Il sistema immunitario 1 (PDF) - Il sito della QUARTA A
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III. IL SISTEMA IMMUNITARIO<br />
0) Che cos’è il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>?<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> serve a proteggere il corpo da tutti gli agenti patogeni, capaci<br />
cioè di provocare una malattia. Le cellule funzionalmente più importanti del <strong>sistema</strong><br />
<strong>immunitario</strong> sono due classi di globuli bianchi, i macrofagi, che fanno parte dei<br />
fagociti, e i linfociti, a loro volta distinguibili in linfociti B,T e NK.<br />
Dato che le cellule del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> circolano nel sangue e nella linfa, il <strong>sistema</strong><br />
<strong>immunitario</strong> è strettamente connesso sia con l’apparato circolatorio sia con il <strong>sistema</strong><br />
linfatico; per di più, i linfociti e i macrofagi derivano, come i globuli rossi, da cellule<br />
staminali nel midollo osseo, anche se alcuni di essi compiono il loro processo di<br />
maturazione in altri organi, come la milza, il timo e i linfonodi.<br />
La funzione protettiva svolta dal <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> nei vertebrati si esplica<br />
attraverso tre processi fondamentali:<br />
1. <strong>Il</strong> riconoscimento.<br />
Le cellule del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> sono in grado di riconoscere gli invasori<br />
esterni identificando particolari configurazioni di molecole presenti sulla<br />
superficie delle cellule o delle molecole estranee: sono, cioè, capaci di<br />
distinguere il self (le cellule e le molecole prodotte dall’organismo a cui<br />
appartengono) dal nonself (le molecole e le cellule provenienti dall’esterno);<br />
2. La comunicazione.<br />
Le cellule del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> comunicano tra loro: per esempio, certi<br />
globuli bianchi, dopo aver riconosciuto un invasore, inviano segnali ad altri<br />
globuli bianchi, che iniziano una serie di attività che contribuiscono a<br />
combatterlo;<br />
3. L’eliminazione.<br />
Gli invasori vengono eliminati in vario modo: per esempio, vengono marcati con<br />
proteine specifiche che li destinano alla distruzione, o vengono direttamente<br />
aggrediti da globuli bianchi specializzati.<br />
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Tuttavia, prima ancora di incontrare il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>, l’intruso deve<br />
neutralizzare numerosi dispositivi che schermano l’ospite, costituendo la prima linea<br />
delle nostre difese organiche. Si tratta di meccanismi protettivi che non sono<br />
specificamente mirati contro un microbo preciso, ma costituiscono barriere<br />
meccaniche, chimiche e cellulari efficaci contro qualsiasi materiale estraneo. Per<br />
questo loro “sparare a vista”, tali difese vengono indicate collettivamente come<br />
meccanismi protettivi aspecifici.<br />
La seconda strategia adottata dall’organismo è quella delle difese specifiche, e<br />
fornisce protezione contro invasori particolari, nel senso che una difesa specifica può<br />
proteggere dall’infezione apportata da un certo tipo di batterio, ma ignorare l’attacco<br />
sferrato da altri batteri o da un virus.<br />
Le difese specifiche sono strettamente legate alla capacità, propria del <strong>sistema</strong><br />
<strong>immunitario</strong>, di sviluppare una memoria degli invasori già affrontati. Tali difese danno<br />
luogo a uno stato di protezione a lungo termine, denominato resistenza specifica,<br />
meglio noto come immunità.<br />
In genere i meccanismi di difesa non specifica sono più rapidi, ma non così efficaci<br />
come le difese specifiche nella protezione contro le malattie.<br />
Un termine in cui ci imbatteremo più volte nelle pagine che seguono è antigene, che<br />
indica qualsiasi sostanza estranea che susciti una reazione del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>.<br />
Una cellula batterica è, ovviamente, un materiale estraneo; tuttavia, a innescare la<br />
reazione immunitaria nell’uomo sono alcune proteine presenti sulla sua superficie. In<br />
generale, gli antigeni sono molecole, di solito proteine o catene polipeptidiche, che<br />
fanno parte di un corpo estraneo. Un singolo microrganismo invasore può però anche<br />
“presentare” più di un antigene al <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>.<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> effettua la propria funzione affidandosi a diversi tipi di cellule<br />
e di proteine. Ai fini <strong>della</strong> funzione immunitaria, sono essenziali diverse varietà di<br />
globuli bianchi (o leucociti).<br />
La Tabella 2.2 elenca alcune delle cellule e delle proteine coinvolte nella difesa<br />
dell’organismo umano.<br />
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1) Le difese non specifiche: la prima linea di difesa<br />
Nel suddividere le funzioni del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> in difese specifiche e aspecifiche,<br />
è logico cominciare da quelle aspecifiche, dato che costituiscono la prima linea<br />
difensiva messa in atto dall’organismo. Ecco un elenco delle difese aspecifiche:<br />
Le barriere fisiche;<br />
I fagociti;<br />
La sorveglianza immunologia;<br />
Gli interferoni;<br />
<strong>Il</strong> complemento;<br />
L’infiammazione;<br />
La febbre.<br />
In genere le difese aspecifiche impediscono e limitano la diffusione dei microrganismi<br />
o delle sostanze pericolose, le cosiddette tossine, che essi secernono.<br />
Le barriere fisiche:<br />
La strategia più evidente messa in atto dal nostro corpo per proteggersi da batteri,<br />
virus e altri microrganismi pericolosi è di impedire loro di penetrare nei tessuti<br />
viventi. Infatti per causare un danno, un organismo patogeno (un microrganismo<br />
responsabile di una malattia) deve penetrare nei tessuti dell’organismo, cioè deve<br />
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attraversare un epitelio, ossia il tipo di tessuto che riveste le superfici esposte del<br />
corpo.<br />
La copertura epiteliale <strong>della</strong> cute ha molti strati, oltre a un rivestimento<br />
impermeabilizzante di cheratina e una rete di giunzioni che legano strettamente<br />
assieme le membrane di cellule adiacenti.<br />
La superficie esterna del corpo è anche protetta dai capelli, dai peli e dalle secrezioni<br />
ghiandolari, che offrono una certa protezione contro le abrasioni, soprattutto sul<br />
cuoio capelluto. Le secrezioni delle ghiandole sebacee e sudoripare si riversano sulla<br />
superficie <strong>della</strong> cute, esercitando un’azione dilavante nei confronti di microrganismi e<br />
agenti chimici potenzialmente pericolosi. Alcune secrezioni contengono anche sostanze<br />
