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4 SETT LA PAGINA SETTEMBRE 2010:progetto La Pagina futura.qxd

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Il vecchio e il fascista<br />

Era una giornata calda e afosa. Aria pesante, ferma e umida. Le nuvole che nei<br />

giorni scorsi oscuravano il cielo avevano fatto sperare in un temporale<br />

rinfrescante, ma alla fine non era caduta neanche una goccia d’acqua e la città<br />

rimaneva prigioniera di una torrida cappa soffocante.<br />

Anche quella mattina, come tutti i giorni, si era svegliato troppo presto, tormentato<br />

dai dolori alla schiena e allo stomaco. Si era alzato per andare in cucina e bere<br />

un bicchiere d’acqua. Erano quasi le quattro, fuori era ancora buio, ma ad oriente<br />

già si intravedevano i primi chiarori dell’alba. Neanche di notte la temperatura<br />

scendeva sotto i 30 gradi e non si riusciva a dormire. Come se non fossero<br />

sufficienti i dolori dell’età, quella notte il suo fragile sonno era stato turbato anche<br />

dai sogni angosciosi dove riviveva ancora la morte di sua moglie e di suo figlio.<br />

Per l’ennesima volta, poi, non poteva fare a meno di chiedersi che senso avesse<br />

avuto per lui rimanere in vita fino alla vecchiaia trascinando con sé i fantasmi del<br />

passato che, neanche dopo tutti quegli anni, non gli davano pace.<br />

Tornare a letto non aveva senso, faceva troppo caldo e si sentiva nervoso.<br />

Andò in salotto e si lasciò cadere sulla poltrona, accese la televisione nella<br />

speranza di distrarsi almeno un po’. Continuò a lungo a cambiare i canali<br />

cercando qualcosa da guardare finché non si addormentò.<br />

Quando si risvegliò si accorse che ormai era mattina e che la luce del giorno<br />

illuminava il soggiorno. Erano le otto passate. Si lavò, fece colazione con un po’<br />

di biscotti e di latte, dopodiché, come faceva ogni mattina, uscì sul piccolo<br />

terrazzo e dal dodicesimo e ultimo piano del palazzo di periferia nel quale<br />

viveva osservò la città che ancora sonnolenta e affaticata dal gran caldo a<br />

malavoglia e lentamente cominciava a muoversi.<br />

Tante volte aveva sostato sul quel piccolo terrazzino meditando di farla finita,<br />

con la voglia di lasciarsi cadere e liberarsi una volta per tutte dei ricordi dolorosi<br />

di sua moglie e di suo figlio. Ma non ne aveva mai avuto né il coraggio né la<br />

debolezza necessari. Si era rassegnato a vivere con quel dolore profondo e<br />

incessante ben consapevole che non sarebbe mai riuscito a superarlo e che la<br />

sua vita si sarebbe consumata nel ricordo di ciò che era accaduto. Il figlio ucciso<br />

dalla polizia durante una delle tante manifestazioni di quegli anni, la moglie<br />

consumata dal dolore e morta pochi anni dopo.<br />

Era rimasto solo. Solo con i ricordi della sua famiglia e solo con quel senso di<br />

impotenza verso un sistema che, per come la vedeva lui, era solo la<br />

realizzazione di tutto quello contro cui aveva lottato da giovane come partigiano.<br />

In quegli anni la rappresaglia fascista gli aveva portato via i genitori e,<br />

successivamente, il fratello catturato e ucciso sulle montagne. Quasi trent’anni<br />

dopo il figlio e poi la moglie. Era vissuto con la convinzione che esistesse un<br />

legame profondo tra quelle tragedie così lontane nel tempo, come se i colpevoli<br />

e i loro mandanti fossero, dopo tutto, le stesse persone.<br />

Pensò che quel giorno sarebbe dovuto uscire per provare a distrarsi un po’.<br />

