong>catore d'analisi dello stile vocale.<br />

<strong>Il</strong> tempo<br />

Mai come nel Novecento si è messa in <strong>di</strong>scussione la <strong>di</strong>mensione temporale, relativizzandola.<br />

Con Einstein il tempo è <strong>di</strong>ventato una coor<strong>di</strong>nata e una variabile; con Bergson si è riflettuto su un tempo<br />

interiore che possiede un proprio flusso e un proprio ritmo.<br />

Esiste un tempo "naturale" dovuto all'incessante ritorno del giorno e della notte, delle stagioni, delle<br />

maree. Esiste un tempo artificiale e convenzionato: i secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> un orologio per esempio. Esiste un tempo<br />

interiore: il tempo dei ricor<strong>di</strong>, il tempo delle emozioni, il tempo onirico, ...assolutamente elastici.<br />

La modalità <strong>di</strong> misurazione della velocità dell'eloquio (come avviene ad esempio in I. Fonagy o nello<br />

stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> L. Anolli e R. Ciceri) del parlato calcolata in funzione della durata delle pause e della velocità <strong>di</strong><br />

articolazione delle sillabe e al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare le <strong>di</strong>fferenze in relazione ai <strong>di</strong>versi stati psico-emotivi,<br />

deve essere affiancato da altre considerazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne percettivo.<br />

Affermando come in<strong>di</strong>ssolubile il legame tra un fenomeno sonoro e la percezione <strong>di</strong> esso, ossia l'uno<br />

esiste solo se esiste l'altro, non si può prescindere dal considerare l'aspetto percettivo oltre a quello<br />

fisico.<br />

Durante il canto ad esempio la velocità d'eloquio fisicamente si <strong>di</strong>lata, e viene percepito <strong>di</strong>versamente in<br />

situazioni <strong>di</strong>verse.<br />

21


Come esempio, sia perché chiaro, sia perché ampiamente stu<strong>di</strong>ato, riporto quello del melodramma. <strong>Il</strong><br />

melodramma si struttura in un alternarsi <strong>di</strong> arie e recitativi. Durante il recitativo, che è una sorta <strong>di</strong><br />

declamato, <strong>di</strong> parlato intonato, l'azione scenica procede: scorre il tempo dell'eloquio parimenti al tempo<br />

reale dell'azione. <strong>Il</strong> momento dell'aria rappresenta invece una pausa nello sviluppo drammaturgico, ma<br />

ospita la manifestazione <strong>di</strong> "azioni interiori", che si palesano in forme puramente musicali e non in eventi<br />

scenici. L'aria è quin<strong>di</strong> una sospensione temporale dell'azione del dramma, ma apre le porte alla scena<br />

dei moti interiori, conduce ad un'altra <strong>di</strong>mensione dove i tempi sono <strong>di</strong>latati, elastici, relativi.<br />

In linea generale, gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> L. Anolli e R. Ciceri hanno <strong>di</strong>mostrato che gli stati emotivi ad alto livello <strong>di</strong><br />

attivazione psicofisiologica (come paura, collera e gioia), presentano una durata <strong>di</strong> frase più breve e una<br />

velocità <strong>di</strong> eloquio maggiore. Viceversa emozioni come il <strong>di</strong>sprezzo o la tristezza sono caratterizzate da<br />

velocità d'espressione più lenta. Naturalmente l'unità <strong>di</strong> confronto è "la durata della frase standard" ,<br />

che è stata scientificamente calcolata e che costituisce il punto <strong>di</strong> riferimento in base al quale ogni scarto<br />

sarà significativo e denotante.<br />

Le <strong>di</strong>namiche<br />

Un altro parametro caratteristico dello stile vocale è l'intensità. Percepita come volume, è<br />

fisiologicametne dovuta alla pressione ipolaringea e alla forza fonoespiatoria. Le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> volume<br />

vengono descritte da G. Cardona in termini <strong>di</strong> rapporti spaziali e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanze.<br />

"Per <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> confidenziale abbassiamo la voce, anche se questo non è<br />

sempre strettamente necessario; è un segnale per ridurre fisicamente la cerchia<br />

degli interessati; è come se ci avvicinassimo all'interlocutore, costringendolo a<br />

fare altrettanto ed escludendo gli altri. Alla stessa finalità risponde la qualità <strong>di</strong><br />

voce usata tra confessore e confessando; anche se la confessione avvenisse in<br />

una chiesa vuota, e dunque al riparo da orecchie in<strong>di</strong>screte, il tono sarebbe pur<br />

sempre basso; e il confessionale tra<strong>di</strong>zionale, "preconciliare", era costruito in<br />

modo che, effettivamente assai vicini, confessando e confessore potessero<br />

parlarsi all'orecchio. L'effetto inverso suggeriamo se alziamo la voce come se<br />

stessimo gridando; richiameremo un interlocutore assente o spaesato usando un<br />

tono <strong>di</strong> voce speciale, che simula l'eco <strong>di</strong> un richiamo a <strong>di</strong>stanza. Poiché quel<br />

richiamo e quella intonazione sarebbero appropriati solo se dovessimo farci<br />

sentire da lontano, è come far capire che l'interlocutore non è lí davanti a noi,<br />

ma altrove, su una nuvola magari, o nel mondo della luna; e da questi mon<strong>di</strong><br />

deve essere richiamato: "Ooh mi senti? Guarda che parlo a te!"".<br />

Inoltre il volume della voce viene gestito dal soggetto come una possibilità <strong>di</strong> incisività negli eventi:<br />

necessità <strong>di</strong> far sentire ed evidenziare la propria presenza; colpire l'altro col proprio tono, usando la voce<br />

come materia per aggre<strong>di</strong>re e per dare valenza alla propria persona (ad esempio in un rimprovero o in un<br />

litigio).<br />

Lo sforzo fisiologico per una grande intensità si richiama allo sforzo impiegato per l'esecuzione <strong>di</strong> una<br />

maggior accentazione, che come visto prevede uno scoppio <strong>di</strong> tensione. Anche in questo caso il volume<br />

22


può aumentare <strong>di</strong>etro esplosioni <strong>di</strong> tensioni come collera, ma anche gioia: l'entusiasmo, l'esultanza non<br />

ha mai voce sussurrata.<br />

<strong>Il</strong> timbro<br />

<strong>Il</strong> timbro è il colore <strong>di</strong> fondo personale e irripetibile che ogni voce reca con sé, e anche il modo<br />

inconfon<strong>di</strong>bile che ogni voce ha <strong>di</strong> pronunciare le vocali, <strong>di</strong> articolare le consonanti.<br />

<strong>Il</strong> timbro <strong>di</strong>pende e coincide con la fonte che lo produce: il timbro è il nostro corpo, anatomicamente cosí<br />

fatto, è la nostra persona e personalità cosí costituita. <strong>Il</strong> timbro è il parametro maggiormente con-forme<br />

al nostro Essere e che per questo più <strong>di</strong>fficilmente possiamo accomodare. Si può parlare in modo più<br />

lento o più veloce, più o meno forte, ma non possiamo mutare la sostanza della nostra voce.<br />

<strong>Il</strong> timbro è il segno <strong>di</strong> un'in<strong>di</strong>vidualità che per F. Frasne<strong>di</strong> vuol <strong>di</strong>re "creazione <strong>di</strong> un nuovo orizzonte <strong>di</strong><br />

significanza" . In<strong>di</strong>vidualità significa prospettiva, quin<strong>di</strong> interpretazione, e cioè scelta tra i possibili<br />

sensi: orizzonte=limite dell'infinità propria del significare. <strong>Il</strong> testo-scrittura possiede varie potenzialità<br />

significanti; la voce che lo attualizza, lo interpreta anche solo con il proprio colore, con il proprio tessuto<br />

.<br />

<strong>Il</strong> timbro e il registro della voce ne costituiscono dunque il corpo, la stoffa, il colore, la presenza.<br />

"Accanto alla "voce-<strong>di</strong>-miele" avremo allora quella "<strong>di</strong> velluto", quella "tagliente",<br />

quella "metallica", quella "<strong>di</strong> bronzo" e cosí via. Gli antichi per i quali la mitologia<br />

aveva anche (come Jung ha ben visto) un senso psicologico, oltre che sacrale,<br />

affabularono con ricchezza attorno ai timbri vocali: quin<strong>di</strong> Eco ha, come la maga<br />

seduttrice Circe, voce "<strong>di</strong>vina"; Stentore (il cui nome si riallaccia alla ra<strong>di</strong>ce del<br />

sanscrito stanah, donde il gr. "mugghiare" detto del mare, "gemere e sospirare"<br />

<strong>di</strong> esseri umani, ed il lat. tonare) ha voce bronzea: da Omero si <strong>di</strong>rà "stentorea"<br />

ogni voce dal forte timbro. Voce inu<strong>di</strong>bile e variata, anzi, "voci <strong>di</strong> ogni specie e in<br />

numero illimitato" emanano le cento teste serpentiformi <strong>di</strong> Tifeo, figlio della<br />

Terra, secondo Esiodo. Altrettanto variabile <strong>di</strong> timbro e <strong>di</strong> registro è la voce del<br />

trickster o buffone sacro: per questo l'asino dal raglio tremante e spezzato ne<br />

sarà il totem (e in America, il coyote)." .<br />

Nel timbro giacciono gli strati più intimi e profon<strong>di</strong> della corporeità vocale: a ciascun sentimento, come ha<br />

<strong>di</strong>mostrato Fonagy, corrisponde un livello timbrico-musicale: ad esempio il timbro "chiaro" e squillante è<br />

proprio della gioia; la voce riflette un'articolazione in avanti, la sua sonorità e la sua pienezza, e il<br />

rilassamento dei muscoli della laringe e della faringe. Per questo motivo nell'insegnamento del canto si fa<br />

spesso riferimento ad un atteggiamento "sorridente" per portare il suono in avanti e renderlo chiaro,<br />

cristallino.<br />

<strong>Il</strong> timbro vocale è relazionabile ai sentimenti, ma soprattutto alla personalità. La voce è espressione<br />

dell'in<strong>di</strong>viduo e della sua personalità, nonché specchio e risultato della sua integrazione nella società e del<br />

suo ruolo in essa.<br />

23


D. W. Ad<strong>di</strong>ngton (1968, 1970)ha stilato un elenco delle qualità della voce in relazione alla personalità .<br />

"Una voce aspirata (brethness) viene associata a caratteristiche <strong>di</strong> giovanilità e<br />

femminilità. Nella voce femminile l'aspirazione viene percepita come propria <strong>di</strong><br />

una donna effervescente, minuta, graziosa e ipersensibile, Nella voce maschile<br />

richiama aspetti <strong>di</strong> creatività e omosessualità. La voce esile (thinness) viene<br />

associata nel parlato femminile a persone fisicamente, emozionalmente e<br />

mentalmente immature, dotate tuttavia <strong>di</strong> senso dello humor e molto sensibili.<br />

La voce piatta (flatness) è legata, per entrambi i sessi, ad attribuzioni <strong>di</strong><br />

mascolinità e <strong>di</strong> lentezza; viene inoltre ritenuta prerogativa <strong>di</strong> persone scostanti<br />

e fredde. La voce nasale (nasality) è associata a pigrizia, scarsa intelligenza e<br />

noiosità. È quin<strong>di</strong>, una qualità vocale indesiderabile. La voce tesa (tenseness)<br />

viene percepita negli uomini come in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> anzianità, <strong>di</strong> scarsa flessibilità e <strong>di</strong><br />

arrendevolezza; per contro, nelle donne viene associata a giovinezza ed<br />

emotività. La voce gutturale (throatiness) è associato allo stereotipo dell'uomo<br />

maturo e sofisticato, curato nell'aspetto e dotato <strong>di</strong> realismo. Nelle donne,<br />

all'opposto, viene associata a mascolinità, scarsa intelligenza e sensibilità,<br />

rozzezza. La voce altisonante (orotun<strong>di</strong>ty), chiara e forte, viene considerata<br />

propria <strong>di</strong> un uomo energico, interessante, sofisticato, creativo e orgoglioso. Ad<br />

essa è associata la figura <strong>di</strong> un uomo espressivo, aperto e leader. Nelle donne<br />

una voce altisonante è connessa ad una persona gregaria, anche se briosa e con<br />

spiccato senso estetico."<br />

Si pensi ad esempio all'utilizzazione che è stata fatta della caratterizzazione vocale nel melodramma<br />

ottocentesco per in<strong>di</strong>viduare stereotipi <strong>di</strong> personaggi: voce <strong>di</strong> basso, scura, profonda, virile, tellurica per il<br />

malvagio oppure per persona matura, come il ruolo <strong>di</strong> padre: l'autorevolezza è ra<strong>di</strong>cata alla terra, salda,<br />

con ra<strong>di</strong>ci profonde come la voce; voce tenorile per l'eroe della storia, il giovane amante; voce <strong>di</strong><br />

soprano, leggera, celestiale, acuta e sottile come quella <strong>di</strong> un bambino (simbolo <strong>di</strong> innocenza) per la<br />

giovane amata; voce <strong>di</strong> mezzosoprano (o contralto) invece come segno <strong>di</strong> ruolo interme<strong>di</strong>o o maturità .<br />

Proprio perché il timbro è riflesso dell'in<strong>di</strong>viduo e della sua particolare personalità, è proprio sul timbro<br />

che si esercita la pressione normalizzatrice e neutralizzatrice della cultura, mirata al controllo dell'eccesso<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduale pulsione (che è insieme esistenziale ed erotico-sovversiva) se<strong>di</strong>mentato nella voce. Gli<br />

stessi timbri "naturali" della voce umana verranno cosí per via culturale contraffatti, imitati, incanalati in<br />

co<strong>di</strong>ci socialmente fruibili e trasmissibili artificialmente. All'estremo <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>scorso si trova la voce a-<br />

timbrica, artificiale, sintetica, <strong>di</strong> robots e computers: una voce spersonalizzata, senza carne e senza<br />

emozioni.<br />

L'intonazione<br />

Difficilmente quando l'uomo si esprime vocalmente, tiene la medesima nota, cioè la medesima altezza del<br />

suono, per tutta l'esposizione. Anche quando parla, l'uomo in-tona la propria pronuncia, <strong>di</strong>segnando<br />

curve melo<strong>di</strong>che, seppur minime.<br />

24


L'interrogazione, l'affermazione, il comando, hanno curve melo<strong>di</strong>che proprie e socialmente co<strong>di</strong>ficate<br />

(sospesa per l'interrogazione che attende risposta e quin<strong>di</strong> attende una conclusione; ascendente e poi<br />

<strong>di</strong>scendente, quin<strong>di</strong> dal tracciato completo e conclusivo per l'affermazione; solo <strong>di</strong>scendente, gesto<br />

incisivo e penetrante, per il comando).<br />

Cosí come le emozioni generano intonazioni caratteristiche .<br />

La curva melo<strong>di</strong>ca della collera ad esempio, è rigida, angolare, interrotta da bruschi salti <strong>di</strong> quarta e<br />

quinta, in corrispondenza delle sillabe accentate. Riflette una forte contrazione muscolare, una posizione<br />

del corpo tesa, come quella <strong>di</strong> un uomo pronto a precipitarsi sull'avversario per scagliare un colpo. Gli<br />

scarti bruschi <strong>di</strong> tono costituiscono i colpi.<br />

La tenerezza, all'opposto, ha una melo<strong>di</strong>a ondulata e corrisponde a movimenti lenti, graduali, roton<strong>di</strong>:<br />

l'equivalente <strong>di</strong> una carezza. Nella <strong>di</strong>dattica del canto si fa spesso riferimento alla voce "carezzevole" per<br />

in<strong>di</strong>care uno stato <strong>di</strong> rilassatezza corporea che permette la fuoriuscita <strong>di</strong> una voce dolce, capace <strong>di</strong><br />

volteggiare nell'aria e posarsi con estrema delicatezza e piacere all'orecchio dell'ascoltatore, dando<br />

proprio l'impressione <strong>di</strong> una carezza. Fonagy parla della voix caressante come <strong>di</strong> in-canto, quello stato<br />

<strong>di</strong> ipnosi "materna", restaurazione dello stato edenico perduto che l'infante ritrova sul seno materno. La<br />

voce carezzevole non è tale solo per il timbro dolce e suadente, ma anche per il carico <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>osità che<br />

possiede. La voce della tenerezza è una voce che molto si avvicina al canto.<br />

La voce cantata si <strong>di</strong>stingue da quella parlata per l'indugio sui singoli suoni e la regolarità della curva<br />

melo<strong>di</strong>ca, cioè per il livello tonale relativamente costante nell'intervallo <strong>di</strong> una sillaba, che produce una<br />

sensazione <strong>di</strong> piacevolezza. "Un ingegnere ad esempio, dovrà fare 250 volte più misure per determinare<br />

lo spettro <strong>di</strong> una vocale parlata che per quello <strong>di</strong> una vocale cantata." La percezione <strong>di</strong> un suono<br />

"musicale" è dunque più piacevole <strong>di</strong> quella del rumore o della voce parlata perché la sua co<strong>di</strong>fica esige<br />

molto meno sforzo.<br />

"La voce cantante sta al principio <strong>di</strong> piacere come la voce parlata sta al principio<br />

<strong>di</strong> realtà; voce melo<strong>di</strong>osa, voce <strong>di</strong> piacere. ... Come il percorso del parlato,<br />

fittamente articolato <strong>di</strong> consonanti, sta al movimento articolato del camminare,<br />

cosí il decorso fluido, facile e scorrevole, <strong>di</strong>steso e <strong>di</strong>stensivo, libero da inciampi,<br />

della voce melo<strong>di</strong>osa sta al movimento continuo del volo. Volo e sogno: desiderio<br />

e piacere che sfugge la dura realtà, movimento al rallentatore, ampio e fluido,<br />

potenza che non conosce ostacoli. Cantare come volare. Per questa via, la<br />

melo<strong>di</strong>a musicale si fa simbolo delle stesse delle stesse realtà profonde investite<br />

nel volo sogno. " .<br />

<strong>Il</strong> fattore intonazione è quin<strong>di</strong> strettamente legato alla presenza e alla qualità della melo<strong>di</strong>cità. Questa<br />

comporta uno stato fisiologico <strong>di</strong> rilassamento e completa <strong>di</strong>stensione, una facilità estrema <strong>di</strong> emissione e<br />

articolazione del suono: fattori che <strong>di</strong>vengono riflesso, causa o conseguenza, <strong>di</strong> stati psico-emotivi che<br />

inducono piacevolezza e <strong>di</strong>s-tensione. Viceversa, un procedere asmatico, una curva melo<strong>di</strong>ca spezzata da<br />

bruschi salti, o sospesa, o poco fluida, <strong>di</strong>spone il nostro corpo e la nostra mente a <strong>di</strong>namiche tese e non<br />

rilassate.<br />

25


L'articolazione dei suoni e dei fonemi<br />

La questione dell'articolazione dei suoni e dei fonemi (cioè <strong>di</strong> quei suoni significativi all'interno del<br />

linguaggio) si collega alla questione <strong>di</strong>scussa dell'origine del linguaggio. Questo perché non è ancora certo<br />

se le parole, o suoni articolati significativi, siano frutto del caso combinatorio, <strong>di</strong> una co<strong>di</strong>ficazione<br />

arbitraria, o <strong>di</strong> principi analogici secondo cui la nostra mente richiama fra <strong>di</strong> loro realtà che percepisce<br />

affini. Lo stu<strong>di</strong>o riassuntivo <strong>di</strong> precedenti ricerche sull'argomento <strong>di</strong> F. Dogana <strong>di</strong>mostra la portata<br />

simbolica dei singoli suoni articolabili dall'uomo.<br />

<strong>Il</strong> principio da cui parte Dogana per sostenere le sue tesi, è il principio imitativo, secondo il quale la<br />

mente umana procederebbe, nel suo rapportarsi al reale, per analogie.<br />

Alcuni suoni sono imitazioni <strong>di</strong>rette della natura, onomatopee (fonosimbolismo ecoico); altri rispecchiano<br />

caratteristiche articolatorie ed evocano elementi pertinenti ad altre modalità sensoriali (fonosimbolismo<br />

sinestesico); altri suoni evocano caratteristiche emotive e psicologiche (fonosimbolismo fisiognomico).<br />

<strong>Il</strong> fonema /i/ ad esempio, viene associato a qualcosa <strong>di</strong> acuto, pungente, sottile e chiaro. <strong>Il</strong> suono /i/<br />

viene articolato e risuona infatti in posizione avanzata e alta. All'opposto, il fonema /o/ viene invece<br />

associato a qualcosa <strong>di</strong> scuro, <strong>di</strong> grave, <strong>di</strong> profondo, grosso, e tondeggiante. <strong>Il</strong> suono /m/ è pronunciato<br />

con le labbra serrate come in un bacio o nell'atteggiamento <strong>di</strong> suzione del neonato; al suono è permesso<br />

vibrare e risuonare a lungo; /m/ è un suono dolce come il M-iele, è il suono dell'a-M-ore, della M-<br />

aternità; suggerisce unione, calore, tenerezza.<br />

Gli esempi sarebbero <strong>di</strong>versi. Rimando allo stu<strong>di</strong>o citato <strong>di</strong> Dogana e al particolare delle analisi musicali<br />

successive in questa ricerca.<br />

Elementi vocali non linguistici<br />

Si tratta <strong>di</strong> quell'insieme <strong>di</strong> suoni-rumori che gli organi fonatori umani sono in grado <strong>di</strong> produrre,<br />

espressivi <strong>di</strong> stati fisico-emozionali, spesso <strong>di</strong> carattere irrazionale. Per questo motivo, per il fatto <strong>di</strong> non<br />

essere concreto possesso <strong>di</strong> una ratio cosciente, manifestano un mondo <strong>di</strong> significati inconsci, profon<strong>di</strong>,<br />

ancora inesplorati.<br />

<strong>Il</strong> gemito, il pianto, il riso, il grido.<br />

"La scaturigine della Voce è nelle profon<strong>di</strong>tà del corpo, proprio là dove i limiti<br />

della voce sono velati dal pianto e fanno cenno verso il naufragio dell'in<strong>di</strong>cibile.<br />

Le nostre lacrime, ha scritto Valéry, sono l'espressione della nostra impotenza ad<br />

esprimere, cioè a <strong>di</strong>sfarci attraverso la parola dell'oppressione <strong>di</strong> quello che<br />

siamo. Solo nell'abolirsi della parola per restituirsi al silenzio del linguaggio<br />

sovrannaturale o al grido inarticolabile dell'animalità, la voce in<strong>di</strong>ca la barriera<br />

della propria origine: esperienza <strong>di</strong> Dio, dell'Amore, del Nulla sono nel pensiero<br />

europeo da sempre coniugate in uno stesso gesto, che in<strong>di</strong>vidua il limite e lo<br />

trasgre<strong>di</strong>sce, pretendendo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re l'in<strong>di</strong>cibile , ossia <strong>di</strong> significare il solo<br />

significante vuoto e puro." .<br />

26


Conclusioni<br />

Sono stati elencati e spiegati in maniera sintetica, i fattori che caratterizzano lo stile vocale.<br />

La voce, per quanto possa sembrare invisibile, impalpabile ed inafferrabile, è un corpo. Dice Lucrezio (De<br />

rerum natura, IV, vv. 526-527)<br />

"Corpoream quoque enim vocem constare fatendumst Et sonitum, quoniam<br />

possunt impellere sensus."<br />

La voce è un corpo danzante, un corpo in movimento, un corpo capace <strong>di</strong> atteggiarsi nelle <strong>di</strong>verse<br />

situazioni. Un corpo <strong>di</strong> cui si subisce il fascino, capace <strong>di</strong> comunicare con la sua stessa presenza viva.<br />

La vocalità è un linguaggio umano universale .<br />

Lo stile vocale è il particolare uso che della voce viene fatto, variando i <strong>di</strong>versi fattori in gioco (timbro,<br />

intensità, accentazioni, ecc.).<br />

Questi fattori non sono solo parametri fisico-acustici-articolatori, ma assumono valori simbolici. Valori che<br />

trascendono il dato reale, seppur ad esso legato e da esso con<strong>di</strong>zionato, per rendersi portatori <strong>di</strong><br />

significati che riguardano l'espressione, la manifestazione, la rivelazione dell'Essere Uomo.<br />

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SULLE VOCALITA: OSSERVAZIONI ANTROPOLOGICHE<br />

Si è cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come la voce sia speculum dell'Essere Uomo e possa quin<strong>di</strong> a ragione dare<br />

importanti informazioni e sull'uomo universale e sull'uomo particolare. La voce porta con sé: archetipi<br />

collettivi, cioè memorie <strong>di</strong> un passato originario, fatto <strong>di</strong> sostrati comuni; ed ere<strong>di</strong>tà culturali <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong><br />

uomini particolari.<br />

La percezione, l'ascolto, che non si possono scindere dal fenomeno sonoro , sono me<strong>di</strong>ati e con<strong>di</strong>zionati<br />

da questa duplice ere<strong>di</strong>tà, dell'umanità universale (l'essere uomo in quanto tale) e dell'umanità<br />

particolare (società-cultura).<br />

Ogni vocalità porta inevitabilmente con sé delle valenze, che si ripropongono nell'immaginario<br />

dell'ascoltatore .<br />

Potenza ancestrale della voce, potenza vibratoria e ri-creatrice, che s'incontra con l'ambiente culturale<br />

me<strong>di</strong>atore delle percezioni.<br />

Le valenze del grido<br />

La voce è la prima manifestazione dell'Essere uomo.<br />

<strong>Il</strong> neonato grida al momento della nascita la propria presenza viva: lo grida al mondo, lo grida a se<br />

stesso, testimoniando energicamente, cioè sotto forma <strong>di</strong> flusso energico e con un'ampiezza respiratoria<br />

purificatrice, l'inizio della propria alterità dalla madre. La forza <strong>di</strong> questo grido è una "violenza<br />

inaugurale", la manifestazione energica dell'inizio della vita.<br />

<strong>Il</strong> grido informe e inarticolato è il più puro segno <strong>di</strong> Vita. Secondo antiche cosmogonie che M. Schneider<br />

passa in rassegna nel suo celebre testo <strong>Il</strong> significato della musica , all'origine del cosmo starebbe<br />

proprio il grido. Esplosione <strong>di</strong> energia creatrice.<br />

Grido - vita - lode - morte.<br />

"<strong>Il</strong> canto <strong>di</strong> lode della Morte, il grido o la risata rappresentano la musica<br />

primor<strong>di</strong>ale che partorisce il cosmo" .<br />

<strong>Il</strong> grido ha in sé la duplicità vita-morte, il loro strettissimo legame, la loro <strong>di</strong>pendenza.<br />

"<strong>Il</strong> canto della morte è l'atto creativo da cui si sprigiona la vita" .<br />

Da una sillaba mistica cantata, grido o suono primor<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> lode, che la Morte esala, nasce il cosmo. Nel<br />

vocabolario ve<strong>di</strong>co il canto <strong>di</strong> lode a polmoni gonfi (ark) è sinonimo <strong>di</strong> "gonfiare" o "crescere" e perciò la<br />

nota primor<strong>di</strong>ale risuonando crea il mondo intero materializzandosi poco a poco.<br />

Secondo il sistema filosofico Vedanta ogni morte trapassa nella vita e ogni vita nella morte me<strong>di</strong>ante uno<br />

sfregamento o sacrificio per superare il dualismo dell'universo.<br />

La vita umana nasce dalle urla della madre sofferente che deve affrontare il sacrificio <strong>di</strong> un doloroso<br />

travaglio.<br />

28


<strong>Il</strong> grido creatore è doloroso e liberatorio. Offre e "butta fuori". Cosí si spiegano i gri<strong>di</strong> alti sacrificali a<br />

squarciagola dell'udgitha o della saeta d'Andalusia. Poiché il suono rappresenta la sostanza primor<strong>di</strong>ale<br />

del mondo l'offerta del suono è il sacrificio più alto. Secondo il già citato G. Cardona la voce gridata serve<br />

per colmare gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanze e raggiungere l'altro: nelle offerta sacrificali la <strong>di</strong>stanza è tra cielo e terra. <strong>Il</strong><br />

grido sacro è il mezzo con cui le supplici si rivolgono alla <strong>di</strong>vinità, ma è anche il modo in cui si esprimono<br />

le profetesse invasate: "la profetessa invasata non parla, strepita col fragore dell'urlo <strong>di</strong> dolore, musicale<br />

come il suono che emana dalla terra. L'urlo è il contatto della lingua umana con la voce sovrannaturale."<br />

.<br />

Cosí in latino jubilare è tanto il grido guerriero del rapace trionfante (jubilat milus) quanto il giubilo del<br />

canto rituale. <strong>Il</strong> grido è "l'espressione <strong>di</strong> un rapporto funzionale tra due poli" : l'estremo della sofferenza e<br />

del sacrificio, e l'estremo della vita, della luce e della gioia. <strong>Il</strong> grido comprende in sé tanto il pianto quanto<br />

il riso.<br />

<strong>Il</strong> grido è espressione <strong>di</strong> sentimenti cosí dolorosi da essere incontenibili all'interno del corpo: è l'urlo<br />

isterico, il pianto al massimo della sua sonorità, la forma sonora del delirio.<br />

" <strong>Il</strong> giorno del funerale, nel momento in cui la bara fu fatta uscire dalla finestra<br />

del soggiorno, mia madre gettò un grido, uno solo- il lungo urlo <strong>di</strong> un animale<br />

straziato." .<br />

L'urlo <strong>di</strong>viene l'espressione sonora della lacerazione, del corpo fatto a pezzi, della carne straziata, della<br />

privazione violenta.<br />

Contemporaneamente possiede un potere liberatorio. Già <strong>di</strong> per sé, la voce è un uscire dall'interno del<br />

corpo all'esterno. Un uscire materiale, concreto, che porta con sé delle cose, delle energie interiori.<br />

L'entusiasmo, l'uscire da sé per una gioia tale che non si può contenere e che può trovare espressione<br />

solo nel giubilo informale, senza parole e spinto con forza verso l'alto dalla passione che tra-bocca.<br />

Nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una "liberazione della voce e del corpo", il grido, insieme ad altre manifestazioni <strong>di</strong><br />

"eruttazione" <strong>di</strong> suoni informali e violenti (come scoppi <strong>di</strong> riso, pianto, borborigmi), viene utilizzato dal<br />

metodo <strong>di</strong> insegnamento <strong>di</strong> S. Wilfart: il grido, lo scoppio <strong>di</strong> risata, pianti, mimiche infantili, sono<br />

fenomeni <strong>di</strong> liberazione vocale che sbloccano la "memoria corporea". <strong>Il</strong> grido che si origina nel ventre e<br />

nelle parti basse del corpo e lo attraversa interamente, conduce il corpo stesso a quella originaria<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vibrazione totale, che si riscontra nello sta<strong>di</strong>o infantile prelinguistico, permettendo <strong>di</strong><br />

recuperare tutte quelle potenzialità ed energie che nella crescita si sono perdute a favore <strong>di</strong> un'eccessiva<br />

intellettualizzazione ove tutto è determinato e con<strong>di</strong>zionato dalla sola mente. Wilfart propone<br />

un'educazione che non elimini il grido ma che insegni a gestirlo, come sta<strong>di</strong>o fondamentale <strong>di</strong> liberazione<br />

dalle tensioni e <strong>di</strong> costruzione dell'e<strong>di</strong>ficio sonoro vibrante del corpo, come parte essenziale del nostro<br />

essere.<br />

Stu<strong>di</strong> scientifici <strong>di</strong> musicoterapia hanno <strong>di</strong>mostrato il potere terapeutico dell'urlo come liberazione da ogni<br />

tensione.<br />

Ma il grido possiede un'altra caratteristica che è quella <strong>di</strong> essere tagliente, <strong>di</strong> ferire come una freccia.<br />

Viene lanciato come una freccia.<br />

29


Nella mistica indù, la sillaba OM, ritenuta forza che pervade lo spazio dell'universo col fiato, sillaba<br />

primor<strong>di</strong>ale, significa "freccia" e viene designata come saetta vibrante capace <strong>di</strong> penetrare ogni cosa.<br />

Disparar una saeta , cantare la melo<strong>di</strong>a alta eseguita in falsetto dell'Andalusia, è come scoccare una<br />

saetta. Nel libro quarto del De rerum natura <strong>di</strong> Lucrezio, il grido <strong>di</strong> un ven<strong>di</strong>tore perciet auris, percuote le<br />

orecchie .<br />

Nella vita quoti<strong>di</strong>ana una voce gridata è una voce che si vuole imporre, che colpisce per attirare<br />

l'attenzione o per offendere volutamente; per sovrastare l'altro in una <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong>mostrando, come in<br />

una lotta, la propria superiorità fisica (per la quantità d'aria che si deve gestire nell'urlo) e <strong>di</strong> personalità<br />

(la voce in<strong>di</strong>vidua la persona e il suo essere). La voce è il senso che agisce, attivo rispetto alla passività<br />

dell'u<strong>di</strong>re o del vedere . <strong>Il</strong> grido cosí si definisce un'azione violenta, <strong>di</strong>retta, informale, che aggre<strong>di</strong>sce<br />

l'altro.<br />

La voce sussurrata<br />

Si è già visto come G. Cardona interpreta il sussurro in termini <strong>di</strong> spazialità. La voce sussurrata è una<br />

voce che crea ed esige intimità, vicinanza dell'altro, confidenza, confessione. Una voce prossima al<br />

silenzio, che <strong>di</strong>ce e non vorrebbe <strong>di</strong>re: confessione <strong>di</strong> segreti.<br />

Una voce senza voce: nell'emissione della voce sussurrata le corde vocali non vengono interessate, non<br />

sono fatte vibrare. Viene articolato il puro fiato.<br />

Le preghiere cristiane devono essere sussurrate, quasi silenziose, per creare una forte intimità col <strong>di</strong>vino,<br />

perché la parola quasi si eclissi nel puro suono "mantrico" e ripetitivo che conduce all'estasi, all'"uscire-<br />

fuori-<strong>di</strong>-sé", per incontrare la <strong>di</strong>mensione trascendente.<br />

Anche certe formule magiche vengono sussurrate, perché il nemico non possa sentire e "rubare" la parola<br />

potente, il suono che crea ed agisce.<br />

Grazie alla tecnologia, la voce sussurrata paradossalmente è <strong>di</strong>ventata u<strong>di</strong>bile a <strong>di</strong>stanza: la voce<br />

dell'intimità è stata amplificata; il suono del fiato, quale vento interiore, si è palesato con tutte le sue<br />

sfumature ed è stato utilizzato da cantanti, soprattutto del genere jazzistico, a fini estetici, per creare una<br />

nuova comunicatività intima con un pubblico vasto.<br />

<strong>Il</strong> sussurro rivela i nostri segreti, i nostri pensieri più profon<strong>di</strong>, i sentimenti più intimi, ci avvicina<br />

all'altro.<br />

<strong>Il</strong> parlato<br />

La voce parlata si basa sul principio fondamentale <strong>di</strong> risparmio energetico al fine della massima<br />

funzionalità comunicativa: il parlato articola i suoni con rapi<strong>di</strong>tà, senza cioè soffermarsi, nella pronuncia,<br />

su sillabe o parole; le pause sono fisiologiche e funzionali al senso; l'intensità è pressoché costante. Non<br />

ci sono indugi <strong>di</strong> sorta, tutto è mirato alla efficacia della comunicazione, alla necessità del <strong>di</strong>re. Ogni<br />

scarto rispetto all'"eloquio standard" è significativo al fine comunicativo.<br />

30


" <strong>Il</strong> parlato non utilizza che una piccola parte delle risorse della voce... <strong>Il</strong> ruolo<br />

dell'organo vocale consiste nell'emettere dei suoni u<strong>di</strong>bili che rispondano alle<br />

regole <strong>di</strong> un sistema fonematico che non <strong>di</strong>pende da esigenze fisiologiche, me<br />

costituisce una pura negatività. La voce resta in <strong>di</strong>sparte. ... <strong>Il</strong> linguaggio detto<br />

sottomette la voce." .<br />

La voce parlata è il frutto del "corpo sociale" che co<strong>di</strong>fica la forma del vivere e del comunicare.<br />

L'or<strong>di</strong>ne politico e sociale implicano l'or<strong>di</strong>ne nella rappresentazione del sé: <strong>di</strong>sciplinare il particolare,<br />

co<strong>di</strong>ficare gesti al fine <strong>di</strong> un senso imme<strong>di</strong>atamente comprensibile e totalmente significativo nella<br />

circolazione sociale.<br />

La voce entra come parte essenziale dell'educazione: non urlare, piegare la voce al silenzio o alla parola,<br />

adeguandola ad una gestualità controllata, ecc.<br />

Numerosi sono gli esempi che si potrebbero riportare soprattutto in alcune società altamente cerimoniali,<br />

come quella fra XVI e XVII secolo: compaiono veri e propri manuali del parlar corretto in società a<br />

<strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> come il parlare sia specchio dell'inserimento perfetto dell'in<strong>di</strong>viduo nella società .<br />

Ma anche certa precettistica religiosa, ad esempio quella del car<strong>di</strong>nale Bona, De <strong>di</strong>screzione spiritum<br />

(1677), in<strong>di</strong>ca come educare la voce perché sia specchio <strong>di</strong> un'interiorità integra e non "sibilo del<br />

serpente infernale".<br />

C. Bologna parla <strong>di</strong> questa voce parlata come <strong>di</strong> voce da Salotto, luogo simbolico <strong>di</strong> conversazioni<br />

misurate e ben educate. Sarà nelle pagine <strong>di</strong> Montaigne che si troverà la congiunzione tra Salotto e<br />

Anima, non solo la voce della società artificiale, ma la voce dell'Io: "la voce significa tutto il mio essere<br />

(mon sens), <strong>di</strong>ce Montaigne, sta a me in<strong>di</strong>rizzarla pour me representer" .<br />

Verso una valorizzazione non solo dell'or<strong>di</strong>ne ma anche degli scarti rispetto a questo.<br />

La voce parlata è quin<strong>di</strong> la voce della misura, dell'economia funzionale, della <strong>di</strong>sciplina, del rispetto delle<br />

norme, della comunicazione, dell'essere sociale, ma è anche il canale dell'anima in<strong>di</strong>viduale, dell' "Io<br />

<strong>di</strong>co", strumento per "<strong>di</strong>re"la propria persona.<br />

La voce recitata<br />

La voce non si concentra solo sul principio <strong>di</strong> economia comunicativa e rispetto delle norme: la voce si<br />

alza, la scansione proso<strong>di</strong>ca si fa più dettagliata (accenti tonici e grammaticali, durate a senso, marcatura<br />

dell'interpunzione): siamo alla proclamazione, all'annuncio.<br />

"<strong>Il</strong> professore <strong>di</strong> matematica che enuncia un teorema, il ban<strong>di</strong>tore, il cantastorie,<br />

il ven<strong>di</strong>tore ambulante, l'annunciatore ferroviario, il lettore od orante pubblico in<br />

una liturgia, sono altrettante situazioni <strong>di</strong> enunciazione pubblica informativa e<br />

neutra, senza coinvolgimento personale, in cui il parlante si fa semplice<br />

portavoce della parola. " .<br />

31


L'emissione ha tendenzialmente altezza e intensità costante, e articolazione ritmica minima. <strong>Il</strong> risultato è<br />

uno stile cantilenante, monotono, in cui la parola è sovrana sugli elementi musicali ridotti al minimo.<br />

I recitativi liturgici, i recitativi operistici, o certe pratiche cultuali che si ispirano a questo stile vocale,<br />

denunciano uno stretto legame con la <strong>di</strong>mensione vocale del parlato e quin<strong>di</strong> la necessità funzionale <strong>di</strong><br />

dare rilievo alle parole.<br />

La voce alta e sonora , la voce solenne del <strong>di</strong>re , dell'annunciare, del richiedere è anche la voce della<br />

Persuasione, del Potere, la voce dal pulpito, la voce che rapisce l'ascolto per la sua potenza e la sua<br />

fermezza.<br />

<strong>Il</strong> recitativo è una voce legata al parlato per la scansione e l'articolazione dei suoni delle parole, ma<br />

risulta voce "intonata", voce che implica un <strong>di</strong>spiego maggiore <strong>di</strong> energia in fatto <strong>di</strong> fiato, <strong>di</strong> potenza e <strong>di</strong><br />

sonorità allo scopo <strong>di</strong> rendere maggiormente incisivo il proprio <strong>di</strong>re.<br />

La voce cantata<br />

"Nel canto i formanti, pure senza essere neutralizzati (ad essi è infatti affidata la<br />

comprensibilità semantica delle parole) passano in secondo piano, mentre il<br />

ruolo primario viene assunto dalle fondamentali. Esse acquistano pertanto una<br />

funzione strutturale, dal momento che a <strong>di</strong>stinguere un segmento melo<strong>di</strong>co<br />

dall'altro è appunto l'altezza specifica alla quale essi sono situati. ... <strong>Il</strong> profilo<br />

melo<strong>di</strong>co complessivo dell'enunciazione, che nel parlato aveva un <strong>di</strong>segno<br />

approssimato e si sovrapponeva come componente marginale alla sequenza<br />

fonetica, acquista qui contorni chiaramente definiti e si propone come<br />

costituente fondamentale del messaggio. Lo stesso avviene per le durate, che<br />

nel canto acquistano valori esatti e reciprocamente proporzionali." .<br />

<strong>Il</strong> canto porta con sé un vasto immaginario.<br />

Si è già potuto notare come si accompagna all'idea <strong>di</strong> volo e <strong>di</strong> sogno; quin<strong>di</strong> all'idea <strong>di</strong> liberazione.<br />

V. Cuomo lega l'origine del canto al carattere liberatorio del grido e si è visto come l'urlo per Wilfart è<br />

preparazione fondamentale ad una buona educazione canora.<br />

<strong>Il</strong> canto per A. Tomatis , è sorgente <strong>di</strong> energia: fornisce nutrimento metabolico al cervello in termini <strong>di</strong><br />

profonda ossigenazione e quin<strong>di</strong> rigenerazione, e fornisce sollecitazioni <strong>di</strong>namiche per le necessità<br />

espressive e creative del cervello stesso.<br />

<strong>Il</strong> canto permette <strong>di</strong> esplorare il proprio corpo, suo strumento, e l'ambiente circostante facendolo con-<br />

vibrare, permettendo una completa fusione del soggetto col tutto che lo circonda.<br />

<strong>Il</strong> canto è "uno dei mezzi più raffinati <strong>di</strong> donare sé stessi": è un conoscersi e un mostrarsi, un aprirsi<br />

all'altro, il canale della propria interiorità.<br />

A <strong>di</strong>fferenza del parlato che per Zumthor sottomette la voce, il canto ne <strong>di</strong>spiega ed esalta la potenza: "i<br />

valori mitici della voce vengono esaltati nel canto". Mentre nel parlato "la presenza fisica del locutore<br />

32


tende in misura maggiore o minore ad attenuarsi, a fondersi con le circostanze", nel canto essa si<br />

afferma, riven<strong>di</strong>cando la totalità del suo spazio.<br />

"<strong>Il</strong> canto è la manifestazione insigne della magie della voce, Orfeo archetipico,<br />

accolto in tutte le nostre mitologie, ivi comprese quelle del più quoti<strong>di</strong>ano. Per gli<br />

amerin<strong>di</strong> Montagnais, il canto è un sogno sonoro, che apre un passaggio verso il<br />

mondo da cui proviene. ...<strong>Il</strong> canto concilia gli opposti e domina il tempo".<br />

