foto Mauro Topini - Campo de'fiori
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Acqua e vino, un dilemma secolare!<br />
Persino la Santità di Benedetto da Norcia<br />
fece entrare il vino nel Convento e il capo<br />
quarantesimo della Regula Monachorum,<br />
dedicata alla misura della bevanda stabilisce:<br />
“Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in<br />
un modo, chi in un altro ed è perciò che<br />
stabiliamo con una certa perplessità la<br />
misura del vitto altrui.<br />
“Nondimeno, avendo considerazione della<br />
debolezza dei più bisognosi, crediamo che<br />
basti per ciascuno un’emina di vino al giorno.<br />
“Quelli poi a cui Dio concede di sapersene<br />
astenere, siano convinti che ne riceveranno<br />
una particolare ricompensa.<br />
“Se poi la condizione del luogo o il lavoro<br />
speciale o il calore dell’estate richiedesse<br />
un supplemento, il superiore abbia facoltà<br />
di darlo, ma vigili attentamente perché<br />
nessuno giunga alla sazietà o all’ubriachezza.<br />
“Leggiamo, è vero, che il vino non è per i<br />
monaci: ma poiché ai monaci dei tempi<br />
nostri ciò non si può far comprendere,<br />
conveniamo almeno in questo, di non bere<br />
fino alla sazietà, ma moderatamente, perché<br />
il vino travia anche i saggi.<br />
“Quando poi le condizioni del luogo son<br />
tali che non si possa trovare neppure la<br />
suddetta misura, ma sene trovi molto di<br />
meno o addirittura nulla, benedicano Dio i<br />
monaci che vi abitano e non mormorino:<br />
di questo soprattutto li ammoniamo, che si<br />
tengano lontani da ogni mormorazione.<br />
Qualche commentatore ha espresso il proprio<br />
convincimento secondo il quale l’emina<br />
romana, corrispondente ad un quarto<br />
di litro, nell’idea di San Benedetto e della<br />
<strong>Campo</strong> de’ fiori<br />
Roma che se n’è andata: luoghi<br />
Il contrasto tra acq<br />
sua Regula dovesse essere di misura superiore<br />
e che, comunque, il vino distribuito ai<br />
monaci dovesse essere sempre mescolato<br />
all’acqua, possibilmente calda.<br />
Tutto ciò richiama alla memoria di chi scrive<br />
una teoria espressa dall’amico Comm.<br />
Cleto Matteotti, autentico gentiluomo della<br />
Provincia di Trento, vero maestro di vita e<br />
nell’esercizio della professione, oltre che<br />
produttore di rinomati vini di quella<br />
Provincia, secondo il quale, mescolare l’acqua<br />
al vino ha unicamente lo scopo di rovinare<br />
sia l’acqua che il vino e, come egli<br />
stesso amava raccomandare, tale assunto,<br />
più che una semplice Teoria, è una Regola<br />
da applicare sempre rigorosamente.<br />
Fra la Regula di San Benedetto e la Teoria<br />
di Cleto Matteotti sono trascorsi ben quindici<br />
secoli, ma questo antichissimo dilemma<br />
ha sempre avuto per i romani un significato<br />
del tutto particolare, come ben testimoniano<br />
i versi del Poeta di Roma,<br />
Giuseppe Gioachino Belli:“…senz’acquasanta<br />
si. Ma senza vino…/ ma senza vino?<br />
Dio me ne guardi! / Nun avesse Iddio fatto<br />
antro che questo, / saria da ringrazziallo in<br />
ginocchione / e da mannà a fà fotte tutto<br />
er resto…”<br />
Peraltro, anche Trilussa condivide ampiamente<br />
e, nel sonetto dal titolo Acqua e<br />
vino, il Poeta cita il vino, ma dell’acqua<br />
nemmeno l’ombra:<br />
“Se certe sere bevo troppo e er vino / me<br />
ne fa quarchiduna de le sue, / benché sto<br />
solo me ritrovo in due / con un me stesso<br />
che me viè vicino / e muro - muro m’accompagna<br />
a casa / pè sfuggì da la gente<br />
ficcanasa.<br />
“Io, se capisce, rido e me la canto, / ma lui<br />
ce sforma e pè de più me scoccia: / Nun<br />
senti che te gira la capoccia? / Quanno la<br />
finirai de beve tanto? / E’ vero, dico, ma pè<br />
me è una cura / contro la noja e contro la<br />
paura.<br />
“Der resto tu lo sai come me piace! /<br />
Quanno me trovo de cattivo umore / un<br />
bon goccetto m’arillegra er core, / m’empie<br />
de gioia e me ridà la pace: / nun vedo più<br />
nessuno e in quer momento / dico le cose<br />
come me la sento.<br />
A mettere l’acqua impunemente miscelata<br />
al vino penserà ancora il Belli che, nel<br />
sonetto del 21 dicembre 1832, dal titolo<br />
Le cose create, fa bene intendere qual è il<br />
suo pensiero:<br />
“Ner monno ha ffatto Iddio ‘ggni cosa ddegna:<br />
/ ha ffatto tutto bbono e ttutto bello.<br />
/ bono l’inverno, ppiù bbona la leggna: /<br />
bono assai l’abbozzà, mmejjo er cortello.<br />
“Sortanto in questo cquì trovo lo smanco,<br />
/ che ppoteva, penzànnosce un tantino, /<br />
creacce l’acqua rossa e’r vino bbianco:<br />
“Perchè ar meno ggnisun oste assassino /<br />
mo nun vierìa co ttanta faccia ar banco / a<br />
vènnesce mezz’acqua e mmezzo vino.<br />
Una semplicistica trovata che indica chiaramente<br />
tutto l’assillo e tutta la preoccupazione<br />
dell’avventore che si appresta ad una<br />
bevuta con l’incombente pericolo di un<br />
probabile annacquamento. La fiducia,<br />
infatti, non dovette mai essere eccessiva<br />
nei confronti degli osti, al punto che un<br />
Bando del Conservatore, datato 3 novembre<br />
1656, vietava agli stessi e ad ogni altro<br />
rivenditore di vino di far commercio e di<br />
tenere i loro depositi e magazzini in locali<br />
prossimi a fontane, cisterne e pozzi.<br />
A tale proposito, persino nella biografia di<br />
Santa Francesca Romana, si legge:“…rapita<br />
in extasi et menata in visione ad vedere<br />
lo inferno, la Santa s’imbattè anche nelle