battericide e nelle lacrime e nella saliva sono presenti enzimi litici, come il lisozima.<br />
La pelle forma sulla superficie corporea uno strato relativamente<br />
inattaccabile, almeno finché resta integra.<br />
I tessuti epiteliali che rivestono gli organi cavi dei sistemi digerente, respiratorio,<br />
urinario e riproduttivo sono più delicati, ma costituiscono difese ugualmente<br />
efficienti. La maggior parte delle superfici del tratto digerente sono rivestite di<br />
muco, nel quale i microbi restano invischiati, e lo stomaco contiene una secrezione<br />
acida in grado di distruggere molti potenziali patogeni; il muco si muove anche lungo il<br />
rivestimento del tratto respiratorio; l’urina lava le vie urinarie, e le secrezioni<br />
ghiandolari svolgono la stessa funzione nel tratto riproduttivo.<br />
I fagociti e l’infiammazione:<br />
Se un batterio o un altro microrganismo patogeno si fa strada attraverso la superficie<br />
corporea e raggiunge i tessuti, incontrerà molto probabilmente una cellula fagocitaria<br />
(un fagocita).<br />
I fagociti sono cellule in grado di ingerire altre cellule o loro frammenti, o altre<br />
particelle e di distruggerli; per mezzo <strong>della</strong> fagocitosi, essi rimuovono dai tessuti non<br />
solo parti di cellule ormai logore dello stesso organismo, ma anche microrganismi<br />
patogeni. Esistono due grandi classi di fagociti:<br />
I microfagi.<br />
Sono globuli bianchi denominati neutrofili e eosinofili; sebbene normalmente<br />
si trovino nel sangue, questi fagociti possono abbandonare la circolazione<br />
sanguigna e penetrare nei tessuti che abbiano subíto una lesione o nei quali<br />
sia in corso un’infezione.<br />
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I macrofagi.<br />
Sono grandi cellule che derivano da globuli bianchi denominati monociti; quasi<br />
tutti i tessuti dell’organismo ospitano macrofagi residenti o di passaggio.<br />
Le cellule fagocitarie sarebbero di poco aiuto se non potessero raggiungere le zone<br />
dove la loro presenza è necessaria. La strategia con la quale il nostro organismo attrae<br />
queste ed altre cellule nelle zone a rischio, come una ferita infetta, si chiama<br />
infiammazione.<br />
L’infiammazione è una risposta tissutale localizzata alle lesioni. Essa produce una ben<br />
nota sensazione di gonfiore, arrossamento, calore e dolore, e può essere generata da<br />
qualsiasi agente o evento che uccida le cellule o danneggi il tessuto connettivo lasso.<br />
Quando sono stimolate da un danno tissutale locale, alcune cellule connettivali<br />
denominate mastcellule liberano nel fluido interstiziale speciali mediatori, l’istamina e<br />
l’eparina, che innescano il processo dell’infiammazione.<br />
Queste sostanze chimiche fanno dilatare localmente i vasi sanguigni, determinando<br />
l’arrivo di una maggior quantità di sangue (con le cellule di difesa) nella regione<br />
interessata. Le sostanze liberate attraggono inoltre i fagociti, facendoli concentrare<br />
nella regione <strong>della</strong> ferita o dell’infezione.<br />
Le cellule e il liquido usciti dai vasi dilatati spesso si accumulano a formare una pasta<br />
giallastra, il pus.<br />
La figura illustra i diversi eventi che si verificano nel corso di un’infiammazione<br />
cutanea. Essi servono a rallentare la diffusione dei microrganismi in siti distanti dalla<br />
lesione di ingresso, a prevenire la penetrazione di altri patogeni e a mettere in moto<br />
un’ampia gamma di difese per sopraffare gli invasori e riparare in modo permanente il<br />
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tessuto (un processo denominato rigenerazione). Si noti che uno degli ultimi eventi del<br />
processo infiammatorio è la “attivazione di difese specifiche”, che verranno trattate<br />
in seguito.<br />
La sorveglianza immunologica<br />
In genere il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> ignora le cellule normali dei tessuti dell’organismo, ma<br />
attacca e distrugge quelle anormali. <strong>Il</strong> costante monitoraggio dei tessuti normali è<br />
denominato sorveglianza immunologica. Questo fenomeno vede principalmente<br />
coinvolto un tipo di cellula nota come cellula (o linfocita) NK, dove NK sta per “natural<br />
killer”: è una particolare varietà di linfocita.<br />
Le cellule NK sono sensibili alla presenza di antigeni sulle cellule dell’organismo. In<br />
effetti, questi antigeni rappresentano un segnale come “Questa membrana plasmatica<br />
è anormale”. Quando le cellule NK si imbattono in questi antigeni, presenti su una<br />
cellula cancerosa o infetta da un virus, la uccidono secernendo determinate proteine<br />
che ne perforano e distruggono la membrana.<br />
Come mai allora ci si ammala di cancro? Purtroppo alcune cellule cancerose eludono<br />
questa sorveglianza, per cui si moltiplicano e si diffondono senza interferenze da<br />
parte delle cellule NK.<br />
Gli interferoni:<br />
Gli interferoni sono piccole proteine emesse da linfociti e macrofagi attivati e dalle<br />
cellule dei tessuti infettati dai virus. Questa sostanza si lega alla superficie delle<br />
cellule vicine, ancora non infette, e le induce a produrre proteine antivirali che<br />
impediranno al virus di replicarsi utilizzando il loro apparato biosintetico. Spesso<br />
questa reazione è sufficiente ad arrestare la diffusione del virus. Gli interferoni<br />
stimolano anche i macrofagi e le cellule NK a entrare in azione.<br />
<strong>Il</strong> complemento:<br />
Con il termine di complemento ci si riferisce a un gruppo di proteine del sangue che<br />
“complementa”, o supplementa, l’azione degli anticorpi. L’attivazione del complemento<br />
potenzia la fagocitosi, distrugge le membrane dei microrganismi invasori (batteri) e<br />
promuove l’infiammazione.<br />
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La febbre:<br />
Per febbre si intende un prolungato rialzo <strong>della</strong> temperatura corporea su valori<br />
superiori a 37°C.<br />
L’ipotalamo contiene gruppi di cellule nervose che regolano la temperatura corporea e<br />
agiscono come termostato dell’organismo. I macrofagi, i patogeni e le tossine<br />
batteriche sono fra gli agenti che possono “resettare” il termostato e causare un<br />
rialzo <strong>della</strong> temperatura corporea. Entro certi limiti, una febbre può essere benefica,<br />
poiché un rialzo <strong>della</strong> temperatura può accelerare le attività del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>;<br />
tuttavia, la febbre alta (sopra i 40°C) può danneggiare molti sistemi d’organi.<br />
2) Le difese immunitarie specifiche<br />
Gli interferoni e le cellule NK non distinguono fra un microrganismo invasore e l’altro.<br />
L’immunità o resistenza specifica consiste nella resistenza a lesioni e malattie causate<br />