33


LA TECNICA VOCALE.<br />

La tecnica è il complesso <strong>di</strong> norme da seguire nella pratica <strong>di</strong> un'arte; proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> lavorazione che<br />

implica un uso pratico <strong>di</strong> strumenti, quin<strong>di</strong> implica una padronanza, cioè la conoscenza <strong>di</strong> ciò che lo<br />

strumento può dare, può fare, e la conoscenza del "come" fare per ottenere risultati voluti. Nel caso<br />

nostro, lo strumento è la voce:<br />

"La voce, ove la si voglia utilizzare, costringe quasi subito all'articolazione; il solo<br />

vocalizzo stanca abbastanza presto, in quanto tutti lo sentono, sia pure<br />

inconsciamente, come un'utilizzazione molto sommaria, sicuramente incompleta,<br />

dell'apparato vocale che è capace <strong>di</strong> prodezze più raffinate. Questa reazione è, in<br />

certo qual modo, un segno <strong>di</strong> umano rispetto: articolare dei suoni che preservino<br />

la qualità propria dell'uomo".<br />

P. Boulez tratta delle problematiche relative al rapporto Parola e Musica, fissando l'attenzione in<br />

particolare sulla possibilità "<strong>di</strong> un incontro privilegiato e durevole" tra i due linguaggi me<strong>di</strong>ante il concetto<br />

<strong>di</strong> struttura.<br />

L'incontro è possibile e duraturo perché avviene sul campo comune della struttura, che prevede gli<br />

aspetti fondamentali del tempo, della forma e della tecnica vocale.<br />

La tecnica vocale, (la proso<strong>di</strong>a, l'accentazione, l'intonazione, nei sensi più lati), è quin<strong>di</strong> uno dei terreni<br />

comuni <strong>di</strong> musica e <strong>di</strong> poesia.<br />

"A seconda che ci si allontani più o meno dalla trascrizione <strong>di</strong>retta, si passa per le <strong>di</strong>verse categorie che<br />

portano dal parlato al cantato, ossia, da un'assenza <strong>di</strong> convenzione, alla convenzione assoluta".<br />

Seguendo la trattazione <strong>di</strong> Boulez, si è provato a tracciare le varie tappe <strong>di</strong> questo processo, passando<br />

sinteticamente in rassegna le principali tecniche vocali.<br />

<strong>Il</strong> parlato puro è fondamentalmente eterogeneo rispetto alle strutture musicali: <strong>di</strong>fferiscono<br />

nell'utilizzazione degli intervalli, nei valori ritmici e nel tempo, gerarchizzati e organizzati nella musica,<br />

istintivi nel parlato. "Corpi estranei in presenza l'uno dell'altro, la cui mescolanza è soltanto fisica, si<br />

percepiscono su piani <strong>di</strong>fferenti".<br />

La declamazione ritmata permette invece, <strong>di</strong> unire, grazie ad una <strong>di</strong>stribuzione organizzata <strong>di</strong> accenti, i<br />

due piani su una superficie comune.<br />

Lo Sprechgesang aggiunge a tutto questo "l'approccio" degli intervalli in un ambito ristretto.<br />

<strong>Il</strong> canto, <strong>di</strong>stribuendo gli intervalli su una tessitura più estesa, "guida alla coincidenza della voce e dello<br />

strumento", raggiunta, infine, dalla soppressione della parola o dalla <strong>di</strong>stensione dell'articolazione, in<br />

quanto la voce estrae dalle parole la loro sonorità.<br />

La proso<strong>di</strong>a passa <strong>di</strong> conseguenza, dalla totale servitù alla totale in<strong>di</strong>pendenza dal testo: "da<br />

un'elocuzione naturale a una declamazione convenzionale". Una stessa gradazione si ritrova nel modo in<br />

cui la voce viene accompagnata o si inserisce nel blocco strumentale, facendone parte.<br />

Zumthor tiene a precisare che non è propriamente una questione <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> movimento dal parlato al<br />

cantato non conosce né tappe né scale. Abitu<strong>di</strong>ni, pregiu<strong>di</strong>zi collettivi, ideologie finiscono per con<strong>di</strong>zionare<br />

34


la capacità degli esecutori come degli ascoltatori <strong>di</strong> sentire una netta separazione tra le due arti. L'ere<strong>di</strong>tà<br />

culturale con<strong>di</strong>ziona la percezione che ciascuno ha delle <strong>di</strong>fferenze in questione. Ogni società fissa quin<strong>di</strong><br />

gli stili e le tecniche e i confini tra <strong>di</strong> esse.<br />

Ma mai come nell'ultimo secolo, il Novecento, si è potuto vedere realizzato l'ideale <strong>di</strong> sperimentazione e<br />

ricerca, l'apertura totale e incon<strong>di</strong>zionata, verso le infinite possibilità della voce.<br />

Queste innumerevoli possibilità, portano a scritture, forme, generi <strong>di</strong>versi; a <strong>di</strong>alettiche sempre vere e<br />

vive, ma più o meno celate, più o meno rivelate.<br />

<strong>Il</strong> testo sarà, nelle varie tecniche vocali, in-conoscibile o ri-conoscibile, "centro e assenza", e "incrocio<br />

dell'insieme"<br />

"volto alterno dell'Idea, ora protesa verso l'oscuro ora scintillante, con ogni<br />

certezza"! (Mallarmé).<br />

35


Fig. 1<br />

2-L’apparato fonatorio<br />

I suoni del linguaggio vengono normalmente prodotti me<strong>di</strong>ante l’espirazione,<br />

con un flusso <strong>di</strong> aria egressivo: l’aria fluisce dai polmoni attraverso i bronchi e<br />

la trachea, e raggiunge la laringe [fig. 1].<br />

Nella laringe, che è un organo a forma piramidale, si trova la glottide che, a<br />

sua volta, contiene le corde vocali. Queste ultime sono costituite da due<br />

membrane che durante la normale respirazione rimangono separate e rilassate, mentre nella<br />

fonazione possono contrarsi e tendersi, avvicinandosi e allontanandosi una dall’altra e<br />

bloccando in tal modo il passaggio dell’aria. Queste vibrazioni cicliche e velocissime delle corde<br />

vocali determinano i cosiddetti suoni "sonori".<br />

<strong>Il</strong> flusso d’aria passa poi attraverso la faringe ed entra nella cavità orale.<br />

All’interno della cavità orale vi è una serie <strong>di</strong> organi, mobili o fissi, che giocano un ruolo<br />

fondamentale nella caratterizzazione fisica dei suoni.<br />

L’organo mobile più importante è senza dubbio la lingua, ove <strong>di</strong>stinguiamo una "ra<strong>di</strong>ce", un<br />

"dorso" e un "apice". Gli altri organi della cavità orale sono: il velo (o "palato molle"), il palato,<br />

gli alveoli (la zona imme<strong>di</strong>atamente retrostante i denti superiori), i denti e le labbra.<br />

Oltre che attraverso la cavità orale, l’aria che fluisce dalla faringe può passare attraverso la<br />

cavità nasale, in seguito all’abbassamento del velo palatino. Vengono così prodotti i suoni<br />

cosiddetti "nasali".<br />

In ognuno dei punti compresi fra la glottide e le labbra, l’aria che fluisce dai polmoni può subire<br />

delle costrizioni da parte degli organi della fonazione, ottenendo così i <strong>di</strong>versi "segmenti <strong>di</strong><br />

suono" che costituiscono la sostanza fisica delle parole.<br />

Oltre ai suoni polmonari egressivi (che sono i più <strong>di</strong>ffusi tra le lingue del mondo), esistono altri<br />

due tipi <strong>di</strong> flussi d’aria che possono dar luogo a fonazione: il flusso ingressivo e quello<br />

glottidale.<br />

Nel primo caso, il suono viene realizzato me<strong>di</strong>ante inspirazione (e dunque l’aria proviene<br />

dall’esterno), mentre nel secondo l’aria proviene dalla glottide (invece che dai polmoni),<br />

producendo dei suoni cosiddetti avulsivi ("schioccanti", interiettivi e <strong>di</strong> incitamento), tipici delle<br />

lingue dell’Africa centrale o meri<strong>di</strong>onale.<br />

36


3-La Fonetica<br />

La fonetica è quella branca della glottologia rivolta allo stu<strong>di</strong>o dei suoni linguistici in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dalla lingua a cui appartengono. I suoi principali temi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o riguardano la produzione e la percezione<br />

dei suoni linguistici da parte dell’uomo, e le loro caratteristiche acustiche, viste sia dal lato dell’emittente,<br />

il parlante, che da quello del ricevente, l’ascoltatore; in base dell’argomento, privilegiato nello stu<strong>di</strong>o, si<br />

possono <strong>di</strong>stinguere tre tipi <strong>di</strong> branche fonetiche:<br />

• La fonetica articolatoria o fisiologica che descrive il processo <strong>di</strong> produzione dei suoni<br />

linguistici, detti più propriamente foni, riferendosi agli organi preposti alla fonazione, i quali nel<br />

complesso prendono il nome d’apparato fonatorio, della loro fisiologia, ovvero del processo <strong>di</strong><br />

fonazione, e dei criteri <strong>di</strong> classificazione.<br />

• La fonetica sperimentale o strumentale, lo stu<strong>di</strong>o della produzione dei suoni linguistici<br />

attraverso l'utilizzo <strong>di</strong> determinati strumenti.<br />

• La fonetica acustica o descrittiva che descrive le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici e la<br />

loro propagazione nel mezzo, in questo caso l’aria.<br />

• La fonetica u<strong>di</strong>tiva, lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> come i suoni linguistici vengano percepiti dall'apparato u<strong>di</strong>tivo<br />

umano.<br />

• La fonetica naturale, quel tipo d’analisi e d’introspezione dei suoni linguistici e dell’intonazione,<br />

che si possono fare da soli, senza costose e complicate apparecchiature.<br />

• La fonetica strutturale si identifica con la fonologia.<br />

Se si usa la parola 'fonetica' senza specificazioni ulteriori si intende solitamente la fonetica articolatoria.<br />

Si <strong>di</strong>stingue dalla fonologia che stu<strong>di</strong>a i sistemi linguistici basandosi sulle unità linguistiche astratte dette<br />

fonemi. Raramente la morfologia tocca lo stu<strong>di</strong>o della fonetica, e ancor meno la semantica (lo stu<strong>di</strong>o del<br />

significato delle parole) e la sintassi. Invece la pragmatica può benissimo venir considerata quando si<br />

tratta del livello acustico<br />

Fonetica articolatoria<br />

La fonetica articolatoria stu<strong>di</strong>a i suoni <strong>di</strong> una lingua sotto l'aspetto della loro produzione attraverso<br />

l'apparato fonatorio, descrive quali organi intervengano nella produzione dei suoni, in quale posizione<br />

s'incontrino e come queste posizioni interferiscano con il percorso dell'aria in uscita dai polmoni<br />

attraverso la bocca, il naso o la gola per produrre suoni <strong>di</strong>fferenti.<br />

Non si occupa <strong>di</strong> tutte le attività che intervengono nella produzione <strong>di</strong> un suono, ma seleziona solamente<br />

quelle che attengono al luogo <strong>di</strong> articolazione. I simboli fonetici sono solo abbreviazioni della descrizione<br />

articolatoria <strong>di</strong> un suono, nonché una sua approssimazione in determinate classi detti foni, dal momento<br />

che nessuno è in grado <strong>di</strong> riprodurre due volte lo stesso identico suono. I simboli più utilizzati sono quelli<br />

dell'AFI, l'Associazione fonetica internazionale, conosciuta anche come IPA.<br />

Gli organi che intervengono nel processo <strong>di</strong> fonazione possono essere mobili o fissi. Sono organi mobili le<br />

labbra, la man<strong>di</strong>bola, la lingua e le pliche vocali ("corde vocali"), chiamati anche gli organi articolatòri o<br />

37


semplicemente gli articolatóri. Variando la posizione <strong>di</strong> questi, il parlante mo<strong>di</strong>fica il flusso dell'aria<br />

polmonare. Sono invece organi fissi i denti, la ra<strong>di</strong>ce dei denti, il palato duro e il palato molle (velo<br />

palatino). I suoni si producono quando si portano in contatto due articolatóri, per esempio il (fono)<br />

bilabiale [p], che si produce col contatto <strong>di</strong> entrambe le labbra; così quando si pongono in contatto due<br />

organi articolatòri il suono che si ottiene si nomina con gli organi che si avvicinano o si congiungono in un<br />

punto d'articolazione particolare: per esempio [f] si definisce fono labiodentale, perché il labbro inferiore<br />

entra in contatto con gli incisivi superiori. Quando l'organo mobile è la lingua non si fa in genere<br />

riferimento ad essa (tranne in casi particolari, come per i rari foni linguolabiali) per denominare il fono,<br />

così [t], che si produce quando la punta della lingua tocca la parte posteriore (in inglese piuttosto la<br />

ra<strong>di</strong>ce, gli "alveoli") degli incisivi superiori si chiama semplicemnete dentale (alveolare in inglese).<br />

<strong>Il</strong> modo d'articolazione si determina per la <strong>di</strong>sposizione degli articolatóri mobili nella cavità buccale e<br />

come impe<strong>di</strong>scono o restringono il passaggio dell'aria. Questa azione può consistere nell'interruzione<br />

istantanea e completa del passaggio dell'aria, con i foni cosiddetti occlusivi che sono <strong>di</strong> tipo momentaneo.<br />

Nei foni cosiddettinasali ugualmente si ha interruzione completa del flusso dell'aria nella bocca ma viane<br />

aperta il passo nasale per fare uscire il flusso nella cavità nasale ottenendo così un fono continuo. Nei foni<br />

cosiddetti laterali la lingua si accosta solo alla parte centrale della cavità buccale lasciando passare l'aria<br />

dalle parti o anche da una parte sola (foni unilaterali). Nei foni vibranti la lingua vibra ripetutamente<br />

(almeno più <strong>di</strong> tre volte) creando una serie <strong>di</strong> brevissime occlusioni. Nei foni vibrati il meccanismo è<br />

interme<strong>di</strong>o tra quello occlusivo e quello vibrante: consiste <strong>di</strong> una rapi<strong>di</strong>ssima singola occlusione, <strong>di</strong><br />

articolazione assai più instabile che negli occlusivi veri e propri. Nei foni costrittivi gli articolatóri non<br />

chiudono il passaggio ma provocano un restringimento per l'aria che produce una caratteristica frizione (e<br />

si chiamano per questo anche fricativi benché il termine non sia articolatorio ma piuttosto acustico). Se il<br />

passaggio è più largo, la frizione non si produce e il fono si <strong>di</strong>ce approssimante il passaggio dell'aria è<br />

continuo ma in qualche modo alterato e reso instabile dalla posizione degli articolatóri. Tutti questi mo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> articolazione si chiamano contoi<strong>di</strong>. Nei vocoi<strong>di</strong> invece, il passaggio dell'aria è completo, continuo,<br />

stabile e senza nessun restringimento.<br />

Ci sono alcune articolazioni particolari. I contoi<strong>di</strong> cosiddetti semiocclusivi (acusticamente affricati) hanno<br />

due fasi strettamente legate l'una all'altra: una fase occlusiva e una costrittiva. Entrambe sono<br />

omorganiche, cioè devono avere lo stesso punto d'articolazione; inoltre l'occlusione rimane in qualche<br />

modo presente anche nella fase <strong>di</strong> rilascio costrittiva: per questi sono stati definiti anche: foni occlusivi<br />

con rilascio u<strong>di</strong>bile costrittivo. Questa è anche la ragione per cui scriverli con due simboli è errato: si deve<br />

usare il monogramma (presente nelle estensioni fonetiche <strong>di</strong> Unicode anche se non previsto ufficialmente<br />

nelle ultime revisioni dell'IPA) oppure il <strong>di</strong>gramma con legatura (SAMPA: [-\]). Esistono altre notazioni<br />

non ufficiali IPA: per esempio, il simbolo dell'occlusiva con un circonflesso sopra come in esperanto,<br />

oppure l'uso <strong>di</strong> caratteri usate nelle lingue slave o baltiche che utilizzano l'alfabeto latino c per [t-\s], č<br />

per [t-\S]. Esistono poi particolarti "contoi<strong>di</strong> sillabici" (intensi e generalmente allungati) che possono<br />

costituire apice sillabico (SAMPA: [=]) e al contrario vocoi<strong>di</strong> asillabici (più brevi e meno forti <strong>di</strong> quelli<br />

comuni) che possono solo essere elementi (asillabici) <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ttongo (SAMPA: [_^]).<br />

I vocoi<strong>di</strong> si <strong>di</strong>stinguono per la varie posizone della lingua: in particolare il punto me<strong>di</strong>ano del dorso è<br />

spesso preso come punto <strong>di</strong> riferimento. A seconda dell'altezza (la posizione rispetto al palato) e<br />

dell'(anteriorità-)posteriorità (la posizione rispetto al palato anteriore e al velo palatino) si <strong>di</strong>stinguono<br />

vocoi<strong>di</strong> alti, me<strong>di</strong> e bassi secondo l'asse verticale (sono necessari spesso gra<strong>di</strong> interme<strong>di</strong>, come me<strong>di</strong>o-<br />

bassi, me<strong>di</strong>o -alti e simili) e anteriori (o palatali), centrali e posteriori (o velari) sull'asse orizzontale<br />

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(anche qui spesso sono necessari gra<strong>di</strong> interme<strong>di</strong> come antero-centrali e postero-centrali secondo il grado<br />

<strong>di</strong> precisone richesto). A seconda della presenza o meno dell'arrotondamento labiale poi si <strong>di</strong>stinguono<br />

vocoi<strong>di</strong> arrotondati (procheili) e non-arrotondati (aprocheili). I vocoi<strong>di</strong> più frequenti nelle varie lingue<br />

sono [a], [i] e [u], che rappresentano anche il massimo degli spostamenti del punto me<strong>di</strong>ano del dorso<br />

della lingua sui due assi (orizzonatale e verticale). In particolare [a] è <strong>di</strong> gran lunga il fono più frequente<br />

ed è presente nella maggior parte delle lingue del mondo.<br />

Fonetica sperimentale<br />

La fonetica sperimentale stu<strong>di</strong>a i suoni secondo un approccio fisico, sia usando strumenti particolari<br />

per determinare con precisione la posizione dei vari organi articolatòri sia prestando attenzione al<br />

risultato del processo fonatorio. Unendo i dati si sono scoperte caratteristiche importanti sull'articolazione<br />

dei suoni linguistici. essa utilizza strumenti come i raggi x per determinare la posizione degli articolatóri e<br />

il chimografo che traccia le linee d'intensità. Lo stu<strong>di</strong>o congiunto <strong>di</strong> questi dati risulta tanto più preciso e<br />

significativo quanto sono più perfezionati gli strumenti usati.<br />

Fonetica acustica<br />

La fonetica acustica tratta l'onda sonora come il prodotto <strong>di</strong> un qualsiasi risonatore. In pratica equipara<br />

l'apparato fonatorio umano a un qualsiasi altro sistema d'emissione e riproduzione <strong>di</strong> suoni. Nella<br />

comunicazione le onde sonore hanno un'importanza maggiore che la semplice articolazione (e<br />

produzione) dei suoni, poiché un determinato pubblico ascolta i suoni prodotti dal'apparato fonatorio<br />

come quelli riprodotti da un qualsiasi altro mezzo. Per deco<strong>di</strong>ficare le caratteristiche salienti dell'onda<br />

sonora prodotta si utilizza lo spettrografo: con questo strumento si possono identificare determinate<br />

bande chiamate formanti che sono risultate essere importanti per la comprensione dei suoni linguistici e<br />

hanno anche mostrato una certa relazione con alcuni processi articolatori. Inoltre si è manipolata l'onda<br />

sonora per capire quali fossero le frequenze che contenevano i dati fondamentali, necessari e sufficienti<br />

per identificare i suoni delle varie lingue, cancellando alcune parti dell'onda e riproducendone le altre.<br />

Fonetica u<strong>di</strong>tiva<br />

La fonetica u<strong>di</strong>tiva è probabilmente il ramo della fonetica a tutt'oggi meno esplorato e tratta <strong>di</strong> come i<br />

suoni linguistici vengano recepiti dall'apparato u<strong>di</strong>tivo umano: per questo stu<strong>di</strong>a in particolare come<br />

funziona il canale u<strong>di</strong>tivo. Un altro campo d'investigazione riguarda le possibili interferenze acustiche che<br />

si possono determinare nell'ascolto dei suoni linguistici. Recentissimi sono gli stu<strong>di</strong> in campo cognitivo,<br />

correlati alla percezione effettiva dei suoni. La fonetica u<strong>di</strong>tiva utilizza strumenti come la camera<br />

insonorizzata per isolare la persona da sperimentare concentrandosi solo sul suono linguistico in quanto<br />

tale. Anche le statistiche su come vengano percepiti i suoni nelle <strong>di</strong>verse situazioni comunicative<br />

(soprattutto nei <strong>di</strong>versi ambienti, in particolare rumorosi) è un campo stu<strong>di</strong>ato dalla fonetica u<strong>di</strong>tiva.<br />

Fonetica naturale canIPA<br />

39


<strong>Il</strong> principale esponente <strong>di</strong> questa "corrente" è il fonetista e linguista italiano Luciano Canepari. Per avere<br />

un'applicazione pratica nell'appren<strong>di</strong>mento e/o insegnamento della pronuncia, ma anche come base<br />

convincente per qualsiasi successiva speculazione e teorizzazione astratta, la fonetica dovrebbe essere<br />

‹naturale›, nel senso che dovrebbe esser possibile farla senza altri strumenti che il proprio apparato<br />

articolatorio e le proprie orecchie. Dovrebbe basarsi sulla nostra innata capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere i suoni,<br />

che tutti posse<strong>di</strong>amo, o perlomeno possedevamo, prima d'essere, per così <strong>di</strong>re, ‹corrotti› dalle<br />

convenzioni ortografiche della nostra madrelingua. Quando da piccoli scrivevamo scenza al posto <strong>di</strong><br />

scienza o anno per hanno, coerentemente con la loro effettiva pronuncia, stavamo facendo fonetica in<br />

modo naturale (o Fonetica naturale). Quin<strong>di</strong>, la Fonetica naturale can IPA è un metodo per riattivare quella<br />

capacità che da bambini possedevamo istintivamente. Piú scientificamente, potremmo <strong>di</strong>re che la<br />

Fonetica naturale mira a cogliere l'essenza dei suoni linguistici: determinandone l'esatta articolazione per<br />

mezzo della cinestesía (la coscienza <strong>di</strong> ciò che succede nella nostra bocca mentre li produce); mostrandoli<br />

con accurati <strong>di</strong>agrammi articolatori (orogrammi, vocogrammi, labiogrammi, palatogrammi,<br />

dorsogrammi), e u<strong>di</strong>tivi (principalmente tonogrammi); rappresentandoli con simboli fonetici appropriati<br />

(che non devono essere troppo vaghi, pena l'inutilità).<br />

40


4-André Schaeffner, Maurice Merleau-Ponty,<br />

Demetrio Stratos.<br />

Dialogo a tre voci sul luogo della risonanza<br />

L’obiettivo <strong>di</strong> questa ipotesi <strong>di</strong> confronto è approfon<strong>di</strong>re il rapporto tra il luogo della risonanza e<br />

l’emissione sonora attraverso una considerazione ravvicinata e articolata del tema del corpo, che balza in<br />

primo piano contestualmente allo spostamento dell’attenzione sulla fisicità della materia del suono. La<br />

profonda inter<strong>di</strong>pendenza dei concetti <strong>di</strong> concavo e risonante ci mette infatti sulla via <strong>di</strong> quell’idea dello<br />

strumento-corpo [1] così fortemente presente nalla riflessione <strong>di</strong> Piana. La voce umana, nella forma del<br />

risuonatore boccale e polmonare, è uno strumento da suonare e allo stesso modo l’intero corpo viene<br />

coinvolto, con modalità <strong>di</strong>fferenti, nel desiderio <strong>di</strong> espressione sonora. Le <strong>di</strong>namiche che stanno alla base<br />

<strong>di</strong> questa tendenza del corpo a “fare musica” coincidono con un’esplorazione materiale delle sue concrete<br />

possibilità sonore e con una rivalutazione delle sue concavità per l’istituzione <strong>di</strong> una organologia musicale<br />

<strong>di</strong> matrice corporea. È in questa prospettiva teorica che si inseriscono le indagini etnomusicologiche <strong>di</strong><br />

André Schaeffner (1895-1980) che, nel volume Origine des instruments de musique [2] , propone una<br />

“fenomenologia della risonanza sui generis” [3] , svolta attraverso lo stu<strong>di</strong>o del ruolo della superficie<br />

concava nell’emissione del suono in uno strumento musicale fino alla ricostruzione della genealogia del<br />

risuonatore. L’opera dell’etnomusicologo francese compare in un panorama <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> dominato dall’opera<br />

<strong>di</strong> C. Sachs, un’importante riflessione sull’origine della musica strutturata sul modello vocale della<br />

melo<strong>di</strong>a a picco. Schaffner da parte sua presenta dei contributi fortemente originali rispetto alla<br />

tra<strong>di</strong>zionale ed istituzionalizzata classificazione degli strumenti musicali, novità che riguardano<br />

principalmente la teoria delle origini corporali della musica (che scopre un alternativo modello percussivo<br />

e una grande attenzione riservata al materico) ed il criterio tassonomico per materiali.<br />

<strong>Il</strong> suono strumentale viene allora inserito in un contesto comunicativo <strong>di</strong> tipo orale: all’origine dello<br />

strumento si trova un’istanza espressiva che, canalizzata in un gesto o un’articolazione cinesica, si muove<br />

nello spazio e si <strong>di</strong>rige ad una superficie. Sono in particolare le superfici concave che, nel sistema<br />

tassonomico <strong>di</strong> Schaeffner, svolgono un ruolo rivoluzionario. La considerazione e l’utilizzo <strong>di</strong> cavità<br />

naturali e <strong>di</strong> cavità artificiali mo<strong>di</strong>ficano l’immagine dell’oggetto sonoro. Lo stu<strong>di</strong>o del risuonatore infatti<br />

mette in crisi molte categorie musicali tra<strong>di</strong>zionali, prime fra tutte quelle interne alla classificazione<br />

organologica, e istituisce invece un concetto trasversale nel quale confluiscono le più <strong>di</strong>fferenti famiglie <strong>di</strong><br />

strumenti. La scoperta delle superfici concave, quali fondamentali <strong>di</strong>spositivi per la generazione sonora,<br />

introduce una riflessione sul materico <strong>di</strong> grande importanza: i risuonatori “sono imprescin<strong>di</strong>bili dalla<br />

materia in sé, dai materiali che determinano il ‘mistero timbrico’ che è alla base degli strumenti musicali”<br />

[4] . La figura della cavità risonante e l’importanza della sua costituzione materiale attraversano l’intera<br />

tassonomia <strong>di</strong> Schaeffner e hanno la forma <strong>di</strong> universalia organologiche [5] dal sapore lievemente<br />

strutturalista.<br />

<strong>Il</strong> libro <strong>di</strong> Schaeffner mostra la musica come un’arte continuamente presente nel quoti<strong>di</strong>ano,<br />

“necessariamente mischiata alla nostre azioni, che si realizza a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> tutto e con una fantasia o con<br />

una temerarietà <strong>di</strong> mezzi materiali che ci confonde” [6] : assistiamo qui ad un chiaro allargamento del<br />

41


senso e del contenuto del musicale, dove lo strumento viene ora concepito come oggetto–<strong>di</strong>spositivo<br />

sonoro del quale riconosciamo il suo essere musicale o meno. È con queste premesse che l’autore<br />

approccia il tema del corpo: esso viene indagato, come ogni altro strumento, per le sue proprietà <strong>di</strong><br />

emissione sonora e musicale. In questo senso il corpo è una cavità risonante che emette ed amplifica<br />

suoni e rumori: il gioco sonoro della materia corporea lascia la traccia <strong>di</strong> una carne vibrante, <strong>di</strong> una pelle<br />

tesa, del sangue che scorre, del vuoto interno che agisce. In questo modo completamente nuovo <strong>di</strong><br />

incontrare e <strong>di</strong> abitare il corpo ci interroghiamo sulla possibilità che esso abbia una forza espressiva non<br />

verbale: la voce e ogni altra modalità <strong>di</strong> stimolazione sonora del corpo, sono già <strong>di</strong> per sé segni, tracce<br />

del corpo stesso; la voce annuncia la materia <strong>di</strong> una presenza, <strong>di</strong> un’unicità incarnata. Questa primor<strong>di</strong>ale<br />

musicalità che scaturisce naturalmente dal corpo corrisponde ad una volontà <strong>di</strong> <strong>di</strong>rsi, <strong>di</strong> farsi sentire e <strong>di</strong><br />

sod<strong>di</strong>sfare quin<strong>di</strong> una urgenza espressiva. <strong>Il</strong> completamento <strong>di</strong> tali fini comunicativi scorre lungo un<br />

complesso percorso esplorativo del materiale sonoro offerto dal corpo che porterà il corpo stesso a<br />

configurarsi come un oggetto sonoro, articolato in varie regioni timbriche nelle quali è possibile modulare<br />

un’infinità <strong>di</strong> gesti espressivi. “Appare evidente che l’origine della musica sia da ricercarsi nel corpo<br />

umano. E così anche nella danza. Quest’ultima è però unica mentre la musica si <strong>di</strong>vide in vocale e<br />

strumentale. Da una parte il canto, prodotto, così come il linguaggio, dall’apparato vocale; dall’altra la<br />

musica strumentale, nata, con la danza, dal movimento del corpo.” [7] <strong>Il</strong> libro apre <strong>di</strong>rettamente con<br />

questa <strong>di</strong>chiarazione programmatica nella quale si fanno chiari gli intenti dell’analisi dell’autore. I<br />

principali sno<strong>di</strong> concettuali del volume muoveranno infatti dalla preliminare collocazione dell’origine della<br />

musica nel corpo umano. Nella culla <strong>di</strong> questa scaturigine corporea prende vita anche la <strong>di</strong>visione<br />

originaria tra musica vocale, il canto dell’apparato fonatorio, e musica strumentale, <strong>di</strong> matrice cinetica. È<br />

proprio il movimento che si porrà a fondamento della progressiva indagine dei portati sonori del corpo. A<br />

proposito <strong>di</strong> questa partizione del musicale, Schaeffner si affretta a specificare che non c’è nessuno<br />

squilibrio derivato dalla precedenza <strong>di</strong> una delle due forme musicali sull’altra ma che al contrario si tratta<br />

<strong>di</strong> una coppia simmetrica dove non si pone problema <strong>di</strong> una maggiore o minore originarietà o <strong>di</strong> vincoli <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>pendenza dell’una rispetto all’altra. Questo è il motivo che spinge l’autore ad in<strong>di</strong>viduare un primo<br />

obiettivo polemico in quelle teorie che propongono una <strong>di</strong>pendenza della musica strumentale da quella<br />

vocale. “La teoria assai <strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong> una musica strumentale nata dall’imitazione del canto è poco<br />

sostenibile. Infatti nulla prova che con gli strumenti si è cercato <strong>di</strong> imitare la voce umana” [8] . In questa<br />

ipotesi Schaeffner riconosce un abuso del concetto <strong>di</strong> imitazione che ha un effetto estremamente falsante<br />

del quadro dell’arte musicale. Esso propone una forma <strong>di</strong> musicalità strumentale modellata sullo stile<br />

vocale, conclusione assai imprudente. La musica strumentale in realtà sostiene una linea <strong>di</strong> sviluppo<br />

autonoma rispetto a quella del canto: pur ammettendo che la musica ha una precedenza <strong>di</strong> comparsa (le<br />

prime capacità musicali <strong>di</strong> cui l’uomo si accorge sono quelle vocali), esso non gode <strong>di</strong> priorità strutturali<br />

che gli avrebbero permesso <strong>di</strong> influenzare lo sviluppo del filone strumentale. Lo strumentale si sottrae da<br />

questo presunto potere formativo del vocale e si rende in<strong>di</strong>pendente; ciò nonostante, i due ambiti restano<br />

comunque comunicanti, lasciando aperta una valvola <strong>di</strong> reciproca interferenza. “La musica strumentale si<br />

sarebbe così modellata su una cosa <strong>di</strong>versa dalla voce umana; anche nel caso <strong>di</strong> una ipotetica afasia<br />

originaria il corpo umano ha potuto conoscere i ru<strong>di</strong>menti della musica guidato dai suoi primi movimenti<br />

<strong>di</strong> danza e <strong>di</strong> lavoro” [9] . La musica strumentale nelle sue forme primitive è sempre danza, presuppone<br />

cioè il coinvolgimento originario del corpo, più precisamente del corpo in movimento. Essa ha sempre<br />

un’origine cinetica. L’uomo batte il suolo con i pie<strong>di</strong> e le mani, percuote il proprio corpo con le mani, agita<br />

il corpo per animare gli ornamenti sonori che porta addosso. Battere, percuotere, agitare hanno una forte<br />

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componente gestuale che risiede in regioni corporee <strong>di</strong>fferentemente localizzate: obiettivo <strong>di</strong> Schaeffner è<br />

anche quello <strong>di</strong> sfuggire ad una teoria che proponga come fondamento della musica una “azione<br />

restrittiva delle mani, dei pie<strong>di</strong>, o <strong>di</strong> qualsiasi altra parte del corpo umano” [10] e che reifichi il ruolo <strong>di</strong> tali<br />

appen<strong>di</strong>ci, rischiando <strong>di</strong> cadere nella “tesi inversa <strong>di</strong> un’origine manuale <strong>di</strong> tutti gli strumenti” [11] , insi<strong>di</strong>osa<br />

tanto quanto l’ipotesi imitativa. Una conseguenza <strong>di</strong> questa chiara impostazione è l’inquadramento dei<br />

fenomeni vocali nel panorama gestuale <strong>di</strong> quei movimenti corporei con una qualche valenza espressiva:<br />

l’urlo e canto, i rumori gutturali, il respiro cadenzato hanno tutti una matrice nel desiderio comunicativo,<br />

pur venendo poi a ricoprire in ambito sacro e religioso una importante funzione evocativa e simbolica <strong>di</strong><br />

tipo rituale. A questo proposito Schaeffner squaderna una vasta fenomenologia <strong>di</strong> espressioni vocali a<br />

testimonianza dell’innata elasticità dell’apparato vocale, capace <strong>di</strong> un’infinità <strong>di</strong> timbri, <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

risonanze ed effetti: accanto alla voce nasalizzata o a quella <strong>di</strong> testa, ai bassi profon<strong>di</strong> o ai registri<br />

sovracuti, il mezzo vocale annette al suo ambito canoro “suoni a bocca chiusa, singhiozzi, ansiti,<br />

chiocciolii, squittii, sibilii, strane grida” [12] . La <strong>di</strong>mensione del vocale si apre ad una nuova interrogazione<br />

della sua materia sonora, che la rende strumentale: questa commistione <strong>di</strong> vocale e strumentale si gioca<br />

sul terreno comune che i due ambiti lasciano sempre <strong>di</strong>sponibile per una possibile comunicazione e<br />

deformazione. L’indagine dell’etnomusicologo mira al chiarimento <strong>di</strong> come la voce persegua “un certo fine<br />

strumentale” [13] : in questo slittamento del vocale verso lo strumentale si riconosce un’ab<strong>di</strong>cazione, un<br />

ce<strong>di</strong>mento della funzione linguistica a quella espressivo-musicale che inaugura la progressiva<br />

configurazione del corpo come oggetto sonoro. Un esempio particolarmente eloquente della comparsa<br />

dello strumento-corpo è il percuotimento della gola con la mano; Schaeffner riporta la testimonianza <strong>di</strong><br />

alcune pratiche vocali del Turkestan in cui “la mano destra, con dei piccoli colpi sul pomo d’Adamo,<br />

produce un vibrato artificiale dai tratti patetici” [14] . Questo tipo <strong>di</strong> manifestazione musicale chiarisce come<br />

un intervento e una manipolazione del corpo secondo un fine sonoro aprono la strada alla considerazione<br />

strumentale della voce e del corpo intero: il canto si presta ad altri effetti sonori e lo fa convertendo i<br />

suoni vocali alle forme della percussione. Sotto questo impulso l’uomo si trova a forzare le capacità<br />

espressive del proprio corpo e ad allargare i suoi margini strumentali, approfondendo le possibilità<br />

musicali <strong>di</strong> varie regioni corporee. Schaeffner trova per esempio nel fischio, che propone un ine<strong>di</strong>to uso<br />

della lingua e delle sue proprietà sonore, un’autentica materia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />

È a questo punto della trattazione che l’etnomusicologo propone la sua originale teoria del risuonatore:<br />

è la cavità che dà al suono vocale un timbro tipicamente strumentale, cioè è la decisone <strong>di</strong> usare il corpo,<br />

in virtù della sua natura concava, come strumento per l’amplificazione che lo avvicina ad un principio <strong>di</strong><br />

tipo strumentale. “ Ora, logicamente, dovremo capovolgere i ruoli e considerare la bocca non più nel suo<br />

legame con l’apparato vocale, ma nelle sue possibilità <strong>di</strong> rafforzare i suoni che vibrano all’interno della<br />

sua cavità naturale […] Da questo momento essa non ‘parla’ o parla appena” [15] . La considerazione del<br />

corpo come una naturale cassa <strong>di</strong> risonanza lo inserisce in una gioco con la materia sonora che impone <strong>di</strong><br />

interrogarlo nelle sue potenzialità sonore e musicali: si percuote la cassa toracica dentro la quale si odono<br />

risuonare i colpi, si percuotono i bicipiti, i gomiti piegati, le ascelle, il ventre, si battono i pie<strong>di</strong> a terra, le<br />

mani una contro l’altra e si schioccano le <strong>di</strong>ta. Tutta questa gestualità sonora confluisce e trova un’unità,<br />

anche simbolica, nell’immagine del tamburo umano che compare nel testo Schaeffner: è nella forza <strong>di</strong><br />

questo simbolo che sta il senso dell’esperienza musicale corporea: il corpo, “il primo luogo <strong>di</strong> una<br />

musicalità che nasce dal desiderio d’espressione” [16] , è un tamburo, una pelle tesa sopra una caverna<br />

che risuona, capace <strong>di</strong> emissioni musicali se sollecitato adeguatamente.<br />

Un’ulteriore evoluzione nella costruzione del corpo sonoro è rappresentata dal coinvolgimento nel gioco<br />

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sonoro <strong>di</strong> elementi esterni al corpo, in modo che non siano solo le sue parti a risuonare: dal<br />

percuotimento dell’acqua con le mani o del suolo con i pie<strong>di</strong> si passa all’applicazione <strong>di</strong> ornamenti sonori<br />

che accompagnano la kinesis corporea e la arricchiscono <strong>di</strong> sfumature timbriche e ritmiche. Qui la musica<br />

si <strong>di</strong>rige verticalmente verso l’essenza cinetica del musicale: “Ora, che questi strumenti vengano applicati<br />

alle gambe, alla cintura o alle braccia, il problema resta sempre lo stesso: dal movimento generale o dai<br />

movimenti parziali del corpo, abilmente guidati, e non più dalla percussione, risulta un rumoreggiare<br />

continuo, ornamento sonoro della danza. <strong>Il</strong> corpo, così, si copre <strong>di</strong> musica” [17] . Si tratta allora <strong>di</strong> rivelare<br />

lo spessore filosofico <strong>di</strong> tali conclusioni e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care quanto può essere fruttuoso per il filosofo la<br />

considerazione attenta <strong>di</strong> questo materiale antropologico. <strong>Il</strong> calpestio del suolo è certamente il modo più<br />

primitivo <strong>di</strong> produrre un rumore e riporta alle origini della musica come danza: questo risalimento<br />

originario rivela però anche una profonda “istanza metafisica: la musica sembra nascere dal piede che<br />

batte sul terreno, ed in un autore che mostra un così grande interesse per la musica del novecento come<br />

l’etnomusicologo francese, questo <strong>di</strong>scorso nasconde forse una riflessione sull’essenza del musicale come<br />

struttura ritmica e danzante” [18] . <strong>Il</strong> movimento del corpo induce il gesto verso una sonorità e la musica<br />

che ne scaturisce è qualcosa che aderisce completamente al corpo: nell’ambito della musica corporale si<br />

introduce una gestualità interamente motivata dal suono. Da ciò si deduce che “ la musica ha chiesto<br />

all’uomo <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire con la danza uno dei suoi strumenti, non il più mobile […] ma il più affascinante per il<br />

suo gioco concreto e libero.” [19] <strong>Il</strong> corpo del danzatore è uno strumento musicale autonomo, un sonaglio<br />

vivente che scarica il suo ritmo in complessi agglomerati sonori attraverso una gestualità ine<strong>di</strong>ta: i gesti<br />

del corpo <strong>di</strong>ventano intimamente musicali e capaci <strong>di</strong> trasformare ogni movimento e agitazione in un fine<br />

sonoro. Ogni impulso gestuale ricerca un “contatto sonoro” [20] con le mani, i pie<strong>di</strong> o qualsiasi altro<br />

oggetto per poterne trarre dei suoni: dove c’è gesto c’è manifestazione sonora.<br />

<strong>Il</strong> ruolo fondamentale sostenuto dalle forme cave appare trasversalmente in tutte le famiglie <strong>di</strong> strumenti<br />

e ad ogni grado della loro evoluzione, a partire dai sonagli dove funge da recipiente o da semplice cavità<br />

vuota, fino ai tubi sonori riempiti <strong>di</strong> semi o nella quale si sospinge una colonna d’aria attraverso il soffio.<br />

L’utilizzazione delle cavità naturali e delle cavità artificiali rappresenta una rivelazione eclatante per<br />

l’organologia: se prima era evidente che l’urto <strong>di</strong> due oggetti pieni, come potevano essere il piede ed il<br />

suolo, poteva produrre un suono o una rumore, ora, con l’interesse rivolto verso le potenzialità della<br />

superficie concava, l’esplorazione sonora consisterà nel mettere in vibrazione una parete sottile incavata<br />

o l’aria presente in essa. Già nelle forme <strong>di</strong> musica corporale più originarie si inizia ad intravedere<br />

un’inconsapevole ed istintivo impiego delle “risorse sonore <strong>di</strong> ogni cavità più o meno chiusa: utilizzazione<br />

della bocca come risuonatore; percuotimento della gola o del petto; battuta delle mani <strong>di</strong>sposte a coppa;<br />

impiego musicale dello scudo o <strong>di</strong> una superficie similare, sia cantando davanti alla sua faccia concava,<br />

sia percuotendo la convessa […]; calpestio <strong>di</strong> un suolo sospeso, o <strong>di</strong> una parete che più o meno ricopre<br />

una fossa <strong>di</strong> risonanza.[…] In modo confuso e con <strong>di</strong>verso significato, questi esempi mostrano fin dalle<br />

forme più semplici <strong>di</strong> musica strumentale il senso infallibile che ha portato l’uomo primitivo a cogliere, e a<br />

mettere a frutto il valore sonoro <strong>di</strong> ogni parte cava. Sembra che le più piccole cavità scoperte in natura o<br />

prodotte dall’ingegnosità umana siano state, senza eccezione, incamerate nella musica.” [21] La cavità<br />

appare in queste prime descrizioni come una parete che racchiude e che ha universalmente,<br />

prescindendo dai vari mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vibrazione, percussione, scuotimento, insufflazione, la funzione <strong>di</strong><br />

risuonatore, <strong>di</strong> amplificare cioè la vibrazione del corpo sonoro. In ultima istanza si potrebbe ipotizzare che<br />

la cavità risponda al bisogno <strong>di</strong> rafforzare un processo sonoro ancora allo stato elementare. Corpo sonoro<br />

e risuonatore, che spesso intrattengono un rapporto <strong>di</strong> sovrapposizione, sono infatti inter<strong>di</strong>pendenti:<br />