Sentiva, infatti, che se fosse rimasto in casa le ombre del passato avrebbero<br />

continuato a tormentarlo senza tregua.<br />

A causa dell’afa, non era uscito di casa per quattro giorni. Si vestì, prese il<br />

bastone da passeggio e con passo lento e insicuro uscì. Non appena aperto il<br />

portone del palazzo un’ondata di aria bollente lo investì come una fiammata<br />

facendogli rimpiangere il fresco dell’atrio lastricato di pietra. Per un attimo, fermo<br />

sulla soglia, meditò di tornare indietro, non gli sembrava saggio alla sua età<br />

avventurarsi in quella calura, ma poi decise comunque di proseguire convinto<br />

che un po’ di moto gli avrebbe fatto bene. Si avviò verso la fermata dell’autobus<br />

che lo portò fino al parco dove era solito passeggiare quando faceva bel tempo.<br />

Era un parco cittadino molto grande, frequentato da tutta la città, risalente alla<br />

fine del XVIII secolo quando i signori dell’epoca trasformarono quella che era la<br />

loro riserva di caccia in un parco moderno aperto a tutti. Era attraversato da<br />

numerosi viali che si incrociavano perpendicolarmente e, qua e là, c’erano alcune<br />

grandi fontane intorno alle quali si rincorrevano sempre sciami schiamazzanti di<br />

bambini le cui grida di gioia gli rendevano così amabile quel posto.<br />

Vedere i bambini aveva un doppio effetto su di lui: da una parte lo mettevano di<br />

buon umore, aveva sempre avuto un debole per quella loro inesauribile energia<br />

e per quella fantasia così pura e innocente, dall’altra, però, gli mettevano<br />

tristezza.<br />

Gli ricordavano sempre che adesso lui sarebbe potuto essere nonno e che, in<br />

quello stesso momento, sarebbe potuto essere seduto lì accanto a sua moglie,<br />

con la quale avrebbe voluto invecchiare insieme, a guardare i nipotini giocare a<br />

pallone con suo figlio proprio come stava facendo un uomo alto vestito con una<br />

tuta azzurra insieme a due bambini che gli correvano intorno.<br />

Spesso diceva a se stesso che era meglio per lui non andarci nemmeno al<br />

parco, si ripeteva che vedere quelle famiglie spensierate non era una buona<br />

idea visti i ricordi tristi che gli riportavano alla mente. Ma ci tornava sempre, ne<br />

era attratto. Era come se in questo modo sentisse di poter vivere almeno un<br />

pallido riflesso della vita di famiglia, di nonno soddisfatto, che avrebbe potuto<br />

essere se non avessero ucciso suo figlio o, come sosteneva la polizia, se egli<br />

non fosse morto in un tragico incidente. Qualche volta capitava, mentre era<br />

seduto su una delle tante panchine verdi che si trovavano lungo i viali principali<br />

del parco, che un pallone deviasse fino a lui seguito, poco dopo, da un<br />

bambino sudato e trafelato che correva per riprenderselo.<br />

In quei pochi istanti, mentre restituiva il pallone al bambino, cercava a volte di<br />

scambiare con lui due parole, sapere come si chiamava o quanti anni aveva.<br />

Le sue risposte, come quelle di tutti i bimbi, erano sempre frettolose e incerte,<br />

voleva tornare subito a giocare e sicuramente il papà o il nonno, che da lontano<br />

lo guardava attento, lo aveva avvertito di non dare mai confidenza a nessuno,<br />

nemmeno al parco. Ed erano proprio quegli sguardi diffidenti di genitori e<br />

bambini che lo facevano sentire così solo, sguardi sospettosi che sembravano<br />

intuire non solo che lui non aveva nipoti, ma anche che un grande dolore lo<br />

tormentava. Per questo il più delle volte si sceglieva una panchina isolata,<br />

possibilmente in ombra, e trascorreva lunghe ore pomeridiane a guardare i<br />

bambini giocare.<br />

Anche quel giorno si trovò una panchina che prometteva ancora almeno un<br />

paio d’ore di ombra e lentamente si sedette appoggiando accanto a sé il<br />

bastone da passeggio. Oggi c’era poca gente nel parco, erano appena le nove<br />