dalla penetrazione nell’organismo di ben determinati patogeni o composti chimici<br />
estranei.<br />
Nella risposta infiammatoria, alcune parti del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> intraprendono<br />
azioni valide contro qualunque invasore. Tuttavia, anche se una puntura a livello <strong>della</strong><br />
cute rappresenta un tipo di lesione generica, è anche vero che virus, batteri o funghi<br />
particolari possono avvantaggiarsi <strong>della</strong> sua presenza. Perciò la reazione dell’organismo<br />
a tale lesione non comporta solo lo schieramento delle difese immunitarie aspecifiche,<br />
ma anche di quelle specifiche.<br />
L’immunità specifica può essere di due tipi: innata e acquisita.<br />
L’immunità innata è ereditaria; è presente alla nascita e non ha alcuna<br />
relazione con precedenti esposizioni dell’individuo agli antigeni implicati.<br />
Essa ci protegge da certe malattie che possono invece infettare gli animali<br />
domestici; gli esseri umani, per esempio, non sono soggetti alle stesse<br />
malattie dei pesci rossi e viceversa.<br />
L’immunità acquisita è una resistenza alle infezioni conseguita dall’organismo<br />
nel corso <strong>della</strong> vita. Come vedremo essa può svilupparsi in due modi diversi,<br />
passivamente o attivamente.<br />
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L’immunità passiva viene ottenuta somministrando ad un individuo a rischio<br />
sostanze prodotte da un altro individuo, che lo difendano da una malattia. Ciò<br />
avviene in modo naturale quando sostanze sintetizzate dalla madre proteggono il<br />
nascituro dalle infezioni che potrebbero attaccarlo.<br />
Sostanze del genere possono anche essere somministrate per combattere o<br />
prevenire un’infezione.<br />
Ad esempio se, giocando a calcio, vi ferite in modo piuttosto serio e la ferita è<br />
sporca, è facile che al pronto soccorso, dopo aver cucito la ferita, vi facciano<br />
un’iniezione di siero antitetanico, cioè vi iniettino, a scopo preventivo, una dose<br />
di anticorpi contro la tossina prodotta dal batterio del tetano. Se, per caso, il<br />
batterio vi ha infettato, gli anticorpi iniettati vi proteggono ed evitano che la<br />
tossina prodotta dal batterio danneggi in modo grave o irreparabile il vostro<br />
<strong>sistema</strong> nervoso. Lo stesso effetto viene conseguito con i sieri antiveleni, usati<br />
per curare una persona morsa o punta da un animale. Le iniezioni di<br />
immunoglobuline, invece, vengono praticate per aumentare la resistenza nei<br />
confronti di una possibile infezione.<br />
<strong>Il</strong> concetto essenziale è che l’immunità acquisita passivamente con questi mezzi<br />
conferisce una resistenza a breve o a medio termine, al massimo <strong>della</strong> durata<br />
di qualche anno; infatti i composti che combattono le malattie prodotti fuori dal<br />
nostro corpo vengono prima o poi degradati dal nostro organismo. Nonostante<br />
questo ha un grande vantaggio: agisce in fretta.<br />
L’immunità attiva, a lungo termine, è quella che il nostro corpo sviluppa con le<br />
proprie risorse. Essa si sviluppa in seguito all’esposizione naturale<br />
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dell’organismo a un antigene presente nell’ambiente o in seguito all’esposizione<br />
deliberata a tale antigene (vaccinazione).<br />
È questo il mezzo con cui ci procuriamo una protezione a lungo termine dai<br />
microrganismi invasori. Di solito questo tipo di immunità comincia a svilupparsi<br />
dopo la nascita, e viene continuamente aggiornata e ampliata via via che un<br />
individuo si imbatte in patogeni o altri antigeni ai quali non era ancora stato<br />
esposto.<br />
Come già detto una forma di immunità attiva è quella prodotta artificialmente<br />
mediante la somministrazione di vaccini per proteggere l’individuo da malattie<br />
specifiche come il vaiolo.<br />
Vaccinare una persona non significa trattarla con una sostanza che permanga nel suo<br />
organismo e sia tossica per i virus o i batteri. La preparazione iniettata o ingerita è<br />
invece un antigene, cioè una parte o tutto l’organismo patogeno che si vuole<br />
combattere. Perché questo trattamento riduce la probabilità di contrarre la malattia?<br />
La risposta è che, dalla parte del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>, l’individuo vaccinato ha<br />
contratto la malattia nel momento in cui gli è stato inoculato l’antigene. In<br />
quell’occasione gli antigeni ad es. <strong>della</strong> poliomielite sono stati presentati al suo <strong>sistema</strong><br />
<strong>immunitario</strong>, che procede quindi a sferrare un attacco contro quel particolare invasore<br />
(le cellule B e T sono ora pronte ad attuare contro di esso una risposta immunitaria<br />
specifica).<br />
“Prendere la polio”, allora, non significa tanto che il poliovirus è penetrato nel nostro<br />
corpo, quanto piuttosto che esso è riuscito a danneggiarci prima che il <strong>sistema</strong><br />
<strong>immunitario</strong> potesse liberarcene. Questo è esattamente ciò che può accadere quando<br />
il virus intatto ci invade per via naturale prima che siamo stati vaccinati.<br />
I vaccini moderni sono ottenuti con microrganismi e tossine che sono stati uccisi o<br />
alterati, in modo tale che non possano provocare la malattia o causare danni. Dopo la<br />
prima somministrazione, gli antigeni presenti sulla superficie dei microbi uccisi<br />
stimolano la produzione di plasmacellule e di cellule <strong>della</strong> memoria. Un richiamo, cioè<br />
una seconda o terza dose dello stesso vaccino, induce le cellule B <strong>della</strong> memoria a<br />
differenziarsi ulteriormente e a formare ancora più plasmacellule e cellule <strong>della</strong><br />
memoria.<br />
L’immunizzazione attiva prodotta da vaccinazione è un processo lento, che richiede un<br />
richiamo e parecchie settimane di tempo per la formazione di un sufficiente numero di<br />
cellule <strong>della</strong> memoria e il raggiungimento di un adeguato livello di protezione. Tuttavia,<br />
l’immunità così prodotta permane per alcuni anni o, in certi casi, anche per tutta la<br />
vita.<br />
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I vaccini costituiscono la migliore strategia per combattere le malattie infettive<br />
serie, che non possono essere prevenute o curate con altri mezzi. Disgraziatamente<br />
molti virus, come i vari ceppi dell’ influenza, e anche alcuni batteri, modificano le loro<br />
molecole superficiali così rapidamente da evadere l’immunizzazione attiva, ed è per<br />
questo che la vaccinazione antinfluenzale non è più efficace l’anno successivo.<br />
L’essenziale è che, in un organismo vaccinato contro la poliomielite, il poliovirus è<br />
pressoché impotente; non impotente a penetrare nel nostro corpo, ma impotente a<br />