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l’amplificazione è ottenuta dal corpo vibrante e viceversa il corpo vibrante comunica sempre con il suo<br />

risuonatore, ottenendo così un rafforzamento della sua sonorità. Attraversando questa riflessione sulla<br />

cavità ci accorgiamo, ancora una volta, che uno dei motivi più ricorrenti è la comparsa del corpo umano<br />

come <strong>di</strong>spositivo o supporto della produzione sonora: emblematico <strong>di</strong> questo luogo comune della<br />

risonanza è lo scacciapensieri, uno strumento ru<strong>di</strong>mentale che corrisponde al principio <strong>di</strong> far vibrare una<br />

lamina <strong>di</strong> ferro entro una cavità, in particolare quella orale, e che, comparendo in tra<strong>di</strong>zioni musicali<br />

profondamente <strong>di</strong>stanti, ripropone quelle universalia organologiche a cui accennavamo e giustifica “una<br />

interpretazione poligenetica e strutturale del fenomeno” [22] . L’antica intuizione che sta alla base dello<br />

scacciapensieri è quella <strong>di</strong> pizzicare una lamella metallica posizionando lo strumento davanti alle labbra<br />

socchiuse, in modo che la bocca formi una cavità <strong>di</strong> risonanza: il corpo si atteggia ad una funzione<br />

strumentale poiché accoglie una vibrazione e, costituendosi come risuonatore, offre la possibilità <strong>di</strong><br />

rafforzare i suoni che vibrano al suo interno. Anche questo esempio contribuisce a riba<strong>di</strong>re “l’importanza<br />

universale del risuonatore. Siamo propensi a credere che si collochi, assieme ai gesti corporali, all’origine<br />

<strong>di</strong> tutta la musica strumentale. […] Un buco in terra, una bocca socchiusa e l’uomo pensò <strong>di</strong> utilizzarne le<br />

qualità sonore battendo, pizzicando, grattando qualche oggetto postovi davanti” [23]<br />

L’idea <strong>di</strong> un’organologia musicale che ha fondamento nelle importanti potenzialità sonore della concavità<br />

e della convessità del corpo umano anticipa alcuni spunti riflessivi presenti, seppur ancora in potenza,<br />

nell’ultima fase della riflessione <strong>di</strong> Merleau-Ponty. Si tratta del pensiero del creux [cavità], un’istanza<br />

teorica che il filosofo intendeva sviluppare in seno al problema della soggettività e che avrebbe segnato<br />

l’avvenuta archiviazione del soggetto autocoscienziale. È prorio l’idea fondamentale della cavità che, nella<br />

complessità dei suoi riman<strong>di</strong> e delle sue implicazioni, sta alla base dei due percorsi, ciò che ci permette <strong>di</strong><br />

tessere delle fini relazioni <strong>di</strong> vicinanza tra l’etnomusicologo ed il filosofo. Entrambe le riflessioni vanno<br />

infatti nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un ripensamento del soggetto e del ruolo del corpo: il primo, l’etnomusicologo,<br />

nell’ambito dell’organologia musicale e il secondo, il filosofo, su un terreno ontologico più ampio e<br />

generale.<br />

L’idea del creux merleau-pontiano è contenuta nelle Note <strong>di</strong> lavoro de <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, degli appunti<br />

tracciati dall’autore in modo non sistematico e con l’intento <strong>di</strong> figurarsi lo sviluppo futuro del lavoro. <strong>Il</strong><br />

pensiero del creux è uno <strong>di</strong> quei centri tematici che, relegato ad un destino <strong>di</strong> non sviluppo, lascia delle<br />

tracce in <strong>di</strong>versi passaggi <strong>di</strong> questi appunti: esso lascia presagire un terreno <strong>di</strong> riflessione estremamente<br />

fecondo che avrebbe forse portato a compimento il senso profondo dell’impresa filosofica che stava alla<br />

base <strong>di</strong> un’opera cruciale come <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile. “Nelle pagine che ci rimangono, e nelle note <strong>di</strong><br />

lavoro che le accompagnano, <strong>di</strong>viene manifesta l’intenzione <strong>di</strong> riprendere le vecchie analisi sulla cosa, sul<br />

corpo, sulla relazione fra il vedente e il visibile, per <strong>di</strong>ssipare la loro ambiguità, e per mostrare che esse<br />

acquistano il loro senso solo al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> un’interpretazione psicologica, collegate a una nuova ontologia.<br />

Soltanto quest’ultima può adesso fondarne la legittimità, così come soltanto essa permetterà collegare le<br />

critiche rivolte alla filosofia riflessiva, alla <strong>di</strong>alettica e alla fenomenologia – critiche sino ad ora <strong>di</strong>sperse e<br />

apparentemente tributarie <strong>di</strong> descrizioni empiriche - , svelando l’impossibilità ormai <strong>di</strong> mantenere il punto<br />

<strong>di</strong> vista della coscienza” [24] . La nozione <strong>di</strong> creux si pone proprio in questo terreno <strong>di</strong> ripensamento<br />

dell’ontologia e <strong>di</strong> svelamento delle ingenuità della prospettiva metafisica: essa, sublimando l’Essente e<br />

considerandolo come un’identità piena e positiva dal carattere assoluto, oscura la <strong>di</strong>mensione dell’essere<br />

carnale che offre il vero rapporto con l’Essere. <strong>Il</strong> nuovo concetto merleau-pontiano si fa invece portatore<br />

del negativo e attraverso esso tenta <strong>di</strong> istallarlo in quell’orizzonte <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza tra attività e passività,<br />

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per smascherare la presunzione <strong>di</strong> una soggettività in senso assoluto. Già in alcune pagine della<br />

Fenomenologia della percezione, il filosofo rendeva chiara un’esigenza <strong>di</strong> questo tipo: “Abbiamo<br />

l’esperienza <strong>di</strong> un Io, non nel senso <strong>di</strong> una soggettività assoluta, in<strong>di</strong>visibilmente <strong>di</strong>sfatto e rifatto dal<br />

fluire del tempo. L’unità del soggetto o quella dell’oggetto non è una unità reale, ma un’unità presuntiva<br />

all’orizzonte dell’esperienza, ed è necessario ritrovare, al <strong>di</strong> qua dell’idea del soggetto e dell’idea<br />

dell’oggetto, il fatto della mia soggettività e l’oggetto allo stato nascente, il sostrato primor<strong>di</strong>ale dal quale<br />

nascono sia le idee che le cose” [25] . È però l’impostazione che Merleau-Ponty dà alla teoria dell’ideazione<br />

che rende decisivo l’adozione <strong>di</strong> un nuovo concetto <strong>di</strong> soggettività: “La genesi dell’idea consisterebbe<br />

allora in un accoglierla che a sua volta configura la soggettività come ‘cavità [creux]’ nella quale l’idea<br />

avviene, così come, per parte sua, la melo<strong>di</strong>a si canta. Occorre però precisare subito che quella cavità<br />

non risulta mero ricettacolo dell’idea, ma fa anzi tutt’uno con il sua avvento: ‘attività e passività<br />

accoppiate’” [26] Lo smantellamento del soggetto assoluto e autoriflessivo passa attraverso il<br />

riconoscimento della “passività della nostra attività”, proprio perché il pensare non è “un’attività<br />

dell’anima, né una produzione <strong>di</strong> pensieri al plurale, e io non sono nemmeno l’autore <strong>di</strong> quella cavità che<br />

si forma in me per il passaggio del presente alla ritenzione, non sono io a farmi pensare più <strong>di</strong> quanto sia<br />

io a far battere il mio cuore” [27] . La cavità, cioè la soggettività che ha svelato il suo lato passivo, è<br />

creatrice <strong>di</strong> idee: in essa l’idea avviene “perché vi viene passivamente – cioè in modo fungente –<br />

creata.” [28] Merleau-Ponty osserva che la cavità istituisce un “negativo fecondo” [29] nella carne: dove il<br />

cavo si contrappone al pieno, il negativo si contrappone al positivo. L’idea <strong>di</strong> una soggettività così<br />

configurata permette allora <strong>di</strong> realizzare che “ né io né l’altro siamo dati come positivi, come soggettività<br />

positive. Si tratta <strong>di</strong> due antri, <strong>di</strong> due aperture, <strong>di</strong> due scene in cui accadrà qualcosa, - e che<br />

appartengono entrambi allo stesso mondo, alla scena dell’Essere” [30] . <strong>Il</strong> creux appare come una linea <strong>di</strong><br />

confine dove si effettua la conversione io-altro, il punto <strong>di</strong> rivoltamento tra interno ed esterno, quin<strong>di</strong><br />

l’unico vero luogo del negativo: “non c’è identità, né non-identità o non-coincidenza, c’è interno ed<br />

esterno che ruotano l’uno attorno all’altro- <strong>Il</strong> mio nulla ‘centrale’ è come la punta della spirale<br />

stroboscopica, che non si sa dov’è, che è ‘nessuno’” [31] . Con queste premesse Merleau-Ponty imposta il<br />

problema del medesimo e dell’altro per giungere alla conclusione che il medesimo non è che l’altro<br />

dell’altro e l’identità <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza. Tali formulazioni sono possibili a patto che vengano collocate<br />

sullo sfondo del chiasma e della reversibilità, per cui ogni percezione è doppiata da una contro-<br />

percezione; solo questo contesto teorico permette <strong>di</strong> evidenziare la circolarità della percezione e la<br />

conseguente uguaglianza <strong>di</strong> attività e passività. Appare chiaro che il concetto <strong>di</strong> creux è interno<br />

all’orizzonte dalla chair a cui è intimamente connesso per il fatto che apre ad essa la <strong>di</strong>mensione del<br />

negativo. <strong>Il</strong> filosofo spiega questo ruolo della soggettività attraverso una riflessione sulla percezione: “La<br />

carne del mondo è qualcosa <strong>di</strong> Essere-visto, i.e. è un essere che è eminentemente percipi, e grazie a essa<br />

si può comprendere il percipere […] in fin dei conti tutto ciò è possibile significa qualcosa solo perché c’è<br />

L’Essere, ma non l’Essere in sé, identico a sé, nella notte, ma l’Essere che contiene anche la sua<br />

negazione” [32] . È con questo prototipo <strong>di</strong> essere che si misura Merleau-Ponty: siamo partiti dalla<br />

<strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Lefort che vedeva nelle pagine de <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile un tentativo <strong>di</strong> sottrarsi al punto<br />

<strong>di</strong> vista coscienzialistico e alla sua ingenuità (“cecità della coscienza”). Ecco l’opportunità <strong>di</strong> concepire la<br />

soggettività come creux, un concetto capace <strong>di</strong> dare ragione del negativo dell’essere e sottrarlo alle<br />

falsificazioni “positiviste”: mondo e anima non si danno come due sostanze positive tra cui si istituisce un<br />

parallelismo ma si organizzano nell’apertura della Weltichkeit. <strong>Il</strong> loro legame “è da comprendere come il<br />

legame del convesso e del concavo, della volta solida e della cavità che essa forma […]. L’anima, il per<br />

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sé, è una cavità e non un vuoto, non non-essere assoluto in rapporto a un Essere che sarebbe pienezza e<br />

nucleo compatto.” [33] . Abbiamo notato come la cavità contribuisce all’introduzione “negativo fecondo”<br />

nella filosofia merleau-pontiana. In una nota precedente a quella sopra citata, Merleau-Ponty respinge la<br />

formulazione sartriana per cui il nulla (non-essere) debba esser concepito come un buco [hole]. <strong>Il</strong><br />

negativismo <strong>di</strong> Sartre è inaccettabile proprio perché, nella prospettiva avviata dalla nozione <strong>di</strong> chair, il<br />

nulla è sempre un altrove [34] : questo altrove corrisponde alla ricerca <strong>di</strong> un nuovo orizzonte <strong>di</strong> senso che<br />

non è nella forma della negazione assoluta ma che consiste nel taglio <strong>di</strong> una “altra <strong>di</strong>mensionalità” [35] , <strong>di</strong><br />

un profondo che si scava <strong>di</strong>etro il positivo ma che resta “racchiuso nell’Essere come <strong>di</strong>mensionalità<br />

universale” [36] . Le teorie sartriane escludo l’esistenza <strong>di</strong> un profondo come sdoppiamento dell’essere,<br />

come il suo rovescio, poiché istituiscono un nulla che è abisso assoluto dove non si da profon<strong>di</strong>tà proprio<br />

perché non c’è fondo. In Merleau-Ponty invece “il problema della negatività è il problema della<br />

profon<strong>di</strong>tà” [37] : la cavità del soggetto è questo spazio accogliente in cui si accomoda l’Essere e dove<br />

trova la sua risonanza. Ricaviamo allora da questa suggestione musicale un’identità <strong>di</strong> tipo relazionale<br />

che si scopre sulla scena intersoggettiva: è nell’intersoggettivo, nella <strong>di</strong>fferenza, che si scopre il<br />

soggettivo. La scoperta dell’identità si gioca tutta in un contesto <strong>di</strong> relazioni e non <strong>di</strong> categorie.<br />

L’in<strong>di</strong>vidualità nasce con l’atto espressivo e da esso viene gettata nel mondo laddove il sonoro rivela<br />

un’unicità volitiva che si comunica. La soggettività si costituisce come un polo <strong>di</strong> mondo al quale è<br />

profondamente integrata e la comparsa <strong>di</strong> tale polo è una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> emersione dal presoggettivo. È<br />

qui che il concetto statuario <strong>di</strong> soggetto entra in crisi perché viene inserito in un orizzonte gestuale dove il<br />

mondo è un suo correlato inseparabile ed il corpo il garante e l’attivatore <strong>di</strong> questa correlazione<br />

ineliminabile: in questo contesto l’identità non è più derivabile dall’autoaffezione e dall’autocoscienza. <strong>Il</strong><br />

soggetto cartesiano dai tratti fortemente narcisistici che si pensa e pensa il suo pensiero aveva la<br />

presunzione <strong>di</strong> ricavare la sua esclusività da una razionale considerazione <strong>di</strong> se stesso. È un soggetto<br />

tondo su cui scivola la sua autoriflessione. <strong>Il</strong> creux merleau-pontiano invece ci suggerisce un’idea <strong>di</strong><br />

soggetto alternativa: il cavo permette soltanto una risonanza, una produzione sonora canalizzata verso<br />

l’altrove. Sono necessari dei nuovi <strong>di</strong>spositivi che assicurino identità, legati a una nozione <strong>di</strong> unicità<br />

corporea ottenuta dalla <strong>di</strong>fferenza. <strong>Il</strong> corpo è infatti al primo posto nella determinazione della <strong>di</strong>fferenza e<br />

nella voce esso si esprime come timbro, la stoffa <strong>di</strong> un respiro e <strong>di</strong> un grido unico.<br />

Giunge finalmente il momento in cui questo simposio fantastico tra pensatori necessita <strong>di</strong> un momento <strong>di</strong><br />

confronto empirico, <strong>di</strong> verifica sul campo. La decisione <strong>di</strong> integrare la riflessione con materiale<br />

extrafilosofico corrisponde in larga parte allo spirito merleau-pontiano <strong>di</strong> considerare l’arte e la letteratura<br />

come intimamente legati alla pratica filosofica: nel mondo dell’arte si replica con strumenti <strong>di</strong>versi<br />

quell’interrogazione del mondo e dell’Essere che trova origine nella <strong>di</strong>mensione filosofica. Ed è<br />

esattamente qui che una voce estremamente autorevole entra in gioco a completare il nostro <strong>di</strong>alogo. Si<br />

tratta del’esperienza musicale <strong>di</strong> Demetrio Stratos (1945-1979), una personalità coraggiosa le cui<br />

sperimentazioni vocali (in lavori come Metrodora del ‘76 o Cantare la voce del ‘78 fino alla collaborazione<br />

con J. Cage) offrono una fine e strepitosa ricerca musicale che lo vedrà trattare la sua voce come un<br />

campo <strong>di</strong> indagine e il suo corpo come un vero e proprio laboratorio per lo stu<strong>di</strong>o delle potenzialità<br />

espressive e delle qualità del mezzo vocale. Contemporaneamente a ricerche nel campo della poesia<br />

fonetica e sperimentale, Stratos aveva iniziato da molto tempo un percorso mirato a liberare la voce da<br />

qualsiasi <strong>di</strong>pendenza dalle tecniche sterilizzanti del canto occidentale così da restituirle uno spessore<br />

adeguato. La straor<strong>di</strong>naria malleabilità del mezzo a sua <strong>di</strong>sposizione gli permise <strong>di</strong> adottarlo come luogo<br />

privilegiato <strong>di</strong> sperimentazione così da incrinare tutti quei registri che avevano archiviato la voce in<br />

47


stilemi tecnici ed espressivi castranti. <strong>Il</strong> primo passo verso un ine<strong>di</strong>to uso della voce fu quello <strong>di</strong><br />

considerare le corde vocali come strumenti musicali: “Oggi si parla dello strumento voce come <strong>di</strong> uno<br />

strumento <strong>di</strong>fficile da suonare ma contrariamente a qualsiasi altro strumento che può essere riposto dopo<br />

l’uso, la voce non si separa mai dal suo proprietario e quin<strong>di</strong> è qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> uno strumento.<br />

L’ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai <strong>di</strong>versi aspetti della<br />

vocalità, isolandolo nel recinto <strong>di</strong> determinate strutture linguistiche.” [38] In queste poche righe si prefigura<br />

quella che Stratos concepisce come una vera e propria liberazione della voce dagli automatismi della<br />

comunicazione quoti<strong>di</strong>ana, che l’hanno a lungo andare sterilizzata e confinata in una insignificante<br />

neutralità. Inaugurare una “nuova vocalità” significa allora ridare fecon<strong>di</strong>tà allo strumento voce e alla sua<br />

musica, riabilitare cioè una vocalità piena, in grado <strong>di</strong> dare spazio ad una completa espressività corporea.<br />

L’effetto sconcertante che provoca la musica vocale <strong>di</strong> Stratos ad un primo ascolto è forse imputabile<br />

proprio a questa nostra estraneità ad una vocalità così energica, dove insieme all’u<strong>di</strong>bile viene<br />

musicalmente riattivato anche l’inu<strong>di</strong>bile: “<strong>di</strong> solito quando una persona parla non sentiamo i suoi respiri,<br />

ma questi sono la parte più importante della voce” [39] . Lo spazio musicale si apre volontariamente ad una<br />

massiccia componente rumoristica, condensa suono e rumore in un unico corpus espressivo, dove il flatus<br />

vocis continua a svolgere un ruolo decisivo. “La voce <strong>di</strong> Stratos agisce nella prospettiva del rumore” [40] :<br />

questo è vero nel momento in cui il grande rumorismo dell’emissione vocale va nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un<br />

recupero <strong>di</strong> quelle caratteristiche istintive della voce, delle sue inflessioni grezze e selvagge, della sua<br />

natura materica e somatica, tutti elementi soffocati nell’interazione quoti<strong>di</strong>ana o nella voce musicalmente<br />

conformata. Quello che risulta è un’espressività che lascia spazio ad ampi agglomerati <strong>di</strong> suoni spuri ed<br />

erotizzanti (grida, gemiti, suoni gutturali), a tutti quei suoni non <strong>di</strong>screti del corpo sonoro: il pharmakon<br />

musicale libera la voce e con essa libera anche il corpo. <strong>Il</strong> desiderio <strong>di</strong> rivitalizzare la vocalità si completa<br />

con la conseguente esigenza <strong>di</strong> intervenire anche sulla pratica dell’ascolto musicale: “Se una nuova<br />

vocalità può esistere, deve essere vissuta da tutti e non da uno solo: un tentativo <strong>di</strong> liberarsi dalla<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ascoltatore e spettatore a cui la cultura e la politica si hanno abituato. Questo lavoro non va<br />

assunto come un ascolto da subire passivamente” [41] . Stratos ha in mente una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ascolto<br />

patico, partecipativo e creativo, quasi rituale, in cui la <strong>di</strong>stanza tra ascoltatore ed esecutore è stata<br />

abbattuta in favore <strong>di</strong> una “flui<strong>di</strong>ficazione del soggetto” [42] : l’esperienza musicale non ha più un carattere<br />

lirico ma si è completamente estraniata dalla logica della rappresentazione e quello che prima veniva<br />

in<strong>di</strong>cato come soggetto scorre ora in un’intima comunicazione e correlazione <strong>di</strong> corpi. La rivoluzione della<br />

tecnica vocale operata da Stratos conduce alla <strong>di</strong>ssimulazione del carattere convenzionale delle pretese<br />

tessiture naturali della voce umana arrivando a superarle e cambiarne il timbro. <strong>Il</strong> risalimento a tecniche<br />

complesse quali <strong>di</strong>fonie, triplofonie, quadrifonie dalle armoniche chiare e dense permette infatti a Stratos<br />

<strong>di</strong> rimuovere in un solo colpo l’arida mono<strong>di</strong>a vocale e <strong>di</strong> aprire la via a delle vere e proprie<br />

microorchestazioni, in cui si scorgono continue variazioni <strong>di</strong> timbro ed una finissima polifonia. <strong>Il</strong> lavoro<br />

sull’uso della voce che si incontra in opere come Metrodora, primo <strong>di</strong>sco solista <strong>di</strong> Stratos del 1976, e nel<br />

già citato Cantare la voce si configura come un’analisi sperimentale delle qualità espressive dello<br />

strumento vocale attraverso la sua scomposizione strutturale ma anche dei suoi portati psicoanalitici ed<br />

etnomusicologici. Le acrobazie tecniche interne alla <strong>di</strong>plofonia mongola, pratica vocale <strong>di</strong> cui Stratos si<br />

serve in questi lavori, non sono una pura esibizione virtuosistica ma rientrano in un progetto <strong>di</strong><br />

comprensione profonda <strong>di</strong> questo strumento attraente e pericoloso. “La complessità <strong>di</strong> questo lavoro è<br />

capire l’interiorità delle proprie espressioni vocali. È un lavoro <strong>di</strong> curiosità interiore.” [43]<br />

La tecnica <strong>di</strong>plofonica mongola [44] (che nei lavori <strong>di</strong> Stratos non si incontra nelle sua forma originaria<br />

48


quanto piuttosto mo<strong>di</strong>ficata e integrata) propone un tipo <strong>di</strong> vocalità fisicamente molto impegnativa<br />

proprio perché richiede un coinvolgimento globale <strong>di</strong> tutto l’apparato fonatorio: la tecnica addominale, il<br />

movimento della lingua, l’atteggiamento della labbra e dei denti, l’intervento della laringe che strozza le<br />

vocali devono essere gestiti in modo tale che, all’emissione della nota fondamentale (bordone)<br />

corrisponda la possibilità <strong>di</strong> lavorare sui suoi armonici e sulle loro combinazioni melo<strong>di</strong>che. <strong>Il</strong> respiro viene<br />

spinto alternativamente in una serie <strong>di</strong> risuonatori naturali e questo coinvolgimento nell’emissione vocale<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti agenti fonatori (nasale, labiale, palatale, della glottide o della cavità toracica) permette una<br />

<strong>di</strong>fferenziazione timbrica locale in base al risuonatore impiegato. Tale tecnica <strong>di</strong> emissione che fa ricorso a<br />

molti luoghi <strong>di</strong> risonanza propone un campionario <strong>di</strong> possibilità espressive estremamente <strong>di</strong>verse tra loro<br />

e profondamente legate al luogo <strong>di</strong> formazione della voce stessa. La pratica <strong>di</strong>plofonica permette alla<br />

voce <strong>di</strong> essere sviscerata nelle sue enormi potenzialità sonore e strutturali: il suono circola nelle parti<br />

vuote del corpo seguendo un percorso metamorfico e viene scomposto nelle sue componenti armoniche<br />

per poi essere in qualche modo ricomposto sulla struttura fondamentale del bordone. Nota fondamentale<br />

e suoni concomitanti sono espressione cangiante della medesima entità sonora: gli armonici trascolorano<br />

l’uno nell’altro ma in un unico orizzonte sonoro dove la nota fondamentale viene adombrata dai suoni<br />

secondari, producendo un effetto <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong> contrasto ed integrazione. <strong>Il</strong> bordone e le sue filiazioni<br />

armoniche vengono a formare un corpo sonoro massiccio anche se internamente stratificato e sincretico:<br />

la fondamentale infatti, si mantiene sempre su un fondale percettivo che agisce mascherato sotto una<br />

potente armonia contingente, garantendo così l’identità della voce a se stessa. La flui<strong>di</strong>tà del reciproco<br />

trapassamento dei suoni nell’ambito del metamorfismo materico della voce <strong>di</strong>plofonica richiama quella<br />

che viene definita aquaticità del suono e comporta frequenti passaggi dal suono musicale più o meno<br />

<strong>di</strong>screto al rumore. L’esecuzione polifonica <strong>di</strong> motivi e frammenti <strong>di</strong> essi, le <strong>di</strong>plofonie, triplofonie o<br />

quadrifonie <strong>di</strong> armonici, la commistione tra rumore e suoni puri, la sovrapposizione e l’interazione <strong>di</strong> un<br />

bordone e <strong>di</strong> una voce <strong>di</strong> superficie realizzano una multifonia molto fitta. Le relazioni tra gli elementi ed il<br />

gioco motivico tra i vari strati del flusso vocale (un’arte della variazione per cui l’identico non ritorna mai)<br />

confluiscono tutti in una simultaneità densa e destabilizzante che “fa esplodere il tempo della voce,<br />

spazializzandola e conferendole un volume quasi labirintico” [45] . <strong>Il</strong> risultato non è una scansione<br />

temporale lineare o circolare ma un tempo rituale condensato. L’ascolto dei lavori <strong>di</strong> Stratos sull’uso della<br />

voce è un’inquietante alternarsi <strong>di</strong> gorgoglii criptici, quasi fossero il ribollire <strong>di</strong> un corpo profondo ed<br />

umido. Proprio per questo una tale esperienza musicale riesce a comunicare con estrema limpidezza<br />

l’origine corporea della voce, cioè la sua provenienza calda, organica e salivare. Tra i gorgogli gutturali in<br />

cui il fiato sembra fuoriuscire come fosse spinto e forzato dentro cunicoli del cavo faringeo, <strong>di</strong>etro lo<br />

strozzamento e la compressone della materia sonora che produce sibilii e fischi, si riesce a percepire una<br />

carne vibrante ed una cavità carnosa tesa sopra un vuoto carico <strong>di</strong> fiato. <strong>Il</strong> flusso corporeo della voce<br />

viene interrotto e alimentato dal respiro che, oscillando e ritirandosi, irrompe nell’esecuzione come<br />

scansione ritmica e temporale. <strong>Il</strong> corpo trova voce e prende voce, la carne si esprime come presenza<br />

massiccia. La funzione semiologia della voce è qui chiara nella sua natura <strong>di</strong> rinvio segnico ad un corpo.<br />

La circolazione del suono vocale nelle cavità corporee produce una tensione della voce stessa che,<br />

sempre protesa verso un nuovo spostamento e una nuova mutazione timbrica, oscilla tra l’espansione e<br />

lo sprofondamento del suo spazio <strong>di</strong> esistenza. Sotto la pressione del respiro, sospinto verso le pareti<br />

cavernose dell’apparato fonatorio, si percepisce la fatica <strong>di</strong> un corpo forzato al limite delle sue possibilità<br />

espressive, <strong>di</strong>rei che quasi si sente il corpo: la carne sembra sull’orlo dello sfibramento e della<br />

<strong>di</strong>latazione. In queste deformazioni della tessitura naturale e del consueto uso dello strumento voce ci si<br />

49


accorge della sua inespressa potenza: essa, entità immateriale invisibile, fantasma sonoro riesce a<br />

sottomettere il corpo massiccio. La componente eminentemente timbrica della pratica vocale <strong>di</strong> Stratos ci<br />

ha permesso <strong>di</strong> osservare come la localizzazione corporea della voce ne influenzi ra<strong>di</strong>calmente la sua<br />

natura: se il gesto vocale, per il suo implicito carattere relazionale, proietta l’emittente verso un “là fuori”<br />

<strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne sociale, è il corpo che garantisce l’identità vocale <strong>di</strong> un “qui dentro”, che si costituisce come il<br />

rimbalzo dell’azione della voce. [46] Nell’ambito <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>namica tra interno ed esterno il momento del<br />

rimbalzo ha una potenza formativa molto forte, soprattutto a livello immaginativo: è il fuori che<br />

costituisce retrospettivamente il dentro. Come la voce prende vita all’esterno, essa inizia ad esistere<br />

anche all’interno. La cavità, spazio <strong>di</strong> esistenza del dentro, possiede un coefficiente assiologico molto<br />

particolare e molto ambiguo: la bocca e tutto l’apparato fonatorio rappresentano, oltre che un’uscita, una<br />

<strong>di</strong>scesa in sé. Questa <strong>di</strong>scesa è accompagnata da una qualità termica, un calore dolce e lento, per nulla<br />

bruciante ed estraneo: esso è il calore dell’intimità. Lo schema <strong>di</strong>scensionale ha inoltre una densità<br />

cromatica tipicamente notturna. La fenomenologia della cavità [47] , che ha inizio dal ventre materno, il<br />

primo cavo ad essere avvalorato positivamente, si lega, attraverso queste caratterizzazioni tipicamente<br />

materne e protettive, alla simbolica dell’intimità. L’isomorfismo tra la bocca ed il ventre chiarisce come la<br />

profon<strong>di</strong>tà del nostro corpo è sempre ed imme<strong>di</strong>atamente intima. <strong>Il</strong> simbolismo del corpo, nel suo<br />

richiamo ad un profondo dentro che si apre al fuori, traduce nell’immaginario un’intimità che si svela. La<br />

voce è un farsi avanti, un venire in presenza o piuttosto “un operare <strong>di</strong> essa un rafforzamento ” [48] sulla<br />

scena intersoggettiva: come tutti i suoni annunciano la cosa materiale <strong>di</strong> cui sono vibrazione e riverbero,<br />

anche la voce richiama ad un’esistenza carnale nell’atto espressivo <strong>di</strong> rivelarsi.<br />

È certo inoltre che alla base della pratica vocale <strong>di</strong> Stratos si trova una questione ancora più originaria del<br />

metamorfismo timbrico, il problema dell’intonazione. Con il termine intonazione ci riferiamo a quell’abito<br />

<strong>di</strong> risposta ad un’istanza volitiva <strong>di</strong> tipo espressivo, a quel gesto che comporta un’uscita da sé, il<br />

superamento del confine dell’interiorità e quin<strong>di</strong> una risonanza. Si tratta in ultima istanza della voce che<br />

cerca espressione, <strong>di</strong> un’intenzionalità che si completa secondo fini sonori. E proprio in questo si<br />

intravede il senso del gesto vocale (e non soltanto ad un livello artistico ma anche internamente ad un<br />

più comune commercio quoti<strong>di</strong>ano): intonare significa modellare la concreta materia vocale, selezionare il<br />

tessuto sonoro e fonico per precisi fini comunicativi e per precise configurazioni <strong>di</strong> senso.<br />

Nell’iperbole musicale <strong>di</strong> Stratos l’intonazione è l’indagine stessa, essa è l’interrogazione forte della<br />

ricchezza articolatoria della voce. La deformazione del materiale sonoro attraverso il respiro corrisponde<br />

infatti ad un preciso progetto espressivo: la gestione e l’intervento sul respiro apre ad una <strong>di</strong>mensione<br />

nuova in cui prolifera materiale sonoro nuovo e variamente sperimentabile. La deformazione costituisce<br />

allora una riserva <strong>di</strong> materiale fonico interrogabile. Ed è proprio con questo materiale che Stratos realizza<br />

una profon<strong>di</strong>ssima riflessione sulla natura del suono: sul suono come materialità, sul suono come entità<br />

che si muove, sulla sua <strong>di</strong>namicità e la sua transitività. In definitiva, sul suono come fenomeno.<br />

50


[1] G. Piana, Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano, 1991, p. 83. [2] A. Schaeffner, Origine des instruments<br />

de musique. Introduction ethnologique à l'histoire de la musique instrumentale, Paris, Payot, 1936, rééd. par Mouton &<br />

Co et Maison des Sciences de l'Homme, 1959, traduzione italiana a cura <strong>di</strong> D. Carpitella, Origine degli strumenti<br />

musicali, Sellerio, Palermo, 1978.<br />

[3] C. Serra, La voce e il riferimento. Una <strong>di</strong>scussione su “À l’écoute” <strong>di</strong> Jean-Luc Nancy, in "De musica", VIII, 2004,<br />

Internet, http://users.unimi.it/~gpiana/demus.htm, p. 14.<br />

[4] D. Carpitella, Introduzione all’e<strong>di</strong>zione italiana <strong>di</strong> A. Schaeffner, Origine degli strumenti musicali, cit., p. 12.<br />

[5] Ibidem.<br />

[6] A. Schaeffner, op. cit., p. 23.<br />

[7] A. Schaeffner, op.cit., p. 25.<br />

[8] Ibidem.<br />

[9] Ibidem, p. 26.<br />

[10] Ibidem.<br />

[11] Ibidem.<br />

[12] Ibidem, p. 27.<br />

[13] Ibidem, p. 28.<br />

[14] Ibidem, p. 33.<br />

[15] Ibidem, pp. 38-39.<br />

[16] C. Serra, op. cit., p. 15.<br />

[17] A. Schaeffner, op. cit. , p. 47.<br />

[18] C. Serra, op.cit., pp. 14-15.<br />

[19] A. Schaeffner, op. cit., p. 49.<br />

[20] Ibidem, p. 50.<br />

[21] Ibidem, p. 60.<br />

[22] D. Carpitella, op.cit., p. 12.<br />

[23] A. Schaeffner, op. cit., p. 161.<br />

[24] C. Lefort, Postilla all’e<strong>di</strong>zione italiana <strong>di</strong> M. Merleau-Ponty, <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, cit., p. 295.<br />

[25] M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris, 1945, tr. it. <strong>di</strong> A. Bonomi, Fenomenologia<br />

della percezione, Bompiani, Milano, 2003, p. 297.<br />

[26] M. Carbone, Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili, Quodlibet, Macerata, 2004, p. 46<br />

[27] M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, texte établi par C. Lefort, Gallimard, Paris, 1964, tr. it. <strong>di</strong> A. Bonomi<br />

riveduta da M. Carbone, <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, nuova e<strong>di</strong>zione italiana a cura <strong>di</strong> M. Carbone, Bompiani, Milano, 1993,<br />

p 235.<br />

[28] M. Carbone, op. cit., p. 46<br />

[29] M. Merleau-Ponty, <strong>Il</strong> visibile e l’invisibile, cit., p. 274.<br />

[30] Ibidem.<br />

[31] Ibidem, p. 275.<br />

[32] Ibidem, p. 262.<br />

[33] Ibidem, pp. 246-247.<br />

[34] Ibidem, p. 212.<br />

[35] Ibidem, p. 249.<br />

[36] Ibidem.<br />

[37] Ibidem.<br />

[38] D. Stratos, <strong>di</strong>chiarazione reperita in http://www.demetriostratos.com/stratofonia.htm.<br />

[39] D. Stratos, Diplofonie ed altro, originariamente apparso in “<strong>Il</strong> piccolo Hans – rivista <strong>di</strong> analisi materialistica”, n. 24,<br />

ottobre-<strong>di</strong>cembre 1976. <strong>Il</strong> testo è stato reperito in J. El Houli, Demetrio Stratos. Alla ricerca della voce musica,<br />

Au<strong>di</strong>torium E<strong>di</strong>zioni, Milano, 1999, p. 25.<br />

[40] J. El Houli, op. cit., p. 95.<br />

[41] Demetrio Stratos, note <strong>di</strong> copertina per Metrodora, Cramps Records, Milano, 1976.<br />

[42] J. El Houli, op. cit., p. 62.<br />

[43] D. Stratos, <strong>di</strong>chiarazione reperita in http://www.demetriostratos.com/stratofonia.htm<br />

[44] Per una più ampia analisi delle tecniche <strong>di</strong>plofoniche mongole cfr. C. Serra, La voce e lo spazio, E<strong>di</strong>zioni Spazio<br />

Temporaneo, Milano, 2005.<br />

[45] D. Charles, Omaggio a Demetrio Stratos, Milano, intervento al Convegno “Cantare la voce”, 29-30 maggio 1989).<br />

[46] La terminologia è presa dal testo <strong>di</strong> C. Sini, La mente e il corpo. Filosofia e psicologia, Jaca Book, Milano 2004, pp.<br />

100-101.<br />

[47] Per una più precisa analisi dei portati immaginativi della cavità, cfr. G. Durand, Le strutture antropologiche<br />

dell’immaginario: introduzione all’archetipologia generale, Dedalo, Bari, 1972.<br />

[48] G. Piana, Riflessioni sul luogo in Id. La notte dei lampi. Quattro saggi sulla filosofia dell’immaginazione, Guerini e<br />

Associati, Milano, 1988, p. 266.


5-<strong>Il</strong> canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale a Cosola<br />

<strong>Il</strong> rimpianto per un mondo caratterizzato da durezze e povertà, ma anche da momenti <strong>di</strong><br />

convivialità e socializzazione oggigiorno quasi inconcepibili, si traduce sempre più spesso nella<br />

volontà <strong>di</strong> valorizzarne gli aspetti positivi. Gli abitanti <strong>di</strong> Còsola in alta val Borbera, non<br />

<strong>di</strong>versamente dai loro vicini delle valli confinanti, benché costretti dal corso degli eventi a<br />

vivere e lavorare altrove, hanno conservato un forte legame affettivo per il loro paese, come<br />

pure per quel ricchissimo patrimonio <strong>di</strong> canti che un tempo risuonavano in ogni momento della<br />

giornata: si cantava nell'aperto dei pascoli, accudendo le bestie o sfalciando i campi,<br />

trebbiando il grano o scartocciando il granturco, nel calore delle stalle, tra il fumo dell'osteria<br />

come tra l'incenso della chiesa. E si cantava nei momenti rituali del matrimonio e del<br />

carnevale, quando risuonavano anche le note del piffero. Un tempo il piffero era anche<br />

utilizzato per accompagnare la melo<strong>di</strong>a degli stranôt, canti rituali o narrativi, <strong>di</strong>ffusi in tutte le<br />

valli delle Quattro Province. A Cosola era attivo lo stimato pifferaio Damiano Figiacone che si<br />

<strong>di</strong>stingueva anche come cantore. <strong>Il</strong> canto religioso rappresenta un importante capitolo nella<br />

tra<strong>di</strong>zione canora locale, passata e<br />

presente. Quasi tutti i canterini del paese<br />

sono anche esecutori <strong>di</strong> canti liturgici.<br />

A Cosola, come altrove nelle valli delle<br />

Quattro Province, convivevano il canto a<br />

terze (basato cioè su intervalli <strong>di</strong> terza),<br />

<strong>di</strong>ffuso in varie modalità in tutta l'Italia<br />

settentrionale, e il trallalero ligure, canto<br />

genovese dalla caratteristica<br />

impostazione contrappuntistica. Si ritiene<br />

che questo stile <strong>di</strong> canto sia stato portato<br />

dai primi villeggianti genovesi, anche se determinante potrebbe essere stata la presenza <strong>di</strong><br />

squadre <strong>di</strong> trallalero nella vicina valle Scrivia, e il passaggio dei mulattieri che portavano merci<br />

dal genovesato verso l'entroterra e viceversa. Gli stessi cantori eseguivano entrambi i<br />

repertori, anche se il trallalero era considerato un canto più esclusivo e "professionale", mentre<br />

più libero, conviviale e alla portata <strong>di</strong> tutti era considerato il canto locale.<br />

Nella squadra <strong>di</strong> trallalero, come <strong>di</strong> consueto, si avvicendavano vari canterini, anche se si<br />

possono in<strong>di</strong>care alcuni membri pressoché stabili del gruppo: Ivo Burrone, Sergio Negro,<br />

Biagio Novelli "Biazen", il figlio Luigi Novelli, Cornelio Callegari, Giovanni Negro "Péveri",<br />

Davide Novelli "Dolu". In particolare, il baritono (cuntrubassu) Sergio Negro è stato attivo per<br />

alcuni anni anche nella squadra <strong>di</strong> Grondona ed ha preso parte alle registrazioni effettuate nel<br />

1982 da Mauro Balma per il suo stu<strong>di</strong>o de<strong>di</strong>cato alla polivocalità della montagna pavese [La<br />

polivocalità della montagna pavese / Mauro Balma (( Pavia e il suo territorio -- Silvana : Milano<br />

: 1990].


Sull'onda della ricerca e dell'interesse folkrevivalistico degli anni Sessanta, i canterini cosolani<br />

hanno preso parte nel 1968 alle celebrazioni per l'ottavo centenario della fondazione della città<br />

<strong>di</strong> Alessandria. La prematura scomparsa <strong>di</strong> gran parte dei componenti del gruppo e la parziale<br />

<strong>di</strong>sgregazione del tessuto comunitario hanno purtroppo posto termine all'esperienza <strong>di</strong> una<br />

squadra prestigiosa. <strong>Il</strong> trallalero cosolano resta documentato da sei tracce registrate nel 1958<br />

da Pietro Negro "Pidron", un cosolano immigrato in Argentina, mentre esempi del canto<br />

tra<strong>di</strong>zionale locale sono contenuti in un nastro registrato dal parroco del paese don Romolo<br />

Boccardo, alla vigilia della partecipazione dei canterini alla manifestazione <strong>di</strong> Alessandria,<br />

presso l'Albergo del Ponte: la prima<br />

voce è quella <strong>di</strong> Battista Negro, zio<br />

<strong>di</strong> Giovanna e Romana.<br />

Accanto alla pratica del canto<br />

polivocale esisteva a Cosola un<br />

vastissimo repertorio lirico-<br />

narrativo, spesso su melo<strong>di</strong>e<br />

arcaiche, talvolta in forma <strong>di</strong><br />

stranôt. Si tratta <strong>di</strong> un repertorio<br />

facilmente riconducibile, pur nelle<br />

varianti locali, alla classificazione operata dal Nigra (1828-1907), il <strong>di</strong>plomatico canavesano<br />

che realizzò la prima raccolta sistematica <strong>di</strong> canti popolari piemontesi [Canti popolari del<br />

Piemonte / Costantino Nigra -- Torino : 1974]. Di questi canti erano spesso depositarie le<br />

donne, e a Cosola è rimasta una preziosa documentazione del repertorio <strong>di</strong> Mafalda e Maria<br />

Negro, raccolto intorno alla fine degli anni Settanta dai ricercatori del Centro <strong>di</strong> Cultura<br />

popolare "G. Ferraro" <strong>di</strong> Alessandria. Le due sorelle, dotate <strong>di</strong> una memoria pro<strong>di</strong>giosa, sono<br />

tuttora fonte <strong>di</strong> trasmissione orale per alcuni dei canterini protagonisti <strong>di</strong> questa raccolta.<br />

L'esperienza della monda è unanimemente riconosciuta come una delle principali fonti <strong>di</strong><br />

arricchimento del patrimonio canoro della comunità, e il repertorio lirico-narrativo è per lo più<br />

caratterizzato dall'utilizzo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>aletto che potremmo definire<br />

"letterario", ma sicuramente più vicino ai <strong>di</strong>aletti parlati in Lomellina<br />

e nel Vercellese. Nel repertorio locale entrarono anche i canti della<br />

Grande guerra, ma non sembra ne sia rimasta traccia<br />

considerevole, come pure legati alla contingenza storica sono<br />

rimasti i canti della Resistenza.<br />

Impossibile ricordare in questo spazio limitato tutti i cosolani che si<br />

<strong>di</strong>stinsero nella quoti<strong>di</strong>ana pratica del canto tra<strong>di</strong>zionale. Ci<br />

limitiamo ad un cenno a quei suonatori che furono protagonisti delle<br />

innumerevoli occasioni festive e rituali che animavano la vita del<br />

borgo appenninico, come il bravissimo fisarmonicista Mario Negro, i<br />

fisarmonicisti Luciano Burrone e il figlio Silvano. Anche il clarinettista Giovanni Burrone, detto


"Giuanen dee clarinettu", è ricordato con stima e affetto, sia a Cosola che nei paesi delle vicine<br />

valli.<br />

Alcuni Brani<br />

1: Vieni oi bella<br />

Quando Afro<strong>di</strong>te arriva a Cipro, la terra rinver<strong>di</strong>sce sotto i suoi pie<strong>di</strong>. Al ritorno <strong>di</strong> Persefone<br />

dall'Ade, la terra trema, spuntano fiori e crescono frutti. Non è solo un'immagine poetica, ma<br />

anche l'antichissimo archetipo della donna portatrice <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà. Vi si sono ispirati i poeti<br />

d'ogni tempo e lo ritroviamo in questa serenata dagli spiccati toni lirici.<br />

2: Angiolina bella Angiolina<br />

Questo canto cela un piccolo enigma linguistico, tutto locale, per risolvere il quale occorre<br />

pensare alle caratteristiche del <strong>di</strong>aletto parlato nell'alta val Borbera: chi sono i "piemontesi con<br />

la lingua dei genovesi" esperti nell'arte amatoria? <strong>Il</strong> <strong>di</strong>battito è aperto.<br />

3: Lei mi voleva bene<br />

<strong>Il</strong> giar<strong>di</strong>no e la fonte, promesse d'amore. La canzone popolare, come sempre, è custode <strong>di</strong><br />

simboli antichissimi. L'origine più prossima è ancora nella lirica me<strong>di</strong>evale, che pullula <strong>di</strong><br />

giar<strong>di</strong>ni e fontane in prossimità delle quali accade qualcosa <strong>di</strong> fatale.<br />

4: Cosetta<br />

La drammatica storia <strong>di</strong> Cosetta era tra le preferite dai mulattieri <strong>di</strong> Bogli, paese della<br />

confinante val Boreca dalla prestigiosa tra<strong>di</strong>zione canora. Si fermavano a mangiare e bere nelle<br />

osterie <strong>di</strong> Cosola, e cantavano. A Cosola era rimasto solo un ricordo frammentario <strong>di</strong> questa<br />

canzone, ricostruita grazie alla memoria <strong>di</strong> Maria Negro e dei fratelli Marco e Pio Negro.<br />

5: Perché piangi<br />

<strong>Il</strong> canto è eseguito dalla voce solista <strong>di</strong> Romana Negro.<br />

Un canto <strong>di</strong> lontananza, tema sentimentale eterno, qui<br />

contestualizzato nel dramma moderno della partenza<br />

per il servizio militare.<br />

6: Dimmi che növa<br />

È uno stranôt entrato nel ciclo matrimoniale al pari <strong>di</strong><br />

Sposina. "Dimmi che növa" è un canto lirico, molto<br />

toccante, che, contrariamente a "Sposina", non presenta<br />

accenti drammatici. La melo<strong>di</strong>a da piffero plasma ampie<br />

campiture che evocano gli spazi aperti <strong>di</strong> una sera<br />

d'estate al <strong>di</strong> sotto del solito fatale balcone.