eppure faceva già molto caldo e man mano che il sole saliva in cielo la<br />

temperatura saliva inesorabile. Nonostante questo decise di rimanere seduto<br />

lì ignorando la calura. Sperava di perdersi e di fondere i suoi pensieri con quelle<br />

piante silenziose, con quelle mamme apprensive e con quei bambini sempre in<br />

festa. Una donna apparve alla sua sinistra spingendo con calma sul viottolo un<br />

passeggino dove era seduta una bambina tutta vestita di rosso con lunghi<br />

boccoli biondi che reggeva un palloncino rosa attaccato a un filo bianco.<br />

Poco dietro di loro due bambini, una bambina e un bambino, si rincorrevano<br />

schiamazzando felici mentre un bassottino a pelo lungo li stava inseguendo<br />

abbaiando e scodinzolando. <strong>La</strong> madre li richiamò un paio di volte ammonendoli<br />

di fare attenzione a non cadere ma i bambini non sembravano preoccuparsene e<br />

continuavano a rincorrersi scambiandosi ogni poco i ruoli di inseguito e di<br />

inseguitore. Osservò la scena a lungo. Dai vani richiami della madre intuì che<br />

il bambino si chiamava Adriano e poteva avere all’incirca 6 o 7 anni mentre la<br />

bimba, che la mamma chiamava Caterina, non poteva avere più di 5 anni.<br />

Quel quadretto familiare lo aveva incantato.<br />

Rimaneva sempre affascinato dai giochi dei bambini, era una visione della quale<br />

non si sarebbe mai stancato. Era capace di guardarli per ore intere. Amava la<br />

loro fantasia senza confini, la capacità che avevano di passare da un gioco<br />

all’altro inventandosi continuamente nuove situazioni, ruoli, compiti e sfide di<br />

tutti i tipi. Era bellissimo vedere come rimanevano stupiti di fronte a una rana<br />

che saltava in uno stagno oppure un passerotto che catturava un vermiciattolo,<br />

ogni cosa per loro era fonte di stupore e anche un banale rametto poteva<br />

diventare la bacchetta magica di chissà quale potentissimo stregone.<br />

Vedere quella innocenza, quella genuinità e quella spontaneità lo rendeva<br />

sereno perché sentiva che, nonostante tutto, nel mondo c’era sempre ancora<br />

del bene e che l’uomo, di fondo, nella sua veste più infantile, era<br />

sostanzialmente una creatura buona. Aveva bisogno di quelle sensazioni<br />

perché lo aiutavano a scacciare, almeno per qualche ora, l’amarezza della sua<br />

vita e il rancore per le perdite subite. Quando vedeva bambini come questi<br />

giocare innocentemente pieni di allegria riusciva ancora a pensare che ci fosse<br />

una speranza per il mondo e che, un giorno, nessuno avrebbe più dovuto<br />

subire per mano di un suo simile quello che lui, trent’anni prima, aveva vissuto.<br />

Perso tra le grida di gioia e i piccoli grandi pianti dei bambini rimase lì seduto<br />

osservando la vita intorno a sé per una mezz’oretta quando vide arrivare da<br />

una vialetto alla sua destra un anziano signore distinto. Aveva un portamento<br />

elegante per la sua età, vestiva una bella camicia azzurra e un paio di<br />

pantaloni beige ben stirati. Come lo aveva intravisto aveva subito capito che era<br />

diretto verso la sua panchina e dal suo passo deciso aveva anche intuito che<br />

probabilmente aveva voglia di chiacchierare. Tra persone anziane capitava<br />

spesso e anche se lui non era propriamente una persona loquace, tuttavia a<br />

volte la solitudine lo portava a scambiare due parole con qualcuno.<br />

Adesso, però, c’era qualcosa in quell’uomo che di primo acchito non gli piacque.<br />

Andreas Pieralli 1 di 3<br />

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