farci del male, giacché ora il nostro organismo è pronto a combattere.<br />
2.1) Le cellule e le molecole coinvolte nella risposta<br />
immunitaria<br />
Le cellule:<br />
Tra i diversi tipi di globuli bianchi che cooperano nella difesa immunitaria, i linfociti<br />
costituiscono la forza trainante. Linfocita significa “cellula <strong>della</strong> linfa” e in effetti<br />
queste cellule passano la maggior parte <strong>della</strong> loro vita nei tessuti linfatici.<br />
Vi sono due tipi principali di linfociti: i linfociti B, che producono e secernono proteine<br />
dette anticorpi, e i linfociti T, che, a seconda del tipo, uccidono direttamente le<br />
cellule estranee o regolano l’attività di altri linfociti. Un’altra classe di globuli bianchi<br />
che interviene nella risposta immunitaria è rappresentata dai macrofagi, che prima<br />
stimolano i linfociti ad attaccare gli invasori e poi fanno pulizia, consumando i detriti<br />
prodotti dal lavoro dei linfociti stessi.<br />
Le molecole:<br />
Nella difesa immunitaria sono implicate anche numerose molecole, le più note delle<br />
quali sono gli anticorpi, proteine con funzione protettiva prodotte dai linfociti B, che<br />
le secernono nel sangue e nella linfa. Cellule B diverse producono anticorpi di forma<br />
leggermente diversa. Durante una risposta immunitaria, particolari anticorpi si legano<br />
in modo specifico a determinati antigeni: in questo modo, contemporaneamente,<br />
l’anticorpo riconosce l’invasore e lo marca in modo che possa essere eliminato.<br />
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Un agente patogeno può anche avere diversi antigeni: il rivestimento esterno di molti<br />
virus, batteri, funghi o parassiti di grandi dimensioni contiene numerose proteine in<br />
grado di agire come antigeni.<br />
Un altro tipo di molecole importanti nella difesa sono le interleuchine, fattori di<br />
crescita proteica, secreti da alcune cellule immunitarie, che stimolano o ritardano la<br />
divisione o il differenziamento di altre cellule immunitarie, attuando così una forma di<br />
comunicazione tra le cellule immunitarie stesse.<br />
2.2) L’immunità umorale e l’immunità cellulare<br />
Le resistenze immunitarie specifiche<br />
comprendono due componenti<br />
fondamentali. La prima è la cosiddetta<br />
immunità umorale, o immunità mediata<br />
da anticorpi, la seconda è l’immunità<br />
cellulare, o immunità mediata da cellule.<br />
L’azione di entrambi questi sistemi di<br />
difesa comincia a livello dello stesso<br />
<strong>sito</strong>, in quanto i linfociti rappresentano<br />
la base da cui hanno origine le cellule<br />
chiave di entrambi i sistemi.<br />
Tutti i globuli bianchi hanno origine nel<br />
midollo osseo e i linfociti non fanno<br />
eccezione. Alcuni di essi, tuttavia,<br />
migrano nel timo, una ghiandola che si<br />
trova sopra il cuore, dove si<br />
differenziano dando luogo ai principali<br />
elementi dell’immunità cellulare, i<br />
linfociti T, o più semplicemente le<br />
cellule T (dove T sta a indicare la loro<br />
origine dal timo).<br />
<strong>Il</strong> drenaggio dei liquidi extracellulari: il <strong>sistema</strong> linfatico<br />
Nel frattempo, i linfociti che rimangono nel midollo osseo possono svilupparsi nei<br />
linfociti B, gli elementi fondamentali dell’immunità anticorpale, mediata da anticorpi.<br />
Spessissimo le cellule B e T mature sono localizzate negli organi del <strong>sistema</strong> linfatico,<br />
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per esempio la milza e i linfonodi, dove<br />
si preparano a legarsi agli invasori che<br />
eventualmente penetrano nel <strong>sistema</strong>.<br />
Ci si deve immaginare il <strong>sistema</strong><br />
linfatico come un <strong>sistema</strong> di vasi che<br />
drenano i fluidi extracellulari (il fluido<br />
interstiziale) per reimmetterli nel<br />
<strong>sistema</strong> circolatorio. Mentre questi<br />
fluidi percorrono il <strong>sistema</strong> linfatico,<br />
passano attraverso gli organi linfatici,<br />
che sono pieni di cellule immunitarie.<br />
Ecco perché quando ci si ammala i<br />
linfonodi si ingrossano: in tali<br />
circostanze essi contengono quantità<br />
superiori alla norma di cellule<br />
immunitarie, impegnate a combattere<br />
l’infezione.<br />
2.2.1) L’immunità mediata da anticorpi:<br />
Come si può immaginare il protagonista dell’immunità mediata da anticorpi (o<br />
anticorpale) è l’anticorpo; questo può essere definito come una proteina circolante<br />
prodotta dal <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>, capace di legarsi a un particolare antigene (più<br />
precisamente è una proteina globulare e viene perciò chiamato anche<br />
immunoglobulina).<br />
Da questa definizione è evidente che anticorpi e antigeni sono intimamente collegati, a<br />
tal punto, che uno prende il nome dall’altro; il termine antigene, infatti, non è che una<br />
forma abbreviata per dire “sostanza in grado di generare anticorpi”. In prima<br />
approssimazione, un dato anticorpo si legherà a un determinato antigene e a nessun<br />
altro.<br />
Ferma restando la loro capacità di legame, gli anticorpi possono presentarsi in due<br />
modi: anzitutto come recettori superficiali delle cellule B che, con una comune forma<br />
base a Y, si estendono verso l’esterno dalla membrana plasmatici di tali cellule; in<br />
secondo luogo, come molecole prodotte dalle cellule B e liberamente circolanti nel<br />
sangue.<br />
Considerati nella loro forma di recettori, gli anticorpi sono denominati anche recettori<br />
antigenici.<br />
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La grande specificità del legame anticorpo-antigene consente di usare queste molecole<br />
come un potente mezzo per la diagnosi di molte malattie infettive, tra cui, per<br />
esempio, l’epatite virale e l’AIDS.<br />
Se infatti un virus, come quello dell’AIDS, penetra nel corpo di una persona,<br />
l’organismo comincia subito a produrre anticorpi specifici contro quel virus, e dopo<br />
poco tempo questi anticorpi possono essere identificati nel sangue: si dice allora che<br />
la persona in questione è sieropositiva per quel particolare virus. Chiunque sia stato<br />
esposto al contagio da parte del virus HIV risulta sieropositivo.<br />
Sfortunatamente questi anticorpi non riescono a proteggere l’organismo perché il<br />
virus dell’AIDS penetra nelle cellule, dove gli anticorpi non possono raggiungerlo: se<br />
una persona, però, sa di essere sieropositiva, può sottoporsi a terapie per rallentare la<br />
replicazione del virus e ritardare la progressione <strong>della</strong> malattia, che quando si<br />
manifesta è, purtroppo, sempre fatale.<br />
Esistono classi diverse di anticorpi, specializzati nel raggiungere parti del corpo<br />