7: Tutte le lettere<br />

Possiamo immaginare che molte ragazze si siano riconosciute in questo canto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sarmante<br />

semplicità, dove la collera per l'abbandono da parte dell'amato si stempera in malinconia e<br />

dolcezza. <strong>Il</strong> genere della lettera d'amore, improntata al dolore per l'abbandono e al ricordo<br />

della felicità trascorsa, nasce probabilmente con le Eroi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o (43 a.C. - 17 d.C.). Conosce<br />

poi l'enorme fortuna dell'età "ovi<strong>di</strong>ana", tra il 12' e 14' secolo e si <strong>di</strong>ffonde nel Rinascimento in<br />

tutte le letterature europee. In Francia, scrive Gabriella Leto, "nel secolo 18', si <strong>di</strong>ffuse un<br />

genere <strong>di</strong> lettera lacrimosa e galante, elaborata sul modello delle Heroides" [Le Eroi<strong>di</strong>. p 9 /<br />

Ovi<strong>di</strong>o ; G Leto -- Torino : 1966].<br />

8: Maiulin<br />

"L'infanticida condannata è argomento <strong>di</strong> canto popolare in quasi tutti i paesi", scrive il Nigra a<br />

proposito <strong>di</strong> quei canti da lui stesso riuniti sotto il titolo <strong>di</strong> "Infanticida alla forca" [Nigra. 10].<br />

La versione cosolana presenta un testo semplificato rispetto a quelle riportate dal Nigra, dove<br />

fa la sua apparizione il consueto gentil galant che chiede <strong>di</strong> vedere la bella prigioniera. Gli vien<br />

risposto che la vedrà sì, ma in compagnia del boia che si appresta a giustiziarla. Però il tema<br />

simbolico centrale, il bambino gettato nell'acqua, è presente nella nostra canzone, ed è forse<br />

questo il nucleo più antico, mitologico o leggendario, della storia, che nelle versioni anglosassoni<br />

e germaniche si evolve nel salvataggio del bimbo da parte degli angeli e nel suo<br />

ritorno, dopo sette anni, a visitare la madre in prigione. <strong>Il</strong> salvataggio del bimbo affidato alle<br />

acque è uno dei temi più antichi della storia dell'umanità ed è superfluo qui ricordarne gli<br />

esempi.<br />

9: La strada nel bosco<br />

Un altro viaggio nella natura assunta a simbolo dei piaceri amorosi. Terra, mare e cielo<br />

risuonano in cosmica congiunzione nei tratti essenziali del canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione. La spontaneità<br />

ed originarietà della poesia popolare è come sempre sicuro antidoto al cattivo gusto.<br />

10: Bosch ad Dâi<br />

La più cosolana delle canzoni qui raccolte. Se ne ricorda<br />

l'autore, soprannominato Sataturnu, che la compose per<br />

celebrare il suo matrimonio forse anomalo, che<br />

presumibilmente suscitò commenti sarcastici nei compaesani.<br />

Lo sposo annuncia il suo arrivo al paese dell'amata con una<br />

"brugida", ovvero un grido animalesco, poco convenzionale,<br />

ma in pieno spirito carnevalesco. Che i carnevali tra<strong>di</strong>zionali<br />

abbiano nella paro<strong>di</strong>a del matrimonio uno dei loro temi<br />

centrali è infatti cosa risaputa e non estranea alla cultura<br />

tra<strong>di</strong>zionale delle Quattro Province. L'arrivo a Cosola del<br />

corteo nuziale è annunciato dal suono <strong>di</strong> piffero e cornamusa<br />

(quest'ultima segnalata dall'uso dell'espressione "sgunfiai i<br />

suonatori" nella versione delle sorelle Mafalda e Maria Negro).<br />

Benché tutti sminuiscano le grazie e l'altezza della sposa,<br />

l'innamorato non recede e si ripropone <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are con "un<br />

paio <strong>di</strong> scarpettin ben alte <strong>di</strong> calcagno", e due anellini che<br />

certo accresceranno la bellezza della fanciulla <strong>di</strong> Daglio. La<br />

canzone richiama, per la melo<strong>di</strong>a e il motivo delle "scarpette<br />

ben alte <strong>di</strong> calcagno" la più nota "Sü e zü per San German".<br />

Quando sun stâ inti boschi d'Dâi


l'ü trâi d'üna brügida,<br />

la mê Tranquilla la m'â sentì<br />

e l'ê rimasta stramurtita.<br />

Quando sun stâ insela piana<br />

con una coppia <strong>di</strong> suonatori<br />

tüta la gente curivan lâ<br />

per vedere la mia sposa.<br />

Tutti mi <strong>di</strong>cevano che l'era piccolina<br />

ma mi la me pâr grânda,<br />

mi che sun 'ndâi aposta a Dâi<br />

per piâla bêla grânda!<br />

Ti comprerò un par de scarpettin<br />

un po' alti <strong>di</strong> calcagno.<br />

I scarpettin i te van ben ben, te stan proprio ben,<br />

ma sono alti, troppo alti.<br />

Ti comprerò un par <strong>di</strong> anellin<br />

che pendon giù d'in gloria<br />

e giù d'in gloria, e giù d'in ciel, cara la mia bella come ti voglio ben,<br />

e ti prego <strong>di</strong> non lasciarmi.<br />

11: Le carrozze<br />

Diffusissimo canto, entrato a far parte del rituale matrimoniale quasi con funzione <strong>di</strong>dattica. Lo<br />

si ritrova in varie zone del Nord Italia. Presenta un'interessante commistione <strong>di</strong> toni lirici,<br />

drammatici e realistici.<br />

12: Re Gilar<strong>di</strong>n<br />

Insegnata da Maria Negro al figlio Renzo<br />

Negruzzo e alla nuora Romana. Nigra ha<br />

titolato la canzone, nelle sue numerose<br />

varianti, "Morte occulta". <strong>Il</strong> <strong>di</strong>plomatico<br />

canavesano riporta quin<strong>di</strong> l'opinione <strong>di</strong><br />

Svend Grundtvig che, dopo aver<br />

analizzato in uno stu<strong>di</strong>o comparativo del<br />

1881 i canti popolari <strong>di</strong> varie regioni<br />

europee aventi attinenza con il contenuto<br />

della canzone, riconobbe alla stessa<br />

un'origine celtica. Forse il Grundtwig<br />

pervenne a tale conclusione avendo<br />

presente il tema del "re ferito", proprio<br />

dell'antica letteratura celtica. Romana<br />

racconta <strong>di</strong> aver appresa da bambina, in<br />

forma <strong>di</strong> fiaba, la storia narrata nella<br />

canzone e <strong>di</strong> averne imparato la melo<strong>di</strong>a solo successivamente, dalla voce della suocera, Maria<br />

Negro.<br />

13: <strong>Il</strong> fraticello<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>ffusissimo motivo popolare del frate tra<strong>di</strong>tore sfocia in una morale decisamente alternativa<br />

rispetto alla furiosa gelosia omicida del marito cornuto. Una morale improntata al buon senso,<br />

che potremmo definire "naturalistica", e alla quale viene altrettanto naturale aderire, anche se<br />

risulta <strong>di</strong>fficile pensare che la schiettezza della sposina abbia potuto placare le ire del consorte<br />

ingannato. Nigra titola "<strong>Il</strong> taglione" una canzone raccolta nel biellese dove si trova lo stesso<br />

atteggiamento da parte <strong>di</strong> una sposa infedele: "O piano, piano, marito caro, le mie ragioni<br />

lassêmie dì | Tu me l'hai fatta nel mez <strong>di</strong> marzo, e te la rendo nel mese d'avril | Tu me l'hai


fatta cun na villana, e te la rendo ch'un cita<strong>di</strong>n." Anche la nostra sposa "mal maritata" avrà<br />

avuto qualcosa da rimproverare al marito.<br />

14: Erano tre sorelle<br />

<strong>Canto</strong> <strong>di</strong>ffusissimo, presente nella tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> varie regioni del nord e del sud d'Italia. È<br />

pervaso da un'atmosfera onirica e denso <strong>di</strong> simbolismi. <strong>Il</strong> tema è quello dell'iniziazione<br />

all'amore, simboleggiata dalla caduta in mare dell'anello. Le <strong>di</strong>verse versioni presentano esiti<br />

altrettanto <strong>di</strong>fferenziati, proprio come nella vita. Nigra, che titola la canzone "La pesca<br />

dell'anello" [66], riporta un'opinione dotta secondo la quale il motivo della pesca dell'anello<br />

avrebbe "qualche lontana relazione con la leggenda dell'uomo-pesce, incarnata nel pugliese,<br />

messinese, o catanese Nicola-Pesce, detto Cola-Pesce, la quale, per suggerimento <strong>di</strong> Goethe,<br />

fornì a Schiller l'argomento d'una delle sue celebri ballate" (Nigra, p. 415). Va detto che il<br />

motivo delle tre sorelle in attesa <strong>di</strong> scoprire l'amore sulla riva del mare si ritrova in un'anonima<br />

poesia provenzale del 12'-13' secolo, il cui incipit recita: "Trois sereurs seur rive mer |<br />

chantent cler" ("Tre sorelle sulla riva del mare | cantano con voci chiare") [cfr. Poesia dell'età<br />

cortese. p 422 / A Roncaglia -- Milano : 1961]. Chissà che una più attenta ricerca nella vasta<br />

materia della lirica me<strong>di</strong>evale non possa portare ad in<strong>di</strong>viduare più strette ascendenze.<br />

15: Son tornata dalla Francia<br />

<strong>Canto</strong> d'amore sublimato o semplicemente<br />

impossibile; lei non è "né montanara né citta<strong>di</strong>na",<br />

è invece una creatura soprannaturale, immacolata<br />

come un giglio, forse scaturita da qualche antica<br />

leggenda celtica. Anche qui il riferimento alla<br />

poesia me<strong>di</strong>evale (un altro anonimo del 11'-12'<br />

secolo) è certo, anche se frammentario. Vi si trova<br />

il tema dell'incontro, la provenienza dalla Francia,<br />

il riferimento alla veste (che nell'antica poesia è<br />

descritta nel dettaglio), e infine la <strong>di</strong>chiarazione delle origini soprannaturali della fanciulla: "La<br />

seraine ele est ma mere, qui chantent in la mer salee | Et plus haut rivage" ("La sirena è mia<br />

madre, | Che canta nel mare salso | Dove più fonda è la costa") [cfr. Roncaglia. p 417].<br />

16: Adré la riva de lu mâr<br />

L'incontro tra la pastorella e il cavaliere è il più classico esempio dell'ascendenza me<strong>di</strong>evale dei<br />

canti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione del Nord Italia. Già il Nigra ne in<strong>di</strong>cava la sicura corrispondenza con il<br />

Carmen 119 dei celebri Carmina Burana (12'-13' secolo) reperiti nel monastero <strong>di</strong><br />

Bene<strong>di</strong>ktbeuren (da cui il nome della raccolta) in Baviera. <strong>Il</strong> finale della canzone è invece<br />

analogo ad altri due carmi della stessa raccolta (120 e 52). Stranamente incruenta la punizione<br />

paventata per l'eventuale infedeltà della pastora. <strong>Il</strong> canto affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nel repertorio <strong>di</strong><br />

quegli scolari vagabon<strong>di</strong> "vestiti da chierici, che nel 12' secolo e seguente, col nome <strong>di</strong> Goliar<strong>di</strong>,<br />

giravano da scuola a scuola, da Bologna a Parigi, da Colonia a Pavia, da Toledo a Salerno..."<br />

[Nigra. p 421-434]. <strong>Il</strong> motivo dell'uccisione del lupo e della profferta amorosa è al centro anche<br />

del componimento <strong>di</strong> Adam de la Halle (13' sec.). La comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Robin e Marion, mentre il<br />

tentativo <strong>di</strong> seduzione della pastorella da parte del cavaliere era motivo <strong>di</strong>ffusissimo che dal<br />

trovatore Marcabru, vissuto nel 12' secolo ("L'autrier jost'una sebissa | trobei pastora<br />

mestissa..."), è pervenuto nelle ballate lirico-narrative dell'Italia settentrionale. <strong>Il</strong> canto è qui<br />

eseguito in forma <strong>di</strong> stranòt, con la melo<strong>di</strong>a del canto che si svolge parallelamente a quella del<br />

piffero esaltando le doti vocali della canterina.


17: Era figlia <strong>di</strong> un fittavolo<br />

Drammatica storia <strong>di</strong> abbandono e crudeltà, una figlia affranta e un padre <strong>di</strong>sumano. Le mura<br />

del convento, destino <strong>di</strong> segregazione per tante giovani vite, si ergono con la stessa cupezza<br />

anche nella canzone Vorrei essere come una formica.La storia potrebbe basarsi su <strong>di</strong> un fatto<br />

reale e rientrare nel repertorio dei cantastorie.<br />

18: Signor capitano<br />

<strong>Il</strong> dramma della lontananza dall'amata, dell'incontro mancato. <strong>Il</strong> bacio alla fanciulla amata<br />

oramai morta è un tratto macabro <strong>di</strong> ascendenza me<strong>di</strong>evale, esemplarizzato da Shakespeare in<br />

Romeo e Giulietta, rinvigorito dal gusto romantico, ben ra<strong>di</strong>cato nella sensibilità popolare.<br />

19: Stornelli della monda<br />

Ben viva nella memoria permane l'immagine del camion che partiva verso le risaie della<br />

Lomellina e del Vercellese, portando alla stagione della monda, verso un guadagno sudato,<br />

magro ma sicuro, le donne cosolane. Partivano le ragazze lasciando il moroso, e partivano le<br />

donne lasciando marito e figli. Vi era chi piangeva, ma le più cantavano, e se per la partenza<br />

c'era un canto, ce n'era uno anche per il ritorno, magari imparato proprio tra le acque<br />

limacciose delle risaie, grande mescita <strong>di</strong> canti tra<strong>di</strong>zionali che lì confluivano da <strong>di</strong>verse aree<br />

geografiche.<br />

20: Vorrei essere come una formica<br />

<strong>Il</strong> tema della metamorfosi ebbe fortuna immensa e duratura nella sensibilità popolare ed è<br />

ampiamente documentato. Ancora una volta il pensiero vola ad Ovi<strong>di</strong>o, alle sue "Metamorfosi",<br />

l'opera che più d'ogni altra illustra la forza dei sentimenti e delle passioni che travalica i limiti<br />

imposti dalla natura. In questo canto, sotteso al quale echeggia il suono dell'antico oboe<br />

popolare, il chiarore solare dei lunghi capelli contrasta con la cupezza delle alte mura che<br />

separano dal mondo la fanciulla segregata. Romana ha appreso questo canto dallo sconfinato<br />

repertorio della suocera Maria.<br />

21: Mâma mia mi vöi maridâm<br />

Tutta la <strong>di</strong>ffidenza del mondo conta<strong>di</strong>no nei confronti <strong>di</strong> pretendenti<br />

al matrimonio troppo blasonati. L'inganno è in agguato e la<br />

<strong>di</strong>ffidenza d'obbligo. Ma soprattutto erano le <strong>di</strong>fferenze tra i ranghi<br />

sociali a non lasciare speranza <strong>di</strong> esito positivo ad una scelta<br />

matrimoniale che avesse voluto infrangerne i confini. La melo<strong>di</strong>a<br />

lenta ed arcaica è <strong>di</strong> una ninna nanna, ed ogni ninna nanna, oltre ad<br />

indurre la bene<strong>di</strong>zione del sonno, rivestiva funzioni esorcistiche e<br />

<strong>di</strong>dattiche. Era la prima forma <strong>di</strong> insegnamento, destinato ad<br />

imprimersi negli strati più profon<strong>di</strong> della coscienza. Zulema Negro ha<br />

appreso questo canto dolcissimo dalla nonna Pinotta.


22: Margherita de la Piev del Cairo (Sposina)<br />

Nigra riporta varie versioni <strong>di</strong> questa canzone, o <strong>di</strong> canti aventi un tema analogo, provenienti<br />

dal Novarese, dal basso Monferrato, dalla collina <strong>di</strong> Torino, dal Canavese e dal Monferrato<br />

["Sposa per forza": 37]. "<strong>Il</strong> tema della maritata a malincuore, che muore <strong>di</strong> cordoglio, è<br />

specialmente caro alla poesia popolare della bassa Bretagna" (Nigra, p. 243). Della<br />

lunghissima e bellissima ballata, che testimonia anche lo stile antico del canto epico-narrativo,<br />

riportiamo la parte che, scorporata dal resto della canzone, entrò a far parte del rituale<br />

matrimoniale. Alla gioiosità <strong>di</strong> "Bella növa" e al lirismo venato <strong>di</strong> crudezza <strong>di</strong> "Le carrozze",<br />

"Sposina" contrappone la descrizione drammatica <strong>di</strong> una realtà costante del mondo conta<strong>di</strong>no<br />

(ma non solo) del passato, ovvero il matrimonio per forza o per convenienza. Ma la poesia del<br />

canto è tutta dalla parte <strong>di</strong> lei, come per compensare una secolare ingiustizia.<br />

23:L'usignolo<br />

24: Paloma<br />

Nel 1958 un emigrato cosolano in America, Pietro Negro detto Pidròn, registrò sei brani <strong>di</strong><br />

trallalero eseguiti dalla squadra <strong>di</strong> canto <strong>di</strong> Cosola. I <strong>di</strong>schi, gentilmente concessi in prestito<br />

dalla proprietaria Elsa Callegari "Adele", sono stati masterizzati e, nei limiti del possibile,<br />

restaurati. La bassa qualità della registrazione nulla toglie al valore documentario <strong>di</strong> questi<br />

esempi <strong>di</strong> "trallalero montanaro". Dei due brani riportati il primo rientra a pieno titolo nello stile<br />

del trallalero, mentre il secondo è una elaborazione polivocale <strong>di</strong> un brano non <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />

locale.


6-Appunti per una ricerca etnomusicologica<br />

nel territorio <strong>di</strong> Paluzza<br />

Un ra<strong>di</strong>cato luogo comune vuole che “oramai” la musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale sia del tutto<br />

scomparsa (o comunque in via <strong>di</strong> rapida sparizione) e solo interrogando qualche arzillo<br />

vecchietto con buona memoria sia possibile, forse, “ricostruire” le “antiche melo<strong>di</strong>e del<br />

popolo”. Al riguardo probabilmente i lettori ricorderanno la grottesca caricatura presentata nel<br />

film <strong>di</strong> Mario Monicelli, Speriamo che sia femmina, dove il personaggio interpretato da Paolo<br />

Hendel, alla ricerca <strong>di</strong> “arcaiche testimonianze del mondo conta<strong>di</strong>no” va a registrare dei canti<br />

da una vecchina in letto <strong>di</strong> morte, salvo poi scoprire — dopo che i suoi “preziosi” nastri<br />

finiscono <strong>di</strong>strutti — che quei canti nella zona li conoscevano tutti, anche la sua giovane<br />

fidanzata (Giuliana De Sio). In realtà basta andare in giro con le “orecchie ben aperte” per<br />

trovare ancora oggi in tutta Italia un notevole patrimonio <strong>di</strong> canti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale. Canti<br />

conosciuti non solo dagli anziani ma anche da numerosi giovani (1) che vengono eseguiti<br />

normalmente, soprattutto nelle occasioni in cui una comunità si incontra, nelle feste e nelle<br />

ricorrenze pubbliche e private. Certamente i canti che oggi si ascoltano sono ben <strong>di</strong>versi da<br />

quelli del passato. È questo un assunto che deve essere ben chiaro onde evitare<br />

frainten<strong>di</strong>menti. La tra<strong>di</strong>zione orale non è qualcosa <strong>di</strong> immutabile: essa cambia con il<br />

succedersi delle generazioni, mo<strong>di</strong>ficando ed adattando i repertori alle nuove realtà della vita<br />

sociale, abbandonandone definitivamente altri, man mano che vengono meno i contesti e le<br />

funzioni cui erano connessi. Così ad esempio è del tutto normale che certi canti corali legati ai<br />

lavori agricoli del passato siano del tutto scomparsi con la <strong>di</strong>ffusione delle macchine: che senso<br />

avrebbe (e come si potrebbe) cantarli oggi, che so, sul trattore? D'altra parte le trasformazioni<br />

nella musica tra<strong>di</strong>zionale non sono certo una novità della nostra epoca. Di esse, ad esempio, si<br />

lagnava più <strong>di</strong> un secolo fa il folklorista trentino Nepomuceno Bolognini il quale <strong>di</strong>chiarava <strong>di</strong><br />

raccogliere i testi dei canti del popolo che secondo lui «a poco a poco vanno scomparendo,<br />

soffocati e rimpastati dall'invadente affratellamento dei popoli che viene, viene a corsa sfrenata<br />

nei posti <strong>di</strong> terza classe delle ferrovie e dei tram a vapore o a cavalli che sia»! (2)<br />

Al contrario <strong>di</strong> ciò che spesso si pensa, l’etnomusicologo non ha il compito <strong>di</strong> “ricostruire” il<br />

passato o attribuire “etichette” <strong>di</strong> autenticità a quanto viene ancor oggi eseguito. Egli,<br />

piuttosto, si propone <strong>di</strong> registrare e stu<strong>di</strong>are i cambiamenti in corso ed interpretarli alla luce<br />

delle o<strong>di</strong>erne <strong>di</strong>namiche della nostra società. (3). Quello che segue è un progetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

etnomusicologico sulla musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale dell'Arco Alpino. Obiettivo <strong>di</strong> tale iniziativa è<br />

infatti la definizione dell'o<strong>di</strong>erna <strong>di</strong>namica della musica etnica alpina, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are cioé cosa,<br />

quando e come viene oggi eseguito nei paesi e nelle <strong>di</strong>verse comunità valligiane, con<br />

particolare riguardo al canto polivocale, (4) ritenuto — come <strong>di</strong>rò tra poco — una delle sue più<br />

importanti espressioni. In questo contesto lo scrivente, insieme con un gruppo <strong>di</strong> studenti ha


avviato uno stu<strong>di</strong>o specifico sul repertorio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale nel territorio <strong>di</strong> Paluzza. Tale<br />

repertorio presenta infatti numerosi motivi <strong>di</strong> interesse che tra l'altro possono essere<br />

considerati rappresentantivi, per molti aspetti, <strong>di</strong> certi meccanismi più generali caratterizzanti<br />

la cultura musicale alpina nel suo complesso. Fra questi, in primo luogo, il fatto che nello<br />

stesso territorio comunale convivano comunità abitative <strong>di</strong>verse fra <strong>di</strong> loro, ciascuna con una<br />

specifica e spiccata identità culturale. Ne consegue che lo stu<strong>di</strong>o comparato della pratica<br />

musicale delle <strong>di</strong>verse località che compongono il comune <strong>di</strong> Paluzza può offrire in piccolo una<br />

immagine <strong>di</strong> come anche nell'ambito <strong>di</strong> territori relativamente ristretti si siano potute<br />

sviluppare ed attualmente persistano identità etno-musicali <strong>di</strong>fferenti fra <strong>di</strong> loro. Identità che<br />

pur presentando una comune struttura musicale rivelano elementi stilistico-espressivi alquanto<br />

<strong>di</strong>versi e chiaramente caratterizzanti. Lo stu<strong>di</strong>o è stato avviato ovviamente con una prima fase<br />

<strong>di</strong> ricognizione della documentazione bibliografica e sonora realizzata nel passato. In<br />

particolare è stato possibile conoscere alcune registrazioni effettuate in paese negli anni<br />

Settanta da Pietro Sassu e Piero Arcangeli, nonché i materiali raccolti e presentati in una prima<br />

trascrizione da Clau<strong>di</strong>o Noliani nella sua importante raccolta Anima della Carnia che sono stati<br />

rieseguiti negli anni Cinquanta dalla corale Birchebner <strong>di</strong> Topogliano <strong>di</strong>retta da G.... Famea. (5)<br />

Quin<strong>di</strong> si è proceduto alla trascrizione su pentagramma delle registrazioni realizzate a Cleulis<br />

da Valter Colle e Lino Straulino alcuni anni fa (..... ). Attraverso tali trascrizioni — realizzate<br />

con criteri corrispondenti alla più moderna etnomusicologia (6) — sono emersi una serie <strong>di</strong><br />

spunti <strong>di</strong> analisi e stu<strong>di</strong>o. Fra questi la cosiddetta questione delle varianti, fondamentale per<br />

qualsiasi indagine sulla musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale. Si è infatti verificato come, benché la<br />

struttura dei canti <strong>di</strong> Cleulis (come la quasi totalità dei canti tra<strong>di</strong>zionali del Nord Italia) sia <strong>di</strong><br />

tipo strofico (stessa musica per tutte le strofe del testo verbale), succede <strong>di</strong> norma che un<br />

cantore (o un gruppo <strong>di</strong> cantori) realizzi delle varianti notevoli nel corso dell'esecuzione,<br />

mo<strong>di</strong>ficando continuamente lo stile e l'agogica del canto, ma anche elementi minimi della<br />

melo<strong>di</strong>a e del ritmo (che comunque risultano sempre chiaramente riconoscibili). Ciò è ben<br />

rappresentato dal seguente esempio musicale in cui viene confrontata da prima e la quarta e<br />

ultima strofa <strong>di</strong> un canto eseguito a voce sola dalla signora Anita Puntala <strong>di</strong> Cleulis. Preciso che<br />

i criteri <strong>di</strong> notazione utilizzati mirano ad evidenziare l’articolazione della strofa in versi musicali,<br />

ciascuno dei quali occupa un singolo rigo. Non viene esplicitata la struttura metrica ma essa<br />

risulta comunque facilmente ricavabile alla lettura. <strong>Il</strong> raggruppamento dei valori ritmici intende<br />

suggerire l’articolazione base del fraseggio musicale. La sillabazione del testo verbale non tiene<br />

in considerazione le convenzioni ortografiche dell’italiano bensì mira a rappresentare il rapporto<br />

nota-sillaba così come effettivamente esso si presenta. (7)<br />

I segni <strong>di</strong>acritici utilizzati sono i seguenti:


Si osservi, fra l’altro, come la prima strofa sia articolata in quattro versi mentre la quarta<br />

strofa presenti la ripetizione degli ultimi due versi. (8) Casi del genere sono piuttosto frequente<br />

nella musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale e rientrano fra quei meccanismi performativi attraverso cui il<br />

cantore ha la possibilità <strong>di</strong> apportare ogni volta delle mo<strong>di</strong>fiche alla propria esecuzione<br />

(allungandone o accorciandone <strong>di</strong> conseguenza la durata).


testo verbale<br />

Benedetis ches promesis<br />

c'a son da<strong>di</strong>s tantis <strong>di</strong> cûr<br />

profon<strong>di</strong>tis son talmenti<br />

che nissun lis gjava fûr<br />

Benedeta sei la tier<br />

(e) che al pescje il gior plevan<br />

benedeta che zornade<br />

c'a mi met la vera in man<br />

Benedeta sei che mari<br />

c'a mi a dat chel biel fantat<br />

ie ie lade lontanone<br />

a toli (cjoli) su chel biel ritrat<br />

Che travierse qualchelade<br />

ches cjalzutis a colors<br />

chel cjapel plen <strong>di</strong> curdelis<br />

ue (i) nuviz ce bien splendôr<br />

chel cjapiel plen de curdelis<br />

ue (i) nuviz ce bien splendôr<br />

Accanto alle questioni generali relative alla verifica dei meccanismi <strong>di</strong> formalizzazione musicale<br />

(le varianti, le <strong>di</strong>verse formazioni delle strofe, il rapporto ritmo musicale - metro poetico<br />

eccetera) le trascrizioni degli studenti hanno evidenziato anche altri motivi <strong>di</strong> interesse, più<br />

specifici alla realtà <strong>di</strong> Paluzza. È infatti emersa con tutta evidenza la grande varietà e<br />

l’ampiezza dei repertori documentati nel territorio comunale: dalle villotte in friulano, ai canti<br />

propri della Carnia nell’i<strong>di</strong>oma locale e a quelli nella lingua <strong>di</strong> Timau (propri cioé della<br />

minoranza etnico-linguistica che ivi risiede); dalle ballate e dai canti narrativi in italiano ai<br />

repertori infantili; dalle memorie dei canti <strong>di</strong> guerra a quelle delle forme connesse al lavoro, e<br />

così via, a cui si aggiungono pure <strong>di</strong>versi repertori per varii organici strumentali (che<br />

comunque in questa fase iniziale della ricerca non sono stati ancora specificamente<br />

considerati).<br />

Pertanto, dopo questo preliminare ascolto “da lontano” si è organizzato un primo rilevamento<br />

su campo nei giorni 15 e 16 novembre 1997 nelle località <strong>di</strong> Cleulis e Timau. Tale rilevamento<br />

(condotto con l'aiuto <strong>di</strong> Lino Staulino, <strong>di</strong> due studenti dell’Università <strong>di</strong> U<strong>di</strong>ne — Clau<strong>di</strong>o e ....,<br />

...., e con la guida e l’ospitalità offerti da Valter Colle) (9) è servito soprattutto ad una presa <strong>di</strong><br />

contatto con la realtà del territorio <strong>di</strong> Paluzza e con una serie <strong>di</strong> cantori in vista <strong>di</strong> un ben più<br />

articolato soggiorno che si svolgerà nella prossima primavera. Nonostante il carattere<br />

preliminare, tale rilievamento ha permesso <strong>di</strong> raccogliere una importante documentazione ed<br />

una ricca messe <strong>di</strong> informazioni su <strong>di</strong>versi aspetti del repertorio locale. Fra l’altro una specifica<br />

attenzione è stata rivolta alla pratica polivocale, pratica che senza dubbio costituisce ancora


oggi l'espressione più significativa del patrimonio musicale <strong>di</strong> Paluzza.<br />

In particolare la polivocalità <strong>di</strong> Cleulis che abbiamo avuto modo <strong>di</strong> ascoltare in vivo nel corso <strong>di</strong><br />

due <strong>di</strong>versi incontri con altrettanti gruppi <strong>di</strong> cantori risulta imperneata su due parti vocali nel<br />

registro me<strong>di</strong>o che si muovono per moto parallelo a <strong>di</strong>stanza intervallare <strong>di</strong> terza. A queste nel<br />

caso <strong>di</strong> gruppi misti si aggiunge una parte maschile al grave che ripropone sul proprio registro<br />

la melo<strong>di</strong>a e/o ribatte le note più importanti della scala con lo stesso ritmo delle due voci<br />

superiori. Una ulteriore aggiunta si può avere invece all’acuto me<strong>di</strong>ante un raddoppio all’ottava<br />

superiore <strong>di</strong> una delle due parti vocali femminili. <strong>Il</strong> numero delle voci che cantano una è<br />

in<strong>di</strong>pendente rispetto a quello delle altre. Ad esempio nel corso della prima registrazione (la<br />

sera del 16 novembre) si sono ascoltate esecuzioni quasi sempre a tre parti vocali: la superiore<br />

femminile era svolta da due donne; l’inferiore femminile da quattro donne (una delle quali in<br />

certi canti raddoppiava all’ottava superiore aggiungendo una quarta parte) mentre la parte<br />

maschile era svolta da un solo cantore. Nelle registrazioni del secondo incontro (17 mattina) si<br />

sono avute invece esecuzioni a due parti maschili ciascuna realizzata da due o tre cantori.<br />

Tale struttura esecutiva costituisce la norma del canto corale <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale <strong>di</strong> tutto l’Arco<br />

Alpino e più in generale dell’Italia centro settentrionale e <strong>di</strong> una ampia zona del continente<br />

europeo a ridosso della stessa regione alpina e verso oriente fin quasi verso gli Urali. (10)<br />

Va precisato al riguarda che cantare a più voci non è qualcosa <strong>di</strong> “spontaneo” ma una pratica<br />

che presuppone l'esistenza <strong>di</strong> una particolare competenza dei partecipanti che debbono in<br />

qualche modo collaborare reciprocamente. Ogni cantore ha piena consapevolezza della parte<br />

vocale che può concorrere a realizzare, se cioè sa far <strong>di</strong> "primo", <strong>di</strong> "secondo" o <strong>di</strong> "basso".<br />

Una volta avviata l'esecuzione (normalmente l'attacco è realizzato da una sola voce) tutte i<br />

cantori si <strong>di</strong>stribuiscono nell'ambito delle due o più parti vocali parallele: un processo frutto<br />

della profonda conoscenza della struttura formale del repertorio (e mai dovuto alle in<strong>di</strong>cazioni<br />

<strong>di</strong> un "maestro" o <strong>di</strong> un "<strong>di</strong>rettore"), risultato dei meccanismi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato tra<strong>di</strong>zionali<br />

ancora operanti. Una competenza <strong>di</strong> questo tipo deve essere considerata come un elemento<br />

specifico della cultura <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale alpina. Per intenderci: se ad esempio un gruppo<br />

qualsiasi <strong>di</strong> siciliani, <strong>di</strong> calabresi, <strong>di</strong> toscani o <strong>di</strong> altre regioni centro meri<strong>di</strong>onali canta in coro il<br />

risultato è in genere il raddoppio all'unisono <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a. La capacità nel <strong>di</strong>stribuirsi in più<br />

parti separate <strong>di</strong>mostrata dagli uomoni e dalle donne <strong>di</strong> Cleulis costituisce l'espressione <strong>di</strong> una<br />

norma <strong>di</strong>ffusa in tutto l'arco alpino, il risultato <strong>di</strong> una specializzazione nell'ambito della<br />

tra<strong>di</strong>zione orale. Non si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una capacità "naturale" bensì <strong>di</strong> una competenza<br />

acquisita.<br />

Per questa ragione nel corso dell'incontro con i cantori <strong>di</strong> Cleulis la registrazione dei canti è<br />

stata integrata da lunghe interviste — o meglio chiaccherate — durante le quali si sono<br />

ricavate delle prezione informazioni sulla loro competenza musicale.<br />

Per dare un'idea del tipo <strong>di</strong> ricerca effettuato e dell’attenzione verso i meccanismi <strong>di</strong><br />

elaborazione polivocale propongo nell'esempio seguente il confronto fra due versioni della<br />

stessa villotta: la prima è solista ed è stata eseguita dalla signora Anita Puntala <strong>di</strong> Cleulis,


egistrata da Valter Colle e Lino Straulino nel ... ; la seconda invece è a più parti vocali ed<br />

stata realizzata dal gruppo dei cantori nel nostro primo incontro a Cleulis il pomeriggio del 16<br />

novembre. Entrambe le trascrizioni sono state realizzate da Boris Ferrari.


testo verbale:<br />

Ducj i moros a mia mi plasin<br />

a le moro ancje il gno ben<br />

lui al mi puarte peraulis dolcis<br />

ogni sere (in) quanc'al ven<br />

soi impensade <strong>di</strong> la muinie<br />

su la puarte dal convent<br />

soi impensade da gno giovin<br />

soi colade in sveniment.<br />

Un altro interessante repertorio polivocale documentato dal rilevamento a Cleulis è quello<br />

narrativo cantato in italiano. Si tratta come è noto <strong>di</strong> una componente importante del<br />

patrimonio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale del nostro Paese, che affonda le proprie ra<strong>di</strong>ci in epoca<br />

me<strong>di</strong>evale. (11) Inoltre, gran parte dei temi narrativi presentati dal repertorio italiane si<br />

ricollegano <strong>di</strong>rettamente ad un più vasto corpus <strong>di</strong> ballate <strong>di</strong>ffuso in tutta Europa, dalla Scozia<br />

alla Puglia, dai Pirenei agli Urali (sebbene cantato in forme musicalmente <strong>di</strong>ssimili da una zona<br />

all’altra), uno dei più straor<strong>di</strong>nario fenomeno della cultura <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale del Vecchio


Continente.<br />

Fra i canti narrativi documentati a Cleulis nel secondo incontro (domenica 17 novembre) vi è<br />

La Barbiera Francese - Nigra 33 (denominazione corrispondente al titolo convenzionale<br />

attribuita dalla fondamentale raccolta <strong>di</strong> Costantino Nigra), (12) un canto conosciuto in tutto il<br />

Nord Italia e che ha precisi riferimenti con altri canti <strong>di</strong> analogo contenuto narrativo<br />

documentati nella Francia Meri<strong>di</strong>onale e in forse anche in Catalalogna. (13) Riporto la<br />

trascrizione realizzata dallo scrivente della terza strofa dell’esecuzione citata.<br />

testo verbale:<br />

O barbiera bella<br />

barbiera vorre-<br />

sti farmi vorre- sti farmi la<br />

barba a mi<br />

Io sì che io te la<br />

faria ma ho<br />

paura ma ho<br />

paura del mio marì<br />

Mio marito l'è anda-<br />

to in Francia con la<br />

speranza con la<br />

speranza <strong>di</strong> ritornar<br />

Oi che torni o che<br />

non torni ma la<br />

tua barba ma la<br />

tua barba la voglio tagliar<br />

E mentre l'acqua la si<br />

scaldava barbié-<br />

barbiera filà-<br />

barbiera filava il rasun<br />

E la tua barba l'è ri-<br />

ccia e bionda ma la<br />

parìa ma la<br />

parìa del mio marì.<br />

Decisamente importanti sono state anche le esecuzioni dei canti rituali proposte dagli stessi<br />

cantori <strong>di</strong> Cleulis. Fra questi, soprattutto, alcuni brani previsti in periodo natalizio come Puer<br />

Natus che come ci è stato riferito viene ancora eseguito durante i riti all'interno della chiesa.<br />

Anche questo canto ha una amplissima attestazione in tutto l’Arco Alpino a cui sovente


corrispondono delle precise similitu<strong>di</strong>ni relative alle condotte melo<strong>di</strong>che e alle modalità <strong>di</strong><br />

esecuzione. (14) Riporto la prima strofa<br />

della esecuzione a tre parti vocali misti<br />

registrata la sera del 16 novembre nella<br />

trascrizione realizzata dallo scrivente.


testo verbale:<br />

Puer Natus in Bethlem<br />

in Bethlem<br />

Unde gaudet Hierusalem<br />

unde gaudet Hierusalem<br />

Allelluja<br />

Allelluja<br />

Allelluja<br />

Ave Maria gratia plena<br />

Hic jacet in praesepio<br />

in praesepio<br />

Qui regnat sine termino<br />

qui regnat sine termino<br />

Allelluja<br />

Allelluja<br />

Allelluja<br />

Ave Maria gratia plena<br />

Al <strong>di</strong> là delle notizie sui canti polivocali nel corso del rilevamento a Cleulis sono state richieste<br />

informazioni anche sui repertori mono<strong>di</strong>ci. In particolare sono state richieste alle <strong>di</strong>verse donne<br />

incontrate delle esecuzioni <strong>di</strong> ninna-nanne e <strong>di</strong> canti infantili: ed anche in questo caso la<br />

documentazione raccolta è stata <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimo rilievo sia dal punto <strong>di</strong> vista quantitativo che<br />

qualitativo. Una <strong>di</strong> queste ninna-nanne, eseguita ancora una volta dalla signora Anita Puntala<br />

(con sovrapposizione dalla seconda strofa in poi <strong>di</strong> una parte superiore realizzata dalla signora<br />

Giovanna....) la sera del 16 novembre è riportata nell’esempio seguente. La trascrizione è <strong>di</strong><br />

Sandra Matuella.


Sempre nel corso dei due giorni <strong>di</strong> rilevamento si è effettuata anche una preliminare presa <strong>di</strong><br />

contatto con la specifica realtà musicale <strong>di</strong> Timau, grazie all'aiuto della signora Velia Plozner. In<br />

particolare si è realizzata una seduta <strong>di</strong> registrazione a casa della signora Margherita Primus, la<br />

quale ha proposto l'esecuzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi brani nella lingua timavese e ha offerto delle preziose<br />

testimonianze sulla realtà musicale della località e su altri elementi culturali.<br />

Fra i brani raccolti un particolare interesse ha suscitato una ninna nanna, trascritta dallo<br />

scrivente nel seguente esempio musicale, che presenta un profilo melo<strong>di</strong>co rapportabile con<br />

altri canti dello stesso genere registrati in altre vallate alpine. (15) È evidente in questo caso<br />

come tale documentazione risulti importante sia come testimonianza sulla circolazione delle<br />

melo<strong>di</strong>e tra<strong>di</strong>zionali del passato sia come attestazione del valore simbolico che l'uso della<br />

lingua nei canti tra<strong>di</strong>zionali ha conservato ancora oggi in quanto elemento <strong>di</strong> identificazione<br />

etnica.<br />

testo verbale (a cura dell’assessora Vera Plozner)<br />

Miar saim af dear olm<br />

miar ckouckn guaz muas<br />

miar prauchn ckaan roudl<br />

miar riarn min vuas<br />

jullari, jullari, jollari ah<br />

jullari, jullari, jollari ah<br />

Dein schiacklan<br />

Deing schtimpflan<br />

Deing schaug niit oon<br />

Deing schaug laii main piablan<br />

Da aigalan oon


jullari, jullari, jollari ah<br />

jullari, jullari, jollari ah<br />

Afta griana bisa<br />

Hona<strong>di</strong> gevrogt<br />

Hosmi du nouch libe<br />

Io host duu gesogt<br />

Unt in para<strong>di</strong>se<br />

Var dos himbl scheen<br />

Afta griana bisa ie, ie, ie, ie<br />

Miar saim a bla zbaa chindarlan<br />

Chindarlan, chindarlan<br />

Miar saim a bla zbaa....<br />

Come si sarà capito nel corso della trattazione, l'impegno a Paluzza del laboratorio<br />

etnomusicologico dell'Università <strong>di</strong> Trento non finisce qui. Nuovi e più articolati rilevamenti<br />

sono stati già programmati per i prossimi mesi primaverili parallelamente allo stu<strong>di</strong>o “da<br />

tavolino” <strong>di</strong> tutta la documentazione <strong>di</strong>sponibile. Un impegno che mira in tempi ragionevoli a<br />

proporre uno stu<strong>di</strong>o monografico su tale importante realtà etnomusicologica alpina.<br />

Desidero in chiusura, sottolineare la grande <strong>di</strong>sponibilità, la cortesia e la pazienza che i cantori<br />

<strong>di</strong> Cleulis e <strong>di</strong> Paluzza hanno avuto nel corso del nostro rilevamento ed anche un certo clima <strong>di</strong><br />

reciproca simpatia e <strong>di</strong> rispetto che mi pare si sia creato e che costituisce la base<br />

in<strong>di</strong>spensabile per qualsiasi ulteriore sviluppo del lavoro.<br />

Note<br />

1) La tendenza delle giovani generazioni a riappropriarsi del patrimonio <strong>di</strong> canti tra<strong>di</strong>zionali è oramai un dato in<br />

crescita in tutta Italia: lo <strong>di</strong>mostra , se non altro, il moltiplicarsi <strong>di</strong> gruppi musicali a tutti i livelli (da quelli cosiddetti<br />

folk a quelli popolari e perfino alle formazioni pop e rock e alla recente esplosione dello pseudo rap ) e soprattutto il<br />

crescere <strong>di</strong> iniziative <strong>di</strong> ricerca a carattere locale a cura <strong>di</strong> associazioni giovanili e amministrazioni comunali.<br />

2) Nepomuceno Bolognini, Usi e costumi del Trentino, 1882-1892 (ristampa anastatica, ed. Forni, Bologna 1979, pag.<br />

2). Lagnanze <strong>di</strong> questo tipo si ritrovano anche più in<strong>di</strong>etro nel tempo: cfr. Ignazio Macchiarella, Continuità e<br />

trasformazione della musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, in «Avi<strong>di</strong> Lumi. Quadrimestrale <strong>di</strong> culture musicali del teatro Massimo<br />

<strong>di</strong> Palermo», n. 2, 1997. Va detto per inciso che nostalgiche invettive contro «il progresso tecnologico» si ritrovano<br />

ancora oggi come corollario <strong>di</strong> certi stu<strong>di</strong> sulla musica etnica: nessun etnomusicologo (e comunque nessuna persona <strong>di</strong><br />

buon senso), però, può effettivamente rammaricarsi per la scomparsa <strong>di</strong> un mondo fatto <strong>di</strong> miseria e <strong>di</strong> vessazioni per le<br />

classi più umili, per quanto importante possa essere stato il bagaglio musicale che in questo modo è andato perso. Altra<br />

cosa è invece il rammarico verso certe con<strong>di</strong>zioni che hanno limitato nel nostro paese l'avvio della documentazione<br />

etnomusicologica fin quasi agli anni '60 (ve<strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, L'altra musica, Giunti-Ricor<strong>di</strong> 1991) compromettendo in<br />

questo modo la conoscenza in vivo <strong>di</strong> molti repertori in seguito scomparsi.<br />

3) Sugli obbiettivi dell'etnomusicologia nella cultura <strong>di</strong> massa si veda ad esempio M. Peter Baumann, (a cura <strong>di</strong>) World<br />

Music. Musics of the World, Florian Noetzel Verlag, Wilhelmshaven, 1992.<br />

4) Con il termine polivocalità in etnomusicologia si in<strong>di</strong>ca qualsiasi esecuzione realizzata da più cantori sia essa o meno<br />

articolata in parti <strong>di</strong>stinte. Ve<strong>di</strong>: Ignazio Macchiarella, <strong>Il</strong> canto a più voci <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale in R. Ley<strong>di</strong> (a cura <strong>di</strong>),<br />

Guida alla musica popolare in Italia, LIM, Lucca 1996.<br />

5) Ve<strong>di</strong> Anima della Carnia, a cura <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Noliati, Società Filologia Friulana, U<strong>di</strong>ne 1980. Alcuni brani delle


iesecuzioni del coro Birchebner sono depositati nell’Archivio della Discoteca <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Roma: ve<strong>di</strong> Etnomusica, a<br />

cura <strong>di</strong> S. Biagiola, Roma, ed. Discoteca <strong>di</strong> Stato, 1986. Sul relativo valore documentario che hanno riesecuzioni corali<br />

<strong>di</strong> questo tipo si veda Diego carpitella, Musica e tra<strong>di</strong>zione orale, Flaccovio, Palermo 1973, nonché Ignazio<br />

Macchiarella, Introduzione allo stu<strong>di</strong>o del canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale nel Trentino, in corso <strong>di</strong> stampa.<br />

6) Sull'uso della trascrizione in etnomusicologia ve<strong>di</strong> Bela Bartok,Scritti sulla musica popolare, Torino, Boringhieri,<br />

1977; Giovanni Giuriati, Trascrizione in M. Agamennone et al., Grammatica della musica etnica, Bulzoni, Roma 1991<br />

e Ignazio Macchiarella, Introduzione alla trascrizione della musica popolare, Bologna, Dipartimento <strong>di</strong> Musica e<br />

Spettacolo, 1989.<br />

7) Su questi aspetti ve<strong>di</strong> Macchiarella, Introduzione allo stu<strong>di</strong>o del canto ..., op. cit., Appen<strong>di</strong>ce III-nota alle<br />

trascrizioni.<br />

8) Delle quattro strofe che compongono l’esecuzione in questione solo l’ultima ha la ripetizione dei versi finali, mentre<br />

le altre due sono ciascuna <strong>di</strong> quattro versi.<br />

9) Gli studenti trentini che vi hanno preso parte sono stati Massimo Bolognini, Boris Ferrari, Sandra Matuella, Sonia<br />

Parisi, Dennis Pisetta, Clau<strong>di</strong>o Todeschini, tutti frequentanti il seminario teorico-pratico nell’ambito del Laboratorio<br />

etnomusicologico della Facoltà <strong>di</strong> Lettere.<br />

10) Sull’argomento ve<strong>di</strong> Ernest Emsheimer, Some Remarks on Europea Folk Polyphony, «Journal of International Folk<br />

Music Council», XVI 1964.<br />

11) Sulla ballata in Italia e sui rapporti con il patrimonio tra<strong>di</strong>zionale europeo ve<strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, Sentite buona gente<br />

.... in Canti popolari (a cura <strong>di</strong> R. Ley<strong>di</strong>), Electa, Milano 1990 e l'ampia introduzione <strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, Canté bergera,<br />

Diakronia, Vigevano 1992.<br />

12) Ve<strong>di</strong> Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, Roux-Frassati, Torino 1888. Sull’importanza <strong>di</strong> questa<br />

raccolta nello stu<strong>di</strong>o del canto narrativo in Italia ve<strong>di</strong> R. Ley<strong>di</strong> , Canté Bergera, cit., pp. 7 sgg.<br />

13) Sulla possibile derivazione dall'estero del testo verbale del canto ve<strong>di</strong> Nigra, Canti popolari, cit., pagg. 224 sgg. Per<br />

altre attestazioni del canto nell'Italia Settentrionale ve<strong>di</strong> Renato Morelli, Identità musicale della Val dei Mocheni,<br />

Istituto Culturale Mocheno-Cimbro, Palù (Trento) 1997, pag. 233.<br />

14) Ve<strong>di</strong> Morelli, Identità Musicali , op. cit., pagg. 137 sgg. ; e Roberto Starec, .<br />

15) Su altre attestazioni <strong>di</strong> repertori cantati in lingue derivate dal tedesco si veda Gerlinde Haid, Apporti <strong>di</strong> area<br />

germanofona nel canto e nella musica popolare della Val <strong>di</strong> Fassa , in Fabio Chiocchetti, Musiche e canti popolari in<br />

Val <strong>di</strong> Fassa , Institut Cultural La<strong>di</strong>n, Vigo <strong>di</strong> Fassa 1997, con relativi rinvii bibliografici.


7-I Canti <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione <strong>Orale</strong> nel Trentino<br />

INTRODUZIONE<br />

Secondo un luogo comune molto ra<strong>di</strong>cato, anche perché alimentato da tante becere<br />

trasmissioni televisive, il canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale dalle nostre parti sarebbe oramai scomparso<br />

o in via <strong>di</strong> rapida sparizione. Soltanto pochi anziani - si crede - "ricordano qualche antico<br />

canto" che eccezionalmente sono in grado <strong>di</strong> rieseguire. Altrimenti, se si vuole conoscere<br />

l'ere<strong>di</strong>tà della tra<strong>di</strong>zione vocale <strong>di</strong> montagna, bisogna in<strong>di</strong>rizzarsi verso i cori alpini organizzati<br />

(modello SAT/SOSAT) e le relative armonizzazioni delle "melo<strong>di</strong>e <strong>di</strong> una volta".<br />

In realtà le cose non stanno affatto così: ancora oggi in Trentino - così come in tutto l'Arco<br />

Alpino - esiste un ricco e articolato patrimonio <strong>di</strong> canti trasmessi per tra<strong>di</strong>zione orale - ed<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dai cori alpini organizzati - che la ricerca etnomusicologica stu<strong>di</strong>a<br />

attivamente. Certamente, tali canti sono ben <strong>di</strong>versi e meno numerosi rispetto a quelli del<br />

passato. La musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, del resto, non è mai conservatrice né immutabile, bensì<br />

si trasforma continuamente, mo<strong>di</strong>ficando ed adattando le sue espressioni alle nuove realtà<br />

della vita sociale. È dunque normale che certi canti siano stati abbandonati (per esempio: che<br />

senso avrebbero oggi, nell'epoca della meccanizzazione dell'agricoltura, quei canti legati ai<br />

lavori manuali nei campi <strong>di</strong> una volta?) così come è normale che vi siano nuove occasioni per<br />

cantare e che il repertorio tra<strong>di</strong>zionale abbia acquisito nuovi significati sociali. Tali processi <strong>di</strong><br />

trasformazioni sono sempre avvenuti: già cento venti e più anni fa, ad esempio, l'eru<strong>di</strong>to<br />

trentino Nepomuceno Bolognini si lamentava a modo suo della per<strong>di</strong>ta del canto e delle<br />

tra<strong>di</strong>zioni popolari che "a poco a poco vanno scomparendo, soffocate e rimpastate<br />

dall'invadente affratellamento dei popoli che viene, viene a corsa sfrenata nei posti <strong>di</strong> terza<br />

classe delle ferrovie e dei tram a vapore o a cavalli che sia"! <strong>Il</strong> patrimonio musicale <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zione orale del Trentino è caratterizzato dalle forme <strong>di</strong> canto polifonico , a due o più parti<br />

vocali, quasi sempre senza accompagnamento strumentale.<br />

Tra<strong>di</strong>zione orale e coralità alpina<br />

Nel Trentino, come un po' in tutto l'Arco Alpino, la coralità organizzata è oggi un fenomeno<br />

musicale molto importante. Questa si caratterizza per l'esecuzione <strong>di</strong> brani fissati dalla<br />

scrittura su pentagramma (spesso armonizzazioni <strong>di</strong> linee melo<strong>di</strong>che ricavate da canti <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zione orale) e per la presenza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore, <strong>di</strong>plomato al conservatorio ed esperto<br />

conoscitore della teoria musicale "colta". Va però osservato che anche all'interno dei cori


organizzati la trasmissione orale e l'appren<strong>di</strong>mento attraverso l'ascolto rivestono ancora una<br />

basilare importanza. Non tutti i coristi sanno leggere la musica - anzi in alcuni dei più famosi<br />

cori della regione si contano sulle punta delle <strong>di</strong>ta i cantori che possiedono queste capacità - e i<br />

canti vengono insegnati dal maestro attraverso delle strategie assai prossime a quelle della<br />

tra<strong>di</strong>zione orale (ascolto/imitazione, passaggio "bocca-orecchio"). Ogni coro trentino<br />

me<strong>di</strong>amente ha in repertorio <strong>di</strong>verse decine <strong>di</strong> canti. Pertanto ciascun corista - che come si è<br />

detto nella maggior parte dei casi non conosce o non usa la scrittura musicale - deve ricordare<br />

un numero altrettanto elevato <strong>di</strong> linee melo<strong>di</strong>che. Basta questa semplice osservazione per<br />

<strong>di</strong>mostrare il legame essenziale fra la coralità organizzata e la polivocalità tra<strong>di</strong>zionale: solo<br />

delle armonizzazioni fortemente ra<strong>di</strong>cate nel bagaglio culturale dei coristi possono essere<br />

memorizzate in questo modo. Se ciò non fosse l'uso della scrittura sarebbe in<strong>di</strong>spensabile. Se<br />

cioè le armonizzazioni non rispettassero in certo modo le basi <strong>di</strong> quella competenza polivocale<br />

<strong>di</strong> cui abbiamo parlato (e fossero realizzate, per esempio, sui modelli della musica d'arte<br />

barocca, o romantica o comunque lontana della musica etnica) certamente non sarebbe<br />

possibile la loro memorizzazione per dei cantori non professionisti come sono quelli dei cori<br />

alpini.<br />

Del resto Silvio Pedrotti (che gentilmente mi ha parlato della sua attività musicale nel corso <strong>di</strong><br />

un lungo incontro nel febbraio 1997) mi ha raccontato che la commissione del coro SAT ha<br />

richiesto ed ottenuto che niente meno Arturo Benedetti Michelangeli correggesse le proprie<br />

armonizzazioni in alcuni punti in cui esse risultavano <strong>di</strong>fficilmente eseguibili, cioè -<br />

verosimilmente - lontane dal modello standard.<br />

Al <strong>di</strong> là del fatto tecnico-musicale il mondo della coralità organizzata è interessante anche per<br />

la <strong>di</strong>mensione sociale comunque compresa nella sua attività. Far parte <strong>di</strong> un coro è<br />

essenzialmente motivo <strong>di</strong> aggregazione comunitaria: il concerto o l'incisione <strong>di</strong>scografica - al<br />

contrario <strong>di</strong> quanto pensano alcuni stu<strong>di</strong>osi - sono solo un pretesto per l'attività corale, non il<br />

suo scopo primario, che è invece, stare insieme, ritrovarsi dopo il lavoro. Al <strong>di</strong> fuori dei concerti<br />

e delle relative prove preparatorie, i coristi si ritrovano spesso, cantando insieme brani del<br />

repertorio specifici del coro <strong>di</strong> cui fanno parte, brani <strong>di</strong> altri cori o brani tra<strong>di</strong>zionali e non<br />

armonizzati. È in tali occasioni informali che si manifesta pienamente la sostanziale<br />

competenza tra<strong>di</strong>zionale (polifonia trentina) con<strong>di</strong>visa da tutti i coristi trentini: per esempio<br />

nella capacità (che ho <strong>di</strong>rettamente rilevato) <strong>di</strong> eseguire canti <strong>di</strong> cui non sono note le parti o <strong>di</strong><br />

proporre imme<strong>di</strong>atamente l'accompagnamento a più voci <strong>di</strong> una linea melo<strong>di</strong>ca appena<br />

ascoltata. Basta che qualcuno intoni una melo<strong>di</strong>a e subito c'è chi la raddoppia una terza sopra<br />

(o sotto) e chi aggiunge una parte <strong>di</strong> basso secondo lo schema della musica tra<strong>di</strong>zionale prima<br />

citato.<br />

D'altra parte se si analizzasse la struttura profonda dei repertori utilizzati dai <strong>di</strong>versi cori,<br />

sfrondandola degli artifici e dei manierismi superficiali, sono certo che emergerebbe<br />

chiaramente l'ossatura base della polivocalità alpina - magari volutamente inquadrata dentro


un contesto armonico pienamente tonale. Del resto anche ad uno sguardo superficiale appare<br />

evidente la sostanziale omoritmia delle parti e il ruolo fondante dell'intervallo armonico <strong>di</strong><br />

terza. (Ciò al <strong>di</strong> là della bravura degli armonizzatori, capaci <strong>di</strong> variare e "vivificare" il modello<br />

base: argomento questo che ci porterebbe al <strong>di</strong> là degli obbiettivi dell'incontro o<strong>di</strong>erno e che<br />

pertanto tratteremo in una apposita occasione più avanti). A queste ragioni si associano anche<br />

motivi simbolici e <strong>di</strong> indentità etnica che si rispecchiano anche nella scelta dei testi, o nella<br />

avvertita <strong>di</strong>versità stilistica.<br />

D'altra parte il mondo della coralità organizzata non può non influenzare la pratica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione<br />

orale. Numerosi sono ad esempio i brani eseguiti nelle occasioni <strong>di</strong> incontro collettive (contesti<br />

esecutivi) che adattano secondo la prassi esecutiva tra<strong>di</strong>zionale, (polifonia trentina) i più<br />

famosi canti del repertorio della coralità alpina.<br />

ESEMPIO SONORO RACCOLTA 142 BRANO 9<br />

«In alto i cor / com'è dolce l'u<strong>di</strong>r» Katzenau (versione cantata del brano Fior <strong>di</strong> roccia<br />

<strong>di</strong> Giacomo Sartori, 1914; parole <strong>di</strong> Romano Joris 1919) - per altre informazioni su<br />

questo brano ve<strong>di</strong> Mirko Saltori, Giacomo Sartori, il circolo mandolinistico trentino, Tesi<br />

<strong>di</strong> Laurea in Etnomusicologia, Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia <strong>di</strong> Trento, A.A. 1999-2000)<br />

Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e due donne originari <strong>di</strong> Faedo. Registrazione<br />

realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio Macchiarella.<br />

Allo stesso tempo le convenzioni esecutive apprese facendo parte <strong>di</strong> un coro alpino hanno<br />

riflesso anche nella pratica tra<strong>di</strong>zionale. È il caso, ad esempio, delle esecuzioni in cui si notano<br />

moti obliqui (o contrari) fra le parti che producono cadenze chiaramente <strong>di</strong> tipo tonale, oppure<br />

i casi in cui la parte maschile ribatte alcune note (<strong>di</strong> solito primo e quinto grado della scala)<br />

omoritmicamente con le due (o più) superiori, determinando una sorta <strong>di</strong> effetto pedale<br />

mobile. Ciò è soprattutto evidente nel pratica polifonica dei gruppi maschili, che spesso<br />

de<strong>di</strong>cano una particolare attenzione perfino alla <strong>di</strong>namica (cosa poco comune nella tra<strong>di</strong>zione<br />

orale). Ad<strong>di</strong>rittura secondo alcuni cantori cembrani una continua variazione del volume<br />

qualifica il «bel canto» e la cura della <strong>di</strong>namica è comunque in<strong>di</strong>spensabile per la buona riuscita<br />

dell'esecuzione: «a far bene, sostiene uno dei cantori cembrani, bisogna alternare sempre<br />

piano e forte».<br />

ESEMPIO SONORO RACCOLTA 106 BRANO1<br />

«Siete turchi lo sapete» (I scalini della scala). Frammento. Registrazione realizzata a<br />

Cembra il 26/7/1999 da Ignazio Macchiarella, Sandra Matuella e Boris Ferrari.<br />

La polifonia femminile, invece, sono più "fedeli" alla tra<strong>di</strong>zione e meno proclivi ad accettare<br />

innovazioni o influenze della coralità alpina organizzata. L'andamento polifonico è<br />

rigorosamente a due parti vocali, anch'esse definite prima e seconda, le quali procedono<br />

omoritmicamente, con minime variazioni <strong>di</strong>namiche ed agogiche. In qualche caso vengono<br />

realizzati dei raddoppi all'ottava superiore in fase <strong>di</strong> cadenza. Le strofe sono piuttosto brevi e<br />

regolari, formate da due-quattro versi musicali.


Polifonia trentina<br />

È indubbio che la polifonia rappresenti l'espressione maggiormente caratterizzante del<br />

patrimonio etnomusicologico trentino, anzi, si potrebbe sostenere che ne costituisca il<br />

fondamento, il car<strong>di</strong>ne essenziale. Cantare a più voci (ve<strong>di</strong> canto polifonico) è una pratica che<br />

nella tra<strong>di</strong>zione orale non ha finalità estetiche (come avviene invece nel caso della coralità<br />

alpina organizzata). Si tratta <strong>di</strong> una azione connaturata allo stare insieme e che perciò<br />

presuppone l'esistenza <strong>di</strong> precise occasioni <strong>di</strong> incontro collettivo quali sono, ancor oggi, le<br />

serate in osteria, le feste paesane o private, le gite, eccetera (ve<strong>di</strong> contesti esecutivi). In tali<br />

occasioni il canto è <strong>di</strong> norma eseguito con il concorso <strong>di</strong> tutti i partecipanti e risulta articolato<br />

almeno in due parti vocali: ogni parte viene realizzata da più cantori all'unisono. Per cantare<br />

insieme a più parti è necessaria comunque una particolare competenza dei partecipanti che<br />

debbono in qualche modo collaborare reciprocamente. Ciò si deve ammettere anche nel caso in<br />

cui il risultato musicale sia il più semplice possibile: il raddoppio <strong>di</strong> una linea melo<strong>di</strong>ca ad una<br />

costante <strong>di</strong>stanza intervallare. Ogni cantore ha piena consapevolezza della parte (o delle parti)<br />

che può concorrere a realizzare, se cioè sa far <strong>di</strong> "primo", <strong>di</strong> "secondo" o <strong>di</strong> "basso".<br />

Normalmente l'attacco è realizzato da una sola voce. Una volta avviata l'esecuzione tutte le<br />

voci si <strong>di</strong>stribuiscono nell'ambito delle due o più parti: un processo frutto della profonda<br />

conoscenza della struttura formale del repertorio (e mai dovuto alle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> un maestro o<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore), risultato dei meccanismi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato tra<strong>di</strong>zionali ancora operanti.<br />

«<strong>Canto</strong> <strong>di</strong> càneva». Polifonia maschile della Val <strong>di</strong> Cembra. Foto realizzata durante una<br />

registrazione nel febbraio 2002.<br />

Una competenza <strong>di</strong> questo tipo deve essere considerata come un elemento specifico della<br />

cultura trentina e, più in generale, alpina. Per intenderci: se ad esempio un gruppo qualsiasi <strong>di</strong>


siciliani, <strong>di</strong> calabresi, <strong>di</strong> toscani o <strong>di</strong> altre regioni centro-meri<strong>di</strong>onali canta in coro il risultato è<br />

in genere il raddoppio all'unisono <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a. La capacità nel <strong>di</strong>stribuirsi in più parti<br />

separate, che in Trentino costituisce la norma, è il risultato <strong>di</strong> una specializzazione nell'ambito<br />

della tra<strong>di</strong>zione orale. Non si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una capacità naturale bensì <strong>di</strong> una competenza<br />

acquisita. È perciò quanto mai inopportuno definire spontaneo il canto polivocale tra<strong>di</strong>zionale<br />

(come invece hanno fatto - e fanno tuttora - alcuni stu<strong>di</strong>osi della musica trentina). Del resto<br />

l'etnomusicologia ha chiaramente <strong>di</strong>mostrato che nessun canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, per quanto<br />

semplice possa apparire, si può considerare frutto della spontaneità! L'aggettivo spontaneo (ed<br />

altri analoghi come "genuino", "naturale", "primor<strong>di</strong>ale") che viene applicato alla musica <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zione orale riflette approcci <strong>di</strong> tipo romantico che nulla hanno a che fare con la ricerca<br />

etnomusicologica.<br />

Per quanto riguarda la struttura musicale, la polivocalità trentina rientra pienamente nella<br />

tipologia caratteristica dell'area alpina, variante del più generale modello <strong>di</strong>ffuso nell'Italia<br />

settentrionale e in tutta l'Europa centro-orientale. Si tratta <strong>di</strong> un impianto melo<strong>di</strong>co-lineare,<br />

imperniato su due parti parallele alle quali si possono aggiungere una terza ed una quarta<br />

parte, al grave e/o all'acuto. Le due parti fondamentali procedono omoritmicamente, nota<br />

contro nota, ad una costante <strong>di</strong>stanza intervallare costituita <strong>di</strong> norma da una terza. Le parti<br />

eventualmente aggiunte <strong>di</strong> solito raddoppiano all'ottava, inferiore e/o superiore, le due<br />

fondamentali. Ciascuna parte può essere eseguita da più <strong>di</strong> un cantore. <strong>Il</strong> numero delle voci<br />

che cantano l'una è in<strong>di</strong>pendente rispetto a quello delle altre. L'esecuzione è solitamente<br />

avviata da una sola voce. L'entrata delle altre, e quin<strong>di</strong> della seconda parte, ha luogo <strong>di</strong> solito<br />

al primo accento forte nel caso vi sia attacco con anacrusi, evenienza decisamente or<strong>di</strong>naria<br />

nel Trentino. Tutte le parti cantano il testo verbale. Nel corso dell'esecuzione il rigido<br />

parallelismo può essere interrotto da note <strong>di</strong> volta, ritar<strong>di</strong> o anticipazioni realizzate da una delle<br />

due parti. Si tratta, comunque, sempre <strong>di</strong> passaggi transitori e con carattere ornamentale che<br />

spesso sono in<strong>di</strong>cative <strong>di</strong> rapporti con la coralità organizzata (tra<strong>di</strong>zione orale e coralità alpina).<br />

Di norma il canto è a cappella. Solo in alcuni casi si sono ascoltate esecuzioni con<br />

l'accompagnamento <strong>di</strong> strumenti musicali (fisarmonica soprattutto) che si limitano a proporre<br />

un ulteriore raddoppio della linea melo<strong>di</strong>ca (sostenuto, nel caso della fisarmonica, dagli accor<strong>di</strong><br />

sui gra<strong>di</strong> fondamentali della scala).


Polifonia femminile a Cembra. Fotografia scattata durante una registrazione nell'agosto 2001.<br />

Al degli aspetti tecnico-formali, la polifonia trentina assume soprattutto dei valori simbolici,<br />

valori attraverso cui si esprime il piacere dello stare e del cantare insieme che sono ancora<br />

molto avvertiti (e non soltanto nelle valli o nei paesini isolati), riaffermando con forza la<br />

specificità e l'identità culturale della provincia.<br />

Contesti esecutivi<br />

Nel complesso il Trentino possiede un vasto patrimonio <strong>di</strong> canti trasmessi per tra<strong>di</strong>zione orale<br />

che facilmente si può documentare girando per le vallate. Un patrimonio che rappresenta<br />

un'espressione musicale viva, conosciuta ed eseguita da una fascia piuttosto ampia <strong>di</strong><br />

popolazione. Un'espressione piacevole per chi la realizza, che possiede dei precisi significati<br />

sociali e veicola dei valori collettivi: attraverso il canto tra<strong>di</strong>zionale una comunità si riconosce e<br />

si manifesta come tale.<br />

Nella o<strong>di</strong>erna realtà del Trentino i contesti esecutivi più importanti sono indubbiamente<br />

costituiti dalle numerose occasioni <strong>di</strong> incontro collettivo extralavorativo. È il caso soprattutto<br />

degli incontri fra uomini e donne nelle se<strong>di</strong> dei circoli ricreativi, delle associazioni culturali, delle<br />

società alpinistiche e così via. Contesti assai importanti sono i festeggiamenti legati alle<br />

ricorrenze del calendario annuale, religiose o profane, oppure le innumerevoli sagre paesane e<br />

feste sociali, promosse delle società alpinistiche, dalle pro-loco, dai circoli ANA, dalle<br />

associazioni cattoliche e così via, che ravvivano ciascun paese della provincia soprattutto nei<br />

mesi primaverili-estivi. In queste occasioni, al <strong>di</strong> là della programmazione ufficiale (spesso<br />

imperniata su un concerto <strong>di</strong> uno o più cori alpini organizzati) gli uomini e le donne, i giovani e


gli anziani <strong>di</strong> un paese si ritrovano insieme - magari con il pretesto <strong>di</strong> un banchetto in piazza o<br />

<strong>di</strong> una bevuta <strong>di</strong> vino ed un assaggio <strong>di</strong> prodotti alimentari "tipici" - finendo, <strong>di</strong> norma, per<br />

intonare dei canti tra<strong>di</strong>zionali alla cui esecuzione possono prendere parte tutti i convenuti.<br />

ESEMPIO SONORO RACCOLTA 33 BRANO 2<br />

«Sento il fischio del vapore». (brano appartenente al genere canzone tra<strong>di</strong>zionale ve<strong>di</strong><br />

Principali Repertori) Esecuzione contestuale effettuata durante un banchetto dei<br />

membri <strong>di</strong> un'associazione privata. Registrazione realizzata a Storo il 1/3/1996 da<br />

Ignazio Macchiarella.<br />

"Cembra 1999: si canta al termine <strong>di</strong> un banchetto<br />

Accanto alle occasioni <strong>di</strong> incontro collettivo pubbliche vi sono quelle a carattere privato-<br />

familiare, connesse a cerimonie celebrative (ad esempio banchetti <strong>di</strong> nozze, battesimi,<br />

compleanni) o senza una specifica motivazione (cene in campagna, riunioni tra amici e<br />

parenti). In tali circostanze l'esecuzione dei repertori tra<strong>di</strong>zionali può durare a lungo e,<br />

soprattutto in estate, può protrarsi fino a tarda notte. In tutti i casi fin qui citati il canto ha<br />

funzione <strong>di</strong> intrattenimento collettivo, espressione del piacere del ritrovarsi insieme. Esso<br />

inoltre costituisce un fondamentale strumento <strong>di</strong> identificazione sociale, al pari del <strong>di</strong>aletto:<br />

attraverso l'esecuzione musicale (che non ha bisogno <strong>di</strong> prove o <strong>di</strong> specifica preparazione) <strong>di</strong><br />

brani a tutti noti, i partecipanti ad un incontro si riconoscono imme<strong>di</strong>atamente come membri <strong>di</strong><br />

una stessa comunità.


ESEMPIO SONORO RACCOLTA 142 BRANO 8<br />

«In riva al mare/ C'è un prât fiorito». Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e due donne<br />

originari <strong>di</strong> Faedo che ogni tanto, privatamente, si ritrovano insieme, in città.<br />

Registrazione realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio Macchiarella.<br />

Per il resto, scomparsi del tutto i contesti esecutivi connessi alle attività lavorative manuali del<br />

passato, vi sono ancora alcune feste del calendario annuale in occasione delle quali hanno<br />

luogo rituali che prevedono l'esecuzione <strong>di</strong> specifici repertori tra<strong>di</strong>zionali. È il caso del<br />

Carnevale che in alcuni paesi prevede lo svolgimento <strong>di</strong> articolate rappresentazioni in<br />

maschera, oppure del Natale e dell'Epifania quando si svolgono delle questue rituali.<br />

Particolare importanza ha il cosiddetto canto dei Tre re, <strong>di</strong>ffuso in <strong>di</strong>verse varianti, che<br />

accompagna il rituale della Stela, una questua rituale <strong>di</strong> fine/inizio d'anno incentrata su un<br />

canto il cui testo è documentato in fonti a stampa del XVI secolo (ve<strong>di</strong> Renato Morelli, Dolce<br />

felice notte ... Sacri canti <strong>di</strong> Giovan Battista Michi, Quaderni <strong>di</strong> Trentino Cultura, Trento 2001).<br />

ESEMPIO SONORO RACCOLTA 71 BRANO 9<br />

«Noi siamo i tre re dell'Oriente» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Esecuzione contestuale.<br />

Registrazione effettuata a Palù - Val dei Mocheni, il 31/12/1997 da Sandra Matuella e<br />

Boris Ferrari.<br />

Rituale della Stela, Palù - Val dei Mocheni, il 31/12/1997<br />

Negli ultimi anni il <strong>Canto</strong> dei tre re con il rituale della Stela sono oggetto <strong>di</strong> una notevole<br />

revival in numerosi paesi della provincia. A Faedo, ad esempio, per iniziativa <strong>di</strong> alcuni uomini


(soprattutto dei fratelli Bruno e Giovanni Filippi) viene organizzato una articolata<br />

manifestazione, con la presenza <strong>di</strong> vari figuranti che coinvolge praticamente l'intero paese.<br />

L'esempio sonoro si riferisce all'e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> quest'anno.<br />

ESEMPIO SONORO RACCOLTA 141 BRANO 1<br />

«Noi siamo i tre re» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Esecuzione gruppo <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci uomini circa.<br />

Registrazione contestuale realizzata a Faedo il 5/1/2002 da Ignazio Macchiarella e<br />

Dennis Pisetta.<br />

Revival <strong>di</strong> questo tipo vengono sempre più documentati in provincia anche a proposito <strong>di</strong> altri<br />

rituali e <strong>di</strong> altre forme <strong>di</strong> canto e <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> stare insieme tra<strong>di</strong>zionali. Si tratta <strong>di</strong> interessanti<br />

segnali che si inseriscono entro più generali processi <strong>di</strong> riappropriazione della musica e più in<br />

generale della cultura tra<strong>di</strong>zione da parte delle giovani generazioni, in Italia ed un po' in tutta<br />

Europa: una riscoperta delle micro-specificità culturali a carattere locale che si oppone, più o<br />

meno esplicitamente o consapevolmente, alla tendenze all'omologazione della società <strong>di</strong> massa<br />

(per lo specifico italiano ve<strong>di</strong> Ignazio Macchiarella, Voix d'Italie, Cité de la musique/Actes Sud,<br />

Paris 1999).<br />

Raduno <strong>di</strong> "stellari" della Val Rendena a Vermiglio. Dicembre 2000<br />

L'ambiente familiare, infine, costituisce ancora, in <strong>di</strong>versi casi, il contesto esecutivo per<br />

repertori privati come ninna-nanne, filastrocche eccetera. Tali contesti, tuttavia, sono assai<br />

<strong>di</strong>fficilmente documentabili in vivo proprio perché appartenenti alla sfera più intima della vita<br />

domestica. Non mancano comunque le testimonianze da parte <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse donne che riferiscono<br />

<strong>di</strong> eseguire spesso tali repertori ai propri figli o nipoti (v. ad esempio la tesi <strong>di</strong> laurea in<br />

etnomusicologia <strong>di</strong> Saba Terzi, Ninnananne e canti infantili del Trentino, Facoltà <strong>di</strong> Lettere e<br />

Filosofia <strong>di</strong> Trento, Anno Accademico 1999-2000, relatore prof. Rossana Dalmonte - i materiali<br />

raccolti per la realizzazione <strong>di</strong> questa tesi sono depositati presso l'Archivio del Laboratorio <strong>di</strong><br />

Etnomusicologia - raccolte 93-97)


ESEMPIO SONORO RACCOLTA 93 BRANO 1<br />

«Izo izo cavalizo». Registrazione effettuata a Tione il 30/4/1999 da Saba Terzi<br />

ESEMPIO SONORO RACCOLTA 95 BRANO 2<br />

«Din don campanon». Registrazione effettuata a Vigo Rendena il 26/5/1999 da Saba<br />

Terzi<br />

Bambini partecipanti al raduno <strong>di</strong> "stellari" della Val Rendena a Vermiglio. Dicembre 2000<br />

Documenti Documenti sonori sonori originali originali proposti proposti all'ascolto::<br />

all'ascolto::<br />

RACCOLTA 15 BRANO 1<br />

«Faghe la ninna nanna». Registrazione realizzata a Faedo nel novembre-<strong>di</strong>cembre<br />

1993 da Bruno Filippi, Roberto Gianotti e Renato Morelli. Copia del documento sonoro<br />

originale donato da Bruno Filippi al Laboratorio <strong>di</strong> Etnomusicologia nel 1996.<br />

RACCOLTA 16 BRANO 1<br />

«Teresina va ti vesti» (Bella al ballo). Frammento. Registrazione realizzata a Faedo nel<br />

novembre-<strong>di</strong>cembre 1993 da Bruno Filippi, Roberto Gianotti e Renato Morelli. Copia del<br />

documento sonoro originale donato da Bruno Filippi al Laboratorio <strong>di</strong> Etnomusicologia<br />

nel 1996.<br />

RACCOLTA 31 BRANO 1<br />

Trato marzo. Frammento. (esecuzione non contestuale, su richiesta del ricercatore).<br />

Registrazione realizzata a Storo il 1/3/1996 da Ignazio Macchiarella.<br />

RACCOLTA 33 BRANO 2<br />

«Sento il fischio del vapore». Frammento. Esecuzione contestuale durante un<br />

banchetto dei membri <strong>di</strong> un'associazione privata. Registrazione realizzata a Storo il<br />

1/3/1996 da Ignazio Macchiarella.<br />

RACCOLTA 36 BRANO 12<br />

«La vien giù dalle montagna» (Casto rifiuto). Frammento. Registrazione realizzata a<br />

Con<strong>di</strong>no il 11/3/1996 da Ignazio Macchiarella.


RACCOLTA 47 BRANO 11<br />

«El villano che zappa la terra» (Volta la carta). Frammento. Esecuzione <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />

anziani frequentanti i corsi dell'Università della III età. Registrazione realizzata a<br />

Trento il 28/11/1996.<br />

RACCOLTA 71 BRANO 9<br />

«Noi siamo i tre re dell'Oriente» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Frammento. Esecuzione<br />

contestuale. Registrazione effettuata a Palù - Val dei Mocheni, il 31/12/1997 da Sandra<br />

Matuella e Boris Ferrari.<br />

RACCOLTA 93 BRANO 1<br />

«Izo izo cavalizo». Registrazione effettuata a Tione il 30/4/1999 da Saba Terzi<br />

(materiale documentario per la realizzazione <strong>di</strong> una tesi <strong>di</strong> laurea in etnomusicologia)<br />

RACCOLTA 94 BRANO 6<br />

«La bella inglesina» (L'inglesina). Esecuzione <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong> Vermiglio<br />

durante una lezione <strong>di</strong> etnomusicologia presso la facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />

dell'Università <strong>di</strong> Trento (17 maggio 1998, aula 3)<br />

RACCOLTA 94 BRANO 1<br />

«Carezze», Valzer. Autore Francesco Riccar<strong>di</strong>. Frammento. Esecuzione <strong>di</strong> un gruppo<br />

strumentale a plettro <strong>di</strong> Meano-Gazza<strong>di</strong>na durante una lezione <strong>di</strong> etnomusicologia<br />

presso la facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia dell'Università <strong>di</strong> Trento (17 maggio 1998, aula<br />

3)<br />

RACCOLTA 95 BRANO 2<br />

«Din don campanon». Registrazione effettuata a Vigo Rendena il 26/5/1999 da Saba<br />

Terzi (materiale documentario per la realizzazione <strong>di</strong> una tesi <strong>di</strong> laurea in<br />

etnomusicologia)<br />

RACCOLTA 106 BRANO1<br />

«Siete turchi lo sapete» (I scalini della scala). Frammento. Registrazione realizzata a<br />

Cembra il 26/7/1999 da Ignazio Macchiarella, Sandra Matuella e Boris Ferrari.<br />

RACCOLTA 108 BRANO 2<br />

«E lassù sulle montagne» (La pastora e il lupo). Esecuzione gruppo <strong>di</strong> sei donne.<br />

Registrazione realizzata a Cembra il 17 agosto 1999 da Ignazio Macchiarella, Sandra<br />

Matuella e Boris Ferrari.<br />

RACCOLTA 141 BRANO 1<br />

«Noi siamo i tre re» (<strong>Canto</strong> dei tre re). Frammento. Esecuzione gruppo <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci uomini<br />

circa. Registrazione contestuale realizzata a Faedo il 5/1/2002 da Ignazio Macchiarella<br />

e Dennis Pisetta.<br />

RACCOLTA 142 BRANO 8<br />

«In riva al mare/ C'è un prât fiorito». Frammento. Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e<br />

due donne originari <strong>di</strong> Faedo. Registrazione realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio<br />

Macchiarella.<br />

RACCOLTA 142 BRANO 9<br />

«In alto i cor / com'è dolce l'u<strong>di</strong>r» Katzenau. Frammento. (versione cantata del brano<br />

Fior <strong>di</strong> roccia <strong>di</strong> Giacomo Sartori, 1914; parole <strong>di</strong> Romano Joris 1919) - per altre<br />

informazioni su questo brano ve<strong>di</strong> Mirko Saltori, Giacomo Sartori, il circolo<br />

mandolinistico trentino, Tesi <strong>di</strong> Laurea in Etnomusicologia, Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia<br />

<strong>di</strong> Trento, A.A. 1999-2000) Esecuzione gruppo <strong>di</strong> tre uomini e due donne originari <strong>di</strong><br />

Faedo. Registrazione realizzata a Trento il 20/2/2002 da Ignazio Macchiarella.