diverse o in differenti attività difensive.<br />
Una di queste classi di anticorpi, denominata IgG (o immunoglobuline G), molto<br />
efficiente nell’eliminazione di virus e batteri, costituisce la componente principale<br />
delle gammaglobuline, che vengono separate dal sangue mediante opportune tecniche<br />
di frazionamento e possono essere iniettate per fornire una protezione immediata. Le<br />
IgG sono gli unici anticorpi che possono attraversare la placenta e raggiungere il feto.<br />
Un’altra classe di anticorpi, le IgA, ha caratteristiche diverse, che consentono a<br />
queste molecole di penetrare facilmente nelle secrezioni corporee come la saliva, le<br />
lacrime, e il latte: questi anticorpi forniscono, per esempio, una resistenza temporanea<br />
alle infezioni nei bambini allattati al seno.<br />
Una terza classe di anticorpi, le IgE, si lega a cellule specializzate situate nella pelle e<br />
nelle mucose, e può contribuire, oltre che a combattere le infezioni, a scatenare quei<br />
fenomeni irritativi noti come allergie.<br />
Le cellule B:<br />
Ogni linfocita B porta sulla sua membrana circa 100 000 copie <strong>della</strong> molecola di<br />
anticorpo che è in grado di secernere quando viene stimolato da un determinato<br />
antigene. Ogni linfocita B, tuttavia, porta solo un tipo di anticorpo.<br />
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Nel nostro corpo vi sono milioni di cellule B differenti – che circolano nel sangue o<br />
nella linfa o stazionano nei linfonodi -, ciascuna delle quali è in grado di rispondere a un<br />
diverso antigene.<br />
Quando un antigene penetra all’interno del corpo, la sua molecola si lega agli anticorpi<br />
presenti sulla superficie di una particolare cellula B, quelli che hanno un <strong>sito</strong> di legame<br />
di conformazione adatta.<br />
Questo stimola la cellula B a<br />
dividersi rapidamente e a<br />
proliferare quindi in un clone di<br />
cellule tutte identiche,<br />
discendenti dalla stessa cellula<br />
madre; in circa 10 giorni una<br />
singola cellula B può produrre un<br />
clone di 1000 cellule figlie.<br />
A un certo punto, alcune cellule<br />
figlie smettono di dividersi e si<br />
differenziano in plasmacellule,<br />
che si mettono a fabbricare<br />
anticorpi. Le plasmacellule<br />
impiegano tutte le loro risorse<br />
nella produzione di anticorpi, e<br />
muoiono dopo pochi giorni. Altre<br />
cellule del clone, però, non si<br />
differenziano immediatamente e<br />
diventano cellule B <strong>della</strong><br />
memoria, in grado di sopravvivere<br />
mesi o anni.<br />
Come la cellula B originaria, le cellule <strong>della</strong> memoria possono venire stimolate a<br />
dividersi e a differenziarsi in plasmacellule dallo stesso antigene che aveva scatenato<br />
la prima risposta.<br />
La struttura e la formazione degli anticorpi:<br />
Come già detto gli anticorpi hanno una forma che ricorda vagamente una Y. Ciascuna di<br />
queste molecole ha due siti a cui si legano gli antigeni a essi complementari; dalla<br />
parte opposta, invece, la molecola stimola i macrofagi o le proteine del complemento<br />
ad attaccare e distruggere l’intero complesso anticorpo-antigene.<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 14
Tutte le molecole anticorpale sono composte da due tipi di catene polipeptidiche,<br />
denominate catena pesante e catena leggera in base alle dimensioni.<br />
Le immunoglobuline più abbondanti, quelle <strong>della</strong> classe IgG (immunoglobuline G), sono<br />
formate da due catene leggere e due pesanti, unite da legami covalenti. Ciascuna delle<br />
catene contiene una regione costante (C), la cui sequenza amminoacidica è la stessa in<br />
tutte le immunoglobuline di un dato animale, e una regione variabile (V), cioè diversa<br />
da un anticorpo all’altro. Sono le differenze <strong>della</strong> regione variabile che determinano la<br />
specificità dell’anticorpo per il suo antigene.<br />
La presenza di due diverse catene amminoacidiche (leggera e pesante) rende possibile<br />
una grande quantità di anticorpi, combinando un numero molto più ridotto di<br />
polipeptidi.<br />
I geni delle catene polipeptidiche degli anticorpi derivano da un processo di<br />
riarrangiamento che ne determina l’enorme varietà<br />
La capacità di produrre svariati milioni di anticorpi diversi poneva in passato un<br />
interrogativo difficile: come poteva una cellula contenere l’enorme quantità di DNA<br />
necessaria per tanti milioni di geni?<br />
La risposta sta nel fatto che le catene anticorpale sono identiche per la parte C<br />
(nell’ambito di ciascuna categoria, leggera o pesante) ma estremamente diversificate<br />
nella parte V. Ogni catena polipeptidica è codificata da geni separati, un gene C e<br />
alcuni geni <strong>della</strong> regione V, che si riorganizzano a formare un “gene” unico e continuo<br />
che specifica la sequenza di amminoacidi di un’intera catena leggera o pesante.<br />
<strong>Il</strong> DNA di un particolare cromosoma contiene un unico gene C e svariati geni <strong>della</strong><br />
regione variabile, tutti diversi; durante il processo di riarrangiamento, che avviene<br />
mentre le cellule B maturano nel midollo osseo, l’unico gene C e alcuni geni <strong>della</strong><br />
regione V si spostano in modo da trovarsi vicini e da questi geni combinati si forma un<br />
solo RNA messaggero (mRNA).<br />
L’mRNA viene quindi tradotto in un polipeptide la cui sequenza amminoacidica contiene<br />
una parte C e una parte V.<br />
Grazie a questo meccanismo, una persona riesce a produrre un numero impressionante<br />
di anticorpi diversi con una quantità minima di informazione genetica.<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 15
L’antigene seleziona un clone di linfociti, determinando la produzione di anticorpi<br />
complementari e una specifica memoria immunitaria<br />
Le cellule B, una volta formate, costituiscono una popolazione che possiede milioni di<br />
specificità diverse. L’intrusione di un particolare antigene nel corpo attiva solo le<br />
cellule B specifiche per quell’antigene, che sono indotte a proliferare, formano un<br />
clone di cellule produttrici di anticorpi (plasmacellule).<br />
Questo processo di “selezione clonale”, con cui si generano anticorpi specifici in<br />
seguito all’esposizione all’antigene, consta dei seguenti stadi fondamentali:<br />
1. Ogni cellula B viene determinata per la produzione di un solo tipo di<br />
anticorpo.<br />
Durante lo sviluppo embrionale, i riarrangiamento del DNA destinano le cellule B<br />
ciascuna alla produzione di un tipo ben preciso di molecola anticorpale; da quel<br />
momento ogni cellula include alcune molecole anticorpali nella propria membrana<br />
plasmatica, lasciando ben esposto il <strong>sito</strong> di riconoscimento dell’antigene.<br />