8-La Musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale in Abruzzo<br />

La trascrizione <strong>di</strong> un brano <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale sul pentagramma, un arrangiamento,<br />

un’orchestrazione, una libera trasposizione per pianoforte, ha causato un così forte impoverimento<br />

delle caratteristiche proprie della musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale (da un punto <strong>di</strong> vista demoantropologico<br />

e musicologico) da determinarne la sua quasi totale estinzione. Epitaffio la tarantella per pianoforte.<br />

Dall’altro lato molti stu<strong>di</strong>osi delle tra<strong>di</strong>zioni, seguendo un istinto romantico hanno trascritto i testi<br />

senza il loro contesto musicale, finendo cosi <strong>di</strong> smembrare quel corpus in<strong>di</strong>ssolubile cui musica e<br />

canto partecipano. Insensibilmente si è passati da folklore/musica tra<strong>di</strong>zionale a folklorismo/musica<br />

popolare che non sono sinonimi. I folklorismi sono rappresentazioni più o meno artistiche e infedeli<br />

o ad<strong>di</strong>rittura inventate della tra<strong>di</strong>zione, manifestate in mo<strong>di</strong> e luoghi remoti rispetto alla tra<strong>di</strong>zione.<br />

In questo passaggio sono stati accantonati centinaia <strong>di</strong> brani musicali, canti e <strong>di</strong> balli mentre un<br />

unico motivo globalizzante, apocrifo, agiografico, vola vola vola (composta da Albanese -<br />

Dommarco, 1922), trionfava ignaro del <strong>di</strong>sastro, nel 1953 vincitore <strong>di</strong> un festival europeo ad<br />

epitaffio della tra<strong>di</strong>zione musicale abruzzese. Un altro esempio é reginella campagnola <strong>di</strong> C.<br />

Bruno e Eldo Di Lazzaro (1939), composizione che nulla ha a che fare con lo stile e i contenuti della<br />

musica e del canto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale abruzzese. Nel secolo appena passato, il cambio culturale ha<br />

agito profondamente e rapidamente spostando la proprietà della musica, del canto e della danza dal<br />

popolo ad Enti impersonali come le case e<strong>di</strong>trici, la SIAE, la RAI, le emittenti ra<strong>di</strong>ofoniche, i gestori<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>scoteche, le multinazionali.<br />

<strong>Il</strong> risultato ultimo è la decontestualizzazione e defunzionalizione della musica tra<strong>di</strong>zionale in<br />

opposizione al sincretismo culturale della musica abruzzese che consiste nella sua tracciabilità<br />

filologica e ontologica sia in linea cronologica che in linea trasversale quando <strong>di</strong>venta, anzi è<br />

sempre, parte integrante della cultura tra<strong>di</strong>zionale, della storia, ballo, rito magico o religioso, cibo,<br />

poesia come espressione dei sentimenti umani, senza filtri estetici, morali o manierismi. Non si<br />

cantava ne a coro e a solo esisteva solo il cantare assieme e solo durante le fasi salienti della vita.<br />

Nella tra<strong>di</strong>zione non esiste una netta <strong>di</strong>fferenza tra musica, canto e ballo e resta sempre il fatto che<br />

spesso la voce e le semplici percussioni fatte con parti del corpo od oggetti comuni sostituiscono lo<br />

strumento musicale.<br />

Pochi frammenti ancora casualmente affiorano nella memoria degli abruzzesi e magari degli<br />

emigranti che ritornano per la festa del paese, ma è solo una pallida realtà rispetto all’originale. Dal<br />

dopoguerra ai giorni nostri cito il lavoro <strong>di</strong> Bruni, Nataletti, Lomax, Carpitella, Profeta, Gandolfi, De<br />

Silvestre, Giancristofaro, Gala e Di Virgilio.<br />

Domenico Di Virgilio ha cercato <strong>di</strong> riproporre lo scavo archeologico delle tra<strong>di</strong>zioni musicali<br />

abruzzesi, ma per essere creduto ha dovuto usare l’arido linguaggio del purista, del fonetista, del<br />

musicologo tecnico, ponendoci il dubbio se la <strong>di</strong>stanza che c’è tra noi e la musica tra<strong>di</strong>zionale non<br />

sia ormai troppo grande.<br />

Pino Gala ha fatto un opera unica <strong>di</strong> salvataggio e raccolta <strong>di</strong> dati etnocoreologici che ancora deve


trovare un adeguato contesto e riconoscimento ufficiale in Abruzzo.<br />

Emiliano Giancristofaro e in minor misura Lomax hanno raccolto anzi mietuto l’unica poca messe<br />

rimasta tra gli anni 50 e 60, consegnandoci un repertorio misto ormai irrecuperabilmente marcato<br />

da un leggibile folklorismo.<br />

Un esempio Scura Maje. Scura Maje è molto conosciuto ed in realtà è una paro<strong>di</strong>a del canto funebre<br />

abruzzese, veniva cantato dalla vedova del Carnevale, la più importante festa in Abruzzo, un<br />

maschio en travestì, durante il corteo funebre grottesco del carnevale. Una versione probabilmente<br />

poco rimaneggiata ce l’ha lasciata Lomax e cantata dal celebre Giuseppillo <strong>di</strong> Scanno mentre<br />

Giancristofaro riporta una versione tangata, su cui esistono ipotesi tanto esotiche quanto<br />

inverosimili, e cantata dalla celebre solista Antonietta D’Angeloantonio del gruppo folkloristico <strong>di</strong><br />

Vasto. <strong>Il</strong> lamento funebre è la forma mono<strong>di</strong>ca più arcaica <strong>di</strong> ritualizzazione del dolore. Troppo lungo<br />

il tempo richiesto per declinare tutti i vari tipi <strong>di</strong> canti e circostanze della vita associati al canto<br />

mono<strong>di</strong>co (ninnananne, canti a suspitte, alcune ballate, le ottave improvvisate). Invece lu avete e lu<br />

basse sono la base del canto bivocalico (tipico dei canti <strong>di</strong> questua: Pasquetta, San’Antonio,<br />

Passione). Quasi sempre un canto bivocalico si traduce in polivocalità se sono presenti più <strong>di</strong> tre<br />

persone come nell’esecuzione della celebre ballata la fija <strong>di</strong> Caitanelle, o le funtanelle. La<br />

polivocalità è la costruzione musicale indefinibile basata su un ingresso ad libitum dettato dall’uso e<br />

dall’abitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> più voci intorno al basso ma anche in duplicazione in sor<strong>di</strong>na all’avete. Non esiste<br />

musica tra<strong>di</strong>zionale polifonica tranne forse che nel caso dei Tenores sar<strong>di</strong>!<br />

Prima caratteristica della Musica <strong>di</strong> Tra<strong>di</strong>zione orale è il Timbro espressivo che è la qualità più<br />

importante. Ben si sposa foneticamente con il <strong>di</strong>aletto. In fatti il <strong>di</strong>aletto ha potenzialità vocali<br />

enormemente maggiori dell’Italiano che vengono <strong>di</strong> solito arrangiate in strummotti (<strong>di</strong>stico <strong>di</strong><br />

endecasillabi). <strong>Il</strong> timbro tra<strong>di</strong>zionale ha una frequenza formantica intorno a 2000-4000 Hz ma ha<br />

parziali elevatissimi fino ad oltre i 16.000 hertz. Una simile performance richiede un atteggiamento<br />

fonetico ed anatomico tipico, detto a Gola Tesa e deriva dal fatto <strong>di</strong> dover conciliare il canto col<br />

lavoro, col camminare, col farsi sentire, con la fatica fisica in generale. Infatti, nel canto spesso non<br />

esiste battuta e metrica precisi ma è il movimento a dare la scanzione, se il movimento rallenta<br />

anche il dettato musicale si allunga asimmetricamente. Oppure se il cantore non se lo ricorda e<br />

improvvisa. Altri esempio sono i canti processionali. Altre caratteristiche tecniche della musica <strong>di</strong><br />

tra<strong>di</strong>zione orale è non solo la non mensurabilità ma anche appoggiature in e (eeEEE), i portamenti,<br />

la vocalizzazione al termine della frase melo<strong>di</strong>ca e lo stop glottale. La voltata è un cambiamento del<br />

modulo melo<strong>di</strong>co e ritmico che <strong>di</strong>viene mensurabile e determina un sensibile cambio dell’atmosfera<br />

musicale si trova con frequenza come ad esempio ne la partenza, etc<br />

Che <strong>di</strong>re poi dei pregi/<strong>di</strong>fetti? del canto tra<strong>di</strong>zionale, gioia degli antropologi e dolore dei maestri <strong>di</strong><br />

corali, non è temperato e manifesta sfrontatamente un numero <strong>di</strong> “note” maggiore <strong>di</strong> quante se ne<br />

possono scrivere nel pentagramma. E' per questo che il canto tra<strong>di</strong>zionale quasi mai si avvale <strong>di</strong><br />

strumenti e comunque il passaggio all’uso <strong>di</strong> strumenti con note fisse rappresenta già un<br />

impoverimento musicale cosi come il passaggio dall’uso <strong>di</strong> strumenti a toni non fissi e suono<br />

variabile come la scupine a strumenti come la dubbotte che ne rappresenta la più facile


continuazione (con per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> richhezza espressiva). Già abbiamo parlato all’inizio <strong>di</strong> altre<br />

usurpazioni.<br />

Perchè la musica è sincretismo storico, riporto il caso della Cotte, musica e ballo <strong>di</strong> origine spagnole<br />

(jota) abruzzesizzati in un contesto storico e sociale preciso. Più recentemente un numero <strong>di</strong> brani<br />

tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> origine nord italiana sono arrivati in Abruzzo con i ragazzi del ’99 ma si sono<br />

sincretizzati assumendo le modalità polivocali e tonali del canto abruzzese.<br />

bibliografia essenziale<br />

Domenico Di Virgilio (2000) LA MUSICA DI TRADIZIONE ORALE IN ABRUZZO. Quaderni Rivista<br />

Abruzzese, 35,pp 208.<br />

Emiliano Giancristofaro (2002) CANTI POPOLARI ABRUZZESI. Quadreni Rivista Abruzzese, 42,<br />

1pp. 57.<br />

Carlo <strong>di</strong> Silvestre (1994) IL CANTO LIRICO NELLA TRADIZIONE ORALE ABRUZZESE: La<br />

partenza della sposa. I Tascabili d' Abruzzo 66, pp. 96.<br />

Canti Tra<strong>di</strong>zionali <strong>Il</strong> repertorio abruzzese è legato in parte ai folklorismi, agli arrangiamenti, alla<br />

contaminazione, cosi <strong>di</strong>fficile resistergli cosi <strong>di</strong>fficili da eliminare. Facciamo il massimo sforzo per<br />

tornare alla realtà storica. Sussiste inoltre il problema della <strong>di</strong>slocazione, della globalizzazione e<br />

dell'anacronismo delle tra<strong>di</strong>zioni ma tutto questo è quasi impossibile da eliminare anche se<br />

cerchiamo sempre <strong>di</strong> adattare le nostre partecipazioni al ciclo calendariale, alle circostanze e alla<br />

storia locale.<br />

Canti a suspitte adatti a varie situazioni ma soprattutto durante momenti allegri e <strong>di</strong> banchetto.<br />

si tratta <strong>di</strong> competizioni poetico-canore <strong>di</strong> strofe cantate spesso sul tempo <strong>di</strong> saltarella che<br />

umoristicamente trattano <strong>di</strong> varie situazioni oppure invocano la buona sorte o esprimono<br />

esortazioni amorose, la Cumbagnie li esegue accompagnati dalla musica del Du'bbotte e del<br />

tamburello. Maria Nicole, Fra Gaeta, Lu primme ammore sono quelli più popolari e ancora in<br />

voga....<br />

Maitinate Nella tra<strong>di</strong>zione il Natale non è quella festa consumistica ed eclatante che oggi<br />

conosciamo. il canto delle maitinate si esegue nel periodo dell'epifania, che è il tempo per<br />

l'omaggio al bambino Gesù e in alcune zone d'Abruzzo si accompagna anche al canto della<br />

pasquetta (pasqua-epifania) soprattutto nel Teramano. sia le maitinate che la pasquetta culminano<br />

con un canto <strong>di</strong> questua. Da questo momento fino a Maggio, i canti <strong>di</strong> questua proliferano!<br />

Sant'Antonio <strong>Il</strong> Sant'Antonio è un evento tra i più importanti tra i riti del solstizio invernale, il<br />

canto rievoca in vario modo la vita <strong>di</strong> Sant'Antonio spesso in maniera caricata e con vari spunti<br />

comici, avvolte invece è molto serio. la nostra versione è quella della zona <strong>di</strong> Chieti-francavilla ma<br />

molto <strong>di</strong>ffusa anche altrove. al fuoco delle farchie il Sant'Antonio viene cantato <strong>di</strong> casa in casa.<br />

Sant'Antonio accompagnato da due rumiti è intento alle solite faccende domestiche ma viene<br />

assalito e tormentato da 4 <strong>di</strong>avoli (li ciuce) due rossi e due neri. uno <strong>di</strong> loro è travestito da donzella<br />

peccaminosa e procace. l'Arcangelo Gabriele interviene a ripristinare l'or<strong>di</strong>ne. altre figure sono i


pastori omaggianti e l'immancabile pecorella <strong>di</strong>spettosa. tutti i personaggi sono rigorosamente<br />

interpretati da maschi mentre le femmine cantano in coro.<br />

La Scura Majë e il carnevale Satira del lamento funebre abruzzese che per altro è un genere<br />

interessantissimo e molto commovente tuttavia la Scura Maje ha spunti comici in quanto si tratta<br />

del canto funebre della vedova del Carnevale chepiangendo si lamenta della morte del marito che<br />

l'ha lasciata povera, senza un soldo e con dei figli perennemente affamati. Le strofe sono infinite e<br />

lasciano spazio all'improvvisazione, più sono tante le <strong>di</strong>sgrazie della povera vedova più aumentano<br />

le strofe. Si accompagna al rito del carnevale abruzzese con angeli, <strong>di</strong>avoli e personaggi umoristici<br />

tra cui il carnevale che viene portato in corteo e poi bruciato come si fa in tante altre parti del<br />

mondo a rappresentare il carnevale pagano in cui l'anno vecchio fa posto al nuovo.<br />

Le ballate Di gusto gotico la ballata comprende innumerevoli storie <strong>di</strong> santi, eroi o anche semplici<br />

personaggi che vivono storie d'amore contrastate. Questo è anche il caso della ancora molto<br />

<strong>di</strong>ffusa Fije <strong>di</strong> Gaitanelle, Le Fundanelle, etc. Rientra nel genere il San Giorgio e il Drago che narra<br />

la vita <strong>di</strong> S.Giorgio con particolare riferimento alla lotta con il Dragone. San Giorgio e il Dragone<br />

sono strumenti <strong>di</strong>vini per operare la conversione al cristianesimo dei miscredenti. Si tratta <strong>di</strong> canti<br />

polivocalici in cui alla voce solista subentra il coro.<br />

La partenza La serenata che lo sposo accompagnato da fisarmonica, ddu' botte e comitiva <strong>di</strong><br />

amici, portava alla sposa la notte prima del matrimonio. La comitiva si radunava sotto il balcone o<br />

la finestra della camera da letto della sposina e con il canto la invitavano ad affacciarsi alla finestra.<br />

Esistono <strong>di</strong>verse versioni <strong>di</strong> Partenze, ma il filo conduttore è sempre il <strong>di</strong>stacco (la "partenza") della<br />

figlia dalla sua famiglia <strong>di</strong> origine (soprattutto dalla mamma e sorelle) e nello stesso tempo<br />

l'augurio alla sposa <strong>di</strong> trovare nella sua futura famiglia amore con il marito e concor<strong>di</strong>a con la<br />

suocera. Non mancano spunti a doppio senso e ironici specie da parte dei fratelli che vedono<br />

alleggerito il patrimonio familiare della spese degli sponsali e per il necessario corredo.<br />

<strong>Il</strong> Majo e il canto dei mesi <strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> dei Mesi è una antica drammatizzazione popolare in cui i<br />

mesi dell'anno venivano personificati da figure in maschera e rappresentati con le loro<br />

caratteristiche riguardanti il lavoro, i prodotti dei campi, la vita domestica. La recitazione veniva<br />

eseguita dal periodo <strong>di</strong> carnevale fino a maggio (Majo) da do<strong>di</strong>ci attori che impersonavano ciascuno<br />

il ruolo <strong>di</strong> un mese, spesso con l'aggiunta <strong>di</strong> un tre<strong>di</strong>cesimo che rappresentava il capodanno o il<br />

'tempo'.


Ninnananne Ne esistono tantissime! Evidentemente<br />

prima i bambini non avevano molto sonno... Ricor<strong>di</strong>amo<br />

la famosa "lu lope sa magnate la picurelle" e altre in cui<br />

una sfilza <strong>di</strong> Santi insieme alla Madonna compaiono bene<br />

auguranti e apportatori <strong>di</strong> sonno... Come le filastrocche e<br />

i lamenti funebri sono in genere mono<strong>di</strong>e. Un elemento<br />

imprescin<strong>di</strong>bile delle veglie <strong>di</strong> lavoro sono i racconti, un<br />

patrimonio ricchissimo <strong>di</strong> favole e<strong>di</strong>ficanti o spaventose.<br />

Canti <strong>di</strong> lavoro La raccolta del lino, delle olive, la mietitura. Spesso si tratta <strong>di</strong> canti a doppio<br />

senso erotico, o che esprimono la rivalsa verso il padrone, o semplicemente la durezza della fatica.<br />

Sono spesso canti con una voce solista e un coro ritmato sui tempi del gesto <strong>di</strong> lavoro.<br />

Filastrocche Come le ninnananne rappresentavano un modo gioioso <strong>di</strong> intrattenete i piccoli,<br />

spesso fanno riferimento a situazioni e<strong>di</strong>ficanti, esprimono affetto o scherzo ma anche sono ricche<br />

<strong>di</strong> frasi senza senso e onomatopeiche che rievocano situazioni fantasiose o buffe.<br />

saltarella cantata<br />

brin<strong>di</strong>si<br />

e se ce l'avema fa facemecele mo ca mo teneme lu tempe e ddumane nin si sa!<br />

canto processionale


La musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale abruzzese il canto a serenata<br />

Nel quadro della musica <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale in Abruzzo il canto<br />

presenta evidenti elementi stilistici meri<strong>di</strong>onali, come l’uso <strong>di</strong><br />

impianti prettamente melo<strong>di</strong>ci ricchi <strong>di</strong> decorazioni e <strong>di</strong> melismi,<br />

pur se emergono tratti settentrionali quali la polivocalità per<br />

terze e la <strong>di</strong>ffusione del genere epico-lirico. Lo stile vocale più<br />

arcaico è caratterizzato da un’emissione a gola chiusa, da note<br />

appoggiate, dai cromatismi, dalle cesure e dalle cadenze a note<br />

lunghe che concludono spesso con stop glottali. Le melo<strong>di</strong>e,<br />

basate su un sistema scalare non sempre temperato, sono<br />

costruite per lo più nell’ambito <strong>di</strong> cinque note e ci rimandano sia<br />

alle tonalità maggiori e minori <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione euro-occidentale e sia al sistema modale legato alla<br />

cultura musicale me<strong>di</strong>terranea. <strong>Il</strong> canto lirico è caratterizzato dagli stornelli (strufette) e dalle<br />

serenate che assumono varie connotazioni a seconda della funzione-occasione.<br />

La struttura poetica si basa su una sequenza <strong>di</strong> due versi <strong>di</strong> endecasillabi a rima baciata o<br />

assonanti cantati a tenzone o a <strong>di</strong>spetto (strufette a suspette). L’esecuzione vede due o più<br />

cantori che si sfidano enunciando a turno una strofetta ciascuno; è abilità dell’esecutore non<br />

far cadere il filo del <strong>di</strong>scorso scegliendo tra le strofette memorizzate dalla tra<strong>di</strong>zione quella più<br />

consona.<br />

I processi <strong>di</strong> trasformazione della cultura tra<strong>di</strong>zionale avvenuti in questi ultimi cinquant’anni<br />

hanno defunzionalizzato le serenate e gli stornelli con i quali un tempo i cantori esprimevano<br />

pensieri che non potevano esser detti schiettamente in situazioni <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana; cosicché il<br />

canto dava modo all’innamorato <strong>di</strong> esternare senza inibizione il proprio sentimento alla donna<br />

amata anche in presenza <strong>di</strong> parenti e amici rendendo così ufficiale la <strong>di</strong>chiarazione d’amore.<br />

La partenza – il canto del <strong>di</strong>stacco<br />

Nell’ambito della poesia popolare italiana la serenata “La partenza” si colloca nel genere lirico-<br />

monostrofico, pur se la sua struttura strofica, <strong>di</strong>versamente dalle serenate generiche e dagli<br />

stornelli, non risulta libera bensì vincolata ad una <strong>di</strong>sposizione logica dei <strong>di</strong>stici. Una<br />

successione <strong>di</strong> motivi tematici in<strong>di</strong>pendenti ma al tempo stesso consequenziali in riferimento ad<br />

una logica temporale degli acca<strong>di</strong>menti stessi. Legata al ciclo della vita umana, La partenza si<br />

identifica come canto del <strong>di</strong>stacco in quanto affronta il tema dell'allontanamento della sposa<br />

che lascia i suoi cari, la casa paterna e il vicinato per iniziare una nuova vita al fianco del suo<br />

amore. <strong>Il</strong> testo riassume gli aspetti nostalgici legati alla vita passata e futura della sposa<br />

evidenziando i vecchi valori legati al concetto <strong>di</strong> famiglia patriarcale in cui la figura femminile<br />

assume (sia prima che dopo il matrimonio) un ruolo subalterno e <strong>di</strong> soggezione. <strong>Il</strong> contenuto<br />

poetico affronta i temi ricorrenti quali il saluto, il perdono, la bene<strong>di</strong>zione ed altri ancora in cui


la figura femminile appare quasi turbata e ferita moralmente per il fatto che si accinge a<br />

lasciare la sua famiglia privandola della sua compagnia e del suo aiuto fisico. Lei è debitrice<br />

verso il padre e la madre ai quali deve la sua educazione; è debitrice verso i fratelli con i quali<br />

ha con<strong>di</strong>viso la sua infanzia e verso i vicini che l'hanno considerata come una figlia. Al<br />

rimpianto del passato si aggiunge il timore che la sposa ha nei confronti della sua nuova vita; il<br />

timore <strong>di</strong> non adattarsi ad una nuova realtà a lei estranea. <strong>Il</strong> testo è ricco <strong>di</strong> particolari<br />

situazioni che coinvolgono la sposa, i familiari, i parenti, il vicinato e quanti vivono<br />

profondamente tale circostanza. Colorito risulta l'intreccio tematico in cui si alternano ora<br />

motivi scherzosi, ora patetici, ora riflessivi tali da provocare nello stato d'animo <strong>di</strong> chi ascolta<br />

fasi <strong>di</strong> rilassamento e <strong>di</strong> tensione. La musica che accompagna La partenza, eseguita da un<br />

gruppo <strong>di</strong> affiatati cantori e suonatori <strong>di</strong> chitarra, fisarmonica e organetto, presenta una<br />

melo<strong>di</strong>a dolce e pacata ma al tempo stesso solenne e ricca <strong>di</strong> espressività e <strong>di</strong>namismo.<br />

E tutta al ballo è data la notte che precede il dì delle nozze…..<br />

…. se non che, inoltratasi <strong>di</strong> una buona metà, tace la festa in casa dello sposo che con i<br />

suonatori ed amici muovono per la casa della fidanzata. Sotto alla finestra al suono del violino<br />

e della chitarra si canta la Partenza che come tocca al suo termine, la brigata è in via, e torna<br />

dov’era partita, che il giorno la sorprende per strada. Là son presenti altri parenti, i cavalli<br />

sellati, si monta, e <strong>di</strong> nuovo a casa della sposa, dove nuovi parenti e nuovi cavalli ingrossano la<br />

equestre compagnia; e via in città a porre l’anello. Primi della compagnia sono i pedestri<br />

sonatori <strong>di</strong> violino e chitarra, vien dopo il mulo che porta due grosse casse, con entro la<br />

biancheria della sposa, sulla quale si <strong>di</strong>stende la coltre nuziale con sopra i cuscini, cosicché dà<br />

vista <strong>di</strong> un letto ambulante. Al collo poi dell’animale è avvolto una rete, alla quale stanno<br />

connessi spessissimi campanelli, che con il loro tintinnio compiscono la musica. Appresso lo<br />

sposo e la sposa sopra i cavalli dalle cui teste sventolano fazzoletti bianchi, e finalmente la folla<br />

<strong>di</strong> amici e parenti. Finito il pranzo, va la sposa a por commiato dai suoi: il padre poi<br />

l'accompagna per mano fin fuori la porta <strong>di</strong> casa, ove intrecciano un balletto ed è <strong>di</strong> rito;<br />

perocché significa l’ad<strong>di</strong>o che il padre dà alla figlia. Ne vanno quin<strong>di</strong> alla casa dello sposo dove<br />

tutti scavalcano meno la sposa. <strong>Il</strong> fratello, il nipote o altro parente <strong>di</strong> lei non permette che la<br />

smonti senza una grossa mancia: ella rimane spettatrice vergognosa e mortificata tra quei che<br />

non vuoi cedere, ed i parenti dello sposo che la domandano. Finalmente viene il regalo e la<br />

sposa è ceduta e viene portata come in trionfo alla casa. E <strong>di</strong> nuovo a darsi sul mangiare e sul<br />

bere. I suonatori, durante il pranzo, uniti ad un cantore girano intorno alla tavola sonando e<br />

cantando lor poesia chiamata «firlinghina». Sono saluti, epigrammi, felicitazioni, lo<strong>di</strong>, auguri,<br />

amenità che vanno facendo a ciascun commensale; e scrosci <strong>di</strong> risa e battimenti <strong>di</strong> mano.<br />

Chiude la festa il donativo che ciascun parente fa alla sposa”.


i canti <strong>di</strong> questua del solstizio<br />

<strong>Il</strong> calendario agricolo scan<strong>di</strong>sce i momenti rituali tra<strong>di</strong>zionali della civiltà conta<strong>di</strong>na, spesso<br />

segnati da caratteri pre-cristiani a testimonianza <strong>di</strong> quanto profonde siano le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa<br />

ritualità.<br />

<strong>Il</strong> periodo invernale, che dalle feste solstiziali conduce all’equinozio primaverile, è<br />

caratterizzato da cerimonie <strong>di</strong> segno <strong>di</strong>verso: alcune orgiastiche, come il Carnevale e la<br />

Mezzaquaresima, altre purificatorie e penitenziali come la Candelora, il mercoledì delle<br />

Ceneri e la Quaresima; altre, invece, rammentano, come Sant’Antonio Abate, antichi riti per<br />

propiziare gli dèi preposti alla fecon<strong>di</strong>tà e alla fertilità. Riti ed usanze che, provenienti dalle<br />

arcaiche religioni italiche e celtiche nonché da tra<strong>di</strong>zioni orientali, sono sopravvissuti<br />

all’opera <strong>di</strong> evangelizzazione della Chiesa. <strong>Il</strong> lungo periodo che preludeva alla primavera,<br />

ovvero all’antico Capodanno nell’arcaica religione romana, era segnato da cerimonie per<br />

purificare uomini, animali e campi e per favorire, propiziando gli dèi, il rinnovo del cosmo.<br />

Alla fine <strong>di</strong> Gennaio s’in<strong>di</strong>cevano le Ferie sementine e si offriva a Cerere e a Terra una<br />

pozione <strong>di</strong> latte e mosto cotto sacrificando loro una scrofa gravida accompagnata dall’offerta<br />

<strong>di</strong> farro, mentre le giovenche venivano inghirlandate e lasciate a riposo. Nel calendario<br />

o<strong>di</strong>erno sono molte le feste che, sotto il velo <strong>di</strong> un santo, hanno funzione lustrale e<br />

fecondante. La più importante è quella <strong>di</strong> Sant’Antonio Abate (17 gennaio) che a poco a<br />

poco ha assunto le caratteristiche delle <strong>di</strong>vinità pagane. In molti paesi il 17 gennaio era<br />

usanza bene<strong>di</strong>re gli animali sul sagrato delle chiese; i sacerdoti ricevevano doni in natura e<br />

<strong>di</strong>stribuivano in cambio immagini del Santo da appendere nelle stalle in segno <strong>di</strong> protezione.


I canti <strong>di</strong> questua<br />

per Sant’Antonio Abate<br />

In onore <strong>di</strong> Sand’Andonje<br />

or si canta questa storia<br />

La pratica questuante, ossia l’uso <strong>di</strong> fare la questua <strong>di</strong> casa in casa da parte <strong>di</strong> squadre <strong>di</strong> cantori e<br />

suonatori, rappresenta uno degli aspetti rituali tra i più vivi e ra<strong>di</strong>cati in Abruzzo attraverso cui si<br />

celebrano, nel periodo del solstizio, la Natività, il Capodanno, l’Epifania e Sant’Antonio Abate. Un tempo,<br />

la questua rappresentava per la squadra l’occasione <strong>di</strong> raccogliere beni alimentari; in pratica vi era lo<br />

scambio tra i poteri magico-propiziatori portati dalle squadre <strong>di</strong> suonatori e l’offerta <strong>di</strong> beni alimentari,<br />

oggi mutata in piccole somme <strong>di</strong> denaro, elargita dai padroni <strong>di</strong> casa. La squadra, in genere costituita<br />

da uomini la cui età è compresa tra i trenta ed i settant’anni, segue le <strong>di</strong>rettive del più anziano in<br />

qualità <strong>di</strong> detentore affidabile della tra<strong>di</strong>zione orale; è sua premura trasmettere ai più giovani quanto<br />

appreso in passato. <strong>Il</strong> rito augurale del ritorno della nuova stagione si manifesta in Abruzzo in modo<br />

evidente la vigilia del 17 gennaio con la questua ed il canto del Sant’Antonio Abate, in cui si racchiude<br />

tutta l’espressione popolare ricca <strong>di</strong> elementi religiosi e pagani, <strong>di</strong> espressioni arcaiche e moderne che<br />

testimoniano la <strong>di</strong>namicità del canto orale rapportato alla società o<strong>di</strong>erna. Alcuni giorni prima del 17<br />

gennaio i componenti <strong>di</strong> una squadra, appartenenti ad una stessa comunità nella quale rivestono spesso<br />

il ruolo <strong>di</strong> animatori tra<strong>di</strong>zionali per le <strong>di</strong>verse celebrazioni collettive, si organizzano per riconfermare o<br />

variare, se necessario, sia l’organico che il canto da eseguire per l’occasione. La formazione vocale-<br />

strumentale presente nelle valli del Fino, Piomba, Mavone e Vomano (zona teramano-pescarese) è<br />

composta da un organetto, una grancassa, un tamburo, i piatti, un tamburo a frizione. Tante sono le<br />

località abruzzesi nelle quali ancora oggi il canto <strong>di</strong> questua rimane vivo nella tra<strong>di</strong>zione: Piane Vomano,<br />

Montegualtieri, Cellino, Cermignano, Poggio delle Rose, San Massimo Colledoro, Befaro nel teramano;<br />

Civitella Casanova, San Valentino, Piana delle Castagne nell’area pescarese; Fara Filiorum Petri,<br />

Roccamontepiano, Palmoli nel chietino; Villavallelonga e Collelongo nell’aquilano.<br />

I testi e le musiche per Sant’Antonio Abate<br />

La maggior parte dei motivi tematici presenti nei canti <strong>di</strong> Sant’Antonio – <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione orale – ci rimandano alla<br />

Historia Sancti Antoni, storia me<strong>di</strong>evale che, contenuta nel Co<strong>di</strong>ce Corsiniano del 1485 e pubblicata dal Monaci<br />

– forse composta agli inizi del trecento da un giullare della Lombar<strong>di</strong>a per e<strong>di</strong>ficazione e <strong>di</strong>letto dei conterranei<br />

suoi –, giunse in Abruzzo. Da qui derivano le analogie con i motivi comici e burleschi inerenti i sotterfugi con<br />

cui Sant’Antonio sconfigge il <strong>di</strong>avolo. La Historia Sancti Antoni risulta da una contaminazione della biografia<br />

classica con le leggende me<strong>di</strong>evali appartenenti al “ciclo delle novelle e dei fabliaux”. <strong>Il</strong> <strong>di</strong>avolo travestito da<br />

donzella, il bambino concepito nel peccato e promesso a “lo nemico”, le vicende da portinaio dell’inferno, i<br />

<strong>di</strong>avoli che piangono per le percosse e tutte le altre furberie del Santo, sono gli elementi che ritroviamo ancor<br />

oggi nei testi largamente <strong>di</strong>ffusi in Abruzzo. La figura del Santo che emerge nei canti è circondata sia da<br />

sentimenti religiosi <strong>di</strong> grande devozione e <strong>di</strong> rispetto, e sia da un clima tipicamente giullaresco che ci rimanda<br />

alla cultura popolare me<strong>di</strong>evale, dove spesso valori ed immagini della cultura religiosa ufficiale volgono nel<br />

grottesco e nella paro<strong>di</strong>a. Alcuni canti, invece, rimandano all’orazione in onore <strong>di</strong> Sant’Antonio <strong>di</strong>ffuso da


Campli lungo il versante orientale del Gran Sasso (zona teramano-pescarese) o all’orazione de “<strong>Il</strong> miracolo del<br />

glorioso Sant’Antonio da Padova” il cui testo trovò <strong>di</strong>ffusione su foglio volante stampato dal “Premiato<br />

Stabilimento Tipografico Giuseppe Campi <strong>di</strong> Foligno”. Nell’immaginario conta<strong>di</strong>no, le due figure coincidono<br />

tanto che alcune squadre, per l’occasione del 17 gennaio, eseguono in<strong>di</strong>stintamente i canti riferiti all’uno o<br />

all’altro santo. La quasi totalità dei canti presenta nel testo poetico una traccia cronologica espositiva così<br />

schematizzata: saluto della compagnia e presentazione del fatto che si sta per narrare; illustrazione della vita<br />

penitente e contemplativa del santo; tentazioni e vittoria del santo; questua con richiesta <strong>di</strong> beni alimentari;<br />

commiato con bene<strong>di</strong>zione, saluti ed auguri. Una particolarità dei canti <strong>di</strong> questua <strong>di</strong> Sant’Antonio – come per il<br />

canto <strong>di</strong> questua del Giovedì Santo - è quella <strong>di</strong> poter intonare le strofe su due tracce esecutive: la doppië e la<br />

sdoppië. <strong>Il</strong> modo doppië si caratterizza per l’andamento più lento e per lo sviluppo strofico con ripetizioni degli<br />

ultimi due versi o <strong>di</strong>stici; il modo sdoppië si basa su un ritmo terzinato più veloce e la strofa poetica non subisce<br />

<strong>di</strong>latazioni nella fase esecutiva. A seconda dei casi e della fretta che i suonatori hanno – “…cchiù facemë prestë<br />

a candà e cchiù casë giremo…!”- si sceglie al momento la formula da adottare. I canti sono eseguiti su ritmi<br />

binari puntati o su ritmi ternari.<br />

<strong>Canto</strong> <strong>di</strong> questua<br />

Squadra <strong>di</strong> Palmoli<br />

E dumane è cullu gran Sandë<br />

A Palmoli (Ch), la tra<strong>di</strong>zione questuante risale, al ricordo dei più anziani, agli inizi del novecento ma le sue<br />

ra<strong>di</strong>ci sono ben più remote. La squadra <strong>di</strong> Palmoli oggi è composta da soli uomini <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse generazioni,<br />

con<strong>di</strong>zione ideale questa per la conservazione spontanea della cultura orale. I protagonisti sono: Venanzio Tilli,<br />

Angelo Marulli, Clau<strong>di</strong>o De Sanctis, Felice Meo (fisarmonica), Ferrara Marco, Donato Ferraina, Andrea Ferrara,<br />

Rodolfo De Sanctis (grancassa), Massimo Ricci (piatti). Gli elementi tematici descrivono: l’eremitaggio del<br />

santo; Gesù che lo chiama dalla croce assieme alla Madonna che prega San Michele; la bene<strong>di</strong>zione del Santo<br />

alla famiglia visitata; la richiesta <strong>di</strong> doni alimentari. L’esecuzione lenta ed in forma corale all’unisono ricreano<br />

un clima <strong>di</strong> grande me<strong>di</strong>tazione e coinvolgimento religioso. Di particolare rilievo sono le cesure (respiri) a metà<br />

parola poste a fine verso, elemento esecutivo ricorrente nel canto tra<strong>di</strong>zionale.<br />

1- E dumane è cullu gran Sandë<br />

e dumane è cullu gran Sandë<br />

e dumane è cullu gran Sandë<br />

è Sand’Andunji Sandë<br />

è Sand’Andunji Sandë<br />

2- Sand’Anduji s’è misse in gammine<br />

jave vistutë da pellegrina<br />

3- Chi nu cambanelle in manë<br />

jave Gesù che richiamavë<br />

4- Li chiamava a yalda voce


javë Gesù ma su ‘lla crocijë<br />

5- E ‘na croce e ‘na corona<br />

javi Gesù ‘nghë la Madonnë<br />

6- La Madonni sajë in gieli<br />

pe’ riprëgà San<strong>di</strong> Micchelë<br />

7- San Micchele fu prigate<br />

da la Madonne ‘ngoronata<br />

8- Io ci endr’in guesta casë<br />

ca ci li trove moglijë e marite<br />

Sand’Andonje la bbene<strong>di</strong>ca<br />

9- Si cë avete nu fiijë maschjë<br />

cavalier lë putete fajë<br />

10- Si cë avete ‘na figlia femmënë<br />

li putetë maritajë<br />

11- e nu galle e ‘na galline<br />

e l’anne chi vvé e ‘na ven<strong>di</strong>në<br />

12- si cë avete ‘na picurellë<br />

e l’anni chi vvè na particellë<br />

13- canda vacchë e nu vove<br />

e l’anne chi vè è <strong>di</strong>ciannove<br />

14- si cë avete na vin<strong>di</strong>ricinë<br />

Sand’Andunjë mo s’avvicin<br />

15- si cë avete ‘na vindresche<br />

Sand’Andonje mo s’arinfresche<br />

16- si cë avete nu prusuttë<br />

Sand’Andunjë si piglia tuttë<br />

17- Sand’Andunjë ‘ngim’all’aldare<br />

li guardava lu maiale<br />

18- Sand’Andunje ‘ngim’a lu tettë<br />

li guardava lu purquett<br />

19- Nu purquettë e nu majale<br />

si li mangiamë stu Carnevale<br />

20- Tocca tocchë za’ Mari’<br />

va caccijë nu pochë <strong>di</strong> vinë bbone<br />

ca mo vè lë Sand’Andunje<br />

21- Dopo che ce l’hai date<br />

vale pi Sand’Andunje Abbate.


<strong>Il</strong> Bufù molisano<br />

Nel Molise, la notte <strong>di</strong> San Silvestro è "la notte dei bufù", durante la quale si eseguono le<br />

maitunate, i canti augurali e <strong>di</strong> questua intonati per il Capodanno. Maitunata (o maitenata) sta<br />

per "mattinata"; fare cioè festa nell'attesa del mattino, del nuovo giorno e del nuovo anno.<br />

Infatti, l'incipit <strong>di</strong> molte maitunate era Bonnì e Bonnanne, corruzione <strong>di</strong>alettale <strong>di</strong> Buon dì e<br />

Buon anno. Ecco, in proposito, i versi iniziali d'una maitunata improvvisata: Che ru bondì e che<br />

ru bonanne/ puozza campà tanta anne/ pe quante pese i' che tutte re panne.<br />

Alberto M. Cirese, nel secondo volume de I canti popolari del Molise (1957), scrive che le<br />

maitunate, avevano "un tempo (e ancora un secolo fa) un certo carattere ufficiale, <strong>di</strong> cui si<br />

trova traccia anche negli atti amministrativi, e costituivano uno dei compiti che i bidelli e i<br />

ban<strong>di</strong>tori municipali dovevano assolvere; ma sono oggi affidati solo all'iniziativa <strong>di</strong> singoli o <strong>di</strong><br />

gruppi (un tempo anche femminili, e qualche volta ancora adesso a carattere semi<br />

professionale) senza altro obbligo che quello che nasce dalla tra<strong>di</strong>zione".<br />

Le maitunate molisane si eseguivano, a seconda dei paesi, con l'accompagnamento <strong>di</strong> vari<br />

strumenti. È stato documentato l'uso <strong>di</strong> zampogne, chitarre, tamburi, tamburelli, organetti,<br />

mandolini. Molto usati anche alcuni oggetti paramusicali: strucuratora (stropicciatoio per i<br />

panni), coperchi per tegami, casseruole e altro. Ma lo strumento tipico delle maitunate<br />

molisane è il bufù, che ancora oggi contrad<strong>di</strong>stingue la notte tra San Silvestro e Capodanno in<br />

varie località della regione. In alcuni casi si tratta <strong>di</strong> vere bande <strong>di</strong> suonatori e cantori,<br />

composte da gruppetti <strong>di</strong> esecutori (le cosiddette "squadre") che girano per le strade e le case<br />

del paese intonando strofette d'augurio e chiedendo donativi.<br />

<strong>Il</strong> bufù<br />

Nel Molise è detto bufù il "tamburo a frizione", cioè lo strumento musicale monopelle costituito<br />

da un contenitore col fondo chiuso e col lato superiore aperto e intorno a cui è tesa una<br />

membrana, al centro della quale è inserito un bastone. Lo strumento produce suono quando il<br />

bastone viene 'frizionato' dal suonatore con le mani inumi<strong>di</strong>te oppure munite d'uno straccio<br />

bagnato, mettendo in tal modo in vibrazione la pelle che, utilizzando quale camera <strong>di</strong> risonanza<br />

il contenitore, produce un rumore cupo, così caratteristico per il bufù da avergli dato, per<br />

onomatopea, il nome. Nel secolo scorso l'uso campobassano del bufù venne documentato in un<br />

articolo <strong>di</strong> Flaminio Pellegrini (<strong>Il</strong> capo d'anno nel Molise, "Rivista delle tra<strong>di</strong>zioni popolari<br />

italiane", I, 2, 1894): "A Capo d'anno girano per Campobasso compagnie più o meno<br />

numerose <strong>di</strong> ragazzi e d'uomini, munite dei più <strong>di</strong>scor<strong>di</strong> istrumenti […]. Caratteristico è il così<br />

detto bufù, composto con un piccolo barile, sfondato da una delle due parti e ricoperto <strong>di</strong> pelle<br />

tesa…".<br />

Nella nostra regione, ancora oggi la tra<strong>di</strong>zione musicale del bufù è viva in non poche località,<br />

tra cui Sepino, Casacalenda, Ferrazzano, Pietracatella, Gambatesa. Lo strumento si compone <strong>di</strong>


più parti: - il recipiente che è solitamente un barile. Non a caso il poeta Giuseppe Altobello<br />

scriveva: Cu nu varile viecchie haj'accurdate/ nu piezze de bufù pe cunte mije. <strong>Il</strong> varile è<br />

spesso <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e <strong>di</strong>mensioni, ma può essere anche un piccolo barilotto d'uso domestico oppure<br />

una grande e panciuta botte da cantina. In talune tra<strong>di</strong>zioni, in sostituzione del classico barile<br />

viene utilizzata la tina per la raccolta del mosto. Meno frequentemente possono essere<br />

impiegati quale 'cassa <strong>di</strong> risonanza' pure recipienti in metallo o <strong>di</strong> terracotta e quant'altro può<br />

servire all'uso. - la membrana, che negli strumenti grossi è una pelle <strong>di</strong> capra o agnello,<br />

mentre in quelli piccoli e moderni può essere <strong>di</strong> altra natura, anche sintetica. Quando la pelle<br />

viene sistemata sulla circonferenza superiore del barile, il suo pelo è rivolto verso l'interno del<br />

risuonatore (camera <strong>di</strong> risonanza);- la fune con la quale si lega la pelle al recipiente. La fune,<br />

soprattutto nei gran<strong>di</strong> bufù, viene ulteriormente stretta e tenuta in massima tensione con una<br />

mazza-tirante;<br />

- il bastone, realizzato in legno oppure con una solida canna <strong>di</strong> grossezza proporzionata alle<br />

<strong>di</strong>mensioni del bufù. Nei gran<strong>di</strong> strumenti (come ad esempio i bufù sepinesi) il bastone è<br />

piuttosto lungo e robusto, mentre nei bufù <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni inferiori è più sottile e breve. <strong>Il</strong><br />

bastone viene allacciato al centro della pelle dello strumento con un semplice sistema<br />

d'assemblaggio: si preme una estremità della mazza sulla membrana ottenendo una sacca<br />

d'alloggiamento, quin<strong>di</strong> con un laccio si serra la sacca intorno alla mazza. Affinché la legatura<br />

sia stabile i costruttori intaccano con un coltello il bastone, ottenendo così delle scanalature<br />

intorno alle quali il laccio trova un saldo appiglio. <strong>Il</strong> tamburo a frizione è <strong>di</strong> due tipi: stanziale e<br />

portativo. È stanziale quello costruito con una grossa cassa <strong>di</strong> risonanza, le cui considerevoli<br />

<strong>di</strong>mensioni consentono <strong>di</strong> suonarlo solo 'a posto fisso', cioè stando fermi in un luogo. Questo<br />

tipo <strong>di</strong> strumento deve essere frizionato a mani doppie, ovvero si fanno scivolare lungo il suo<br />

bastone entrambe le mani. Invece, è portativo il tamburo a frizione che può essere suonato<br />

mentre viene trasportato; il suonatore, infatti, lo tiene con un braccio e ne friziona il bastone<br />

con la mano dell'altro braccio. Nel Molise sono usati entrambi i tipi, con una prevalenza <strong>di</strong><br />

quello stanziale.<br />

Le maitunate<br />

La nostra regione conserva un ricchissimo repertorio <strong>di</strong> maitunate <strong>di</strong> Capodanno (che in taluni<br />

luoghi vengono dette capodannare). Molti testi sono stati documentati in pubblicazioni, altri<br />

sono affidati solo alla tra<strong>di</strong>zione orale. Una delle componenti fondamentali <strong>di</strong> questo repertorio<br />

cantato è l'improvvisazione. I cantori, infatti, sovente creano al momento dell'esecuzione nuovi<br />

versi, sia essi d'augurio, <strong>di</strong> scherno, <strong>di</strong> richiesta <strong>di</strong> cibarie. L'improvvisazione si rende<br />

necessaria anche per il fatto che i canti si in<strong>di</strong>rizzano, <strong>di</strong> volta in volta, a determinati<br />

personaggi del paese (autorità, amici, parenti) e vanno quin<strong>di</strong> adattati al nome <strong>di</strong> detti<br />

personaggi e a fatti e circostanze <strong>di</strong> cui durante l'anno essi sono stati protagonisti. Ecco un<br />

esempio che parla <strong>di</strong> un tale Giovanni <strong>di</strong>venuto papà: Chesta maitunata la faceme a cumpare<br />

Giuvanne/ ca la mugliera ze figliate propria auanne. Eccone un altro che allude al vizio del


ere: Ru bone capedanne a don Nicola Carline/ ca sta sempe appise a la buttiglia de vine.<br />

Una non secondaria caratteristica delle maitunate è la questua, cioè la richiesta e la raccolta <strong>di</strong><br />

cibi <strong>di</strong> stagione, dolci, vino e, in certi casi, denaro. Ecco la parte finale d'una maitunata<br />

documentata all'inizio del Novecento (O. Conti, Letteratura popolare capracottese, Napoli<br />

1911):<br />

'Ncicce e 'ncicce<br />

damme nu poche de salsiccia<br />

nen me ne dà tanta poche<br />

ca se struie pe ru foche<br />

ma na cosa iustamente<br />

sant'Antuone ze cuntenta<br />

ca se la casa perze à l'use<br />

l'anne che vè<br />

pozza sta chiusa.<br />

Come si vede, oltre la richiesta <strong>di</strong> cibo (salsicce) si avverte il padrone <strong>di</strong> casa che, nel caso ci<br />

sia un rifiuto o un'offerta troppo modesta, il canto <strong>di</strong>verrebbe male augurante, laddove la<br />

chiusura della casa sottintende la morte del padrone.


9-IL CANTO DI TRADIZIONE ORALE IN SICILIA<br />

Le Origini<br />

In principio era il melos… così potrebbe <strong>di</strong>rsi del canto popolare siciliano <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale,<br />

del canto spontaneo che si è congiunto, mescolato, con la poesia popolare nata in Sicilia e<br />

trasmessa oralmente. <strong>Il</strong> popolo ha creato e riconosciuto una melo<strong>di</strong>a propria sulla quale adatta<br />

la poesia ere<strong>di</strong>tata dai padri, la lingua parlata che sa fondersi docilmente con la forma ritmica<br />

della sua musica, una melo<strong>di</strong>a che sicuramente la Sicilia ha prodotto, assorbendo nei secoli gli<br />

apporti <strong>di</strong> tutti i popoli che ne hanno calcato il suolo e facendone sue le espressioni artistiche<br />

estranee con le quali e’ venuta in contatto.<br />

Come osserva il grande musicologo Alberto Favara, nell’isola si sono succedute tante civiltà<br />

dalle tipiche manifestazioni musicali; il popolo siciliano, ascoltò il nomos greco, il maqam<br />

arabo, l’inno bizantino, la canzone cortese dei Trovatori, fino all’opulenta polifonia cinque-<br />

secentesca, un insieme <strong>di</strong> stili da cui è <strong>di</strong>fficile rintracciare l’inizio della musica popolare<br />

siciliana, ma da cui è possibile ipotizzare, come l’armonia del nostro canto popolare sia posta<br />

su fondamenta antiche.<br />

Come nasce il canto<br />

L’arte popolare è sempre in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ricettività; se un canto creato dal singolo veniva<br />

apprezzato ed adottato, <strong>di</strong>ventava nel tempo, oggetto <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione.<br />

<strong>Il</strong> canto che nasceva da rustici poeti <strong>di</strong> paesi e villaggi sconosciuti, <strong>di</strong>ventava il canto <strong>di</strong> tutti; il<br />

popolo premiava il loro merito col tramandare questa melo<strong>di</strong>a, con l’impararla, col passarla <strong>di</strong><br />

bocca in bocca da questo a quel paese, dalla montagna alla marina, dal campo al mercato.<br />

Via via si andava ritoccando, prendeva il colore locale, si creavano le varianti.<br />

In poco tempo si espandeva, veniva ripetuto in ogni dove, passava confini <strong>di</strong> paesi fino ad<br />

entrare a far parte del patrimonio comune, custo<strong>di</strong>to, tramandato, ripetuto. <strong>Il</strong> commercio, le<br />

comunicazioni, i pellegrinaggi, le guerre, le gran<strong>di</strong> feste religiose, <strong>di</strong>ffondevano i canti che<br />

venivano adottati, abbelliti, accolti, mo<strong>di</strong>ficati, secondo le abitu<strong>di</strong>ni ed il carattere del popolo.<br />

Spesso accadeva che alcuni canti superassero i confini dell’isola assumendo altre forme<br />

<strong>di</strong>alettali, <strong>di</strong>venendo canti toscani, lombar<strong>di</strong>, veneti.


<strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> popolare<br />

"Ogni genere <strong>di</strong> poesia popolare deve andar preso quale rivelazione del sentimento speciale dell’in<strong>di</strong>viduo del<br />

popolo"<br />

"I canti popolari - <strong>di</strong>ce Herder - sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione,<br />

della vita dei suoi padri, dei fasti della sua storia, l’espressione del cuore, l’immagine del suo interno, nella<br />

gioia e nel pianto, presso il letto della sposa ed accanto al sepolcro".<br />

Nei canti popolari, i siciliani hanno documentato la loro vita <strong>di</strong> tutti i giorni, la vita quoti<strong>di</strong>ana del popolo; essi<br />

sono <strong>di</strong>ventati un documento storico e filosofico, morale e religioso.<br />

Scrive così Alberto Favara.<br />

"Nelle nostre canzoni popolari, la composizione poetica, sotto l’influenza <strong>di</strong>retta della melo<strong>di</strong>a si sviluppa in<br />

una serie <strong>di</strong> immagini che si legano tra <strong>di</strong> loro, al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ogni nesso logico, una sintassi libera che ha tutti<br />

i caratteri dell’improvvisazione, una grande ricchezza <strong>di</strong> parole arcaiche, nella cui scelta la sonorità ha grande<br />

importanza, una lingua vincente in continuo <strong>di</strong>venire, sotto l’alito creatore della musica. <strong>Il</strong> testo poetico è<br />

come un materiale grezzo che il cantore <strong>di</strong>spone sotto la melo<strong>di</strong>a come gli pare, con l’espressione dei<br />

sentimenti umani fondamentali; quando l’esecutore ha reso quel sentimento, con un inciso melico<br />

caratteristico, ha reso in pieno il sentimento del popolo."<br />

Un patrimonio <strong>di</strong> sentimenti affidato a melo<strong>di</strong>e accorate, vario nei temi, inesauribile, immenso che trova voce<br />

nella cantilena solitaria del carrettiere, nel lamento del carcerato, nel canto d’amore ricco <strong>di</strong> sfumature, nella<br />

poesia dei cantastorie, veicolato da una vocalità elementare ricca <strong>di</strong> passioni.<br />

I CANTI<br />

<strong>Il</strong> popolo ha cantato: Canzuni, Ciuri, Arii, Diesilli, Razioni, Storii, Canzuni <strong>di</strong> naca, Jocura,<br />

Romanze <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale.<br />

La canzuna e’ chiamata strambottu in Caltanissetta, sturnettu all’Etna, in S.Agata e’ detta<br />

barcarola, marinara; è detta a la furnarisca, a la campagnola, a la vicariota, a la carrittera


perché cantate alla maniera dei carcerati, dei conta<strong>di</strong>ni, delle tessitrici (carere), dei carrettieri<br />

che ne cantavano tantissime.<br />

<strong>Il</strong> metro della canzuna siciliana è l’ottava <strong>di</strong> endecasillabi, con alterne rime.<br />

I CIURI sono gli stornelli da due a tre versi detti anche ciuretti o muttetti.<br />

<strong>Il</strong> ciuri, componimento non molto pregiato, era comunissimo in carcere e nei chiassi.<br />

LE ARIE o ARIETTI, si cantavano con accompagnamento <strong>di</strong> chitarre, quando si facevano<br />

serenate o mattinate alla bella.<br />

LE STORII sono le leggende, narrazione cantata <strong>di</strong> avvenimenti che colpirono l’immaginazione<br />

popolare.<br />

LI JOCURA sono i giochi fanciulleschi, le filastrocche etc…<br />

LE ORAZIONI sono brevi leggende sacre, endecasillabo è il loro verso, ottave, sestine,<br />

quartine le strofe che venivano cantate la sera lungo le vie o davanti le case <strong>di</strong> devoti, cantate<br />

da ciechi cantastorie, che celebravano le ricorrenze dei santi venerati dal popolo. I mercoledì <strong>di</strong><br />

San Giuseppe, i Venerdì della Passione, le Novene <strong>di</strong> Natale, dell’Immacolata, della Madonna<br />

del Carmine, delle Anime dei corpi decollati, la tre<strong>di</strong>cina in onore <strong>di</strong> S.Antonio ecc…<br />

Tra i canti sacri ci sono pure le <strong>di</strong>esille per suffragare le anime dei defunti.<br />

I Sentimenti dei Canti Popolari<br />

I gran<strong>di</strong> folkloristi dell’Ottocento, osservarono e stu<strong>di</strong>arono la Sicilia, con lo sguardo nostalgico<br />

del passato, il mito romantico <strong>di</strong> una terra in cui la poesia si fonde con la natura:<br />

così scrive l’insigne folklorista Giuseppe Pitrè a proposito dei sentimenti contenuti nei canti<br />

tra<strong>di</strong>zionali antichi: "La terra dà il carattere spiccato del canto: le montagne, gli scogli, i<br />

macigni, danno l’inflessibilità dell’indole, la tenacia nei propositi; le amene convalli, le ridenti<br />

pianure, ispirano gentilezza e cortesia; dal sorriso <strong>di</strong> questo cielo limpi<strong>di</strong>ssimo riflesso sulle<br />

nostre donne, nasce l’amore vivo, ardente come il sole delle nostre contrade, e dall’Etna, che<br />

alla nostra terra meritò il titolo <strong>di</strong> Isola del fuoco, provengono i pronti corrucci, le facili ire gli<br />

eterni rancori, ed i subiti ar<strong>di</strong>menti, i sospetti senza fondamento, le irragionevoli gelosie… quel<br />

misto <strong>di</strong> bollore e <strong>di</strong> quiete, <strong>di</strong> senno e <strong>di</strong> precipitazione, <strong>di</strong> malinconia e <strong>di</strong> brio, <strong>di</strong><br />

mansuetu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> fierezza che nel canzoniere son doti particolari"<br />

L’amore, la fede, lo stoicismo, la religione, il pianto, la felicità, la satira civile e politica, le<br />

massime astiose, piene <strong>di</strong> bile, sono la gamma innumerevole dei sentimenti che il popolo canta<br />

nelle sue canzoni.


Dipinto <strong>di</strong> Gioacchino Cappello<br />

I canti parlano dei tanti sentimenti dell’animo umano;<br />

il primo fra tutti e’ l’amore: l’amante siciliano cantava la sua ammirazione per la bellezza della<br />

donna con pregiate metafore; la donna è un <strong>di</strong>amante raro, palazzo <strong>di</strong> pietre preziose, vascello<br />

navigante; lei dalle trecce d’oro, dalla fronte fine, archi trionfali, le ciglia, coralli le labbra; bella<br />

più che il sole e la luna…<br />

ecco alcuni esempi:<br />

Primo esempio Secondo esempio<br />

Quannu nascisti tu, scumidda<br />

d’uoru,<br />

Quando nascesti tu, spumetta dorata<br />

l’angili <strong>di</strong> lu cielu s’alligraru.<br />

si rallegrarono gli angeli del cielo<br />

Dimmillu, cu ti detti ssu trisoru?<br />

Dimmelo, chi ti <strong>di</strong>ede questi tesori?<br />

Novi tuorci d’argientu t’addumaru.<br />

nove torce d'argento ti accesero:<br />

Tu sula cci poi stari mmienzu l’uoru<br />

tu sola puoi stare in mezzo all'oro<br />

Mmienzu li stid<strong>di</strong> chi n’ cielu<br />

ngastaru.<br />

fra le stelle che in cielo sono<br />

incastonate<br />

(raccolto a Casteltermini)<br />

Auta donna, na Reggina siti,<br />

Altissima donna, una Regina siete<br />

ca bid<strong>di</strong>zzi nn’aviti nquantitati<br />

poichè bellezze ne avete in quantità,<br />

<strong>di</strong> la stidda Nniana figghia siti,<br />

della stella Diana siete figlia,<br />

la Luna soru, lu Suli v’è frati,<br />

della Luna sorella, iI Sole vi è<br />

fratello,<br />

li stid<strong>di</strong> pi ghiucari li tiniti<br />

le stelle tenete per giocarci<br />

e nta lu menzu dù torci addumati,<br />

nel mezzo due torce accese;<br />

quannu un pe<strong>di</strong> a la porta vui<br />

mintiti<br />

quando un piede alla porta mettete,<br />

ncielu v’accumpagnanu li Fati.<br />

in cielo vi accompagnano le Fate.<br />

(raccolto a Palermo)


Terzo esempio<br />

Stidda lucenti china <strong>di</strong> bid<strong>di</strong>zzi<br />

Stella lucente piena <strong>di</strong> bellezze<br />

Montagna tutta <strong>di</strong> cristallu e d’oru,<br />

montagna tutta <strong>di</strong> cristallo ed oro<br />

mi nni ‘nciammai <strong>di</strong> li tò bid<strong>di</strong>zzi,<br />

mi infiammai delle tue bellezze,<br />

quannu un ti viju <strong>di</strong> la pena moru:<br />

quando non ti vedo muoio <strong>di</strong> pena;<br />

dammi un capiddu <strong>di</strong> ssi bienni<br />

trizzi,<br />

dammi un capello <strong>di</strong> queste bionde<br />

trecce<br />

quantu lu ntrizzu c’un lazzettu<br />

d’oru:<br />

quanto l'intreccio con un laccetto<br />

d'oro;<br />

miatu dd’omu ca cerca bid<strong>di</strong>zzi!<br />

beato quell'uomo che cerca la<br />

bellezza,<br />

Ca cui pusse<strong>di</strong> a tia, teni un tisoru.<br />

chi ti possiede, tiene un tesoro.<br />

(raccolto a Termini)<br />

I Canti d’Amore<br />

Amore vuol <strong>di</strong>re cantare, il canto rivela gioie e dolori, gelosie, sdegno, corrucci, abbandono,<br />

<strong>di</strong>sperazione amorosa; numerosi sono i canti <strong>di</strong> "gilusia, spartenza e sdegnu"<br />

Esempio <strong>di</strong> "gilusia" Esempio <strong>di</strong> "spartenza"<br />

Donna, ca duni acqua a dui vadduna,<br />

Donna che dai acqua a due torrenti<br />

e un poi furmari mai ciumi correnti,<br />

e non puoi formare un fiume corrente,<br />

donna ca amannu vai a tanti patruna,<br />

donna che amando vai tanti padroni,<br />

e un li po’ fari a tutti mai cuntenti,<br />

e non puoi farli mai tutti contenti;<br />

amanni unu cu cori custanti,<br />

amane uno con cuore costante<br />

e l’autri levatilli <strong>di</strong> la menti;<br />

e gli altri levateli dalla mente:<br />

pirchì tu donna, pi amarinni a tanti<br />

perchè tu donna, per amarne tanti,<br />

t’abbruci, ti consumi, e nun fà nenti.<br />

ti bruci, ti consumi e non fai niente.<br />

(raccolto ad Alimena)<br />

Bedda chi mi ca<strong>di</strong>sti <strong>di</strong> lu cori,<br />

Bella, che mi cadesti dal cuore<br />

comu un panaru <strong>di</strong> mènnuli amari,<br />

come un paniere <strong>di</strong> mandorle amare,<br />

ti nn’hajiu a dari assà peni a ssù cori<br />

te ne darò assai, pene nel cuore<br />

p’anzina chi ti fazzu mpustimari.<br />

sino a che ti farò ammalare.<br />

( raccolto ad Alcamo)


Le serenate rappresentavano le modalità del corteggiamento mentre i canti <strong>di</strong> sdegno, la rottura del<br />

corteggiamento.<br />

Vurria cantari nta li matinati,<br />

Vorrei cantare all'alba<br />

allura chi su tutti addurmisciuti<br />

quando tutti dormono<br />

e nta ssu viancu lettu vi curcati<br />

e in questo bianco letto siete coricata<br />

e vi gu<strong>di</strong>ti lu sunnuzzu duci.<br />

e vi godete il dolce sonno.<br />

Eu vajiu cantannu pi li strati:<br />

Io vado cantando per le strade<br />

sona citarra e dammi bona vuci;<br />

suona, chitarra e dammi buona voce,<br />

s’hannu a jicari sti dù cori amati<br />

si uniranno questi due cuori amanti<br />

si lu Signori nni lassa ‘n saluti.<br />

se il Signore ci lascia vivere.<br />

(raccolto a Camporeale)<br />

I Canti della Vicaria<br />

Esempi <strong>di</strong> "serenate"<br />

Nun dormiti no no, nun tantu sonnu<br />

Non dormite, no, tanto sonno<br />

Chi lu tantu durmiri vi fa dannu,<br />

che il troppo dormire vi fa danno,<br />

ccà c’è lu vostru amanti a stu cuntornu<br />

qui in giro c'è il vostro amante,<br />

cu strumenti d’amuri e va sunannu;<br />

con strumenti d'amore và suonando;<br />

sona <strong>di</strong> prima sira sinu a jornu,<br />

suona da prima sera sino a giorno,<br />

sona pri quantu jorna cc’è tra un annu;<br />

suona per i giorni che sono in un anno;<br />

pri quantu bed<strong>di</strong> cc’è tra stu cuntornu,<br />

tra tante belle che sono nei <strong>di</strong>ntorni<br />

tu sula mi fa jiri pazziannu<br />

tu sola mi fai impazzire.<br />

Questi canti venivano eseguiti con o senza accompagnamento musicale;<br />

i canti della vicaria, raccontano la sofferenza dei condannati, con la piena degli affetti che<br />

irrompe, col sentimento della libertà perduta; la <strong>di</strong>sperazione è alle prese con il dolore, la vita<br />

in lotta con la morte.<br />

Esempio <strong>di</strong> canto<br />

Su carzaratu e a sti gra<strong>di</strong> m’appizzu<br />

Sono carcerato ed a queste grate mi afferro<br />

pi miraculu <strong>di</strong> Diu nun nesciu pazzu<br />

per miracolo <strong>di</strong> Dio non esco pazzo.<br />

haiu na petra dura pi capizzu<br />

ho una pietra dura per cuscino,<br />

setti parmi <strong>di</strong> terra è matarazzu.<br />

sette palmi <strong>di</strong> terra il materazzo.<br />

O Ancilu <strong>di</strong> Diu cercacci ngrizzu<br />

Oh, Angelo <strong>di</strong> Dio,trova il rime<strong>di</strong>o<br />

cu stu cuteddu ccà stissu m’ammazzu!


I Canti <strong>di</strong> Lavoro<br />

o con questo coltello qui stesso mi uccido.<br />

Mi votu, mi giriu, su sempri mpizzu,<br />

Mi volto, mi giro, sono sempre sull'orlo,<br />

veni la Morti, la strinciu e l’abbrazzu !<br />

viene la Morte, la stringo, l'abbraccio.<br />

Nata nei campi, o nelle piazze citta<strong>di</strong>ne, la canzone popolare e le sue espressioni musicali, era<br />

correlata al ciclo dell’anno e del lavoro: pescatori, conta<strong>di</strong>ni, carrettieri, fornai, artigiani,<br />

vanniatori, vantavano una cospicua produzione <strong>di</strong> canti relativi al loro mestiere.<br />

I canti del lavoro nascevano spontaneamente dall’esigenza <strong>di</strong> dovere coor<strong>di</strong>nare i lavori <strong>di</strong><br />

gruppo;<br />

gli antichi mestieri tra<strong>di</strong>zionali come la battitura del gesso, delle fibre, del frumento,<br />

avvenivano con movimenti <strong>di</strong> percussione, o <strong>di</strong> trazione in ambito marinaro, con le vele, la<br />

pesca, il trasporto del sale, la misurazione, con la pesa del frumento, del mosto del sale ecc… ;<br />

i movimenti ed i ritmi <strong>di</strong> questi mestieri, producevano spontaneamente un accompagnamento<br />

vocale che scaturiva dai gesti e dai ritmi propri <strong>di</strong> quei lavori.<br />

Vanniatine<br />

Frauli (fragole)<br />

Ora si ponnu manciari veri frauli, a<br />

trentadù grana calaru!<br />

Ora si potranno mangiare vere fragole...<br />

sono scese <strong>di</strong> prezzo...<br />

Cucuzza (Zucchina)<br />

Viera comu u mieli è! viera comu u<br />

mieli è!<br />

Veramente come il miele è, veramente<br />

come il miele è!<br />

Pumadoru (pomodori)<br />

Sciacquatu l'haiu, pumaramuri, a tri<br />

grana l'haiu!<br />

Persichi (pesche)<br />

Di Carini sta bedda persica<br />

giannulidda!<br />

Di Carini questa bella pesca giallina!<br />

Favi (fave)<br />

Chi bed<strong>di</strong> favi ca sunnu curti e chini<br />

La misuratine del frumento<br />

Nomu <strong>di</strong> Diu, avemu unu e unu e<br />

dui,<br />

avemu tri, e unu quattro, cincu<br />

avemu…<br />

..sei, setti, ottu,<br />

e novi e tagghiala!


e vi vinnu a sè grana sti favi!<br />

Che belle fave, sono corte e piene e ve<br />

le vendo a sei grani queste fave!<br />

I Canti dei Conta<strong>di</strong>ni<br />

I canti della tra<strong>di</strong>zione conta<strong>di</strong>na restano solo ancora nella memoria degli anziani.<br />

Questi canti venivano eseguiti durante il lavoro nei campi ma anche nelle riunioni conviviali,<br />

feste, serenate etc..<br />

Ed hanno anche loro delle forme <strong>di</strong>stinguibili: il canto alla viddanisca, detto anche alla<br />

campagnola e’ uno dei più <strong>di</strong>ffusi, con ottave <strong>di</strong> endecasillabi, con esecuzione mono<strong>di</strong>ca a volte<br />

con accompagnamento <strong>di</strong> marranzano.


Innumerevoli canti sono stati raccolti nel Corpus <strong>di</strong> musiche popolari <strong>di</strong> Alberto Favara, un<br />

universo musicale compatto e variegato delle forme musicali degli antichi lavoratori:<br />

conta<strong>di</strong>ni, zolfatari e carrettieri, partecipavano ad una comune tra<strong>di</strong>zione, influenzandosi<br />

nei repertori.<br />

Primo esempio Secondo esempio<br />

Guarda chi figghia teni stu viddanu!<br />

Pari ca fussi na spignidda d’oru<br />

Quannu si metti dd’aguglia a li manu<br />

Pari arricamassi sita e oru<br />

Quannu si metti ‘mmenzu ddu tilaru<br />

Fa ghiri dda navetta volu volu.<br />

(422 Corpus Favara)<br />

I Canti dei Carrettieri<br />

Dunni camini tu e li peri posi<br />

Nascinu ciuri <strong>di</strong> milli paisi<br />

Nascinu ciuri <strong>di</strong> milli paisi<br />

Balacu, gersumini, gigghi e rosi.<br />

Lu nomu Marianedda ti lu misi<br />

Nta stu pittuzzu to porti gran cosi<br />

Setti jar<strong>di</strong>na, ottu para<strong>di</strong>si<br />

Dipinto <strong>di</strong> Gioacchino Cappello<br />

Novi canti d’aceddu unni arriposi.<br />

(271 Corpus Favara)<br />

Profonde trasformazioni socioculturali hanno determinato la crisi irreversibile che ha investito la cultura<br />

tra<strong>di</strong>zionale siciliana.


<strong>Il</strong> carretto è un mezzo <strong>di</strong> lavoro ormai in <strong>di</strong>suso: è quasi scomparso così come scomparsi sono i suggestivi,<br />

elaborati ed arcaici canti che accompagnavano il duro lavoro del carrettiere.<br />

Fino a non molti decenni fa le merci venivano trasportate con il carretto: prodotti per la campagna, per<br />

l’e<strong>di</strong>lizia, il concime, il carbone, il sale, lunghi percorsi attraverso trazzere, "stratuna" in solitu<strong>di</strong>ne, a volte<br />

per <strong>di</strong>versi giorni, con l’unica compagnia il cavallo... e le canzoni, fino ai "fondaci", luoghi dove fermarsi per<br />

riposare, bere, con<strong>di</strong>videndo con altri carrettieri la fatica comune <strong>di</strong> un duro mestiere. E non solo: nel<br />

fondaco i carrettieri si sfidavano a chi sapesse il canto più bello, a chi aveva la migliore "carenzia" cadenza,<br />

una perfetta emissione vocale, il rispetto per il modello musicale tra<strong>di</strong>zionale, riscuotendo il rispetto dei<br />

compagni e la consacrazione naturale.<br />

I cantanti, tra l’entusiamo generale completavano il loro brano con le "chiamate" invitando altri a<br />

continuare il canto fra un bicchiere <strong>di</strong> vino e "favi a cunigghiu", un invito amichevole o anche<br />

provocatorio. Canti che venivano trasmessi per generazioni <strong>di</strong> padre in figlio, da zio a nipote.<br />

Motivo <strong>di</strong> vanto era a chi avesse il cavallo più potente ed abile, da qui le gare, l’ostentazione <strong>di</strong> qualche<br />

superiorità, durante le fiere, pellegrinaggi, feste. I contenuti dei canti l’amore, le pene, la gelosia, lo sdegno<br />

etc…<br />

Elementi <strong>di</strong> competizione erano la tecnica del canto, la resistenza fisica, la capacita <strong>di</strong> mangiare<br />

abbondantemente...<br />

Tutto il repertorio dei canti alla carrittera è complesso e raffinato nelle trame melismatiche.<br />

Oggi non ci sono più i carrettieri ma i loro canti costituiscono una delle espressioni più importanti della<br />

musica etnica siciliana.<br />

Primo esempio Secondo esempio<br />

Un ni lu fazzu cchiù lu carritteri<br />

Non lo faccio più il carrettiere<br />

Chi lu cavaddu un voli caminari<br />

il mio cavallo non vuole camminare<br />

Nta la scinnuta <strong>di</strong> Musulumeli<br />

nella <strong>di</strong>scesa <strong>di</strong> Misilmeri<br />

Si rumpi suttapanza e pitturali.<br />

si ruppe sottopancia e pettorali.<br />

(Corpus Favara)<br />

Gigghiu <strong>di</strong> novi pampini si natu<br />

Giglio <strong>di</strong> nove foglie sei nato<br />

Gigghiu adorni la pirsuna mia<br />

giglio che adorni la mia persona<br />

Catina chi mi teni ncatinatu<br />

catena che mi tiene incatenata<br />

Catina chi ncatini l’arma mia.<br />

catena che incatena l'anima mia;<br />

Beni ti vogghiu cchiù <strong>di</strong> lu mè ciatu<br />

bene ti voglio più che il mio respiro<br />

Accussì criu chi vò beni a mia<br />

così credo tu voglia bene a me;<br />

Lu sonnu <strong>di</strong> la notti m’ha rubatu<br />

il sonno della notte mi hai rubato<br />

Ti lu purtasti a dormiri cu tia.<br />

te lo sei portato a dormire con te.<br />

(Corpus Favara)


Le Novene <strong>di</strong> Natale<br />

Le Novene <strong>di</strong> Natale, canto narrativo sud<strong>di</strong>viso in 9 parti che narrano le vicende della natività<br />

sono eseguite per le 9 sere che precedono il Natale, ad opera <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> musicanti che<br />

suonano davanti ad e<strong>di</strong>cole sacre addobbate con frutta, alloro ed asparago ed eseguendo un<br />

vario e suggestivo repertorio commissionato da devoti che alla fine offriranno cibo e bevande a<br />

loro ed ai presenti; In <strong>di</strong>versi paesi, vengono accesi dei falò per "qua<strong>di</strong>ari lu Bammineddu".<br />

A Monreale, <strong>di</strong>verse coppie <strong>di</strong> zampognari (ciaramiddari) si esibiscono la mattina e la sera,<br />

dall’Immacolata all’Epifania con la zampogna " a chiave", o a Licata con quella "a paio" con il<br />

sostegno ritmico del cimmulu (cerchietto) munito <strong>di</strong> piattini e sonagli.<br />

La Novena da Madonna, a Novena <strong>di</strong> Natali, l’Ottava dell’Epifania, della Natività,<br />

dall’Annunciazione alla Nascita, alla fuga in Egitto ed il Triduo (triinu), che conclude i tre giorni<br />

dal 3 al 5 gennaio, sono alcuni degli antichi canti proposti nelle novene; i brani più richiesti e<br />

commissionati dai devoti sono Lu viaggiu dulurusu (lu caminu <strong>di</strong> San Giuseppi), A la<br />

notti <strong>di</strong> Natali, Ninu Ninu lu picuraru, Li tri re, Dinghi <strong>di</strong>nghi la campanedda, la Sarvi<br />

Regina <strong>di</strong> Natali, e melo<strong>di</strong>e strumentali come le Pasturali che sono l’esito <strong>di</strong> scambi tra la<br />

musica dotta e quella popolare; i Ballitti concludono le Novene. Temi ricorrenti sono<br />

l’adorazione dei pastori, le ninna nanne al Bambino.<br />

"Lu caminu <strong>di</strong> San Giuseppi" è un lungo testo in quartine <strong>di</strong> ottonari che narra le vicende<br />

evangeliche della nascita <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> cui fu autore un monaco monrealese Bini<strong>di</strong>ttu Annuleri,<br />

pseudonimo del canonico Antonio Di Liberto. Dal suo "Viaggio dulurusu <strong>di</strong> Maria<br />

Santissima e lu Patriarca San Giuseppi in Betlemmi", nacquero nei secoli molte varianti,<br />

<strong>di</strong>versi brani simili, con svariate combinazioni vocali e strumentali.<br />

Un’altra interessante novena è attribuita a Giacomo D’Orsa, celebre poeta popolare dei primi<br />

anni del Settecento, dal titolo "Curteggiu <strong>di</strong> li pasturi a lu Santu Bambinu Gesù, la ninna<br />

<strong>di</strong> la Gluriusa Virgini Maria"; da queste <strong>di</strong>scendono le numerose varianti riproposte ancora<br />

oggi.<br />

<strong>Il</strong> Pitrè testimonia <strong>di</strong> novene <strong>di</strong> Natale, eseguite con svariati strumenti: friscalettu,<br />

scacciapensieri, violino, contrabbasso e flauto. Alla fine dei canti, i cantanti ricevevano il<br />

compenso. "Fari u firriatu" cioè offrire ai suonatori ed ai presenti, vino, ceci, cucciddati, uva<br />

passa e fichi secchi dai devoti.<br />

"E’ nasciutu u Bammineddu: datici lu carrineddu!", o "la nuvena è terminata, datici li<br />

cucciddata".<br />

<strong>Il</strong> contenuto delle Novene, i personaggi trovano origine molto spesso, dai Vangeli apocrifi<br />

trasmessi nel tempo per via orale.


Esempio <strong>di</strong> novene<br />

Quannu Cesari iccau ddu gran bannu rigurusu,<br />

Quando Cesare proclamò quell'e<strong>di</strong>tto rigoroso,<br />

San Giuseppi si truvau ntra la chiazza rispittusu<br />

San Giuseppe si trovava nella piazza rispettoso:<br />

San Giuseppi era cunfusu-Comu fazzu cu Maria-<br />

San Giuseppe era confuso -come faccio con Maria-<br />

siddu senti chistu bannu, voli veniri cu mmia..-<br />

-se lei sente quest'e<strong>di</strong>tto vorrà venire con me.-..<br />

E Maria ci ha rispunnutu- fatta sia la vuluntati<br />

ma Maria gli rispose-fatta sia la volontà-<br />

giacchè Diu l’ha <strong>di</strong>spunutu, vegnu dunni mi purtati…<br />

-giacchè Dio l'ha <strong>di</strong>sposto, vengo dove mi portate.<br />

(Corpus Favara)<br />

Ora veni lu picuraru<br />

e nun ha chi ci purtari<br />

porta latti e nti la cisca<br />

cascavad<strong>di</strong> e tuma frisca.<br />

Arrivisciti o matri mia,<br />

ca nui semu a la campìa.<br />

E ninna hò, e ninna ahò<br />

e lu mè figghiu dormiri vò.<br />

(Corpus Favara)<br />

E la notti <strong>di</strong> Natali c’è la festa principali<br />

E la notte <strong>di</strong> Natale, c'è la festa principale,<br />

parturiu la gran Signora nna n’afflitta manciatura<br />

partorì la gran Signora in un'afflitta mangiatoia<br />

mmenzu l’oi e l’asineddu fici a Gesù bammineddu<br />

in mezzo al bue ed all'asinello fece a Gesù Bambinello,<br />

e ognirunu lu biniricia: chistu è lu fruttu chi fici Maria<br />

ed ognuno lo bene<strong>di</strong>ceva -questo è il frutto che fece Maria...<br />

(Corpus Favara)


I Trionfi<br />

I Triunfi sono tra le forme sonore della devozione popolare, il repertorio poetico-musicale <strong>di</strong><br />

maggiore interesse e rilevanza; tra i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione dei culti, importante era l’apporto<br />

della poesia popolare largamente utilizzata presso le classi del popolo, e ad essa si rifaceva il<br />

repertorio dei Triunfisti.<br />

I Triunfi composti da canti e suoni ballabili, sunati a complimento, con particolari interlu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

violino, che inframmezzano le strofe dai <strong>di</strong>versi cambi <strong>di</strong> tonalità, contenevano le storie sacre<br />

che venivano fatte in onore ed in ringraziamento per grazia ricevuta, <strong>di</strong> un Santo, della<br />

Vergine, o <strong>di</strong> Cristo.<br />

Venivano eseguiti durante la festa ricorrente , per devozione, da un gruppo <strong>di</strong> suonatori;<br />

anticamente erano gli Orbi, più recentemente gruppi <strong>di</strong> due o tre suonatori, del popolo, che in<br />

casa, per strada, davanti ad un’e<strong>di</strong>cola addobbata, o davanti ad un altarino con l’immagine del<br />

Santo, o davanti la porta <strong>di</strong> casa del devoto che chiama ad eseguire il trionfo, suonano il<br />

violino, la chitarra, a cui recentemente si è unita la fisarmonica e il mandolino, ricevendo in<br />

cambio del denaro. <strong>Il</strong> triunfo inizia con un brano allegro, poi racconta la vita del Santo, e si<br />

conclude con la sunata a complimento, e l’abballu <strong>di</strong> li Virgini.<br />

Anche in questo caso il devoto offre ai suonatori ed ai presenti, vino, dolci, favi a cunigghiu.<br />

TRIUNFU DI S.RUSULIA<br />

Una parte consistente del repertorio degli Orbi, arrivato fino ai giorni nostri, è costituita dal<br />

Triunfu <strong>di</strong> Santa Rusulia, una forma rituale che scaturisce da sentimenti <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne del<br />

popolo <strong>di</strong> Palermo, per grazia ricevuta, e che inizia con un prelu<strong>di</strong>o musicale molto vivace,


seguito dalla narrazione della storia della vita <strong>di</strong> Santa Rosalia; la chiamata <strong>di</strong>vina, la città<br />

sconvolta dalla peste, il miracolo della guarigione dal flagello, sono i quadri che vengono<br />

cantati; il triunfu si conclude con l’Abballu <strong>di</strong> li Virgini, una o più sunati a cumplimentu.<br />

Rusulia santa Vergini amurusa<br />

Gigghiu ad<strong>di</strong>vatu fusti all’acqui puri<br />

La <strong>di</strong>scinnenza tua fù priziusa<br />

Di Carlo Magno Re imperaturi<br />

Pi essiri a Diu la cilesti spusa<br />

Di ncelu nterra ci detti st’onuri<br />

Apposta nta stu munnu fù mannata<br />

Pi essiri <strong>di</strong> Palermu l’avvocata<br />

Essennu la Sicilia turmintata<br />

D’in<strong>di</strong>gni manigol<strong>di</strong> e saracini<br />

La santa liggi vineva <strong>di</strong>scacciata<br />

<strong>di</strong> chisti barbari in<strong>di</strong>gni er assassini…<br />

…sennu nata Santa Rusulia<br />

triunfu fici la corti riali<br />

tuttu lu populu gran festa ci facia<br />

pi li bid<strong>di</strong>zzi, nun c’eranu l’iguali<br />

la matri assai la figghia stimava<br />

la santa liggi ci misi a mparari<br />

e la mparava cu n’affettu piu<br />

e la Virginedda misi ad amari a Diu…etc…<br />

….un certu jornu vosi pittinari<br />

la cammarera a Santa Rusulia<br />

<strong>di</strong> perli e gioie la misi a ntricciari<br />

na li so bed<strong>di</strong> capid<strong>di</strong> c’havia<br />

ma pi cchiù megghiu falla ncapricciari<br />

ccà c’è lu specchiu guardati ci <strong>di</strong>cia<br />

mentri a lu specchiu si guardava fissu<br />

ci accumpariu Gesù Crocifissu….etc…<br />

I Canti della Settimana Santa<br />

Rosalia santa Vergine amorosa,<br />

giglio sei stata, allevata alle acque pure<br />

la tua <strong>di</strong>scendenza fù preziosa,<br />

da Carlo Magno, Re ed Imperatore..<br />

per essere <strong>di</strong> Dio celeste sposa<br />

dal cielo in terra le fù dato l'onore,<br />

apposta in questo mondo fù mandata,<br />

per essere <strong>di</strong> Palermo l'avvocata...<br />

essendo la Sicilia tormentata<br />

da indegni manigol<strong>di</strong> e saraceni<br />

la santa legge veniva <strong>di</strong>sprezzata<br />

da questi barbari indegni ed assassini...<br />

essendo nata Santa Rosalia,<br />

trionfo tenne la corte reale<br />

tutto il popolo faceva festa<br />

per la sua bellezza che non aveva uguali<br />

la madre assai stimava la figlia<br />

e la santa legge cominciò ad insegnarle<br />

gliela insegnava con pio affetto<br />

e la Verginella cominciò ad amare Dio...<br />

Un certo giorno volle la cameriera<br />

pettinare Santa Rosalia,<br />

<strong>di</strong> perle e gioie mise ad intrecciare<br />

quei bei capelli che lei aveva<br />

Ma per meglio farla scapricciare,<br />

- qui c'e' lo specchio, guardati...-<strong>di</strong>ceva...<br />

mentre allo specchio si guardava fisso<br />

le comparve Gesù Crocifisso...etc...<br />

<strong>Il</strong> dolore come sentimento è rappresentato nei canti della Settimana Santa; canti,<br />

lamintanzi, ladate, che accompagnano le processioni del Venerdì Santo, con rèpitu, chianti,<br />

triulu, lamentu.<br />

In quasi tutti i paesi si festeggia la Settimana Santa, un insieme <strong>di</strong> celebrazioni rituali con<br />

processioni, alcune molto suggestive ed intense come a Trapani dove sono rappresentati i<br />

"Misteri", con i "mortori, e le "scinnenze", o bizzarre come i giudei <strong>di</strong> S. Fratello o i<br />

Diavuluna <strong>di</strong> Prizzi.


La musica <strong>di</strong> queste processioni è a carattere mesto e luttuoso, con le lamentanze, i lamenti, o<br />

parti <strong>di</strong> la Simana Santa, cioè canti più voci o mono<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione orale, <strong>di</strong> grande<br />

importanza e varietà.<br />

Questi lamenti per lo più vengono eseguiti il Venerdì Santo in forma polivocale, da parte <strong>di</strong><br />

squadre <strong>di</strong> cantori speciali detti lamentatori, con un cantore solista, ed un accompagnamento<br />

vocale a più voci.<br />

<strong>Il</strong> Miserere, lo Stabat Mater, il Gloria, Vexilla, il Magnificat, vengono proposti in libere<br />

volgarizzazioni dal latino storpiato, in italiano ed in siciliano; a volte sono accompagnati dalle<br />

traccole. I testi sono a carattere narrativo, raccontano la Passione <strong>di</strong> Gesù, il dolore <strong>di</strong> Maria.<br />

Foto tratta dal sito Panormus <strong>di</strong> Carlo Di<br />

Franco sui riti della pasqua a Palermo<br />

Maria ittoni na vuci supra un scogghiu<br />

Maria alzò la voce sugli scogli<br />

Dicennu – mè riparu e mè cunsigghiu...<br />

<strong>di</strong>cendo:-mio riparo e mio consiglio-,<br />

<strong>di</strong>cennu – mè riparu e mè cunsigghiu<br />

<strong>di</strong>cendo:-mio riparo e mio consiglio<br />

Maria scuntrau na putia nova<br />

Maria passò da una nuova bottega,<br />

lu mastru d’ascia la cruci facia<br />

il falegname faceva la croce<br />

cu tri rispuntatissimi tri chiova.<br />

con tre spuntatissimi tre chio<strong>di</strong>:<br />

Servinu pi lu figghiu <strong>di</strong> Maria.<br />

servono per il figlio <strong>di</strong> Maria...<br />

(Corpus Favara)<br />

E figliu ca ti partisti o comu gigliu,<br />

Figlio te ne sei andato come un giglio<br />

ora ti trovu tuttu fragillatu...<br />

ora ti trovo tutto flagellato...<br />

Vitti viniri lu populu armatu,<br />

Vi<strong>di</strong> venire la folla armata<br />

cu Giuda avanzi tra<strong>di</strong>tori misu,<br />

con Giuda davanti ai tra<strong>di</strong>tori<br />

e Cristu a li Giudei vosi spiari<br />

e Cristo agli Giudei volle chiedere<br />

ci <strong>di</strong>ssi a Giuda, chi vinisti a fari ?<br />

e <strong>di</strong>sse a Giuda,- che sei venuto a fare ?<br />

Chianci, chianci Maria, povera donna,<br />

Piange, piange, Maria, povera donna<br />

chi avi lu figghiu so a la cunnanna.<br />

che ha il figlio suo alla condanna...