Tutta la gamma di cellule produttrici di anticorpi che l’individuo possiede è<br />
quindi già presente nei tessuti linfoidi prima <strong>della</strong> stimolazione da parte di un<br />
antigene. <strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> è in grado di rispondere praticamente a<br />
qualunque tipo di antigene cui una persona eventualmente si esponga, anche se la<br />
maggior parte di queste cellule protettive non verrà mai chiamata in causa nel<br />
corso <strong>della</strong> vita di un individuo;<br />
2. Quando l’antigene seleziona una certa cellula B, induce la produzione di<br />
anticorpi.<br />
Gli antigeni che entrano nel corpo innescano la produzione degli anticorpi loro<br />
complementari selezionando la cellula che produce l’anticorpo giusto.<br />
Supponiamo che un virus entri nell’organismo e sia fagocitato da un macrofago,<br />
che lo digerisce e ne dispone i frammenti sulla superficie <strong>della</strong> sua membrana.<br />
In questo modo alcuni antigeni virali vengono “presentati” a una cellula B che<br />
porta esposti alla superficie gli anticorpi corrispondenti. Le due cellule entrano<br />
in contatto tra loro grazie al legame tra antigene e anticorpo e questo incontro<br />
attiva la cellula B, che comincia a dividersi e a formare un clone con una certa<br />
specificità, quella complementare all’antigene.<br />
Quasi tutte le cellule derivanti da questa attivazione si differenzieranno in<br />
plasmacellule che secernono molecole anticorpali capaci di combinarsi con<br />
l’antigene. L’intervallo di tempo che intercorre tra l’esposizione all’antigene e la<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 16
produzione di anticorpi a un livello sufficiente a proteggere l’individuo oscilla<br />
tra i 10 e 14 giorni: è in questo periodo che si sviluppano le malattie.<br />
3. La memoria immunologica garantisce l’immunità a lungo termine.<br />
Alcune cellule B non producono anticorpi, ma restano nei tessuti linfoidi come<br />
cellule di memoria, in grado di rispondere rapidamente in futuro se l’antigene si<br />
ripresenta nell’organismo. Benché le plasmacellule muoiano una volta eliminato lo<br />
stimolo antigenico, le cellule di memoria persistono anche per anni, garantendo<br />
la possibilità del richiamo immunologica.<br />
Se stimolate dallo stesso antigene, le cellule di memoria mettono in atto la<br />
risposta protettiva nell’arco di alcune ore anziché di alcuni giorni, quelli<br />
necessari nella prima risposta; di conseguenza l’invasore viene eliminato ancor<br />
prima di causare i sintomi patologici. Dunque il primo incontro con un patogeno<br />
può dar luogo alla malattia conclamata, ma i sopravvissuti rimangono immuni da<br />
infezioni successive (immunità attiva).<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 17
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> è in grado di distinguere gli antigeni estranei da<br />
quelli del proprio organismo, verso i quali è tollerante<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> deve essere capace di distinguere tra le sostanze che sono<br />
penetrate nel corpo dall’esterno e quelle che appartengono all’organismo. In altre<br />
parole esso deve evitare di innescare una risposta immunitaria contro i propri antigeni,<br />
mantenendo allo stesso tempo la capacità di attaccare le sostanze estranee.<br />
<strong>Il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> diventa tollerante ai propri tessuti attraverso un processo non<br />
ancora completamente chiaro di delezione clonale, cioè di eliminazione di tutte le<br />
cellule B e T che reagirebbero contro i tessuti dell’organismo.<br />
Tuttavia in certi casi la tolleranza immunitaria viene a mancare e si instaura una<br />
situazione di autoimmunità, cioè di reazione immunitaria contro se stessi.<br />
L’incompatibilità tra gruppi sanguigni nelle trasfusioni è dovuta all’azione di<br />
anticorpi<br />
Gli anticorpi sono anche le sostanze responsabili dell’incompatibilità tra donatore e<br />
ricevente nelle trasfusioni di sangue.<br />
Gli alleli del <strong>sistema</strong> AB determinano la presenza di particolari sostanze (antigeni A o<br />
B) sulla superficie dei globuli rossi. <strong>Il</strong> plasma degli individui appartenenti a un gruppo<br />
sanguigno contiene anticorpi diretti contro l’antigene alternativo: il plasma dei<br />
soggetti di gruppo A contiene anticorpi anti-B e viceversa; il sangue di gruppo AB non<br />
contiene anticorpi e quello di gruppo 0 contiene sia anticorpi anti-A sia anticorpi anti-<br />
B.<br />
<strong>Il</strong> motivo per cui gli individui possiedono questi anticorpi, anche se non hanno mai<br />
ricevuto una trasfusione di sangue, è che gli antigeni A e B sono simili ad antigeni<br />
batterici molto comuni, ai quali l’organismo viene sicuramente esposto.<br />
In un individuo si instaura una tolleranza verso il proprio antigene sanguigno, dovuto<br />
all’eliminazione dei linfociti che reagirebbero contro di esso; restano, invece, gli<br />
anticorpi diretti contro l’antigene assente. Nelle trasfusioni di sangue è quindi<br />
necessario tener conto del tipo di anticorpi presenti nel plasma del ricevente.<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 18
Meccanismo d’azione degli anticorpi:<br />
In primo luogo, poiché gli anticorpi si legano agli antigeni del patogeno, possono in<br />
certi casi impedire che esso si leghi a qualsiasi altra cosa, e in tal modo ne arrestano<br />
la diffusione.<br />
Fra anticorpi e antigeni può anche aver luogo una reazione di “agglutinazione”, con la<br />
formazione di un “complesso” antigene-anticorpo che inattiva l’invasore.<br />
Infine, il legame con l’anticorpo può innescare l’attività di altre componenti del<br />
<strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>, le proteine del complemento. <strong>Il</strong> complemento può infatti legarsi a<br />
un anticorpo solo quando esso è legato a un antigene; questo “doppio” legame mette in<br />
moto una produzione, a cascata, delle diverse proteine del complemento; le ultime di<br />
questa cascata aprono falle nelle pareti cellulari dei batteri invasori.<br />
2.2.2) L’immunità mediata da cellule:<br />
Per quanto spettacolare, l’immunità anticorpale è anche limitata, giacché funziona<br />
esclusivamente verso organismi e molecole che un altro organismo riconosce come<br />
estranei a sé. <strong>Il</strong> fatto è che molti virus (tanto per fare un esempio) riescono a<br />
invadere cellule dell’organismo, che quindi diventano esse stesse parte del problema.<br />
Per affrontare questa minaccia, il corpo ha sviluppato, nel contesto dell’immunità<br />
acquisita , un’altra linea difensiva: l’immunità cellulare, o mediata dalle cellule.<br />
Protagonista di questa immunità è il linfocita T, o cellula T, che riconosce come<br />