Gli Strumenti della Musica Popolare<br />

Cunnanna un esti no, chi chiù nun torna,<br />

condanna non è, no, da non farlo tornare,<br />

e’ ncasa <strong>di</strong> Pilatu, ncasa torna...<br />

è in casa <strong>di</strong> Pilato, perciò a casa torna..<br />

L’intervento strumentale negli antichi canti popolari, dominio della pura vocalità, in origine è<br />

pressoché nullo in quanto la compiutezza melo<strong>di</strong>ca del canto, a giu<strong>di</strong>zio del popolo non lo<br />

richiede ; esso appare in un momento successivo, quando l’esecutore in circostanze speciali,<br />

vuol fare mostra <strong>di</strong> particolare abilità o durante le feste.<br />

Gli strumenti popolari siciliani rappresentano una componente essenziale nell’esecuzione della<br />

musica popolare oltre che un valore storico, psicologico, magico-rituale, e socio-culturale; il<br />

Pitrè ne fa una menzione nei giochi fanciulleschi e per certi ricorrenze religiose; il Salamone<br />

Marino, fa un semplice accenno parlando del Carnevale dei conta<strong>di</strong>ni. Qualche notizia ci viene<br />

dalla stu<strong>di</strong>osa catanese Carmelina Naselli, che parlò nel 1949, <strong>di</strong> strumenti da suono della<br />

musica siciliana.<br />

Vi sono alcune testimonianze che si possono trovare nella letteratura demologia del secolo<br />

scorso o nei resoconti dei viaggiatori stranieri in Sicilia, nel Settecento o nell’Ottocento che ci<br />

parlano della presenza <strong>di</strong> strumenti musicali popolari :-Non ci sono feste senza musica, canti e<br />

danze - scrive H’elèn Tuzet, riportando le note <strong>di</strong> viaggio <strong>di</strong> Barteìs,- i ballerini girano con<br />

grazia e <strong>di</strong>gnità… le danze sono accompagnate da flauti, cennamelle, ed altri strumenti a fiato…<br />

Anche Alexandre Dumas, in viaggio in Sicilia, ci lascia una testimonianza <strong>di</strong> una festa<br />

tra<strong>di</strong>zionale briosa: - Si danza da soli, in due, in quattro. In otto, come si vuole, un uomo con<br />

un altro, una donna con un’altra… l’orchestra si componeva <strong>di</strong> due soli musicisti, uno suonava il<br />

flauto, l’altro una specie <strong>di</strong> mandolino.<br />

Così scrive il Salamone Marino – due suonatori uno con il contrabbasso, l’altro con il violino, o<br />

lo zufolo, non mancano mai: la domenica si piantano in una piazza, dove non appena hanno<br />

dato l’aria a due note, veggonsi circondati da una folla <strong>di</strong> giovani villici…. Quei musici vi danno<br />

un pezzo (caddozzu) <strong>di</strong> fasola, o <strong>di</strong> tarantella, tutte musiche popolari un tempo accompagnate<br />

dal canto…<br />

- Né <strong>di</strong>fettano mai gli strambotti tra<strong>di</strong>zionali, ed i fiori o gli stornelli, - scrive sempre il<br />

Salamone Marino - quali sono cantati solitamente da giovani con accompagnamento <strong>di</strong>


scacciapensieri,(mariolu, ngannalarruni) o <strong>di</strong> zufolo, (friscalettu) strumenti che abitualmente<br />

essi portano in tasca.<br />

Gli strumenti più usati<br />

(clicca sul link per la pagina de<strong>di</strong>cata al singolo strumenti)<br />

• A corde (cordofoni): si tratta <strong>di</strong> strumenti muniti <strong>di</strong> corde, <strong>di</strong> nylon o metallo o <strong>di</strong><br />

budella <strong>di</strong> ovini (minugia) che possono venire: pizzicate, strofinate, percosse<br />

o violino<br />

o violoncello<br />

o mandolino<br />

o liuto<br />

o chitarra<br />

• A fiato (aerofoni): detti comunemente strumenti a fiato, gli aerofoni sono corpi cavi a<br />

forma <strong>di</strong> canna o tubo che producono il suono con la vibrazione della colonna d’aria in<br />

essi sospinta: quanto più lunga ed ampia è questa colonna d’aria, tanto più gravi sono i<br />

suoni che essa produce.<br />

o friscalettu (flauto <strong>di</strong> canna)<br />

o ciaramedda (zampogna)<br />

o bummulu<br />

• A percussione: sono strumenti adatti a sottolineare il ritmo <strong>di</strong> un brano musicale, ed<br />

hanno anche un’importante funzione coloristica ed espressiva; sono <strong>di</strong>stinti dal modo in<br />

cui vengono posti in vibrazione a seconda che siano percossi, strofinati, sbattiti,<br />

pizzicati, scossi etc…<br />

o mariolo (ngannalarruni, marranzano)<br />

o tammurinu tammureddu<br />

o circhettu,<br />

o timpanu<br />

o castagnette (scattagnetti, nacchere)<br />

o acciarinu


10-La Musica Popolare nel Gargano<br />

<strong>Il</strong> Gargano viene indagato per la prima volta nel 1954. La prima raccolta è la 24 b: fu<br />

effettuata da Alan Lomax e Diego Carpitella nell’ambito <strong>di</strong> una ricerca sistematica in tutta la<br />

penisola, che li portò a registrare circa 3000 documenti sonori. La raccolta, che comprende 53<br />

documenti sonori, con vari organici vocali e strumentali, registrati nei comuni <strong>di</strong> Sannicandro<br />

Garganico, Cagnano Varano, Carpino e Monte Sant’Angelo), è tuttora conservata presso gli<br />

Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia <strong>di</strong> Roma (è la denominazione che l'etnomusicologo Diego Carpitella<br />

<strong>di</strong>ede nel 1989 al Centro Nazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Musica Popolare (CNSMP) dell'Accademia<br />

Nazionale <strong>di</strong> Santa Cecilia, quando fu nominato conservatore).<br />

Nel 1958 viene effettuata la seconda campagna <strong>di</strong> registrazioni, a cura <strong>di</strong> Diego Carpitella ed<br />

Ernesto De Martino. E’ la raccolta 43, anch’essa depositata presso gli Archivi <strong>di</strong><br />

Etnomusicologia, comprende 73 documenti registrati a Vico del Gargano, Ischitella, Peschici,<br />

Sannicandro Garganico e Cagnano Varano. Nel 1966 Remigio de Cristofaro realizza la terza ed<br />

ultima raccolta patrocinata da un ente pubblico. La raccolta 104, più estesa rispetto alle due<br />

precedenti, comprende 95 documenti registrati a Vieste, Peschici, Monte Sant’Angelo,<br />

Sannicandro Garganico, Vico del Gargano, Ro<strong>di</strong> Garganico, Ischitella, San Giovanni Rotondo,<br />

Rignano Garganico, Manfredonia, Mattinata. La raccolta interessa 11 paesi del Gargano e fu<br />

effettuata dall’etnomusicologo originario <strong>di</strong> Ischitella per conto della Rai con il mitico<br />

registratore “Geloso”. Anch’essa è depositata presso gli Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia.<br />

<strong>Il</strong> 10 <strong>di</strong>cembre 1966 Diego Carpitella e Roberto Ley<strong>di</strong>, che stavano preparando uno spettacolo<br />

a Milano con cantori e suonatori tra<strong>di</strong>zionali, si recano a Carpino per effettuare una raccolta <strong>di</strong><br />

canti del paesino garganico. In quest’occasione registrarono la cosiddetta Tarantella del<br />

Gargano, che tanto successo ebbe presso i gruppi <strong>di</strong> riproposta (fino ad oggi se ne contano più<br />

<strong>di</strong> una trentina <strong>di</strong> versioni). In realtà era un sonetto (sunèttë) nella forma <strong>di</strong> tarantella alla<br />

mundanarë. L’iniziatore <strong>di</strong> questa operazione fu Roberto De Simone nel 1972 con la Nuova<br />

Compagnia <strong>di</strong> <strong>Canto</strong> Popolare (LP lo guarracino , Ricor<strong>di</strong>, SMRL 6151, 1972).<br />

Dal 1990, dopo la scomparsa <strong>di</strong> Carpitella, l'attività degli Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia è <strong>di</strong>retta<br />

da un comitato scientifico che ha avviato un insieme <strong>di</strong> interventi <strong>di</strong> ampio raggio tra cui la<br />

ricognizione, inventariazione e catalogazione informatizzata del patrimonio sonoro conservato<br />

e la pubblicazione <strong>di</strong> scelte antologiche dalle più importanti raccolte. Insieme al lavoro <strong>di</strong><br />

ricognizione, dal 1993 è stata intrapresa la pubblicazione <strong>di</strong> un perio<strong>di</strong>co, "EM - Rivista degli<br />

Archivi <strong>di</strong> Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale <strong>di</strong> Santa Cecilia", pubblicata dall'e<strong>di</strong>tore<br />

Squilibri <strong>di</strong> Roma. L'archivio fotografico dell'Accademia <strong>di</strong> Santa Cecilia conserva preziose<br />

immagini legate alla sua attività nel corso del Novecento. Si tratta <strong>di</strong> circa 12000 immagini. La<br />

documentazione fotografica offre, inoltre, le splen<strong>di</strong>de testimonianze dell'attività <strong>di</strong> ricerca<br />

svolta dal Centro Nazionale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> sulla Musica Popolare, particolarmente negli anni<br />

Cinquanta, immagini a supporto delle registrazioni oggi conservate nelle raccolte degli Archivi


<strong>di</strong> etnomusicologia. Bisognerebbe verificare se ci sono immagini scattate dagli etnomusicologi<br />

che hanno raccolto i documenti sonori del Gargano. Padre Remigio de Cristofaro ha trascritto<br />

recentemente i testi e le partiture dei “Canti del popolo <strong>di</strong> Ischitella”, da lui raccolti nella<br />

“campagna” del 1966. Nel convegno sulle “Tra<strong>di</strong>zioni popolari oggi ”, svoltosi a Monte<br />

Sant’Angelo nell’agosto 2004, ha sottolineato che questo lavoro è ancora da avviare per tutti<br />

gli altri 10 paesi del Gargano.


11-L Musica Popolare nel Lazio<br />

La musica popolare del Lazio è più affine a quella della Toscana, fra le regioni limitrofe, che a<br />

quella della Campania, questo sia per i comuni contatti con l'antico territorio etrusco, sia per<br />

l'affinità del paesaggio del Lazio con quello della Maremma Toscana.<br />

I loro canti hanno lo stesso carattere grave e melanconico <strong>di</strong> quelli delle regioni desertiche e<br />

pianeggianti.<br />

<strong>Il</strong> canto popolare del Lazio appare, nelle sue espressioni più genuine, influenzato dal<br />

gregoriano: in questo è da vedere la sopravvivenza dell'arte greco-romana.<br />

Una delle espressioni più tra<strong>di</strong>zionali del canto popolare in genere è costituita dalla ninna<br />

nanna, essa è molto presente nei canti romaneschi delle cui nenie con le quali le antiche madri<br />

romane addormentavano i figliuoli ci sono rimaste espressioni tipo "lalla, lalla, lalla, aut dormi<br />

aut lacta".<br />

La forma più <strong>di</strong>ffusa del canto popolare romanesco è costituita dallo stornello o ritornello,<br />

simile a quello toscano, e chiamato così perché nel canto si ripete il primo verso. Esso si<br />

<strong>di</strong>stingue in stornello "col fiore" e "senza fiore". Gli stornelli romaneschi presentano <strong>di</strong> solito<br />

una canzone piuttosto uniforme e sono meno agili <strong>di</strong> quelli toscani. Tra essi le "canzoni a<br />

intenne " rivelano il carattere fiero dell'antico popolo del Lazio, presso il quale ricorrenti erano<br />

le canzoni d'improperi e d'infamia. Esiste anche un tipo <strong>di</strong> stornello rustico e gioioso.<br />

Tra le danze va ricordato il saltarello: fino al secolo scorso era accompagnato dalla cornamusa<br />

e dal tamburello, oggi per lo più dalla fisarmonica ma il carattere ed il ritmo sono rimasti<br />

tuttora immutati in tutta la campagna romana.


12-<strong>Il</strong> <strong>Canto</strong> con chitarra in Sardegna<br />

Nel ricco e variegato repertorio della musica sarda il canto con chitarra del Logudoro,<br />

dell'Anglona e della Gallura è il più <strong>di</strong>ffuso. Da circa un secolo trova la sua più alta<br />

affermazione, con strutture e stili musicali ben definiti, nella "gara" tra i più bravi cantori.<br />

La presenza della chitarra in Sardegna è attestata dalla fine del XVI secolo, ma le prime notizie<br />

del suo abbinamento alla voce sono dell'Ottocento e risultano prive <strong>di</strong> elementi che possano<br />

giustificare circostanziate congetture sulle forme musicali adottate. Siamo certi, però, che alle<br />

ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa espressione belcantista c'è la ricca tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> canti mono<strong>di</strong>ci a voce sola che,<br />

sino a circa vent'anni fà, era possibile u<strong>di</strong>re soprattutto dalla bocca delle donne come<br />

sopravvivenza <strong>di</strong> una pratica musicale molto <strong>di</strong>ffusa. Ma i motivi elaborati nel canto con<br />

chitarra, già allora, iniziavano a prevalere e venivano normalmente ripresi nei repertori<br />

femminili domestici e del lavoro all'aperto, sino a soppiantare quasi del tutto le antiche<br />

espressioni. Nonostante le imponenti trasformazioni sociali ed economiche delle comunità<br />

agricole, il canto con chitarra continua a conservare i due livelli che lo hanno sempre<br />

contrad<strong>di</strong>stinto: quello della comunicazione sociale <strong>di</strong> puro intrattenimento e quello<br />

professionale. <strong>Il</strong> livello <strong>di</strong> comune attività canora è detto <strong>di</strong> su buttighinu (la bettola), sede<br />

d'incontro ora sempre più rara e sostituita da luoghi privati, come le cantine o, specialmente in<br />

città, i "circoli": stanzoni a pianoterra del<br />

centro storico dove gruppi <strong>di</strong> amici si<br />

riuniscono a bere e a cantare. A Sassari <strong>di</strong><br />

"circoli" se ne contano <strong>di</strong>versi e alcuni <strong>di</strong> essi<br />

accolgono inurbati dal Logudoro con le stesse<br />

funzioni aggregative delle bettole <strong>di</strong> città<br />

(quasi del tutto scomparse) o <strong>di</strong> paese (in<br />

molti casi ancora attive). Accanto alle bettole<br />

si possono ancora trovare gli ultimi luoghi<br />

stagionali (zilleri) <strong>di</strong> mescita <strong>di</strong> vino<br />

contrassegnati, come ovunque, da una frasca<br />

fissata nell'architrave della porta d'ingresso. Bettola e zilleri possono ancora accogliere i<br />

principianti o chi, per puro <strong>di</strong>vertimento, si cimenta nel canto senza particolari ambizioni pur<br />

<strong>di</strong>mostrando notevole abilità. Ma anche chi aspira a <strong>di</strong>ventare un professionista trova in questo<br />

ambiente l'opportunità <strong>di</strong> imparare tutte le forme <strong>di</strong> canto e <strong>di</strong> affinare lo stile sino al punto <strong>di</strong><br />

poter essere incoraggiato dagli amici ad esibirsi "in palco", cioè in pubblico. Altre occasioni per<br />

eseguire informalmente i canti con chitarra sono i matrimoni, le feste, le sagre e gli incontri<br />

conviviali in campagna, mentre l'uso gentile <strong>di</strong> usarli come pezzi da serenata risulta del tutto<br />

tramontato.


Un aspetto niente affatto secondario è quello della scelta dei testi verbali. Quasi tutte le forme<br />

<strong>di</strong> canto (ad eccezione del mutu ) si avvalgono <strong>di</strong> poesie dei più celebrati poeti in lingua sardo-<br />

logudorese e il bravo cantore si fa vanto <strong>di</strong> non ripetersi proponendo testi sempre nuovi e<br />

rispettarne, pur nello sviluppo melismatico dei virtuosismi, gli accenti, la struttura metrica e il<br />

contenuto. Si preferiscono i poeti classici, ma possono essere accolti anche testi contemporanei<br />

purché incentrati sui temi consueti: l'amore e la natura. Nei canti <strong>di</strong> area gallurese, in parte<br />

accolti nelle "gare", prevale l'anonimato della matrice popolare ma per alcune forme più nobili,<br />

come la <strong>di</strong>sispirata, si ricorre a poeti della tra<strong>di</strong>zione locale, tra i quali spicca il settecentesco<br />

Gavino Pes. Si può <strong>di</strong>re, anzi, che il canto con chitarra e, in Barbagia il canto a tenore ,<br />

abbiano assolto al compito <strong>di</strong> dare larghissima <strong>di</strong>ffusione a una letteratura in lingua sarda che,<br />

se si valuta l'alto tasso <strong>di</strong> analfabetismo registrato sino alle soglie degli Anni Cinquanta,<br />

sarebbe rimasta quasi del tutto sconosciuta.<br />

Secondo l'opinione <strong>di</strong> Paolo Pillonca, il più<br />

accre<strong>di</strong>tato stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> poesia sarda<br />

improvvisata e <strong>di</strong> gare poetiche, la prima sfida<br />

pubblica dei "poeti a braccio" ha avuto luogo a<br />

Ozieri il 15 settembre 1896 in occasione della<br />

festa della Madonna del Rime<strong>di</strong>o. Risulta da<br />

interviste e testimonianze sparse che più o<br />

meno negli stessi anni, ma in forma più<br />

ru<strong>di</strong>mentale, ebbero inizio le prime sfide <strong>di</strong><br />

canto con chitarra. Non si svolgevano ancora<br />

sul palco, ma in una bettola o in piazza. In<br />

ciascun paese si davano convegno i più noti<br />

cantori del circondario e i giovani ancora<br />

sconosciuti per confrontarsi in estenuanti<br />

competizioni che duravano <strong>di</strong>verse ore e che<br />

potevano coinvolgere sino a una decina <strong>di</strong><br />

sfidanti. Era una gara vera e al vincitore<br />

(secondo una giuria designata dal comitato<br />

della festa) andava un premio in denaro. Ma ben presto la qualità spettacolare <strong>di</strong> queste sfide<br />

consigliò <strong>di</strong> scegliere un numero ristretto <strong>di</strong> cantori (da tre a quattro) e <strong>di</strong> portarli sullo stesso<br />

palco che ospitava le gare poetiche. Prima dell'inizio della sfida tra i poeti, aveva dunque luogo<br />

la "gara" <strong>di</strong> canto, ormai già intesa come confronto accademico poiché ai partecipanti veniva<br />

riconosciuta pari ricompensa. L'abbinamento con la sfida tra i poeti spiega il <strong>di</strong>radarsi delle<br />

gare <strong>di</strong> canto dal 1932 al 1938 quando, accogliendo lagnanze del clero e rimbrotti dei prefetti,<br />

si decretò il <strong>di</strong>vieto delle gare poetiche poiché i temi trattati e, soprattutto le argomentazioni in<br />

ottava degli improvvisatori, contenevano concetti giu<strong>di</strong>cati lesivi della religione o poco in linea<br />

con il regime fascista. Nel 1938, con il Testo Unico <strong>di</strong> Pubblica Sicurezza, le gare poetiche


vennero nuovamente ammesse, sia pure sotto la stretta vigilanza delle autorità civili e<br />

religiose. Ma intanto il canto con chitarra si era sviluppato enormemente, approdando anche ai<br />

<strong>di</strong>schi 78 giri con alcuni dei più celebri cantanti <strong>di</strong> quegli anni, tra i quali spiccava Gavino De<br />

Lunas, morto a Roma nella strage delle Fosse Ardeatine. La gara poetica e la gara <strong>di</strong> canto<br />

<strong>di</strong>ventarono dunque due eventi separati da collocare in serate <strong>di</strong>stinte. Certo è che l'una e<br />

l'altra esibizione, a partire dal secondo dopoguerra, <strong>di</strong>vennero irrinunciabili in tutte le sagre <strong>di</strong><br />

paese.<br />

La professionalità dei cantori si abbinava al ruolo crescente del chitarrista accompagnatore. Gli<br />

Strumenti più <strong>di</strong>ffusi sino alla seconda guerra erano <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni ridotte: denominati "terzina"<br />

molto raramente venivano costruiti da liutai sar<strong>di</strong>. Quasi tutte le chitarre infatti provenivano<br />

dalla Sicilia (soprattutto da Catania) e si scelsero ben presto strumenti dalla cassa molto<br />

grande, chiamati chitarre folk, ricchi <strong>di</strong> sonorità e adatti alle esecuzioni all'aperto. Sino agli<br />

Anni Sessanta infatti solo raramente venivano usati impianti <strong>di</strong> amplificazione che però<br />

<strong>di</strong>vennero ben presto <strong>di</strong> uso comune in tutte le esibizioni, comprese quelle delle sfide dei poeti<br />

a braccio. La sempre più ricca elaborazione dei canti e l'ampliamento del repertorio<br />

(soprattutto con brani provenienti dalla Gallura) vedeva la fioritura <strong>di</strong> cantori professionisti che<br />

abbinavano l'attività <strong>di</strong> cantante a quella <strong>di</strong> artigiano, o <strong>di</strong> lavoratore a giornata, per poter<br />

<strong>di</strong>sporre della più ampia possibilità <strong>di</strong> movimento nella stagione delle sagre, dalla fine<br />

dell'estate all'autunno, e negli spora<strong>di</strong>ci<br />

appuntamenti <strong>di</strong> altri perio<strong>di</strong> dell'anno. La lista<br />

<strong>di</strong> cantanti e <strong>di</strong> chitarristi che raggiunsero<br />

notorietà in<br />

tutta l'Isola<br />

è lunga e<br />

risulta<br />

ampiamente<br />

documentat<br />

a da <strong>di</strong>schi a 78 e a 45 giri e da musicassette.<br />

La spettacolazione della gara <strong>di</strong> canto ha avuto forti<br />

influenze sulla tecnica chitarristica. Quando si sente parlare<br />

<strong>di</strong> stile "all'antica" si allude ad un accompagnamento<br />

arpeggiato con due o tre <strong>di</strong>ta (più il pollice per la corda<br />

bassa), alternato ad accor<strong>di</strong> prodotti con leggerezza. Era la<br />

tecnica più <strong>di</strong>ffusa sino ai primi anni del dopoguerra e<br />

continuò ad essere applicata anche in seguito soltanto dal finissimo strumentista Adolfo<br />

Merella, da figlio Bruno e da pochi altri. Dopo si impose invece l'uso del plettro con Nicolino<br />

Cabitza e il figlio Aldo: la sonorità più ricca, la brillantezza timbrica e gli interlu<strong>di</strong> virtuosistici,<br />

la rudezza degli accor<strong>di</strong> strappati che ormai prevalevano sui ricami melo<strong>di</strong>ci che<br />

contrappuntavano la linea del canto, ebbero la meglio perché al pubblico apparivano <strong>di</strong> gusto


più attuale. Lo strumento comunque ha sempre mantenuto un'accordatura più bassa <strong>di</strong> quella<br />

consueta e ancora oggi l'esecutore non si attiene al <strong>di</strong>apason ufficiale ma si adatta alle<br />

possibilità vocali e all'estensione dei cantori, assestati normalmente nella tessitura <strong>di</strong> un tenore<br />

me<strong>di</strong>o.<br />

Nel ricco e variegato repertorio della musica sarda il canto con chitarra del Logudoro,<br />

dell'Anglona e della Gallura è il più <strong>di</strong>ffuso. Da circa un secolo trova la sua più alta<br />

affermazione, con strutture e stili musicali ben definiti, nella "gara" tra i più bravi cantori,<br />

organizzata nelle feste patronali dell'area settentrionale e in <strong>di</strong>verse località della provincia <strong>di</strong><br />

Nuoro. Anche nelle regioni meri<strong>di</strong>onali dell'isola, seppure più raramente, la chitarra<br />

accompagna il canto, ma con altre forme e, soprattutto, senza ricorrere alle "gare". La<br />

competizione, secondo l'impianto tra<strong>di</strong>zionale, consiste nel confronto tra due o tre cantori,<br />

accompagnati da un chitarrista, che a turno ripetono lo stesso componimento musicale (ma<br />

con testi verbali <strong>di</strong>versi) gareggiando in un crescendo <strong>di</strong> varianti melo<strong>di</strong>che e <strong>di</strong> fioriture<br />

sempre più complesse. Si tratta, in sostanza, <strong>di</strong> una<br />

gara <strong>di</strong> belcanto del tutto accademica poiché non<br />

vengono assegnati premi. La "gara" inizia con un<br />

prelu<strong>di</strong>o strumentale definito "invito" o "picchiata":<br />

è l'occasione per il chitarrista <strong>di</strong> mettere in luce le<br />

sue capacità; analogo ruolo ha la chiusura del pezzo<br />

dopo l'alternanza delle voci. Nelle gare del passato<br />

tra un'entrata e l'altra dei cantori al chitarrista<br />

rimaneva lo spazio minimo <strong>di</strong> qualche accordo: con<br />

l'uso del plettro e il nuovo protagonismo dei chitarristi<br />

l'esibizione <strong>di</strong> ciascun cantore è separata d brevi<br />

interlu<strong>di</strong>. <strong>Il</strong> nuovo modo <strong>di</strong> gareggiare esclude<br />

definitivamente il vecchio criterio <strong>di</strong> curare la continuità<br />

del canto eludendo bruschi passaggi nella successione<br />

delle entrate dei cantori, chiamati in qualche modo a<br />

introdurre con gradualità un progressivo infittirsi delle<br />

variazioni e dei virtuosismi. Nelle "gare" più riuscite si<br />

ricava la percezione <strong>di</strong> un felice equilibrio tra lo spiccato protagonismo dei cantori e la cura<br />

della compattezza del <strong>di</strong>segno musicale complessivo. La "gara" strutturata secondo un<br />

programma che vede la successione <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> canto tra loro fortemente <strong>di</strong>fferenziate<br />

per il materiale melo<strong>di</strong>co e il carattere espressivo. Le forme classiche, ancora irrinunciabili,<br />

sono la boghe in re , la nuoresa e il mutu; si possono aggiungere canti galluresi (denominati<br />

anche "alla tiempesina", gradevoli ma <strong>di</strong> scarso impegno vocale, prima <strong>di</strong> passare a quelli che<br />

vengono considerati il vero banco <strong>di</strong> prova della bravura del cantore: il mi e la (o "alla bosana"<br />

e la <strong>di</strong>sispirata. In alcuni casi si aggiungono il si bemolle e il fa <strong>di</strong>esis, brani <strong>di</strong> notevole


impegno vocale riservati ai cantori <strong>di</strong> una scuola. Nella comune pratica musicale le forme più<br />

utilizzate sono le prime tre perché si adattano a gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> capacità dal principiante al<br />

grande professionista.<br />

Attualmente le "gare" <strong>di</strong> canto vedono quasi sempre, per l'accompagnamento delle voci,<br />

l'abbinamento della fisarmonica alla chitarra. Questa innovazione risale agli anni 60 e si deve<br />

all'ansia <strong>di</strong> rinnovamento <strong>di</strong> Nicolino Cabitza e, soprattutto, del figlio Aldo, che iniziò a farsi<br />

affiancare, nell'accompagnamento delle voci nelle "gare", dal fisarmonicista Peppino Pippia.


13-LA CORNAMUSA LOMBARDA " BAGHET "<br />

Un'antica tra<strong>di</strong>zione bergamasca<br />

Nella Roma imperiale era presente, anche se in maniera marginale, uno strumento ad ancia munito<br />

<strong>di</strong> sacco come riserva d'aria. Lo stesso Nerone era un suonatore <strong>di</strong> zampogna, secondo quanto<br />

riferisce lo storico Svetonio: "Verso la fine della sua vita egli aveva pubblicamente promesso che se<br />

avesse potuto conservare l' Impero, nei giochi per celebrare la sua vittoria si sarebbe esibito in una<br />

esecuzione sull'organo idraulico, con la choraula e " l' utricularium"; con quest' ultimo termine si<br />

in<strong>di</strong>ca un otre in cuoio, in sostanza una zampogna. Un altro storico coevo <strong>di</strong> Svetonio,<br />

Dione Crisostorno, sempre <strong>di</strong> Nerone afferma: "Sapeva come sonare la canna e come comprimere<br />

col braccio". La prima attestazione <strong>di</strong> zampogne me<strong>di</strong>oevali risale al IX secolo. Fino al 1300 si<br />

ritiene che queste fossero prive del bordone d'accompagnamento, anche se questo dato non era<br />

generalizzabile. Le zampogne me<strong>di</strong>oevali dell'Europa continentale erano generalmente costituite da<br />

una canna per il canto e un bordone basso. Gli strumenti con due bordoni sono probabilmente<br />

apparsi dopo quelli con un bordone. Sono invece post-me<strong>di</strong>oevali quelli con tre. Un<br />

<strong>di</strong>ffuso stereotipo vuole le zampogne relegate unicamente al mondo pastorale ed alla novena <strong>di</strong><br />

Natale. In realta, pur non perdendo il loro carattere <strong>di</strong> strumenti popolari che li vuole da sempre<br />

presenti nel carnevale, accompagnamento del ballo e del canto (e non riduttivamente solo nel<br />

Natale) la loro presenza nella cultura occidentale è delle più varie. Nel XX secolo le zampogne<br />

erano adoperate al servizio delle corti e delle libere citta. <strong>Il</strong> musicista raffigurato<br />

nelle fonti iconografiche è spesso un giullare.<br />

Riguardo la provincia <strong>di</strong> Bergamo <strong>di</strong>verse sono le attestazioni iconografiche e gli autori locali che<br />

hanno più volte ritratto una cornamusa, documentandone sia la struttura che il contesto sociale in<br />

cui questa veniva suonata.<br />

L'area dove più ra<strong>di</strong>cata era la tra<strong>di</strong>zione dei "baghet" tra<strong>di</strong>zione sopravvissuta fino a qualche<br />

decennio fa corrisponde alla me<strong>di</strong>a Val Seriana. Qui erano in uso due <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> strumenti, uno<br />

per la Val Gan<strong>di</strong>no e paesi limitrofi (Semonte, Gazzaniga) e uno per Cene. Trattandosi <strong>di</strong> due<br />

strumenti <strong>di</strong>versi come struttura, anche se identici come denominazione, vengono trattati in due<br />

<strong>di</strong>versi capitoli, iniziando dalla Val Gan<strong>di</strong>no, dove più consistenti sono i dati raccolti. La tra<strong>di</strong>zione<br />

del "baghèt" è sopravvissuta in loco all' incirca fino agli anni Trenta. I suonatori<br />

appartenevano quasi tutti al mondo conta<strong>di</strong>no, smentendo il luogo comune che vuole, anche per<br />

l'area bergamasca, legare la zampogna alla con<strong>di</strong>zione pastorale".<br />

E' mia opinione personale che il baghet possa essere messo in relazione con<br />

le popolazioni celtiche che erano presenti nelle Prealpi e valle Padana, la cui


influenza è stata notevole, lasciando tracce nella lingua e nei toponimi e con usi e costumi ancora<br />

presenti nel nord. <strong>Il</strong> conforto a questa mia opinione lo trovo nel libro " I celti in Italia " autore<br />

Gualtiero Ciola, Ed. Helvetia, dal quale cito : " La loro vita sociale è quella tipica dei popoli arii con<br />

la consueta tripartizione in sacerdoti guerrieri e lavoratori ; il potere spirituale era in mano<br />

alla casta sacerdotale ; i drui<strong>di</strong> amministravano il culto ; i vati svolgevano la funzione degli attuali<br />

sociologi, storiografi, scienziati ; i bar<strong>di</strong> erano i loro poeti cantori <strong>di</strong> miti e leggende con<br />

accompagnamento <strong>di</strong> cornamuse ed arpe. La cetra tirolese, l' alpehorn o corno delle alpi svizzere,<br />

le cornamuse scozzesi, irlandesi e bretoni ecc. nonché la zampogna italica sono sicuramente<br />

strumenti musicali derivati da quelli dei celti."<br />

<strong>Il</strong> suono del "baghèt" doveva essere fine e potente. Fine e penetrante quello della "<strong>di</strong>ana" potente e pieno quello dei<br />

bordoni che non per niente erano detti "orghegn " (come fossero canne d' organo), tanto da far rimbombare la stalla. <strong>Il</strong><br />

suono era così vigoroso che permetteva ai "baghetér" <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare" anche a <strong>di</strong>stanze considerevoli, come facevano il<br />

vecchio "Seri"ed il Fiaì"- Era infatti consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quest' ultimo, quando aveva terminato la sua giornata <strong>di</strong><br />

conta<strong>di</strong>no,<br />

<strong>di</strong> prendere lo strumento e <strong>di</strong> suonare nel campo dal "Casteli" nell"Agher"<strong>di</strong> Casnigo. Subito in risposta iniziava il<br />

"Seri"<br />

dalla sua cascina, che però si trovava <strong>di</strong> là dal fiume, sulle prime pen<strong>di</strong>ci dell'altro versante della Val Seriana, a<br />

Semonte.<br />

<strong>Il</strong> "baghèt" è strumento solìsta. Provvede da solo ad eseguire melo<strong>di</strong>a ed accompagnamento senza che altri sostengano<br />

la parte del canto. <strong>Il</strong> repertorio, oltre ai brani canonici come la " pastorella "<strong>di</strong> Natale ed i balli tra<strong>di</strong>zionali, traeva<br />

liberamente<br />

spunto da tutti quei canti popolari che per la loro estensione rientravano nelle possibilità dello strumento. Una delle<br />

caratteristiche del "baghèt" era proprio quella <strong>di</strong> accompagnare il canto. Unico vincolo era il rispetto del periodo in cui<br />

suonare. Con l'ultimo giorno <strong>di</strong> carnevale lo strumento andava riposto, per essere poi ripreso nell'inverno successivo.<br />

Nella esecuzione si faceva spesso uso <strong>di</strong> acciaccature superiori e inferiori e <strong>di</strong> glissati. Tutto ciò concorreva a creare uno<br />

stile melo<strong>di</strong>co dove la tessitura musicale fosse"vicina" come esecuzione al canto. Gli informatori hanno concordemente e<br />

insistentemente affermato che la " pia "doveva cantare, non avere un suono "sfacciato"da trombetta.<br />

La <strong>di</strong>ana, con sette fori sul davanti<br />

più uno alto sul retro per il pollice,<br />

ha l'estensíone <strong>di</strong> una ottava.<br />

Chiudendo tutto si ottiene la<br />

sensibile. La tonalità originale degli<br />

strumenti della Val Gan<strong>di</strong>no è il LA<br />

maggiore. I due bordoni sono così<br />

accordati: quello piccolo una<br />

ottava sotto la tonica della <strong>di</strong>ana,<br />

quello grande due ottave sotto la<br />

tonica.


Per suonare il baghèt si<br />

tiene il sacco sotto<br />

l'avambraccio sinistro, con<br />

il bordone superiore sopra<br />

la spalla sinistra e quello<br />

minore sull'avambraccio<br />

destro.<br />

ALCUNI BALLI E MUSICHE ESEGUITI CON IL BAGHET<br />

" LA PASTORELLA "<br />

Si tratta <strong>di</strong> uno dei brani più significativi del<br />

repertorio del "baghèt". Le pastorelle<br />

venivano eseguite nel periodo<br />

natalizio nei paesi <strong>di</strong> Gan<strong>di</strong>no, Casnigo,<br />

Semonte, dove vivevano i suonatori, ed anche<br />

al Santuario della Trinità <strong>di</strong><br />

Casnigo.


" BAL DEL MORT "<br />

<strong>Il</strong> "bal del mort"è un<br />

ballo tra<strong>di</strong>zionale,<br />

conosciuto dai vecchi<br />

"baghetér" ma che<br />

aveva nei "Seiì"i più<br />

importanti<br />

esecutori. Nella<br />

famiglia Maffeis era il<br />

padre che suonava il<br />

"baghèt", mentre i figli<br />

Carlo e Piero<br />

ballavano. Importante<br />

momento<br />

comunicativo della<br />

cultura popolare,<br />

carico <strong>di</strong> significati<br />

magico rituali, era già<br />

in crisi all' inizio del<br />

secolo, tanto<br />

che, come afferma il<br />

Ruggeri, non erano<br />

molte le persone che<br />

avevano ballato o<br />

anche solo visto, nelle<br />

stalle, il "bal del<br />

mort" Scomparsi poi<br />

gli ultimi anziani<br />

suonatori, questo<br />

costume è andato<br />

<strong>di</strong>menticato quasi<br />

totalmente.<br />

" CIAMELA NDRE CHE LA BACIUCHINA "<br />

Brano intitolato " Ciamela ndré chè la baciuchina " appartenente al repertorio dei vecchi "baghetér". Si tratta <strong>di</strong> un<br />

brano prettamente musicale, in quanto il testo è <strong>di</strong> scarso significato nel contesto della sonata: Va ciàmela 'ndré chèla<br />

baciuchina ciàmela 'ndrè ciàmela 'ndré va ciàmela 'ndre chèla baciuchina ciàmela 'ndré che la vegnerà. (Vai, chiamala<br />

in<strong>di</strong>etro quella ragazzina chiamala in<strong>di</strong>etro chiamala in<strong>di</strong>etro vai, chiamala in<strong>di</strong>etro quella ragazzina , chiamala in<strong>di</strong>etro<br />

che lei verrà).


" LA LAVANDINA "<br />

La lavan<strong>di</strong>na , oggi non più in uso, è <strong>di</strong>visa in due parti. Nella parte A le donne mimano il lavare, utilizzando un fazzoletto,<br />

inginocchiate ora su una gamba ora sull'altra, mentre gli uomini girano attorno seguendo il ritmo della musica. Nella parte<br />

B le donne sceglievano i cavalieri. <strong>Il</strong> fazzoletto veniva tenuto in mano mentre la coppia eseguiva dei passi simili allo<br />

scottisch, l' informatore parla <strong>di</strong> "marcia vecchia" con saltelli meno accentuati e pochi spostamenti. Succedeva spesso<br />

che le donne fossero in numero inferiore agli uomini. A questi toccava rimanere in <strong>di</strong>sparte fino a quando, seguendo il<br />

ritmo e i movimenti del ballo, riuscivano a sfilare il fazzoletto alla coppia, acquisendo perciò il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ballare con la<br />

dama.<br />

La parte B era eseguita tante volte quante decidevano i suonatori. <strong>Il</strong> ballo riprendeva poi con la parte A, dove si<br />

riprendeva a mimare il lavare.


In un area compresa tra Albino e la Val Gan<strong>di</strong>no è stata accertata la presenza <strong>di</strong> almeno tre<strong>di</strong>ci<br />

suonatori operanti in questo secolo. Tutti questi baghetér possedevano strumenti simili tra<br />

loro. Probabilmente <strong>di</strong>versi strumenti uscirono dalla stessa famiglia <strong>di</strong> costruttori, i Pezzera,<br />

detti Pi-ù, <strong>di</strong> Rova (frazione <strong>di</strong> Gazzaniga). Sud<strong>di</strong>videndo i suonatori per paese abbiamo:<br />

Albino. A Merano (frazione <strong>di</strong> Albino) suonava Pietro Pezzera (1890-1972), secondo la<br />

testimonianza del figlio Andrea (n. 1933) . <strong>Il</strong> padre, conta<strong>di</strong>no, suonava anche quando<br />

scendeva a Comenduno e smise in tempo <strong>di</strong> guerra, attomo al 1940. Aveva probabilmente<br />

acquistato lo strumento da giovane nel 1905 prima <strong>di</strong> sposarsi dai Pezzera <strong>di</strong><br />

Rova, suoi cugini. <strong>Il</strong> figlio Andrea ha riconosciuto con certezza lo strumento secondo lui<br />

identico a una copia del baghèt. Lo strumento dei padre <strong>di</strong>fferiva solo negli anelli <strong>di</strong><br />

abbellimento, costituiti nel suo caso da robusti anelli d'osso. Andrea Pezzera si ricorda ancora<br />

oggi come era costruita l'ancia doppia per la <strong>di</strong>ana, in quanto il padre<br />

aveva più volte tentato <strong>di</strong> insegnargli il proce<strong>di</strong>mento costruttivo. Tale ancia è identica a quelle<br />

approntate da Giacomo Ruggeri e descritte alla tavola 25.<br />

Rova (frazione <strong>di</strong> Gazzaniga) . Qui era presente la già menzionata famiglia dei Pezzera, Pi-ù,<br />

suonatori e costruttori.<br />

Semonte (frazione <strong>di</strong> Vertova). Originari <strong>di</strong> Semonte erano i Maffeis, Serì. Due erano i<br />

suonatori: Michele Guerino, conta<strong>di</strong>no, scomparso attorno al 1940 all'età <strong>di</strong> 72 anni, e il figlio<br />

Piero, prima conta<strong>di</strong>no e poi operaio, morto <strong>di</strong> silicosi nel 1959. Altro suonatore era Alessandro<br />

"Pescerì" Pezzera (1905 - 1976)<br />

Gan<strong>di</strong>no. Qui suonava Valentino Savoldelli, conta<strong>di</strong>no, detto Parécia (1859-1924), Quirino<br />

Picinali (1880-1962), falegname. Batistì de Ca da Pozz, conta<strong>di</strong>no. Di lui si ricorda Giuseppe<br />

Loverini al quale, allora bambino, è rimasto impresso il fatto che Batistì suonasse tenendo il<br />

sacco sotto il braccio destro, così che il bordone rimaneva penzolo. A questi va ad aggiungersi<br />

Gabriele Servalli, detto Bi-ili le Clapa, scomparso nel 1948, che terminò <strong>di</strong><br />

suonare all' incirca prima della grandeguerra. Lo strumento del Servalli fu ritrovato dai figli<br />

nascosto nel sottotetto, oramai però in completo <strong>di</strong>sfacimento, e <strong>di</strong> conseguenza fu gettato via.<br />

Casnigo. Nutrito era il gruppo <strong>di</strong> suonatorí <strong>di</strong> Casnigo. Troviamo il Cattaneo, detto Ruina,<br />

falegname, scomparso attorno al 1970, i due Fiaì, Luigi Zilioli (deceduto nel 1923 all'età <strong>di</strong> 67<br />

anni) ed il figlio Giacomo (1906-1974), entrambi conta<strong>di</strong>ni e infine Michele Imberti detto Nano<br />

Magrì, anche lui conta<strong>di</strong>no, morto nel 1929 all'età <strong>di</strong> 64 anni, il cui strumento passò al nipote<br />

Giacomo Ruggeri detto Fagòt (1905-1990), conta<strong>di</strong>no e unico suonatore da<br />

me conosciuto. Ben ra<strong>di</strong>cata era quin<strong>di</strong> la presenza <strong>di</strong> suonatori nella me<strong>di</strong>a Valle Seriana.<br />

Quasi uniformemente questa comunità <strong>di</strong> musicisti smise <strong>di</strong> suonare attorno agli anni '40. Da<br />

notare come la maggior parte fosse <strong>di</strong> estrazione conta<strong>di</strong>na. I pochi che non lo erano facevano<br />

<strong>di</strong> professione gli artigiani. Viene quin<strong>di</strong> smentito il luogo comune che vuole legare il baghèt<br />

alla <strong>di</strong>mensione sociale dei pastori. Conta<strong>di</strong>ni erano i suonatori e conta<strong>di</strong>na era<br />

la cultura che permeava l'espressività del baghèt, legato alle sere d' inverno trascorse nella<br />

stalla. Così pure l'ambito temporale in cui si adoperava la piva era conseguentemente legato a


questo mondo. Si iniziava a suonare all' inizio dell' inverno, quando, con l' arrivo dei primi<br />

fred<strong>di</strong>, il lavoro nei campi dava maggior respiro ai suonatori che potevano cosi, con pazienza,<br />

provvedere a rimettere in funzione lo strumento <strong>di</strong>smesso l' anno prima e si continuava<br />

asuonare fino a carnevale. Arrivata la primavera, con la ripresa dei lavori , la cornamusa era<br />

poi <strong>di</strong> nuovo riposta, adeguatamente avvolta in un telo, in attesa del successivo inverno.

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