bersagli le cellule infette o anormali, tramite proteine di superficie dette recettori<br />
delle cellule T, molecole simili ad anticorpi immerse nella membrana plasmatica.<br />
Tipi di cellule T e loro funzionamento:<br />
Esistono diverse varietà di linfociti T: tra esse ricordiamo le cellule T citotossiche (o<br />
linfociti T killer), i linfociti T helper, i linfociti T soppressori (o suppressor)e i<br />
linfociti T effettori (o cellule T effettrici).<br />
I recettori e i corecettori:<br />
Anche le cellule T hanno la capacità di legarsi ad antigeni specifici: questa capacità<br />
dipende dalla presenza, sulla superficie delle cellule T, di una particolare proteina<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 19
(che non è un anticorpo) che funge da recettore, a cui sono associati vari tipi di<br />
corecettori. <strong>Il</strong> virus HIV riesce a infettare le cellule T del tipo CD4 + perché,<br />
disgraziatamente, utilizza proprio questo loro particolare corecettore come un<br />
grimaldello per entrare nella cellula.<br />
<strong>Il</strong> complesso maggiore di istocompatibilità:<br />
I recettori delle cellule T si legano agli antigeni solo quando questi vengono loro<br />
“offerti”, da un macrofago o da un altro tipo di cellula immunitaria, unitamente a una<br />
proteina del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Queste proteine sono<br />
presenti in tutte le cellule dell’organismo, e ogni individuo ne presenta una<br />
combinazione particolare: si tratta cioè di vere e proprie impronte digitali cellulari,<br />
che consentono al <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> di distinguere il self dal nonself.<br />
La “compatibilità” tra il donatore e il ricevente, che consente o meno di effettuare<br />
trapianti di organi, si riferisce proprio a simili combinazioni di queste proteine: se<br />
infatti le proteine di istocompatibilità sono diverse, le cellule T riconoscono che il<br />
tessuto trapiantato non è self e lo attaccano.<br />
Le strategie per ridurre la probabilità del rigetto del trapianto sono parecchie, e<br />
tendono sia a minimizzare l’”estraneità” del trapianto sia a sopprimere il meccanismo<br />
di rigetto:<br />
Si sceglie un donatore compatibile con il ricevente, verificando che le<br />
proteine di superficie delle cellule del donatore (gli antigeni di<br />
istocompatibilità) corrispondano quanto più possibile a quelle del ricevente.<br />
Quanto maggiore è la corrispondenza, tanto minore è la probabilità di un<br />
rigetto. Tuttavia il rischio è sempre presente, dato che non esistono al<br />
mondo due persone che abbiano tutti gli antigeni di istocompatibilità<br />
identici, fatta eccezione per i gemelli monovulari;<br />
<strong>Il</strong> soggetto che riceve il trapianto viene trattato con farmaci (come la<br />
ciclosporina, un composto di origine fungina) che sopprimono l’immunità<br />
mediata da cellule e quindi riducono le capacità di rigetto del trapianto.<br />
Anche se oggi questi farmaci sono piuttosto efficaci, la soppressione del<br />
<strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> rende l’organismo ricevente molto vulnerabile alle<br />
infezioni.<br />
Cellule T citotossiche, helper, suppressor, effettrici:<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 20
Esistono diversi tipi di cellule T, che svolgono ruoli diversi nella risposta immunitaria,<br />
e che interagiscono tra loro in vario modo.<br />
Circa metà delle cellule T sono cellule T citotossiche, e sono in grado di secernere<br />
enzimi distruttivi o altre sostanze che perforano la membrana delle cellule che<br />
presentano proteine MHC o antigeni estranei sulla loro superficie, comprese quelle dei<br />
tessuti trapiantati, le cellule alterate da infezioni o le cellule tumorali.<br />
L’altra metà delle cellule T, anziché eliminare direttamente o indirettamente gli<br />
antigeni, regola l’attività delle altre cellule immunitarie secernendo molecole come le<br />
interleuchine o l’interferone: sono le cellule T helper, a cui appartengono le cellule<br />
CD4 + , che comunicano con le cellule B e con le altre cellule T e le inducono a entrare in<br />
azione e, inoltre, incrementano l’efficacia di altri linfociti (i B e T citotossici),<br />
secernendo attivatori immunitari (ad es. l’interleuchina II).<br />
La necessaria presenza di queste cellule per dare il via alle reazioni immunitarie è una<br />
specie di dispositivo di sicurezza per evitare reazioni immunitarie accidentali contro i<br />
propri tessuti.<br />
Le cellule T suppressor, invece, riducono o interrompono la risposta immunitaria.<br />
Infine, le cellule T effettrici liberano sostanze solubili che attraggono altre cellule<br />
difensive nell’area <strong>della</strong> stimolazione. Tali sostanze attivano le cellule man mano che<br />
arrivano, ad esempio rendendo più aggressivi i macrofagi, che acquistano maggior<br />
efficienza distruttiva nell’ingoiare materiali estranei.<br />
Esempio di immunità mediata da cellule:<br />
I macrofagi come cellule che espongono l’antigene<br />
Una cellula dell’organismo che sia stata infettata da un virus secerne un interferone.<br />
Esso agisce come un segnale chimico che avverte “Qui c’è una cellula infetta”: il<br />
risultato è un attacco da parte delle cellule NK e dei macrofagi.<br />
In realtà, a questo punto i macrofagi hanno una duplice funzione. Anzitutto, essi<br />
inglobano per fagocitosi le cellule infette; poi esibiscono sulla propria superficie alcuni<br />
frammenti proteici del virus invasore, che svolgeranno una funzione antigenica.<br />
Quando i macrofagi assumono questo ruolo, sono a volte indicati come APC (antigenpresenting<br />
cell).<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 21
All’APC si lega una cellula T helper. Come avviene spesso nel <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>,<br />
questo legame ha un carattere molto specifico: l’APC presenta infatti il frammento di<br />
proteina virale all’interno di una delle proprie proteine di membrana e la cellula T<br />
helper si lega all’APC solo se l’antigene virale è legato a tale “proteina del sé” dell’APC.<br />
Ciò rende questo <strong>sito</strong> di<br />
legame unico sotto due<br />
punti di vista: solo uno<br />
specifico invasore<br />
causerà la creazione di<br />
quel <strong>sito</strong>, e solo una<br />
varietà, fra i milioni di<br />
cellule T helper presenti<br />
nell’organismo, si legherà<br />
con esso.<br />
Ancora una volta siamo di<br />
fronte a un’immunità<br />
straordinariamente<br />
specifica, questa volta<br />
mediata da cellule. Dopo<br />
il legame con il linfocita T<br />
helper, anche l’APC<br />
emette una proteina, l’interleuchina-1, che contribuisce all’attivazione delle cellule T<br />
helper.<br />
<strong>Il</strong> ruolo delle cellule T helper nella reazione immunitaria<br />
Le cellule T helper così “attivate” secernono un’altra proteina, l’interleuchina-2, che<br />
mette in moto diversi altri processi.<br />
Anzitutto, essa stimola la produzione di cloni di cellule T helper e T killer; questi<br />
cloni comprendono non solo cellule attive, ma anche altre che fungono da depositarie<br />
<strong>della</strong> memoria immunitaria, con il compito di proteggere l’organismo da future<br />
invasioni.<br />
In secondo luogo, la sintesi di interleuchina-2 stimola anche la produzione di linfociti<br />
T soppressori, che si moltiplicano più lentamente dei linfociti killer. Alla fine, quando<br />
la guerra all’infezione si è conclusa, i linfociti soppressori inibiscono la produzione di<br />
altri linfociti killer.<br />
04.10.2005 IL SISTEMA IMMUNITARIO 22
In terzo luogo, l’interleuchina-2 contribuisce a attivare l’immunità mediata dalle<br />
cellule B (stimolando la produzione di cloni).<br />
Ma in tutto questo trambusto, dov’è la lotta all’invasore? La risposta sta nel clone<br />
delle cellule T killer, che si chiamano così per ottimi motivi: servendosi infatti dei loro<br />
speciali recettori, esse si legano alle cellule vittime dell’infezione e ne bucano la<br />
membrana, causando la lisi <strong>della</strong> cellula. Si noti che le cellule killer non si legano agli<br />
APC come fanno i linfociti T helper, ma alle cellule dell’organismo infette, il che<br />
spiega perché si parla di immunità cellulare. In ultima analisi, si tratta di un lavoro di<br />
pulizia che chiama in azione non solo gli anticorpi, ma anche diversi tipi di cellule.<br />
La Figura 2.38 mostra come, insieme alle difese aspecifiche, i due sistemi – l’immunità<br />
anticorpale e quella cellulare – cooperano alla protezione dell’organismo.<br />
3) La regolazione immunitaria:<br />
Le malattie autoimmuni:<br />
La perdita <strong>della</strong> tolleranza nei confronti del self porta alle malattie autoimmuni, in cui<br />
il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> reagisce contro cellule e tessuti che appartengono all’organismo<br />
stesso.<br />
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Alcuni esempi di malattie autoimmuni sono l’artrite reumatoide, una malattia che<br />
affligge molte persone anziane, in cui le articolazioni, soprattutto delle mani e dei<br />
piedi, diventano gonfie e doloranti, e la sclerosi multipla, una malattia degenerativa del<br />
<strong>sistema</strong> nervoso in cui il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> reagisce nei confronti <strong>della</strong> mielina, la<br />
sostanza che circonda e protegge le cellule nervose.<br />
In alcune forme di diabete, il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> distrugge le cellule del pancreas<br />
che producono insulina, e ciò provoca la carenza di questo ormone nel sangue e una<br />
conseguente grave alterazione del metabolismo.<br />
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La gravidanza:<br />
La gravidanza rappresenta un’interessante eccezione al meccanismo di riconoscimento<br />
degli antigeni estranei e alla loro eliminazione da parte del <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong>.<br />
L’embrione, contenente anche una parte delle proteine di istocompatibilità del padre,<br />
si annida nell’utero. Come mai, allora, il corpo <strong>della</strong> madre non rigetta l’embrione, che<br />
le è per metà estraneo?<br />
In effetti, l’utero costituisce un organo con caratteristiche particolari dal punto di<br />
vista immunologica: anche durante la gravidanza, il corpo <strong>della</strong> madre rigetta un<br />
trapianto di tessuti fetali in qualunque parte del corpo, ma non in quella. Non si sa<br />
ancora come faccia l’embrione a difendersi dal <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> <strong>della</strong> madre, ma si<br />
tratta sicuramente di un metodo piuttosto complicato, preciso ed efficiente, visto che<br />
è capace di proteggere una minuscola passerella di cellule dal potente <strong>sistema</strong><br />
<strong>immunitario</strong> materno.<br />
Nonostante questa protezione, tuttavia, capita qualche volta che il feto venga<br />
attaccato. In circa una coppia su 15 vi è incompatibilità Rh, una situazione che può<br />
dare luogo a una grave e pericolosa anemia del neonato, la malattia emolitica.<br />
La maggior parte delle persone ha antigeni Rh sulla membrana dei globuli rossi, cioè è<br />
Rh positiva; alcune persone, però, sono prive di questi antigeni e quindi sono Rh<br />
negative.<br />
Quando un uomo Rh + e una donna Rh - hanno un figlio, questo può essere Rh + ; se,<br />
durante il parto, alcuni globuli rossi del bambino si mescolano col sangue <strong>della</strong> madre, i<br />
loro antigeni Rh inducono il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> <strong>della</strong> madre a produrre anticorpi<br />
anti-Rh. Questo non arreca alcun danno al neonato perché occorrono alcuni giorni<br />
prima che tali anticorpi si formino.<br />
<strong>Il</strong> problema può sorgere, invece, nelle gravidanze successive, dato che, ora, gli<br />
anticorpi anti-Rh sono già presenti nel sangue materno: questi possono quindi<br />
attraversare la placenta e, se il nuovo feto è anch’esso Rh + , attaccarne i globuli rossi<br />
causando anemia, danni cerebrali o addirittura la morte.<br />
Per prevenire questa situazione a rischio, si iniettano nella madre, subito dopo il primo<br />
parto, anticorpi anti-Rh (chiamati Rhogam). Questi si legano agli antigeni Rh dei<br />
globuli rossi fetali eventualmente penetrati nella circolazione materna durante il<br />
parto, ricoprendoli e impedendo loro di stimolare il <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> materno.<br />
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4) Adattamento ed evoluzione: il filo conduttore:<br />
Che un organismo sia capace di difendersi dalle continue aggressioni di microbi<br />
pericolosi è certamente un bel vantaggio selettivo su coloro che invece sono<br />
vulnerabili. La selezione naturale favorisce la sopravvivenza e la riproduzione di<br />
organismi in grado di proteggersi da questi nemici invisibili.<br />
Tuttavia un <strong>sistema</strong> <strong>immunitario</strong> raffinato come il nostro è una conquista evolutiva<br />
piuttosto recente. Benché gli invertebrati possiedano cellule fagocitarie e altri<br />
meccanismi per resistere agli agenti infettivi, le loro difese mancano <strong>della</strong> elevata<br />
specificità delle difese degli organismi superiori.<br />
Sistemi immunitari che producono anticorpi specifici e risposte cellulari si trovano<br />
solo nei vertebrati; anche tra questi ultimi si nota comunque un notevole aumento di<br />
complessità lungo la scala zoologica, che raggiunge attualmente il suo massimo negli<br />
uccelli e nei mammiferi.<br />
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